Cronache dell'Apocalisse

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Se il mondo stesse piangendo le sue ultime lacrime, e se queste lacrime fossero rosse come il sangue, chi potrebbe impedire all'Apocalisse di inghiottire l'Umanità ? La lotta per la sopravvivenza ha un prezzo molto alto e il tempo a disposizione sta per scadere. Tra battaglie antiche di secoli e demoni fuggiti dall'Inferno, un ragazzo dovrà portare la pace in un Universo destinato a cadere a pezzi. L'AUTORE: Daniele Zolfanelli è nato a Firenze nel 1991, ma vive a Montecalvoli. Frequenta il liceo pedagogico di Pontedera. Oltre a scrivere, gli piace suonare la chitarra e ascoltare musica rock. Considera Stephen King come un maestro.

Titolo: Cronache dell'Apocalisse Editore: 0111edizioni Pagine: 120

Autore: Daniele Zolfanelli Collana: Generazione "E" Prezzo: 13,00 euro

11,05 euro su www.ilclubdeilettori.com

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IL CASSETTO DEI SOGNI A differenza di "Parlando di (prima trasmissione libri a casa di Paolo", questa prevista a FEBBRAIO 2010) trasmissione, condotta da Mario Magro e sponsorizzata dalla nostra associazione, tratterà solo libri della 0111edizioni. Anche in questo caso, i libri presentati sono scelti dal conduttore, che li seleziona fra una rosa di titoli proposti dalla casa editrice. VAI AL SITO

E' però possibile richiedere una puntata dedicata a un libro specifico, non compreso nell'elenco di quelli selezionati, accordandosi direttamente con il conduttore, Mario Magro.

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Se hai letto un libro di un autore italiano (edito da qualunque casa editrice), votalo al concorso Il Club dei Lettori e partecipa all'estrazione di numerosi premi. La partecipazione al concorso è gratuita.

In questo gioco a premi avvengono rapitimenti un po' anomali: le Gioca con la Banda del Booko vittime sono personaggi di romanzi, che verranno poi "nascosti" in altri romanzi a discrezione dei rapitori e per la liberazione dei (che si legge quali è richiesto un riscatto all'autore. BUCO) all'ANONIMA Qui entra in gioco la "Squadra di Pulizia", che tenterà di liberare il personaggio per evitare all'autore il pagamento del riscatto. In SEQUESTRI VAI AL SITO

questa fase sono anche previsti tentativi di corruzione da parte dei Puliziotti nei confronti dei rapitori... ma non è il caso di spiegare qui tutto il funzionamento del gioco... per il regolamento è meglio fare affidamento all'APPOSITA PAGINA. E' possibile giocare e andare in finale nei ruoli di RAPITORE, VITTIMA, PULIZIOTTO, GIUDICE e PENTITO. In palio c'è un premio per ognuna delle 4 categorie. Il premio, di cui inizialmente viene specificato solo il valore massimo, viene scelto dai rispettivi vincitori dopo il sorteggio.


Daniele Zolfanelli

CRONACHE DELL’APOCALISSE

www.0111edizioni.com


www.0111edizioni.com www.ilclubdeilettori.com

CRONACHE DELL’APOCALISSE Copyright © 2010 Zerounoundici Edizioni Copyright © 2010 Daniele Zolfanelli ISBN 978-88-6307-270-9 In copertina: Immagine Shutterstock.com

Finito di stampare nel mese di Aprile 2010 da Digital Print Segrate - Milano


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PROLOGO TEMPO DIMENTICATO

Questa non è una storia per bambini, proprio no. Qui i bambini muoiono. Muoiono anche gli adulti. Nessuno è troppo giovane o troppo vecchio per morire. Semplicemente, nessuno è abbastanza forte per sopravvivere. Ma, cosa più importante, qui non c’è un lieto fine, ed è forse questo ciò che può spaventare di più i bambini. Qui c’è dannazione, qui c’è sofferenza, qui ci sono pagine bruciate dalle fiamme infernali. Qui non c’è riposo, né pace, né silenzio. Le anime vagano scontando le loro colpe e i diavoli le frustano con il solo scopo di veder fuoriuscire loro del sangue. E, se mai una goccia di sangue sgorgherà dalla schiena mutilata di un fantasma, allora, e solo allora, porterò la mia penna al termine di questo libro e scriverò le parole che non avrei osato scrivere altrimenti: e tutti vissero felici e contenti… *** La storia che voglio raccontarvi ebbe inizio moltissimi anni fa in un luogo a me sconosciuto. Potrei partire dall’inizio, quando i primi complotti danneggiarono la stabilità dell’universo, e da lì potrei proseguire fino alla fine. Ma preferisco cominciare da quell’avvenimento che più mi si è impresso nella mente. Quel fatto che caratterizzò, almeno prima di essere dimenticato dalla memoria, tutto il 1982. Diciannove anni prima della fine del mondo.


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(DAL DIARIO DI BILL J.)

Gennaio, 1982 ore 13,00 Caro diario, questa è la prima pagina che scrivo, e spero di non arrivare mai all’ultima. Non voglio sostituirti con un altro diario. Tu sei il primo che ho, sei speciale. Non avevo mai scritto una pagina di diario prima d’ora, quindi perdonami se non sono molto bravo. Per cominciare vorrei che ci conoscessimo meglio… Allora io mi chiamo Bill. È un nome facile da ricordare, è breve, ma a me piace. Ho i capelli biondi e un brufolo sul mento. Fra poco il brufolo scomparirà, e forse anche il colore dei miei capelli cambierà. Ho sentito dire che quando un bambino cresce cambia del tutto. Io spero di rimanere sempre così, a parte per l’altezza. Ho solo 13 anni ma mi ritengo abbastanza basso. Il mio dottore dice che ho un rapporto peso altezza perfetto. Comunque se fossi alto come uno di quei giocatori di basket dell’ NBA non mi dispiacerebbe. Per il resto mi ritengo abbastanza nella norma. Ah… quasi mi dimenticavo. Oggi è il mio compleanno. Infatti è stata mia nonna a regalarti a me. Gli avevo chiesto io un diario, per scrivere tutte le cose più belle che mi capiteranno. Anche quelle brutte ovviamente. A te confiderò ogni cosa. La prima voglio rivelartela adesso, per non lasciarti fino al nostro prossimo incontro senza niente a cui pensare. Non so se sia una cosa bella. A me piace la mia casa, e tra 3 giorni dovrò trasferirmi in un’altra città di cui non so nemmeno il nome. Questo non è un problema, i nomi si trovano. Ciò che più mi spaventa è che andrò a vivere in un castello. Un grande castello su una collina. Mio padre ha detto di averlo pagato pochissimo, che glielo hanno quasi regalato. Strano… Forse è abitato da fantasmi o cose simili. È un luogo stregato di cui qualcuno si voleva liberare. Beh, queste sono solo mie supposizioni… se poi è veramente così cercherò di diventare loro amico. Chissà com’è essere amico di un fantasma? Nei successivi giorni che lo separavano dal trasloco, Bill non scrisse più niente. Fu troppo occupato a preparare i bagagli e a lanciare a ca-


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saccio gli ultimi sguardi alla sua vecchia casa. La cameretta che lo aveva accompagnato per tredici anni di quiete notti, non se la sarebbe dimenticata. Lì erano sepolte montagne di ricordi oramai cancellate dal tempo. Più si avvicinava il momento di partire e più desiderava non andarsene. Non era il fatto di dover ricominciare ogni cosa dall’inizio che lo spaventava. Nel ricominciare non c’è niente di sbagliato. Era qualcos’altro a intimorirlo. Non sapeva come spiegarlo, ma sentiva che in quel castello qualcosa non andava. Quel luogo che presto avrebbe dovuto chiamare casa riempiva il suo cuore di paura, lo spaventava, e non riusciva a darsene una ragione. Mai lo aveva visto, nemmeno in una foto, e mai, prima che lo facessero i suoi genitori, ne aveva sentito parlare. Gli bastava il suo pensiero a spaventarlo. Un pensiero che nessuna realtà potrebbe sopportare. La sera prima di partire per quella nuova e misteriosa città si impregnò la sagoma della sua stanza negli occhi: la posizione del letto, la scrivania, la finestra, la forma delle mattonelle. Ogni minimo dettaglio, perfino la sporcizia dietro l’armadio e la macchia di muffa sul soffitto. Sapeva che i ricordi non sarebbero potuti durare a lungo, e, un giorno o l’altro sarebbero stati sostituiti da qualcos’altro, forse di più bello. Già durante il viaggio in macchina verso il castello sospettava che le percezioni si stessero affievolendo. E, non appena entrò nella nuova casa, nel castello, immediatamente tutto quello che apparteneva alla vecchia vita sgombrò dalla sua mente. Cose piacevoli e cose spiacevoli, immagini e colori, tutto si perse fra quei muri dell’eternità.

5 Gennaio, 1982 ore 14,35 Caro diario, questo castello è grandissimo. Non ho ancora imparato la posizione di tutte le camere, e stamattina mi sono quasi perso nei corridoi del sotterraneo mentre cercavo il bagno. È come un labirinto. Però ogni corridoio mi sembra che riconduca verso il basso, in quelle stanze buie dove mi hanno proibito di andare da solo. A scuola la maestra di scienze ci ha detto che tutte le vene cariche di sangue affluiscono al cuore. Io credo che questo castello abbia veramente un cuore, come ogni essere vivente. A volte ho paura. Ci sono tantissime porte e strane statue accanto alle pareti. E i quadri… sono ovunque. Tutto è così misterioso.


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C’è perfino un bellissimo lampadario scintillante appeso al soffitto dell’ingresso. Non l’ho mai detto ai miei genitori, è troppo strano, ma quando guardo quel lampadario cristallino vedo qualcosa di rosso che vi si specchia, delle piccole gocce rosse che scivolano lungo i suoi bordi e mi fissano. Visto dal di fuori il castello sembra la dimora di Dracula, è imponente, questo si, anche raffinato, ma da qui dentro c’è tutto un altro punto di vista. Mi sembra di essere dentro la mente di un pazzo. La cosa peggiore però sono i gradini delle scale… a volte la notte, mentre tento di addormentarmi, li sento scricchiolare. Proprio come se qualcuno li stesse percorrendo. So che non sono i miei genitori e nemmeno qualcuno che è entrato di nascosto. Qui c’è qualcuno, non siamo soli.

Quella notte i rumori furono più forti, ma solo Bill li sentì. A mezzanotte ci fu un violento temporale e un fulmine si schianto chissà dove. La pioggia tamburellava contro i vetri della finestra nella sua stanza, e Bill ebbe l’impressione che quelle piccole gocce d’acqua lo stessero chiamando. Come per avvertirlo, per urlargli di scappare via. Lui si limitò a tirarsi le coperte sopra la testa e a chiudere gli occhi. Non voleva gridare, non ne aveva le forze. Si sentiva immobilizzato, incapace di ogni più piccolo movimento. Poi, dalla porta semiaperta, fece capolino un’oscura ombra dalla forma canina che lanciò il suo ululato fra le tenebre. E a quel suono Bill si addormentò. Abbassò le palpebre che non avrebbe più riaperto e sognò l’ultimo incubo della sua vita. Sognò la sua vecchia camera da letto, così come se la ricordava. La luce che scalfiva i vetri della finestra, il letto arruffato, i vestiti sparsi sul pavimento e il tappeto con quella piccola macchia di cioccolato sul bordo. Si mosse disinvolto fra quelle illusioni, cercando di capire dove si trovava. Ma dove si trovava già lo sapeva, solo che non riusciva a crederci. Gli interessava capire come ci era arrivato, o chi ce lo aveva portato. Improvvisamente divenne buio. La luce scomparì del tutto, il sole se ne andò dal cielo e la luna lo seguì. Più nessun tipo di luce o riflesso doveva illuminare il mondo. E, fra le tenebre, fece la sua comparsa colui che nel nostro universo viene definito demone. Una creatura


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dall’indescrivibile aspetto, che si avvicinò a Bill con l’arma con cui l’avrebbe ucciso. -Chi sei?- chiese il ragazzo. Non poteva scappare, e nascondersi era una cosa impensabile. Quell’essere l’avrebbe potuto seguire ovunque. Non c’erano confini che non potesse varcare o limiti a cui sottostare. Perfino la morte temeva colui che la morte poteva uccidere. -Cosa vuoi da me?- disse Bill con le lacrime agli occhi, e il demone gli rispose. -Voglio la tua vitaIl suono della voce gli frantumò i timpani. Non fu però un suono sgraziato e stridente, fu un suono perfetto. E la perfezione non è degna di essere udita da nessun altro che si discosti da questo livello. Bill osò ascoltarla, ma solo perché gli fu imposto, ed ora non potrà più ascoltare altro. Si portò le mani sugli orecchi colanti di sangue e urlò. Il demone gli porse una rosa rossa e se ne andò. La rosa oscillò e cadde ai piedi del ragazzo destinato a morire. Lui urlò con più forza e le gocce di sangue che sgorgavano dai lobi si posarono sui delicati petali del fiore. Goccia dopo goccia assorbì tutto il dolore e tutta l’agonia. Bill si inginocchiò e il sangue si mischiò alle lacrime. Afferrò la rosa per gettarla lontana e si punse con una delle sue numerose spine. E lì morì. La mattina seguente fu ritrovato dai genitori disteso sul letto, con le braccia incrociate sull’addome e una rosa posata sopra le lenzuola. Il suo corpo era freddo e la pelle aveva assunto un colorito più chiaro. Per lui non ci sarebbe stato funerale, e neppure vendetta. Era morto e nessuno l’avrebbe mai saputo. I suoi genitori non furono più visti. Non uscirono mai dal castello. Scomparvero. Nello stesso modo in cui erano venuti alla vita, ora se ne erano andati. Polvere Per un certo periodo l’intera città si dedicò alla loro ricerca, anche a quella del figlio, visto che il suo corpo non fu ritrovato sul letto. Che delle persone svanissero non era certo una novità in quella città, e mai nessuno era stato ritrovato. Con il tempo si erano formate squadre specializzate nella ricerca degli scomparsi. Per alcuni una cosa inutile. Chi entra nel castello per troppo tempo non ne può uscire vivo…


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Correva l’anno 1982, e per gran parte di esso non si fece che parlare della sparizione del piccolo Bill e della sua famiglia. O forse Bill e la sua famiglia non erano mai andati ad abitare in quel castello. Forse non esisteva nemmeno un bambino chiamato Bill. Ma io conosco la verità, e tutto ciò che vi ho raccontato è accaduto veramente. Ora sta a voi non dimenticare. Il mondo gira, e alla fine tutto ricomincia dall’inizio…


9 ANNI DOPO…



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CAPITOLO 1 IL CASTELLO

L’oscurità avvolgeva l’intera collina mentre i tre ragazzi sbucarono fuori da un cespuglio. Si chiamavano Piter, Tim e Lucy. Erano armati di torce, funi e uno zaino pieno di cibo: ma l’unica cosa di cui avevano veramente bisogno era il coraggio. Tanto coraggio, perché per entrare in un castello in cui si aggirano mostri e fantasmi è una cosa essenziale. E, per di più, era anche notte, o meglio: mezzanotte. L’ora in cui i mostri si svegliano, quando escono dalle loro cripte con un solo obbiettivo… mangiare. E la carne dei bambini è quella che preferiscono! -Forse dovremo tornare indietro- bisbigliò Tim. Lui era il più fifone del gruppo, e non riusciva a capire come avevano fatto a convincerlo a correre un rischio simile. “ Sarà divertente” gli avevano detto “in quel castello ci saranno sicuramente montagne di tesori nascosti. E noi li troveremo”. -Torniamo a casa- continuò Tim, sperando di convincere anche Piter e Lucy. -Oppure andiamo al cinema. Oggi è uscito quel film con gli zombi, “ A volte ritornano”. Io ho letto il libro, ed era davvero spaventoso. Che ne dite?Lucy puntò la torcia contro Tim. -Non vorrai tirarti indietro adesso? Siamo quasi arrivati-Possiamo tornare domani, di giorno. Se i nostri genitori scoprono che siamo venuti qui ci mettono in castigo a vita-Sei proprio un fifone- lo rimproverò Piter -Hai paura dei mostri, non è vero?Il volto di Tim si increspò sulla fronte. Strinse forte i pugni e fissò Piter negli occhi. Ovviamente aveva paura dei mostri, non perché ne avesse mai visto uno, ma per il semplice fatto che in certe occasioni gli era sembrato di percepire la loro presenza. Un oscuro bagliore intorno al cuore di cui si era confidato solo con i suoi amici. Ogni volta lo ignorava. Preferiva credere che non fossero altro che allucinazioni sfociate da un qualche incubo. E, sebbene non lo avesse mai detto, temeva quelle allucinazioni più di ogni altra cosa.


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-No! Non ho paura dei mostri. I mostri non esistono-Bene, allora possiamo continuare. Andiamo-Si. Va bene, Andiamo- si rassegnò Tim -ma facciamo in frettaCamminarono per un altro breve tratto, su quelle faticose salite piene di sassi e di buche, finché non arrivarono sulla cima della collina. Lì era tutto più lugubre e spaventoso. Una fitta coltre di nebbia lambiva la strada davanti a loro e il vento soffiava forte, come se volesse farli allontanare. Ma niente gli impedì di scorgere la maestosa figura. Il castello. Lo avevano visto innumerevoli volte dalle finestre nelle loro camerette, ma mai così da vicino. Emanava un forte odore di muffa; tutti i suoi ottocento anni di vecchiaia racchiusi in una tale puzza. Simile a un cadavere che lentamente si decompone, attirando a sé tutti gli insetti più schifosi. E, questa volta, gli schifosi insetti sono proprio loro. Non guardare la collina, c’è l’uomo nero che ti avvicina… Le vecchie filastrocche sul castello piombarono alla mente dei ragazzi. Le leggende e gli enigmi che lo avvolgevano gli riempirono i cuori. Così il peso di quelle conoscenze irrivelabili fece sembrare tutt’intorno più vuoto. Sentirono i loro stomaci alleggerirsi, quasi svuotarsi di ogni organo. Quella che stavano provando era la paura più antica e potente di tutte. La paura dell’ignoto. Di fronte a tanta oscurità, dove le persone si muovono a caso senza sapere dove stanno andando, la paura si amplifica, si espande oltre ogni immaginazione. Potevano sentire i battiti dei loro cuori, il freddo che li attanagliava e la nausea. Provarono a ignorare tutto questo, e fu lo stesso risultato che ignorare un leone che ti sta sbranando. Si avvicinarono al castello e un insopportabile odore di decomposizione costrinse Piter a vomitare. I resti della cena che alcune ore fa aveva mangiato con tanta ingordigia ora si trovavano sparsi a terra, su quel suolo malandato. Lucy si allontanò dall’amico, disgustata alla vista di ciò che era appena successo, e posò lo sguardo sulla facciata del castello che si trovava davanti. Sempre più impaurito, Tim chiuse gli occhi e non emise fiato. Si immobilizzò, con il volto rivolto verso la sua casa in città. -Guardate- disse Lucy, indicando una delle tante finestre del castello Perché le hanno chiuse con delle sbarre di legno?Piter riprese fiato, sputò più volte nel tentativo di togliersi l’odore di vomito dalla bocca, e guardò per l’ennesima volta il castello. Non aveva mai notato quelle sbarre sulle finestre, fissate in modo sbilenco e


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frettoloso. Forse servivano per non fare entrare nessuno, o forse per non fare uscire “qualcosa”… Raggiunsero il portone d’ingresso. Tim sperò di non finire in uno dei suoi incubi. Spesso sognava di essere inseguito da un’ombra scura, chi o cosa fosse quell’ombra non lo sapeva. Voleva ucciderlo, e questo era più che sufficiente per scappare via senza voltarsi per vederla in faccia. -Siete pronti?- chiese Lucy. Ormai tutti e tre erano sulla soglia di quella grande porta infestata dagli insetti e dalla muffa. Il lucchetto che la teneva chiusa giaceva spezzato su un ridicolo tappetino deteriorato dalla sporcizia. -Siamo venuti per questo- disse Piter. -Si- disse infine Tim, cercando di convincere anche se stesso -Siamo venuti per questoPiter appoggiò i palmi delle mani al portone. Sentì l’umidità di quel legno bagnargli le dita. Una sensazione viscida, come di vermi che strusciano sulle mani. Continuò a spingere con tutte le sue forze. -Cerchiamo solo di fare attenzione, sapete tutti quello che si dice in giro su questo postoDiede l’ultima spinta. Ci fu un cigolio acuto e il portone si spalancò. Tim e Lucy puntarono le torce verso la stanza che si accingevano a profanare. L’ossigenò inebriò le pareti appesantite dal tempo e la polvere si lascio cullare dal vento penetrato dal’esterno. Non fu certamente un bello spettacolo quello che si dipanò davanti agli occhi dei ragazzi. Tutto era ricoperto di ragnatele: i mobili, le poltrone, i quadri e perfino l’immenso lampadario appeso al soffitto. Un lampadario divenuto opaco, grezzo. La brutta copia di ciò che un tempo doveva essere stato. L’antitesi stessa dell’ideale di bellezza che per molte generazione aveva rispecchiato. Più in lontananza si scorgevano due rampe di scale che si congiungevano verso l’alto. Conducevano al piano superiore, o a quello che ne doveva essere rimasto. Dopo tutti questi anni in cui il castello è rimasto in balia dei topi, degli scarafaggi e di chissà che altro, avrebbero dovuto ringraziare l’oscurità che celava alla loro vista parte di quel delirio. I pochi dettagli che si rifiutarono di rimanere nell’ombra furono un gatto accovacciato sul divano, nelle cui membra il sangue era stato sostituito da orge di insetti; e dei paletti di legno piantati vicino alle imposte delle finestre, su cui erano conficcate teste mutilate di piccoli animali. Il san-


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gue che le ricopriva aveva assunto tonalità scure, raccapriccianti, dall’odore disgustoso. Anche sul pavimento riposavano goccioline di sangue, sempre calde e di un rosso vivido. Nessuno le vide. Il castello le bramava con gelosia, le nascondeva nella sua oscurità dove nemmeno l’occhio più sveglio si sarebbe capacitato di vederle. I tre ragazzi entrarono. Piter e Lucy per primi, mano stretta nella mano. Tim fu l’ultimo a varcare la soglia. Fecero qualche passo in avanti, senza allontanarsi troppo dall’uscita. Più si addentravano nelle profondità del castello e più si sentivano attratti da quello che potevano trovare. Rimasero lì, in quella stanza, e frugarono quanto più poterono. Tim si infilò sotto un divano per controllare se ci fosse un bottino nascosto. Piter controllò i mobili, ogni cassetto, le credenze, ma l’unica cosa che riuscì a trovare fu una vecchia forchetta arrugginita. Lucy mise a soqquadro le tende, i tappeti, i dipinti… controllò un po’ ovunque, ma anche lei non trovò niente di prezioso. Dopotutto se un tesoro esisteva veramente non potevano sperare di trovarlo così facilmente, frugando sotto qualche vecchio mobile. Doveva trovarsi in un punto più misterioso, in un luogo dove non si può accedere senza coraggio. In un luogo, forse, dove coraggio e paura si mischiano saldamente, e danno vita alla follia. -Qui non c’è niente, andiamo di sopra- disse Lucy. Non sembrava amareggiata per non aver trovato ciò che cercava. No. Era felice del fatto di poter cercare più a fondo, e di poter vedere quello che tanti avevano temuto: ovvero le stanze più nascoste del castello. Ed era sicura che lì i suoi desideri sarebbero divenuti realtà. Li attendevano tesori in abbondanza, bastava avere il coraggio di raggiungerli. -A me è venuta fame- ribatté Piter, sporco di polvere. -Non dovevi vomitare tutta quella roba- disse Lucy, ancora disgustata dal pensiero. Piter la ignorò e si rivolse a Tim. -Tu hai portato qualcosa da mangiare?Tim, il più giovane dei tre, si frugò nello zaino e tirò fuori una collana con appeso un grappolo d’aglio. La porse all’amico, con aria seria. -Ho solo queste collane, per proteggerci dai vampiri- rise piano, e quella fu la prima risata che il castello sentì da molti anni -Però se vuoi puoi mangiare uno spicchio d’aglio…-Avanti, smettetela di scherzare- si intromise Lucy.


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-Ok ok. Magari assaggerò il tuo aglio un’altra volta, che ne dici?-O forse qualcuno assaggerà prima te- disse Tim, mettendosi la collana al collo -Non volete delle protezioni contro i demoni?-Perché dovremmo proteggerci da qualcosa che non esiste?- sbottò Lucy -Saliamo al piano di sopra, scommetto che saremo più fortunatiTim rivolse lo sguardo oltre la scalinata e immediatamente socchiuse gli occhi e si ritrasse. Il buio lo spaventava ogni volta, fin da quando era bambino. Cose cattive potevano nascondersi lì, dove alla vista erano celate. Il buio stesso era cattivo. -Al piano di sopra?- ripeté Tim, sentendo un fiotto di saliva scendergli la gola. Lucy si avvicinò alle scale e salì il primo gradino. -Io vado, che voi veniate o no. Ma se trovo un tesoro non crediate che lo divida con voi-Veniamo anche noi- disse Piter, cercando di non passare da codardo. Tim sobbalzò. -Noi? Io non ho intenzione di salire là in cima-Se preferisci rimanere qui da solo non voglio farti cambiare idea. Comunque fai attenzione; potrebbe sbucare un mostro quando meno te lo aspetti…Piter seguì Lucy e insieme arrivarono in cima alla scalinata, mentre Tim rimase al piano di sotto, con la torcia stretta tra le mani e i denti che battevano per la paura. -Tanto i mostri non esistono!- strillò lui, ma gli altri si erano già allontanati e non riuscirono a sentire le sue parole. *** Tutto era buio. Solo le luci delle loro torce riuscirono a scalfire la densa oscurità che li circondava. E quando c’è l’oscurità non può mancare neanche il freddo, che si aggira quieto e silenzioso fra i corridoi, in attesa di colpire… Piter e Lucy lo sentirono, ma non riuscirono a fermarlo. Li afferrò con una morsa gelida e gli entrò fin sotto la pelle, gli si avvinghiò nelle ossa e li costrinse a tremare. Dalle finestre non passava il più piccolo spiraglio di luce e gli interruttori dei lampadari erano tutti spaccati. Dal soffitto penzolavano cavi che un tempo avevano fatto da conduttori per l’elettricità, e adesso si trovavano ridotti a mucchi di fili inutilizzabili e cosparsi di ragnatele. Ogni


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tanto emettevano delle brevi scintille, dei fuochi fatui, e poi tornavano a riposare nel loro sonno eterno. -Forse dovremo tornare di sotto- la voce di Piter si fece sempre più silenziosa, strozzata dall’aria gelida -Questo posto mi mette i brividi-Anche a me. Però voglio trovare il tesoro; non possiamo tornare a casa a mani vuote-Solo qualche altro minuto, poi me ne vado. Comincio a pensare che questo posto sia veramente infestato-E da cosa?- chiese Lucy, che non riuscì a trattenere una risata. -Puoi anche non credermi, ma secondo me le storie che si raccontano su questo castello non sono tutte false-Sono solo leggende per non fare avvicinare i bambini come noi. Non c’è niente di vero… com’è possibile che qualcuno sparisca nel nulla dopo aver messo piede qui dentro? E non credo nemmeno che ci siano dei mostri. Io non ho paura-Le leggende non nascono per caso…- disse Piter mentre si allacciava la cerniera della giacca. Si sfilò dalle tasche un paio di guanti blu e se li mise alle mani, sperando di placare parte di quel freddo -Capisco che tu non creda ai mostri, ma come fai a negare tutti quegli strani avvenimenti che sono accaduti qui, proprio sotto questo tetto?Lucy non rispose e continuò la ricerca del tesoro ignorando la domanda di Piter. -Non siamo i primi che sono venuti a cercare il tesoro, ammesso che un tesoro ci sia veramente. Lo sai che fine hanno fatto tutti quanti? Sono morti. Uno a uno sono morti tuttiPer Piter fu impossibile convincere Lucy della pericolosità di ciò che stavano facendo. Lui stesso aveva faticato a capirlo, solo adesso percepiva chiaramente il pericolo. Era come se il castello avesse stregato la mente di Lucy, e che vi avesse messo dentro solo l’immagine del tesoro. Un gigantesco forziere pieno di monete d’oro, di diamanti e gemme preziose. -Io non voglio fare la loro fineLucy tacque anche stavolta e le parole di Piter rimasero sospese nell’aria. I due vagarono ancora per quei corridoi, attraverso stanze antiche, senza una meta precisa. Videro oggetti strani, ritratti ammuffiti, giganteschi tappeti ricoperti di schifezze. Niente che potesse valere qualcosa.


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Fuori dal castello, a loro insaputa, iniziò a piovere. Ben presto però la debole pioggerellina si trasformò in una violenta tempesta e in quel momento parvero sentire un grido… … o forse uno sbadiglio… Qualcuno si era svegliato! *** Tim scosse il capo. -I mostri non esistono- continuava a ripetersi, cercando di crederci veramente -Non esistonoCamminò avanti e indietro per tutta la stanza; non aveva il coraggio di seguire i suoi amici e salire al piano di sopra, ma il pensiero di dover rimanere lì da solo, ancora un secondo di più, lo terrorizzava. Si fece coraggio e, a piccoli passi, si avvicinò alla rampa di scale. Afferrò il corrimano. Uno strato di polvere gli coprì le dita infreddolite. Chiuse gli occhi nel disperato tentativo di scacciare via le paure, e si diede una spinta in avanti… Il primo scalino era passato, ne rimanevano altri dodici. Prese un lungo respiro e proseguì. Ogni passo gli costava gocce di sudore. Si asciugò più volte la fronte con la manica della maglia. Continuò a salire quei gradini che lo facevano sentire più pesante ad ogni passo. L’assenza di luce pareva aver donato all’oscurità una consistenza propria, un peso concreto e schiacciante che ora lo sovrastava. E a dare vita a tutto ciò era la paura, che se ne usciva fuori dal corpo e si materializzava. Nel freddo, nel buio, nella puzza… Quando giunse sul tredicesimo scalino fece un lungo sospiro. -Sono arrivato, aspettatemi!- gridò ai suoi amici, prima di entrare nel corridoio. Questo era completamente ricoperto da un lungo tappeto di seta rosso e, vicino alle pareti, scorgeva delle statue raffiguranti strani animali, simili a dei draghi. Sculture perfettamente levigate, dai colori scuri, collocate sopra piccole colonnine di marmo. -Dove siete?Nessuno rispose. -Se è uno scherzo non mi piace per niente! Venite fuori!E anche questa volta, Tim non ricevette nessuna risposta. Almeno per il momento… ci furono dei passi, qualcuno che correva. Perfino delle grida. Il pavimento tremava e dal soffitto scendevano frammenti di vernice. Fu allora che Tim vide apparire Piter e Lucy dal fondo del corri-


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doio. Il silenzio di poco fa, la calma, parevano una percezione distorta della realtà. -Scappa!- gridò Piter e la sua voce si confuse con le grida di Lucy -Esci da quiNon fece nemmeno in tempo a pensare a cosa potesse essere successo che il suo più grande incubo lo travolse forte e implacabile. Vide due occhi luccicanti sbucare dall’oscurità… un ululato talmente potente da fare invidia a tutti i lupi della Terra. Rimase immobile finché Piter non lo raggiunse e lo spinse giù dalle scale. Il ragazzo cadde sul pavimento, sbattendo le ginocchia sugli scalini. Quando provò a rialzarsi per raggiungere gli amici fu colto da un’improvvisa fitta di dolore. La gamba destra gli cedette e lui urlò. -Alzati!- gli urlò Piter. La porta era a pochi passi da loro, spalancata su un paesaggio che nemmeno l’incubo più spaventoso può far vivere… -Ci ha quasi raggiunti…- gridò Lucy, indicando qualcosa alle spalle di Tim. Lui si voltò per vedere meglio ciò che già aveva visto molte volte. Ammirò con terrore la pelliccia nera di quel lupo, quasi levigata dall’oscurità. Ululò e Tim non seppe dire di quale delle due teste di quel mostro avesse più paura. Colavano di bava e i denti esprimevano tutta la loro furia. Con un balzo la strana creatura oltrepassò le scale e piombò davanti a Tim Uuuuuu Uuuuuu, ancora ululava, invocando chissà quale divinità. Uuuuuu… -Vattene, bestiaccia- gridò Piter dalla soglia della porta. La bestia alzò una zampa e mostrò i suoi artigli gialli e ricurvi ai ragazzi. La bava che gli colava dalle mandibole cadde sulle gambe di Tim. Il ragazzo era sul punto di svenire dalla paura. Per poco i sensi non lo abbandonarono… la vista, l’udito… riaprì le palpebre quando sentì la voce di Piter: -Scappa, Tim! Vieni via di lìLucy era impietrita, con le mani posate sul volto per non vedere quello che stava per accadere. Le lacrime gli colavano sulle guance. L’idea di cercare quel maledetto tesoro era stata sua. Lei si era rifiutata di andarsene a mani vuote. E adesso lei era la responsabile di ogni cosa. Qualunque cosa fosse successa ai suoi amici, sarebbe stata a causa sua.


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Fuori continuava a piovere, sempre più forte. La pioggia sbatteva monotona contro ogni cosa che si posava sul suo cammino, e non accennava a smettere. In lontananza un fulmine colpì la corteccia di un albero, facendolo precipitare sulla strada sottostante. Il rumore risuonò nel corpo di Lucy, come se la dura corteccia fosse precipitata contro il suo fragile cuore. Tim indietreggiò, cercando di allontanarsi il più possibile dalla creatura. Lei non lo perse di vista neppure per un secondo. Avvicinò i suoi due musi alla faccia del ragazzo, preparandosi a staccargliela via dal corpo. Un altro ululato, Uuuuuu, poi una testa spalancò le fauci, facendo fuoriuscire una schifosa lingua rosea. I suoi occhi, gli occhi di quella bestiaccia, riflettevano una strana luce. E in quella luce sembrava riposare l’intera essenza della morte. Non mangiarmi… ti prego non mangiarmi… si ripeteva Tim con un filo di voce. Si fece scudo con le braccia e chiuse gli occhi, pensando (o sperando) che non accadesse niente. …FERMATI… una voce si propagò fra quelle mura. Era forte e saggia, e al tempo stesso incomprensibile per una mente circoscritta come quella di un essere umano. Nessuna cosa finita può concepire la bellezza dell’infinito, così come quei ragazzi non riuscirono a capire questa parola. Per le loro orecchie fu come un ronzio acuto, nient’altro. Solo un insignificante ronzio... Al suono di tale voce la bestia ripose gli artigli e se ne tornò nell’oscurità da cui proveniva, cantando il suo ululato solitario e lasciando i tre ragazzi immersi nelle loro paure. -Tutto bene, Tim?- chiese Piter con un filo di voce. Il ragazzo non rispose subito. Rimase in silenzio a contemplare il suo assalitore che se ne andava. Lo guardava senza sbattere ciglio e senza muovere un muscolo, pregando perché non ci ripensasse e tornasse indietro a mangiarlo. Il suo cuore batteva forte, scandito dallo scricchiolio del pavimento. Quello pseudo-lupo ondeggiava ad ogni passo e sventolava la coda come per mandar via il caldo. Le sue teste si scontrarono un paio di volte e si aggredirono a vicenda, mordendosi le orecchie e il collo. Solo quando la sagoma della creatura svanì fra le ombre, Tim si voltò verso Piter.


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-Si, sto bene- rispose lui, poi la sua voce si fece più affaticata e stordita -Ma quello che cos’era?-Non lo so. Però non ho mai visto niente del genere prima d’ora- confessò Piter, il volto reso bianco dalla paura. Il suo sguardo, come quello di Lucy, era perso nel vuoto, verso l’oscurità. Quella che ormai bramava le loro vite. Tim si alzò in piedi, ignorando il dolore alla gamba. Quel dolore sarebbe svanito, ma non la paura. Lei sarebbe rimasta per sempre. E fu con questa consapevolezza che si avvicinò ai suoi amici, e all’uscita. -Andiamocene via. Non voglio restare un secondo di più in questo posto maledettoTutti e tre si incamminarono fuori dal castello, con la pioggia sopra le loro tremolanti teste, e ripercorsero la strada che conduceva in città, ognuno diretto verso la propria casa con la promessa di non raccontare mai a nessuno e per nessun motivo quello che era successo quella sera.


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CAPITOLO 2 PRESAGI DI MORTE

Quella notte passò velocemente e dopo di lei se ne susseguirono molte altre, ognuna illuminata dal debole chiarore della luna. I tre ragazzi si incontrarono di tanto in tanto in quelle calde giornate estive, per giocare insieme o andare a mangiare qualcosa fuori da casa. E altrettante volte i loro sguardi si incrociarono, mentre nelle loro menti turbinavano domande su domande, pensieri e riflessioni lontane da ogni altro ragazzo. Ma nessuno parlava. Si limitavano solo a un leggero sorriso e a qualche risatina fasulla. Spesso gli capitava di sognare ciò che era accaduto nel castello. In quei momenti riuscivano a stento a trattenere le urla e le lacrime, e spesso si risvegliavano nel mezzo della notte completamente zuppi di sudore, con le coperte appiccicate alla pelle. Alcune sere rimanevano svegli il più possibile a fissare la luna. Gli dava coraggio, e, almeno, restavano lontani dagli incubi per qualche ora in più. L’estate scorsa Lucy aveva visto un film di nascosto. I suoi genitori glielo avevano proibito, dicendo che era troppo violento, ma questo non fece altro che spingerla a comprarsi la cassetta, aspettare che fosse sola in casa e guardarla. Nightmare era il titolo. Parlava di un assassino, un certo Freddy e qualcosa, che uccideva i ragazzi nei sogni. Quella sera non si spaventò molto, sapeva che i sogni non erano in grado di ferirla. Ora non ne era più così sicura. Sentiva la puzza della morte ovunque, perfino nei suoi sogni. Sentiva che stavano marcendo. Prima di addormentarsi si inginocchiava di fianco al letto e pregava, stringendo forte una vecchia croce di legno. Pregava che gli artigli di Freddy non la prendessero, e si malediceva per aver condotto i suoi migliori amici nella dimora del male. Sia lei, che Piter, che Tim erano concordi su un fatto. Niente era più come prima, qualcosa era cambiato, e si percepiva chiaramente. Si sentiva nell’aria. Quell’atmosfera di mistero che celava il castello, adesso sembrava ricoprire l’intero pianeta. Era una sensazione strana, quasi surreale, e, come quasi tutte le sensazioni, non fu presa abbastanza sul serio. I ragazzi mantennero la promessa e non parlarono dell’incidente


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accaduto al castello. Avevano troppa paura per parlare… ma chi li avrebbe mai ascoltati? Tre ragazzini spaventati da un antico castello infestato da mostri. Le solite fantasie da bambino. Il genere di cose a cui solo un bambino può credere. Non esistono i mostri… Non c’è niente di spaventoso sotto il letto… Comincia a crescere… Però nessun adulto sa che gli occhi di un bambino vedono più lontano dei suoi. *** CASA DI TIM, ore 22,34 Tim sedeva su un piccola poltroncina davanti a una scrivania in legno, intento a finire i compiti per le vacanze. Intorno a lui la stanza era disseminata di vari oggetti, tra cui anche dei libri di scuola con i bordi delle pagine arricciolati e le foderine completamente rovinate. Con la penna stretta tra le dita tentava di risolvere quei complicati problemi di matematica che odiava tanto, e ogni volta il risultato che trovava era quello sbagliato. Ormai mancavano pochi giorni all’inizio della scuola, circa una settimana, e solo adesso capiva perché la mamma gli diceva sempre: -Non aspettare gli ultimi giorni per fare la lezione, altrimenti non avrai tempoMai delle parole erano state così vere e così insopportabili. Le vacanze servono per riposarsi e fare quello che ci pare, e non per studiare. Lui aveva seguito questa filosofia, anche se ora se ne pentiva un po’. Sbuffò e chiuse tutti i quaderni che aveva davanti, dicendosi la stessa frase che si era detto dall’inizio di Giugno. -Finirò domaniSpense le luci e si sdraiò sul letto e per qualche minuto osservò la parete davanti a sé. Il poster del suo gruppo preferito, i Metallica, era avvolto dall’oscurità. Quanto avrebbe voluto accendere lo stereo con uno dei loro cd e magari addormentarsi sulle note di una canzone. Forse così la notte non sarebbe sembrata più tanto orribile. Ma non lo fece. Preferì sprofondare nel letto cercando di addormentarsi. Lentamente chiuse le palpebre e si lasciò cullare dal dolce abbraccio della notte. Tra non mol-


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to si sarebbe svegliato in preda a un incubo, e non aveva senso rimandare. Prima si addormentava e prima l’agonia sarebbe finita. *** La mattina seguente era una mattina come tutte le altre. La luce passò attraverso la finestra e inondò la stanza di Tim, come un’onda in balia del vento. Lui si svegliò e, con molto dispiacere, scese dal letto. Fra poco sarebbe dovuto andare al parco per incontrare Piter e Lucy. Quel giorno inauguravano il nuovo parco divertimenti e loro non volevano perdersi un giro su quelle nuove giostre. Aveva sentito dire alla televisione che quello era il più grande parco divertimenti del mondo, con delle montagne russe alte come grattaceli e un’infinità di giostre diverse. Si stropicciò gli occhi e sbadigliò, e in un attimo la stanchezza che lo assillava sparì. -Tim- lo chiamò la mamma dalla cucina -Tim ricordati di mettere in ordine la stanza-Lo faccio dopo. Mi stanno aspettando al parco-Hai finito i compiti?Questa domanda non gli giunse affatto nuova. Oramai puntualmente, tutti i giorni, sentiva la mamma chiedergli se aveva finito i compiti, sebbene sapesse già la risposta. -No, mamma. Ho quasi finito, me ne sono rimasti pochi-Tutti gli anni è la stessa storia, devo sempre arrabbiarmi con te…- e qui la solita ramanzina, sempre più monotona. -Ho capito mamma. Appena torno ti prometto che li finiscoLa sveglia sul comodino segnava le 10,03. -Puoi andare, ma quando torni non inventarti scuse e finisci di studiare-Non preoccuparti- disse contento Tim -Appena torno li finiscoUscì dalla stanza e si precipitò al piano di sotto. Salutò la mamma che gli disse di non fare troppo tardi e andò via stando bene attento a non calpestare i fiori nel suo giardino. Iniziò a correre più veloce che poteva verso il parco. Il sole si stagliava alto nel cielo, lanciando i suoi raggi per tutto il quartiere, e le nuvole se ne rimanevano isolate e impotenti, sparse qua e là in quell’infinita distesa di celeste. Qualche uccello svolazzava sopra i fili della corrente e le foglie secche venivano trasportate via dal vento.


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La strada fu breve e Tim non ebbe difficoltà a raggiungere il parco. Lì trovò Piter, sdraiato sotto un albero a mangiare un gelato al cioccolato. Già da lontano poteva vedere le profonde buche sotto i suoi occhi e la pelle stranamente bianca. Vicino a lui c’era Lucy, anche lei incredibilmente stanca. Sembrava che non dormissero da giorni. -Allora, siete pronti?- disse Tim. Quella notte aveva dormito meglio del solito. Solo a mezzanotte si era svegliato in preda a un incubo di cui non si ricordava niente. Forse la paura insopportabile che lo opprimeva stava svanendo, almeno per lui. Lucy era la più spaventata, si vedeva dagli occhi, sempre spalancati a fissare verso il basso. -Si, andiamo. C’è già una fila lunghissima all’entrata- disse lei. Piter scorse in quelle parole una qualche nota di paura. Entrambi sentivano che stava per succedere qualcosa di terribile. E stavolta nessuna preghiera poteva salvarli. Si incamminarono in direzione del parco giochi, senza aprire bocca. Le cose da dire erano molte, e di ciascuna ne temevano le conseguenze. Volevano solo dimenticare, nient’altro. Perché i ricordi felici passano inosservati e quelli dolorosi non svaniscono mai? Quando giunsero al parco l’insegna lampeggiante con su scritto Funnydeath riuscì a strappargli almeno un sorriso. Un posto che rende divertente perfino la morte, così era scritto su tutti i manifesti pubblicitari del parco che tappezzavano la città. Purtroppo la fila che conduceva al distributore di biglietti era lunghissima, come a formare un’immensa freccia. Loro tre erano gli ultimi, dietro a più di mezza città e a centinaia di turisti venuti da ogni luogo solo per farsi un giro nel parco divertimenti più grande del mondo. Qualcuno scalciava e sbraitava nell’inutile tentativo di passare avanti ed accaparrarsi un biglietto. -Accidenti!- disse Piter, sbuffando. Non sarebbero mai riusciti ad entrare. -Possiamo anche tornarcene a casaAnche Tim era deluso -Domani verremo molto prima, all’alba, almeno saremo i primiDispiaciuti si allontanarono dalla fila. -Possiamo andare a casa mia, ho dei nuovi videogiochi- disse Lucy Che ne dite?Lei aveva paura di rimanere da sola. Non voleva assolutamente tornarsene a casa e aspettare che i suoi genitori venissero via dal lavoro. Gli


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bastava stare con i suoi amici, insieme a loro, quanto più tempo possibile. -Ok- rispose Piter, e Tim annuì. -Ci divertiremo lo stesso-Aspettate!- li interruppe Piter. Il suo sguardo si rivolse in un punto imprecisato del terreno, vicino ad un cespuglio. Si avvicinò per controllare meglio e, una volta accertatosi cosa fossero, si chinò per raccogliere ciò che aveva visto. -Sono i bigliettiTim e Lucy corsero da lui, increduli per quel colpo di fortuna. Tre biglietti per entrare a Funnydeath. -Non è possibile…- esclamò Tim. Lucy prese uno dei biglietti dalle mani di Piter e lo esaminò attentamente. Non sembrava uno scherzo. Quei biglietti erano veramente autentici, e qualche sfortunato li aveva persi. Chiunque fosse non doveva essere affatto contento in quel momento. -Accidenti! Che bello, entriamo subito- disse Piter, dando uno dei biglietti a Tim. Il ragazzo lo prese e appena toccò la delicata carta colorata con su scritto il nome del parco, si voltò a guardare il cespuglio dove Piter li aveva trovati. Un’ombra attraversò le foglie della pianta e svanì nel nulla. Sbatté gli occhi e tutto tornò come doveva essere, la luce, il calore, la felicità… Dopo pochi minuti giunsero all’ingresso del parco giochi, mostrarono i biglietti al guardiano e lui li lasciò entrare. *** Le giostre sembravano estendersi fino all’orizzonte e tuffarsi nel vuoto. Una distesa dorata ricopriva il cielo mattutino come un arcobaleno, rendendo quel posto ancora più magico. Non era un semplice parco giochi, bensì l’apoteosi di tutti i più sfrenati divertimenti. C’erano giochi che non avevano mai visto prima, e forse mai più rivedranno. Giochi grandi e piccoli, sparsi ovunque. Non sapevano da che parte guardare e ovunque si girassero traspariva chiara la felicità e il divertimento nei volti di ogni persona. C’era odore di zucchero e caramelle, dolci e gelati, mischiati in un ibrido di piacere. Tutto era talmente bello che il resto del mondo si riduceva a una chiazza sporca.


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*** PARCO GIOCHI, ore 11,31 La strada verso l’uscita era vicina, davanti a lui, ma nascosta da pareti di vetro. Tim andò a sbattere contro una di queste e fu costretto a cambiare direzione. Svoltò a destra e allungò le braccia in avanti, alla ricerca di un nuovo percorso. Prima di quanto si immaginasse riuscì ad uscire da quella stanza, e fu sorpreso nel vedere un’insegna lampeggiante con su scritto: uscita, posizionata alla fine di un altro labirinto. Senza timori si addentrò anche fra quelle spesse pareti trasparenti. Da lì poteva vedere i suoi amici che stavano per salire sopra le montagne russe. Erano in fila, ed aspettavano l’arrivo di una carrozza per partire. Se riusciva ad uscire da lì forse poteva raggiungerli e seguirli a bordo di un’altra carrozza. Però arrivare all’uscita non era una cosa affatto facile. -Stai sbagliando direzione-Chi è?- chiese Tim. Non conosceva quella voce, ma sembrava appartenere ad un adulto. Si voltò di scatto e vide un uomo dall’aspetto insolito: con lunghi capelli rossi e una folta barba che gli scendeva fin sotto il mento; i denti ingialliti e gli occhi blu. Indossava un’armatura di metallo, dove in corrispondenza del petto aveva inciso uno strano stemma raffigurante una spada e una lancia conficcati nel corpo di un mostro. -Mi chiamo Druum- disse immediatamente e poteva anche fermarsi lì, ma la sua bocca si aprì di nuovo e questa volta ne scaturirono parole più incredibili -Sono venuto da molto lontano per predirti la fine del mondoTim si voltò subito, convinto di aver incontrato un pazzo. -Cercherò di fare attenzione. Ciao- lo salutò e si allontanò velocemente da lui. -Aspetta! Non puoi andartene. La fine del mondo è vicina, più di quanto tu possa immaginarti. Tra dieci anni, a questa esatta ora, scoppierà l’Apocalisse-Vai a prendere in giro qualcun altro, non mi interessano queste sciocchezze-Il tuo destino è salvare il mondo. Vieni con me e ti mostrerò come fareTim decise di ignorarlo e di proseguire il percorso. Si allontanò, e quello strano uomo lo raggiunse con sorprendente velocità e lo afferrò per


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la giacca. Le sue mani fredde e rigide fecero vibrare il corpo di Tim. Sembravano fatte di ghiaccio. -Tu li hai visti, non è vero?La puzza dell’alito di Druum colpì il ragazzo, che iniziò a tossire. -Visto cosa?Druum strinse la presa e lo sollevò da terra, poi lo guardò con gli occhi di chi ha sofferto troppo, anche solo per poter pronunciare il loro nome. Allora si avvicinò all’orecchio sinistro di Tim, quello più vicino al Diavolo, e sussurrò piano… -… I demoni…Bastarono queste parole a far crollare l’intero muro di finzione che Tim si era costruito. Un sudore freddo gli scivolò lungo la schiena. Per dei secondi più lunghi di ogni altro rivide le ombre che sempre lo avevano perseguitato. Fin da piccolo, la prima macchia nera che gli passò davanti agli occhi e lo fece piangere per tutta la notte. Macchie più nere della notte, più buie della stanza chiusa di un bambino in culla. I mostri non esistono… i mostri non esistono… non esistono… Il cuore di Tim batté più forte, gli occhi divennero lucidi, sul punto di piangere. Sollevò un braccio e colpì il mento di Druum con un pugno. Si liberò dalla presa e iniziò a scappare, senza più badare agli specchi. I suoi respiri si facevano più affaticati passo dopo passo, e i ricordi di quella notte al castello tornarono ad assillarlo. Corse, col fiato stretto alla gola, sbattendo contro le pareti, pulendosi gli occhi dalle lacrime, cercando di sopprimere i ricordi. Una volta fuori da quella specie di labirinto prese un lungo respiro e controllò che l’uomo con l’armatura non l’avesse seguito. Non c’era più. Alzò gli occhi al cielo, forse alla ricerca di un dio disposto ad aiutarlo, e gli parve di scorgere una sagoma orrenda fra le nuvole. L’immagine del lupo a due teste che lo aveva attaccato nel castello. Sentì la saliva dell’animale scivolargli sulle ginocchia e percorrergli tutta la gamba, fino a cadere e a imprimersi nella terra sottostante. E, ancora, sentiva i battiti del suo cuore. Li sentiva chiaramente. Poteva danzare al loro ritmo… aumentavano, pompavano litri di sangue, gli facevano sobbalzare il petto. -Perché sei scappato così?- una nuvola purpurea apparve davanti a Tim e in poco tempo assunse le sembianze di Druum -Non è gentile tirare pugni agli sconosciuti-


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Tim era sbalordito, ma ora quello strano tipo non pareva più tanto pericoloso. Forse era solo l’effetto della luce a fare sembrare i suoi lineamenti più umani… -Chi sei?-Mi chiamo Druum. Te l’ho già dettoAscoltando la profondità della sua voce, Tim continuò a guardarlo senza sbattere ciglio. Era apparso davanti a lui sotto forma di nuvola e si era trasformato in un uomo. Ma per quanto uomo possa sembrare, un uomo non è capace di simili magie. -Non sono un mostro- disse Druum, immaginando già quello a cui il ragazzo stava pensando -Sono uno spirito. Un tempo ero un uomo, proprio come te, ma la mia anima non è mai cambiata-Perché mi hai detto dei mostri?Druum si avvicinò a Tim con aria amichevole e gli poggiò una mano sulla spalla. Un gesto d’amicizia, di conforto e di disperazione. -Saranno loro la causa della fine del mondo- pronunciò queste parole come se avesse già assistito alla fine del mondo. Le disse con voce malandata e con la piena certezza che da quel giorno all’Apocalisse ci sarebbe stato tanto da soffrire, e tanto da rimpiangere. Il ragazzo che più di ogni altro avrebbe sofferto guardò quell’insolito cavaliere, visibilmente impaurito per quella confessione, e ancora più spaventato per quella conferma di ciò che sempre aveva saputo. -E come finirà?-Né io né te possiamo concepire come sarà la fine. So solo che ogni cosa smetterà di essere ciò che è, la vita si tramuterà in morte, la luce in oscurità. E la causa di tutto questo sarà la malvagità. C’è un essere troppo maligno che turba l’equilibrio dell’intero universo-Di quale essere stai parlando?-Nessuno lo ha mai visto… nessuno che sia ancora vivo intendo. Si dice che il suo spirito risieda in un castello. Lo stesso castello che tu e altri due marmocchi avete imprudentemente visitato. Siete morti nel momenti stesso in cui siete entrati…Come faceva a sapere del castello? Non lo avevano raccontato a nessuno… C’era qualcosa di misterioso nel cavaliere, qualcosa che Tim non poteva comprendere. Ne intuiva la pericolosità. Sentiva la paura che avvolgeva le sue parole. Eppure decise di ascoltarlo, e di credergli.


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-Siamo sempre vivi. Il mostro non ci ha uccisi- disse Tim, assaporando un odore nuovo nell’aria. Un vento portatore di morte lo travolse e segnò l’inizio della fine. -Tu impedirai l’Apocalisse- gli disse Druum -Ma prima la Morte ti porterà via ogni amico. Cercherà di strapparti le speranze, di macchiarti l’anima. Non farti indebolire da ciò che sta per accaderePiter, è il tuo turno -Tim, i tuoi amici oggi moriranno. La loro carrozza uscirà dalla pista e si schianterà a terra. Il maschio morirà quasi subito e la femmina… a lei il destino ha riservato una sorte peggiore-Cosa stai dicendo?- intervenne Tim, preoccupato. Il tono distaccato e malinconico della voce del cavaliere faceva sembrare le sue parole più leggere di quello che invece erano. Nessun turbamento sul suo viso, nessuna paura… come se stesse parlando della cosa più comune del mondo. -La morte, sarà lei l’ultimo nemico che dovrai sconfiggereTim volse lo sguardo in alto, sulle montagne russe. La carrozza che ospitava Piter e Lucy era appena partita. Li vedeva sfrecciare sulla pista a una velocità inaudita, più veloci perfino delle altre carrozze. Ecco che montavano una salita, e, una volta in cima, giù, in picchiata, in una discesa incredibile. Avevano il vento fra i capelli, quasi non riuscivano a tenere gli occhi aperti. Si sentivano schiacciare contro i sedili. E la velocità aumentava e aumentava. Dalle ruote metalliche partì un cigolio acuto e una manciata di scintille del colore del fuoco colpirono Piter sul braccio sinistro. Il cigolio si intensificò, simile al lamento di un’anima disperata. Dietro la carrozza si diradò uno strato di polvere che esplose in una vampata improvvisa. -Eccola, sta arrivando…- disse Druum, rimanendo calmo e impassivo. Già altre volte l’aveva vista giungere e portare via persone ben più valorose di quei due marmocchi. Molti aveva visto morire di morti terribili, e questa che stava per sopraggiungere non era niente di terrificante, almeno per lui. Sono altre le morti che non si dimenticano… -Perché vanno così veloci?- la voce di Tim si affievolì. Le ultime parole cosparse di innocenza. Il ragazzo corse verso la giostra, oltrepassò le transenne e, da sotto i binari, gridò con tutta la voce i nomi dei suoi amici.


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Una piccola folla di persone si era ammassata ai lati della giostra. Due uomini della sicurezza bisbigliavano di un problema ai comandi, trasmettevano informazioni con un cellulare al direttore del parco. -Mi dispiace, ragazzo- bisbigliò Druum da lontano, senza che Tim lo sentisse. Moriranno… Solo questa parola echeggiava nel vento. La carrozza andava sempre più veloce e la pericolosa curva si avvicinava, inesorabile, e quella sarebbe stata l’ultima svolta per Piter e Lucy. Alcuni dicono che in presenza della morte tutti i ricordi ci passano davanti agli occhi, ci appaiono sempre più distanti e alla fine tutto diventa scuro, leggero, silenzioso. Per loro non fu così. Non sapevano ancora del pericolo, e, anche se sospettavano che qualcosa fosse andato storto, le loro menti non accettavano il pensiero di dover morire. Erano stati resi ciechi del pericolo, e questo avrebbe reso la loro fine ancora più orribile. -Fermate la giostra- gridò Tim. Moriranno… La mietitrice affilò la sua lama e capovolse la clessidra. Quando Piter e Lucy raggiunsero il massimo della velocità sopportabile, la carrozza stentò a rimanere sui binari. Per un attimo sembrò alzarsi e partire in volo, ma fece solo un breve salto e si rimise in pista. I ragazzi a bordo sobbalzarono e si strinsero alle maniglie davanti a loro. La curva era lì. La vedevano, la vedeva Tim e la vedeva tutta la folla. Cosa sarebbe successo non lo vedeva nessuno (o quasi…). -Fermatela!E la carrozza uscì di pista…


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CAPITOLO 3 STORIE DI DEMONI

Tim si svegliò. Era di nuovo in camera sua. Uscì da sotto le coperte e scese dal letto. Una nausea terribile lo costrinse a sedersi e a nascondersi la faccia tra le mani. Si sentiva la fronte bagnata dal sudore e i capelli arruffati. Residui di un incubo aleggiavano intorno a lui. Sogni o ricordi, ma forse non erano né l’uno né l’altro. Immagini dettagliate gli passavano davanti agli occhi… … vedeva il parco giochi, l’uomo con l’armatura, i suoi amici. Le parole di una profezia sulla fine del mondo avvolgevano ogni suo pensiero. A tratti le immagini si scurivano, si tingevano di tonalità raccapriccianti e si spegnevano. I mostri… il cavaliere gliene aveva parlato. Anche lui sapeva che esistevano. Si concentrò meglio per decifrare l’ultima scena. Una premonizione anche quella. Riusciva solo a sentire le grida, a percepire la paura. Una lampada che si accende e si spegne in una stanza buia. Le ultime immagini che poté vedere furono fotografie di una giostra. Piter e Lucy che salivano su una piccola carrozza. La carrozza in prossimità di una discesa. La folla che si radunava intorno alle montagne russe. Una foto scattata male, completamente nera, come se in un certo momento il mondo si fosse spento. E infine la carrozza che usciva dai binari, contornata da uno sfondo rosso. Una mano invisibile gli strinse il cuore. Respirò nello stesso modo che respira un uomo poco prima di affogare. L’oceano che cercava di sommergerlo era quello in cui aveva sempre vissuto. Non riusciva più a stare a galla. La barca che lo trasportava si era infranta contro gli scogli, e, ora, le onde erano altissime. Quei piccoli pesciolini rossi, così carini e indifesi, si erano trasformati in squali affamati. E la riva era lontana. Non capiva ciò che stava accadendo. Sapeva solo di aver visto i suoi amici morire. Probabilmente si trattava solo di un sogno. Un brutto sogno. In ogni modo sapeva di doverli avvertire, di dirgli di fare attenzione. E doveva sbrigarsi. Il tempo non era più affidabile come una volta.


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Rivivendo quell’incubo si precipitò al parco dove dovevano incontrarsi. Una volta arrivato non vide nessuno. Non c’era Piter che mangiava il gelato al cioccolato, e nemmeno Lucy. Si guardò ripetutamente intorno, alla loro ricerca, e, da nessuna parte, riuscì a intravederli. Si sarebbe accontentato anche solo di scorgere una minuscola parte della loro ombra, almeno per essere certo che stessero bene. Continuò a cercarli, chiedendosi perché non erano lì ad aspettarlo. Li chiamò per nome e la sua voce fu interrotta da un suono acuto. Una sirena. Proveniva dalla strada vicina. Si voltò di scatto e vide un’ambulanza sfrecciare in direzione del parco giochi. La seguì… *** -Qui non si entra- disse un poliziotto, bloccando l’entrata a Tim. Transenne e auto della polizia erano dappertutto. Uomini in cravatta e camicia, dalla pettinatura perfetta, e donne eleganti, truccate in ogni più piccola parte della faccia, riprendevano tutta la scena con delle grandi telecamere. Qualcun altro, forse dei giornalisti, giravano tra la folla in cerca di un’intervista, con un microfono in mano, facendo domande su domande a chiunque gli si trovasse davanti. È paradossale quanto la gente tema la morte e poi vi sguazzi intorno senza paura. -Cosa è successo?- chiese Tim, e, dalla sua voce, sembrava sapere già la risposta. Il poliziotto fece allontanare la folla che si stava formando lì intorno, dicendo a tutti che non potevano avvicinarsi. -C’è stato un incidente- fu la sua risposta secca -Ci sono dei feritiUn’altra immagine passò davanti agli occhi di Tim, veloce come un treno. Quello che la sua mente né riuscì a vedere fu un ammasso sfuocato di colori. Pensieri confusi gli vibrarono nel corpo. Moriranno… Si, quella scena l’aveva già vista… Impallidì nel pensare alla morte degli amici. Una morte che, presto o tardi, avrebbe ricevuto anche lui. -Devi allontanarti, ragazzo- lo richiamò il poliziotto, e i suoi folti baffo ondeggiarono sopra quelle parole. C’era molta confusione, e grida e lamenti e bisbigli erano un tutt’uno. I curiosi aumentavano, attirati dall’odore della malasorte, e la folla si ingrandiva a dismisura. Era impossibile muoversi.


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Tim provò a superare il poliziotto per correre dai suoi amici, ma lui lo fermò e gli impedì di entrare. -Sei pazzo? Cos’hai per la testa?- gli urlò lui. Il distintivo che portava sul petto abbagliò Tim. -Se ci provi un’altra volta sarò costretto ad arrestarti-Lì ci sono i miei amici. Non riuscirete a salvarli!- disse Tim, sbirciando oltre la sagoma del poliziotto, nel tentativo di riuscire a vedere qualcosa. -Una carrozza è uscita di pista non è vero?Il poliziotto abbassò lentamente lo sguardo su di Tim. -Si… Ma tu come fai a saperlo?*** NECROLOGIO Vieni da me Piter scappò. Si trovava al buio, in un’infinita distesa oscura che si apriva in ogni direzione. Non vedeva dove stava andando. Si sentiva cieco. Quell’oscurità lo schiacciava, lo stringeva, e lui non poteva opporsi. L’unico rumore che sentiva era quello di una voce che proveniva da ogni punto di quel luogo. Nemmeno i passi che faceva sembravano provocare alcun suono. Riusciva a pensare, ma non ad ascoltare i pensieri. Non aveva freddo, né caldo, non sentiva più nemmeno di avere un corpo, sebbene credesse di muoverlo. Niente all’infuori di quella voce appariva concreto. Piter J. Hope, anni quattordici, residente nella mia città preferita, muore oggi schiacciato da un veicolo metallico a Funnydeath. Testa spaccata, 8 costole spezzate, braccio sinistro rotto, entrambe le gambe troncate e spina dorsale distrutta. Piacere di conoscerti, lascia che mi presenti… io sono la Signora Nera, ma puoi chiamarmi benissimo Mietitrice, o Morte, lascio a te decidere. Qui sei nel regno dove le anime vengono decapitate, e io sarò ben felice di farlo. Purtroppo però devo concederti un ultimo desiderio. Più precisamente una conoscenza. Ti svelerò qualsiasi cosa vorrai sapere.... il senso della vita, il perché della morte, se esiste davvero un dio, insomma le solite curiosità umane. A già, dimenticavo… non puoi parlare. Vorrà dire che capirò da solo cosa vuoi sapere. Allora… del senso della vita e del perché della morte non ti frega un cazzo… non credi in nessun dio, questo potrebbe pesare


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molto più di quanto pensi sul tuo giudizio. Al destino dell’umanità sei interessato, è una buona cosa, ma c’è qualcosa di più importante che ti preme sapere, giusto? E così sia… La tua amica è ancora viva, ma sta molto male e presto prenderà il tuo posto in mia presenza. Spero che ciò ti rallegri, ora sei pronto a morire definitivamente? E lo baciò. *** OSPEDALE Lucy dormiva su di un letto bianco, con le gambe ingessate. L’ingessatura era fresca, doveva ancora finire di seccare, e non appena la ragazza si fosse svegliata si sarebbe trovata in preda al dolore. Era sorprendete come fosse riuscita a sopravvivere a una caduta simile, con le sole gambe rotte, mentre il ragazzo seduto accanto a lei non aveva avuto vie di scampo. Lei sanguinava quando fu tirata fuori dai detriti della carrozza. Si era ferita alla testa. Un piccolo taglio poco sopra la fronte. I medici dicevano che era in coma, e inizialmente non si sbagliavano. Di quel sonno mortale, al suo risveglio, si ricordava solo dell’oscurità, e della piccola luce che ha seguito per uscirne. Ora stava riposando, tenuta sotto controllo con dei tranquillanti. Nessuno glielo aveva detto chiaramente, ma sapeva che Piter era morto. Piangeva. Con gli occhi chiusi, sprofondati nei sogni. Piangeva per il pensiero di aver visto morire Piter. Le lacrime scendevano lente, poche gocce, sulle guance di Lucy. Il sole brillava da fuori la finestra. E lei sognava. Non sono in grado di descrivere cosa con precisione… vedeva delle macchie dense, rosse come il sangue, che si mischiavano a colori più scuri, neri, in una grande spirale. Lei la percorreva e la osservava, cercando di trovarne una fine. Quando si svegliò rimase ammutolita e pianse. Già altre volte aveva pianto, ma stavolta nessuna lacrima l’avrebbe confortata. Non poteva mandar via il ricordo insieme alle lacrime. Non poteva lavare le colpe col pianto. Non poteva fare altro che osservare la sua anima che lentamente diventava nera. Vicino al letto su cui giaceva c’era un piccolo tavolo con sopra il pranzo. Una fetta di pane e un pezzo di carne ricoperto di patate. La ragazza allungò il braccio dolorante verso il piatto. Afferrò il coltello per taglia-


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re la carne e se lo portò in grembo. Lo tenne lì come fosse un bambino e lei la madre. Non lo guardò mai. Il suo sguardo era disperso nei ricordi. Il castello… tutto era cominciato da quella sera. Tu volevi entrare nel castello… tu hai chiesto a Piter di venire con te… tu lo hai ucciso… Si portò la lama del coltello contro il polso. Sentì il metallo premergli le vene. Pianse ancora, non per quel dolore che si stava infliggendo, e il petto gli sobbalzò. -Perdonatemi…Fece scorrere la lama sul polso. Uno schizzo di sangue caldo la colpì sul collo e sulle labbra. Ora non aveva più niente da temere da quel mondo. Era finita… e, da un lato, ne era felice. *** Erano le 20,15 e Tim era in camera sua, sdraiato sul letto a osservare il soffitto. In una mano teneva un telecomando, puntato dritto verso il televisore. Era acceso, ma lui non lo stava guardando. Da quasi tre giorni non facevano altro che parlare dell’incidente al parco giochi, e su tutti i canali continuavano a trasmettere le foto di Piter e Lucy, a descrivere la loro breve vita, e così via… Un incidente. Questo è quello che hanno detto su ciò che è accaduto. La giostra aveva subito un guasto, non rispondeva più ai comandi, e tutto finiva lì. I suoi due amici erano morti. Quello non era stato un incidente. Neppure il suicidio di Lucy. Qualcuno aveva voluto la loro morte, e questo Tim lo sapeva. E chiunque fosse, il colpevole, sarebbe tornato anche per lui. Il male si nasconde sotto innumerevoli forme, in ogni luogo e in ogni tempo, perfino in quella stanza. Poteva sbucare fuori da sotto il letto, da dentro l’armadio, dalla finestra. Poteva succedere subito, il giorno dopo, o fra un anno. Ma quando e dove non aveva importanza. Sapeva che sarebbe accaduto e ciò bastava. Spense il televisore e si lasciò scivolare il telecomando fra le dita. Non aveva sonno. Non voleva dormire. Non voleva spegnere la luce. Non voleva chiudere gli occhi. Non era pronto per avere un altro di quegli incubi. Forse avrebbe visto la sua morte stavolta, o quella di una persona a cui teneva molto. Preferiva non sapere.


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Si affacciò alla finestra e una lieve brezza gli accarezzò il volto. Le strade erano deserte e il bagliore dei lampioni non gli era mai apparso così oscuro. C’era aria di morte. Tutto era calmo e il silenzio sovrastava ogni cosa. Una pace surreale, una finzione. Portò il suo sguardo sulla collina e vide il castello, e lui sembrò ricambiare il suo sguardo. Si sentì un insignificante insetto intrappolato nella tela di un ragno famelico. Più provava e muoversi per liberarsi e più che ne veniva avvolto. Stava soffocando, e, intanto, il ragno si avvicinava. -C’è il sacro terrore della morte, ma la morte è un fatto naturale, credo che la morte sia un’amica dell’uomo, perché mette fine a quel grande dolore che è la vitaTim riconobbe subito il tono della voce. Era l’ultimo suono che aveva sentito prima di vedere la morte di Piter. Non si aspettava di risentire quella voce macabra, capace solo di preannunciare morte. Sperava di non doverla mai più ascoltare… Si voltò lentamente e vide il cavaliere del sogno seduto sul suo letto. -È una bella frase, non trovi? È di un poeta di questo mondo-Non leggo poesie- esaminò la durezza dei tratti del cavaliere. Le rughe profonde, la pelle abbronzata dal sole, i capelli lunghi ammassati dalla sporcizia. Non ne aveva paura, solo un vago timore per ciò che poteva dire. -Dovresti cominciare. Poche parole possono far capire molte cose, se lette nel modo giusto-C’è un modo giusto anche per spiegare il sogno dove ci siamo incontrati la prima volta?-Chiamarlo sogno non è appropriato… comunque si, c’è un modo giusto per spiegare quello che hai visto. È stato un privilegio. Sbirciare nel futuro non è cosa per tutti-È un futuro orribile-Dici così perché non conosci il passato e non vedi il presente…Tim si voltò per l’ennesima volta verso il castello sulla collina. Lo stava chiamando… lo sentiva. Presto avrebbe bussato di nuovo alla sua porta. -Ti ho lasciato riflettere. Ora devi darmi una risposta. Vuoi diventare colui che salverà l’esistenza in tutto l’universo? O preferisci aspettare in questa stanza il giorno in cui saremo giudicati?La sua vita era cambiata. Paura e oscurità ingombravano i suoi pensieri, e l’idea di poter combattere era l’unico spiraglio di luce capace di scal-


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fire le tenebre. Così pronunciò le parole che l’intero universo stava aspettando di sentire. -Ti aiuteròDruum accennò un sorriso, probabilmente il primo dopo molto tempo. -Ottima decisione, ragazzo…-Ma prima devi dirmi una cosa- lo interruppe Tim. Vicino a lui c’era una foto scattata la scorsa estate. Lui, Piter e Lucy, che festeggiavano insieme l’inizio delle vacanze. Seduti su una panchina del parco a bere lattine di aranciata e coca cola. Era passato poco più di un anno da allora, e sembrava che quel momento appartenesse solo a un paio di giorni fa. -Perché sono morti? Perché non sono riuscito a salvarli?-Non è lecito giocare col tempo… è lui che gioca con noi. Che decide quando farci sbirciare nel futuro o ricadere nel passato. Quel viaggio che hai fatto non è stato voluto da me. Io ti ho seguito e basta. È il tempo stesso che decide a chi concedersi. E quando parti per un viaggio nel futuro, la realtà da cui sei partito accelera la sua normale velocità… al ritorno da un viaggio, quello che hai visto si è già avveratoCi fu silenzio. Una calma mortale li avvolse. Druum, stanco, si sedette sul bordo del letto e Tim fece lo stesso. Si scambiarono pensieri e occhiate ricolme di domande. Ognuno voleva capire meglio l’altro. -Dimmi tutto quello che sai- disse Tim, mai prima d’ora così deciso a parlare della paura. -Sai bene che quella che vuoi che ti racconti è una storia dolorosa. Sei disposto ad ascoltarla?-Si, sono pronto- rispose Tim. -Allora cominciamo…Druum chiuse le palpebre e si assopì, come per ricercare meglio i ricordi nascosti nella mente. Non aveva mai raccontato a nessuno quella storia. Una storia tanto vecchia e spaventosa da essere stata dimenticata da molti… ma non da lui. Le sue labbra iniziarono a muoversi, scandendo i rintocchi del tempo, e Tim si preparò a ricevere la prima verità. *** C’era un tempo, centinaia di anni addietro, in cui non esistevano demoni o mostri da combattere, e l’unica guerra era quella intrapresa contro le malattie. La popolazione diminuiva rapidamente a causa delle morti premature e i virus diffusi nell’atmosfera rendevano le donne sterili. Ogni mese nasceva in media un bambino e ne morivano dieci. Il


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più delle volte, il nuovo nato, riportava qualche strana malformazione: un occhio o un braccio in più, malformazioni celebrali, e veniva soppresso. Di dottori ce ne erano sempre meno e di malati sempre di più. Le epidemie si moltiplicavano. Quella più nociva si identificava con il nome “KILLER 01”. Chi veniva infettato da lei non resisteva abbastanza a lungo per raccontarlo. Dopo la prima ora dal contagio tutti i sensi si affievolivano; alla seconda ora le forze diminuivano a tal punto da rendere impossibile tenere gli occhi aperti. E quando gli occhi si chiudono, lo stesso fanno le speranze. Sapevi ce alla terza ora saresti morto, con il sangue accondensato e il cervello spaccato in due. La gente impazziva, incapace di compiere anche l’azione più semplice. Aprire una finestra? No, troppo rischioso. Il vento porta con se le malattie. La cosa migliore era chiudersi in casa e sigillare ogni fessura sulle pareti. Mangiare? Non si poteva mangiare. Il cibo era avvelenato, compresa l’acqua. La vita stessa si era avvelenata. Si preferiva morire di fame e di sete, piuttosto che essere torturati e stroncai da quegli antigeni umani. Alcuni mangiavano le proprie feci, non solo i più disperati. Ma ben presto la voglia di continuare a vivere, di sperare in un nuovo inizio, fu gettata via. Ci si iniziò ad uccidere a vicenda. I suicidi divennero una normalità… un colpo al cuore o alla tempia, e le paure finivano. Alle malattie non esisteva una cura, sebbene gli scienziati avessero provato di tutto per scoprirla. Erano dei virus perfetti, di una complessità immensa. Perfino studiarli era pericoloso. Un medico, Jon Heat, giunse ad una grande scoperta mentre esaminava la composizione di un frammento di KILLER 01, rinvenuto da uno dei tanti corpi mutilati riversi nelle strade. Ciò che porto alla luce fu talmente sconvolgente che il giorno dopo fu ritrovato morto nel suo studio. Impiccato ad una delle travi che sorreggevano il soffitto. Dissero che si trattava di suicidio. In realtà fu ammazzato. Ammazzato perché aveva scoperta qualcosa che non doveva essere rivelato… la vera natura del virus. La causa di tutto ciò era di un uomo. I virus erano stati creati da un uomo. La notizia non si diffuse. Se tutta la popolazione avesse saputo che il responsabile era un uomo, uno di loro, un essere mortale, come avrebbero reagito? ...CONTINUA...


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