Associazione Servizi Culturali promuove l'iniziativa "Un aiuto a colpi di penna" Chi siamo
Leggi, vota, VINCI!
Acquista online
Scambia i tuoi libri
Pubblica un libro
Pubblica un racconto
Gruppi di Incontro
.
"Il soglio infangato"
di Paolo Maria Mariotti Titolo: IL SOGLIO INFANGATO Autore: Paolo Maria Mariotti Genere: Thriller Editore: Zerounoundici Edizioni Collana: Gli Inediti PASSAPAROLA! Pagine: 112 Prezzo: 11,60 euro Acquista su Il Giralibro (-15%) Acquista su IBS
Scrivi un commento (Clicca sul link e vai in fondo alla pagina) Le recensioni del Gruppo di Lettura
Vuoi ricevere questo libro in versione stampata, gratuitamente a casa tua?
Guarda se è disponibile nella sezione SCAMBIO-IT del nostro catalogo: potrai riceverlo gratis in cambio di un tuo libro usato (vedi regolamento).
PRODOTTO COPERTO DA COPYRIGHT Questo libro è stato regolarmente pubblicato ed è disponibile in libreria e nelle maggiori librerie online
Dello stesso autore: Vedi elenco su IBS
Pubblicati nella stessa collana Tutti i libri pubblicati da 0111edizioni
ALTRE LETTURE ONLINE:
LIBRI DISPONIBILI PER LO SCAMBIO: (vedi regolamento)
Avventura Bambini Fantascienza
Fantasy
Gialli Horror noir
Narrativa Avventura
Narrativa
Bambini
Ragazzi
Fantascienza
Sentimentale
Fantasy
Thriller mystery
Gialli
Poesia
Horror noir
Altri generi
Ragazzi Sentimentale Thriller mystery Poesia Altri generi Racconti brevi
PAOLO MARIA MARIOTTI
IL SOGLIO INFANGATO
www.0111edizioni.com
www.0111edizioni.com www.ilgiralibro.com
IL SOGLIO INFANGATO 2008 Zerounoundici Edizioni Copyright © 2008 Paolo Maria Mariotti ISBN 978-88-6307-153-5 Finito di stampare nel mese di Dicembre 2008 da Meloprint – Il Melograno Cassina Nuova - Milano
Milano-Perugia, gennaio 2007 – Aprile 2008
Nota dell’autore Fare ricerche, studiare, indagare su un fatto di tale portata, fare errori, tornare indietro e ricominciare daccapo: tutto ciò ha costituito un’esperienza meravigliosa, sempre stimolante, a volte sorprendente, molto impegnativa, anche se mi dispiace un po’ che sia terminata. I nomi sono cambiati, come cambiato è il tempo dell’accadimento dei fatti ma, chi ha buona memoria saprà sommare due più due e trarre le sue inevitabili conclusioni. Compaiono, invece, molti nomi di società esistite o ancora esistenti, la maggior parte delle quali è inserita in situazioni che difficilmente vengono menzionate nelle cronache ufficiali o nei bilanci di fine anno. La verità è che si tratta di un romanzo e le cose che vi accadono sono frutto della fantasia dell’autore. Per quanto a molti di voi ciò possa risultare ovvio, altri penseranno che ciò sia sufficiente per intraprendere azioni legali. Perciò ribadisco: Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente casuale. Ora è tutto in mano tua, caro lettore, e mi auguro che la lettura di questo libro sia piacevole come lo è stato per me scriverlo. Il romanzo si basa sulle ricerche effettuate dal giornalista David Yallop e trascritte nel libro “In Nome di Dio” dello stesso ed edito da Tullio Pironti Editore
Tutti i diritti letterari di quest’opera sono di esclusiva proprietà dell’autore.
In memoria dei miei genitori
Quo non mortalia pectora cogis, sacra auri fames. Virgilio, Eneide III, 57
Non abbiamo beni temporali da scambiare, nÊ interessi economici da discutere. Le nostre possibilità d’intervento sono limitate e di carattere speciale. Esse non interferiscono negli affari puramente temporali, tecnici e politici che sono problemi dei vostri governi. Giovanni Paolo I
Il soglio infangato
11
CAPITOLO PRIMO Entrò quindi Gesù nel Tempio, e ne scacciò tutti quelli che vendevano e compravano nel Tempio, e rovesciò i tavoli dei cambiamonete, e i seggi dei venditori di colombe, dicendo loro: “Sta scritto: La casa mia sarà chiamata casa di preghiera; ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri”. Matteo 21/12-13
<Maledetto telefono> pensai, infastidito dal continuo trillo infernale. <Proprio ora cominci a farti sentire, dopo diciotto mesi di silenzio assoluto>. Era il GPRS (General Packet Radio Service) speciale che mi avevano fornito quando avevo accettato di diventare il direttore della speciale Task Force che avrebbe dovuto occuparsi di terroristi e dittatori in generale. L’AGAINST EVERY TERRORISM (A.E.T.) era stato fortemente voluto da quelle nazioni, fra cui l’Italia, le quali, grazie al sacrificio della giovane vita di Annamaria Accorsi e alla mia cocciutaggine nel voler assolutamente vendicare questa e altre morti dolorose, si erano liberate per sempre di una potente organizzazione dedita allo smercio della droga su scala mondiale. Tutte queste nazioni avevano contribuito alla formazione di una forza di pronto intervento, formata dal fior fiore di militari di carriera, poliziotti e civili laureati in medicina, chimica e fisica. Dotata di mezzi propri, l’A.E.T. era in grado di intervenire in qualsiasi momento in ogni parte del mondo ove fosse necessaria la sua presenza per ristabilire la pace o per combattere i terroristi. In un primo momento si era pensato che ad assumerne il comando sarebbe stato un militare di carriera, ma questa soluzione era destinata ad abortire fin dal principio perché trovava un’infinità di ostacoli, tipo: di che nazione sarà questo generale? Un irlandese obbedirà ad un generale inglese? Un indiano prenderà ordini da un pakistano? Tutte domande che lasciavano interdetti e alla fine si è pensato di affidare questa creatura all’artefice della caduta dell’organizzazione denominata OLIMPO, ovvero al sottoscritto. Che non era un militare, che non sempre andava d’accordo con tutti e che non sempre sapeva mettere d’accordo tutti. La base operativa venne stabilita a Roma in un hangar “dismesso” dell’aeroporto di Ciampino, dove stazio-
12
Paolo Maria Mariotti
navano un Convertiplano BELL BOEING MV-22 OSPREY, in grado di trasportare ovunque un gruppo di ventiquattro uomini per il pronto intervento in situazioni di crisi; un elicottero per gli spostamenti brevi di tre quattro persone UH – 1N HUEY, un elicottero da trasporto truppe (fino a 55 uomini) Sikorsky CH53E “SUPER STALLION”, tutti pronti a decollare entro cinque minuti dall’allarme, tutti di colore chiaro per poterli confondere con i mezzi civili, senza contrassegni particolari, e vari altri mezzi da trasporto su ruote. Più un GULFSTREAM V/550 per coprire distanze superiori ai 12.000 km. Gli uomini erano dotati di un armamento Nato standard, ovvero una pistola mitragliatrice HECKLER & KOCH MP-5N (Machine Pistol-5Navy) con caricatori da 30 colpi da 9 mm, del peso di 3.4 kg, dotata di un attacco per una torcia elettrica e di un silenziatore che la porta da una lunghezza di 66 cm a circa 90 cm e dotata di un sistema di puntamento notturno denominato PAC-4C.; una pistola BERETTA M9/92F cal. 9 mm. con caricatore di 15 colpi e del peso a pieno carico di kg. 1,16; granate antisommossa M7A3CS del peso di 0,44 kg. caricate ciascuna con un miscuglio di gas lacrimogeno (CS) e un reagente incendiario che aiuta ad atomizzare e spargere il gas: ingerito o inalato rende la vittima incapace di reagire; missili terra-aria HUGHES MIM-92 STINGER, per difendersi da assalti dal cielo e occhiali per la visione notturna AN/PVS-7B. La massima autorità politica cui l’A.E.T. doveva rispondere del proprio operato, in accordo preventivo fra i vari governi, era il Presidente degli Stati Uniti, John R. Reynolds. Ed era proprio lui che stava chiamando in quel momento. Immaginai. O se non lui, qualche suo tirapiedi… “Hellò, dottor Biavati?” disse una voce dall’accento marcatamente straniero. “Si!? Biavati. Con chi parlo?” “Passi in posizione scrambler…1…2…3” ordinò la voce. “OK. Fatto! Con chi parlo?” ripetei. “Sono il generale Evans. Le passo il Presidente Reynolds…” “Dottor Biavati, che ore sono adesso, a Roma?” chiese l’uomo più potente del mondo, venendo subito al sodo e saltando i convenevoli. Guardai l’orologio. “Le 22.30 del 28 Settembre, signore!” risposi anche se mi sarebbe piaciuto chiedergli se il suo orologio fosse a riparare. “Ascolti bene…” disse in un italiano appena passabile “ il Papa è morto circa un’ora fa! Esattamente alle 21.29…”
Il soglio infangato
13
“Ma… ma come è possibile?” lo interruppi “non si è saputo ancora nulla…” “E non si saprà nulla, almeno fino a domani mattina!” disse il Presidente con voce triste. Aspettavo in silenzio. “Lei sa che il Santo Padre ed io eravamo ottimi amici e…” si fermò un attimo, forse per trovare le parole giuste “…e questa morte così improvvisa non mi convince affatto. Specialmente dopo aver parlato con lui alle 21.00 esatte e dalla sua voce mi sembrava stesse benissimo.” Ero ancora in attesa. “Voglio che lei e il suo gruppo facciate luce su questa vicenda…” e quasi prevenendo le mie domande, continuò: “Lo so che non sarà facile, ma lei deve intervenire tempestivamente e anticipare le mosse dei cardinali della Curia Romana, che cercheranno in tutte le maniere di ostacolare questa indagine. Non perda assolutamente tempo. Già in questo preciso istante ad attenderla all’entrata ovest del Vaticano c’è il segretario particolare di Sua Santità, monsignor Lucidi, accompagnato da un tenente delle Guardie Svizzere. Penseranno loro a farla arrivare alle stanze private del Papa. Porti con lei tutti gli specialisti di cui dispone: chimici, medici, e il patologo per l’autopsia. Ma, mi raccomando, nessuno deve sapere che noi sappiamo. E’ chiaro?” “Certamente, signore…” risposi tra l’allibito e l’ebete. Ancora non mi era niente chiaro. Mi sembrava uno scherzo di pessimo gusto. Io amavo quel Papa. “Mi tenga informato!”disse e chiuse la comunicazione. Il segnale di libero mi riscosse dal torpore, ma la mia faccia doveva essere devastata, tanto da indurre mia moglie a farmi un sacco di domande a cui non potevo rispondere. “Beppe!? Sei stravolto! Chi era? Che cosa è successo?” “Niente, amore mio! Non è successo niente, ma devo andare. Non so a che ora tornerò quindi non mi aspettare alzata. Ti telefonerò appena posso!” risposi ancora mezzo inebetito. “Come? Come?” rispose allibita. “E’ una cosa così grave?” Non risposi. Stavo già correndo per le scale con il telefono incollato all’orecchio per chiamare il personale che mi sarei portato dietro. L’ispettore Chiarini della Polizia Scientifica, il professor Bartoloni, l’anatomopatologo, il Capitano di corvetta della marina USA John Coltrane e il Tenente di vascello della marina USA, un SEAL, Syd Parker, che
14
Paolo Maria Mariotti
avrebbero fatto da guardie del corpo. Ma volevo con me anche Antonio Bernetti. “Pronto, Antonio?” lo chiamai a casa. “Beppe?! E’ una vita che non ti sento. Come stai?” “Dove sei, Antonio?” risposi serio. “Dove vuoi che sia? A Roma con i ragazzi e mia sorella!” “Ah, bene! Ho bisogno di te. Adesso. Subito! Quanto ci metti ad arrivare da casa all’entrata ovest della Città del Vaticano?” “Ma come? Adesso?! I miei figli…” “C’è tua sorella, Antonio. Non prendermi in giro. Quanto ci metti, allora?” dissi duro. “Mah, a quest’ora, con poco traffico, meno di dieci minuti.” “Molto bene! Ti aspetto tra dieci minuti. Sbrigati!” Interruppi la comunicazione per non dargli tempo di ripensarci e di chiedermi delle spiegazioni. In effetti dopo appena dieci minuti eravamo tutti lì, al cancello dell’entrata ovest della Città del Vaticano. Stavamo guardandoci l’un l’altro come dei cospiratori. D’altronde che cosa ci potevamo aspettare? Il segretario particolare di Sua Santità, monsignor Lucidi era proprio lì in compagnia di un tenente delle Guardie Svizzere, un atletico sacramentone di almeno un metro e ottantacinque del peso approssimativo di circa 80 chilogrammi. Proprio come aveva detto il presidente Reynolds. La mente a volte divaga. Io stavo pensando come si faceva a riconoscere il grado sulla divisa dello svizzero, quella divisa a righe multicolori che era stata disegnata addirittura dal grande Michelangelo. Come le giubbe rosse della Guardia Reale inglese, erano anacronismi di un’era passata nella quale allora aveva senso che il soldato vestisse uniformi colorate, mentre oggi venivano mantenute più per la loro attrattiva sui turisti che per ragioni pratiche. “Dottor Biavati?” era monsignor Lucidi “…penso che il tenente Hoffmann abbia qualcosa da riferirle!” e spostò il suo sguardo velato dal dolore sul giovanottone, come per invitarlo a parlare. “Si, tenente. Dica pure…” dissi gentilmente. “Erano circa le 20.55” prese a dire il giovanottone con accento leggermente teutonico! “Stavo facendo un giro di controllo, normale routine, quando mi sono trovato davanti il vescovo Peter Martins. Mi sono chiesto cosa facesse a quell’ora in Vaticano il presidente della Banca Vaticana che tra
Il soglio infangato
15
l’altro vive in via della Nocetta, a Roma e che è sempre puntuale nella sua uscita alle ore 18.00, cascasse il mondo. L’ho salutato, ma lui mi ha guardato con occhi vuoti, come se non mi vedesse affatto e non ha risposto al saluto. Era come smarrito…” “Ho capito! Adesso lei non si muove da qui! La lascio in compagnia del comandante Coltrane e, mi raccomando, che nessuno entri! Solo dietro mio ordine.” Guardai Coltrane. Bastò solo un cenno. Poi presi a camminare per uno scalone con monsignor Lucidi che nel frattempo stava ragguagliandoci sulla situazione. Antonio, con il quale non avevo avuto ancora occasione di parlare, rimase a bocca aperta. “E’ morto? Chi è morto?” riuscì appena a balbettare. “Il problema… dottor Biavati…” disse il prelato con voce rotta dal dolore “è che sono fermamente convinto che non si tratti di una morte naturale!” <Un assassinio!? Ma via, siamo in Vaticano…> <Già! Perché no?> “Chi ne è a conoscenza, oltre noi?” chiesi con fare sbrigativo. “Suor Valentina…” rispose prontamente “…anzi è stata proprio lei a trovarlo… morto! Come tutte le sere, Giovanni XXIV si è ritirato nelle sue stanze alle 20.50 e, come tutte le sere, suor Valentina gli ha portato una tisana che ha lasciato sul tavolo dello studio. Poi, come sempre, ha bussato alla porta della camera per augurare la buona notte a Sua Santità, ricordandogli di bere la tisana prima che si raffreddasse. E come al solito lui ha ringraziato. Alle 21.27, suor Valentina è dovuta ritornare nello studio per prendere certi abiti da lavare e si è accorta che la tazza, con la tisana ormai fredda, era intatta. A questo punto ha bussato nuovamente alla porta varie volte, ma, non ricevendo alcuna risposta si è fatta coraggio, timidamente ha aperto l’uscio e ha trovato Sua Santità disteso sul letto ancora vestito, con gli occhiali indosso e alcuni fogli stretti tra le mani e altri sparsi in terra e sul letto. La testa era reclinata a destra e le labbra dischiuse mostravano i denti. Ripresasi dallo spavento, suor Valentina è corsa a chiamare sia me che padre Mc Donald, l’altro segretario del Santo Padre, che ha subito telefonato al presidente degli Stati Uniti informandolo di quanto era accaduto.” “Mmm…” mormorai non sapendo che pesci prendere al momento. “Ho capito…, ma noi che cosa possiamo fare? Mi risulta che lo Stato del Vaticano ha delle leggi che non si possono derogare…”
16
Paolo Maria Mariotti
“E’ vero, dottore!” intervenne padre Mc Donald. “Ma proprio per questo motivo vogliamo essere sicuri che la morte di Sua Santità sia sopravvenuta per cause naturali, e non, come dire, per una spintarella data al destino. E questo va fatto prima che qualcuno sappia e ponga il veto su ogni indagine!” “Vuol dire assassinio!?” mi guardai in giro costernato. Poi continuai “Tu che ne dici, Antonio?” “Non chiederlo a me. Questa sì che è una bella patata bollente. Se si viene a sapere della nostra intromissione rischiamo che scoppi una guerra tra il Vaticano e l’Italia!…” “Monsignor Lucidi, padre Mc Donald, a questo punto, che cosa volete che facciamo?” chiesi rivolto ai due prelati. Rispose il più anziano, monsignor Lucidi: “Lei sa che sui corpi dei Papi non può essere effettuato alcun esame autoptico e che il Camerlengo può dare ordine di immediata imbalsamazione? Si? Bene! E questo sarà quello che si precipiterà a fare immediatamente, non appena verrà avvisato della morte, il cardinale Jean Valloret, il Segretario di Stato. Farà stilare un certificato di morte dal medico personale del Papa e dal medico ufficiale del Vaticano che avranno dato solo un’occhiata superficiale al corpo e quindi chiamerà gli imbalsamatori per consegnargli la salma. Visto che ha portato con lei un illustre anatomopatologo come il professor Bartoloni, vorremmo che venisse effettuata l’autopsia sul Santo Padre. D’altronde questo è anche un desiderio del presidente Reynolds, che, come ben saprà, era un grandissimo amico ed estimatore di Papa Gionanni XXIV. <Bella rogna> pensai <ma va fatto! Anche a costo di inimicarmi tutta la Curia Romana e forse solo per dare sfogo ai deliri di due visionari…>. Così entrammo nella stanza privata di Sua Santità, sbalorditi dalla profusione di rosso - rosse le pareti damascate, rosso il telo del baldacchino del letto, rossa la coperta - e al contempo timorosi di profanare l’intimità di un così importante personaggio. Ma il tempo passava non lasciandoci tregua, così guardai Bortoloni che si strinse nelle spalle come a dire se debbo farlo, lo faccio. “OK! Professore. Al lavoro e con il massimo scrupolo.” Poi mi rivolsi ad Antonio: “Tu cerca di beccare gli imbalsamatori e tienili fuori della portata del Vaticano fino a quando non ti richiamo…Monsignor Lucidi, a proposito, come si chiamano questi imbalsamatori?” “Sono i fratelli Signorini e abitano dalle parti del Colosseo…”
Il soglio infangato
17
“Hai capito Antonio? Fermali e trattienili con qualche scusa il più a lungo possibile.” Una volta rimasto solo, dissi a Syd Parker di piantonare la stanza in cui il professor Bartoloni avrebbe effettuato l’autopsia, ordinandogli di non far entrare nemmeno una mosca. E Syd, da buon SEAL l’avrebbe sicuramente fatto. Poi rivolto all’ispettore Chiarini della scientifica dissi: “Tu esamina tutto. Fai foto, prendi campioni, segnala tracce, insomma non lasciarti sfuggire niente, nemmeno un capello. E poi rimetti a posto tutto, come se nessuno fosse passato di qui.” Cercai di allentare la mente con due o tre pensieri scanzonati, come facevo una volta, ma non ci riuscii. Non davanti a una morte così imprevedibile e inattesa che avrebbe gettato nello sconforto milioni di fedeli che avevano incominciato ad amare questo nuovo Papa. Si è sempre detto morto un Papa se ne fa un altro! Già, facile. Ma questo è morto solo a sessantotto anni e dopo soli trentatre giorni di regno. “Monsignor Lucidi, padre Mc Donald…” dissi “…mentre i signori qui presenti fanno il loro compitino, che ne direste se noi tre facessimo una chiacchierata e cercassimo insieme di dare corpo alle ombre che vi turbano? Vediamo un po’ da dove cominciare…” Iniziò padre Mc Donald: “Il Santo Padre in questo breve periodo si era già fatto molti nemici. Cominciamo dal Cardinale Jean Valloret, il Segretario di Stato. Il Papa aveva in mano una lista dei cardinali che erano iscritti alla Massoneria e fra questi c’era anche il nome di Valloret con lo pseudonimo di Jeanni e il numero di iscrizione 041/3, c’erano anche il cardinale Brogli, il ministro degli esteri monsignor Arturo Casoli, il cardinale vicario di Roma Ubaldo Pascucci, il vescovo Peter Martins, presidente della Banca Vaticana, e il segretario della stessa, monsignor Danilo De Bellis. Nemici perché, in base alle leggi canoniche vigenti, l’appartenenza di un qualsiasi cattolico romano alla Massoneria comporta la scomunica immediata.” “Altra spina dolorosa per il Papa” continuò mestamente monsignor Lucidi, sostituendosi a padre Mc Donald “era il vescovo Martins, il presidente della Banca Vaticana. Non era più un segreto che Giovanni XXIV stesse per dargli il benservito: era questione di giorni, se non addirittura di ore.” “Per quale motivo?” chiesi, spinto dalla curiosità. “Per il sistema arrembante di Martins negli affari. Sa qual è la frase che il vescovo Martins amava ripetere a giustificazione di certe sue aperture? Non si può dirigere la Chiesa con l’Ave Maria! Insomma, in questi giorni
18
Paolo Maria Mariotti
Sua Santità aveva scavato a fondo nella vita di Martins e aveva trovato prove sconcertanti di certi suoi allegri affari con Marco Sicari, il banchiere della Mafia, si dice; con Lucio Grilli, il capo della loggia massonica, e con Ruggero Capelli altro banchiere d’assalto.” Lo interruppi. “Monsignore, si rende conto, vero, di chi stiamo parlando?” “Certo che me ne rendo conto! Questa cartella…” disse porgendomi un voluminoso dossier “contiene tutte le fotocopie dei documenti che domani, alla notizia della morte del Papa, il Camerlengo, che poi altro non è che il cardinale Valloret, troverà nel cassetto della scrivania del Santo Padre. Gliele affido perché temo che gli originali spariranno…” “Insomma, un gran bel casino…Ops, mi perdoni il linguaggio…” “No, non si scusi! Può ben dirlo forte!” Alle 4.00 del mattino, il professor Bartoloni riemerse dalla stanza dove aveva effettuato l’autopsia guardandomi costernato. Con un filo di voce disse: “Decesso avvenuto per avvelenamento da digitalina, senza alcuna ombra di dubbio. Decesso avvenuto intorno alle 21.00 – 21.30. Questo” disse tendendo un foglio “è il referto dell’autopsia che vorrei firmaste tutti voi in modo che nessuno possa mai confutare la verità. Siete d’accordo?” Firmammo tutti, quindi aggiunsi il prezioso documento agli altri nel dossier che mi aveva consegnato monsignor Lucidi poco prima. Nel frattempo il Papa era stato rivestito e rimesso nella stessa posizione in cui era stato trovato e nessuno, ci avrei scommesso, si sarebbe accorto dell’intervento dell’anatomopatologo, salvo il medico ufficiale del Vaticano avesse voluto fare una visita particolare. Cosa di cui dubitavo altamente anche a seguito di quanto affermato dai due sacerdoti. Alle 4.30 lasciammo lo Stato del Vaticano uscendo dallo stesso cancello da cui eravamo entrati e nessuno si prese la briga di fermarci. Adesso, suor Valentina, coadiuvata dai due segretari del Papa, poteva dar luogo alla sceneggiata del ritrovamento. Chiamai Antonio al telefono: “Antonio, fra qualche minuto ci sarà del movimento dalle tue parti. Voglio che prelevi i fratelli Signorini e li tieni fuori mano per qualche tempo. Portali al nostro comando. Ma si che lo sai dov’è. Non fare lo scemo. Ti aspetto!” <E adesso?> pensai. <Adesso ne parliamo con mister Reynolds. Lui mi ha dato la patata bollente. Mi aiuti almeno a sbucciarla, no?>
Il soglio infangato
19
Chiamai la Casa Bianca (mi fa un certo effetto, perché rimango sempre un comune mortale) e fui subito messo in contatto con il Presidente che mi salutò nel suo pessimo italiano, già mezzo impastato di sonno. Lo capii, lì dovevano essere circa le 23.30. “Signor Presidente…” esordii “abbiamo finito da poco e…” stentavo a trovare le parole. “E… allora, dottor Biavati?” “Avvelenamento! Senza alcuna ombra di dubbio!” dissi tutto d’un fiato. “Dobbiamo trovare chi è stato…” disse tristemente il Presidente. “Non sarà facile, signore! L’omertà regna imperante da queste parti di Trastevere!” “Parta immediatamente per Washington. Mi riferirà direttamente e studieremo insieme sul da farsi!” Chiuse il telefono senza aggiungere altro. <Parta immediatamente! Più facile a dirsi che a farsi. E Selvaggia? Chi la sente, poi?”> Le telefonai. “Ciao, amore! No, non torno a casa… Devo partire… No. Non posso dirti dove vado, ma posso dirti che sarò a casa domani sera al massimo!” “Ma insomma, Beppe Biavati! Mi vuoi dire che cosa è successo? Hai una voce che sembra ti sia morto qualcuno molto caro…!” “Ecco, l’hai detto! Accendi la TV. Sentirai tu stessa. Ciao! Ti amo!” Rientrai alla base dove era pronto il jet che mi avrebbe portato nella capitale degli Stati Uniti. “John” dissi al capitano Coltrane “nessuno deve sapere nulla di quanto è accaduto. La morte del Papa verrà ufficialmente annunciata fra poco, ma per quel che ci riguarda noi siamo completamente all’oscuro di tutto. Ci vediamo domani sera.” Salii sull’aereo preparandomi ad un viaggio non particolarmente piacevole, specie se mi fossi preso la briga di leggere qualche documento che mi ero portato appresso.
20
Paolo Maria Mariotti
CAPITOLO SECONDO Gesù disse:
“Chi cerca non cessi di cercare, finchè non trovi. Quando si trova si è turbati quando si è turbati, ci si meraviglia e si regna su ogni cosa.. Da Il Vangelo di Tommaso
Il volo per Washington era lungo. Avrei avuto a disposizione tutto il tempo necessario per farmi un’idea del perché si era perpetrato un simile abominio. Cominciai a leggere e a prendere appunti che all’atterraggio avevo così riassunto:
1 – Movente: ve ne erano a bizzeffe. Bastava mettere la mano nel sacchetto ed era come tirare su un numero della tombola. 2 – Veleno: una sostanza come la digitalina che non avrebbe lasciato segni rivelatori, una volta somministrata, se non si fosse proceduto all’autopsia (da tenere presente che esistono circa duecento veleni di questo tipo). 3 – Chi è stato?: chiunque avesse avuto un’approfondita conoscenza delle procedure vaticane e che fosse quindi conscio del fatto che non ci sarebbe stata autopsia sul cadavere e anche del fatto che i medici vaticani avrebbero stilato il referto solo sulla base di un esame visivo superficiale concludendo che la morte era sopravvenuta per un attacco cardiaco. 4 – Cosa sarebbe trapelato dalla Città del Vaticano? E chi sarebbe stata la gola profonda? Ero così assorto in questi pensieri che non mi accorsi che ad attendermi all’aeroporto c’era una Lincoln con una segretaria dall’aria molto efficiente che non si perse in convenevoli, ma che mi disse solo che ero atteso dal presidente e che, per tutto il tempo che mi sarei fermato, lei sarebbe stata a mia disposizione. La guardai. Niente male, ma non era il mio tipo. <Ehi, Beppe!> pensai <ma che vai a cercare? Non ti ricordi che sei sposato da soli diciotto mesi e con la donna dei tuoi sogni!? Vergogna!> Grazie tante! Sposati o no siamo sempre uomini. No? NO!!!
Il soglio infangato
21
Il Presidente Reynolds era un cinquantenne alto e sicuro di sé che incuteva un certo timore. Forse per il suo passato di ufficiale dei Marines. Era stato lui a volere che fosse creata l’A.E.T. ed era stato sempre lui a volermi a capo di questa organizzazione. Gli era piaciuto come avevo messo a tacere Zeus e tutta la sua banda dell’Olimpo. Mi accolse con la sua solita cordialità da cow-boy del Montana e in maniche di camicia. Ma sul volto portava i segni del dolore causato dalla perdita di qualcuno a lui caro. In questo caso di un amico e confessore. “Allora, mister Biavati, le conclusioni?”, come sua abitudine, preferì prendere il toro per le corna immediatamente andando direttamente al sodo, senza tanti giri di parole. “Signore…” risposi, intimidito forse dal fatto che ero a tu per tu con l’uomo più potente della terra “…siamo in un bel casì… caos…” “Dica pure nella merda! E’ sicuro che si tratti di avvelenamento?” Gli porsi il referto del professor Bartoloni controfirmato da tutti i presenti del momento. Referto che non lasciava adito a dubbi. Stette lì, con quel foglio in mano, in silenzio, ma vedevo la collera montargli in volto fino a farlo scoppiare: “Dobbiamo trovare questi figli di puttana, Biavati! A tutti i costi, e fargliela pagare con gli interessi che dovranno essere molto salati!” disse livido di rabbia. “Non sarà facile, Signore!” risposi cauto. “Dovremo muoverci con la massima cautela in un terreno minato e per di più sconosciuto, anche se gli assassini o l’assassino non sanno che noi sappiamo. Dovremo attendere le dichiarazioni del Cardinale Valloret, il Segretario di Stato, e da oggi ufficialmente Camerlengo, ossia il padrone del Vaticano fino alla nuova elezione. Solo allora potremo fare delle congetture.” “Ah, ma già ci sono le dichiarazioni di Valloret. Le ho fatte registrare perché lei le ascolti e ne tragga le debite conclusioni. Segua miss Hurley (la segretaria accompagnatrice), ascolti e poi mi riferisca cosa intende fare.” Seguii la sculettante miss Hurley fino al suo ufficio, dove accese il video registratore e mi lasciò solo con un sorriso a trentadue denti. Comparve il Segretario di Stato Vaticano con la mantellina porpora, propria del suo rango, e cominciò a leggere un comunicato: “Questa mattina, 29 settembre, alle ore 6.00, il segretario privato di Sua Santità Giovanni XXIV, non avendo trovato come tutti gli altri giorni il Santo Padre a pregare nella cappella privata degli appartamenti papali, si è recato a cercarlo nella sua stanza e lo ha trovato morto nel suo letto, con la luce accesa e con gli occhiali ancora indosso. Il medico ufficiale
22
Paolo Maria Mariotti
che è immediatamente accorso al capezzale del Papa non poteva che constatarne la morte che è presumibilmente avvenuta all’incirca verso le 4.30 del mattino. Dopo attenta visita, il professor Fagiani ha stilato il referto di morte sopraggiunta per infarto miocardio acuto…” Guardai il volto inespressivo di Valloret e in lui non trovai alcun segno di dolore o dispiacere. Come si dice, morto un Papa se ne fa un altro, sperando che tocchi a me… I successivi bollettini si arricchivano di altri particolari: Il segretario particolare di Sua Santità, padre Mc Donald… Quando il Papa è morto stava leggendo L’IMITAZIONE DI CRISTO un libro attribuito a Tommaso da Kempis del XV secolo… Pensavo. Era stato tenuto nascosto che a trovare il Papa era stata suor Valentina, la fida cameriera da oltre trent’anni, così come erano state nascoste le medicine che si trovavano sul comodino (Effortil per combattere la pressione sanguigna; pillole vitaminiche e iniezioni di Cortiplex per stimolare le ghiandole che secernono l’adrenalina, sempre per la bassa pressione sanguigna); erano stati nascosti, così come le medicine, gli appunti del Papa, il testamento, le pantofole. Tutto ciò che, invece, dimostravano le foto scattate dall’ispettore Chiarini della scientifica e che avevo con me. Ascoltai anche le dichiarazioni degli altri prelati. Il cardinale olandese Willebone: “E’ una rovina. Non posso tradurre in parole la felicità che provammo in quel giorno di agosto quando scegliemmo Giovanni XXIV. Eravamo pieni di speranza; una meravigliosa sensazione , la consapevolezza che qualcosa di nuovo stava per accadere nella nostra Chiesa…” Il cardinale Brogli, uno degli uomini che il Papa aveva deciso di allontanare da Roma: “Il Signore ci usa ma non ha bisogno di noi. Era come un parroco per la Chiesa.” Qualcuno gli ha chiesto cosa sarebbe successo ora, rispose tranquillamente: “Ora ne nomineremo un altro!” Il cardinale Bestini: “La Chiesa ha perduto l’uomo giusto per il momento giusto. Siamo molto preoccupati, siamo spaventati. Non si può spiegare una cosa simile. E’ un momento che ci limita e ci condiziona.” Balle! Tutte macroscopiche balle! Tornai dal presidente. “Signore!” dissi “è proprio come pensavo. Sarà molto difficile venire a capo di questa faccenda…” Accidenti al cellulare, suona sempre quando meno te lo aspetti. “Ah sei tu, Antonio? Dimmi…”
Il soglio infangato
23
“Ascoltami bene, Beppe! Il piano di Valloret per l’imbalsamazione immediata del Papa per ora è andato in fumo. Non riescono a trovare i fratelli Signorini da nessuna parte… Poi c’è un altro fatto che mi ha raccontato monsignor Lucidi…(a questo punto misi sul vivavoce così che potesse ascoltare anche il presidente). Sembra che il cardinale Valloret vada formulando l’ipotesi che si tratti di una morte accidentale per overdose di farmaci…” “Valloret” intervenni carico d’astio “è dotato di arti sovrumane: il Papa muore da solo; un uomo integro che si è ritirato nella propria camera da letto dopo aver preso una serie di decisioni molto importanti per il futuro della Chiesa, compresa quella per il futuro di Valloret stesso e… che fa? Si ammazza…” “Già! È quello che penso anch’io! Non regge… Che si fa?” rispose Antonio. “Per ora niente. Il Presidente ha sentito le tue parole e ora discuteremo insieme sul da farsi. Intanto continua a tenere lontani gli imbalsamatori. Torno presto. Ciao!” “Ha sentito, signore?” dissi rivolto al Presidente, dopo aver chiuso il telefono. “Cosa vuole che si faccia?” “Pulizia! Faccia pulizia di tutta questa feccia. Le garantisco tutta la copertura possibile e immaginabile. Mia e di tutti i governi della terra. Non si può lasciare impunito un simile abominio!” Salutai il Presidente e di nuovo accompagnato da Miss Sorriso Sculettante, me ne tornai con i miei cupi pensieri all’aeroporto per riattraversare l’Atlantico e forse per tentare di recuperare un po’ di sonno.
24
Paolo Maria Mariotti
CAPITOLO TERZO Voce di uno che parla nel deserto: preparate le vie del Signore, raddrizzate i suoi sentieri. Matteo 3,1
Arrivai a Roma completamente rimbecillito dal doppio jet lag costretto a subire in poco meno di ventiquattro ore. Non so come trovai la porta di casa e quindi non degnai nemmeno di un’occhiata la mia dolce mogliettina che mi si era parata davanti con i pugni sui fianchi in attesa di spiegazioni. Cercavo solo un letto e un centinaio di Optalidon che uccidessero l’atroce mal di testa che mi accompagnava ormai da ore. Ma lei era lì, imperterrita! E voleva sapere…Cosa le potevo dire? Che il Papa era stato assassinato nel suo letto? Mi trincerai dietro il segreto di Stato e mi buttai sul letto completamente vestito. Le ultime parole che sentii furono: “Questa me la paghi, bel tomo!” Caspita che caratterino!!! Comunque non riuscii a chiudere occhio. I pensieri si accavallavano nella mia mente e avanzavano veloci come le nubi che preannunciano un uragano. Mi mancava addirittura il respiro. Chiamai Antonio: “Ciao! Vieni a casa mia! Ho assoluto bisogno di parlarti e prima muovi quel grasso culo e meglio è! Sbrigati!” “Volo!” rispose divertito. Quando giunse a casa ero appena uscito da una doccia rigenerante ma da come mi guardava penso che la mia faccia non avesse nulla di umano. “Quant’è che non dormi, Beppe?” disse a bassa voce. “Non lo so! Ma non è di questo che voglio parlarti. Devo ricostruire tutta questa maledetta storia e posso farlo solo studiando questo ammasso di documenti. A meno che tu non la smetta di fare il ragazzino e ti rimbocchi le maniche. Devi rientrare, Antonio. Ti voglio al mio fianco nell’A.E.T.! Pensaci bene, prima di rispondermi. Avrai il grado di maggiore e sarai reintegrato nell’Arma a tutti gli effetti. Non mi dire di no: ho bisogno del tuo aiuto!” dissi semplicemente. “Devo stare dietro ai ragazzini, lo sai…” rispose sempre meno convinto.
Il soglio infangato
25
“C’è tua sorella! Va pazza per quei ragazzi. E poi ci sono Selvaggia, mia madre e mia suocera. Non saranno mai soli… Questo lo sai, no?” “Devi essere proprio nella merda… E sia… Ma spero di non dovermene pentire un giorno!” disse sorridendo. “OK!” dissi felice “Mi assumo tutte le responsabilità. Aspetta solo un attimo che chiamo chi di dovere per comunicargli che sei rientrato in servizio. Anzi non ne sei mai stato fuori!” La forza della mia attuale posizione era proprio questa: poter parlare da pari a pari con tutti i pezzi da novanta, sia politici che militari, in qualsiasi momento e, quel che più conta, sapere di essere ascoltato. Così, in pochi istanti il maggiore CC Antonio Bernetti era rientrato nei ranghi. L’unico commento che ci permettemmo fu: “Anto’, pensa alla faccia di Allegrini quando ti vedrà e dovrà anche farti il saluto!” risi di gusto. “Uh, quel somaro…!” fu il suo unico commento. “Adesso, però, veniamo alla questione spinosa. Dobbiamo studiarci questi documenti per ricostruire i trentatre giorni di papato di Giovanni XXIV. Chissà che non siamo fortunati e in mezzo non troviamo proprio il nome del suo assassino?” “Assassino!?” disse Selvaggia che era appena entrata nello studio senza che me ne accorgessi. Mi detti dello stupido per la mia sventatezza, ma ormai la frittata era fatta. “Sì, tesoro. Hai capito bene. Il Papa è stato assassinato con il veleno. Ma se vai a dirlo a qualcuno… io… io…” <Ti strozzo> avrei voluto dirle, ma mi fermai in tempo. “Sta tranquillo, amore! Sarò una tomba!” <E’ proprio questo che mi preoccupa!> pensai. “Me lo auguro, cara. Se solo una parola dovesse arrivare all’orecchio sbagliato, addio possibilità di beccare l’assassino!” risposi serio. Lasciai che assorbisse il duro colpo e ripresi a parlare con Antonio. Insieme guardammo gli appunti che avevo preso durante il mio volo. “Dunque, vediamo di riassumere i punti essenziali: ANTEFATTO Il Papa aveva avviato un’inchiesta molto approfondita sulle ricchezze del Vaticano rendendosi conto che intorno a Lui girava un’organizzazione veramente eccezionale. La parte essenziale di questa organizzazione è la Vatican Incorporated. Se il vescovo Peter Martins, presidente della Banca Vaticana (I.O.R.), dice che la Chiesa non si può governare con le Ave Maria, non gli si può dare torto, considerando che la Chiesa svolge mol-
26
Paolo Maria Mariotti
teplici ruoli in molti Paesi ed ha bisogno di denaro. Quanto denaro è una domanda diversa. Cosa ci fa con quel denaro ne è un’altra. Che ci faccia molto di buono è pacifico. Che ci faccia anche cose molto discutibili è altrettanto pacifico. Per quanto riguarda le cose buone non stiamo ad elencarle perché ci sono vagoni di carte che stanno a dimostrarlo: istruzione, medicine, cibo, protezione. Tutto bene. Quello che manca sono le informazioni su quanto è acquistato e come viene acquistato. In ciò il Vaticano non si è mai sbottonato e questo segreto è diventato uno dei più grandi misteri del mondo. Nemmeno la CIA è mai riuscita a fare luce su questo punto. Quando qualche giornale ha azzardato una stima del capitale produttivo del Vaticano, inevitabilmente L’OSSERVATORE ROMANO rispondeva: “Pura fantasia! In realtà il capitale produttivo della Santa Sede è lontano dal raggiungere un centesimo della somma ridicolmente scritta dall’esimio collega”. E così ti chiudono la bocca. Insomma, in questo caso, sempre e solo bugie. Considera anche che questa è la sola organizzazione religiosa al mondo che ha il suo Quartier Generale in uno Stato indipendente, la Città del Vaticano che di per sé è una legge. Con i suoi milleottantasette acri è più piccola di molti campi da golf, ha le dimensioni del St. James Park di Londra e misura circa un ottavo del Central Park di New York. Per una passeggiatina nella Città del Vaticano occorre poco più di un’ora. Per contare le sue ricchezze occorre molto, ma molto più tempo. Fin qui ci sei, Antonio?” “Si, si! Va’ avanti!” rispose con un mezzo grugnito. All’indomani dei Patti Lateranensi, il Vaticano aveva ottenuto un risarcimento pari a ottantuno milioni di dollari, qualcosa come cinque miliardi di dollari di oggi. A questo punto, Papa Pio XI creò l’Amministrazione Speciale e nominò direttore un laico. Un laico che fece la fortuna della Chiesa perché, mentre per la Chiesa prestare denaro a fronte di interessi era considerata usura e usura era considerata eresia, per il laico questo problema non si poneva. Anche oggi usura significa prestare denaro a interessi esorbitanti. Anche per la Chiesa Cattolica Romana. Comunque, questo laico, prima di accettare l’incarico voleva due cose:
Il soglio infangato
27
1° Qualsiasi investimento che scelgo di fare deve essere completamente libero da qualsiasi considerazione dottrinale o religiosa. 2° Devo essere libero di investire i fondi del Vaticano in ogni parte del mondo. Il Papa di allora fu d’accordo e aprì le porte alle speculazioni monetarie e alle operazioni di mercato nelle Borse Valori, incluso l’acquisto di azioni in società i cui prodotti erano incompatibili con l’insegnamento cattolico. Parliamo di prodotti come bombe, carri armati, aerei, pistole e… contraccettivi. Tutti prodotti che si potevano bollare dal pulpito, ma che sotto sotto riempivano le casse del Vaticano. Questo laico agì quindi sul mercato dell’oro e in quello delle vendite. Comprò l’Italgas. Tra le banche soggette all’influenza e al controllo del Vaticano, attraverso gli acquisti di questo personaggio ci furono il BANCO DI ROMA, il BANCO DI SANTO SPIRITO e la CASSA DI RISPARMIO DI ROMA. Insomma molte delle speculazioni di questo personaggio contravvenivano certamente al diritto canonico e probabilmente alla legge civile, ma siccome il suo cliente era il Papa e non faceva nessuna domanda, questo non si preoccupava delle sottigliezze. Insomma, usando il capitale del Vaticano, questo signore (pace all’anima sua) acquistò importanti azioni in numerose società. Industrie tessili, Comunicazioni Telefoniche, Ferrovie, Cementerie, Elettricità, Acqua. Diciamo che s’era infilato dappertutto. Addirittura, quando nel 1935 Mussolini ebbe bisogno di armi per l’invasione dell’Etiopia, una considerevole quantità gli fu fornita da una fabbrica di munizioni che questo personaggio aveva acquistato per il Vaticano.” Lo squillo insistente del telefono venne ad interrompere la ricostruzione: “Pronto, Biavati!” risposi. “Signore, sono Syd! Qui stanno succedendo cose strane…” “Strane come, Syd?” “Strane…” “OK! Vieni immediatamente a casa mia ma prima lascia qualcuno sul posto a controllare!” risposi. Il tenente di vascello Syd Parker arrivò dopo circa quindici minuti tutto congestionato e con uno strano senso di paura dipinto sul volto. “Allora, Syd… Che cosa succede?” domandai. “Succede che suor Valentina è scomparsa. Letteralmente volatilizzata! Padre Mc Donald è confinato negli alloggi vaticani e praticamente inavvi-
28
Paolo Maria Mariotti
cinabile e monsignor Lucidi è stato rispedito in tutta fretta a Venezia. E… non si hanno più notizie nemmeno del tenente Hoffmann… Sì, la Guardia Svizzera. Scomparso…” “Me lo aspettavo. Valloret e compagni non hanno perso tempo. Per il momento lasciamoli fare. Più tardi faranno i conti con noi. Syd, mi raccomando, torna al tuo posto d’osservazione e mantieni una stretta sorveglianza. Annota tutti i movimenti. OK? Bene, adesso va pure e… grazie.” Rimasti soli, Antonio ed io riprendemmo lo studio dei documenti da dove l’avevamo lasciato. “Rendendosi conto, prima di molti altri, dell’inevitabilità della Seconda Guerra Mondiale, il nostro uomo cambiò in oro parte del patrimonio allora a sua disposizione. Le sue speculazioni in oro continuarono per tutto il tempo in cui controllò la Vatican Incorporated. La cosa andò avanti anche con il Terzo Reich di Hitler.” “Ah, tieni conto che fino a poco tempo fa circa 17.300.000 dollari in oro erano conservati a Fort Knox, negli Stati Uniti.” “Fu Pio XII a cambiare il nome dell’AMMINISTRAZIONE DELLE OPERE RELIGIOSE in ISTITUTO PER LE OPERE RELIGIOSE. Era nato lo I.O.R. o Banca Vaticana, così com’è conosciuta da tutti. La Vatican Corporation aveva generato un figlio bastardo. La funzione originaria dell’AMMINISTRAZIONE fondata nel 1887 da Papa Leone XIII era stata quella di accumulare e amministrare i fondi per le opere religiose, non era una banca in nessun senso. Durante il papato di Pio XII, la sua funzione divenne quella di “custodire ed amministrare il denaro (contante o in azioni) e le proprietà affidate o cedute all’Istituto stesso da persone fisiche o giuridiche per fini di opere religiose e opere di pietà cristiana”. Divenne ed è tutt’ora una banca in tutti i sensi e a tutti gli effetti. Bernardino Nogara dedicando tutto se stesso al fine di aumentare i fondi del Vaticano, conseguì un successo dopo l’altro. I tentacoli della Vatican Incorporated si allungarono su tutto il mondo. Furono creati stretti legami con una serie di banche: Crédit Suisse, Hambros, Morgan Guarantee, The Bankers Trust Company di New York – utile quando Nogara voleva comprare e vendere titoli a Wall Street – la Chase Manhattan Bank, la Continental Bank dell’Illinois, tutte queste ed altre ancora divennero socie del Vaticano. Naturalmente Nogara non si limitava ad un solo campo d’affari, a parte le banche acquistò, per il Vaticano, interessi di controllo in società ap-
Il soglio infangato
29
partenenti a settori diversi: assicurazioni, acciaio, finanza, industria alimentare, industria meccanica, cemento e beni immobili. A proposito di questi ultimi, il suo acquisto di almeno il 15% della SOCIETA’ ITALIANA IMMOBILIARE diede alla Chiesa la compartecipazione in una grande quantità di proprietà. Ricordati che la SOCIETA’ GENERALE IMMOBILIARE (la SOGENE) è la più antica società di costruzioni italiana. Attraverso il possesso dell’impresa edilizia SOGENE, l’Immobiliare, e con essa il Vaticano dopo l’acquisizione del 15%, possedevano: l’Hilton di Roma, l’Italo-Americana Nuovi Alberghi, gli Alberghi Ambrosiani di Milano, la Compagnia Italiana Alberghi Cavalieri, la Società Italiana Alberghi Moderni. In parole povere, gli alberghi più importanti d’Italia. “Continui a seguirmi, Antonio?” “Sì e capisco anche che questo povero Cristo di Papa per arrivare a mettere insieme tutto questo materiale in così breve tempo deve essersi fatto un… Lasciamo perdere! Va avanti, Beppe!” “OK! La lista delle più importanti società industriali, anch’essa di proprietà vaticana, è lunga il doppio!” “In Francia costruirono una grande quantità di uffici e negozi al 90 della Avenue des Champs Elisées, al 61 di Rue de la Ponthieu e al 6 di Rue de la Berry. In Canada possedevano il più alto grattacielo del mondo, lo STOCK EXCHANGE TOWER di Montreal; il PORT ROYAL TOWER, un edificio che comprendeva duecentoventiquattro appartamenti; un’enorme area residenziale a Greensdale, Montreal. Negli Stati Uniti erano proprietari di numerosi appartamenti a Washington, compreso il Watergate Hotel e a New York di un’area residenziale di duecentoventisette acri situata a Oyster Bay. In Messico possedevano un’intera città satellite di Città del Messico, chiamata Lomas Verdes. La lista delle acquisizioni, comunque, è ben lungi dall’essere completa. Nogara acquistò azioni anche nella GENERAL MOTORS, SHELL, GULF OIL, GENERAL ELECTRIC, BETHLEMME STEEL, I.B.M., TWA. Quando Nogara morì, il cardinale di New York dettò per lui un memorabile epitaffio dimostrando così che, dovunque fosse il Regno di Dio, quello della Chiesa cattolica era certamente su questo mondo. Il cardinale, infatti, affermò che “dopo Gesù Cristo, la cosa più grande che è capitata alla Chiesa Cattolica è Bernardino Nogara”.
30
Paolo Maria Mariotti
“Che ne dici di questo Nogara?” chiesi ad Antonio. “Avrei voluto averlo fra i miei consiglieri finanziari…” rispose faceto “…comunque un bel pescecane…”.
Il soglio infangato
31
CAPITOLO QUARTO Non vi affannate ad accumulare tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano dove ladri scassinano e portano via… Matteo 6,19,
Mentre Antonio ed io cercavamo di mettere insieme i pezzi del puzzle, ricevemmo una telefonata da padre Mc Donald, che era riuscito ad eludere la sorveglianza cui era stato sottoposto da parte del cardinale Valloret. “Dottor Biavati…,” esordì con voce tremante“…la prego, non mi interrompa, per l’amor di Dio… Ho pochissimo tempo a disposizione. Il cardinale Valloret ha scoperto tutto. A parlare, sicuramente è stato il tenente Hoffmann. Stia in guardia… so che stanno partendo delle denunce nei suoi confronti per essersi introdotto furtivamente nei ah…” “Pronto!? Pronto, padre Mc Donald??” Niente. Niente di niente. Il telefono era diventato improvvisamente muto, di padre Mc Donald più nessuna traccia. “Presto, Antonio. Dobbiamo filarcela da questa casa prima che vengano i carabinieri!” Poi rivolto a mia moglie: “Tu, tesoro, prendi un po’ di roba e fila dritta dritta a Perugia dai tuoi per qualche tempo. Poi ti spiegherò!” Visto che non si decideva a muoversi, la presi bruscamente per un braccio: “Ti prego, fai quello che ti dico. Qui l’aria comincia a farsi irrespirabile!” Stava per mettere in mostra il suo caratterino pepato con una delle sue risposte al fulmicotone, quando intervenne Antonio: “E’ meglio così, Selvaggia. Fa’ come ti dice Beppe e stai tranquilla. Lo rivedrai presto.” Partì rabbiosamente con la sua macchina sportiva. Neanche noi perdemmo tempo e tornammo all’ufficio di rappresentanza in via Condotti ad attendere gli eventi che si preannunciavano procellosi. Come sempre, quando c’era di mezzo il sottoscritto! Ma a volte non tutti i mali vengono per nuocere. In un batter d’occhio, come per magia, riuscii a far sparire tutti i documenti che apparecchiavano la mia scrivania e che in caso di un controllo avrebbero potuto compro-
32
Paolo Maria Mariotti
mettermi seriamente; contemporaneamente spedii Antonio al Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, perché riprendesse ufficialmente possesso della sua identità e della sua seconda pelle: quella del carabiniere a vita. <Benedetto padre Mc Donald, ovunque tu ti trovi ora> pensai. Infatti, grazie alla sua telefonata, la visita della Procura di Roma, che in realtà ebbe luogo nel giro di poche ore, risultò del tutto infruttuosa. Ci mancava altro che un giovane sostituto procuratore nelle vesti di Salomone, accompagnato niente meno che da… “Rambo” Allegrini. Non mi restava che recitare la parte e guardarli con aria di sufficienza: “Allegrini! Certo che il mondo è proprio piccolo! Pensavo di averti tolto per sempre dai piedi e invece… eccoti qui di nuovo. Che c’è ‘sta volta?” “Stai attento a come parli, Biavati… Ricordati che qui non siamo più a Perugia…” rispose con aria strafottente. “…Piuttosto vedi di tirar fuori subito i documenti che hai trafugato in Vaticano. Adesso! Subito!” “Ehi, ehi! Piano un momento con certe accuse. Io non ho trafugato un bel niente. Fra tutti e due” guardai il novello Salomone “state prendendo un bel granchio che alla fine potrebbe risultare molto indigesto…” Proprio in quel momento prese a squillare il telefono… Attesi un istante poi sollevai la cornetta… che con prepotenza “Rambo” mi tolse dalle mani urlandovi dentro: “Chi parla!?” Era l’occasione ghiotta per fargli fare una brutta figura. Schiacciai il vivavoce prima che me lo impedisse: “Sono il ministro degli Interni. E’ lei, dottor Biavati?” “No, signore! Il proprietario della voce gracchiante è il capitano dei Carabinieri Allegrini che in questo momento sta effettuando una perquisizione insieme al sostituto procuratore della Repubblica di cui purtroppo non conosco il nome…” “Sono il dottor Marcucci, signor ministro!” intervenne il magistrato rosso congestionato. “Da chi ha ricevuto disposizioni per questa operazione, dottor Marcucci?” chiese il ministro. “C’è stata una denuncia nei confronti del Biavati…” Lo interruppi guardandolo in cagnesco, “Signor Biavati, dottor Biavati, Marchese Biavati non il Biavati, se lo ricordi!…” …”che sembra abbia trafugato importanti documenti dallo studio privato del defunto Papa!” riprese sempre più paonazzo.
Il soglio infangato
33
“Ma mi faccia il piacere!” ruggì il ministro. “Chi ha fatto questa denuncia? A che ora sarebbe avvenuto questo, diciamo, furto? Avanti, si spieghi, voglio risposte chiare.” “La denuncia è stata fatta da un certo Hoffmann, tenente delle Guardie Svizzere, che dice di aver visto entrare il… signor Biavati nelle stanze di Giovanni XXIV, dietro a padre Mc Donald e monsignor Lucidi, i segretari del Papa, poco dopo le cinque del mattino del 29 settembre.” “Ha sentito, dottor Biavati?” mi disse il ministro. “Immagino che avrà una risposta per questi signori…” “Certo! Alle ore 00,15 ero sul GULFSTREAM V550 dell’A.E.T. in volo per Washington…” “Basta così…” mi interruppe il ministro “…credo che i signori lì presenti non abbiano bisogno di ulteriori spiegazioni da parte sua. Mi sono spiegato, capitano? E lei, dottor… Marcucci, ha capito? Si? Bene…” “Rambo” e “Salomone” mi stavano ancora guardando increduli, quando in quel momento fece la comparsa sulla scena Antonio Bernetti in divisa e con i gradi di maggiore sulle spalline. Guardai Allegroni: nella sua bocca poteva tranquillamente entrare un transatlantico! “Quanto a lei, dottor Biavati, aspetto una sua visita, diciamo fra… un’ora. Va bene?” continuò il ministro. “Certo, signor ministro. Ci vediamo fra un’ora… Grazie!” Mi divertii a fare le presentazioni. “Il dottor Marcucci, sostituto procuratore, il maggiore Antonio Bernetti, mio vice. Il capitano Allegrini lo conosci, no?” “Rambo” Allegrini era sul punto di esplodere: “Co… Cosa significa questa… pagliacciata? Io la mando sotto processo Bernetti. Quando mai un maresciallo può indossare i gradi di un ufficiale superiore? Quanto a te, Biavati…” Non gli diedi tempo di finire: “Smettila di ragliare, capitano. L’unico pagliaccio che vedo qui sei tu. E adesso fuori dalle palle, ho già perso troppo tempo con te!” Antonio, ridendo sotto i baffi, lo invitò a seguire il giovane magistrato che, vista la mala parata, si era già prodotto in una circospetta ritirata strategica. “…Ma non finisce qui… Andrò fino in fondo!…” tuonò ancora “Rambo” “…e allora…” Poi per fortuna più niente! Adesso capisco perché il mestiere dell’asinaio è duro…!
34
Paolo Maria Mariotti
Rimasti soli, pregai Antonio di andare ad aspettare il mio ritorno all’hangar di Ciampino che fungeva da base operativa segreta dell’A.E.T.. “Mi dispiace solamente che non siamo riusciti a portare avanti quella nostra ricostruzione. Adesso con il ministro non potrò essere esauriente come avrei voluto… Beh, non importa. Intanto gli darò qualcosa su cui riflettere, poi noi due riprenderemo da dove abbiamo lasciato.” Come da copione, l’incontro con il ministro non fu propriamente dei più cordiali. “Voglio la verità, dottor Biavati. Tutta!” disse seccamente. “La verità? Bene, l’avrà! Papa Giovanni XXIV è stato assassinato tra le 20.45 e le 21.30 con un veleno che non lascia scampo: la digitalina. Veleno ben pensato perché, secondo i nostri tecnici e i pareri di numerosi scienziati esterni, avrebbe fatto perdere le sue tracce nel caso si fosse proceduto all’imbalsamazione immediata, come richiesto dal cardinale Valloret. Ecco la verità!” risposi risentito. “E lei cosa ci faceva in Vaticano, nelle stanze del Papa, proprio a quell’ora?” Gli raccontai della telefonata del presidente Reynolds, dei suoi dubbi e di tutto quello che avevo fatto. Ascoltò in silenzio, quindi disse: “La cosa è molto grave. Ci sono di mezzo personaggi che, lei capisce, sono molto importanti per cui sarà gioco forza muoversi con i piedi di piombo…” “E’ quello che stiamo facendo. Gli elefanti nel reparto cristalleria dei Grandi Magazzini. No, scherzi a parte, signor ministro, noi non muoveremo accuse a chicchessia, almeno fino a quando non avremo esaminato tutta la documentazione in mio possesso e saremo stati capaci di ricostruire il tutto. A quel punto si potrà inchiodare al muro il responsabile o i responsabili di questo delitto.” “D’accordo, d’accordo… Ma voglio essere tenuto prontamente informato su tutto…” “Questo è sicuramente possibile, ma solo attraverso i canali ufficiali, ovvero solo attraverso il Segretario di Stato americano” risposi molto candidamente. “Ma… lei è un cittadino italiano… e il suo dovere è…” disse guardandomi in cagnesco. “Mio dovere è…” risposi con voce tagliente “…è riferire al Comandante in capo dell’organizzazione che dirigo, e non mi sembra che sia il nostro Stato.” “Faccia attenzione, dottor Biavati. Potrei ordinarle…”
Il soglio infangato
35
“Come crede, signor ministro, ma secondo il Diritto Internazionale, l’A.E.T. è libera di agire come ritiene opportuno e quando vuole in tutti i Paesi aderenti, fra cui c’è anche l’Italia” risposi ancora più seccamente. Ormai a corto di argomenti, il ministro urlò: “Va bene, va bene. Adesso se ne vada!” Mi congedai senza neppure una stretta di mano, ma potevo anche capire il suo livore nei miei confronti: per lui non ero che un lacchè degli americani.
36
Paolo Maria Mariotti
CAPITOLO QUINTO Il fratello consegnerà a morte il fratello, il padre il proprio figlio; i figli sorgeranno contro i genitori e li faranno morire. Matteo 10,21
Arrivai alla base operativa mentre i componenti della squadra stavano esercitandosi al tiro. Sorrisi. La task force non prevedeva una routine quotidiana fissa, tranne l’ora giornaliera obbligatoria al poligono di tiro sotterraneo con la pistola e le altre armi automatiche in dotazione. Addestramento da cui nessun membro era esente, nemmeno i tecnici e il capo. Quando Antonio ed io rimanemmo soli, inizialmente ci facemmo due belle risate ripensando alla faccia congestionata di Allegrini, ma alla fine decidemmo di riprendere il lavoro da dove ci eravamo interrotti. “Allora, vediamo, eravamo alla morte di Nogara, vero?” dissi. “Si, esattamente!” rispose Antonio. “Bene.” Continuai “da qui in poi cominciano gli anni nefasti per la storia della Chiesa. Anni in cui fu dato libero accesso alle banche del Vaticano al vescovo Peter Martins, meglio conosciuto come il “Gorilla”, e al mafioso Marco Sicari, meglio noto come lo “Squalo”. Martins è nato in una città governata dalla Mafia, dove gli assassinii tra le varie bande erano un avvenimento quotidiano, dove la corruzione era presente a tutti i livelli, dal sindaco ai giovani e appunto uno di questi giovani divenne addirittura il Banchiere di Dio. Tralasciamo alcune vicende marginali e veniamo al sodo, che ne dici Anto’?” “Va avanti, ti seguo…” “Intanto partiamo dall’amicizia che si andava consolidando tra il Papa precedente e Martins. Il Papa creò una sezione cui diede il nome di PREFETTURA PER GLI AFFARI ECONOMICI DELLA SANTA SEDE cercando di dare vita ad un dipartimento in grado di produrre un rendiconto annuale delle esatte ric-
Il soglio infangato
37
chezze del Vaticano e dello sviluppo di tutte le attività e degli impegni commerciali di ogni Amministrazione della Santa Sede, con lo scopo di ottenere un bilancio finale e una stima annuale. Fin dalla sua creazione, la Sezione aveva lottato contro due ostacoli: primo, il Papa aveva espressamente ordinato che la Banca Vaticana doveva essere esclusa dall’esercizio economico; secondo, la tradizionale paranoia vaticana. Tanto che un cardinale confessò a un collega:<Ci vorrebbe una combinazione tra KGB e CIA per ottenere solo un piccolo indizio di quanto è e dove si trova il denaro!> Come assistente dell’anziano direttore della Banca Vaticana fu nominato il vescovo Martins. Da oscuro prete, Peter Martins era arrivato molto in alto ed ora poteva vantarsi di avere un potere che nessun americano aveva avuto prima di lui. Uno degli uomini che aveva assistito all’ascesa di Martins, era il cardinale Giacomo Bertini. La sua prima impressione su quel estroverso giocatore di golf e incallito fumatore di sigari era stata che Martins si sarebbe rivelato una valida risorsa per la Banca Vaticana. Nel giro di due anni Bertini capì che il suo era stato un giudizio sbagliato e che Martins avrebbe dovuto essere trasferito immediatamente. Aveva scoperto che in quel breve periodo Martins si era costruito una base di potere molto più forte della sua. Infine, il Papa e i suoi consiglieri, decisero di ridurre i loro impegni sul mercato finanziario italiano e trasferire la maggior parte delle ricchezze vaticane sui mercati esteri, in special modo negli Stati Uniti. Insomma c’era il desiderio di entrare nel mondo altamente lucrativo e incontrollato degli eurodollari. Martins fu scelto come componente essenziale di questa strategia. Per completare la “squadra”, il Papa di allora convocò un’altra parte della sua “Mafia”. Scelse un uomo che rappresentava realmente la Mafia, Marco Sicari, lo Squalo.” “Vedi Antonio, come Giovanni XXIV, con tutti i suoi distinguo, Marco Sicari aveva conosciuto la povertà quando era bambino e come il Papa era stato profondamente coinvolto e influenzato dall’ambiente circostante. Mentre il primo, però, era diventato un uomo deciso ad alleviare la povertà degli altri, il secondo si era prefisso di alleggerire gli altri delle loro
38
Paolo Maria Mariotti
ricchezze. A prima vista non ne dava l’impressione ma, Giovanni XXIV aveva veramente l’occhio lungo. Mi chiedo come avrà fatto a raccogliere tante informazioni in così breve tempo…” “Che vuoi che ti dica? Era sicuramente una persona estremamente meticolosa e, penso che già da cardinale avesse ben conosciuto le magagne che corrodevano la credibilità della Chiesa…” rispose dubbioso Antonio. “OK! Andiamo avanti e cerchiamo di farci un quadro di Marco Sicari. Innanzi tutto va detto che fu educato dai Gesuiti e fin dai primi tempi ha dimostrato una spiccata attitudine per la matematica e l’economia. E’ riuscito perfino ad evitare il militare con l’aiuto di un monsignore, lontano parente della fidanzata. Intanto faceva i soldi ed espandeva i suoi rapporti con la Mafia. Quando lasciò la Sicilia per Milano, lavorò in un ufficio di consulenza d’affari e di contabilità. La sua specialità, quando in Italia cominciarono a confluire capitali d’oltre oceano, era quella di mostrare ai probabili investitori come muoversi attraverso le leggi finanziarie italiane. I suoi soci mafiosi furono favorevolmente impressionati dai suoi notevoli progressi. “Senti, senti…” Aveva talento, era ambizioso e, cosa ancora più importante agli occhi della Mafia, era spietato, completamente corruttibile: uno di loro. Conosceva l’importanza delle tradizioni mafiose come l’omertà, la regola del silenzio. La famiglia mafiosa Garbini fu particolarmente attratta da Sicari e dalla sua abilità nel fare investimenti con i dollari senza preoccuparsi affatto delle noiose leggi fiscali. Questa abilità fece sì che i Garbini facessero un’offerta a Sicari che accettò con entusiasmo. Volevano che egli amministrasse per loro i reinvestimenti degli alti profitti accumulati con la vendita dell’eroina… “Praticamente avevano bisogno di riciclare il denaro sporco” intervenne Antonio. “Esattamente!” risposi e continuai “Sicari con la sua provata abilità a trasferire somme di denaro dentro e fuori l’Italia senza disturbare la tranquillità degli uffici governativi delle imposte, fu una scelta ideale. Intanto aveva cominciato a perfezionare la tecnica dell’acquisto di società in crisi, per poi smembrarle, e poi rivenderle con ampi profitti. Diciassette mesi dopo la riunione con i Garbini, Sicari comprò la sua prima banca, aiutato dai fondi della Mafia…
Il soglio infangato
39
“Guarda, Antonio” dissi mostrandogli un foglio “qui c’è un’annotazione del Papa che dice: <aveva già scoperto una delle regole principali del furto: il modo migliore per rubare da una banca è comprarne una…> Hai capito? Giovanni XXIV non era affatto uno sprovveduto. Continuiamo…” Sicari comprò una società finanziaria nel Liechtenstein, la FASCO A.G.. Poco tempo dopo acquistò la banca BANCA PRIVATA FINANZIARIA di Milano e astutamente entrò nelle grazie del precedente Papa, allora arcivescovo di Milano, procurandogli due milioni e quattrocentomila dollari per costruire una casa di riposo per anziani. E quando quel cardinale aprì la Casa della Madonnina, Sicari era al suo fianco. I due uomini divennero grandi amici tanto che il cardinale faceva sempre più assegnamento sui consigli di Sicari per risolvere i problemi degli investimenti diocesani. Ciò che il cardinale può non aver saputo è che i due milioni e quattrocentomila dollari erano stati forniti dalla mafia. Lo Squalo cominciò ad affermarsi velocemente. I suoi successi erano irresistibili. Attraverso la sua società finanziaria, la FASCO A.G., acquistò la BANCA DI MESSINA. Questa mossa piacque alle famiglie mafiose, poiché diede loro un accesso illimitato alla banca stessa. Sicari si legò con Mauro Scattoni, uno degli uomini di fiducia del Vaticano, membro del consiglio di amministrazione di ventiquattro società, compresa la BANCA CATTOLICA DEL VENETO Anche Leandro Mancini, un altro dei più importanti funzionari della Banca Vaticana, divenne suo intimo amico, così come padre Macchiaroli, il segretario dell’arcivescovo di Milano. La BANCA PRIVATA FINANZIARIA cominciò a svilupparsi e a entrare in varie società attraverso una molteplicità di titoli. Nel frattempo, Sicari, divenne anche intimo amico del successore di Bertini nella direzione dell’Amministrazione Speciale.” Mi interruppi. Antonio ed io avevamo entrambi bisogno di respirare aria pura. Illusione. Il maledetto cellulare si era messo a urlare come un bimbo quando vuole la pappa. “Pronto?!” risposi urtato.
40
Paolo Maria Mariotti
“Pronto? Qui è la Segreteria di Stato della Città del Vaticano. Sua eminenza il cardinale Valloret vorrebbe conferire con il dottor Biavati, se fosse possibile…” disse una voce mite. “Perché no?! Sono io Biavati. Mi passi pure sua eminenza…” dissi rimanendo in attesa. “Buona sera, marchese! Sono il cardinale Valloret. Vengo subito al dunque. Crediamo che lei sia in possesso di alcune carte che vorremmo fossero restituite.” <Alla faccia> pensai <questo non va tanto per il sottile…> “Eminenza, cosa le fa supporre che io abbia delle carte che non mi appartengono? Innanzi tutto non so di cosa parla. Si spieghi meglio, per favore.” “Carte del Vaticano, che non dovevano uscire dallo studio del Papa!” “Io non ho nessuna carta del Vaticano!” mentii spudoratamente. “Ne è proprio sicuro?” continuò con voce melliflua che non prometteva nulla di buono. “I carabinieri dicono che…” “Un momento, eminenza” lo interruppi con foga “i carabinieri non possono dire nulla perché non sanno nulla. Chi l’ha informata, le ha venduto una panzana.” “Eppure ho saputo di una visita dei carabinieri accompagnati da un sostituto procuratore della Repubblica nel suo ufficio!” “Senta eminenza, la visita, come la chiama lei, è stata subito messa sui giusti binari proprio dal ministro dell’Interno. Perché, invece di perdere tempo con me, non si rivolge direttamente a lui? Oramai gli avranno fatto ampio rapporto.” Risposi cercando di non mostrarmi troppo maleducato. “Va bene, marchese… lei non ha nulla!” rispose con voce strozzata. “…vorrà dire che troveremo altre strade per arrivare a quelle carte. La saluto!”. “Mi piacerebbe tanto sapere chi ci ha venduto. Sicuramente Allegrini o il sostituto. Persone che ti fanno venir voglia di commettere un omicidio. Lasciamo perdere. Ormai si è fatto tardi e tu vorrai rivedere i tuoi figli. Va a casa, ci vediamo domani.” Dissi ad Antonio, salutandolo. Rimasi solo con i miei pensieri, cercando di darmi una spiegazione logica, ma la mia mente continuava a sbattere contro un muro. Mi riscosse una telefonata. Era mia madre.
Il soglio infangato
41
CAPITOLO SESTO Non vi spaventate per quelli che possono uccidere il corpo, ma non possono uccidere l’anima. Matteo 10,28
“Mamma?! Come mai?...” dissi sorridendo pensando a qualcuna delle sue stramberie. “Beppe… Tesoro… Selvaggia…” farfugliava piangendo e non riuscivo a capire nulla. “Mamma, per amor del cielo… Selvaggia, cosa?!” dissi quasi urlando. Continuava a singhiozzare. Capii solo la parola incidente e ospedale. Conoscendo l’amore quasi smodato di mia moglie per le auto veloci, stavo per farmene una ragione. <Ma…> pensai <…Selvaggia ama sì correre, ma con la massima prudenza e poi è una guidatrice provetta… No, c’è dell’altro…> “Va bene, mamma. Stai calma, per favore. Adesso vengo subito. Mi raccomando!” Non feci in tempo a richiudere il cellulare che questo ricominciò a suonare. “Pronto?!” dissi con una voce che non mi riconoscevo. “Marchese Biavati? Sono il sovrintendente Lilli della Polizia Stradale di Perugia. Purtroppo le devo comunicare che sua moglie, la signora Selvaggia Accorsi…” lo interruppi. “Lo so, me lo ha comunicato appena adesso mia madre… Un incidente sulla E45 nei pressi di Perugia…” “Beh, non proprio un incidente, signor marchese. Le hanno sparato da un furgone Ford bianco all’altezza dello svincolo di Ponte San Giovanni. Sembra che abbiano usato un pistola mitragliatrice UZI.” disse l’agente. “La prego, sovrintendente, non dica altro. Voglio solo sapere come sta Selvaggia!” risposi al massimo dell’agitazione. “In questo momento si trova in una sala di terapia intensiva. Mi dispiace, è tutto quello che so dirle!” rispose affabilmente. “OK! La ringrazio. Arriverò direttamente da Roma con l’elicottero. Arrivederla!”
42
Paolo Maria Mariotti
Rimasi come inebetito per qualche minuto, incapace di muovermi e di guardarmi intorno. Non mi ero accorto nemmeno che Antonio era rientrato e che aveva ascoltato tutta la conversazione. “Sta calmo, Beppe! Adesso chiamo i ragazzi e faccio preparare l’elicottero. In men che non si dica saremo a Perugia.” Non risposi. La testa mi scoppiava mentre continuavo a pregare fra di me :<Non lei, ti prego Signore! Ti prego, fa che non muoia…> Arrivammo all’ospedale dopo circa quarantacinque minuti. Mi precipitai attraverso l’ingresso del centro traumatologico, dando la mia identità all’infermiera dell’accettazione la quale mi indirizzò ad una sala d’attesa dove – e tenne a precisarlo con estrema fermezza – qualcuno sarebbe venuto a parlarmi non appena ci fosse stato qualcosa di nuovo. Il cambiamento improvviso dall’azione all’inazione mi disorientò enormemente. Restai per qualche minuto in piedi sulla soglia della sala d’aspetto a cercare di capire, con il cervello completamente vuoto, che cosa era successo. Quando arrivò Bernetti, che intanto aveva predisposto alcuni dei nostri uomini a controllare le entrate, mi trovò seduto su una poltroncina di plastica intento a leggere un opuscolo che spiegava che quell’Istituto era il migliore per i servizi medici d’emergenza e che il Centro Traumatologico era all’avanguardia della tecnologia medica d’emergenza. Chiudeva dicendo che il tale Centro richiamava i migliori talenti della chirurgia mondiale e sceglieva solo quelli di levatura assolutamente superiore. <Ma saranno abbastanza in gamba?> pensai addolorato. Persi completamente la nozione del tempo e rimasi in attesa con la paura di guardare l’orologio e di capire il significato del tempo che passava. Feci riaccompagnare a casa mia madre e mia suocera che non riuscivano a darsi pace. Rimasi solo. Completamente solo, nel mio mondo circoscritto. Pensavo che Dio mi aveva dato una moglie stupenda che amavo più della stessa mia vita; che il mio primo dovere di marito era di proteggerla contro un mondo spesso ostile; che ero venuto meno a quel dovere e per questo motivo la sua vita adesso era nelle mani di persone estranee. La cultura e le capacità che avevo, in quel momento erano completamente inutili. Era l’impotenza totale e qualche entità malefica impadronitasi della mia mente continuava a formulare dei pensieri che mi facevano cadere sempre più in uno stato di torpore catatonico.
Il soglio infangato
43
Per ore e ore guardai il pavimento, poi le pareti, incapace perfino di pregare, con la mente che cercava rifugio nel vuoto. Antonio sedeva in silenzio accanto a me, immerso anche lui in un suo mondo privato. Aveva visto scomparire la propria compagna per mano di un pazzo omicida. Non aveva niente da dire, nessun incoraggiamento da prodigare, se non starsene lì seduto, perché era certo che io, malgrado l’assenza di ogni manifestazione, sapevo di avere un amico a portata di mano. Insieme continuammo a guardare la parete e lasciar passare il tempo. Fuori cominciò a piovere; una pioggia fredda e ostile che si accordava perfettamente con le mie sensazioni. “Signor Biavati?” Era un medico. Forse un medico. Indossava un camice di carta verde e una specie di uose del medesimo colore sulle scarpe da ginnastica. Il camice era macchiato di sangue. <Non deve aver superato i quaranta> pensai. Il viso era serio e stanco. La targhetta sul camice lo descriveva come il dottor Roberto Cantucci, viceprimario di chirurgia traumatica. Feci per alzarmi, ma le gambe non risposero. Con un cenno il medico mi invitò a restare seduto. Si avvicinò lentamente e si lasciò cadere sulla sedia accanto alla mia. <Che notizie mi porti?> La mente urlava per avere notizie e al tempo stesso era terrorizzata all’idea di sapere che cosa era successo a Selvaggia. Il medico fece una pausa prima di attaccare. <Adesso vengono le brutte notizie…> “Sua moglie sta molto male…” Mi sentii soffocare. Il pugno di ferro che mi stringeva lo stomaco si allentò di un millimetro. <Almeno è viva!> “Dal rapporto della stradale, risulta che la raffica di mitraglietta ha reciso le cinture di sicurezza per cui, quando la vettura ha urtato contro il muretto spartitraffico, la sua signora è stata violentemente scagliata in avanti. La tibia e il perone di entrambe le gambe sono fratturati, così il femore destro. Anche tutte le costole di destra e sei di sinistra sono fratturate: un caso classico di sfondamento del torace. Non può respirare spontaneamente ma ci pensa il respiratore; la situazione è tuttavia sotto controllo. E’ arrivata con estese lesioni emorragiche interne, grave danno al fegato, alla milza e al grosso intestino. Il cuore si è fermato subito dopo l’arrivo in o-
44
Paolo Maria Mariotti
spedale, probabilmente – direi quasi certamente – per diminuzione del volume sanguigno. Lo abbiamo riattivato immediatamente e iniziato il reintegro della circolazione del sangue.” Cantucci continuava a parlare in fretta. “Anche questo problema è superato. Il dottor Fortini ed io abbiamo operato per quasi cinque ore: abbiamo dovuto asportare la milza – va bene, si vive anche senza milza -, il fegato presenta una vasta frattura a stella e la lesione dell’arteria principale che gli fornisce il sangue. Abbiamo dovuto asportare circa un quarto dell’organo – anche questo non è un problema -. Credo di aver riparato la lesione dell’arteria e credo che la riparazione terrà. Il fegato è importante, ha un compito essenziale nella produzione delle cellule del sangue e nell’equilibrio biochimico del corpo. Non si può vivere senza. Se il fegato resta funzionale… probabilmente se la caverà. La lesione all’intestino è stata facile da riparare, ne abbiamo asportato circa dieci centimetri. Le gambe sono immobilizzate, le sistemeremo poi. La frattura delle costole, beh, fa male, ma non è pericolosa. Il cranio ha subito una bella botta e vedremo al risveglio se si è lesionato qualche condotto importante, anche se resto dell’opinione che la botta più forte l’ha avuta il torace. Ha una commozione cerebrale, ma, non essendoci segni di emorragia interna, la cosa ci conforta.” Si stava passando la mano sulla barba ispida. “La situazione è tutta legata sulla funzionalità del fegato” riprese. “Se resterà come è ora, è probabile che la sua signora guarisca completamente. Teniamo d’occhio con molta attenzione il quadro sanguigno e sapremo qualcosa di più preciso entro, diciamo, otto o nove ore.” “Tanto così?”. Il mio viso, credo, si contorse per la sofferenza. I pugni si strinsero. <Può ancora darsi che muoia…>. “Signor Biavati” disse il chirurgo guardandomi “so cosa prova. Se l’elicottero non ci avesse portato subito sua moglie, adesso sarei qui a dirle che è morta. Se avesse tardato di cinque minuti o anche meno, non ce l’avrebbe fatta. Questo per dirle come è stato minimo il margine. Però, adesso è viva e le do la mia parola che stiamo facendo tutto quanto è in nostro potere per salvarla. E il nostro meglio è il meglio in assoluto. Non dovrei essere io a dirlo, ma la mia equipe di medici e infermieri è la migliore del mondo in questo settore. Punto e basta. Nessun altro è a questo livello. Se c’è un modo di salvarla, noi lo troveremo.” “Posso vederla?” chiesi pregandolo.
Il soglio infangato
45
“No” rispose il dottor Cantucci, scuotendo la testa. “In questo momento è in rianimazione. La teniamo asettica come in sala operatoria: la più piccola infezione può essere letale per i traumatizzati. Mi dispiace, ma sarebbe troppo pericoloso per lei. Il mio personale la tiene costantemente sotto osservazione. Un’infermiera passa a vederla a intervalli di pochi secondi e la squadra di medici e infermieri è a pochi metri di distanza.” “OK!” dissi quasi boccheggiando. Appoggiai la testa alla parete e chiusi gli occhi. <Ancora nove ore? Tanto non hai scelta. Devi aspettare. Devi fare come dicono loro…> “OK!” ripetei. Il chirurgo si allontanò seguito da Antonio e in quel mentre entrarono due uomini. Il più alto dei due, con un vago accento americano disse: “Dottor Biavati?” Alzai gli occhi. L’americano con voce gentile riprese: “Mi chiamo James Thunder. Sono l’addetto legale dell’ambasciata degli Stati Uniti.” Tirò fuori di tasca una busta celeste e me la porse: “Il Presidente Reynolds mi incarica di consegnarle questa e di aspettare la risposta.” Sbattei più volte le palpebre, poi aprii la busta e ne estrassi un foglio dello stesso colore. Il telegramma era breve, cortese e preciso. <Che ora era negli Stati Uniti?> mi domandai. <Che dire?> “La prego di riferire al Presidente che sono molto grato della sua sollecitudine. Mia moglie è in condizioni critiche e non sapremo nulla per le prossime otto o nove ore. Dica al Presidente che sono profondamente commosso per la sua partecipazione.” Thunder prese qualche appunto, poi se ne andò quasi subito sostituito dal Questore e da un generale dei Carabinieri. Non avevo voglia di parlare, ma dopo le loro prime parole mi resi conto che dovevo ascoltarli per cercare di ricostruire tutto il fatto. “Vede, dottor Biavati…” disse il Questore ad un certo punto “…abbiamo potuto ricostruire il tutto con la registrazione dei colloqui tra la nostra pattuglia e la centrale operativa. Se vuole ascoltare, potrà rendersi conto personalmente…” “Va bene, signori. Tanto abbiamo molto tempo…” risposi di mala voglia. <Centrale, qui pattuglia 12! Ci siamo lasciati sfuggire un’auto sportiva rossa che ha rallentato prima che potessimo stabilire la velocità… Un momento c’è un furgone che sta continuamente cambiando di corsia ad alta velocità. Controlla targa CB010SD. Passo!>
46
Paolo Maria Mariotti
<Auto 12, qui centrale. D’accordo! Tenete il canale aperto…Chiudo!> <Ehi, si sta affiancando alla vettura sportiva…> <Cosa? Madonna. Hanno sparato con una mitragliatrice. La vettura ha sbandato ed è finita violentemente contro il muretto. C’è un principio d’incendio. Centrale, chiediamo urgente intervento elicottero…> <Auto 12, qui centrale. Abbiamo sentito, ma niente elicottero, per il momento. Forse i carabinieri…> <Bene, centrale. Il furgone fugge in direzione Collestrada. L’agente Incerti rimane sul posto, io tento l’inseguimento.> <Auto 12, qui centrale. Segui il furgone, ma senza avvicinarti troppo. Mandiamo altre pattuglie. Passo…” <Centrale, qui 12. Il furgone si sta dirigendo ad alta velocità verso Foligno... Madonna, sparano…> “Ecco, dottore, queste sono le ultime parole dell’agente Fontana, prima che venisse ucciso da una raffica di mitragliatrice” disse il Questore. “Sappiamo che lei, circa due anni fa, ha avuto a che fare con una pericolosa banda di spacciatori… Pensa che qualcuno sfuggito alla cattura, voglia vendicarsi in qualche modo?” “No, assolutamente. Lo escludo. La banda fu interamente sgominata e il capo è morto. Lei, generale, questo lo sa molto bene. No, è qualcos’altro di cui ancora non riesco a rendermi conto. Potrebbero aver sbagliato persona…” risposi, poco convinto delle mie stesse parole. Parlammo ancora per una decina di minuti, mentre il mio viso impallidiva di rabbia man mano che rispondevo alla meno peggio a quella lunga sequela di domande. Poi, finalmente, fui di nuovo solo.
Il soglio infangato
47
CAPITOLO SETTIMO Chi crede in me, non crede in me, ma in Colui che mi ha mandato, e colui che vede me, vede Colui che mi ha mandato. Giovanni 12,44
Come la maggior parte dei militari di carriera, il maggiore Antonio Bernetti non amava molto la stampa. Il lato ironico era che avevo pensato molte volte che il suo era un atteggiamento sbagliato, che la stampa era importante quasi quanto i carabinieri per la tutela e la conservazione della democrazia. In quel momento però, che mi vedeva incalzato con raffiche di domande che spaziavano dalla più assoluta stupidità alla sfacciata invadenza della sfera privata, sbottò e mandò tutti bellamente al diavolo, ordinando, nel frattempo, ai ragazzi della squadra speciale che ci avevano accompagnato, di non far entrare più nessuno. Una visita, però, non potei rifiutarla: quella dell’arcivescovo! “Marchese…” disse l’alto prelato con voce che grondava simpatia “… mi risulta che le condizioni di sua moglie siano in lieve miglioramento. Spero che le mie preghiere, unite a quelle del cardinale Valloret contribuiscano e…” “La ringrazio, eccellenza!” risposi seccamente “… ma se ora vuole scusarmi…” Me ne andai piantandolo su due piedi. <Ma si! Idiota che non sono altro! Valloret! Ecco chi c’è dietro…> pensai <ma giuro che ti farò pentire di essertela presa con un’innocente!> Ero sveglio ormai da più di ventiquattr’ore. Se ci avessi riflettuto sopra un po’, mi sarei stupito di essere sveglio ed efficiente, anche se ciò poteva benissimo essere contestato da chi mi vedeva camminare. Sarei stato solo in ogni caso. Stavo percorrendo un tetro corridoio piastrellato con lo spirito di un uomo diretto al patibolo. Scrutavo le persone che
48
Paolo Maria Mariotti
incontravo per scoprire se sapevano che era tutta colpa mia se mia moglie era stata quasi uccisa, perché avevo deciso che non c’era niente di cui preoccuparsi. Credevo che tutto il mondo mi avrebbe disprezzato quanto io disprezzavo me stesso. Mia madre e mia suocera erano di nuovo lì, per cercare di sapere. “Guarirà…” balbettai appena, e le abbracciai. Mi guardarono tentando di sorridermi, ma dai loro occhi scendevano lacrime silenziose. “Ma…” disse la mamma, guardando la parete di fronte. “Non ci sono ma! Guarirà!” risposi secco. Lei tornò a guardarmi tentando di sorridermi, ma dagli occhi continuavano a scendere lacrime. “Ho parlato con il dottor Cerati… Sai l’amico di papà. E’ venuto a vedere Selvaggia: dice che guarirà, che Cantucci le ha salvato la vita…” “Lo so! Va tutto bene!” dissi, cominciando a crederlo, o quanto meno a sperarlo. Il mio mondo non era finito. No, non ancora. <Ma finirà quello di qualcun altro!> pensai cupamente. Era un pensiero silenzioso, distante, espresso soltanto nella parte del cervello che guardava al futuro, mentre ora dovevo affrontare il presente. Il tempo del dolore sarebbe finito, portato via dalle lacrime. Cominciavo a pensare al tempo in cui le mie emozioni si sarebbero acquietate – tutte meno una. L’avrei controllata e non mi sarei sentito di nuovo uomo finché non me ne fossi liberato. Il tempo del pianto ha un limite; è come se ogni lacrima porti via con sé una certa quantità di emozione. Mia suocera smise per prima di piangere e asciugò dolcemente il mio viso con una mano. Riuscii a sorriderle. “Hai bisogno di dormire, Beppe…” disse con dolcezza. “Devi cercare di star bene. Fallo per lei!” “Sì, hai ragione” risposi sfregandomi gli occhi arrossati. “Buon giorno, signore” disse Antonio rivolto a loro entrando. “Sono venuto a portarlo via…” “Bravo Antonio” disse semplicemente mia madre. “Staremo in quella pensione vicino all’ospedale…” “Staremo? Antonio, tu non devi…” tentai di protestare. “Sta’ zitto, Beppe!” mi interruppe guardandomi in cagnesco.
Il soglio infangato
49
Venti minuti più tardi eravamo in una camera. Antonio estrasse dalla tasca una scatola di Lendormil. “Il dottore dice che devi prendere una di queste!” “Non prendo pastiglie!” protestai. “Ne manderai giù una subito! Una bella pastiglia bianca. Non è una richiesta, Beppe, è un ordine! Hai bisogno di dormire.” Mi tirò la scatola e stette a guardare finché non ne ebbi trangugiata una. Quando mi risvegliai vidi davanti a me Antonio che mi metteva una tazza di caffè bollente sotto il naso. Ero riuscito a dormire qualche ora senza sogni, questa volta, e il sonno sereno aveva avuto un effetto miracoloso. Mi resi, però, conto di non aver mangiato niente da parecchio tempo ed anche il mio stomaco se ne ricordò. Feci colazione con la voracità di una belva. Poi, fresco di doccia, tornai in ospedale da Selvaggia. Indossato il camice asettico, l’infermiera mi condusse all’Unità di Rianimazione, dove vidi dopo trenta ore e più, la donna della mia vita. Quasi due giorni che mi sembravano un’eternità. Fu un’esperienza agghiacciante. Se non mi avessero detto in modo esplicito che le possibilità di sopravvivenza erano buone, sarei crollato sul posto. La bella siluette coperta di lividi dormiva per effetto degli analgesici. Era nutrita dalle fleboclisi e riceveva l’ossigeno dal respiratore. Un medico mi spiegò che le condizioni di Selvaggia erano migliori di quanto potesse sembrare: il fegato funzionava bene, date le circostanze. Entro due o tre giorni avrebbero messo a posto le gambe continuando sempre a tenere sotto controllo il cervello. “Resterà menomata?” domandai scioccamente. “No, nessuna preoccupazione a questo riguardo. Le ossa della signora si rinsalderanno perfettamente. A guardarla sembra più grave di quanto non lo sia in realtà. Il problema, in casi del genere, è superare la prima ora – nel suo caso le prime dodici -. Una volta usciti dalla crisi iniziale, se i sistemi riprendono a funzionare, i giovani guariscono veramente in fretta. Riavrà a casa sua moglie entro un mese e, ripeto, se non insorgeranno problemi cerebrali, fra due salterà come un grillo. Sembra incredibile, ma è vero! Ero qui quando l’hanno portata…” “Come si chiama?” “Mario Fortini. Il dottor Cantucci ed io abbiamo fatto il grosso del lavoro chirurgico… Ce la siamo vista brutta… Dio, quanto brutta! Ma abbiamo vinto, OK? Abbiamo vinto! E lei la riporterà a casa…”
50
Paolo Maria Mariotti
“Grazie… è una parola insufficiente, dottore”, balbettai, ma non sapevo che cosa altro aggiungere al medico che aveva salvato la vita di mia moglie. Rimasi per un po’ seduto al capezzale di Selvaggia, ascoltando la macchina che respirava per lei e sussurrandole dolci parole come se potesse sentirmi. L’infermiera mi sorrise dietro la mascherina, invitandomi ad uscire per lasciarle fare il suo lavoro. Baciai Selvaggia sulla fronte e uscii. Mi sentivo meglio sotto tutti i punti di vista, ma restava ancora una cosa in sospeso: trovare le persone che avevano fatto del male alla mia donna! Tornai a casa, a Perugia, e lungo il viale trovai un’auto della Polizia ad attendermi. Il colloquio con i poliziotti che indagavano sull’attentato fu molto breve, dal momento che confermai di essere completamente all’oscuro di quanto era accaduto. “Avete qualche idea sull’identità degli attentatori?” chiesi alla fine. “Stiamo facendo verifiche ovunque” rispose un giovane commissario “però se questi individui sono in gamba come sembra, adesso saranno parecchio lontani.” “Credo che siano maledettamente in gamba!” risposi con amarezza. Li riaccompagnai all’auto e li vidi partire. La casa era vuota senza Selvaggia, senza i suoi scoppi di buonumore. Per qualche istante mi aggirai per le stanze vuote sperando di trovarmela improvvisamente vicina e sorridente. Non volevo sedermi perché sarebbe stato come accettare di essere solo. Andai in cucina e mi versai una birra, ma la buttai nel lavandino: non volevo ubriacarmi, era meglio mantenere lucida la mente. Chiamai Antonio. “Sono Beppe!” “Dimmi!” rispose la voce amica. “E’ ora di riprendere il discorso da dove lo abbiamo interrotto. Dobbiamo tornare a Roma!” “Quando?” “Domani mattina presto. Fai preparare l’elicottero e lascia i ragazzi di guardia a Selvaggia.” Chiusi la comunicazione e andai a cercare una valigetta dalla quale tirai fuori la mia pistola Beretta M9/92F da 9 mm.
Il soglio infangato
Trascorsi lâ&#x20AC;&#x2122;ora successiva a pulire e oliare la pistola. Quando fui soddisfatto la caricai.
51
52
Paolo Maria Mariotti
CAPITOLO OTTAVO La mia Casa sarà chiamata Casa di preghiera. Voi invece, ne fate una spelonca di ladroni. Matteo 21,13
Il mattino seguente Antonio, io e alcuni ragazzi del nostro gruppo facemmo rientro alla base operativa di Ciampino, alle prime luci dell’alba. Ero riuscito a mettere insieme altre quattro ore di sonno, quindi mi ero alzato e avevo sbrigato il rituale del caffè e della colazione. Arrivammo alla base che il sole si era levato da poco. Chiamai tutta la squadra A.E.T. a rapporto. Mancavano solo i cinque che avevo lasciato a prendersi cura dell’incolumità di Selvaggia e dei nostri genitori. Potevo fidarmi, l’avrebbero protetta anche a costo della loro vita. Per prima cosa mi rivolsi a Chiarini: “Allora Marco, hai terminato con tutti i tuoi riscontri?” “Si, capo. Certamente!” rispose tranquillo. “OK! Spiegaci tutto!” “Come ha detto il professor Bartoloni, la morte di Sua Santità risale tra le ore 21.00 e le 21.30. Il veleno ha agito in fretta facendo saltare il cuore. Hanno usato la digitalina perché tende a confondere le acque. Considerando che non sarebbe stata autorizzata alcuna autopsia, la somministrazione di questo veleno avrebbe avallato la diagnosi superficiale di qualsiasi medico. Arresto cardiaco. E tutto ciò lo sappiamo già. Quello che ancora non si sa è che alcune impronte digitali rilevate sulle carte trovate in mano al Papa, sulle fiale delle medicine e sul bicchiere non appartengono tutte alla stessa persona. Ho trovato sia le impronte di Giovanni XXIV che le impronte di uno sconosciuto. Da escludersi quelle di suor Valentina e dei due preti che erano con noi.” “Indizio labile, ma pur sempre un indizio. Ciò conferma che qualcuno che non conosciamo fra le 21.00 e le 21.30 è entrato nell’appartamento privato del Papa e ha versato la digitalina nel bicchiere evitando di prendere delle precauzioni, forte del fatto che la morte, oltre a creare costernazione in
Il soglio infangato
53
tutto il mondo, non avrebbe poi creato fastidi di alcuna sorta. Che ne dici, Antonio?” chiesi rivolto al mio amico. “Dico che Chiarini deve continuare a cercare prove e che Syd e John debbono trovare a tutti i costi quel tenente della Guardia Svizzera…- Come si chiama… ah, sì Hoffmann - padre Mc Donalds e monsignor Lucidi che si sono volatilizzati troppo frettolosamente. Oltre a suor Valentina, anche lei uccel di bosco. Inoltre…” continuò “… noi dobbiamo riprendere l’esame delle carte. Che ne dici?” “Perfetto! Allora, Syd e John” dissi rivolgendomi ai due ufficiali americani”, voi due e le vostre squadre cominciate a setacciare Roma, il Veneto, la Svizzera, ma dovete rintracciarmi le persone di cui abbiamo parlato finora. E prima è, meglio è per tutti.” Rimasti soli, Antonio ed io tirammo fuori nuovamente le carte “segrete” del Papa e ricominciammo a svolgere la trama del film. Perché sembrava proprio di essere sul set di un film. “Parlavamo di Sicari, se ben ricordo... e delle banche che aveva acquistato. L’ultima in Svizzera, la BANQUE DE FINANCEMENT di Ginevra o FINABANK di cui era titolare in gran parte il Vaticano e anche questa poco più di un canale illegale per la fuoriuscita di denaro dall’Italia. Dopo l’acquisto del pacchetto di maggioranza da parte di Sicari, il Vaticano conserva ancora il ventinove per cento delle azioni della banca. Anche la Hambros di Londra e la Continental Illinois di Chicago avevano una compartecipazione nella FINABANK. Il fatto che tre maestose istituzioni come la Vatican Incorporated, la Hambros e la Continental fossero legate in modo così stretto a Sicari, mostra chiaramente che egli doveva dirigere le sue banche in maniera esemplare. O no? Camillo Bolloni scoprì una realtà diversa. Quando incontrò per la prima volta Sicari era stato da poco licenziato dalla FIRST NATIONAL CITY BANK di New York, filiale di Milano, per aver ecceduto nelle transazioni di cambio estero. Sicari gli mostrò subito simpatia e gli offrì di interessarsi del cambio estero per la BANCA PRIVATA FINANZIARIA. Considerando che l’ammontare dei depositi della banca erano inferiori a quindici milioni di dollari, Bolloni rifiutò. Paragonato al giro d’affari della City Bank, questo era un ben misero cambio. Inoltre, in quel periodo la banca non era neppure un’agenzia, per cui non era autorizzata a trattare valuta estera. Era sconosciuta in campo internazionale e secondo Bolloni
54
Paolo Maria Mariotti
con nessuna possibilità di inserirsi nell’esclusivo mondo delle banche internazionali. Bolloni ebbe un’idea migliore. Perché non creare una società internazionale di mediazione? Sicari si mostrò visibilmente eccitato a questa proposta e diede il suo assenso per il progetto senza alcuna esitazione. L’operazione chiamata MONEYREX, basata all’inizio su un codice etico, diede notevoli risultati con utili superiori ai due miliardi di dollari – utili che nelle mani di Sicari sparivano immediatamente, prima che le autorità fiscali potessero agire. Ma Sicari, voleva qualcosa di più degli onesti profitti per cui suggerì a Bolloni di incanalare la maggior quantità possibile di valuta estera nelle sue banche. Bolloni gli fece notare che esistevano molte difficoltà che rendevano l’idea inattuabile. Lo Squalo cominciò ad innervosirsi e consigliò a Bolloni di ricordarsi della sua forza di persuasione e del suo potere. Bolloni, a sua volta, ribadì che erano proprio quelle le difficoltà di cui aveva parlato. Nel caso Sicari avesse avuto qualche dubbio, Bolloni gli disse: “La tua forza è la Mafia e il tuo potere è la Massoneria. Non intendo rischiare il mio buon nome ed il successo della MONEYREX solo perché me lo chiede un mafioso”. Alla fine, la prudenza di Bolloni prevalse sul suo coraggio e acconsentì a rivedere certe operazioni. Ciò che trovò spiega molte cose, sia sul conto del Vaticano, della Hambros e della Continental, sia su quello di Sicari. Bolloni trovò numerosi conti scoperti senza nessuna garanzia reale e per un ammontare di gran lunga eccedente il limite legale di un quinto del capitale e delle riserve. Scoprì anche grossi furti. Il personale trasferiva ingenti somme di denaro dai conti dei depositanti senza che questi ne fossero a conoscenza. Queste somme erano poi trasferite sui conti della Banca Vaticana. Questa, a sua volta, trasferiva le cifre, meno una provvigione del quindici per cento, sul conto di Sicari alla FINABANK. La provvigione del quindici per cento, pagata al Vaticano, era una cifra variabile, dipendente dal corso di cambio attuale che veniva operato sul mercato nero monetario. Bolloni scoprì anche che il direttore generale della FINABANK trascorreva tutto il giorno speculando con azioni, merci e mercati monetari. Se perdeva, la perdita era trasferita sul conto del cliente. Se vinceva, i profitti erano suoi. “Hai capito, Anto’? Da questo ci vuole poco a capire chi ha cercato di togliere di mezzo Selvaggia. Non credi? E’ il classico avvertimento mafioso. Bisogna assolutamente aumentare la sorveglianza intorno all’ospedale,
Il soglio infangato
55
ai miei e suoi genitori. Parlane anche con il tuo generale. Ho timore che ci riproveranno. Non subito… ma cercheranno di farmela pagare. Me lo ha fatto capire chiaramente anche Valloret.” “Valloret il cardinale? Come?” chiese Antonio pensieroso. “Mi ha telefonato accusandomi di aver preso le carte e mi disse che avrei fatto meglio a restituirle, per la mia salute, eccetera, eccetera…” risposi tranquillamente. “Ah, siamo a questo punto? Bene, speriamo che queste carte ci diano la possibilità di mettere dei bei braccialetti intorno a parecchi polsi.” Riprendemmo l’esame dell’incartamento, ma il mio pensiero, in quel momento, non si staccava da Selvaggia. “Lo IOR, oltre ad essere comproprietario della FINABANK, aveva anche un certo numero di conti. Bolloni scoprì che questi conti riflettevano esclusivamente gigantesche operazioni di speculazione che si concludevano con perdite colossali. Queste perdite, così come quelle di qualsiasi altro, erano finanziate da una società fantasma, la LIBERFINCO (LIBERIAN FINANCIAL COMPANY) nella quale Bolloni, durante un’ispezione, rilevò una perdita di trenta milioni di dollari. Quando poi apparvero sulla scena gli ispettori svizzeri, la perdita della LIBERFINCO era salita a quarantacinque milioni di dollari. Gli svizzeri, senza tanti complimenti, dissero a Sicari, al Vaticano, alla Continental Illinois e alla Hambros che avevano quarantotto ore per chiudere la LIBERFINCO, altrimenti avrebbero dichiarato la bancarotta della FINABANK. Un altro amico di Sicari, Gianluca Classici di Cassago, dimostrò di avere idee brillanti. Tramite un espediente contabile che non implicava esborsi effettivi di denaro, chiuse la LIBERFINCO ed aprì un’altra società, l’ARAN INVESTIMENT di Panama, con un deficit immediato di quarantacinque milioni di dollari. Quando Bolloni fece notare quanto strane fossero quelle cose, Sicari lo insultò e lo gettò fuori dall’ufficio. Gli affari continuarono come al solito in entrambe le banche, Bolloni cercò di uscirne fuori, ma Sicari usò una delle sue tecniche preferite: il ricatto. Anche Bolloni aveva trasgredito nelle sue speculazioni estere. Cosa sarebbe successo se qualcuno lo avesse riferito al governatore della Banca d’Italia?” Mentre eravamo intenti nella delicata operazione di ricostruzione dei movimenti di queste “degne” persone, il mio cellulare cominciò a trillare convulsamente. Guardai il display più per riflesso che per curiosità.
56
Paolo Maria Mariotti
NO NUMERO - <Bah> pensai <chi sarà?!> “Pronto?” “Marchese Biavati…” disse una voce dallo strano accento che non riuscii a ricollegare ad alcun luogo “…la prossima volta saremo più precisi…” CLICK. CHIUSO! “Ci siamo, Antonio! Fai mettere sotto controllo il mio cellulare anche se è troppo tardi, ormai. Parlane con Allegrini. Vediamo se quel testone è capace di fare qualche cosa di buono” dissi con aria disgustata. “…Poi fai aumentare la sorveglianza a Selvaggia. Subito. Tutti, medici e infermieri compresi, devono essere controllati all’entrata e all’uscita, magari usando molto tatto. Sicuramente ci riproveranno e non sarò tranquillo fino a quando non la porterò via da quell’ospedale per trasferirla in qualche località segreta più sicura.” “OK! Provvedo immediatamente!” Rimasto solo, pensai di telefonare al ministro dell’Interno. “Signor ministro, sono Biavati!” “Buongiorno, dottore. Innanzi tutto mi lasci esprimere tutto il mio orrore per quanto è accaduto alla sua signora. Sono delle bestie, ecco quello che sono…” Poi, passando ad altro, chiese: “Novità?” “Nessuna di rilievo, tranne che ho appena ricevuto una minaccia. Ci riproveranno. Ma questa volta non ci coglieranno impreparati. Per quanto riguarda l’altro affare, conto di essere più preciso solo fra qualche tempo. No… non le posso anticipare nulla… Per il momento meno si sa e meglio è. Anche per l’incolumità di tutti. “Va bene. Vorrà dire che aspetterò. Arrivederci, dottore!” “Arrivederci, signor ministro!” <Devo assolutamente terminare la ricostruzione di tutto questo can can> pensai <e con l’aiuto di questi documenti ci riuscirò. Sicuramente, più andrò avanti e più porcherie scoprirò e l’assassino di Giovanni XXIV comincerà a sentire il mio respiro sul collo>.
Il soglio infangato
57
CAPITOLO NONO Voi non capite niente, né vi rendete conto che è più vantaggioso per voi che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca tutta un’intera nazione. Giovanni 11,40
Quando Antonio rientrò, dopo avermi fatto cenno di aver sistemato tutto, riprendemmo l’esame dei documenti. “Dove eravamo rimasti?” dissi. “Ah, si…! Bolloni… Durante uno dei loro incontri Sicari gli disse che non sarebbe mai stato un banchiere perché non solo non era capace di mentire, ma era anche un uomo con dei principi che non avrebbe mai saputo usare l’arma del ricatto. Se Sicari avesse saputo che nel frattempo Bolloni aveva cominciato a trasferire su alcuni conti segreti in Svizzera più di 45 milioni di dollari che appartenevano alle sue operazioni, probabilmente gli avrebbe dimostrato più rispetto. Sicari divenne un maestro del ricatto. A parte la sua innata abilità in questo campo, aveva un’educazione mafiosa e aveva anche a sua disposizione il talento del più esperto ricattatore che abbia mai praticato quest’arte: Lucio Grilli. Mentre Sicari saliva in alto attraverso la giungla finanziaria di Milano, Grilli ascendeva la complessa struttura di potere della politica sudamericana. (Grilli si creò una base di potere che cominciò a diffondersi in gran parte del Sud America. Erano sempre i ricchi ed i potenti, o quelli potenzialmente ricchi e potenti che Grilli corteggiava. Se qualcuno lo pagava abbastanza, Grilli lavorava nel suo interesse). Un generale qui, un ammiraglio lì, politici, importanti funzionari statali. - Mentre Sicari coltivava le sue amicizie ritenendo che il potere consiste nel denaro, Grilli attraverso i suoi nuovi amici aspirava alla parte del vero potere: la conoscenza. – Informazioni, documenti personali su questo banchiere, il dossier segreto su quel politico – questa rete si estendeva dall’Argentina al Paraguay, al Brasile, alla Bolivia, alla Colombia, al Venezuela, al Nicaragua. Addirit-
58
Paolo Maria Mariotti
tura in Argentina acquistò la doppia nazionalità e divenne consigliere economico per quel Paese, in Italia. Uno dei suoi compiti principali era negoziare e preparare l’acquisto di armi per l’Argentina. Carri armati, aerei, navi, installazioni radar e i micidiali missili Exocet. Prima di tutto questo, le sue posizioni non erano molto prestigiose. In Italia comprendevano il posto di direttore generale di una società, la R. R., in Toscana, del cui consiglio di amministrazione faceva parte anche Sicari. Sempre ansioso di aumentare la sua sfera di potere e di influenza, Grilli pensò di utilizzare come mezzo appropriato il ripristinato movimento massonico di cui entrò a far parte in una Loggia tradizionale. Salì rapidamente al terzo grado della gerarchia e ciò lo rendeva eleggibile alla guida di una Loggia. Fu il Gran Maestro Giorgio Gamboni a esortare Grilli a riunire una cerchia di personaggi influenti, alcuni dei quali alla fine sarebbero potuti diventare Massoni e che comunque sarebbero stati utili allo sviluppo della legittima Massoneria. Grilli colse al volo l’occasione. A questo gruppo fu dato il nome di Raggruppamento Grilli PI-2. PI stava per “Propaganda”, il nome di una storica Loggia del XIX secolo. Inizialmente comprendeva alti gradi delle Forze Armate andati in pensione; attraverso essi, Grilli entrò in contatto con i capi in servizio attivo. La rete che aveva tessuto doveva coprire gradualmente l’intera struttura del potere in Italia. Gli ideali e le ispirazioni di un’autentica Massoneria furono rapidamente abbandonati, sebbene non ufficialmente. Lo scopo di Grilli era diverso: controllare l’Italia da una posizione di assoluta potenza. Questo controllo avrebbe dovuto funzionare come uno Stato segreto nello Stato, a meno che non fosse successo l’imponderabile. Poteva sembrare il disegno di un pazzo, ma bisogna tener presente che solo in Italia appartenevano alla PI-2 il comandante delle Forze Armate, i capi dei Servizi Segreti, il capo della Guardia di Finanza, ministri e politici di ogni partito, trenta generali, otto ammiragli, direttori di giornali, funzionari della televisione, industriali e banchieri, compresi Ruggero Capelli e Marco Sicari. Diversamente dalla Massoneria tradizionale, la lista dei membri PI-2 era così segreta che solo Grilli conosceva tutti i nomi. Comunque il ricatto era la tecnica predominante! Quando un “bersaglio” si univa alla PI-2, era obbligato a dimostrare la sua lealtà mettendo a disposizione di Grilli documenti che avrebbero potuto compromettere non solo il nuovo membro, ma anche altri possibili bersagli.
Il soglio infangato
59
Nel mondo della PI-2 niente è libero. Lucio Grilli aveva contatti e soci dappertutto, anche i membri dell’esercito privato costituito in Bolivia dall’ex capo della Gestapo, Klaus Barbie. Il gruppo prendeva il nome di “Fidanzati della morte”. Si eseguivano assassini politici su ordinazione, compreso quello del leader socialista boliviano Marcelo Quiroga Cruz. Interruppi per un istante e mi rivolsi ad Antonio: “Dobbiamo controllare questo gruppo… Se ancora opera… Dove opera… Chi ne è il capo… E via dicendo. Potrebbe aver messo lo zampino anche nella morte di Giovanni XXIV.” “OK, provvederò. Mi metterò in contatto con la Criminalpol di La Paz, sperando che sappiano dare risposte esaurienti…” rispose il maggiore Bernetti. “Bene, riprendiamo…” Ad un certo punto compare in Argentina un membro della PI-2, Josè Lopez Roda, il creatore dei famigerati squadroni della morte “Tripla A”. Non solo, Roda aveva creato anche una vasta “connection” per il contrabbando della cocaina tra l’Argentina e gli Stati Uniti. Grilli era molto bravo nel vendere la sua particolare visione del mondo, come lo era stato una volta nel vendere materassi. Avere una gamma di amici intimi e soci che comprendevano uomini come Roda e Barbie e l’inquietante cardinale Pietro Batti, è un’impresa degna di nota. Come Grilli, il cardinale è toscano. La sua carriera comprende quaranta anni nel servizio diplomatico del Vaticano.> “Questo è un mio parere, Anto’. A Batti non sono mancati sostenitori nel Conclave che poi ha eletto Giovanni XXIV. Il cardinale Batti fu solo una delle molte porte attraverso cui Grilli entrò in Vaticano… Cenava sempre più spesso con il vescovo Martins. Aveva numerose udienze con il precedente Papa. Molti cardinali, arcivescovi, vescovi, monsignori e sacerdoti che oggi negano di aver avuto qualsiasi rapporto con Grilli, erano invece felicissimi di essere visti in sua compagnia.” <Uno dei piiduisti più intimi di Grilli era l’avvocato e uomo d’affari Ulderico Ozzieri. Come il “Burattinaio”, Ozzieri imparò molto presto il valore delle informazioni segrete. Cattolico romano, quando era ancora giovane pensava che uno dei reali centri di potere era al di là del Tevere, nel Vaticano. Di conseguenza penetrò nel Vaticano e nei suoi corridoi nel modo più completo.
60
Paolo Maria Mariotti
Molto spesso prelati erano a pranzo in casa Ozzieri. I suoi eccellenti rapporti con il Vaticano risalgono al momento in cui fu presentato al cardinale Lascano, uomo che esercitava un’enorme influenza sulla Chiesa e che era destinato a diventare uno dei quattro moderatori del Concilio, essendo considerato dai più un liberale illuminato, capace di contribuire alla realizzazione di molte riforme. Ozzieri era generalmente conosciuto come il cugino del cardinale, supposizione errata che però lui si guardava bene dallo smentire. Durante gli incontri preparatori del Conclave che elesse il precedente Papa, il problema centrale era se si dovesse continuare l’opera di Giovanni XXIII o se il Papato dovesse ritornare alla matrice reazionaria di Pio XII. I “liberali” avevano bisogno di un luogo sicuro per discutere la strategia da adottare. Lascano, uno di loro, chiese a Ozzieri di ospitare l’incontro che, naturalmente, si tenne nella villa dell’Ozzieri pochi giorni prima del Conclave. Questo incontro segretissimo fu il fattore più importante in ciò che successivamente accadde in Conclave. Dopo pochi mesi, il nuovo Papa concesse a Ozzieri l’onorificenza di GENTILUOMO DI SUA SANTITA’. Successivamente Ozzieri ebbe altri onori e ricompense da parte del Vaticano. Riuscì perfino a far affiliare Lucio Grilli, un non cattolico, all’ordine dei Cavalieri di Malta e del Santo Sepolcro. Amico intimo del cardinale Casoli, l’uomo comunemente noto come il Kissinger del Vaticano a causa del suo attivismo in politica estera, l’avvocato Ozzieri procurò al maestro della PI-2 impareggiabili entrature in qualsiasi parte del Vaticano. La lista degli affiliati alla PI-2 si allungava sempre più. L’intima connessione – questa è una parte che ci riguarda – tra la PI-2 e il Vaticano era, come tutte le alleanze di Grilli, utile ad entrambe le parti. La cosa più bizzarra è che vari cardinali, vescovi e sacerdoti erano ben disposti verso questo figlio bastardo della Massoneria ortodossa. La Chiesa Cattolica Romana aveva considerato per molti secoli i Massoni figli del male. L’organizzazione era stata ripetutamente condannata ed aveva ispirato almeno sei Bolle Papali che erano state dirette specificatamente contro di essa; la prima, IN EMINENTI, era stata emanata nel 1738 da Papa Clemente XII. La Chiesa considera questa Società come una religione alternativa controllata da malvagi e ritiene che uno degli scopi principali della Massoneria sia quello di distruggerla. Di conseguenza, qualsiasi cattolico che
Il soglio infangato
61
venga scoperto ad esserne membro è soggetto all’automatica scomunica da parte della Chiesa. Non c’è dubbio che alcuni storici movimenti rivoluzionari usarono la massoneria nelle loro controversie con la Chiesa. Vedi Garibaldi. Oggi, invece, Massoneria significa cose diverse in diversi Paesi. Tutti i massoni sono concordi nell’affermare che essa è una forza per il bene, i non massoni, al contrario, la guardano con sospetto ed ostilità. Fino a poco tempo fa, la Chiesa Cattolica Romana ha sostenuto la sua posizione: la Massoneria è un male profondo e tutti quelli che vi appartengono sono una maledizione agli occhi della Chiesa. Se questa fosse realmente l’opinione della Chiesa sulla Massoneria tradizionale, allora gli stretti legami tra la PI-2 e il Vaticano sarebbero un fatto ancora più straordinario: uno dei più piccoli ma più potenti Stati del mondo che comprende uno Stato nello Stato. La più schiacciante maggioranza dei membri della PI-2 era ed è cattolica praticante.> “E qui” dissi sfogliando il dossier “ritorna in ballo Sicari, anche lui piiduista e amico intimo di Lucio Grilli. Hanno molto in comune, non ultimo il fatto di essere entrambi controllati dalla CIA e dall’Interpol, organizzazioni che, purtroppo, non sanno lavorare in tandem. Guarda, Antonio, qui c’è una indagine su Sicari dell’Interpol che ne è una prova lampante. Un telegramma dell’Interpol di Washington alla Polizia italiana: • Recentemente abbiamo ricevuto informazioni non verificate secondo cui le seguenti persone sono coinvolte in un traffico illecito di droghe depressive, stimolanti ed allucinogene tra l’Italia, gli Stati Uniti e probabilmente altri Paesi europei. Primo dei quattro nomi della lista? Indovina… Marco Sicari. E sai cosa ha risposto la Polizia italiana? Che non aveva alcuna prova per collegare Sicari al traffico di droga. Il bello, caro mio, è che una copia della richiesta dell’Interpol e della risposta della Polizia italiana erano nelle mani di Sicari quella stessa settimana. Una richiesta simile avanzata dall’Interpol di Washington alla CIA che operava presso l’ambasciata USA di Roma e il consolato milanese, se avesse avuto una risposta onesta, presuppongo che avrebbe confermato che l’informazione dell’Interpol era esatta. A quel tempo lo schedario della CIA su Sicari era esauriente. Esponeva in dettaglio i legami di Sicari con la famiglia mafiosa newyorkese dei Garbini, con i suoi 253 membri e i 1147 soci. Dava informazioni su come le cinque maggiori “famiglie” di New York fossero coinvolte in una serie di
62
Paolo Maria Mariotti
crimini comprendenti la lavorazione e lo smercio della droga e che le droghe in questione fossero eroina, cocaina e marijuana. Negli schedari della CIA erano registrate anche le altre attività di queste famiglie mafiose: prostituzione, gioco d’azzardo, pornografia, strozzinaggio, protezione, racket, truffe e furti su vasta scala, da banche e fondi pensione. Insomma, Marco Sicari fu l’uomo scelto dal precedente Papa come consigliere finanziario del Vaticano; l’uomo scelto per via della lunga amicizia con il Papa, per modificare l’immagine fortemente affaristica assunta dalla Chiesa in Italia. Il progetto era quello di vendere a Sicari alcune delle maggiori attività inglobate ai tempi di Bernardino Nogara. La Vatican Incorporated voleva rimuovere la sua facciata “capitalistica”. Il Papa di allora nella sua enciclica citò Sant’Agostino: “Non date mai ai poveri ciò che è vostro; semplicemente restituite loro ciò che gli appartiene. Perché ciò di cui vi siete appropriati fu dato per l’uso comune di tutti. La terra è stata data a tutti, non solo ai ricchi”. Immagina, Antonio, che quando fu pronunciata questa considerazione, il Vaticano era il più grande proprietario di beni immobili del mondo. Hai capito da che pulpito viene la predica? Confrontandosi col problema di una Chiesa ricca, mentre desideravano una Chiesa povera per i poveri, il Papa e i suoi consiglieri decisero di liquidare una considerevole porzione delle loro attività italiane e di reinvestirle in altri Paesi. Così avrebbero evitato forti tasse e il reddito sugli investimenti sarebbe stato migliore. Mentre il Papa proclamava le splendide aspirazioni dell’enciclica, la Vatican Incorporated già da molti anni lavorava fianco a fianco con Sicari. Attraverso i trasferimenti illegali di valuta dalle banche italiane di Sicari, tramite la Banca Vaticana, alla Swiss Bank di cui erano entrambi proprietari, Sicari e il Vaticano se non davano i beni della creazione ai poveri, certamente li portavano fuori dall’Italia. Però, mi chiedo, come avrà fatto Giovanni XXIV a entrare in possesso di tutte queste carte? Senti, senti…” Ripresi la lettura. A quel tempo un’altra banca controllata dal Vaticano, la BANCA UNIONE, era in crisi. La Banca Vaticana ne possedeva il venti per cento ed era rappresentata da due persone nel consiglio di amministrazione. Due anni dopo che Sicari ne aveva assunto il controllo, con il Vaticano come sostanziale comproprietario, in pura teoria, la banca cominciò ad avere uno sbalorditivo successo. Puntando sui piccoli risparmiatori ed offrendo tassi di interesse superiori, i depositi della banca salirono da 35 milioni di dollari a più di 150. In teoria!
Il soglio infangato
63
“In pratica, durante lo stesso periodo, la banca fu derubata di 250 milioni di dollari. Da chi? Ovvio… da Sicari e soci.” La maggior parte di questa fortuna fu versata in un’altra Banca di Sicari, la AMINCOR BANK di ZURIGO. Quando alla Vatican Incorporated fu chiaro che la lunga battaglia con il governo italiano circa la tassazione dei dividendi azionari era persa e nel rendersi conto che mettere sul mercato il suo intero stock di azioni avrebbe significato il probabile crollo dell’economia italiana e che un’azione del genere sarebbe stata autodistruttiva, il Vaticano adottò un’altra strategia. Il Papa, insieme con il cardinale Guarini, direttore dell’A.P.S.A., decise di vendere dal portafoglio italiano uno dei patrimoni maggiori, le azioni del Vaticano nella Società Generale Immobiliare. Con un patrimonio superiore a un miliardo di dollari sparso per il mondo, quella era certamente una ricchezza molto appariscente. E ancora una volta fu interpellato Sicari, lo Squalo. Il Vaticano possedeva circa il 25 per cento dei 143 milioni di azioni. Sicari avrebbe comprato? La domanda fu posta dal cardinale Guarini. La risposta di Sicari fu immediata e positiva. Avrebbe preso il pacchetto azionario al doppio del prezzo di mercato. Guarini e il Papa erano entusiasti. (E te credo…). L’accordo tra Sicari e Guarini fu firmato in Vaticano in un incontro segreto a mezzanotte. “Anto’ non ti sembra che ci si muova un po’ troppo liberamente di notte in Vaticano?” chiesi apparentemente serio. “Già… Sembra che la Guardia Svizzera stia lì solo per il folklore…” rispose sorridendo il mio amico. Dunque… …per il Vaticano fu proprio un incontro propizio. Si dovevano vendere anche la maggior parte delle azioni che il Vaticano possedeva nelle Condotte d’Acqua, l’acquedotto romano, le sue azioni di controllo nella Ceramica Pozzi, una società di prodotti chimici e porcellane che stava subendo delle perdite. Lo Squalo sorrise, stabilì un prezzo e comprò tutto. “Chi aveva concepito esattamente l’intera operazione? Chi era l’uomo che ricevette una considerevole provvigione da Sicari e un grande elogio dal Papa e dal cardinale Guarini? La risposta è una chiara prova non solo di quanto la PI-2 fosse penetrata nel Vaticano, ma anche che gli interessi della PI-2, della Mafia e del Vaticano molto spesso collimavano.
64
Paolo Maria Mariotti
Il braccio destro di Grilli, Ulderico Ozzieri, era il responsabile dell’organizzazione dell’enorme operazione. Tutto ciò che Sicari doveva fare era pagare.”
Il soglio infangato
65
CAPITOLO DECIMO Mi cercherete e non mi troverete E dove sono io non potete venire Giovanni 7,30
“Sì, ma adesso basta con tutte queste manfrine! Poi voglio sentire mia madre se ci sono novità!” dissi stancamente ad Antonio. “Come si dice: Nessuna nuova, buone nuove! Tirati su, Beppe! Vedrai, prima di quanto ci aspettiamo la tua Selvaggia tornerà ad essere la bellissima donna di sempre!” rispose il mio amico con la voce velata di tristezza. C’era da capirlo. Lui, la sua compagna, l’aveva persa per sempre… Intanto il cellulare speciale cominciò a suonare fastidiosamente. “Oh, no! E adesso chi è che comincia a… Pronto?” “Hellò! Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America. Dottor Biavati?” “Si, sono io! Con chi parlo?” “Sono il Segretario di Stato degli Stati Uniti, dottor Biavati. Il Presidente Reynolds vorrebbe essere ragguagliato sull’andamento delle indagini” disse con una voce così stentorea che credo non abbiano fatto fatica a sentirlo ad una decina di chilometri di distanza! “Beh…” risposi esitando. “No, dottore. Non dica nulla. Domani nel primo pomeriggio sarò presso il Comando A.E.T.. Ne parleremo solo allora. In privato. Ok?” “Ok, signore. A domani.” Riferii la telefonata ad Antonio e gli diedi disposizioni per accogliere l’ospite. Poco dopo arrivarono Syd e John, i due ufficiali che avevo sguinzagliato alla ricerca dei personaggi vicini a Giovanni XXIV nel momento cruciale e che sembravano scomparsi nel nulla. “Allora?!” chiesi rivolto ad entrambi. “Ho trovato suor Valentina” rispose Syd “ma è inaccostabile. Peggio che in un carcere di massima sicurezza! E’ in un monastero di clausura chiuso come un’ostrica. Sono riuscito a saperlo facendo parlare un sacerdote del
66
Paolo Maria Mariotti
luogo davanti ad un buon bicchiere di vino e una discreta somma offerta per la chiesa. E’ arrivata come una prigioniera e sembra non possa avere contatti con nessuno all’infuori della superiora e del confessore. Anche padre Mc Donald è stato rispedito in tutta fretta negli Stati Uniti e, una volta a New York, si è completamente volatilizzato. Mi dispiace, ma questo è tutto…” “E tu, John?” chiesi. “Ho trovato monsignor Lucidi. Sotto una lapide. Un incidente d’auto in Veneto. Ho verificato e sembra sia stato investito da un autocarro militare presso un incrocio alle quattro del mattino di tre giorni fa. Nessuno ha visto nulla, nessuno sa nulla. Ho verificato nelle basi lì vicine, ma a quanto sembra nessun mezzo ha causato incidenti. Solo che i segni lasciati sul veicolo del prete sono inequivocabili: il tipo di vernice rintracciata sulla carrozzeria viene usata solo su mezzi militari” disse tutto d’un fiato. “Per dio! E Hoffmann, il tenente delle Guardie Svizzere?” insistetti. “Niente di niente. Crediamo che sia ancora a Roma sotto falso nome o che sia in Vaticano da cui, presumibilmente, gli è stato proibito di uscire. Se ne sta incaricando la squadra C di Henry Prescott sotto copertura. Speriamo bene.” Quando rincasai, solo, cominciai a riflettere. Troppe coincidenze, per essere tutto normale. Venivano a mancare i testimoni chiave di un assassinio eccellente. <Una suora che scompare nella più stretta clausura. Per ordine di chi? Un cardinale, naturalmente. Valloret? Un giovane prete americano di belle speranze che tronca di punto in bianco la sua carriera e viene rispedito negli Stati Uniti dove si perdono completamente le sue tracce. Per ordine di chi? La Curia romana? La Mafia? Un monsignore che torna a morire nella città che lo aveva visto segretario del vescovo che sarebbe poi diventato Papa. Morto in un incidente sicuramente creato ad arte. Per ordine di chi? La Mafia? La Curia? La Massoneria? Mia moglie mitragliata e quasi uccisa in un agguato organizzato. Per ordine di chi? La Mafia? La Curia? La Massoneria? Un tenente delle Guardie Svizzere volatilizzato. Per ordine di chi? Valloret? Martins? Avrei mai trovato delle risposte valide? Avrei mai dato corpo ai miei sospetti?
Il soglio infangato
67
Avrei dovuto continuare ad esaminare i carteggi di Papa Giovanni XXIV. Alla fine, forse, mi avrebbero fornito una risposta. Ripresi a leggere. Il pagamento iniziale di Sicari fu effettuato illegalmente con denaro prelevato dai depositi della B.P.F. e facendogli fare giri e controgiri attraverso banche svizzere e società controllate con sede a Vaduz. Questo enorme trasferimento illegale di denaro dall’Italia ebbe notevoli ripercussioni nell’economia. Sicari e il vescovo Martins trassero considerevoli profitti dai loro sforzi per far uscire questo denaro dall’Italia, ma l’effetto sull’economia del Paese fu disastroso. Aumentò la disoccupazione. Crebbe il costo della vita. Incuranti, Sicari e i suoi soci continuarono a speculare sui mercati. Facendo salire il prezzo delle azioni ad un livello esorbitante, le banche di Sicari si riempirono di milioni di dollari di altre persone. In quel periodo Sicari e il suo intimo amico Ruggero Capelli del BANCO AMBROSIANO, si vantavano apertamente di controllare il mercato azionario di Milano. Era un controllo che essi sfruttavano sempre più spesso in modo criminale. I giochi di borsa erano effettuati per il divertimento ed i vantaggi finanziari di Sicari e soci. La manipolazione di una società denominata Pacchetti dà un esempio delle attività quotidiane di questi galantuomini. La Pacchetti aveva cominciato come una piccola, insignificante società per la concia del cuoio. Sicari l’acquistò e decise di trasformarla in un’azienda con molteplici settori operativi. La società divenne una pattumiera commerciale contenente interessi in acciaierie poco vantaggiose e in depuratori per famiglie commercialmente infruttuosi. C’era, comunque, una pietra rara: Sicari aveva ottenuto da Martins un’opzione per l’acquisto della BANCA CATTOLICA DEL VENETO. Senza dubbio, il fatto che il Segretario Amministrativo della Banca Vaticana, Mauro Scattoni, era anche presidente della Pacchetti e della BANCA CATTOLICA DEL VENETO, aiutò Martins a non ricordare i precedenti reclami del clero veneto e del Patriarca di Venezia. Ruggero Capelli, che era parte in causa in questa trattativa, acconsentì a comprare, in un momento specifico, una compagnia di Sicari, denominata ZIOTROPO. Scenario ancora una volta preparato per manipolare illegalmente il mercato azionario di Milano.
68
Paolo Maria Mariotti
Sicari incaricò l’ufficio della Borsa Valori della BANCA UNIONE di comprare le azioni della Pacchetti. Usando persone specificatamente incaricate, le azioni furono poi illegalmente parcheggiate presso le società di cui Sicari era proprietario. Arriva il giorno in cui Capelli deve effettuare l’acquisto della ZIOTROPO, precedentemente stabilito. L’effetto fu quello di gonfiare il valore della stessa ZIOTROPO. Capelli pagò un prezzo astronomicamente più alto del valore della società. Sicari, che aveva finanziato l’intera operazione con garanzie fittizie, ottenne un enorme profitto illegale. Perché Capelli pagò così tanto la ZIOTROPO? Ci sono tre motivi. Primo, usò denaro altrui per effettuare l’acquisto. Secondo, ci fu un profitto di 3 milioni e 250 mila dollari per lui (l’altra metà l’ha intascata Martins. Ndr). Terzo, alla conclusone dell’affare Pacchetti/ZIOTROPO acquistò un’opzione per comprare la BANCA CATTOLICA DEL VENETO, ovvero l’opzione che Sicari aveva precedentemente acquistato da Martins. Il fatto che nessuno avesse consultato il Patriarca di Venezia fu considerato non rilevante dal vescovo Martins. Quello che il vescovo in questione ha fatto con la sua parte di 3 milioni e 250 mila dollari provenienti dalla truffa della Pacchetti non è ancora dato a sapere. Anche le azioni della BANCA CATTOLICA DEL VENETO subirono la stessa sorte. Sicari sapeva che Capelli stava trattando con Martins l’acquisto del controllo della banca: di qui, la vendita delle azioni. Alla fine, tutti, eccetto la Diocesi di Venezia, si ritrovarono immensamente più ricchi. Capelli era stato presentato a Martins da Sicari. Così il vescovo Martins, l’uomo che aveva affermato di non sapere nulla in materia di banche, ebbe due eccellenti tutori. Nel frattempo Martins era stato nominato presidente della Banca Vaticana dal Papa. Un’ulteriore fonte di profitto per la FINABANK, proprietà di Sicari e del Vaticano, era la doppia fatturazione. Le merci in esportazione avrebbero dovuto essere fatturate a costi molto più bassi di quelli reali. Così la fattura sarebbe stata pagata ufficialmente tramite la Banca d’Italia che, naturalmente, avrebbe passato l’informazione all’Ufficio Imposte. L’esportatore sarebbe stato tassato per questa cifra, bassa. Il saldo era pagato dal destinatario del bene all’estero direttamente alla FINABANK.
Il soglio infangato
69
In molti casi gli esportatori italiani, in realtà, mostravano una perdita che veniva convertita in credito d’imposta dallo Stato. Il grande numero di società d’export di Sicari mostrava perdite di questo genere. Sicari era solito corrompere vari politici in modo da far continuare questa situazione. Un reato analogo era commesso anche per le importazioni. In questo caso però, la fatturazione era superiore al costo reale delle merci. Quando queste passavano attraverso la dogana, la società effettuava il pagamento dell’alta cifra fittizia ad un fornitore straniero che, a sua volta, trasferiva il saldo su un conto della FINABANK. La Chiesa povera per i poveri del Papa, in verità, diventava sempre più ricca. Il disinvestimento da parte del Vaticano delle ricchezze italiane, ebbe come conseguenza vari furti perpetrati da uomini come Capelli e Sicari allo scopo di pagare San Pietro e il Papa. Anche la FINABANK faceva parte del giro per il riciclaggio di denaro sporco della Mafia e della PI-2. Il Vaticano che possedeva il cinque per cento delle azioni della SOCIETA’GENERALE IMMOBILIARE, faceva parte di quel giro. Se la Mafia desiderava inviare parte del suo denaro pulito in Italia, usava la Banca Vaticana. Sicari, parlando con Bolloni, esaltò le proprie virtù: “La mia filosofia è basata sulla mia personalità, che è unica in tutto il mondo, sulle bugie ben dette e sull’efficace arma del ricatto.” Un elemento della tecnica del ricatto era la corruzione. Secondo Sicari, corrompere era semplicemente un investimento che ti dà un grande ascendente sulla persona corrotta. Così, ufficiosamente, finanziava un importante partito politico: due milioni di dollari per assicurare la nomina di un suo uomo a consigliere del BANCO DI ROMA; sei milioni di dollari per finanziare la campagna dello stesso partito contro un Referendum. La megalomania di Sicari può essere giudicata dal fatto che, pur avendo compreso di non aver fatto un buon affare acquistando una banca in crisi come la FRANKLIN NATIONAL BANK di New York, non fece una piega. Trattare con banche in crisi era per lui un evento quotidiano, purché potessero essere trasferiti rapidamente enormi depositi; purché ci fosse un telex per trasferire A a B e poi a C e poi di nuovo ad A…” Nuovamente il telefono mi interruppe. Questa volta era il tenente Hoffmann, la pecorella smarrita delle Guardie Svizzere. “Dottor Biavati…,” nella sua voce in un italiano stentato, c’era un tono d’urgenza che fece suonare un campanello nel mio cervello “…sono in un grave pericolo!”
70
Paolo Maria Mariotti
“Dove si è cacciato. La stiamo cercando per mari e per monti…” “Non è solo lei che mi cerca. Devo nascondermi, altrimenti… Kaput… Mi capisce?” “Sì, capisco. Mi dica dove si trova e la manderò a prendere da una squadra. La proteggeremo.” “No. Nessuna squadra. Deve venire lei. Non mi fido di nessun altro.” “Ma… io non posso in questo momento!” “Trovi il tempo. Più ore passano e più la mia vita è in pericolo!” “Va bene, tenente!” risposi “Verrò a prenderla io. Mi dica dove si trova…” “Sono nascosto presso le rovine di Veio. Non può sbagliare. Prenda la Via Cassia Vecchia, in Piazza Ponte Milvio…” “Va bene, la conosco… “Per carità, faccia presto…!” e la comunicazione fu interrotta. Prima di uscire, comunque, scrissi un appunto per Antonio e lo lasciai sulla mia scrivania. Volevo sapesse dove andavo e perché. Qualcosa di fastidioso mi diceva di non stare troppo tranquillo.
Il soglio infangato
71
CAPITOLO UNDICESIMO Io sono il pane di vita. Chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me, non avrà più sete. Giovanni 6,35
Salii in auto e, mentre mi immettevo nel caotico traffico serale della capitale, diedi un’occhiata al retrovisore. Un’abitudine che avevo preso tanto tempo prima, quando mi ero messo in testa di giocare al detective privato e qualcuno a cui avevo pestato i calli aveva promesso di farmi saltare le cervella. Nulla da segnalare, al momento. Ma dopo appena cinque minuti e notai una SAAB bianca decappottabile, a due vetture dalla mia: aveva il parabrezza incrinato e una notevole ammaccatura sul parafango anteriore. E la notai ancora mentre ero fermo ad un semaforo e, quando avevo piegato leggermente la testa, per dare un’occhiata al conducente, mi ero visto puntare addosso i fari abbaglianti; in quel momento scattò il verde e dovetti rimettermi in marcia. Nel percorrere Corso Francia, la SAAB era rimasta indietro di quattro auto, ma la individuai ancora a metà del Lungotevere Salvo D’Acquisto. Ormai cercavo di non perderla di vista, così mi accorsi che aveva cambiato corsia e si era portata su quella di sinistra, perdendosi poi nel dedalo delle viuzze laterali; me ne sarei potuto anche dimenticare, concentrandomi solo sul piacere di guidare la mia Jaguar, ma avvertivo un oscuro presentimento. Anche quando mi inserii nella strada che porta a Piazza Ponte Milvio e da lì sulla Cassia Antica, mi trovai continuamente a cambiare corsia e a scrutare la strada attraverso il retrovisore. Solo quando lasciai la città e mi diressi verso Veio riuscii ad avere una chiara visione della strada dietro di me per circa un chilometro sul rettilineo bordato di cipressi, e fui certo che nessuna auto mi seguiva. Mi rilassai completamente e mi preparai a percorrere gli ultimi chilometri che mi avrebbero portato finalmente all’appuntamento con Hoffmann. Il nastro nero e lucente della strada si snodava davanti a me per poi salire bruscamente. Arrivai alla cunetta a 150 chilometri orari e subito azionai
72
Paolo Maria Mariotti
freno e frizione, resistendo alla tentazione di lanciarmi in velocità su quell’asfalto viscido e diseguale. Davanti a me scorsi un poliziotto nel suo giaccone a strisce catarifrangenti che brandiva una torcia a luce gialla. I triangoli rossi di pericolo brillavano come rubini e la VOLVO nel fosso che costeggiava la strada aveva gli abbaglianti puntati verso il cielo. C’era una vettura della Polizia Stradale che bloccava la strada e illuminava con i fari due corpi abbandonati sull’asfalto. Il tipico scenario di un incidente stradale, annebbiato dal sottile velo della pioggia. Rallentai, quasi a fermarmi. Abbassai il finestrino e uno sbuffo di aria fresca investì l’interno della mia vettura. Il poliziotto mi segnalò con la torcia di inserirmi nello stretto varco fra l’auto della Stradale parcheggiata e la siepe ai bordi della strada, ma in quel preciso istante un movimento inatteso attirò la mia attenzione. Era stato uno dei corpi sdraiato sulla strada, sotto la luce dei fari: il lieve arcuarsi della schiena di chi sta per sollevarsi dalla posizione prona. Notai un braccio che si alzava di qualche centimetro appena, ma tanto da lasciarmi scorgere un oggetto tenuto nascosto sull’esterno della coscia. Nonostante il buio e la fitta pioggerella, riconobbi il manicotto di raffreddamento della corta canna di una pistola mitragliatrice UZI. Istantaneamente il mio cervello si mise in moto e tutto ciò che mi accadeva intorno si dipanò come un’irreale scena al rallentatore. Cercavano me! Altro che Hoffmann… Il poliziotto si avvicinava, con la mano destra infilata nell’ampio tascone della giacca a vento. Premetti l’acceleratore e la Jaguar ruggì come un leone affamato. Le ruote posteriori si staccarono dall’asfalto bagnato e impressi al bolide nero il movimento rotatorio di una falce, in direzione del poliziotto. Stavo per travolgerlo, ma lui balzò con incredibile rapidità verso il bordo della strada. Mi accorsi che aveva estratto la pistola, ma non aveva avuto il tempo di usarla. Il fianco della Jaguar sfiorò la siepe facendo frusciare il fogliame. Sollevai il piede dall’acceleratore, ripresi il controllo dell’auto e sterzai in direzione opposta. Quindi accelerai di nuovo e la Jaguar rombò fragorosamente, sollevando un fumo azzurrognolo di gomma bruciata dalle ruote posteriori. C’era qualcuno, al volante della Pantera della Stradale, che cercava di mettersi di traverso per ostruire completamente la strada, ma non fu abbastanza veloce. I due veicoli si toccarono con uno stridore di metallo che
Il soglio infangato
73
mi fece digrignare i denti. Ma la cosa che mi preoccupava maggiormente era che i due individui illuminati dai fari non erano più sdraiati. Quello più vicino era appoggiato su un ginocchio e ruotava la corta e tozza pistola mitragliatrice per impugnarla, perdendo preziose frazioni di secondo per portarsi l’arma all’altezza della spalla. Ostruiva anche il campo di tiro del secondo uomo che accovacciato dietro di lui con un’altra UZI fissata al fianco puntava l’arma sostenendola con l’indice e l’avambraccio, pronto a premere il grilletto con il medio. La Jaguar scagliò lontana l’auto della Stradale e io sollevai il piede destro per sospendere la trazione sulle ruote posteriori sterzando bruscamente verso destra. La Jaguar girò su se stessa con un acuto stridore di gomme, e venne a trovarsi con il lato sinistro rivolto ai due uomini sulla strada. Mi abbassai al di sotto della portiera. Avevo fatto di proposito quella scivolata a sinistra per ripararmi dietro al motore e la carrozzeria. Mentre mi chinavo udii quel rumore familiare, come se venisse lacerata una tela pesante: l’arma automatica scagliava proiettili al ritmo di quasi duemila colpi al minuto, percuotendo la fiancata della Jaguar con un fragore assordante, mentre il vetro del finestrino si frantumava sopra di me, come un’ondata contro gli scogli. Frammenti di vetro mi precipitarono sulla schiena, sulla guancia e sulla parte posteriore del collo, sfavillando sui miei capelli come una corona di diamanti. Il killer che aveva sparato doveva aver svuotato il caricatore in quei pochi secondi; mi risollevai stringendo gli occhi per riuscire a guardare oltre quella nube di schegge. Vidi profilarsi l’incubo della siepe scura e diedi una sterzata per riuscire a tenere la Jaguar, che sbandò paurosamente. Ebbi modo di vedere i due uomini che rotolavano nel fossato, ma in quel preciso istante la mia ruota posteriore urtò il ciglio della strada e fui sospinto contro la cintura di sicurezza con una violenza tale che tutta l’aria mi uscì dai polmoni. La Jaguar si sollevò come uno stallone quando sente l’odore della femmina e iniziò un furioso testa coda, mentre cercavo di riprendere il controllo agendo sul cambio, sul freno e sul volante. Pensai di aver compiuto un giro completo, poiché mi trovai per un attimo davanti immagini vorticose di fari e di figure umane in rapido movimento, annebbiate dalla pioggia, e poi di nuovo la strada libera su cui lanciai l’auto con un balzo ruggente, senza perdere di vista neppure per un attimo lo specchietto retrovisore.
74
Paolo Maria Mariotti
Alla luce dei fari, vidi alle mie spalle la nuvola azzurra di fumo sollevata dalle ruote e, attraverso questa, scorsi il secondo killer nascosto dal fossato fino all’altezza della vita. La bocca dell’arma che l’uomo aveva in mano fu avvolta dalla vampa di un’esplosione. Sentii la prima raffica investire la Jaguar e non potei abbassarmi perché una curva mi veniva incontro nella pioggia a velocità vertiginosa e dovevo prepararmi ad affrontarla serrando le mascelle. La seconda raffica si abbattè come grandine su un tetto di lamiera e avvertii un urto violento e sordo nella parte posteriore del corpo. Colpito! Non c’erano dubbi, mi era già capitato. Doveva comunque essere stato un colpo di rimbalzo, oppure il proiettile aveva esaurito quasi tutta la sua spinta nel trapassare il lunotto posteriore e lo schienale del sedile. La Jaguar prese perfettamente la curva e solo allora mi accorsi che il motore perdeva colpi. Subito dopo un odore inconfondibile di benzina invadeva l’abitacolo. <Il tubo del carburante> pensai, mentre cominciavo ad avvertire il tiepido e fastidioso dilagare del sangue sulla schiena e su un fianco. Ero stato ferito al di sotto della spalla sinistra: se il proiettile era penetrato a fondo, aveva leso il polmone. Rimasi in attesa del sapore dolciastro del sangue nella gola, o del gorgogliare dell’aria che si diffondeva nella cavità toracica. Il motore riacquistò il suo ritmo, perse ancora colpi, si riprese di nuovo. La prima raffica doveva aver colpito il motore e pensai con ironia che, se si fosse trattato di un film, la Jaguar sarebbe immediatamente esplosa con uno spettacolare fuoco d’artificio, come un Etna in miniatura. Sebbene ciò in realtà non fosse accaduto, il tubo tranciato stava spruzzando benzina su candele e puntine. Un’ultima occhiata alle spalle, prima che finisse la curva, mi permise di vedere tre uomini che correvano verso la loro auto: tre uomini più l’autista. Una bella prospettiva, non c’è che dire! Mi avrebbero raggiunto in un attimo. La Jaguar fece un ultimo balzo che la sospinse in avanti per circa seicento metri, quindi si fermò definitivamente. Davanti a me, al limite della fascia di luce dei fari, scorsi delle rovine. Mi avevano teso l’imboscata in un luogo lontano dal traffico, in modo da prendere in trappola solo la Jaguar.
Il soglio infangato
75
Mi concentrai immediatamente sulla conformazione del terreno e avvistai un fitto bosco ai due lati della strada, un ponte piuttosto basso su un torrentello agitato, una stretta curva a sinistra e una salitella che conduceva alle rovine di Veio. Le rovine si trovavano a circa un chilometro: un sacco di strada da percorrere con una ferita in corpo e almeno quattro killer alle calcagna. E poi, quali garanzie avevo di essere al sicuro, una volta raggiunti quei quattro ruderi? La Jaguar stava percorrendo lentamente in folle la leggera discesa. Ora sentivo odore di bruciato e di gomme surriscaldate. La vernice del cofano cominciava a raggrinzire e scolorire. Ruotai la chiavetta dell’accensione per fermare la pompa elettrica che continuava a spargere benzina sul motore rovente e feci scivolare una mano sotto la giacca. La ferita cominciava a farmi male e, quando la ritrassi, la mano era appiccicosa e viscida a causa del sangue. Mi ripulii sulla coscia. Dietro di me la pioggia rifletteva un bagliore di fari, sempre più vicino. Da un momento all’altro gli inseguitori avrebbero superato la curva. Aprii il cruscotto. La Beretta cal. 9 mi diede un po’ di conforto: la tolsi dal fodero e me la infilai nella cintura. Non avevo caricatori di riserva e neppure il colpo in canna, una misura precauzionale di cui ora mi pentivo, perché mi lasciava con nove colpi soltanto, mentre uno in più avrebbe potuto fare una grande differenza. Da sotto il cofano vidi guizzare delle piccole lingue di fuoco. Mi slacciai la cintura di sicurezza, aprii la portiera e con l’altra mano girai il volante verso il bordo della strada. Diedi una controsterzata e fui proiettato fuori, mentre la Jaguar si rimetteva al centro della strada, rallentando gradualmente. Atterrai come dopo un lancio con il paracadute, con i piedi e i ginocchi raccolti per attutire l’impatto, e poi mi lasciai rotolare. Sentii un dolore lancinante alla spalla e qualcosa di simile ad una lacerazione. Mi sollevai e, a capo chino, di corsa, mi diressi verso l’argine del bosco: l’auto in fiamme illuminava gli alberi scuri con bagliori di luce rossastra. Mentre mettevo il colpo in canna, mi accorsi che le dita della mano sinistra erano gonfie e intorpidite. In quello stesso istante balenò violenta la luce dei fari al di là della curva ed ebbi l’impressione di trovarmi nel fascio dei riflettori di un palcoscenico. Mi sdraiai, ventre a terra. Il terreno era morbido per la pioggia: la ferita continuava a dolermi e, mentre strisciavo disperatamente verso gli alberi, sentivo lo stillicidio tiepido del sangue sotto la camicia.
76
Paolo Maria Mariotti
L’auto dei banditi imboccò rombando il tratto di strada oltre la curva. Mi appiattii il più possibile, premendo il volto contro la terra che odorava di foglie marce e di funghi. L’auto passò oltre. La Jaguar si era fermata dopo trecento metri, con due ruote ancora sulla strada e due nel fosso, avvolta dalle fiamme. Gli assassini si fermarono a debita distanza, consapevoli del rischio di un’esplosione. Dall’auto uscì un solo uomo che riconobbi, non senza stupore. <Bauer, il comandante degli Svizzeri!> pensai allibito. Stava correndo verso la Jaguar gridando qualcosa che non capii. L’auto fece una conversione a U, sobbalzò sul margine della strada e si rimise lentamente in marcia. Davanti, come segugi al guinzaglio, le due false vittime dell’incidente procedevano lungo i margini della strada impugnando la pistola mitragliatrice, con il capo chino, alla ricerca di impronte sul terreno morbido dei bordi. Bauer seguiva l’auto e lanciava rauche grida di incoraggiamento. Mi rimisi in piedi, sempre a testa bassa, e mi diressi verso il margine del bosco. Andai a sbattere con violenza contro un recinto di filo spinato e l’urto mi fece cadere pesantemente. Sentii lo squarcio provocato dai denti di acciaio nella stoffa dei pantaloni e mentre mi rialzavo non seppi pensare ad altro: <…Addio 260 euro…>. Tanto mi erano costati in una boutique alla moda. Scemo! Strisciai sotto il filo spinato e sentii un grido alle mie spalle. Avevano trovato le mie tracce. E, mentre percorrevo furtivamente gli ultimi metri di terreno allo scoperto, si levò un altro grido, ancora più forte ed esultante. Mi avevano individuato alla luce del falò della Jaguar. E, di nuovo, il crepitio lacerante di una pistola UZI. Ma, questa volta, la distanza era troppa per quella canna corta e le munizioni a bassa velocità. Udii la raffica passarmi sopra la testa come un battito di ali di pipistrello, quindi raggiunsi i primi alberi accovacciandomi dietro uno di questi. Il mio respiro si era fatto profondo, ma aveva conservato un buon ritmo naturale. La ferita non mi ostacolava ancora seriamente, ed ero in preda a quella rabbia fredda e lucida che si impadroniva di me durante un combattimento. Valutai che la distanza dal recinto di filo spinato era di una quarantina di metri: una delle migliori per me. Impugnai la pistola con entrambe le mani e lasciai che i miei inseguitori andassero a sbattere contro la recinzione proprio come era successo a me. Ne caddero due, e le grida di rabbia e di dolore furono in siciliano.
Il soglio infangato
77
Mentre si risollevavano i loro corpi si stagliarono nettamente contro lo sfondo delle fiamme alle loro spalle; la Beretta, del resto, era dotata di mirino luminoso. Mirai al busto di uno dei due uomini armati di UZI: la Beretta cal. 9 emise una detonazione rabbiosa e la pallottola trapassò carne e ossa con una tremenda forza d’urto. Il tonfo del proiettile fu simile a quello di un bastone nodoso che si abbatte su di un cocomero. Sciaft… L’uomo venne sollevato da terra e cadde all’indietro. Andai in cerca di altri bersagli, ma avevo a che fare con dei professionisti: anche se gli spari provenienti dal margine del bosco l’avevano colti di sorpresa, avevano reagito istantaneamente, sparendo ventre a terra. In mancanza di un bersaglio sicuro, non potevo permettermi di sprecare le mie scarse munizioni. Uno dei killer esplose una raffica di mitra che frantumò cortecce e foglie. Feci fuoco in direzione di quel lampo a titolo di avvertimento, poi, sempre curvo, ripresi a camminare, con la testa abbassata per evitare qualche colpo fortuito, e sparii nel bosco. Gli inseguitori dovevano superare il recinto con molta cautela pensando di essere sotto tiro, e io avrei acquistato due o tre minuti di vantaggio, in quel lasso di tempo volevo guadagnare un po’ di terreno. I bagliori che provenivano dalla Jaguar in fiamme consentivano di orientarmi piuttosto bene. Mi avviai di corsa verso il torrente, ma quasi subito fui colto da un tremito incontrollabile. Il mio abito era inzuppato di pioggia, le scarpe di cuoio leggero erano appesantite dal fango e l’erba che mi arrivava alle ginocchia era fradicia d’acqua. Il freddo mi aveva aggredito, la ferita mi dava delle fitte che mi intorpidivano il braccio e il mio stomaco era stretto da una morsa di nausea; tuttavia mi fermavo solo ogni cinquanta metri per controllare se ero seguito. A un certo punto udii il rumore di un’auto che proveniva dalla strada e mi chiesi che cosa avrebbero pensato gli occupanti vedendo una Pantera della Polizia abbandonata e una Jaguar in fiamme. Anche se qualcuno fosse andato a denunciare il fatto alla polizia vera, tutto sarebbe finito prima dell’arrivo di una pattuglia. Preferii non contare su una simile possibilità di aiuto. Cominciai ad essere sconcertato dalla mancanza assoluta di segni di vita da parte dei miei inseguitori. Mi guardai intorno e trovai una buona postazione in cui aspettare. Mi insinuai sotto il tronco di una grossa quercia caduta, che mi forniva buone possibilità di ritirata: un ottimo riparo e una posizione tale da consentirmi di vedere le sagome degli inseguitori stagliarsi contro il bagliore della mia vettura in fiamme.
78
Paolo Maria Mariotti
Ora erano rimasti solo in tre e nella mia Beretta erano rimasti solo sette colpi. Se non fosse stato per il freddo e il dolore lancinante nella parte superiore del corpo, mi sarei sentito più fiducioso. Il cieco terrore dell’animale braccato si era impadronito di me! Attesi cinque minuti, assolutamente immobile, con tutti i sensi tesi, la Beretta puntata e stretta tra le mani. Non si sentiva altro rumore che lo sgocciolio dagli alberi fradici di pioggia. Passarono altri dieci minuti aspettando immobile e all’erta, cercando di dominare gli spasmi del freddo e della reazione allo shock che mi facevano tremare, poi mi alzai con calma e mi diressi verso il torrente. La Jaguar doveva aver smesso di bruciare, perché ora il cielo era tornato buio. Dovetti ricorrere al mio senso di orientamento per prendere la direzione giusta. Anche se sapevo di essere solo, mi fermavo ogni cento passi per ascoltare e guardarmi intorno. Finalmente udii il rumore dell’acqua, proprio davanti a me e molto vicino. Mi mossi un po’ più velocemente e, per l’oscurità, fui quasi sul punto di scivolare in acqua. Mi accosciai per riposarmi un attimo, la spalla mi faceva un male boia e il freddo mi toglieva le forze. La prospettiva di guadare il torrente non era particolarmente invitante. L’acqua era certamente gelata e profonda almeno fino alle spalle. Il ponte doveva trovarsi a poche centinaia di metri a valle. Mi rimisi in piedi e mi avviai lungo l’argine. Il freddo e il dolore attutivano la mia concentrazione, tanto che dovevo fare uno sforzo continuo per mantenermi vigile. Tenevo la Beretta lungo il fianco sinistro pronta all’uso, e stringevo gli occhi per ripararli dalla fitta pioggerella e dal sudore freddo provocato dal dolore e dalla paura. Ma fu l’odorato a mettermi in guardia. L’odore stantio di trinciato che impregnava un corpo umano, un tipo di odore che mi aveva dato sempre fastidio, e che avvertii all’istante, anche se si trattava di una zaffata quasi impercettibile. Restai con il piede a mezz’aria, mentre il cervello si preparava a quell’evento inaspettato. Ormai mi ero convinto di essere solo. Rammentai il rumore di quell’auto sulla strada principale: evidentemente chi aveva organizzato quel complicato tranello – la messinscena dell’incidente stradale, l’auto della polizia e le false uniformi – si era anche preso il disturbo di rilevare e studiare il terreno fra il luogo dell’imboscata e la destinazione della vittima.
Il soglio infangato
79
Sicuramente conoscevano meglio di me la configurazione del bosco, del torrente e del ponte e, dopo aver subito la prima perdita, dovevano aver considerato un errore grossolano continuare quell’inseguimento nel buio più totale. La cosa migliore che potevano fare era tornare indietro e rimettersi in attesa, scegliendo l’argine del torrente o il ponte. Completai il passo che avevo lasciato a metà e rimasi immobile con tutti i muscoli e i nervi al massimo della tensione. La notte era fonda e il rumore del torrente soverchiava qualsiasi altro suono. Restai in attesa. Se si aspetta abbastanza a lungo, l’altro fa sempre la prima mossa. E io attendevo con la pazienza di una tigre in agguato, anche se il freddo mi mordeva le ossa e la pioggia mi colava giù per le guance e il collo. Alla fine l’uomo si mosse. Uno scalpiccio sul fango e l’inconfondibile fruscio degli sterpi contro la stoffa, poi il silenzio! Era vicinissimo, nel raggio di tre metri, e nella completa oscurità. Mi voltai con molta cautela in direzione del rumore. Continuai ad aspettare e udii ancora il rumore di un’auto, dapprima fievole, poi sempre più vicino. Qualcuno emise un fischio sommesso dalla parte del fiume; evidentemente un segnale prestabilito. Sentii lo sbattere di una portiera, più vicino rispetto al rumore dell’altra macchina che si stava avvicinando; poi il borbottio di un motorino d’avviamento e il rombo di un altro motore più rauco. La luce dei fari attraversò la pioggia e sbattei le palpebre davanti alla scena che si presentava ai miei occhi. Cento metri più avanti c’era il ponte che attraversava il torrente, la superficie dell’acqua era lucida e nera come il carbone. L’auto della polizia era parcheggiata all’inizio del ponte, evidentemente in mia attesa, ma ora stava facendo manovra per andarsene, allarmata dall’avvicinarsi dell’altra auto. Il conducente dirigeva il mezzo di nuovo verso la strada principale, il poliziotto fasullo si agitava lì intorno e dal buio molto vicino a me, una voce preoccupata gridò: “Minchia… Aspettate!” Il terzo uomo, per non essere lasciato indietro dai compagni, si mise a correre senza più curarsi di nascondersi. Ora mi dava la schiena e agitava freneticamente l’UZI, la cui sagoma era perfettamente delineata dalla luce dei fari. Era un colpo sicuro e mi accinsi istintivamente a sparare. Ma, proprio quando stavo per premere il grilletto, mi trattenni. L’uomo mi voltava le spalle, e a quella distanza avrei commesso un assassinio. Ma fui trattenuto
80
Paolo Maria Mariotti
anche dalla necessità di sapere chi fossero quegli uomini, chi li avesse mandati. Ora che il mio inseguitore si sentiva abbandonato e si era messo a correre allo scoperto, come se stesse inseguendo un autobus, mi resi conto che potevo anche catturarlo. I ruoli si erano invertiti. Scattai in avanti, trasferendo la Beretta nella mano sinistra. Raggiunsi il killer con quattro salti, sempre tenendomi molto basso e lo agguantai per la gola con il braccio buono, accingendomi a fargli perdere l’equilibrio prima di colpirlo alla tempia con la canna della pistola. L’uomo fu veloce come un gatto; qualcosa doveva averlo messo in guardia, forse il mio sordo scalpiccio. Abbassò il mento, ruotò le spalle e cominciò a voltarsi per fronteggiarmi. Mi sfuggì la presa alla gola. Con l’incavo del gomito bloccai l’uomo all’altezza della bocca, ma quella reazione inaspettata mi aveva leggermente fatto perdere l’equilibrio. Se avessi potuto disporre totalmente del braccio sinistro, sicuramente avrei avuto la meglio, ma in un istante mi resi conto di aver perso il mio vantaggio. L’uomo stava già torcendo la testa per liberarsi della presa, gonfiando contemporaneamente il torace. Sentii che aveva muscoli duri come l’acciaio. La canna della sua pistola mitragliatrice era abbastanza corta da permettergli, una volta voltato, di piantarmela nella pancia e di farmi a pezzettini. Mutai leggermente la presa, senza più contrastare il suo movimento rotatorio, ma spostando tutto il peso del mio corpo e la forza del braccio destro nella stessa direzione. Volteggiammo insieme come una coppia di ballerini di valzer, ma ero perfettamente consapevole che nell’attimo in cui ci fossimo separati il killer si sarebbe di nuovo trovato in vantaggio per uccidermi. La mia unica speranza era il torrente. Decisi d’istinto e prima che il mio avversario potesse prevalere mi gettai all’indietro, continuando a tenerlo per la testa. Precipitammo avvinti nel buio, io sotto e lui sopra. Piombammo nell’acqua nera e vorticosa, un impatto gelido che colpì entrambi come una mazzata. Lo shock dell’acqua gelata sembrava aver intontito momentaneamente il mio avversario e, mentre lui emetteva aria dai polmoni, io cercai di insinuargli un gomito sotto il mento, ma non riuscii a raggiungere la gola: immediatamente l’uomo cominciò a dibattersi in preda al panico, come chi venga trattenuto a forza sotto l’acqua gelida con i polmoni vuoti.
Il soglio infangato
81
Aveva perso la UZI, perché si era messo, con entrambe le mani, a graffiarmi forsennatamente il viso e le braccia, mentre la corrente ci trascinava verso il ponte. Dovevo impedirgli di respirare e, facendo appello a tutte le forze, cercai di mettermi sopra di lui e restarci: con una mano il killer tentò di olpirmi agli occhi, chiusi, e quindi alla bocca: la aprii leggermente e lui vi cacciò dentro le dita, cercando di afferrarmi la lingua. Immediatamente serrai i denti con una tale violenza che sentii le mascelle dolermi, mentre la mia bocca fu invasa dal getto tiepido e nauseante del suo sangue. Cercando di vincere il disgusto, continuai disperatamente a stringere con i denti e con le labbra, ma anche io avevo perso la mia arma nell’acqua nera. Ora il killer lottava con la forza animalesca che gli derivava dai polmoni assetati d’aria e dalle dita mutilate; ogni volta che cercava di tirar via la mano dalla mia bocca, sentivo nelle orecchie il rumore della carne lacerata. Alla fine risalimmo in superficie e riuscii a scorgere il ponte che si profilava sulle nostre teste. L’auto della polizia era scomparsa, ma al centro era parcheggiata la Mercedes ML 320 di Antonio: lo riconobbi insieme a Syd. Si sporgevano dal parapetto e per un attimo temetti che potessero far fuoco. Il riflusso, intanto, ci spinse verso l’argine. Boccheggiando per il freddo, lo sfinimento e il dolore, cercavo un punto di appoggio, come, del resto, il mio avversario. Alla luce dei fari vidi Syd che correva sul ponte per venirmi in aiuto. Mi resi conto che da solo non sarei riuscito a catturare il mio avversario. “Antonio!” gridai “Fermalo! Non lasciarlo scappare!” Syd, intanto, scavalcò il parapetto e atterrò come un gatto, in perfetto equilibrio, impugnando con entrambe le mani la pistola all’altezza dello sterno. Proprio sotto di lui l’uomo si trascinava con l’acqua alla vita verso la riva. Solo allora mi resi conto di ciò che stava per accadere. “NO!” il grido mi uscì soffocato dal sangue e dall’acqua. “Prendilo vivo! Non ucciderlo, Syd!” Syd non aveva sentito o non aveva capito. L’esplosione fragorosa parve gettare una fune di fuoco rossastra tra lui e l’uomo che sguazzava nell’acqua. I proiettili sul torace e sul ventre fecero lo stesso rumore di un’ascia contro il tronco di un albero. “NO!” gridai. “Oh, Dio, no, no!”
82
Paolo Maria Mariotti
Mi lanciai in avanti afferrando il cadavere prima che scivolasse nella corrente e con un solo braccio lo trascinai a riva. Syd e Antonio lo tirarono fuori: la testa penzolava come quella di una marionetta. Feci dei tentativi per arrampicarmi sulla sponda ma ogni volta scivolavo sfinito verso il basso; poi Antonio allungò una mano e mi afferrò per il polso. “Beppe!” la voce di Antonio era carica di apprensione. Abbassammo gli occhi sul cadavere. Syd aveva usato una Magnum 44, con conseguenze disastrose. “Adesso” dissi con amarezza “non potrà più rispondere a nessuna domanda… Che ne dici?” “Capo” rispose Syd, mentre ricaricava la pistola “lei ha detto di fermarlo!” “Già… Hai ragione…” Mi voltai disgustato. Il dolore alla spalla mi costrinse a fermarmi. “Ma tu sei ferito!” disse Antonio preoccupato. “Aiutami, Syd. Portiamolo alla macchina!”
Il soglio infangato
83
CAPITOLO DODICESIMO Voi siete il sale della terra, ma se il sale diventa insipido, con che cosa si dovrà dare sapore ai cibi? Matteo 5,13
Mi risvegliai all’Ospedale Militare del Celio già fasciato e sterilizzato. La pallottola era entrata fra le costole e il muscolo trapezio, senza ledere parti vitali. “Dottore”, dissi rivolto al colonnello medico che stava parlando con Antonio “domani mattina me ne vado. Ho moltissime cose da fare…” “Certo, dottor Biavati. Domattina se ne andrà se mi promette di non affaticarsi troppo” rispose condiscendente. “Beh, sei stato in gamba…” intervenne Antonio. “Nooo!” risposi “Quelli in gamba non si fanno beccare. Comunque, adesso va pure a casa ma vienimi a prendere domani mattina presto. Io e te abbiamo da fare, e molto, se vogliamo mettere al fresco qualcuno. Ciao… No, aspetta…: Hoffmann?” “Niente, nemmeno l’ombra!” “Il morto? Aveva documenti? Antonio scosse la testa. “Pulito…” “Comunque” dissi “era sicuramente siciliano. L’ho sentito imprecare quando i compagni sono fuggiti. Vedi di dare un’occhiata alle foto segnaletiche dell’Antimafia e della Digos. Chissà che non ci riconduca a qualcuno. Beh, adesso vai dai tuoi figli. Ciao!” Rimasto solo, pensai di telefonare a mia madre per informarmi sui progressi di Selvaggia e tirai un sospiro di sollievo quando mi disse che era finalmente fuori pericolo e che ora respirava autonomamente, senza bisogno dell’ossigeno. <Dio ti ringrazio!> pensai <li prenderemo, amore mio. Te lo prometto. Li prenderò e dovranno pagare tutto>. Il giorno successivo Antonio e due altri ufficiali della squadra vennero a prendermi.
84
Paolo Maria Mariotti
“Dove vuoi andare, Beppe?” “Alla base. Abbiamo da fare. Novità?” “Certo! Avevi ragione. L’uomo di Syd è un certo Antonio Collasso; il tuo un certo Pasquale Sorriso. Entrambi killer al soldo della Famiglia Garbini. Latitanti da diversi anni. Avevano una fedina penale lunga quanto la A1. Non ti crucciare per la loro fine. Non avresti cavato un ragno da un buco, con quelli. Era solo manovalanza che non avrebbe mai parlato. Ah, dimenticavo… Le perizie balistiche del proiettile che ti hanno trovato addosso, confermano che sono stati i tuoi stessi assalitori gli autori dell’attentato a tua moglie!” Non risposi. Due attentati nel giro di pochi giorni ed entrambi falliti. “Non bisogna abbassare la guardia. Adesso saranno inferociti” dissi. “Già. Fortuna che avevo dimenticato il mio cellulare nel tuo ufficio, così ho potuto leggere il biglietto che mi avevi lasciato!” disse Antonio. “E Selvaggia? Hai aumentato la sorveglianza?” “Tutto a posto, non temere. Se si fanno nuovamente vivi, troveranno pane per i loro denti!” Appena rientrati al nostro centro operativo, chiamai tutti i capi squadra e cominciai a dare ordini:. “Antonio, metti alla ricerca di Hoffmann tutta la squadra A e coordinane tutti i movimenti. Io intanto devo andare assolutamente a Perugia da Selvaggia per vedere come sta. Poi devo parlare con suo padre. Sì… Sì, con il senatore! Credo che sia un po’ arrabbiato con me per quanto è accaduto alla figlia… Beh, non lo biasimo. Anche se…” lasciai cadere il discorso. “E se troviamo lo svizzero? Che ne facciamo?” “Lo porti qui e lo metti sotto strettissima sorveglianza. Nessuno, tranne i nostri uomini, lo deve avvicinare. Voglio che mi dica da chi ha ricevuto l’ordine di giocarmi quello scherzetto. Poi penseremo al da farsi. Ah, al ritorno cercherò di finire di leggere quei documenti. Adesso fatemi preparare l’elicottero, per favore: Arrivederci a presto!” Il volo per Perugia durò poco più di trentacinque minuti. Minuti durante i quali il mio cervello sembrava diventato un elaboratore elettronico. I pensieri si accavallavano e si scontravano. Ora una soluzione era buona, ora meno buona, ora uno schifo. Insomma non sapevo più dove sbattere la testa e la patata non era più bollente, ma incandescente. Avevo paura di
Il soglio infangato
85
continuare a leggere i documenti che avevo preso dalla scrivania di Giovanni XXIV. Erano troppe le incognite e troppi i personaggi in ballo. Che dovevo fare? Entrare in un ospedale non è mai piacevole, specie quando devi recarti a trovare una persona cara, ma trassi un bel respiro e pensai solo alla gioia che avrei provato nel rivedere la mia adorata Selvaggia, viva e fuori pericolo. Ad attendermi fuori della stanza c’era il senatore Accorsi, mio suocero, che mi guardò un po’ storto, forse ritenendomi indiretto responsabile di quanto occorso alla figlia. Lo salutai con rispetto e, prima che potesse assalirmi verbalmente, gli dissi: “Non andartene, Paolo. Per favore. Ho bisogno di parlarti di cose della massima importanza e più di tutto ho bisogno della tua saggezza e del tuo consiglio. Mi aspetterai?” Mi guardò leggermente sbalordito, ma rispose con un semplice “Sì, ti aspetterò! Adesso vai!” e si girò verso un finestrone a guardare con occhio assente il panorama. Distesa fra coltri bianche, Selvaggia sembrava perdersi, ma vederla finalmente senza tutti quei tubi e con un colorito leggermente roseo, mi fece sussultare di gioia. Mi chinai su di lei e le parlai a lungo, anche se, ancora addormentata dai farmaci, non poteva sentirmi. Ma era poi vero? Figuriamoci se non stava registrando tutto quello che dicevo. La mia splendida Selvaggia! Mi trattenni ancora un po’ abbracciando mia suocera e parlando con il sergente Joanna Ramirez dell’A.E.T. che era costantemente nella stanza a fare la guardia, affinché nessuno ritentasse là dove aveva sbagliato. Poi salutai la mia “bimba” promettendole che sarei tornato presto. <Ti amo, anima mia> le sussurrai in un orecchio ed ebbi l’impressione che avesse atteggiato la bocca ad un sorriso. Suggestione. Uscii e presi mio suocero sotto braccio. “Vieni Paolo. Ho bisogno di te. Andiamo all’elicottero. E’ l’unico posto dove posso parlarti senza timore di essere ascoltato da orecchie indiscrete. In qualunque altro luogo la nostra chiacchierata potrebbe essere intercettata.” Mi guardò con aria scettica, sicuramente chiedendosi cosa mai avrei dovuto dirgli di così importante e segreto, ma mi seguì tranquillamente.
86
Paolo Maria Mariotti
Una volta al sicuro nella cabina dell’elicottero che intanto stava facendo giri sulla città, gli raccontai tutto. Dalla telefonata del Presidente Reynolds, alla morte di Giovanni XXIV, alla constatazione di una morte violenta, all’autopsia segreta, al carteggio segreto del Papa in mio possesso, alla ricostruzione di fatti e avvenimenti che coinvolgevano la Mafia e il Vaticano, al ferimento di Selvaggia, all’attentato contro di me. “Adesso capisci il perché di tanta segretezza?” dissi. “E non ho ancora finito di analizzare tutti quei documenti. Ma sono sicuro che i nomi dell’assassino e del mandante salteranno fuori proprio da lì”. “La cosa mi lascia stupefatto!” mi rispose “Scusami se ho dubitato della tua integrità mentale, ma questi sono giorni terribili!” “Non crucciarti, Paolo! Adesso però devi aiutarmi a prendere alcune decisioni”. “Oltre al Presidente Reynolds, chi altri sa?” “Il nostro ministro dell’Interno, perché ho dovuto parlargliene. I miei uomini, un tenente della Guardia Svizzera che sta facendo il doppio gioco, una suora – la cameriera personale del Papa – e i due segretari, Padre McDonald e monsignor Lucidi, che nel frattempo è morto a causa di uno stranissimo incidente stradale. Ah, tieni presente che tanto la suora quanto i due prelati sono stati rimossi dai loro incarichi e spediti lontano dal Vaticano in tutta segretezza. Il tenente degli Svizzeri è scomparso per poi ricomparire e attirarmi nell’agguato dell’altra notte. Questi personaggi erano tutti presenti quella sera…Adesso entriamo nel campo delle supposizioni. Monsignor Martins, il presidente della Banca Vaticana. Sapeva? Il cardinale Valloret. Sapeva? I mafiosi Garbini. Sapevano? Sono questi gli interrogativi. Valloret mi ha minacciato velatamente accusandomi di aver preso delle carte dallo studio privato del Papa. E, guarda caso, proprio dopo quella telefonata c’è stato l’attentato a Selvaggia. Hoffmann che scompare per poi ricomparire in un luogo isolato per tendermi una trappola. Due pericolosi killer al soldo della Mafia, morti!” “Parlane con il ministro dell’Interno…” “Non è possibile, Paolo. I nostri politici in questo momento se la stanno facendo sotto e pensano solo a pararsi il culo. Probabilmente qualcuno di loro è anche complice. No, credo che l’unica soluzione sia quella di terminare lo studio di quel carteggio e parlarne poi al Presidente Reynolds.
Il soglio infangato
87
L’unica cosa che mi sta realmente a cuore è mandare l’artefice dell’assassinio del Papa e dell’attentato a Selvaggia in galera. Fosse anche un cardinale!” “Vacci piano, figliolo! La Chiesa è molto potente e ha le braccia lunghe che, come hai visto, possono arrivare molto lontano. Volevi il mio consiglio? Bene. Eccotelo: finisci di spulciare tutti i documenti. Fai una relazione dettagliata e sottoponila al Presidente Reynolds. Quindi spedisci una copia delle tue conclusioni ai capi dei governi che partecipano al progetto A.E.T. e ai vari cardinali. Manderai in corto circuito i responsabili e tu, contemporaneamente, ti coprirai le spalle.” Era quanto volevo sentirmi dire. Lo ringraziai e lo riaccompagnai all’ospedale. Salutai ancora, per un breve momento, mia moglie che rimaneva sempre sedata, confermai gli ordini al sergente Ramirez e me ne tornai precipitosamente alla base di Ciampino. A pochi chilometri da Roma prese a squillare il cellulare. “Ciao Beppe, sono Antonio!” “Dimmi…” “Abbiamo trovato Hoffmann…” rispose con voce grave. “Bene… Sto arrivando…” “Aspetta… E’ morto! L’abbiamo trovato, o meglio l’ha trovato un pecoraio, in una casupola abbandonata tra Veio e Sutri. L’hanno incaprettato… Hai capito?” “Un altro avvertimento. Ho capito. Sto per atterrare, aspettami!”. Il mio ufficio era in penombra e ciò mi aiutava a pensare e a mettere a fuoco la mia strategia. Arrivò Antonio. “Dobbiamo continuare a spulciare quei documenti. Intanto dimmi di Hoffmann..” dissi serio. “Il cadavere è stato rimosso dal medico legale e sul posto sta lavorando la scientifica. Queste sono le fotografie” disse passandomi una busta piuttosto voluminosa. “E” continuò, “come noterai è stato ucciso secondo l’usanza mafiosa: incaprettato con un pesce in bocca. La morte risale tra le 15 e le 16 di ieri. Poco prima che arrivassi tu sul luogo dell’attentato.” “Evidentemente era riuscito a sfuggire la sorveglianza cui era stato sottoposto e intendeva veramente parlare. La sorpresa più grossa, credimi Antonio, è stata quella di vedere tra i killer, il colonnello Bauer… Già, il comandante delle Guardie Svizzere…” “Allora vuol dire che…” mi interruppe.
88
Paolo Maria Mariotti
“Già! Vuol dire che…” risposi stancamente. “Vuol dire che dobbiamo concludere al più presto la ricostruzione. Tu continua a cercare il prete e la suora e portali qui anche a costo di rapirli. No… niente lettura… Da adesso in poi tienti fuori da questi segreti. Meno ne sai e più campi. Dammi retta!” Borbottò, ma alla fine, da buon militare, obbedì e se ne andò sbattendo la porta in segno di protesta. Sorrisi. Lo capivo. Io e lui avevamo diviso tante di quelle avventure… <Bene!> pensai <dove ero rimasto?> Sicari parlava più spesso delle sue importanti relazioni. Non si può negare la verità di ciò. Infatti, esse comprendevano due famiglie mafiose di New York, il Papa, due cardinali e il vescovo Martins nel Vaticano; due grossi politici a Roma, un ex presidente degli Stati Uniti e un ex ministro del Tesoro alla Casa Bianca. Intanto, nel periodo in cui il vescovo Martins esaltava le virtù di Sicari davanti ai procuratori statunitensi che svolgevano l’indagine sull’operazione delle azioni false per un miliardo di dollari, stava anche scrivendo un assegno di trecentosettemila dollari, cifra che lo “Squalo” aveva stabilito per il Vaticano come risultato di affari illegali alla Borsa Valori americana in azioni di una società chiamata VETCO INDUSTRIES. In un certo periodo le perdite nelle banche di Sicari avevano raggiunto proporzioni enormi. Cominciano ad apparire le perdite che si nascondono con dichiarazioni di profitti falsi o che non esistono affatto; nel frattempo il denaro vero viene versato ad altre persone. Le perdite aumentano e c’è bisogno che anche i profitti falsi o che non esistono, crescano in proporzione. Sicari versava il denaro degli altri in molteplici direzioni. La PI-2, il partito politico, il Vaticano e altri, e anche molti del suo staff si stavano creando una fortuna personale. Lo “Squalo” era coinvolto in una grande truffa intercontinentale: fondere questa società con quell’istituto finanziario, trasferire quelle azioni per quella società. Fondere! Dividere! Rifondere! Quando sopraggiunse il crollo di Sicari, le autorità italiane, o meglio quella parte di esse non controllate dalla PI-2, cominciarono a muoversi attivamente. Mentre il Segretario di Stato, cardinale Valloret, portava al Papa notizie relative ai recenti sviluppi del crack, Sua Santità diventava sempre più preoccupato. Si è detto da più parti che il predecessore di Giovanni XXIV aspirava a
Il soglio infangato
89
essere il primo Papa povero dei tempi moderni. E’ una menzogna. Il disinvestimento della maggior parte delle proprietà italiane del Vaticano aveva un unico scopo: un maggiore profitto. Spinta dal desiderio di evitare le imposte sui profitti azionari e di restare nell’ombra sulla scena italiana, la Vatican Incorporated era stata sedotta da Sicari e dal suo clan con la prospettiva di maggiori ricchezze attraverso investimenti negli Stati Uniti, in Svizzera, in Germania e in vari altri Paesi. Si è propensi anche a credere che il precedente Papa fu l’unico responsabile per circa un decennio del continuo coinvolgimento del Vaticano con Marco Sicari. <E’ un’altra menzogna che, comunque, non è mai venuta alla luce durante il periodo in cui visse il Papa.> Fu questo il mio unico pensiero. Convinto dal suo segretario, monsignor Pietro Marchi, dai suoi consiglieri, i cardinali Guarini e Bruno Ardenzi dell’Amministrazione Speciale, dal suo Segretario di Stato, cardinale Valloret, e da Ulderico Ozzieri, che Sicari era la risposta alle preghiere del Vaticano, senza dubbio il Papa aprì le porte allo Squalo. Una volta all’interno, egli non desiderò la loro compagnia. In verità, il Papa avrebbe potuto essere messo in allarme se i suoi consiglieri avessero usato una certa prudenza. Un attento studio degli avvenimenti, porta alla conclusione che molti nel Vaticano erano pronti, sollecitamente desiderosi di unirsi alle imprese criminali di Marco Sicari. Marchi, Ardenzi, Guarini e Valloret, erano tutti uomini d’onore? Martins, Mancini e Scattoni della Banca Vaticana erano tutti uomini d’onore? Il vescovo Martins fu obbligato a subire l’onta di numerose udienze per le tenaci inchieste delle autorità italiane sulla sua amicizia personale e affaristica con Sicari. Martins che era agli ordini di Sicari e Ruggero Capelli come amministratore di banca nel paradiso fiscale di Nassau nelle Bahamas; Martins l’intimo amico di Sicari che dichiarò all’Espresso di non aver mai conosciuto Sicari e che per causa sua il Vaticano non aveva mai perso un centesimo. <Per essere presidente di banca> pensai con sarcasmo <Martins mostra costantemente un’allarmante labilità di memoria. Aveva detto ai procuratori statunitensi che i suoi affari finanziari con Marco Sicari erano molto limitati. Al contrario i suoi affari con il banchiere della Mafia furono numerosi e continui fino a poco prima del crack Sicari…>. Sicari aveva svolto un ruolo decisivo nella vendita della BANCA CATTOLICA DEL VENETO che Martins aveva effettuato con Ruggero Capelli; un affare che si era concluso con un pagamento illegale, da parte di Sica-
90
Paolo Maria Mariotti
ri, di 6,500 milioni di dollari, a Capelli e Martins. Dopo il crollo, le valutazioni delle perdite del Vaticano furono molte e varie. Esse oscillavano, dalla stima delle banche svizzere, sui 240 milioni di dollari, la stessa stima della Vatican Incorporated che continuava a dire di non aver perso nulla. La verità è che, probabilmente, la perdita si aggirava sui 50 milioni di dollari. <Indubbiamente> pensai ancora <quando la Multinazionale Trasteverina afferma di non aver subito perdite di nessun genere, senza dubbio inseriva nel calcolo gli enormi profitti derivanti dall’associazione (a delinquere) con lo Squalo, ma una riduzione globale da 300 a 250 milioni di dollari è una perdita in qualsiasi lingua, anche in latino>. Aggiunta a quei 50 milioni di dollari, vale a dire la perdita causata da Sicari, ci fu un’ulteriore perdita di 35 milioni di dollari con la SVIROBANK di Lugano. Come le altre banche legate al Vaticano, la SVIROBANK faceva speculazioni con i fondi neri che possedeva per conto di esportatori illegali di lire ed esponenti della Mafia italiana. Speculazioni in oro e in valuta estera erano una pratica quotidiana. Quando cominciò ad apparire il buco, la responsabilità fu data al vicedirettore Manlio Trampetti, il che è strano, dal momento che tutte le operazioni erano effettuate da Filippo Ambrosi, un altro impiegato della SVIROBANK. Trampetti fu “suicidato”: il suo corpo fu trovato sulla linea ferroviaria Lugano – Chiasso. In tasca aveva una lettera di addio alla moglie. <Classico della Mafia!> pensai. Prima della sua morte, senza dubbio per amore di tranquillità, gli amministratori della banca obbligarono Trampetti a firmare una confessione con cui si assumeva la piena responsabilità per la perdita di 35 milioni di dollari, mentre nessuno denunciò Ambrosi, l’uomo che era realmente responsabile della perdita. Manlio Trampetti fu l’unico la cui morte fu fatta sembrare un suicidio. Mentre Marco Sicari combatteva contro la sua estradizione in Italia e tramava per vendicarsi, la Vatican Incorporated intraprendeva nuove speculazioni con il suo successore, Ruggero Capelli. Capelli doveva sostituire Sicari per il riciclaggio del denaro appartenente alla Mafia. Lui è l’uomo che effettuò il più grande furto nella storia delle banche.
Il soglio infangato
91
CAPITOLO TREDICESIMO I cancelli dell’Inferno sono aperti giorno e notte. Dolce è la discesa e facili le rotte. Virgilio, Eneide, VI
“Beppe!?” era Antonio dal cellulare. “Sì, Antonio! Ti ascolto!” “Brutte nuove… suor Valentina… l’abbiamo trovata ma, purtroppo, è morta. Ufficialmente per infarto…” “Dannazione!!!” risposi. “Qui cominciano a sparire troppe persone. Rintraccia il medico che ha stilato il certificato di morte. Fa riesumare il cadavere. Voglio un’autopsia che confermi la causa del decesso al cento per cento. E’ importante!” “D’accordo! Sarà fatto!” rispose, chiudendo la comunicazione. <Anche suor Valentina, come Hoffmann, come monsignor Lucidi…> pensai <… E chissà quando toccherà a padre Mc Donald…>. Ripresi lo studio del carteggio Capelli cominciò lavorando per il Banco Ambrosiano, a Milano. La banca, il cui nome deriva da Sant’Ambrogio, trasudava religiosità e, come la BANCA CATTOLICA DEL VENETO, era conosciuta come la banca dei preti. Prima che venisse aperto un conto era obbligatorio presentare un certificato di battesimo con il quale si certificava che il richiedente era cattolico. Capelli, con i suoi freddi occhi di ghiaccio, aveva alri progetti per questa sonnolenta banca diocesana che includeva tra i suoi clienti anche l’arcivescovo di Milano, futuro Papa. Infatti, quando questo diventò Papa, Capelli era diventato Direttore Generale. E quando il Papa decise di convocare Sicari in Vaticano per rilevare alcune delle numerose e imbarazzanti proprietà italiane della Chiesa, lo Squalo e Capelli erano intimi amici. I due stavano già complottando per ottenere il controllo del Banco Ambrosiano e trasformarlo in uno speciale genere di istituzione bancaria internazionale. Capelli, da amministratore delegato, fu presentato al vescovo Martins e immediatamente si unì al gruppo altamente selezionato di “uomini di fi-
92
Paolo Maria Mariotti
ducia”: quel piccolo gruppo d’elite di laici che lavorava con e per la Vatican Incorporated; uomini come Sicari, Scattoni, Mancini e Bolloni; uomini scelti con la maggior cura possibile. Capelli costituì una società lussemburghese denominata COMPENDIUM (poi cambiata in Banco Ambrosiano Holdings). Questa società fantasma era il perno principale dei suoi progetti. Milioni di eurodollari presi in prestito erano destinati a circolare tramite questa società finanziaria. Il numero di banche sparse per il mondo frodate con prestiti di denaro direttamente a questa piccola società fantasma è superiore a duecentocinquanta. La somma supera i 450 milioni di dollari. Quindi acquistò la Banca del Gottardo di Lugano e questa divenne il canale occulto per il riciclaggio del denaro proveniente dalla Mafia dopo il crollo della AMINCOR di Sicari a Zurigo. A questa seguirono altre attività straniere. Tra le quali il Banco Ambrosiano Overseas ltd. di Nassau che ebbe, fin dall’inizio, il vescovo Martins nel suo consiglio di amministrazione. All’inizio si chiamava CISALPINE OVERSEAS BANK per depistare qualsiasi tipo di indagine della Guardia di Finanza italiana. I profitti incanalati nella Banca Vaticana crebbero proporzionalmente all’impero di Capelli. Una cosa deve essere ben chiara: Il Banco Ambrosiano di Milano e la Banca Vaticana erano legate tra loro. Molte delle operazioni decisive erano operazioni congiunte. Il motivo per cui Capelli riusciva a infrangere la legge sempre più spesso, andava ricercato nella pronta assistenza che riceveva dalla Banca Vaticana. Così, quando Capelli comprò il 55,3 per cento del BANCO MERCANTILE di Firenze, l’acquisto apparve eseguito per conto della Banca Vaticana. Sulla carta la Banca Vaticana aveva tratto un profitto di 7.724.378.100 (trasferiti in euro). In realtà Capelli pagò alla Banca Vaticana 800 milioni per il privilegio di usare il suo nome e le sue facilitazioni. La Banca Vaticana, situata nello Stato indipendente della Città del Vaticano, era al di là della portata degli ispettori della Banca d’Italia. Vendendo a sé stesso le azioni che già possedeva al doppio del prezzo di acquisto originario, Capelli aumentò considerevolmente, sulla carta, il valore del Banco Mercantile e rubò 7.724.378.100, meno, naturalmente, la somma che versò alla Banca Vaticana. Successivamente, Capelli vendette alla sua rivale milanese, Arianna Bonelli, per 33 miliardi. Con la stretta e continua cooperazione della Banca Vaticana, Capelli riuscì a destreggiarsi abilmente con la legge italiana. Le operazioni fatte non
Il soglio infangato
93
avrebbero potuto aver luogo senza la piena conoscenza e l’approvazione di Martins. Quanto al progetto di Sicari, Capelli e Martins per la BANCA CATTOLICA DEL VENETO, tutte le prove a disposizione suggeriscono un complotto criminale che coinvolgeva i tre uomini. Martins intendeva mantenere segreta questa operazione anche al Papa, e ciò è un’ulteriore indicazione di quanto fosse dubbia la vendita a Capelli. La notizia data dal cardinale Bestini al Patriarca di Venezia in relazione al fatto che il Papa non avesse interceduto in favore suo, dei suoi vescovi e dei suoi sacerdoti si dimostrò vera. Ciò che il Papa, con l’aiuto di Capelli, Sicari e Martins, aveva creato era una bomba a orologeria che avrebbe continuato a ticchettare a lungo. Temendo una reazione ostile di Venezia, Capelli e Martins nascosero ogni notizia relativa alla vendita della banca. Capelli in una lettera inviata a Martins parla di assumersi personalmente la responsabilità di mantenere invariata, dal punto di vista degli alti fini sociali, morali e religiosi, la condizione delle attività della BANCA CATTOLICA DEL VENETO (allegata originale della lettera vistata da Martins). Gli “alti fini morali, sociali e religiosi” furono messi così rapidamente da parte da Capelli nella BANCA CATTOLICA DEL VENETO che l’intero clero della regione assediò la residenza del Patriarca che corse immediatamente a Roma, ma in un momento non giusto per un’azione di rimedio, in quanto il Papa aveva ormai dato l’approvazione alla transazione. Perché le azioni della BANCA CATTOLICA DEL VENETO non lasciarono mai il Vaticano? Perché furono riassegnate alla ZIOTROPO, una società che a quel tempo apparteneva a Sicari. Successivamente la ZIOTROPO passò prima a Capelli e poi alla Banca Vaticana. E le azioni della BANCA CATTOLICA DEL VENETO continuarono a restare nelle casse del Vaticano. Quando la Borsa Valori di Milano cominciò a registrare un forte ribasso, tra quelli che ne subirono le conseguenze ci fu il Banco Ambrosiano rendendo Capelli particolarmente vulnerabile – venne a mancare la fiducia e quando vi fu il crack il mondo bancario cominciò a guardare Capelli con occhi diversi e gli furono ridotti i crediti, ma, come per magia, quando per l’Ambrosiano stava per scoccare l’undicesima ora, una società denominata SUPRAFIN, con uffici a Milano, entrò nel mercato. Questa società finanziaria cominciò a mostrare una notevole fiducia nel signor Capelli.
94
Paolo Maria Mariotti
Comprò quotidianamente azioni della sua banca e prima che il nome SUPRAFIN entrasse nella lista degli azionisti, le azioni furono rivendute a due società del LIECHTENSTEIN: la TECLEFIN e la IMPARFIN. La fiducia in Capelli cominciò a ritornare e la SUPRAFIN continuò a comprare mostrando una grande fede nel futuro della banca di Capelli, una fede equivalente a 50 milioni di dollari. La SUPRAFIN chiaramente sapeva qualcosa che nessun altro sapeva. In quattro anni le azioni dell’Ambrosiano continuarono a cadere, tuttavia la SUPRAFIN acquistò il 15 per cento della banca. Ufficialmente la SUPRAFIN apparteneva a due società del LIECHTENSTEIN, la TECLEFIN e la IMPARFIN. In teoria, queste erano tecnicamente proprietà della Banca Vaticana. In pratica la SUPRAFIN apparteneva a Capelli. Di conseguenza Capelli – e la Banca Vaticana lo sapeva perfettamente – sosteneva il valore di mercato delle azioni dell’Ambrosiano con massicci acquisti, con un’attività completamente illegale. Il denaro per finanziare la truffa proveniva dai prestiti internazionali fatti alla filiale lussemburghese e dalla consociata di Milano. La Banca Vaticana riceveva cospicui pagamenti annuali purchè fornisse facilitazioni a Capelli per poter effettuare la gigantesca truffa internazionale. Questo denaro era pagato in modi diversi. Tutti i depositi vaticani nelle banche del gruppo Ambrosiano ricevevano pagamenti di interesse di almeno l’1% in più rispetto agli altri depositanti. Un altro metodo, per l’Ambrosiano, era quello di “comprare” azioni dal Vaticano. Sulla carta, la Banca Vaticana aveva venduto un pacchetto di azioni ad una società panamense ad un prezzo di circa il 50% in più rispetto al loro valore reale. Le azioni non lasciarono mai il portafoglio vaticano e la banca che Martins controllava ebbe milioni di dollari in sospeso. Capelli ovviamente sperava che il prezzo delle azioni del Banco Ambrosiano alla fine aumentasse così da poterle svendere, ma camminava sul filo del rasoio. Inoltre questo doveva anche lottare con il problema di riciclare il denaro della Mafia oltre alle costanti richieste di fondi avanzate da Lucio Grilli. Tutto ciò comportava ulteriori appropriazioni indebite. Inoltre stava anche subendo gli effetti di un ricatto da parte di Sicari. Il ricatto fu messo in atto quando per tutta Milano cominciarono ad apparire manifesti con i quali si accusava Capelli di truffa, esportazione di valuta, falsificazione di conti, appropriazione indebita, evasione fiscale. Si citavano i numeri dei conti segreti della SWISS BANK appartenenti a Capelli, si esponevano dettagliatamente affari illeciti e si riferivano i suoi
Il soglio infangato
95
legami con la Mafia. Sicari, che aveva progettato tutto ciò, era giunto alla conclusione che Ruggero Capelli, suo collega della PI-2 ed ex protetto, non aveva seguito abbastanza attivamente il suo insegnamento. Ricorse a Lucio Grilli, il quale convenne che Capelli avrebbe dovuto rendere un sostanzioso contributo alla lotta di Sicari. Grilli si offrì come intermediario tra i due ex amici, ricevendo da entrambi una congrua provvigione. Ruggero Capelli attinse ancora una volta dalle sue tasche, o meglio, dalle tasche di quelli che depositavano denaro presso di lui e versò nella Banca del Gottardo di Lugano 500 mila dollari sul conto di Sicari. L’uomo che aveva organizzato la campagna di manifesti ed opuscoli per conto di Sicari, Lorenzo Cardoni, aveva svolto il suo compito con immenso piacere. Per qualche tempo aveva agito da solo e, come tutte le puttane di professione, si era venduto al miglior offerente. Quindi, i manifesti furono seguiti da rapporti dettagliati in cui venivano elencate tutte le accuse che erano apparse sui muri di Milano e consegnati al Governatore della Banca d’Italia, Pietro Biffi. La lettera si riferiva anche a una precedente relazione che forniva le foto e copie dei conti di Capelli presso la Swiss Bank e Cardoni concludeva con la minaccia di citare la Banca d’Italia in giudizio per incapacità di svolgere i suoi doveri legali e istituzionali, a meno che non cominciasse a indagare sul Banco Ambrosiano. La stessa settimana in cui Sicari ricevette il suo compenso di 500 mila dollari, alcuni funzionari della Banca d’Italia, che da qualche anno tenevano d’occhio Ruggero Capelli e il Banco Ambrosiano, cominciarono le loro indagini. L’uomo scelto per guidare la Commissione fu Giuseppe Padalini che, sfortunatamente per Capelli, era incorruttibile. Il tallone di Achille di Capelli era la SUPRAFIN e se gli ispettori della Banca d’Italia avessero scoperto la verità, il crollo del Banco Ambrosiano e di Capelli sarebbe stato inevitabile. L’unica speranza era il “vecchio” Martins. Quando gli ispettori della Banca d’Italia chiesero a Candido Ogliari, direttore generale dell’Ambrosiano, a chi appartenesse la SUPRAFIN, questi rispose che era proprietà dell’ISTITUTO per le OPERE di RELIGIONE (I.O.R.), la Banca Vaticana. Gli ispettori della Banca d’Italia continuarono ad indagare nel labirinto di acquisti di titoli, cessioni, trasferimenti incrociati, riacquisti, depositi, ma erano comunque fortemente limitati dalla legge. Le informazioni su cui insistere, a proposito delle banche associate estere, lasciavano molto
96
Paolo Maria Mariotti
a desiderare. Se fossero stati in grado di ottenere informazioni dettagliate sulla società finanziaria lussemburghese di Capelli e se si fossero resi conto che i milioni di dollari presi in prestito sul mercato europeo erano stati trasferiti a Nassau, dove Martins faceva parte del cda con Capelli, e a Managua e che queste due banche di proprietà dell’Ambrosiano avevano poi prestato milioni a piccole società fantasma senza alcuna garanzia, se tutto ciò fosse avvenuto, il gioco sarebbe stato scoperto fin dal principio. Ma agli ispettori furono negate le informazioni complete relative alla società finanziaria lussemburghese. Gli ispettori, però, continuarono a indagare e scoprirono che Loris Lantano, il precedente direttore esecutivo del Banco Ambrosiano, e Luciano Gambetti, fratello del capo contabile della banca, erano stati nominati amministratori della SUPRAFIN. Questi due, che chiaramente godevano della fiducia dell’Ambrosiano, erano uniti anche all’elite degli “uomini di fiducia” del Vaticano? Gli ispettori riuscirono a stabilire che la SUPRAFIN era stata creata a Milano da due dei più stretti soci di Capelli, Vassily Podorgiklion che era poi diventato consigliere delegato della BANCA CATTOLICA DEL VENETO, e Giangiacomo Zampilli. Forse anche questi erano diventati uomini di fiducia del Vaticano? Quando interrogarono ancora una volta Candido Ogliari, il socio di Capelli, questi diede una lettera da leggere a Padalini. Lettera scritta dalla Banca Vaticana a Ruggero Capelli. Diceva: “La presente si riferisce al portafoglio titoli posseduto dalla società Suprafin SA, una società appartenente al nostro Istituto. Con la presente vi chiediamo di gestire e amministrare il suddetto portafoglio nel modo più appropriato e di predisporre le operazioni di investimento e disinvestimento più idonee. Vi preghiamo di tenerci periodicamente informati riguardo la posizione del suddetto portafoglio e delle relative transazioni.” La lettera era firmata da Leandro Mancini e dal capo contabile dello IOR, Patrizio De Sthandel. Qui gli ispettori ebbero il sospetto che fosse stata scritta dopo che era iniziata la loro indagine e che avesse avuto la piena approvazione del vescovo Martins. Se si dovesse credere a Martins e ai suoi collaboratori, allora la Santa Sede aveva dato un nuovo significato alla frase “carità cristiana”. Essa ora comprendeva l’intero mercato azionario milanese e le spese per difendere il prezzo delle azioni del Banco Ambrosiano.
Il soglio infangato
97
Capelli, sicuro di aver bloccato l’indagine in quella che potenzialmente era la sua area più vulnerabile, programmò un viaggio in Sud America con sua moglie Carlotta. Una volta in Sud America, Capelli cominciò a rilassarsi. Poi il Papa morì e quando seppe il nome del nuovo Papa, il Patriarca di Venezia, Capelli rimase interdetto. Avrebbe preferito uno qualsiasi degli altri centodieci cardinali, dato che era pienamente consapevole dell’ira che aveva provocato a Venezia quando aveva rilevato la Banca Cattolica del Veneto e sapeva anche che il Patriarca si era recato a Roma nel tentativo di riottenere il controllo diocesano sulla banca. Era consapevole anche del fatto che il Patriarca era uomo dalla formidabile reputazione per la povertà personale e l’intransigenza verso gli ecclesiastici che si davano agli affari. Quando Capelli seppe la notizia, cominciò ad aver paura. Martins aveva i giorni contati e la denuncia dell’intera truffa era inevitabile. Ricordò ciò che Martins gli aveva detto al telefono durante l’elezione del Papa: “Le cose stanno per prendere una piega diversa. Questo Papa è un uomo diverso!”. Giovanni XXIV rappresentava una gravissima minaccia sia per Marco Sicari che per Ruggero Capelli. Il nuovo Papa rappresentava chiaramente una minaccia ancora maggiore per il vescovo Martins, presidente della Banca Vaticana. Se questo avesse indagato sulla Banca, sicuramente ci sarebbero stati numerosi licenziamenti. Anche Mancini e De Sthandel, che avevano firmato la lettera della Suprafin, avevano le ore contate. Entrambi erano coinvolti da molto tempo nelle attività criminali di Sicari e Capelli. Se Martins nutriva qualche dubbio sulla capacità del nuovo Papa di intraprendere una decisiva ed efficace azione, gli bastò consultarsi con De Standhel, un avvocato veneziano che era pienamente a conoscenza dell’affare dei sacerdoti malversatori di Vittorio Veneto. Nogara poteva aver avuto una mentalità puramente capitalistica, ma, paragonato a quelli che gli erano succeduti nell’amministrazione della Vatican Incorporated, era un Santo. In quel settembre il Papa era a capo di un’immensa multinazionale. Se il suo sogno di essere l’ultimo “Padre ricco” fosse diventato realtà, allora la Vatican Incorporated sarebbe stata distrutta. Lo Stato Pontificio avrebbe potuto anche dissolversi per sempre, ma al suo posto c’era una straordinaria macchina per fabbricare denaro.
98
Paolo Maria Mariotti
C’era l’Amministrazione del Patrimonio della Santa Sede (A.P.S.A.) con il suo presidente, cardinale Valloret, il segretario, monsignor Ariosti e le sue sezioni ordinaria e straordinaria. La sezione ordinaria amministrava tutte le ricchezze delle varie congregazioni, dei tribunali, e degli uffici. In modo specifico amministrava una grande quantità di beni immobili del papato. Solo a Roma più di cinquecentomila appartamenti in affitto. La sezione straordinaria, l’altra banca del Vaticano, era attiva nelle sue speculazioni azionarie quotidiane così quanto lo IOR controllato da Martins. Specializzata nel mercato valutario, lavorava in stretto contatto con il Credit Suisse e la Societé des Banques Suisses. Al settembre il suo capitale lordo superava il miliardo e 200 milioni di dollari. La Banca Vaticana, amministrata da Martins, gestiva un capitale lordo superiore a 1 miliardo di dollari. I suoi profitti annuali erano superiori a 120 milioni di dollari; per l’85% erano appannaggio del Papa che li adoperava come meglio credeva. I suoi conti correnti erano più di undicimila i quali, secondo le condizioni con cui Pio XII creò la banca, avrebbero dovuto appartenere, in larga misura agli Ordini e agli Istituti religiosi. Quando Giovanni XXIV divenne Papa, solo 1047 appartenevano agli Ordini e agli Istituti religiosi, 312 alle parrocchie e 290 alle Diocesi. I rimanenti 9.351 erano proprietà di diplomatici, prelati e “cittadini privilegiati” (molti dei quali non erano nemmeno italiani). Quattro tra costoro erano Sicari, Capelli, Grilli e Ozzieri.. Altri conti erano posseduti da importanti uomini politici di qualsiasi partito e da grandi industriali. Molti dei proprietari usavano le facilitazioni come un canale occulto attraverso cui esportare illegalmente valuta fuori dall’Italia. Qualsiasi deposito fatto non era soggetto ad alcuna tassazione. Erano carte scottanti quelle che avevo in mano, come alcune note di Giovanni XXIV scritte di suo pugno. “Forse che le parole di Gesù sarebbero ascoltate in modo meno chiaro in un luogo più modesto della Cappella Sistina? Considerando che il Vaticano le opere d’arte le ritiene improduttive, come avrebbe classificato le opere d’arte del Vaticano il fondatore del Cristianesimo, conoscendo le sue idee sulla ricchezza e la povertà? Cosa avrebbe provato l’uomo che aveva dichiarato “il mio regno non è di questa terra”, se fosse andato in giro per gli uffici dell’A.P.S.A. con i suoi manipoli di esperti di mercato, ecclesiastici e laici che seguivano le frequentissime fluttuazioni delle azioni, dei titoli e degli investimenti che l’A.P.S.A. aveva in tutto il mondo?
Il soglio infangato
99
Che cosa avrebbe fatto il figlio del falegname con le attrezzature dell’IBM in funzione nell’A.P.S.A. e nella Banca Vaticana? Che cosa avrebbe detto l’uomo che paragonava la difficoltà di un uomo ricco ad entrare nel Regno dei Cieli a quella di un cammello nel passare attraverso la cruna di un ago, ascoltando le quotazioni dei mercati azionari di Londra, Wall Street, Zurigo, Milano, Montreal e Tokyo, che risuonavano incessantemente tra le mura vaticane? Cosa avrebbe detto l’uomo che aveva dichiarato beati i poveri, a proposito dei profitti annuali provenienti dalla vendita di francobolli vaticani (proventi superiori al milione di dollari)? Cosa avrebbe provato il fondatore della Fede Cristiana rendendosi conto di quanto era stato falsato il suo insegnamento? Penso che se Gesù Cristo tornasse sulla terra e cercasse di entrare nel Vaticano, il risultato sarebbe lo stesso: non arriverebbe alla porta della Banca Vaticana. Sarebbe arrestato al cancello della porta di Sant’Anna e consegnato immediatamente alle autorità italiane. Dovrò svolgere un compito immane. Ce la farò? Signore, dammi la forza!”
100
Paolo Maria Mariotti
CAPITOLO QUATTORDICESIMO Nessuno può servire a due padroni: poiché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e trascurerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mammona. Matteo 6,24
<E adesso?> mi chiesi, sgomento <dove vado a sbattere la testa?> I documenti che avevo appena finito di scorrere mi avevano dato un’idea chiara del perché questo Papa scomodo era stato tolto di mezzo dopo appena trentatré giorni di regno. Ma non chiarivano il chi aveva dato l’ordine di ucciderlo o chi lo aveva ucciso. Indubbiamente mi trovavo in alto mare. Forse leggendo il resto del carteggio e quella specie di diario lasciato da Giovanni XXIV mi si sarebbero aperti gli occhi. Forse! Ma era una cosa grande anche per me. Dovevo farne partecipe qualcuno. Ma chi? Il governo Italiano? Impossibile! C’erano di mezzo importanti politici appartenenti a quasi tutti i partiti. No! L’unico era il Presidente Reynolds! D’altro canto era lui il capo supremo dell’A.E.T. e solo a lui dovevo rispondere del mio operato. <Gli sottoporrò tutto ciò che ho scoperto, quindi concerteremo sul da farsi> pensai. Intanto la televisione trasmetteva i funerali di quel meraviglioso, sfortunato Papa, illuminando qua e là i volti sgomenti della folla che piangeva la perdita di un grande uomo e la sontuosità dei cardinali che probabilmente stavano pensando a chi avrebbero eletto da lì a qualche giorno. <Non è giusto, maledizione!!!> urlai nel mio cuore. <Ma è giusto che abbiano tentato di uccidere tua moglie come fosse stata una bestia da macello? E’ giusto che abbiano tentato di ucciderti senza pensarci due volte? E’ giusta la morte di Hoffmann? E’ giusta la morte di monsignor Lucidi? E quella di suor Valentina? No, non è giusto. Debbo stanarli e fargliela pagare. Chiunque essi siano…>
Il soglio infangato
101
I miei pensieri, come al solito, furono interrotti dal suono insistente del telefono. “Hellò…” disse una voce lontana. “…Capo? Sono John Coltrane. Chiamo da Boston… Ho ritrovato padre McDonalds. E’ rinchiuso in un manicomio criminale imbottito di psicofarmaci…” “Per Giuda…” imprecai. “…Tiralo fuori di lì, John. Usa tutti i mezzi che vuoi, ma tiralo fuori di lì prima che si aggiunga il suo nome alla già troppo lunga lista dei morti. Trova il sistema, ma tiralo fuori di lì prima che sia troppo tardi. Ti mando un paio di ragazzi, ma domani sera al massimo devi caricarlo sull’aereo e riportarlo a Roma!” “OK! Capo. Ci proverò!” rispose. “No, John. Devi assolutamente farcela…” “OK!” Rimasto solo, pensai che adesso non restava che pregare sulla riuscita della missione del comandante Coltrane. Ma altri squilli insistenti mi riportarono alla realtà. “Pronto? Biavati…” dissi. “Buona sera, marchese. Sono il cardinale Valloret…” “Buona sera… eminenza…” risposi infastidito “cosa posso fare per lei?” “Vorrei parlarle a quattr’occhi, se fosse possibile” disse nel suo strascicato accento transalpino. “Che ne direbbe di incontrarci a Castel Gandolfo?” “Dico, eminenza, che non se ne fa nulla. Forse non sa che sono appena sfuggito ad un attentato per puro miracolo, appena fuori le mura di Roma. No, se proprio vuole vedermi, possiamo farlo nella caserma dei carabinieri, al comando ROS…” risposi con voce velata di sarcasmo. “Via… marchese! Non mi dirà che ha paura di un povero vecchio uomo di Dio!” “Dipende di quale Dio parla, eminenza. No, non ho paura, ma non posso assolutamente muovermi.” “Vorrà dire che mi riceverà nel suo ufficio, sempre che le vada bene…” disse. “Va bene, eminenza. L’attendo tra un’ora a Ciampino. Darò disposizione alle sentinelle in modo che la facciano passare subito.” Appena chiusa la comunicazione pensai bene di togliere dalla circolazione tutti i documenti di Giovanni XXIV e i miei appunti sparsi per tutta la stanza. Quindi chiamai Antonio e gli dissi di rientrare immediatamente. Volevo che fosse presente all’incontro.
102
Paolo Maria Mariotti
Ore 18,45. Un’auto senza contrassegni con a bordo due persone anziane entra dal corpo di guardia e procede verso l’hangar più lontano. E’ il cardinale Valloret. Lo ricevette Antonio in qualità di vice comandante operativo A.E.T.. Quando ci trovammo l’uno davanti all’altro, i nostri sguardi sembravano diventati raggi x. “Buona sera, eminenza!” dissi cortesemente, invitandolo a sedere. “Buona sera a lei, marchese Biavati!” “Lei continua a chiamarmi marchese, ma credo sappia che ho sempre nutrito una sincera repulsione per i titoli…” “Non si può abiurare sul nome e sulle origini. Lo voglia o no, lei è quello che è, caro signore!” “Bene, eminenza. Come vede ho molto da fare. Le dispiace venire allo scopo della sua visita?” dissi tranquillamente. “Come ben comprenderà…” rispose affabilmente “…la mia è una visita informale. Amichevole, oserei dire, se lei me lo permette. Non sarebbe un buon diplomatico, sa, marchese?” disse l’alto prelato con un sorriso sardonico sulle labbra. “Lo so, eminenza! Infatti mi occupo di tutt’altra cosa…” “Lo so… Lo so… Ed è per questo che sono qui in via del tutto informale. Il Santo Padre, da ieri, riposa il suo corpo terreno nelle cripte vaticane, accanto ai suoi predecessori. Nessuno, e quando dico nessuno, voglio dire nemmeno nostro Signore, può più accedere presso le sue spoglie mortali. Credo, pertanto, sia giunto il momento che lei restituisca quei documenti di cui è venuto in possesso in maniera rocambolesca, e la faccia finita con indagini che portano vergogna alla Chiesa e a chi le svolge. Altrimenti…” “Altrimenti… Cosa, eminenza? Rischio di fare la fine di suor Valentina, di monsignor Lucidi, del tenente Hoffman, di padre McDonald o di… mia moglie?” risposi con una voce che non prometteva niente di buono. “Tenga presente che ci hanno provato a farmi fuori, ma come può ben vedere, sono ancora vivo e vegeto!” “Lei non può negare di essere stato la notte del 29 settembre nelle stanze private del Santo Padre” riprese in tono tagliente il cardinale, “come non può negare di essersi appropriato di un voluminoso carteggio che io so si trovava sulla scrivania del Papa in quel momento…” “Strano!” risposi. “Se si fosse trattato di un carteggio segreto, Sua Santità ne avrebbe avuto più cura, invece di lasciarlo alla mercè di tutti. Il fatto è che lei, eminenza, non ha uno straccio di prova contro di me. E nemmeno
Il soglio infangato
103
può artatamente costruirle perché sa che non ero solo quella diabolica notte. L’unico documento in mio possesso, che mi riprometto di divulgare tramite il Dipartimento di Stato Americano, è questo…” prontamente tirai fuori dal cassetto della mia scrivania i risultati dell’autopsia effettuata dal professor Bartoloni sul corpo di Giovanni XXIV poche ore dopo la sua morte. “Abominio!” urlò con la schiuma alla bocca. “Un Papa non può essere sottoposto ad autopsia come un comunissimo mortale. Non si può fare scempio del corpo del Vicario di Cristo…” “Questo lo dice lei, eminenza. La legge dice…” “Ma di quale legge mi va cianciando…?” mi interruppe urlando “…La legge italiana o di qualsiasi altro Paese non ha alcun valore nella Città del Vaticano che ha le sue proprie leggi!” “Certo!” risposi sarcastico, con un ghigno maligno sulle labbra. “Tra le quali quella di coprire impunemente l’assassinio del Papa!” “Marchese Biavati, la prego…” rispose con malcelata cattiveria il cardinale “… non abusi della mia pazienza. Chi altri sa? Voglio dire chi sa di questa autopsia, oltre i firmatari del referto dell’anatomopatologo?” “Per quale motivo me lo chiede, cardinale Valloret? Vuole forse chiudere la bocca a tutti?” chiesi acido. Proprio in quel momento squillò il telefono. “Sono Coltrane. Tutto OK. Padre McDonald è con noi ma l’hanno ridotto ad un vegetale… Ce ne vorrà di tempo per recuperarlo…” “Va bene, John. Ti richiamo più tardi, adesso sono occupato!” risposi, facendo finta di nulla. “Nessuno crederà alle parole di un personaggio squallido come lei…” riprese infervorato il cardinale. “Nessuno metterà in dubbio il bollettino medico ufficiale uscito dalle stanze vaticane.” “Nessuno? Ne è proprio sicuro? Chieda al Presidente degli Stati Uniti che mi ha incaricato personalmente di fare luce su questa strana morte! Lo chieda anche al Presidente della Francia, già che c’è…” Rimase bloccato. Qui non si trattava più di giocare al gatto e al topo con un tale di nome Biavati, ma con personaggi di levatura internazionale che sarebbero andati fino in fondo, specialmente Reynolds che tutti sapevano essere un grande amico di Giovanni XXIV e che lo sentiva telefonicamente tutte e sere. “Vede, eminenza” ripresi in tono pacato “ho giurato a mia moglie che avrei preso gli autori di quello scherzetto che le hanno giocato. Ma ora non
104
Paolo Maria Mariotti
mi accontento più. Voglio anche i mandanti e né lei né altri potrete legarmi le mani.” Fece per rispondermi, ma lo prevenni: “No, … Non venga a parlarmi del buon nome del Vaticano. Dal momento in cui è stato assassinato il Papa, quel buon nome non esiste più, se mai è esistito. E poi, come lasciare impunite le morti di suor Valentina e monsignor Lucidi? Li ha fatti trasferire lei in fretta e furia e in fretta e furia sono stati fatti morire. E padre McDonald scomparso nel nulla? E il tenente Hoffmann che è servito da specchietto per le allodole per attirarmi in un agguato e poi ucciso alla maniera dei mafiosi? Ah, le rammento che fra i miei attentatori ho riconosciuto perfettamente il colonnello Bauer, il comandante degli Svizzeri che, se non erro, in questo periodo in cui il trono di Pietro è vacante, prende ordini dal Camerlengo che, guarda caso, è il cardinale Valloret qui presente. O sbaglio? E mia moglie Selvaggia Accorsi Biavati? Faceva parte di un complotto anche lei, per tentare di toglierla di mezzo?” “Marchese…” urlò livido di rabbia “… lei sta giocando con il fuoco e rischia di scottarsi seriamente… Stia attento…” “No, cardinale! E’ lei che rischia di scottarsi ma prima che ciò accada le voglio concedere una chance, se veramente è al di sopra di tutto…; dia le dimissioni! Si ritiri in qualche convento a meditare e a chiedere perdono. Altrimenti anche lei verrà spazzato via dal precipitare degli eventi…” “Piccolo insetto presuntuoso” disse rabbiosamente sprizzando odio da tutti i pori “come si permette di dare consigli a me che per anni ho lottato per tenere alto il prestigio della Chiesa? Una Chiesa che… Giovanni XXIV avrebbe riportato all’era delle catacombe…” “Vedo che non è più possibile parlare da esseri civili, cardinale Valloret, e quindi non la trattengo ulteriormente. Buona sera!” Gli indicai la porta voltandogli le spalle. Appena il cardinale fu uscito e il corpo di guardia me lo ebbe confermato, dopo un esame alla stanza alla ricerca di qualche piccolo microfono spia che poteva essersi lasciato dietro il mio visitatore (non si sa mai, vista la sua amicizia con il re dei ricattatori, Grilli), richiamai John Coltrane a Boston. “John? Sono io! Adesso puoi dirmi tutto!” “C’è poco da dire, capo! Padre McDonald è stato costantemente imbottito di psicofarmaci tanto da essere ridotto in uno stato di completa abulia. Con me c’è un mio amico psichiatra che gli sta somministrando le prime
Il soglio infangato
105
cure, ma dice che gli occorreranno alcuni giorni prima che si possa muovere e che possa riprendere a ragionare coerentemente. Cosa debbo fare?” “Niente! Assolutamente niente, John! Portalo in un posto sicuro, con il medico, e non muoverti fino a che lui non sarà in grado di parlare. Ah, mi raccomando, non abbassare mai la guardia. Quando lì scopriranno la scomparsa del prete, scatterà una caccia all’uomo mai vista” risposi. “D’accordo! Starò in campana!” “Bravo! Ci risentiamo non appena avrai novità da comunicarmi!” Quindi chiamai Antonio e gli raccontai gli sviluppi della situazione. “Beh, caro Beppe…” disse lui tranquillamente “più nella merda di così… Ci sei andato duro con il cardinale e a me quello sembra il tipo da legarsela al dito.” “Lo so, Antonio! Ma dovevo spaventarlo per indurlo a commettere qualche mossa falsa!” “E adesso? Che facciamo?” “Niente. Assolutamente niente! Tu con le squadre A e B continuerai a condurre le indagini. La squadra C continuerà a tenere costantemente sotto controllo Selvaggia fino a che potremo portarla via dall’ospedale e la squadra D, quella di Coltrane, continuerà a vegliare su McDonald…” “E tu?” “Continuerò a rimestare nella merda fino a che non avrò trovato l’assassino del Papa… E puoi star certo che lo troverò!” Adesso non restava che mettere mano al “diario” di Giovanni XXIV, ma prima dovevo assolutamente parlare con il Presidente Reynolds, se non altro per pararmi le spalle dalla reazione di Valloret che non avrebbe tardato a farsi sentire. Trovai il presidente americano appena un minuto prima che lo chiamasse il cardinale, come mi fu riferito in seguito. Gli parlai di tutto ciò che avevo scoperto. Ascoltai i suoi consigli, ma mai una volta disse di lasciar perdere tutto. Anzi, insistette fermamente affinché ci dessimo da fare per consegnare i responsabili alla giustizia. Quella degli uomini o quella di Dio, non faceva alcuna differenza. Praticamente avevo carta bianca e per quello che avevano fatto alla mia Selvaggia, in un primo momento avevo sentito un vago prurito al dito indice della mano destra, ma sapevo che era solo una reazione epidermica e che non sarei mai sceso al livello di quegli animali.
106
Paolo Maria Mariotti
Salutai il Presidente rassicurandolo che lo avrei tenuto puntualmente al corrente e, una volta rimasto solo, mi concentrai nella lettura del â&#x20AC;&#x153;diarioâ&#x20AC;? di Papa Giovanni XXIV. Confesso che nellâ&#x20AC;&#x2122;aprire quelle pagine coperte da una fitta scrittura nera ebbi un momento di emozione e di timore reverenziale, ma sapevo che il Santo Padre mi avrebbe scusato. In quel momento lavoravo per lui e per la storia futura.
Il soglio infangato
107
CAPITOLO QUINDICESIMO Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto. Infatti chi chiede, riceve, chi cerca, trova; e a chi bussa, sarà aperto. Matteo 7,7
“Io sono un uomo povero abituato alle piccole cose e al silenzio, ora mi trovo costretto a fronteggiare la grandiosità vaticana e le manovre della Curia. Il figlio di un muratore è ora capo supremo di una religione il cui fondatore era il figlio di un falegname. Per questo, credo che Dio mi abbia chiamato nella maniera più inconsueta. Come nell’incontro con suor Lucia, la pastorella di Fatima… Allora ero cardinale, ma lei mi chiamò Santo Padre. “ Perchè mi chiama così? Non sono che un cardinale!” “Io dico quello che vedo!” fu la risposta. “Allora i suoi occhi vedono male…” risposi spaventato. Guardandomi con umiltà, mi rispose: “Lei lo ha sempre saputo!”” Iniziava così quel diario e io mi chiedevo se fossi degno di profanarlo. “Mi chiamano il Papa sconosciuto, ma credo che quei novantanove cardinali che mi hanno affidato il futuro della Chiesa mi conoscono abbastanza bene, anche se non ho precedenti diplomatici e curiali. In questa mia elezione molti cardinali curiali sono stati sconfitti, anzi, tutta la Curia è stata sconfitta da un uomo tranquillo e umile. Dovrò dire al Camerlengo che non voglio essere chiamato Pontefice, ma Pastore. Le mie aspirazioni diventeranno ben presto chiare. Sono deciso a riportare la Chiesa alle sue origini, un ritorno alla semplicità, l’onestà, gli ideali e le aspirazioni di nostro Signore Gesù Cristo. So che altri, prima di me, hanno coltivato queste aspirazioni e che alla fine si sono dovuti arrendere alla diversa realtà delle cose. Nell’eleggermi, i signori cardinali hanno fatto dichiarazioni su quello che vogliono e quello che non vogliono. E’ chiaro che non vogliono un Papa reazionario ma, a quanto ho capito, non vogliono nemmeno un Papa i cui interessi siano essenzialmente di natura astratta e intellettuale. Credo
108
Paolo Maria Mariotti
che cerchino un profondo impatto con il mondo con l’elezione di un uomo universalmente conosciuto come buono, saggio e umile. Vogliono un pastore dedito alla predicazione pastorale. Non so come abbia potuto accettare. Il giorno dopo me ne ero già pentito, ma ormai era troppo tardi. Ora voglio e debbo essere l’esempio di come vincere la battaglia per conquistare il cuore, la mente e l’anima del genere umano. Devo parlare alla gente in un modo e in uno stile che essa possa comprendere. Durante un’udienza generale, il 6 settembre, i membri del seguito mi si affaccendavano intorno come mosche su un cavallo e mostrarono imbarazzo quando cominciai a parlare dell’anima. Non mi sembravano cose straordinarie. Una volta un uomo andò a comprare una nuova automobile.Il rivenditore gli diede qualche consiglio. “Guardi è un’auto eccellente; la tratti nel migliore dei modi. La migliore benzina nel serbatoio, il miglior olio nel motore.” Il cliente replicò: “Oh, no, non sopporto l’odore della benzina o dell’olio. Riempia il serbatoio di champagne che mi piace molto e lubrificherò gli ingranaggi con la marmellata”. Il rivenditore scrollò le spalle: “Faccia come vuole, ma dopo non venga a lamentarsi se finisce con l’auto in un fossato!” Il Signore fece qualcosa di simile con noi: ci diede questo corpo, animato da un’anima intelligente e una buona volontà. Egli disse: “Questa macchina è buona, ma trattala bene!” Li ho visti rabbrividire mentre ascoltavano questi accostamenti profani, ma io so che le mie parole fanno il giro del mondo. Semina abbastanza, qualcosa crescerà. Molti all’interno della Chiesa parlano ad nauseam della Buona Novella del Vangelo, mentre danno l’impressione che stanno informando i loro ascoltatori di grandi disastri. I giornalisti? Mi sento a mio agio con i giornalisti. Più di una volta ho detto che se non fossi diventato prete, sarei diventato giornalista. E i giornalisti mi vogliono bene. <La Curia si divertiva di meno> pensai. <Tutti i precedenti commenti con i giornalisti sono stati censurati dalle registrazioni ufficiali del discorso. La Censura Vaticana al Papa era diventata una caratteristica costante durante questo papato>. Non ci sarà incoronazione. Rifiuto di essere incoronato. Non ci sarà nessuna sedia gestatoria, nessuna tiara tempestata di smeraldi, rubini, zaffiri e diamanti. Niente piume di struzzo. Nessuna cerimonia di sei ore. La mi-
Il soglio infangato
109
sera pratica con cui la Chiesa mostra di bramare ancora il potere temporale. Ho dovuto faticare con i tradizionalisti, ma l’ho spuntata. Il Papato regale con le sue tentazioni di grandezza mondiale deve essere sostituito da una Chiesa che applichi i principi del Suo fondatore. <Infatti> pensai <l’incoronazione si trasformò in una semplice Messa. Lo spettacolo di un Pontefice trasportato su una sedia come un califfo da notti arabe, fu rimpiazzato dalla vista di un supremo Pastore che sale tranquillamente i gradini dell’altare. Con quel meraviglioso gesto, Giovanni XXIV cancellava 1000 anni di storia e indirizzava ulteriormente la Chiesa sulla strada di Cristo.> La tiara sarà sostituita dal pallio, una stola di lana bianca intorno alle spalle. Con me comincia ufficialmente l’era della Chiesa povera! Alla Messa inaugurale, nonostante il mio parere negativo, ho dovuto incontrare i leaders dei Paesi retti da una dittatura, per volere del Segretario di Stato. Devo parlargliene al più presto. Bello l’incontro con il presidente Reynolds che mi ha regalato un libro contenente tutte le prime pagine dei giornali americani che riferivano della mia elezione e una copia della prima edizione di “Vita sul Mississippi” di Mark Twain. Prima della Messa inaugurale ho rivolto un saluto al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Ho visto qualcuno del mio staff impallidire visibilmente quando, a proposito della Chiesa Cattolica Romana, ho osservato: “Non abbiamo beni temporali da scambiare o interessi economici da discutere. Le nostre possibilità di intervento sono specifiche e limitate e di carattere speciale. Esse non possono interferire con gli affari semplicemente temporali, tecnici e politici, che sono problemi dei vostri governi. In questo modo, la nostra missione diplomatica presso le vostre autorità civili, ben lungi dall’essere una reliquia del passato, è una testimonianza del nostro profondo rispetto per il potere temporale legittimo e del nostro vivo interesse per le cause umane che il potere temporale intende portare avanti.” So che con queste poche frasi ho pronunciato la sentenza di morte per la Vatican Incorporated. Adesso non mi resta che stabilire quanti giorni dovrà continuare a funzionare. Ricordai, leggendo queste parole, che gli uomini dei mercati monetari internazionali di Milano, Londra, Tokyo e New York in quel momento con-
110
Paolo Maria Mariotti
siderarono le parole del Papa con molto interesse, come scrissero tutti i giornali. Questi cambiamenti non interesseranno semplicemente il personale della Banca Vaticana e dell’A.P.S.A., ma inevitabilmente comporteranno la riduzione di un certo numero di attività della Vatican Incorporated. <Ricordo che il Sole 24 Ore vaticinava che per gli uomini dei mercati monetari internazionali si apriva la possibilità di ottenere milioni e milioni di dollari solo se avessero potuto indovinare con precisione la direzione che questa nuova filosofia vaticana avrebbe preso.> Desidero una Chiesa povera per i poveri. Adesso, però, cosa fare di quelli che hanno creato una Chiesa ricca? E cosa fare di quella ricchezza? <L’umiltà di Giovanni XXIV> pensai <ha dato luogo a molti fraintendimenti. Molti osservatori hanno concluso che quest’uomo con l’aria da santo era una persona semplice, cui mancavano la cultura e la raffinatezza del suo predecessore. In realtà egli possedeva una cultura molto più ricca e una raffinatezza molto più profonda del Papa precedente. Era così straordinario da poter sembrare un uomo semplice. Una semplicità derivante da una profonda saggezza. Una delle caratteristiche di questi nostri tempi è che l’umiltà e la gentilezza sono segnale di una certa debolezza. Di solito esse indicano l’esatto opposto, una grande forza. Basta pensare a quello che mi disse un sacerdote a lui molto vicino: “la sua mente era forte, dura e appuntita come un diamante. Capiva e aveva la capacità di arrivare al nocciolo delle questioni. Non poteva essere sopraffatto. Mentre tutti applaudivano il Papa sorridente, io aspettavo che lui tirasse fuori le unghie. Aveva una forza tremenda!”> Lasciati questi pensieri, ripresi la lettura del diario. Sono arrivato fin qui senza un seguito, - nessuna “mafia veneziana” a sostituire la cricca milanese – e avrò bisogno di tutta la forza interiore che possiedo per evitare di diventare prigioniero della Curia Vaticana. Domenica ho pranzato con il cardinale Valloret. Come Segretario di Stato del precedente Papa, Valloret godeva fama di persona competente e, durante il periodo precedente al Conclave, come Camerlengo aveva praticamente agito come sostituto del Papa, assistito dai cardinali. Gli ho chiesto di continuare a svolgere le mansioni di Segretario di Stato ancora per un po’, fino a quando avrò organizzato ogni cosa. Valloret aveva invece sperato che fosse giunto il momento di ritirarsi. Almeno così lui dice.
Il soglio infangato
111
Ho poi riconfermato tutti i dirigenti curiali nei loro incarichi, ma tutti sanno che si tratta di una misura temporanea. Da prudente uomo delle montagne, preferisco aspettare un’occasione migliore. Deliberazione. Decisione. Esecuzione. E, se proprio la Curia vuole sapere come agirò, penso sia bene che vada a rileggersi le mie lettere a San Bernardo. So che molti lo hanno fatto e so anche che ciò che hanno letto ha causato costernazione in molti dipartimenti vaticani e una profonda gioia in altri. La morte del mio predecessore ha fatto riemergere molte animosità che allignavano in Vaticano. La Curia Romana, corpo amministrativo centrale della Chiesa, è impegnata in guerre intestine da molti anni; solo l’esperienza del Papa aveva tenuto nascoste all’opinione pubblica la maggior parte delle magagne. Ora, la guerra curiale sembra voler raggiungere me. Voglio imparare rapidamente il mestiere di Papa, ma quasi nessuno espone i problemi e le situazioni in modo esauriente e dettagliato. Il più delle volte sento parlare male di tutto e di tutti. Oltre tutto ho notato che davvero due cose sono carenti in Vaticano: l’onestà e una buona tazza di caffè. Le fazioni della Curia Romana sono numerose come i ragazzi del coro della Cappella Sistina. C’è la curia del precedente Papa, totalmente impegnata ad assicurare non solo che la memoria del Papa sia costantemente onorata ma anche che non ci siano deviazioni dalle sue posizioni, opinioni e dichiarazioni. C’è la Curia che sostiene il Cardinale Giacomo Bertini e la Curia che vorrebbe mandarlo all’inferno. Il mio predecessore aveva nominato Bertini sottosegretario di Stato, numero due dopo il cardinale Valloret. Bertini divenne rapidamente il braccio destro del Papa, mettendo in pratica la sua politica. A causa di ciò, l’animosità nei suoi confronti era arrivata a tal punto che per proteggerlo il Papa lo aveva promosso e trasferito a Firenze. Ora il protettore di Bertini è morto, ma, a quanto pare, i lunghi coltelli restano sguainati. Io sono Papa grazie a uomini come Bertini. C’erano le fazioni curiali che favoreggiavano i cardinali Brogli, Fantucci e Bartolomei. C’erano e ci sono tutt’ora fazioni che desiderano un potere più centralizzato e altre che puntano ad un maggior decentramento. Ecco perché, per tutta la vita, avevo evitato di fare visite in Vaticano riducendo al minimo i miei contatti con la Curia Romana.
112
Paolo Maria Mariotti
Come risultato, prima della mia elezione, probabilmente avevo in Curia meno nemici degli altri cardinali. Ma so che è una situazione destinata a cambiare in tempi brevi. Ora sono un Papa che considera la Curia “semplice esecutrice” delle decisioni papali. L’innovazione che, comunque, mi ha reso più inviso ai venali membri della Curia è stato l’ordine di dimezzare l’aumento di stipendio che viene automaticamente concesso all’elezione di un nuovo Papa. Le “disinformazioni” fornite su di me da L’OSSERVATORE ROMANO costituiscono esempio significativo del modo in cui si riesce a influenzare l’opinione mondiale su di un uomo in precedenza sconosciuto. A causa di queste deliberate “disinformazioni”, questo eccellente giornale semiufficiale del Vaticano è stato paragonato alla PRAVDA. Usando, infatti, i “Fatti Ufficiali” del Vaticano, molti giornalisti hanno descritto un uomo che non esiste. Per fare un esempio, l’ECONOMIST ha scritto: “Il nuovo Papa non si sentirebbe molto a suo agio con HANS KUNG.” Se avessero, invece, fatto delle ricerche, avrebbero scoperto che io e Hans Kung ci siamo scambiati amichevolmente lettere e libri. E ricerche ancora più approfondite avrebbero rivelato che ho citato favorevolmente Kung durante i miei sermoni. <Quando la Curia Romana si mette in moto> e qui mi venne da pensare alle parole di mio suocero <è una macchina formidabile. La sua efficienza e velocità lascerebbero senza fiato gli altri servizi civili. Si può dire che il processo di beatificazione di Giovanni XXIV è cominciato il giorno in cui è stato eletto Papa. E si può ugualmente affermare che l’alterazione della reale immagine di questo Papa da parte della Curia è cominciata lo stesso giorno…> Alcuni membri della Curia si sono resi conto con grande rammarico che, eleggendomi, i cardinali hanno scelto un Papa che, in relazione al problema del controllo delle nascite, non si sarebbe basato sull’enciclica HUMANAE VITAE. Non è un segreto che sono favorevole al controllo artificiale delle nascite. <La falsa immagine di un uomo che applicava rigorosamente i principi dell’ HUMANAE VITAE presentata dall’OSSERVATORE ROMANO è stata la prima mossa di un contrattacco destinato a coinvolgere Giovanni XXIV nelle critiche rivolte all’enciclica del suo predecessore. Mossa seguita rapidamente da un altro duro colpo.
Il soglio infangato
113
L’Agenzia di Stampa U.P.I. scoprì che Giovanni XXIV aveva sostenuto un decreto a favore del controllo artificiale delle nascite. Anche i giornali italiani riportavano delle storie che si riferivano al documento dell’allora vescovo di Vittorio Veneto, inviato al Papa dal cardinale Urbini di Venezia e nel quale si raccomandava fortemente la liberalizzazione della pillola contraccettiva. La Curia rintracciò rapidamente padre Harry de Riematel che era stato segretario del Papa nella commissione istituita per l’esame del controllo delle nascite. De Riematel definì una “fantasia” la relazione che il vescovo aveva opposto ad una enciclica che condannava il controllo delle nascite. Asserì anche che Giovanni XXIV non era mai stato membro della commissione, il che era vero. Continuò poi a negare che il Papa avesse mai ricevuto una lettera o un documento dal vescovo di Vittorio Veneto. Questo diniego è tipico della doppiezza della Curia. Il documento fu inviato a Roma dal cardinale Urbini e quindi portava la sua firma. Negare che esistesse un documento effettivamente firmato da lui era tecnicamente corretto. Negare che lui, per conto dei vescovi veneti, avesse inoltrato un tale documento al Papa tramite il cardinale era un’iniqua menzogna.> …I difensori di quell’enciclica si sono subito preoccupati per le mie opinioni quando hanno scoperto, con costernazione, che dall’abbozzo del discorso di accettazione, che era stato preparato dalla Segreteria di Stato e conteneva entusiastici riferimenti all’ HUMANAE VITAE, tali riferimenti li avevo cancellati… <E bravo Santità!> pensai sorridendo figurandomi la faccia paonazza di qualche pallone gonfiato, tutto vestito di rosso. …Mi sto accorgendo che la stampa mondiale ripete meccanicamente le menzogne de l’Osservatore Romano mentre, come ho detto al cardinale Valloret, sarei molto lieto di discutere questo problema. Secondo me non possiamo lasciare la situazione così come è adesso. So che il periodo di ovulazione di una donna, con relativa fecondità, oscilla da ventiquattro a trentasei ore. Anche ammesso che la vita degli spermatozoi raggiunga le quarantotto ore, il tempo massimo per un possibile concepimento è inferiore a quattro giorni. In un ciclo regolare ciò significa quattro giorni di fecondità a ventiquattro giorni di sterilità. Perché dovrebbe essere peccato dire ventotto giorni anziché ventiquattro? Valloret, come molti di coloro che mi circondano, ha notevoli difficoltà nell’adattarvisi. Lo capisco. Nel corso degli anni ha sviluppato uno stretto rapporto con il mio predecessore e ne ha ammirato sempre di più lo stile.
114
Paolo Maria Mariotti
Inutile negare che i nostri rapporti non sono assolutamente facili. Lo trovo freddo e distaccato, sempre pronto a farmi osservare ciò che il mio predecessore avrebbe detto o avrebbe fatto riguardo a questo o quel problema. Lo strano è che il Papa è morto, ma è chiaro che Valloret e una notevole parte della Curia non hanno accettato che con lui sia morto anche il suo modo di affrontare i problemi. Penso di seguire l’esempio di Giovanni XXIII: cento giorni rivoluzionari; in primis la radicale trasformazione dei rapporti tra Vaticano e capitalismo, nonché l’alleviamento delle sofferenze così come insegna l’ HUMANAE VITAE. Sembra che Valloret e i suoi “amici” non si rendano conto che l’enciclica, che era destinata a rafforzare l’autorità papale negando che ci potesse essere un qualsiasi mutamento nella posizione tradizionale, abbia, invece, avuto esattamente l’effetto opposto. In Belgio, Olanda, Germania, Gran Bretagna, Stati Uniti e in molti altri Paesi non solo c’è stata una netta opposizione all’enciclica, ma anche una notevole disobbedienza. Comunque la prima cosa da fare è mettere ordine nel Vaticano. Il problema della Banca Vaticana è diventato di suprema importanza… “Accidenti al cellulare. Chi sarà, adesso?” dissi, prendendo l’aggeggio infernale senza guardare il display. “Pronto!?” ruggii. “Amore di mamma…” rispose una voce commossa “…è mai possibile che non mi riconosci?” “Dio… Mamma… Scusami, ma questi giorni sono completamente fuori di testa. C’è forse qualche novità che devo sapere?” tremavo dalla paura di sentirmi dire qualcosa che mi avrebbe potuto stroncare. “Selvaggia… ha aperto gli occhi!” rispose con dolcezza mia madre. “Bene! Ti prego, non muoverti. Sarò da te fra un’ora circa. Ti voglio bene! Grazie!” dissi, commosso al pensiero che forse avevo finito di penare. “Stai tranquillo, ti aspetto. Ma… non farti molte illusioni… Selvaggia ancora non può parlare e dubito che riconosca le persone.” Chiusi la comunicazione al settimo cielo e chiamai subito il pilota dell’elicottero per dirgli di tenersi pronto al decollo entro cinque minuti, per andare a Perugia.
Il soglio infangato
115
Era difficile pensare alle conseguenze negative. Sapere Selvaggia fuori dal coma mi dava un’energia tutta nuova. Era viva! Il suo cervello funzionava. Sarebbe stato un recupero lungo, ma dentro di me sapevo che ce l’avrebbe fatta. Dio ti ringrazio! Contemporaneamente misi al sicuro tutti gli incartamenti nella speciale cassaforte del mio ufficio. Cassaforte che, in caso di tentativo di scasso, avrebbe acceso un meccanismo che avrebbe distrutto tutto il suo contenuto, prima che venisse aperta. Ma, per maggiore tranquillità, durante la mia assenza una guardia armata sarebbe stazionata sempre nell’ufficio, proibendo a chiunque di entrare. Quaranta minuti di volo mi portarono direttamente nella stanza di mia moglie. Una stanza bianca e asettica che si riempì di luce con il sorriso di Selvaggia quando mi vide entrare. Con il cuore in gola per la gioia le feci cenno di non agitarsi. “Va tutto bene, tesoro… Il dottore è un amico… Penserà lui a farti stare meglio…” Non aveva più importanza nulla, in quel momento. Selvaggia si era svegliata dal lungo coma, aveva aperto gli occhi e aveva cercato di parlare. Tutto quello che poteva succedere da quel momento in poi sarebbe stato qualcosa in più. Il dottore le chiese di stringergli la mano e di guardarlo. Poi le chiese di parlargli, ma lei non disse nulla. Quindi mi lanciò un’occhiata accorata, scrollando il capo. Il dottore mi spiegò, in corridoio, che con ogni probabilità lo stress e la paura le avevano fatto perdere quasi del tutto la parola. Ed anche gran parte delle capacità motorie. Adesso restava da vedere quale fosse il danno reale a livello cerebrale. “Può imparare di nuovo a camminare, a sedersi, a muoversi, a nutrirsi. Può di nuovo imparare a parlare. Bisogna vedere semplicemente quanto è rimasto intatto e fino a che punto possiamo aiutarla”, spiegò in tono pratico. Ma ero disposto a fare qualsiasi cosa per l’unico, grande amore della mia vita! Ero preparato a tutto! Quando il medico se ne andò, telefonai ad Antonio per informarlo su quanto era successo. “Aspetta un momento… Aspetta… Calmati, Beppe… Parla più piano…” La ricezione era debole e capì solo che il dottore mi aveva detto qualcosa a proposito delle capacità motorie di Selvaggia, ma non aveva sentito il resto. “E’ viva!!! E’ viva!” gli gridai. “Si è svegliata, capisci?... Ha aperto gli occhi e mi ha guardato con il suo sguardo irriverente. Lo so che avrebbe
116
Paolo Maria Mariotti
voluto dirmi ciao bel tomo… Credimi, Antonio, è stato il momento più bello della mia vita! “Vuoi che ti raggiunga?” mi disse commosso. “No, Antonio, grazie, ma devi pensare a mandare avanti la baracca per qualche ora senza di me. Voglio solo stare vicino a mia moglie!” risposi con un nodo alla gola. “Bene!” rispose “Chiamami, se hai bisogno!”
Il soglio infangato
117
CAPITOLO SEDICESIMO Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Chi avrà perseverato fino alla fine, questi si salverà. Matteo 10,22
Dopo la visita a Selvaggia mi sentii fortemente rinfrancato e tornai al lavoro sempre più animato da una incontenibile voglia di fare piazza pulita di tutto quel lordume che si muoveva, più o meno segretamente, nello Stato più piccolo del mondo. Appena rientrato nel mio ufficio ripresi la lettura del diario di Giovanni XXIV, sperando di trovare fra le righe l’imbeccata che mi indicasse la via giusta da seguire. No, non quella di Dio, ma quella che mi portasse a mettere le mani sull’autore dell’assassinio più abominevole del secolo. …Valloret mi ha comunicato che la delegazione di SHWARTZ desidera ottenere un’udienza il 24 ottobre. Va bene. Ho detto ai cardinali Brogli e Loecher che non avrei partecipato alla conferenza di Puebla in Messico. Ci sono ragioni molto più pressanti perché io rimanga a Roma. Devo mettere ordine in questo ambiente. Assolutamente! E mi sembra che il problema della Banca Vaticana con la sua filosofia d’azione debba avere la precedenza su tutto. La Chiesa deve cambiare direzione, particolarmente alla Vatican Incorporated. Intanto ho acconsentito al desiderio del cardinale Valloret di essere sollevato da uno dei suoi numerosi incarichi, quello di presidente del consiglio pontificio COR UNUM e ho nominato al suo posto il cardinale Bruno Guardian, uomo di grande spiritualità e trasparente onestà… <Se non vado errato> pensai, <il COR UNUM è uno dei grandi canali attraverso i quali passano i soldi raccolti in tutto il mondo per essere distribuiti alle nazioni più povere…> …So che ora in questi ambienti si fanno molte ipotesi e che molti stanno ritagliandosi ad hoc insostenibili posizioni di difesa. Tutti sostengono di non aver mai conosciuto Sicari, Capelli ed altri esponenti di spicco della Mafia milanese che hanno infestato il Vaticano du-
118
Paolo Maria Mariotti
rante il pontificato del mio predecessore. Anzi, qualcuno chiaramente è diventato anche una spia, cercando di farmi pervenire strane spiegazioni. Che squallore! Alcuni giorni dopo la nomina del cardinale Guardian ho trovato sulla mia scrivania una copia di una circolare dell’UFFICIO ITALIANO CAMBI (U.I.C) (la lettera, firmata dal ministro per il Commercio Estero, era stata inviata a tutte le banche italiane e ricordava loro che lo IOR, la Banca Vaticana, era a tutti gli effetti una “banca non residenziale”, cioè straniera. Pertanto i rapporti tra lo IOR e gli istituti di credito italiani dovevano essere governati dalle stesse norme applicate a tutte le altre banche estere. Il ministro era particolarmente preoccupato per le frodi valutarie relative all’esportazione illegale di fondi dall’Italia.), senza dubbio una latente risposta alla lettera indirizzatami da IL MONDO che, giustamente, delinea un’insostenibile situazione per un uomo consacrato alla povertà personale e che combatte per una Chiesa povera. So che questa circolare viene ritenuta come una ulteriore conferma alla prossima destituzione del Vescovo Peter Martins dall’incarico di presidente della Banca Vaticana… <A questo proposito> pensai, <ho sentito alcune voci che circolavano in Vaticano e che dai più erano ritenute vere. Secondo questa storia, prima della vendita della Banca Cattolica Del Veneto, il Patriarca di Venezia era andato in Vaticano nel tentativo di bloccare l’operazione: aveva affrontato direttamente il Papa che aveva risposto: “Anche voi dovete sostenere questo sacrificio per la Chiesa. Le nostre finanze non sono ancora state reintegrate, dopo il danno causato da Sicari. Tuttavia esponete il caso a monsignor Martins.” Poco dopo, così si legge nella storia, il Patriarca si presentò nell’ufficio di Martins e riferì tutte le lamentele della sua diocesi relative alla vendita della banca. Martins lo ascoltò, quindi disse: “Vostra eminenza, non avete niente di meglio da fare oggi? Fate il vostro lavoro e lasciatemi fare il mio!” Quindi indicò la porta al Patriarca. …Chiunque ha visto Martins in azione sa che i suoi modi si accordano perfettamente con il suo soprannome di Gorilla. Ovunque mi giro sento che, per i vescovi, i monsignori, i sacerdoti e le suore del Vaticano, il confronto con Martins sia già avvenuto. Si rendono conto che, inaspettatamente, il piccolo, tranquillo uomo delle montagne può sostituire il potente “banchiere di Dio”, come lo definiscono, con una semplice, improvvisa notifica.
Il soglio infangato
119
So anche che i membri della Curia hanno organizzato una lotteria: indovinare in quale giorno avrei allontanato personalmente Martins dalla Banca. Dio li perdoni! Comunque, a parte tutto questo gran parlare, oltre all’indagine condotta per mio conto dal cardinale Valloret, ho aperto, diranno con la mia astuzia montanara, altre inchieste parallele. Ho cominciato, per esempio, a parlare della Banca Vaticana con il cardinale Fantucci. Ne ho parlato telefonicamente anche con il cardinale Bertini di Firenze, dal quale, per grazia di Dio, ho saputo dell’indagine della Banca d’Italia sul Banco Ambrosiano. Il tipico modo di agire della Chiesa Cattolica Romana. Il cardinale di Firenze dice al Papa a Roma ciò che accade a Milano. Ma, d’altronde, chi meglio di Bertini? Il numero due della Segreteria di Stato ha costruito una solida rete di contatti in tutto il Paese. Questi contatti, a quanto mi risulta, comprendono fonti molto ben inserite nella Banca d’Italia che lo hanno informato dell’indagine in atto sull’impero finanziario di Ruggero Capelli. Ciò che in particolare ci preoccupa, me e Bertini, è quella parte dell’inchiesta che sta indagando sui legami di Capelli con il Vaticano. A dire del cardinale Bertini, gli informatori della Banca d’Italia sono sicuri che l’indagine sarà seguita da gravi accuse penali a carico di Capelli e probabilmente a carico di alcuni suoi colleghi amministratori. Altrettanto sicuro è il fatto che la Banca Vaticana è profondamente implicata in un notevole numero di operazioni che violano le leggi italiane. Gli uomini che si trovano in cima alla lista dei potenziali criminali all’interno della Banca Vaticana sono Peter Martins, Lorenzo Mancini e Patrizio De Sthandel. Comunque, Bertini non è l’unico ad avere accesso ai segreti degli alti funzionari della Banca d’Italia. So che i membri della PI-2 forniscono le stesse informazioni a Lucio Grilli, che adesso si trova a Buenos Aires. E lui, a sua volta, tiene informati i suoi compagni di avventura Ruggero Capelli e Ulderico Ozzieri (bella congrega! Dio mi perdoni!)… <E’ risaputo> dissi fra me <che altri membri della PI-2, infiltrati negli uffici dei magistrati milanesi, avvisarono Grilli che quando l’inchiesta sul Banco Ambrosiano fosse stata completata, gli incartamenti sarebbero stati passati al giudice Egidio Aldobrandini. Tanto che alcuni giorni dopo che queste notizie erano state passate a Grilli, un gruppo di terroristi di stanza
120
Paolo Maria Mariotti
a Milano, ricevette degli ordini relativi all’uomo che era stato designato come vittima potenziale: Il giudice Egidio Aldobrandini>. …Mistero! Ho ricevuto una specie di giornale chiamato l’OSSERVATORE POLITICO (O.P.), diretto da un certo Mimmo Pastorelli, che riporta storie diffamatorie… <Storie che, successivamente, si dimostrarono molto precise, purtroppo> pensai. …Leggo notizie su ciò che questo O.P. definisce “LA GRANDE LOGGIA VATICANA”. L’articolo fornisce una lista di centoventuno persone sospettate di essere membri di logge massoniche. Nella lista ci sono un certo numero di laici, ma anche cardinali, vescovi ed alti prelati… <I motivi per cui Pastorelli pubblicava la lista erano semplici: egli era coinvolto in una battaglia con Lucio Grilli. Pastorelli era un disilluso della PI-2. Credeva che la pubblicazione della lista dei massoni vaticani avrebbe creato grande imbarazzo al Gran Maestro della PI-2, soprattutto perché molti nomi della lista erano buoni amici di Grilli e Ozzieri>. …Se le informazioni sono autentiche, vuol dire che sono praticamente circondato da massoni e essere massone comporta l’automatica scomunica da parte della Chiesa Cattolica Romana. Prima del conclave ho sentito vari mormorii che molti dei principali papabili lo fossero. Ma…Via… Ora mi viene regalata una lista completa. Con riguardo al problema della Massoneria, ritengo che per un prete sia impensabile diventarne membro. Conosco un certo numero di cattolici laici che sono membri di varie logge, come ho amici che sono comunisti. Ma per un prete è diverso! La Chiesa Cattolica Romana ha confermato da lungo tempo di essere implacabile oppositrice della Massoneria. Ora, io posso essere anche pronto a discutere il problema, ma una lista di centoventuno uomini iscritti alla Massoneria difficilmente dà spazio ad una qualsivoglia discussione. Il Segretario di Stato, cardinale Valloret, nome massonico Jeanni, numero di loggia 041/3, iscritto in una loggia di Zurigo. Il ministro degli Esteri, monsignor Arturo Casoli. Il cardinale vicario di Roma, Ubaldo Pascucci. Il cardinale Broggi. Il vescovo Martins e monsignor Danilo De Bellis della Banca Vaticana. L’unica consolazione che non compaiono né Bertini né Fantucci. Lo stesso Fantucci mi ha detto che una lista molto simile di nomi è circolata tranquillamente per il Vaticano almeno due anni fa. Il suo riapparire
Il soglio infangato
121
ora è, naturalmente, un tentativo di influenzare sulle scelte relative a nuove nomine, promozioni e degradazioni. Mi chiedo se sarà veritiera questa lista. Fantucci pensa che si tratti di un astuto miscuglio. Alcuni sulla lista, secondo lui, sono massoni, altri no. Addirittura mi ha detto che queste liste sembrano provenire dalla “Setta di Lefebvre”. Mi piace il cardinale Fantucci. Curiale fino al midollo, tradizionalista nel modo di pensare e tuttavia un uomo di spirito, raffinato e di notevole cultura. Dato che si era occupato fino a questo punto della revisione delle leggi canoniche, gli ho chiesto se per caso il mio predecessore avesse avuto intenzione di mutare la posizione della Chiesa sulla Massoneria. Come prevedevo, mi ha risposto che in questi anni ci sono stati vari gruppi di pressione, come certe fazioni interessate che suggerivano una visione più moderna. Fantucci mi ha anche rivelato che tra coloro che desideravano fortemente un ammorbidimento delle leggi canoniche, in base alle quali l’appartenenza di un qualsiasi cattolico romano alla Massoneria comporta la scomunica, c’era il cardinale Valloret. Successivamente ho cominciato ad osservare attentamente un certo numero di ospiti. Il guaio è che i massoni somigliano al resto dell’umanità! Continuano a giungermi voci secondo cui parecchi membri della Curia che simpatizzano con le posizioni di Lucio Grilli, lasciano uscire informazioni dal Vaticano e che queste giungono puntualmente a Ruggero Capelli. Sempre parlando con Fantucci, ho saputo che Capelli sia convinto che stessi cercando di vendicarmi per la questione della BANCA CATTOLICA DEL VENETO, mentre, in effetti, le mie ragioni sono motivate da altri problemi… <Sicuro> pensai, <Capelli ricordava la collera del clero veneto e le proteste del Patriarca di Venezia, la chiusura di molti conti diocesani e il loro trasferimento ad una banca rivale. Ogni cosa che sapeva sul conto del Patriarca ricordava a Capelli che stava trattando con un genere di uomo che aveva raramente incontrato nel suo giro di affari: una persona totalmente incorruttibile. E poi, se Martins veniva allontanato, un altro uomo avrebbe ben presto scoperto lo stato degli affari e la vera natura dei rapporti tra la Banca Vaticana e il Banco Ambrosiano. Mancini e De Sthandel sarebbero
122
Paolo Maria Mariotti
stati destituiti. La Banca d’Italia sarebbe stata informata e Ruggero Capelli avrebbe trascorso il resto della vita in prigione>. Continuai a riflettere su quanto letto pensando sempre a Capelli: egli aveva esaminato ogni eventualità, considerato ogni potenziale pericolo, chiuso tutte le feritoie. Ciò che aveva creato era perfetto: non un solo furto – neanche un grande furto. Il suo è un furto continuo di dimensioni mai raggiunte prima. Fino ad ora ha rubato più di 400 milioni di dollari. Le aziende segrete, le associate estere, le società fantasma. Ora, all’apice del suo successo, deve fronteggiare i funzionari della Banca d’Italia che non possono essere corrotti e che sono ogni giorno più vicini alla conclusione delle loro indagini. Grilli lo ha assicurato che il problema può e deve essere risolto, ma come poteva Grilli, pur con tutto il suo potere e la sua influenza, manovrare un Papa? Certo, se per miracolo fosse morto il Papa prima dell’allontanamento di Martins… …Ho conservato le mie abitudini di sempre. Sveglia alle 5.00, anche se un leggero bussare alla porta alle 4.30 mi avverte che quella santa donna di suor Valentina ha lasciato un bricco di caffè fuori, nel corridoio. Povero monsignor Morin, prefetto della Casa Pontificia. Lui si danna per regolare il flusso di persone e io non tengo conto del tempo tiranno. Una causa di commenti è il fatto che ho invitato membri di sesso femminile al mio tavolo. Beh, Gesù! Paola è mia nipote e l’altra è mia cognata. Monsignor Vincenzo Notte mi ha pregato di non parlare con i membri della Guardia, accontentandomi di rivolgere loro un cenno del capo. Al mio “perché?” la risposta meravigliata è stata: “Santo Padre, non si fa. Nessun Papa ha mai parlato con loro!” Ho sorriso e continuo a parlare con le Guardie Svizzere. Ci mancherebbe altro! Ho cominciato ad esplorare il Vaticano con le sue diecimila stanze e saloni e le sue novecentonovantasette scale, trenta delle quali segrete. All’improvviso mi allontano dagli appartamenti papali e altrettanto improvvisamente mi ritrovo in qualche ufficio della Curia, dove non mi vedono di buon occhio. Ci risiamo!
Il soglio infangato
123
La Curia era abituata (male) ad un Papa che conosceva il suo posto, che lavorava attraverso le procedure burocratiche, mentre io sono dappertutto, in ogni cosa, e ciò che è peggio voglio operare dei cambiamenti. Ne è un esempio la deprecata Sedia Gestatoria. Anche se detesto essere portato sulle spalle di altri uomini, alla fine debbo dar loro qualcosa. Ho detto al corpo diplomatico che il Vaticano rinunciava a tutti i diritti di potere temporale, ma, nonostante ciò, ho scoperto che in pratica tutti i maggiori problemi mondiali passano attraverso il mio vaglio. La Chiesa Cattolica Romana, con più del 18% della popolazione mondiale che le deve obbedienza spirituale, rappresenta una forza potente e come tale io, volente o nolente, sono obbligato a prendere posizione su una vasta gamma di problemi. Quale dovrà essere la mia risposta alla pletora di dittatori che governano masse di cattolici? Come parlerò ai comunisti di tutto il mondo? Il mio predecessore mi ha lasciato in eredità molteplici problemi. Vari gruppi invocano cambiamenti. Molti sacerdoti premono per mettere termine al voto di celibato. Ci sono pressioni per ammettere le donne al sacerdozio. Ci sono gruppi che suggeriscono una riforma delle norme di Diritto Canonico relative al divorzio, l’aborto, l’omosessualità e decine di altri problemi.. Un enorme problema lasciato dal precedente Papa è il cardinale Jack Corder, capo di una delle più ricche e potenti archidiocesi del mondo: Chicago. So che ama ripetere: “Non devo rispondere a nessuno delle mie azioni, eccetto che a Roma e a Dio.” Ma, a quanto risulta, Roma resta fuori. So di investimenti illegali di denaro. Ha lasciato sul lastrico la diocesi di Kansas City con un debito di trenta milioni di dollari. C’è il rifiuto categorico del cardinale di dire in che modo viene investito il denaro o chi benefici degli interessi. C’è da tener conto della grande amicizia di Corder con Martins. C’è il lato oscuro che riguarda l’amicizia del cardinale con una donna di nome Helen Donovan Wiston. Lui dice che sia sua parente ma, secondo le accuse, non sono affatto parenti. Ho esaminato le implicazioni dell’affare Corder con Valloret, Bertini, Fantucci e Contrasti e quanto prima prenderò una decisione.
124
Paolo Maria Mariotti
Sebbene per venti anni io sia stato vescovo di Vittorio Veneto e di Venezia, ammetto di non aver imparato bene il mestiere. Qui, a Roma, seguirò l’insegnamento di San Gregorio Magno, il quale scrive: …Il pastore dovrebbe stare con compassione accanto a chiunque gli è subalterno, dimentico del suo rango dovrebbe considerarsi allo stesso livello dei sudditi, ma non dovrebbe temere di esercitare i diritti della sua autorità contro i malvagi… Un altro direttamente interessato a ciò che farò è sicuramente Marco Sicari. Sicari, Capelli, Martins e Corder… Ma oggi devo affrontare L’OSSERVATORE ROMANO. Precedentemente mi è capitato di dovermi lamentare del giornale in diverse occasioni. Prima la polemica sull’abolizione del pluralis maiestatis, poi la trascuratezza verso i miei interventi personali. E’ ora che la smettano di scrivere quello che vorrebbero farmi dire. Ho contattato Fantucci a Padova, anche se sono consapevole che parecchi punti di vista su una vasta gamma di argomenti differiscono tra di noi, ma sono altrettanto convinto che mi risponderà in tutta onestà. Lui, come decano del Sacro Collegio, conosce le trame della Curia meglio di ogni altro. Gli ho detto di dire a quel piccolo giornale di trattenersi dall’esprimere certe opinioni. I direttori dei giornali sono come i Papi. Né gli uni, né gli altri sono indispensabili. Ho convocato il cardinale Broggi per comunicargli alcune decisioni. La prima riguarda il problema del cardinale Corder. Dopo aver riflettuto a lungo, ho deciso che deve essere sostituito e ciò deve essere fatto senza eccessiva pubblicità. Ho detto a Broggi che a Corder deve essere data l’opportunità di dimettersi a causa della sua salute inferma. Se Corder rifiuta di dimettersi, nominerò un collaboratore: un altro vescovo rileverà il potere effettivo e dirigerà la diocesi. Se insiste a voler rimanere, allora così sia. Verrà sollevato da ogni responsabilità. Broggi era contento. Meno contento lo è stato quando gli ho comunicato la seconda decisione che lo riguarda personalmente. Venezia è senza un Patriarca. Ho offerto a Broggi quel posto. Molti si sarebbero sentiti onorati per una tale offerta. Broggi, no. Anzi, era irritato. Ci sono molte ragioni per cui ho concluso che Broggi deve trasferirsi da Roma a Venezia. Non ultima tra queste, che c’è un nome particolare sulle
Il soglio infangato
125
liste dei massoni che ho ricevuto da Pastorelli: Broggi, nome massonico Seba, numero di loggia 85/2640. Non ho concluso nulla! Ho parlato con il cardinale Fantucci a Padova e con il cardinal Bertini a Firenze. Ho discusso con loro dello scontro con Broggi e del prossimo appuntamento con Valloret. Nel tentativo di sentirmi più vicino al mio Segretario di Stato, ho preso l’abitudine, durante i nostri frequenti incontri, di parlare con lui in francese, nella sua lingua. Il primo problema toccato con Valloret è stato lo IOR, la Banca Vaticana. Adesso le informazioni in mio possesso sono molto dettagliate. Valloret mi ha sottoposto una relazione preliminare, ma ho anche ottenuto informazioni dal vice di Valloret, arcivescovo Giovanni Cassani, e da Bertini e Fantucci. Valloret mi ha avvertito che inevitabilmente sarebbero trapelate delle notizie inerenti all’inchiesta e che la stampa italiana stava diventando sempre più curiosa.Ho detto chiaramente a Valloret che non ho nessuna intenzione di lasciare Martins nella Città del Vaticano e di lasciare tranquilla la Banca Vaticana. Penso che Martins sarà meglio impiegato come vescovo ausiliario di Chicago.Insomma, ho avvertito Valloret che Martins deve essere trasferito subito. Non tra una settimana o un mese. Domani!...Ho detto a Valloret che Martins deve essere sostituito da monsignor Giuseppe Adriano Ardei, Segretario della Prefettura per gli Affari Economici della Santa Sede. Come figura del Tribunale Finanziario del Vaticano, monsignor Ardei metterà a disposizione la sua grande esperienza in affari finanziari.Ho detto anche che ci sono altri cambiamenti all’interno dello IOR e che devono essere operati immediatamente. Mancini, De Shtandel e De Bellis devono essere sostituiti. Subito! Quindi ogni nostro rapporto con il Banco Ambrosiano deve essere interrotto. Entrambi sappiamo che Martins, De Sthandel e De Bellis sono tutti strettamente legati a Capelli, ma anche a Sicari. Siamo poi passati a parlare del problema di Chicago e della discussione con Broggi relativa all’ultimatum che doveva dare al cardinale Corder. Valloret mi ha espresso la sua approvazione. Come tutti, anche lui considerava Corder una disgrazia incombente per la Chiesa Americana.Abbiamo discusso anche del rifiuto di Broggi di accettare la diocesi di Venezia. Quindi di Pierluigi Fantucci che doveva diventare Vicario di
126
Paolo Maria Mariotti
Roma, sostituendo il cardinale Ubaldo Pascucci che a sua volta avrebbe sostituito Bertini come arcivescovo di Firenze. Bertini sarebbe diventato Segretario di Stato, sostituendo proprio Valloret che mi ha risposto che pensava volessi sostituirlo invece, con Arturo Casoli. Insomma, da lui non ho avuto nessun riscontro. Gli ho chiesto cosa ne pensasse. Ha risposto: “Siete voi il Papa. Siete libero di decidere. Ma… queste decisioni ad alcuni piaceranno, ad altri no. Ci sono dei cardinali della Curia Romana che si sono dati molto da fare per farvi eleggere e che ora si sentiranno traditi. Considereranno questi cambiamenti, queste nomine contrarie alla volontà del vostro predecessore.” Chissà se il mio predecessore progettava di fare nomine per sempre?Per quanto concerne i cardinali che dichiarano di aver fatto molto per farmi eleggere Papa, l’ho già detto molte volte. Non ho cercato di diventare Papa. Non ho desiderato di essere Papa. Non si può nominare un solo cardinale al quale ho proposto una cosa simile. Non uno che ho persuaso in qualche modo a votare per me. Non era mio desiderio, come non è il mio modo di agire. Ci sono uomini, qui nella Città del Vaticano, che hanno dimenticato il loro compito. Hanno ridotto questo luogo in una piazza di mercato. Ecco perché farò questi cambiamenti. E che Dio mi assista!
Il soglio infangato
127
CAPITOLO DICIASSETTESIMO Non vi spaventate per quelli che possono uccidere il corpo, ma non possono uccidere l’anima. Matteo 10,28
Qui termina il breve “diario” del Santo Padre. Poche ore dopo aver scritto le ultime parole lo avrebbero assassinato. “Pronto? Antonio? Dove sei?.. Ah, bene! Ti aspetto… Come quando? Prima di subito, che diamine! Avverti Syd e l’ispettore Chiarini che vi voglio tutti qui!” dissi preparandomi intanto ad un’altra lunga notte di veglia. Quando fummo tutti riuniti nel mio ufficio, riassunsi per sommi capi, ma in modo ben comprensibile, quanto ero venuto a conoscere. Infine dissi: “Sappiamo che quanto detto fino ad ora dalle fonti ufficiali del Vaticano non è altro che un tessuto di menzogne. Hanno mentito su piccole e grandi cose. Tutte le bugie hanno un solo scopo: tenere nascosto il fatto che Giovanni XXIV fu assassinato all’incirca fra le 21,15 e le 22,30 del 28 settembre. Corder, Valloret, Martins, Capelli, Grilli, Sicari: almeno uno di questi, se non tutti insieme, hanno concertato un’azione delittuosa che è stata regolarmente portata a termine. Da chi? Non ti agitare, Syd: scopriremo anche questo quando John rientrerà in Italia con padre McDonald. Non ci resta che ricostruire questi trentatré giorni di Papato, ma prima di tutto dobbiamo mettere sotto chiave tutti questi documenti. La loro esistenza ha creato già parecchi problemi e non credo che chi li sta cercando sia intenzionato a lasciar perdere. Sanno perfettamente di avere l’acqua alla gola e tenteranno tutte le mosse. Per questo, io e Syd ci recheremo a Washington per parlare con il Presidente Reynolds e consegnargli tutte le carte. Solo così saranno al sicuro. Siete d’accordo?” Un coro di sì diede l’approvazione. “Molto bene. Allora procediamo alla ricostruzione del tutto, ma sarà bene allertare tutte le sentinelle con un codice “Rosso 1””.
128
Paolo Maria Mariotti
Pigiai un pulsante e improvvisamente in tutto l’hangar iniziò un lento cambiamento che, in pratica, trasformava un luogo tranquillo in un forte, impenetrabile anche per una formica. “OK! Andiamo avanti, dunque! Di moventi per uccidere il Papa, come si è visto, ce n’erano un casino e le probabilità che l’assassinio riuscisse erano altrettante. Primo: il delitto è stato commesso segretamente e ciò per non destare inutili allarmismi e per far sì che la corruzione preesistente all’elezione di Giovanni XXIV potesse continuare impunemente. Non ci poteva essere un attacco armato al Papa in Piazza San Pietro né qualsiasi altro attacco pubblico che avrebbe portato inevitabilmente ad un’inchiesta, da parte delle autorità italiane, per scoprire come e perché quest’uomo buono e sereno fosse stato eliminato. E, infatti, dall’autopsia, abbiamo visto che è stata usata la digitalina, un veleno che, se questa non fosse stata eseguita tempestivamente e segretamente, non avrebbe lasciato nessuna traccia e ora non potremmo far altro che avallare le diagnosi superficiali volute da Valloret che dicono il Papa essere morto per crisi cardiaca. Inoltre, questo è un tipo di veleno insapore e inodore per cui può essere aggiunto al cibo e alle bevande senza che la vittima si accorga di averne ingerito una dose letale. Secondo: chiunque abbia progettato di uccidere il Papa in questa maniera, dimostra un’approfondita conoscenza delle procedure vaticane. Terzo: la prima mossa di padre McDonald, una volta accortosi della morte del Papa, è stata quella di telefonare al presidente degli Stati Uniti che ha riversato il problema su di noi. Solo successivamente, alle 5,00 del mattino ha telefonato al cardinale Valloret il quale, ben lungi dall’essere l’ex Segretario di Stato, come è scritto nel diario del Papa, assume immediatamente la carica di Camerlengo, praticamente il capo esecutivo della Chiesa, in mancanza del Papa. Se Giovanni XXIV fosse morto di morte naturale, allora le azioni e gli ordini di Valloret sarebbero stati totalmente fuori di logica. Il suo comportamento diventa comprensibile solo se messo in relazione ad una precisa conclusione: o il cardinale Valloret faceva parte di un complotto per eliminare il Papa o, intuendo che il Papa non era morto di morte naturale, cercava di far passare il tutto in sordina, per cercare di proteggere la Chiesa Cattolica Romana. Ma mi domando: perché ha minacciato anche il sottoscritto, per riavere queste carte? Sicuramente lui ne conosceva il contenuto e, scomparso il Papa e bruciate le carte, nessuno avrebbe mai trovato da ridire su certi comportamenti. Perché poi, a-
Il soglio infangato
129
vrebbe allontanato padre McDonald e monsignor Lucidi, i segretari del Papa? E suor Valentina, la cameriera personale? Perché monsignor Lucidi e la suora sono morti così repentinamente? E perché padre McDonald è stato richiamato di tutta urgenza negli Stati Uniti, rinchiuso in un manicomio e imbottito di psicofarmaci? E perché l’attentato a Selvaggia? E perché l’attentato al sottoscritto? E perché la morte di Hoffmann dopo averlo costretto a tirarmi in un tranello? E fino a che punto è coinvolto il comandante delle Guardie Svizzere? Quarto: l’idea di mettergli fra le mani, dopo morto, un libro che il Papa adorava non può che essere stata di Valloret, dato che al nostro arrivo non c’era nessuna copia de “L’imitazione di Cristo” negli appartamenti del Papa e la sua copia si trovava ancora negli appartamenti patriarcali di Venezia. Quinto: il piano di Valloret per un’immediata imbalsamazione ha trovato subito grossi ostacoli. Primo, l’irreperibilità dei fratelli Santini, gli imbalsamatori; secondo, i cardinali Fantucci a Padova e Bertini a Firenze che conoscevano molto accuratamente i cambiamenti che Giovanni XXIV avrebbe apportato, erano particolarmente turbati e lo mostrano in molte conversazioni telefoniche con Valloret. Sesto: i dubbi e le preoccupazioni di uomini come Fantucci e Bertini sono stati respinti e, perfettamente conscio che le controversie sarebbero ben presto aumentate, Valloret e i suoi colleghi della Curia hanno completamente cambiato il modo di ragionare. Allora il Conclave è stato ritardato il più possibile. Ora, invece, il ritardo deve essere quanto più breve possibile. Credo che il cardinale voglia così distogliere la stampa facendola dirottare immediatamente sul successore di Giovanni XXIV. Settimo: il fatto che si parla sempre più di presunte malattie del Papa pone un interrogativo. Alcuni lo descrivono come un fumatore incallito, altri dicono che aveva un solo polmone, altri ancora parlano di numerosi attacchi di tubercolosi. Fin dalla sua morte le fonti vaticane hanno parlato dei suoi attacchi di cuore, del fatto che soffrisse di flebite, di un grave disturbo circolatorio e della sua lotta contro l’enfisema, una malattia cronica dei polmoni. Il suo medico personale da quando era vescovo in Veneto afferma che non c’è una sola cosa vera in tutto questo turbinio di parole. Ottavo: la potenza delle menzogne vaticane è autodistruttiva. Ci si chiede come centoundici cardinali abbiano potuto riunirsi ed eleggere Papa un uomo colpito da così tanti mali. E poi permettere che morisse da solo. Come se ciò non bastasse, il servizio di disinformazione vaticano impe-
130
Paolo Maria Mariotti
gnato a diffondere l’opinione anonima che Giovanni XXIV, comunque, non era un buon Papa. Nono e ultimo punto: perché nonostante le numerose richieste, provenienti da tutto il mondo, fino ad ora non è stato pubblicato nessun certificato di morte? E’ chiaro che, almeno ufficialmente, il Vaticano non sa quando Giovanni XXIV è morto e chi o cosa lo ha ucciso… “Presumibilmente verso le 4,00” e “morte improvvisa che potrebbe essere collegata a…” sono affermazioni che dimostrano chiaramente l’alto grado di ignoranza, di presunzioni e di supposizioni. “Come e perché” continuai, “le tenebre sono calate sulla Chiesa Cattolica Romana quel 28 settembre? Per stabilire che è stato compiuto un delitto, non è essenziale stabilire un movente. Ma serve…, come può confermare qualsiasi funzionario di polizia. Riguardo alla morte di Giovanni XXIV, non mancano, di certo, i moventi. Ne ho individuati una serie, così come ho individuato gli uomini che potevano essere animati a compiere questo delitto. Il fatto che almeno tre di questi uomini – Valloret, Martins e Corder – siano sacerdoti, non li esclude come persone sospette. Tutt’altro! Valloret, Martins, Corder, Sicari, Capelli, Grilli. Ciascuno aveva un validissimo movente: Valloret avrebbe potuto uccidere per salvaguardare la sua posizione di Segretario di Stato, per proteggere altri uomini che stavano per essere sostituiti e, soprattutto, per evitare le furiose polemiche che si sarebbero scatenate una volta che il Papa avesse preso pubblica posizione sul problema del controllo delle nascite. Corder, coadiuvato da uno dei suoi numerosi amici del Vaticano, avrebbe potuto ridurre al silenzio un Papa che era sul punto di sostituirlo e di togliergli la gallina dalle uova d’oro. Martins, a capo di una banca chiaramente corrotta, avrebbe potuto agire per garantirsi la permanenza alla presidenza dello IOR. E’ probabile che uno di questi tre sia colpevole. Certamente le azioni di Valloret, dopo la morte di Papa Giovanni XXIV, sono state criminali: distruzione delle prove, una falsa storia, divieto assoluto di autopsia, imposizione del silenzio. E’ un comportamento che parla da solo. Restano Capelli, Sicari e Grilli… Ognuno di questi, è logico domandarsi, aveva la capacità di commettere un tale crimine? La risposta è si.
Il soglio infangato
131
Chiunque abbia assassinato Giovanni XXIV confida chiaramente in questo: il Papa che uscirà dal prossimo Conclave non seguirà le orme del suo predecessore. Tutti e sei questi uomini ci guadagnerebbero se venisse eletto l’uomo “giusto” Due di questi, Valloret e Corder, sono in grado di influenzare il Conclave e neppure Martins è ininfluente, né lo sono Capelli, Sicari e Grilli. Ma in che modo può essere stato commesso questo assassinio? Si è certi che la Sicurezza Vaticana non poteva essere aggirata? La verità, come tutti sappiamo, è che questa può essere penetrata con grande facilità, specie se il Comandante in capo delle Guardie Svizzere è d’accordo. Giovanni XXIII aveva abolito l’usanza di lasciare la Guardia Svizzera a vigilare, per tutta la notte, fuori dal suo appartamento. La Città del Vaticano, che si estende su un’area di circa 100 acri, con sei ingressi, non presenta eccessivi problemi per chiunque abbia intenzione di penetrarvi. Le vostre ulteriori indagini hanno confermato che quella notte c’era un membro della Guardia Svizzera in cima ai gradini della terza Loggia. La sua funzione era puramente simbolica, dal momento che poche persone entravano negli appartamenti papali per quella via. L’accesso abituale è rappresentato dall’ascensore di cui molti hanno la chiave e questo ingresso non era custodito. Qualsiasi persona vestita da prete poteva entrare, commettere l’omicidio e lasciare indisturbata gli appartamenti papali. Infine, dal momento della morte del Papa è stata riscoperta una scala occultata da vari rifacimenti murari. Nessuno conosceva la sua esistenza? O si? Membri della Guardia Svizzera collusi con l’assassino, altri che dormono mentre ufficialmente sono in servizio; membri della Guardia Svizzera che sorvegliano un ingresso non usato da alcuno; una scala di cui nessuno conosceva l’esistenza. Nemmeno un killer dilettante avrebbe incontrato eccessive difficoltà e chi ha ucciso Giovanni XXIV non è un dilettante. Per aiutare un potenziale assassino, L’Osservatore della Domenica ha pubblicato una pianta, dettagliata e corredata di fotografie degli appartamenti papali. Data 3 settembre. Più si scava e più appare evidente che chiunque abbia deciso di uccidere il Papa ha avuto un compito estremamente facile. Accedere agli appartamenti privati e alterare sia le medicine che il cibo o le bevande del Papa con una qualsiasi delle duecento sostanze mortali conosciute, è stato
132
Paolo Maria Mariotti
con una qualsiasi delle duecento sostanze mortali conosciute, è stato un gioco da ragazzi. Naturalmente non sono dell’opinione che il complotto sia stato organizzato il 28 settembre. Di certo l’atto finale è stato compiuto quella sera, ma la decisione è maturata molto prima. Ma quanto tempo prima? Potrebbe essere stato pochi giorni dopo l’elezione quando il nuovo Papa cominciò a fare le sue indagini sulla Vatican Incorporated… Potrebbe essere stato le prime due settimane di settembre, quando le notizie che Giovanni XXIV stava indagando sulla Massoneria all’interno del Vaticano si diffusero per il piccolo Stato… Potrebbe essere stato verso la metà di settembre, quando la posizione del Papa sul problema delle nascite e i suoi piani per assumere una posizione liberale sulla questione causarono profonda preoccupazione nella Curia… Potrebbe essere stato la terza settimana di settembre, quando la sostituzione di Martins e di altri all’interno della Banca Vaticana era diventata una certezza. Alla luce di ciò, esaminando il delitto, un fatto è incontrovertibile: se il piano doveva riuscire nel suo intento, il crimine doveva essere commesso in modo tale da far apparire la causa della morte come naturale. Questo è quanto, signori! Ora non resta che augurarci che John arrivi al più presto con padre McDonald per poter fare luce sui punti oscuri che ancora restano. Intanto, qualcuno di voi ha continuato a cercare il colonnello Bauer?” chiesi dopo quella lunghissima tirata. “Lo stiamo cercando come lo stanno cercando anche i servizi segreti di altre nazioni, ma fino ad ora è uccel di bosco!” rispose Antonio. “Gli ho sguinzagliato dietro Allegroni, anche se ha mugugnato un po’, e se riesce a beccarlo, stai tranquillo che non lo molla più…” “Visti i suoi contatti con la Mafia, non credi che possa essere in Sicilia?” “Potrebbe essere, ma anche lì, a ridosso delle famiglie mafiose abbiamo sistemato una rete di controllo che non dovrebbe lasciarsi sfuggire nemmeno una mosca. Figurarsi un biondone alto un metro e ottantacinque del peso di quasi cento chili…!” In quel momento il telefono squillò con insistenza. “Pronto? Biavati!” risposi, quasi rabbioso. “Dottor Biavati, avrei urgente bisogno di parlarle” disse una voce che riconobbi per quella del capo del Governo. “Subito, se fosse possibile…” Il tono non ammetteva repliche.
Il soglio infangato
133
“Certo, presidente. E’ possibilissimo. Sarò da lei entro quindici minuti al massimo!” Appoggiai il telefono e dissi ad Antonio di venire con me, mentre congedavo gli altri. Sicuramente avrei avuto bisogno di un testimone, oltre al microregistratore nascosto all’interno della giacca. <Con i politici non si sa mai> pensai quando lo feci posizionare dall’ispettore Chiarini. Tempo dodici minuti ed eravamo all’ingresso di Palazzo Chigi. Tempo un solo minuto di attesa e fummo introdotti alla presenza del Presidente del Consiglio che non nascose la sua contrarietà nel vedermi accompagnato da un maggiore dei carabinieri. Saltò i preliminari e venne subito al punto: “Come mai è venuto con la scorta?” “Il maggiore Bernetti è il mio secondo in comando, signor Presidente. Di solito, quello che devo sapere io, lo deve ascoltare anche lui, nel caso dovesse sostituirmi improvvisamente, come è accaduto in questi giorni. E’ la prassi normale, signore!” “Non va bene per niente, dottor Biavati!” continuò con voce ferma. “Ho ricevuto forti rimostranze, per il suo comportamento poco ortodosso, da parte del cardinale Valloret, il Segretario di Stato Vaticano…” “Mi dispiace…” “Mi dispiace… Mi dispiace…” mi interruppe irato “… non risolve nulla! Lei si è appropriato di documenti privati della massima importanza, oltre che essersi introdotto in maniera furtiva nel palazzo di uno Stato sovrano, regolato da leggi internazionali. Senza che nessuno si sia sognato di ordinarglielo, agendo di testa sua…!” Lo interruppi, visto che cominciava a darmi sui nervi. “Un momento, signor Presidente. L’organizzazione che dirigo con il beneplacito espressamente sottoscritto da tutti i governi dei Paesi aderenti, risponde direttamente al Presidente degli Stati Uniti in qualità di comandante supremo ed è quello che ho fatto quando lui in persona mi ha chiesto di indagare senza indugi sulla morte del Papa…” “Ma lei è giovane e impulsivo e si è lasciato prendere la mano…” disse cercando di tacitarmi. “Col cavolo, signore! Hanno tentato di uccidere mia moglie e me!! E il cardinale Valloret era perfettamente a conoscenza di queste azioni crimi-
134
Paolo Maria Mariotti
nose. Anzi, le dirò un’altra cosa e cioè che è venuto personalmente alla nostra base per chiedere la restituzione di certi documenti che non ho!” “Strano… Anche il comandante della Guardia Svizzera, il colonnello Bauer sostiene che li ha presi lei…” disse alzando la voce, nel tentativo di intimidirmi. “Il solerte colonnello Bauer le ha anche detto che ha cercato di uccidermi durante un agguato che mi hanno teso giorni fa sulla vecchia strada di Veio? No, vero? Probabilmente lei, signore, sa dove si sta nascondendo in questo momento quel mangia crauti, ma io lo scoverò, stia pure tranquillo…!” “Come si permette!? Sembra che lei non si renda conto di con chi sta parlando…” “Certo che lo so, signore. Solo che non ho nessuna intenzione di scendere a patti con il cardinale Valloret o chi per lui. Il Papa, qualsiasi cosa le abbia detto Valloret, non è morto di morte naturale e ciò reclama vendetta e, stia pur certo, signor presidente, che con le prove che abbiamo in mano, non solo noi, ma anche il presidente degli Stati Uniti, prenderemo il verme che ha commesso l’assassinio e tutti i suoi mandanti.” “Via, via, si calmi. D’altronde non è successo nulla!” “Ah, no? E l’attentato contro mia moglie dopo una telefonata minatoria, le sembra cosa da nulla? Se le fosse sfuggito, mia moglie è ancora in rianimazione… No, signor presidente, non scendo a patti con nessuno. E, se posso permettermi di darle un consiglio, ne resti fuori. Dimostrare comprensione e amicizia per certi personaggi può essere pericoloso anche per lei…” “Ma… ma… come si permette? Io i miei amici e le mie frequentazioni me le scelgo da solo…” “Ecco, bravo! Però non si faccia condizionare da certe richieste…” “Non si dimentichi che lei è italiano, dottore, e, come tale, soggetto alle leggi del nostro Paese…” disse freddamente il Presidente del Consiglio. “Se questa è una minaccia, me ne ricorderò, signore, ma esistono cose che vanno al di là dell’orgoglio nazionale. Questa è una di quelle e, considerato che devo e posso farlo, non mi darò pace fino a che non consegnerò l’assassino e i suoi mandanti alla giustizia!” “Ripeto…” mi interruppe “non si ostini a voler pestare i piedi a chi è più grande di lei. Ci rimetterebbe in tutti i sensi.” Non mi diede tempo di rispondere perché in quell’istante comparve il suo segretario personale che ci accompagnò alla porta.
Il soglio infangato
135
Ero furibondo! “Hai visto? Ci vogliono tappare la bocca. E quello che è ancora più tragico è che sembra abbiano ammazzato un gatto. Tanto avrebbero avuto più rispetto…!” urlavo smanacciando. “Sta calmo, Beppe! Così non risolvi nulla!” disse Bernetti. “Risolvo, risolvo! Voglia te se risolvo…! Intanto John Coltrane dovrebbe arrivare con padre McDonald, se già non è arrivato. Sentiamo quello che ha da dirci. Quindi trascrivo tutto, prove e conclusioni su una chiavetta USB e volo diretto negli Stati Uniti a parlarne con il presidente Reynolds…” “Sperando…” mi interruppe Antonio “ …che nel frattempo non si sia lasciato infinocchiare anche lui!” “Non credo! E’ troppo una gran brava persona ed era troppo amico del Papa per lasciar cadere tutto nel dimenticatoio come vorrebbero certuni. Solo che da adesso in poi dobbiamo stare molto attenti a come ci muoviamo. Dai, torniamo alla base…!”
136
Paolo Maria Mariotti
CAPITOLO DICIOTTESIMO Razza di vipere! Come potete dire cose buone, voi che siete cattivi? Matteo 12,34
Selvaggia era ormai in via di guarigione. Ancora non poteva alzarsi dal letto, ma era completamente libera di respirare senza quegli orribili macchinari, per cui, d’accordo con i suoi genitori e con i miei, decisi di portarla via dall’ospedale di Perugia. Anzi, portai via tutti e li nascosi, letteralmente, in un luogo sicuro e lontano dalle grinfie di certi personaggi che sicuramente, se fossero stati in condizioni di agire, non avrebbero esitato a giocare la carta del rapimento per ottenere ciò che volevano a tutti i costi. Nel frattempo anche Coltrane era tornato dagli Stati Uniti in compagnia di un irriconoscibile padre McDonald, gonfio e pieno di ecchimosi: come se non avessero fatto altro, durante tutto il tempo della sua permanenza, che picchiarlo. Il nostro medico lo sottopose ad una visita completa e confermò ciò che appariva a prima vista anche ad un profano: era stato sottoposto ad una massiccia terapia di psicofarmaci che avrebbero dovuto annullare la sua personalità, oltre ad una dose giornaliera di bastonate per togliergli ogni velleità. E certamente ci sarebbero riusciti se Coltrane non l’avesse ritrovato grazie ad una soffiata di un amico della CIA e, sempre grazie alla CIA, non fosse riuscito a liberarlo da quell’inferno dove lo avevano fatto rinchiudere. Lo lasciammo riposare per dodici ore, dandogli modo di recuperare un po’ di lucidità e di forze, ma ero sicuro che ridotto così com’era, da lui non avremmo cavato fuori un gran che. Ripeteva continuamente la stessa frase: “La Mafia Vaticana è potente. Attenti a quei sei… Sono il demonio…!” “Chi sono quei sei, padre?” domandavo. “Il diavolo, ecco chi sono!” “Martins? Valloret? Corder? Sicari? Capelli? Grilli?”
Il soglio infangato
137
Ad ogni nome si segnava con il segno della croce. Ad ogni nome sussultava guardando terrorizzato verso la porta. “Stia tranquillo, padre. Qui lei non corre alcun pericolo…” cercavo di tranquillizzarlo. “Lei non sa…” mi disse con gli occhi fuori dalle orbite, terrorizzato “… quelli hanno occhi e orecchie da tutte le parti… Sono dei demoni…!” Non potevamo cavarne più altro fuori, così incaricai Antonio di farlo portare a Gubbio, presso un convento di frati francescani miei amici che lo avrebbero curato e forse, tra la quiete del loro chiostro, gli avrebbero fatto anche ritrovare un po’ di serenità. Quando fummo nuovamente soli, dissi ad Antonio mostrandogli una chiavetta USB: “E’ ora che porti tutto questo al Presidente Reynolds. Dopo averne preso visione, sarà lui a dirci cosa fare. E poi… te lo confesso… voglio togliermi di dosso tutta questa merda, penso che l’aria sarà più respirabile. Non ti sembra?” “Altro che! Però sono preoccupato. Sicari in America è pieno di amici. Non vorrei che ti mandasse un comitato di ricevimento ad accoglierti all’aeroporto di Washington!” disse con aria un po’ triste. “Lo so, ma porterò con me qualcuno della squadra in modo che mi guardino le spalle. In fin dei conti si tratta di pochi chilometri dall’aeroporto alla Casa Bianca.” “Sanno già che arrivi?” “Si! Ho parlato con il Segretario di Stato che mi manderà a prelevare con un elicottero. Quindi tutto tranquillo. Dai, accompagnami all’aereo. Mi raccomando… se per caso dovessi avere notizie di Bauer, fammelo sepere e, se nel frattempo, Allegrini lo becca, non lasciatevelo scappare.” “Si, quando i somari voleranno, allora sarà il tempo di Allegrini…” mi rispose ridendo. Risi anch’io di gusto e ci abbracciammo. “Ciao, Antonio. Ci vediamo tra un paio di giorni… Ah, dimenticavo… Controlla sempre Selvaggia, mi raccomando…” “Stai tranquillo! Ciao, a presto.” Partivo con il cuore oppresso da mille timori. Pensavo a Selvaggia, ai suoi genitori e ai miei, nascosti come dei banditi alla macchia per non compromettere tutta l’operazione e soprattutto per non servire da bersaglio a quegli psicopatici. Pensavo a quanto mi aveva spiattellato a brutto muso il Capo del Governo e mi chiedevo se avessi avuto il coraggio di far ascoltare la registrazione di quel colloquio al Presidente degli Stati Uniti. In fin
138
Paolo Maria Mariotti
dei conti era sempre il Capo del Governo del mio Paese. Ma era degno di esserlo? Pensavo a quel povero Cristo di Papa Giovanni XXIV, morto nella più completa solitudine, ignaro della fine che altri avevano decretato di fargli fare. Pensavo ai personaggi malvagi che avevano tutto da guadagnare con quella morte. Pensavo che, messi alle strette, non avrebbero esitato ancora a decretare altre morti. Con la testa gonfia di questi pensieri, arrivai a Washington, dove, con uno stratagemma degno dei migliori film di 007, invece di farmi imbarcare sull’elicottero, mi fecero salire su un SUV nero. Guardai interrogativamente la persona che avevano mandato ad incontrarmi: “Che succede?” dissi. “Nulla! Almeno credo! Sappiamo solo che l’FBI ha intercettato una telefonata della Mafia di New York a un balordo della zona e stranamente è stato fatto il suo nome. Abbiamo solo preso delle precauzioni…” Vedendo il mio volto tirato, disse: “Non si preoccupi. C’è una squadra intera di uomini dei Servizi Segreti che tengono d’occhio il balordo. Lo beccheranno non appena proverà a fare qualcosa contro l’elicottero.” “Se lo dice lei!” risposi. Arrivammo all’ingresso est della Casa Bianca, proprio quando un agente comunicava che avevano beccato il balordo proprio mentre cercava di abbattere l’elicottero con un missile terra-aria Stinger. <Calda accoglienza, da queste parti!> pensai tirando un sospiro di sollievo. Il Presidente, come sempre sorridente, era già stato avvertito del mancato attentato. Il suo volto traspariva preoccupazione e tristezza: “Caro dottor Biavati, quando succedono cose del genere, in un modo o in un altro è sempre lo Stato a perdere…” “Non direi proprio, signore!” risposi con ardore “Oggi i suoi uomini hanno dimostrato il contrario!” “Fino alla prossima volta…” disse cupo. “… Ma, veniamo a lei. Se si sono scomodati per spedirla all’inferno, vuol dire che hanno una paura dannata di ciò che avete scoperto a Roma.” “Sì, signor Presidente! Quanto sto per dirle è estremamente importante!” Cominciai a riferirgli tutto dall’inizio. Ad un certo punto fu costretto ad interrompermi con un cenno del capo per rivolgersi ad uno dei suoi segretari: “Disdici tutti gli appuntamenti per quest’oggi, Tom. Credo che io e il dottor Biavati faremo tardi. Poi potete lasciarci soli.”
Il soglio infangato
139
L’occhiata che colsi al volo, fra gli agenti dei Servizi Segreti, non era delle più benevole, ma furono ugualmente costretti ad obbedire. Anche se sono convinto che, in qualche modo, stavano controllando tutte le mie mosse e al primo movimento sospetto mi sarebbero saltati addosso come tigri fameliche, in men che non si dica. E’ giusto così. E’ il loro lavoro proteggere il Presidente anche a costo della propria vita. Rimasti soli, continuai il mio rapporto. Nomi, fatti, sensazioni, convincimenti. Tutto, senza tralasciare il benché minimo dettaglio. Gli feci ascoltare anche la poco piacevole discussione con il Presidente del Consiglio italiano. Sorrise mestamente. “Ah, anche lui… Per caso, sta registrando anche questo nostro colloquio?” disse sospettoso. “No, signore! E’ lei che comanda! Ogni sua decisione per me va bene. A Roma, è diverso. Sa… le pressioni, le invidie e via dicendo. Ci sono troppi interessi di mezzo e devo, per forza di cose, tutelarmi. Altrimenti… Beh, lei sa come vanno a finire certe cose…” “Già! Però voglio il colpevole o i colpevoli. La mano che ha ucciso e il mandante o i mandanti. Li voglio!!! Ha capito?” “Non dubiti, signore. Li voglio anch’io. E’ una questione d’onore!” risposi con fermezza. “Bene! So che ce la farà, ma le consiglio di non abbassare la guardia. Ci riproveranno, se non altro solo per vendicarsi!” disse con aria preoccupata. “La ringrazio, signore, e farò tesoro dei suoi consigli!” “Bene! Adesso vada e continui a tenermi informato su tutto!” Questa volta, almeno per il momento, non ci sarebbe stato nessun attentato, ma gli agenti dei Servizi Segreti presero comunque tutte le precauzioni. Me ne resi conto quando arrivai all’aeroporto, dove il mio aereo era stato fatto parcheggiare in un’area lontana dai terminal e da ogni altro edificio, oltre che essere controllato a vista da un reparto di marines in completo assetto di guerra. Tornavo a Roma con un grosso peso sul cuore. La vendetta è un brutto sentimento, anche nei confronti di chi ha commesso delitti tanto efferati. Ma mi chiedevo, altresì, cosa sarebbe successo in Vaticano quando sarebbero stati resi noti i risultati delle indagini. Come avrebbe reagito il nuovo Papa? C’era da mettere in conto anche questo.
140
Paolo Maria Mariotti
Avrebbe seguito la via tracciata da Giovanni XXIV o si sarebbe adeguato ai voleri della potente cricca Curiale? <Mah, staremo a vedere!> Ad attendermi, allâ&#x20AC;&#x2122;atterraggio, câ&#x20AC;&#x2122;era un emissario del ministro dellâ&#x20AC;&#x2122;interno che mi avrebbe immediatamente condotto al ministero per un colloquio privato con il ministro stesso.
Il soglio infangato
141
CAPITOLO DICIANNOVESIMO Ascolterete, ma non comprenderete; guarderete, ma non vedrete. Matteo 13,14
Non feci nessuna fatica a notare la freddezza con la quale fui accolto dal ministro, ma era una cosa che mi aspettavo. Volente o nolente, stava per essere coinvolto in un bel pateracchio e, sicuramente, ne avrebbe risentito anche da un punto di vista politico. “Allora, dottor Biavati? Sempre intenzionato a portare avanti la sua guerra privata?” mi chiese senza tanti preamboli. “La mia guerra privata!? Non la capisco, onorevole…” “Suvvia… Sappiamo che tra lei e il Presidente del Consiglio sono corse parole un po’ forti, no?” “Non credo che il Presidente abbia bisogno di un avvocato d’ufficio. Il nostro non è stato altro che uno scambio di opinioni…” “In cui, però…” mi interruppe il ministro “… lei ha fatto prevalere il suo punto di forza, coprendosi chiaramente dietro gli americani…” “Anche questa interpretazione, a ulteriore scanso di equivoci, va chiarita una volta per tutte. L’A.E.T. è sorta per scopi certamente validi. E’ stata voluta da una decina di governi, armata e sovvenzionata sempre da questi partners, fra cui l’Italia che so essere stata contraria, fin dall’inizio, ad affidarmi l’incarico che ricopro, non ritenendomi all’altezza del compito. Ma questo non mi interessa minimamente. Mi interessa, invece, ribadire che, firmatari tutti i rappresentanti delle nazioni aderenti, è stato deciso che il capo supremo dell’A.E.T. sia il Presidente degli Stati Uniti. Questo glielo dovevano per ovvi motivi che non sto ad elencarle perché sicuramente lei li conosce meglio di me. Come sede operativa è stata scelta l’Italia che ha offerto l’apporto logistico, fornendo una base qui, a Roma. Base estremamente comoda dalla quale si può raggiungere qualsiasi località, ove vi sia bisogno del nostro pronto intervento, nel più breve tempo possibile. Questo è quanto. Per ciò che, invece, riguarda il nostro intervento nell’incresciosa vicenda dell’assassinio del Papa…”
142
Paolo Maria Mariotti
Il ministro mi interruppe con un: “Via, via, assassinio…non esageri con le parole!” “Assassinio, signor ministro! Altrimenti, come vorrebbe chiamarlo?” “Ma lei si rende conto che il Vaticano è uno Stato sovrano dove noi non possiamo assolutamente intervenire? Capisce che potremmo, stante la sua presa di posizione, anche arrivare ad una rottura diplomatica? E per cosa, poi? Il professor Bartoloni, di cui non disconosco la bravura, potrebbe anche essersi sbagliato…” “Bartoloni è un uomo di specchiata serietà che non si lascia né comprare né intimidire. Come me, sapeva che saremmo giunti a tal punto ed è per questo motivo che ha voluto che tutti i presenti, quella notte, testimoniassero con la loro firma quanto aveva stabilito l’autopsia. Non siamo noi, signor ministro, che dobbiamo pararci il fondo schiena, ma sei illustri personaggi di cui tre alti prelati, due banchieri e un avventuriero della peggiore specie.” “Alt! Stop, Biavati” rispose con veemenza il titolare del Viminale. “Non una parola di più. Non voglio conoscere quei nomi. Né adesso, né mai. Ha capito?” “Allora cosa mi ha chiamato a fare? Quei signori di cui non vuole sentire i nomi sono la peggiore feccia che esiste sulla faccia della terra. E lei? Lei pensa di salvarli cercando di intimidire me?” risposi alterato. “Non alzi la voce, Biavati… Anche la mia pazienza ha un limite…!” “Certo! Ha ragione e le chiedo scusa. Comunque è bene che sappia che sono appena rientrato dagli Stati Uniti dove, grazie alla perspicacia degli americani, sono scampato ad un nuovo attentato. Ma questo non ha importanza. Quello che ora realmente importa è che il Presidente Reynolds mi ha dato carta bianca per risolvere definitivamente la questione. E io, mi creda pure, la risolverò!” Il ministro era paonazzo in volto; non riusciva a parlare di fronte a tanta fermezza. Ne approfittai per togliermi dai piedi. “Se permette, onorevole, adesso la lascio al suo lavoro. Io torno alla base per portare a termine il mio, di lavoro. Buona giornata, signor ministro!” Me ne andai, senza una stretta di mano e con una gran rabbia dentro. Ma se pensavo che fosse finita qui, mi sbagliavo di grosso! Alla base mi aspettavano i cardinali Bertini e Fantucci. “Eminenze…” Non sapevo che cosa dire. <Come fanno questi due a sapere dell’A.E.T. e della sua base operativa?> pensai stizzito.
Il soglio infangato
143
“Marchese Biavati…” iniziò il cardinale Bertini “…qui, davanti a lei, ci sono due amici di Giovanni XXIV che ne piangono la prematura scomparsa. Ma ci sono anche due cardinali che sono venuti a scongiurarla di mettere fine alle indagini che non fanno altro che gettare fango sulla Chiesa di Roma e che non riporteranno sicuramente in vita il nostro amato Papa. “E, così, eminenza, secondo il costume italo-partenopeo tutto dovrebbe finire a tarallucci e vino, non è vero?” dissi con sarcasmo. “Ma non capisce” intervenne quasi incollerito il cardinale Fantucci “che in un momento come questo, uno scandalo di questa portata non farebbe altro che il gioco dei nemici della Chiesa, primi fra tutti gli Islamici? Non capisce che spezzare le ossa alla Chiesa equivarrebbe a condannarla definitivamente alla perdita del suo ruolo di faro della cristianità tutta?” “Eminenze carissime, se ho ben capito, voi vorreste, cristianamente parlando, che porgessi l’altra guancia. Ebbene, questo non sta a me deciderlo, anche se ne avrei ben diritto dopo quanto è stato fatto a mia moglie e dopo gli attentati che ho subito in prima persona… Lasciamo stare questo particolare “insignificante”” calcai la voce su quest’ultima parola “ma, purtroppo per voi e per la Chiesa, non sono io a decidere. Come ho già avuto occasione di dire al Presidente del Consiglio e al Ministro dell’Interno, è volontà del Presidente degli Stati Uniti fare piazza pulita. E, dall’ultimo colloquio che ho avuto con lui, non credo proprio sia disposto a lasciar perdere. Conoscete bene quanto me le sue idee verso la fede e la grande amicizia che lo legava a Giovanni XXIV.” “Siamo dispiaciuti per l’increscioso incidente occorso a sua moglie…” tentò di scusarsi Bertini. “Lo chiama incidente, Eminenza? Poteva essere fatto passare per tale se solo non le avessero trovato in corpo una pallottola che proveniva dalla stessa arma che ha ferito anche me nell’attentato presso le rovine di Veio. I referti della polizia scientifica e i due proiettili in nostro possesso parlano chiaro! Poi ci sono altre questioni altrettanto rilevanti. Volete conoscerle? Bene! Allora preparatevi ad ascoltare tutto: Primo: l’allontanamento e la morte improvvisa di suor Valentina, la cameriera personale del Papa; in un primo momento mandata in un convento di stretta clausura, dove le era permesso di parlare solo con il confessore e successivamente ritrovata stranamente morta. Referto: collasso cardiaco. Secondo: l’allontanamento di monsignor Lucidi, il sacerdote che è stato segretario di Giovanni XXIV fin da quando fu vescovo di Vittorio Veneto
144
Paolo Maria Mariotti
e che ha continuato ad affiancarlo fino al suo ultimo giorno. Mi suona strano che, vista la sua grande esperienza, sia stato immediatamente rispedito in una lontana diocesi del Veneto e che dopo pochi giorni abbia addirittura incontrato la morte in un fantomatico incidente stradale alle quattro del mattino. Incidente con un autocarro militare fantasma di cui non si sono più trovate tracce. Nessun testimone, eppure c’è stato qualcuno che ha sostenuto che il mezzo coinvolto era un mezzo militare. Quanto meno strano, non trovate? Terzo: l’allontanamento di padre McDonald. La sua improvvisa nomina negli Stati Uniti: suona strano anche questo fatto perché, prima di essere segretario di Giovanni XXIV, padre McDonald era stato segretario anche del precedente Papa. Pensate che al prossimo non avrebbe fatto comodo? Dopo il trasferimento, la scomparsa. Scomparso nel nulla. Finchè non è stato ritrovato in un manicomio criminale, imbottito di psicofarmaci che gli avrebbero completamente annullato la personalità.” Non dissi loro che l’avevamo ritrovato e che ora era in una località segreta per disintossicarsi e guarire. Continuai, visto che gli ascoltatori erano particolarmente attenti e avevano l’aria un po’ smarrita. “Quarto: Il tenente Hoffmann delle Guardie Svizzere. Prima riferisce di un suo incontro casuale la notte della morte del Papa con un monsignor Martins completamente inebetito. Poi le sue accuse contro di me per essermi appropriato dei documenti del Papa. Infine, la sua scomparsa. Quindi la ricomparsa per attirarmi in un tranello. Per chiudere, la sua morte. Sapete come è stato ritrovato? No? Ebbene, ve lo dico io: alla maniera della Mafia. Legato come un capretto! Quinto: il colonnello Bauer, comandante delle Guardie Svizzere. Sappiamo che dopo il mio primo attentato è fuggito e si è rifugiato in Sicilia, presso una grossa famiglia mafiosa… Per inciso, è stato lui a spararmi ed era sempre lui che comandava gli attentatori di Selvaggia, mia moglie. Tutto ciò, in un mondo normale, dà adito ad aperture di inchieste a non finire, mentre la Santa Sede cosa fa? Manda due stimatissimi suoi principi perché inducano a mettere una pietra sopra tutto, per la salvaguardia del suo buon nome! Francamente da loro, Eminenze, visto lo stretto rapporto che avevano con Giovanni XXIV, non me lo sarei mai aspettato” conclusi con molta calma. Con voce pacata mi rispose il cardinale Bertini: “Quanto lei dice ci addolora profondamente anche perché ne eravamo del tutto all’oscuro e se le cose stanno così, in effetti sono molto gravi. Ma, nonostante tutto ciò, e,
Il soglio infangato
145
badi bene, nessuno dubita delle sue parole, bisogna fare in modo che la Santa Sede ne venga fuori pulita. Su questo neanche Giovanni XXIV mi smentirebbe, perché so che avrebbe assunto il nostro stesso atteggiamento. Posso, invece, assicurarle che, all’interno della Curia, prenderemo i provvedimenti del caso verso i tre prelati che sono arrivati a questo.” Scossi la testa, guardandolo con incredulità. “Ma, eminenza, il problema è molto più grande di quanto lei immagini. Ammesso e non concesso che si riesca a tenere fuori i tre prelati, lei è proprio convinto che i loro degni compagni laici, che in questo momento sono sotto il più stretto controllo da parte di tutte le polizie del mondo, presi con l’acqua alla gola, non finirebbero per parlare e che pur di salvarsi non esiterebbero a gettare nel fango anche la Banca Vaticana e con essa tutta la Santa Sede?” Questa mia ultima affermazione li lasciò sgomenti e, per un attimo, senza parole. A parlare, mentre stavano prendendo commiato, fu il cardinale Fantucci: “Domani, a 14 giorni dalla morte di Papa Giovanni XXIV, si riunisce il Conclave dal quale uscirà il nuovo Papa. Speriamo che la Divina Provvidenza ci invii un uomo che sappia prendere le redini in mano e continuare l’opera del nostro amato Santo Padre… Ma ne dubito… Per ora non ci resta che confidare nel suo buon senso, marchese. Che Dio la illumini!” Se ne andarono lasciandomi ad arrovellare il cervello su come gestire questa incresciosa situazione. Che fare? Aspettare l’evolversi della situazione? Aspettare la conclusione del Conclave? Andare avanti per la strada già tracciata? La testa mi stava scoppiando. Il suono insistente del cellulare mi fece sobbalzare. Guardai il numero e pensai <Mamma… che vorrà mai, proprio ora?> “Ciao mamma! Che succede?” chiesi con apprensione. “Non ti preoccupare, tesoro. Selvaggia sta bene e sta anche facendo enormi progressi… E qui è un posto incantevole.” “Aspetta…” urlai… “Chiudi immediatamente. Potrebbero rintracciare la tua telefonata!” Mio Dio! Sicuramente il mio numero personale era sotto controllo e i “nemici” non avrebbero perso tempo a rintracciare la provenienza della chiamata.
146
Paolo Maria Mariotti
<Signore, ti prego, fammi arrivare in tempo!> pregai. Chiamai tutta la squadra A.E.T. presente in quel momento: venticinque, fra uomini e donne e armati di tutto punto ci imbarcammo sul CH53E Super Stallion per volare direttamente su Numana sperando di arrivare in tempo a creare un perimetro di protezione intorno alla villa che ospitava mia moglie e le nostre rispettive famiglie con la servitù, sul monte Conero. “Forza, ragazzi! Dobbiamo arrivare prima che sia troppo tardi.” Dissi cupamente. Un’ora di volo. E l’ansia di arrivare in ritardo. I pensieri che ti sconvolgono la mente. I volti di chi ti sta vicino che non lasciano trasparire la minima emozione. Eppure tutti sappiamo che qualcuno di noi potrebbe non tornare, nel caso si dovesse affrontare il fuoco “nemico”. <Bravi ragazzi!> Non potevo pensare altro. <Dio, ti prego, fa che non sia troppo tardi!> Finalmente giungemmo a destinazione. L’incubo era finito. Finito? Atterrammo agevolmente in un fazzoletto di prato a strapiombo sul mare. I ragazzi delle due squadre scesero velocemente e altrettanto velocemente cominciarono a controllare il terreno tutt’intorno alla villa, individuando in un amen tutti i punti deboli da eliminare per poter avere una difesa efficace. Gli uomini erano sotto il comando del tenente di vascello Syd Parker, un veterano dei famosi SEAL americani, il quale, una volta controllato il tutto, venne immediatamente a fare rapporto sullo stato delle cose. “Ascolta, capo! Da quanto ho visto, un attacco via mare è impensabile. Ci sono da scalare circa 500 metri di roccia molto friabile e instabile. Sarebbe un fallimento al primo tentativo. Sicuramente arriveranno dalla parte del bosco, anche se corrono il serio rischio di incappare nelle sentinelle della Marina Militare italiana che vigilano sul deposito di munizioni scavato nella montagna. Oppure dalla strada, ma ne dubito. Sarebbero troppo scoperti. No, anche la strada è da escludere. Oppure, e questa è l’idea più praticabile, verranno con un paio di elicotteri armati di missili aria terra da lanciare sulla villa e una squadra di uomini che scenderà a terra per finire il lavoro dei missili. Io mi comporterei così!” “Hai ragione, Syd. Lo farei anch’io! Contromosse? Cosa pensi di fare?” “Metto quattro tiratori con missili terra aria Stinger ai lati del prato. Tanto sono sicuro che arriveranno dal mare e li beccheremo prima che possano fare danni con i loro, di missili; quindi dieci uomini li disloco nel bosco,
Il soglio infangato
147
ben mimetizzati, in modo che se tentassero di passare da lì, troverebbero pane per i loro denti. Infine sette uomini lungo la strada d’accesso, ben distanziati e mimetizzati. I rimanenti staranno di guardia alla villa. Ma la prima cosa da fare è mettere al sicuro tutti i tuoi cari. Tua moglie è trasportabile?” “Penso di si, ma lascia che lo chieda a mia suocera.” Tornai immediatamente con una risposta affermativa. “Bene, capo. Li nascondiamo tutti nella casermetta della Marina nella più assoluta segretezza, nel caso che qualcuno ci stesse già osservando. Tu, nel frattempo, chiedi all’Ammiragliato il permesso per questa operazione!” Bastarono poche parole con l’Ammiraglio Sarti, perché si mettesse in moto anche l’efficiente macchina della Marina Militare Italiana, che ci avrebbe dato tutta l’assistenza possibile. Ora eravamo pronti a ricevere chiunque tentasse di arrivare fino a noi. E arrivarono. Tutto come previsto da Syd. Due elicotteri neri, bassi sull’orizzonte, a confondersi con il mare, con i loro strumenti di morte. Solo che i quattro uomini di Syd furono più lesti a spedirgli incontro i loro biglietti di benvenuto. Due missili Stinger centrarono entrambi gli elicotteri trasformandoli in due palle di fuoco che precipitarono mestamente ai piedi della scogliera. Non mi piaceva veder morire della gente, ma questa volta non provavo nessun senso di colpa. Intanto cominciai a notare uno strano particolare: la luce andava e veniva. Dalla finestra vidi un’auto fermarsi al cancello e scendere un uomo a cui il soldato che stava di guardia intimò di andarsene immediatamente. Quello gli mostrò un foglio per cui il soldato chiamò Syd con la ricetrasmittente: “Signore, questo tizio al cancello dice di essere un tecnico dell’ENEL e che è stato mandato per controllare certi cavi… Che cosa devo fare?” “Digli di tornare un altro giorno. Adesso non è possibile…” Quando l’uomo se ne fu andato, Syd richiamò: “Tieni gli occhi aperti, ragazzo. Quel tipo lì mi puzza tanto di avanguardia. Credo che fra poco si apriranno le danze.” Gli uomini di guardia lungo il perimetro di recinzione si stabilirono ai posti loro assegnati. Erano all’erta, ma i loro volti non lasciavano trasparire alcuna emozione. Improvvisamente, ci fu un lampo seguito da una esplosione che divelse il pesante cancello.
148
Paolo Maria Mariotti
<Ecco cosa era andato a fare il presunto operaio. A spianare la strada per l’attacco…!> pensai. Inutile dire che il soldato di guardia morì stritolato dal pesante cancello di ferro. Quindi iniziò il concerto di spari. “Maledizione, ci aspettavano…” Udii una voce bestemmiare. “Sapete cosa dobbiamo fare. In questo caso niente ostaggi. Dobbiamo farli fuori tutti…” Io e Syd, che avevamo seguito questo scambio di frasi ci guardammo attoniti come per cercare di capire se stavamo vivendo la realtà o se eravamo capitati sul set di un film. Era realtà. Per ogni uomo che cadeva era la morte. Una vera carneficina. Anche il bosco vicino rimbombava di spari e di urla di feriti. Chiunque fosse stato il capo, aveva programmato di far avanzare gli uomini divisi in due squadre. Una dal bosco e una dalla strada. Come aveva previsto Syd. Ma entrambe le squadre, che non si aspettavano questa calda accoglienza, avevano esposto i fianchi al nostro fuoco. Con tutte le vie di fuga chiuse, i pochi superstiti non avevano più alcuna possibilità di scampo. Dovevano decidere, e subito, se consegnarsi o lottare fino all’ultimo uomo. Ci fu un breve conciliabolo, poi vennero fuori, uno ad uno, con le mani alzate. Fra loro, sorpresa delle sorprese, c’era anche il colonnello Bauer! Cominciai a guardarli in viso. Anche Bauer guardava con un’aria di sfida, confidando ancora nella fortuna per poter trovare una via di scampo. Quando si voltò, vide i miei occhi puntati su di lui da non più di cinque metri di distanza. In un attimo mi riconobbe e vide qualcosa…: vide uno sguardo che fino a poco prima aveva considerato di proprio uso … <Sono la morte> gli disse quello sguardo. <Sono venuto a prenderti!> Ebbi l’impressione di essere di ghiaccio. Le dita mi si serrarono intorno al calcio della pistola, mentre camminavo lentamente verso i prigionieri, con gli occhi sempre inchiodati sul volto di Bauer. Al mio sguardo sembrava ancora un animale, ma non più un rapace in agguato. Mi avvicinai e gli diedi un calcio alle gambe. Mossi la pistola per ordinargli di alzarsi in piedi, ma non profferii parola. <Non si parla ai serpenti. I serpenti si ammazzano!> “Capo…” Syd fu un po’ lento ad afferrare la situazione.
Il soglio infangato
149
Spinsi Bauer contro la parete della casa, premendogli la gola con l’avambraccio. Gustai la sensazione della gola del colonnello che pulsava contro il muscolo del mio braccio. <Questo è il piccolo bastardo che ha tentato di uccidere Selvaggia…> In quel momento, senza rendermene conto, il mio volto non mostrava alcuna emozione. Bauer mi guardò negli occhi e vide… nulla! Per la prima volta nella sua vita, credo, Bauer conobbe il terrore. Vide la propria morte. Il sudore gli colò sul viso e le mani gli tremarono perché temeva il fuoco eterno che lo attendeva. <Addio Bauer. Spero che ti troverai bene all’inferno…> “Capo!” Sapevo di avere poco tempo. Alzai la pistola e gliela spinsi nella bocca, continuando a fissarlo negli occhi. Strinsi il dito sul grilletto, proprio come mi era stato insegnato. Premere dolcemente, così non sai mai a che punto scatta… Non successe nulla… Una grossa mano si posò sulla pistola. “Non vale tutto questo, capo! Proprio non lo vale!” Syd ritirò la mano e solo allora mi accorsi che il cane della pistola non era armato. Avrei dovuto alzarlo perché l’arma sparasse! “Pensaci!” L’incantesimo era infranto. Inghiottii saliva due volte e inspirai. Ciò che vedevo adesso era meno mostruoso. La paura aveva dato a Bauer un’umanità che prima gli mancava. Non era più un animale, era l’orribile esempio di quello che può accadere all’uomo che perde la qualità di cui ogni essere umano ha bisogno. Il suo respiro usciva a rantoli quando gli tolsi la canna della pistola dalla bocca. Stava soffocando, ma non poteva muoversi con il mio braccio contro il suo collo. Feci un passo indietro e lui cadde. Il tenente Parker posò la mano sul mio braccio destro, facendomi abbassare la pistola: “So che cosa pensi, capo. So cosa ha fatto a tua moglie, ma non vale quello che stavi per fare tu. Potrei dire ai poliziotti che gli hai sparato mentre tentava di fuggire. I ragazzi, tutti, lo confermerebbero. Non andresti mai sotto processo ma, credimi, non vale assolutamente la pena di compiere un tale gesto. Tu non sei tagliato per essere un assassino” disse tranquillamente. “Guarda cosa gli hai fatto. Non so che cos’è quell’essere lì in terra, ma certamente non è un uomo, non più!” Annuii, ancora incapace di parlare. Bauer era rimasto carponi e guardava il pavimento. Non riusciva ad affrontare il mio sguardo. Sentii di nuovo il
150
Paolo Maria Mariotti
mio corpo: il sangue che mi scorreva nelle vene diceva che ero vivo ed integro. <Ho vinto!> pensai, mentre riprendevo il controllo delle emozioni <Ho vinto! Ho sconfitto lui e non ho distrutto me stesso…> Allentai la presa sul calcio della pistola. “Grazie, Syd! Se non fossi intervenuto tu…” “Se avessi voluto veramente ucciderlo, non avresti dimenticato di armare il cane. Capo, ti ho preso le misure da molto tempo!” Syd annuì con energia per dare maggior forza alle proprie parole. “Tu, sdraiati in terra!” ordinò a Bauer che obbedì lentamente. Quando portarono via i prigionieri, accesi una delle mie speciali Davidoff Blu. <Ha ragione Syd?> domandai al cielo. La risposta mi giunse un attimo dopo. <Ha ragione per metà: non sono tagliato per fare l’assassino. Ma forse ha ragione anche per l’altra metà. Lo spero proprio…> “Stanco, Beppe?” domandò Syd, chiamandomi per nome per la prima volta. “Dovrei esserlo, ma sono ancora sotto pressione…” “Io, veramente, avrei voluto chiedergli perché…” osservò sommessamente il SEAL. “Già…” aspirai l’ultima boccata della sigaretta, poi buttai il mozzicone nel precipizio. “… Avresti potuto, ma non credo che la risposta avrebbe significato molto.” “Come dobbiamo risolvere il problema, allora?” <Abbiamo risolto il mio> pensai <non cercheranno più di fare del male a mia moglie o alle nostre famiglie. Però non è questa la risposta che vuoi, vero?> “Credo che sia un discorso di giustizia. Se la gente crede nella società di cui fa parte, non ne infrangerà le regole. Non è facile ma ,comunque, prima o poi la civiltà prevale sempre sulla barbarie…” <L’ho appena dimostrato, credo. Spero!> Syd guardò il mare di fronte a noi, per un istante, poi disse: “Beppe, tu sei proprio una brava persona!” “Anche tu, amico. E’ per questo che vinceremo.” In pochi attimi giungemmo alla casermetta della Marina Militare Italiana, dove ero atteso da Selvaggia e i nostri genitori. “Dove sono?” chiesi ad un giovane guardiamarina.
Il soglio infangato
151
“Laggiù, signore!” rispose additandomi una palazzina immersa fra gli abeti. Corsi a più non posso. “Ciao, ragazza!” Selvaggia afferrò la mia mano e la tenne stretta sul cuore. La baciai dolcemente: “E’ finito. E’ finito tutto. Sto bene. E tu, amore mio, come stai?” “Adesso sto bene… E… Ti amo, bel tomo!” rispose sorridendo “Anche io, ragazza! Ti amo da morire!” Abbracciai i miei genitori e i miei suoceri, dicendo: “Beh, adesso che la festa è finita, possiamo tornare a casa e lasciare che questi bravi ragazzi facciano il loro dovere!”
152
Paolo Maria Mariotti
CAPITOLO VENTESIMO Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra, perché io ponga i tuoi nemici sgabello ai tuoi piedi. Marco 12,36
Come predetto dal cardinale Bertini durante il nostro incontro, il 15 ottobre nel Conclave iniziarono le votazioni per eleggere il successore di Giovanni XXIV. A quanto pare lo Spirito Santo era decisamente assente. Per due giorni, durante otto ballottaggi, sembrò che il cardinale Bertini fosse quasi vicino alla vittoria finale. Se fosse stato eletto, non c’era alcun dubbio che molte delle cose che il defunto Papa aveva deciso di intraprendere, sarebbero state fatte. Il cardinale Corder sarebbe stato rimosso dal suo incarico; Valloret sarebbe stato sostituito alla Segreteria di Stato; Martins, De Sthandel e Mancini sarebbero stati allontanati dalla Banca Vaticana. Ma, mancando il “vacanziere” Spirito Santo, Bertini per nove voti perse la cappa, come dice la canzone di Martino Campanaro, e vincitore finale fu un candidato di compromesso, il cardinale Karl Weitcizky, che non aveva nulla a che fare con il suo predecessore e, malgrado gli sforzi di Bertini, Fantucci e altri, il papato di Giovanni XXV – fu questo il nome che scelse - è stato un affare come al solito. Ma c’erano due “ma” molto pesanti. Primo, padre McDonald si era rimesso completamente, segno che lì, almeno, lo Spirito Santo non era stato latitante e oltre ad aver rilasciato una deposizione giurata sui fatti, era anche pronto a ripeterlo davanti ad un Tribunale. Secondo, Bauer. Ormai ridotto ad una larva d’uomo nelle mani dei Servizi Segreti americani, aveva cominciato a cantare come un usignolo. Era lui che aveva messo il veleno nell’acqua del Papa, passando proprio per quella scala segreta di cui aveva parlato con tanta dovizia di particolari L’Osservatore Romano della domenica dei primi di settembre.
Il soglio infangato
153
Ma chi gli aveva fornito il veleno? E, soprattutto, chi gli aveva impartito quell’ordine? L’ordine era partito da Valloret che non digeriva di essere accantonato rinunciando alla carica che gli permetteva di essere secondo solo al Papa. Martins era con Bauer per controllare che tutto andasse per il giusto verso. La digitalina era stata consegnata da Corder a Valloret, trasportata in Italia dallo stesso cardinale americano in una valigetta diplomatica. E la Mafia? Bauer sapeva che l’avevo riconosciuto la sera del mio attentato, motivo per cui doveva necessariamente diventare uccel di bosco. E dove nascondersi, se non nella culla dell’organizzazione malavitosa più potente d’Italia? Per lui garantivano Sicari e Capelli! Quanto all’ultimo attentato contro i miei familiari, armi ed elicotteri erano stati messi a disposizione dal massone Lucio Grilli. Le dichiarazioni dell’ex colonnello delle Guardie Svizzere vennero spulciate tutte, una ad una, prima di intraprendere qualsiasi passo, in un senso o in un altro. E certo che la scomparsa di due elicotteri, di Bauer e di una venticinquina di uomini deve aver messo in allarme questi personaggi, ma il fatto che la stampa non ne aveva fatto parola, in un certo senso li tranquillizzava. In fin dei conti tutto si basava solo su di un testimone. Tolto quello di mezzo, tolto il male! Già, ma dov’era questo testimone? Non lo sapevo nemmeno io e, d’altronde, non mi interessava poi più di tanto. Sarei stato alla finestra ad attendere gli eventi come tutti. Con la sua elezione il nuovo Papa fu messo al corrente dei cambiamenti che il suo predecessore aveva in mente di operare e dei vari incontri e discussioni che aveva sostenuto riguardo ad una grande varietà di problemi. Gli furono rese note anche le informazioni raccolte dai cardinali Bertini e Fantucci, dai membri dell’A.P.S.A. e da altre persone. Gli furono mostrate le prove che avevano portato Giovanni XXIV alla conclusione che il cardinale Corder di Chicago doveva essere sostituito. Gli furono sottoposte le prove che la Massoneria era entrata in Vaticano. Il Presidente Reynolds gli riferì anche le prove schiaccianti fornite dall’A.E.T..
154
Paolo Maria Mariotti
In breve, Giovanni XXV era nella posizione di poter realizzare i progetti di Giovanni XXIV ma nessuno dei cambiamenti da questo proposti si è attuato. Valloret è stato riconosciuto nella carica di Segretario di Stato; Corder continua a controllare Chicago; Martins, aiutato da Mancini e De Sthandel, continua a dirigere la Banca Vaticana e continua a far sì che le attività col Banco Ambrosiano prosperino. Capelli e i suoi maestri, Grilli e Ozzieri, sono liberi di continuare nei loro furti e nelle loro frodi, con la protezione della Banca Vaticana. Sicari è ancora libero a New York; Broggi non è andato a Venezia e il corrotto Paolucci è rimasto cardinale vicario di Roma. Ecco il tanto auspicato cambiamento che Bertini e Fantucci avevano previsto. Ma non era possibile rimanere con le mani in mano. Bisognava assolutamente agitare le acque perché la verità venisse a galla. Cominciai a far girare in maniera assolutamente anonima certe voci riguardanti i vari personaggi, coinvolgendo dei giornalisti a me, e ai più, assolutamente sconosciuti. Alcuni giorni dopo questa mia iniziativa, alcune testate riportavano domande inquietanti in prima pagina: “GIOVANNI XXIV E’ MORTO DI MORTE NATURALE?” “IL TRONO DI PIETRO È STATO INFANGATO DA UN ESECRABILE ASSASSINIO?” “LA BANCA VATICANA E’ IN COMBUTTA CON LA MAFIA E LA MASSONERIA?” Era logico che questa, definiamola pure, “fuga di notizie” aveva smosso fortemente le acque. Cosa che comportò un’immediata reazione del Vaticano che dalle pagine de L’Osservatore Romano rispondeva con veemenza che si cercava di gettare fango sulla Santa Sede. Leggendo l’articolo, Antonio ed io ci scambiammo un’occhiata in tralice: “Semmai, si cerca di toglierlo, il fango…” mormorai. “Già!” rispose il mio amico “ ma se scoprono che a fare gli spazzini siamo noi, vedrai che razza di polverone alzeranno…” “E’ per questo che d’ora in poi tu non parlerai più con me di queste cose: Ufficialmente non sai nulla di nulla.” “Ma va? Se tu pensi che abbandoni la barca quando fa acqua, allora non mi conosci proprio, amico mio!” rispose ringhiando come una tigre ferita. “Antonio… Antonio… Ma non capisci che ho bisogno che tu abbia le mani libere nel caso mi imbavagliassero?”
Il soglio infangato
155
“Allora spiegati meglio!” “Ripeto, tu ufficialmente sei fuori da queste indagini. I tuoi compiti sono altri. Ed è questo che ripeterai fino alla noia se dovessero interrogarti. Nel caso mi obbligassero con la forza a tacere, allora continuerai a fare quello che sto facendo io. Ora ti è tutto chiaro?” Non fece in tempo a rispondermi: il telefono squillava ripetutamente, insistente come una comare. “Pronto?!” risposi. “Dottor Biavati?” una voce molto profonda e seria. “Chi parla?” insistei. “Dottor Biavati?!” ancora. “Chi parla?... Senta, chiunque lei sia, potremmo andare avanti per delle ore con questa manfrina. Lei ha chiamato, lei si presenti. Quindi, se è presente, cercherò di passarle il dottor Biavati. E’ chiaro?” dissi spazientito. “Lei non è il dottor Biavati?” insistette. “Allora facciamo finta di non capirci… Lei chi è? Si presenti o chiudo la comunicazione, dato che non ho tempo da perdere…” “Sono il… vescovo Martins…” “Alla buon ora! Dica pure, vescovo. Sono Biavati!” “Avrei bisogno di parlarle. Che ne dice di raggiungermi in Vaticano presso lo IOR fra un’ora, per chiarire alcuni punti di una certa faccenda?” “Mi dispiace, monsignore, ma non posso assolutamente muovermi… Sa, impegni precedenti… Se vuole proprio vedermi, l’unico modo possibile è che lei venga da me. Magari… sì… se viene subito riesco a dedicarle una mezz’oretta. Che ne dice?” Silenzio. “Tanto lei sa dove mi trovo…” continuai impunito “… Certi suoi amici glielo avranno riferito sicuramente!” La mia solita faccia da schiaffi! “Ma, non so se…” disse cauto. “Via, monsignore. Siamo uomini di mondo e le parole non hanno mai ucciso nessuno…” “Va bene! Arrivo subito!” “D’accordo. Passi dal cancello secondario, intanto avverto la sentinella. Lo dica al suo autista.” Meno di mezz’ora dopo, il “Gorilla” entrò a passo di carica nel mio ufficio, dove lo attendevo da solo. Non volevo testimoni per quello che avevo
156
Paolo Maria Mariotti
da dirgli.Lo ricevetti formalmente, senza stringergli la mano che mi tendeva, facendogli così capire che per lui non provavo altro che ribrezzo. “Allora, monsignore… Cosa c’è di così urgente da distoglierla dai suoi molteplici affari, per voler parlare a tutti i costi con il sottoscritto?” “Vengo subito al dunque. Noi crediamo che gli articoli diffamatori comparsi ultimamente sui quotidiani di tutto il mondo, siano farina del suo sacco!” disse senza tanti giri di parole, guardandomi fisso negli occhi. “Attento, monsignore…” risposi sostenendo quello sguardo indagatore senza alcuna remora e con sarcasmo. “…Attento… Lanciare accuse gratuite, in questo momento, potrebbe risultare indigesto anche per una persona del suo calibro…” “Cosa intende dire? Si spieghi…” “Quello che ho detto, vescovo Martins. Né una parola di più, né una di meno. Da buon intenditore…” risposi con voce tagliente. “Probabilmente, dottore, lei non si rende conto che sta giocando un gioco pericoloso con il fuoco e che potrebbe finire con lo scottarsi…” “Dipende da quale fuoco debbo guardarmi, monsignore. Non certo da quello dell’Inferno…” risposi al massimo del sarcasmo. Divenne paonazzo. “Cosa vorrebbe insinuare?” “Io? Niente!” risposi serafico. “Il Santo Padre…” “Quale Santo Padre? Il precedente o l’attuale?” “Giovanni XXV ha ritenuto opportuno mettere a tacere tutte le male lingue che hanno disseminato veleno, minando le fondamenta della Chiesa Cattolica Romana…” “Ma non la digitalina…” risposi con fare ancora più indisponente. Era troppo anche per il “Gorilla”! Con uno scatto si alzò dalla poltrona su cui era seduto e, furibondo, guardandomi con occhi iniettati di sangue, disse con voce minacciosa:“Vedo che con lei le buone maniere non valgono…” “Oh, lo so bene! Come lo sanno certi tipi che hanno provato a farmi ragionare con le cattive… Devo presupporre che dovrò aspettarmi la visita di un altro Bauer? Sono tutti così inaffidabili gli Svizzeri?” dissi con aria di dispregio. “Non finisce qui, Biavati. Si ricordi che…” Terminai io per lui: “… le mani della Chiesa sono lunghe. Lo so! Ma so anche che con me il gioco dell’intimidazione non ha alcuna presa. Faccia
Il soglio infangato
157
il suo cammino, vescovo Martins. Io continuerò a fare il mio, con l’augurio che i due differenti cammini non si incrocino mai…” “Ma come si permette… Io…” “Lei cosa? Ho le prove documentate di quanto è stato fatto a Giovanni XXIV, con tanto di nomi e cognomi dei “congiurati”, oltre alle nefandezze che si perpetrano quotidianamente in quel fazzoletto di terra che è il Vaticano. Attenzione! Ho detto prove documentate e, grazie a Dio, non sono solo io ad esserne il depositario. Attentare alla vita del Presidente degli Stati Uniti, che ne è il depositario numero due, è un po’ più difficile che attentare alla mia.” Per un istante mi guardò furibondo, tanto che temetti volesse mettermi le mani intorno al collo, poi senza profferire parola se ne andò sbattendo la porta, probabilmente imprecando ma sicuramente cercando di mettersi in contatto con i suoi degni compari. Rimasi solo a rimuginare sul da farsi.<Visto come stanno andando le cose in Vaticano> pensai <è bene che telefoni al Presidente Reynolds perché dia una scrollatina di spalle al nostro primo ministro. Almeno che prendesse posizione contro Capelli, Sicari, Grilli e Ozzieri… Se i preti non possono essere toccati…>
158
Paolo Maria Mariotti
CAPITOLO VENTUNESIMO Il sole si oscurerà e la luna Non darà più la sua luce; gli astri cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte. Marco 13,24
La cosa si stava trascinando per le lunghe. La mia organizzazione, non essendo una forza di polizia, aveva le mani legate. La polizia ufficiale stava attraversando un momento di stasi per alcune sostituzioni ai vertici del comando. Il ministro dell’Interno latitava. I giornali continuavano, in maniera assai blanda, per la verità, a tirar fuori certe notizie ogni tanto. Ma più il tempo passava e più i colpevoli l’avrebbero fatta franca, ormai convinti che l’ala protettrice del nuovo Papa l’avrebbe messi al sicuro. A distogliere la mente da tutto ciò, intervenne un fatto per il quale era nato l’A.E.T.: un dirottamento aereo da parte di alcuni terroristi arabi. Il Boeing 747 della TWA, proveniente da Francoforte, era stato dirottato sull’Irlanda e fatto atterrare su una pista nei pressi di Dublino. In meno di sette minuti dall’allarme, tutto il mio gruppo era in volo per recarsi sul campo delle operazioni. Dopo circa un’ora e quindici minuti, eravamo in vista dell’obiettivo. Il nostro pilota chiuse la manetta del gas a mille cinquecento metri, portando a termine l’operazione di atterraggio senza più interessarsi delle manette, spingendo al massimo i freni. Quindi fece compiere al MV 22 OSPREY un giro di 360°, portandosi fuori dalla vista dei dirottatori. “Bel lavoro, Mark!” borbottai accovacciandomi dietro al sedile del pilota. Mi interruppi quando vidi l’addetto allo stazionamento che stava facendo dei segnali con le palette e altri due uomini accanto a lui. Uno indossava la tuta mimetica dell’esercito e l’altro aveva l’uniforme blu della polizia irlandese. L’ufficiale in uniforme fu il primo a salutarmi quando scesi di corsa dalla scaletta pieghevole dell’aereo.
Il soglio infangato
159
“Ben arrivato! Sono il commissario capo O’Ridley. Mi permetta di presentarle il colonnello Brady dell’esercito irlandese.” Entrambi avevano un’aria sospettosa e risentita e la ragione fu subito evidente. “Abbiamo ricevuto istruzioni di prendere ordini da lei, signore!” Mi resi immediatamente conto che l’ostilità non era tutta diretta verso di me. C’erano già stati attriti fra polizia ed esercito e l’importanza attribuita al mio gruppo li esacerbava ancora di più. Era essenziale che il comando e la responsabilità delle operazioni fossero nettamente definiti. “Grazie!” accettai il comando senza alcuna ostentazione. “Ovviamente faremo ricorso alla forza solo in caso di stretta necessità. Ma, se si arriverà a ciò, userò esclusivamente i miei uomini. Vorrei che questo, a scanso di equivoci, fosse ben chiaro fin d’ora…” Notai una smorfia dipingersi sul viso del colonnello: “I miei uomini sono il fior fiore…” Lo interruppi educatamente: “Colonnello, si tratta di un aereo americano, la maggior parte degli ostaggi sono americani. E’ una decisione politica! Comunque terrò presente la sua offerta di aiuto, qualora se ne presentasse l’occasione. Prima di tutto, però, vorrei che mi suggeriste un luogo in cui installare le nostre attrezzature di sorveglianza… Quindi esamineremo insieme il problema.” Non ebbi difficoltà nello scegliere il posto di osservazione avanzato. Uno spazioso ufficio al terzo piano del terminal che dominava tutta l’area di servizio e la parte della pista dove era parcheggiato il 747; inoltre, tutte le finestre erano aperte e la sporgenza della terrazza a tetto manteneva l’ambiente in penombra. Un osservatore esterno, anche con un potente binocolo, con la luce del sole in pieno viso, non avrebbe potuto guardare dentro la stanza. Sicuramente i terroristi si aspettavano di essere tenuti sotto mira dalla torre di controllo tutta vetri. L’attrezzatura di sorveglianza era leggera e compatta. Le due telecamere non erano più grandi di un libro e potevano arrivare fino ad una lunghezza focale di milleduecento millimetri e trasmettevano sullo schermo del quadro di comando del nostro aereo le immagini che venivano contemporaneamente registrate. L’amplificatore audio era altrettanto piccolo e leggero e poteva essere puntato verso una sorgente sonora con la stessa esattezza di un fucile di precisione: era in grado di focalizzare le labbra di un essere umano a ottocento metri di distanza, registrare chiaramente una
160
Paolo Maria Mariotti
conversazione a voce naturale, passarla al quadro di comando e nello stesso tempo registrarla su grandi bobine magnetiche. Una volta giunto alla torre di controllo, sollevai il binocolo ed esaminai per la prima volta l’enorme Boeing. Era là, in solenne solitudine, silenzioso e apparentemente abbandonato. Aveva la fiancata rivolta verso la torre di controllo e i portelli erano ancora tutti perfettamente chiusi. Feci correre lo sguardo lungo i finestrini in perspex, lentamente, per tutta la lunghezza della fusoliera, ma tutte le tendine erano state abbassate dall’interno. Passai lentamente ad esaminare il parabrezza e i finestrini laterali della cabina di pilotaggio. Erano tutti schermati con delle coperte per impedire la visuale sia dall’interno che dall’esterno. Attraverso la pista di rullaggio si snodava il sottile cavo nero che collegava l’aereo alla linea elettrica, come un lungo, vulnerabile cordone ombelicale. “Quanti uomini ha piazzato, colonnello?” indicai la fila di soldati lungo la terrazza. “Duecentocinquanta!” “Li richiami…” dissi “… in modo che i terroristi li vedano andare via!” “Tutti?!?” chiese il colonnello, incredulo. “Tutti! E presto, per favore!” confermai con un ghigno da lupo. “Se lei tratta con quegli animali…” la voce del commissario era strozzata per la frustrazione. “E se continuiamo a sbandierargli dei fucili sotto il naso…” ribattei fermamente “… non facciamo altro che tenerli in costante stato di allerta… Lasciamo che si sentano tranquilli!” Intanto cercavo un posto dove piazzare i miei due tiratori scelti, anche se, francamente, c’erano poche probabilità di impiegarli. Mi ci volle un’ora di duro lavoro prima di ritenermi soddisfatto e trasmettere le mie decisioni a Syd e ai suoi uomini. Pensando ai terroristi e a quello che combinavano tutti i giorni facendosi saltare in aria in mezzo alla gente, in nome di Allah, sentii affiorare dal profondo un impeto di rabbia e di odio, mentre il sangue nelle mie vene aveva preso a scorrere più velocemente. Improvvisamente una voce maschile, dura, graffiante, che parlava inglese con la cantilena e le inflessioni arabe, esplose dagli altoparlanti. “Torre! Qui è il comandante della squadra d’azione che tiene sotto controllo l’aereo. Preparatevi a ricevere un messaggio…” “Un contatto! Finalmente un contatto!” sussurrai ai miei vicini.
Il soglio infangato
161
“La festa è cominciata…” esclamò Syd. “… Trecento passeggeri di nazionalità americana…” L’uomo stava leggendo l’elenco dei suoi prigionieri. “A bordo ci sono centodieci donne e venti ragazzi sotto i sedici anni!” “Abbiamo registrato la vostra comunicazione…” “Chiamami Omar…” rispose il terrorista. “Ricevuto, Omar. Hai qualche altro messaggio per noi?” “Affermativo, torre! Visto che questo è un aereo americano e che trecento passeggeri sono americani, voglio un portavoce che rappresenti l’ambasciata degli Stati Uniti. Lo voglio qui entro un’ora per dettargli le mie condizioni per il rilascio dei prigionieri.” “Resta in contatto, Omar. Torneremo da te appena saremo riusciti a contattare l’ambasciatore!” “Non farla tanto lunga, torre!” sbraitò l’arabo “Tanto lo sappiamo che sono lì. Dì loro che voglio qui un uomo entro un’ora, altrimenti sarò costretto a sopprimere il primo ostaggio.” Omar aveva insistito per un faccia a faccia e toccava a me sostenerlo. Una buona opportunità per controllare la situazione da vicino. Ero a metà strada, fra la torre e l’aereo, quando si aprì il portellone anteriore del Boeing accanto alla cabina di pilotaggio e comparvero alcune persone. Strinsi gli occhi, per mettere a fuoco la vista. Le persone in divisa erano due: probabilmente i piloti dell’aereo e in mezzo una figura femminile, più bassa e sottile. Evidentemente una delle hostess. Quando fui più vicino, vidi che il comandante era a destra. Doveva essere Bob Barrett. Un uomo in gamba. Avevo esaminato il suo stato di servizio. Ignorai gli altri due e mi concentrai sulla figura alle loro spalle, ma solo quando mi fermai sotto il portellone, l’uomo si mosse per farsi vedere. “Sono Omar!” disse. “E io sono il negoziatore accreditato dal governo degli Stati Uniti!” risposi spostando lo sguardo sul volto del comandante Barrett. “Quanti uomini del tuo commando ci sono a bordo?” “Niente domande!” sbottò Omar in tono violento. E Barrett aprì quattro dita della mano destra abbandonata lungo la coscia, senza mutare minimamente espressione. Era un’importante conferma dei nostri sospetti. “Prima di discutere le vostre richieste” dissi “vorrei provvedere alle necessità degli ostaggi, per pura umanità!” “Sono trattati benissimo!”
162
Paolo Maria Mariotti
“Avete bisogno di cibo e di acqua potabile?” Omar scoppiò a ridere divertito: “Perché possiate metterci dentro dei narcotici?” Lasciai cadere l’argomento. “Ci sono feriti?” “No. Niente feriti a bordo… Basta così!” mi diffidò Omar. “Se fai ancora una domanda chiudiamo subito le trattative…” “OK!” mi affrettai a dire. “Niente più domande!” “L’obiettivo di questo commando è la liberazione definitiva dei nostri fratelli prigionieri degli americani e degli inglesi. I nomi sono scritti in questa lista…” Lasciò cadere una busta ai miei piedi. “La seconda richiesta è che tutte queste persone vengano fatte salire a bordo di un aereo messo a disposizione dal governo degli Stati Uniti. Sullo stesso aereo dovrà esserci anche un miliardo di dollari, in oro, sempre fornito dagli Stati Uniti. L’aereo farà rotta verso un Paese del Medio Oriente e l’oro servirà per armare la lotta contro gli infedeli.” Feci un calcolo approssimativo. “Un miliardo di dollari in oro pesa più di 180 tonnellate. Come farete a trasportare tutta quella roba su di un solo aereo?” Omar ebbe un attimo di incertezza. Per me fu una consolazione constatare che non avevano valutato tutto nei minimi particolari. Se avevano commesso un piccolo errore, potevano commetterne anche degli altri. “Il governo degli Stati Uniti dovrà fornire i mezzi di trasporto necessari per tutto l’oro e i prigionieri!” rispose l’uomo con voce tagliente. “E’ tutto?” chiesi. “Gli aerei dovranno partire domani prima di mezzogiorno, altrimenti daremo inizio all’esecuzione degli ostaggi!” Mi sentii gelare il sangue nelle vene. Esecuzione. Usava il linguaggio della legalità e in quel preciso istante mi resi conto che avrebbe mantenuto quanto promesso. “Quando quegli aerei saranno giunti a destinazione, riceveremo una frase prestabilita in codice e tutti gli occupanti di questo aereo saranno rilasciati immediatamente. Se ciò non avverrà, questo aereo con tutto quello che contiene a bordo, verrà distrutto con un esplosivo ad alto potenziale.” Avevo perso l’uso della parola per un istante. Quando lo ritrovai, brontolai con voce roca: “Non credo possiate aver portato a bordo un esplosivo ad alto potenziale per mettere in atto la vostra minaccia!”
Il soglio infangato
163
L’uomo disse qualcosa a qualcuno fuori del mio campo visivo, e dopo pochi istanti mi lanciò un oggetto scuro. “Prendi!” gridò. Fui sorpreso dal suo peso, ma lo riconobbi immediatamente. “Lo riconosci? Ne abbiamo così tanto da poterci permettere di lasciartene uno per ricordo…!” rise, mostrando un ghigno satanico. La mia attenzione fu attratta dal comandante Barrett che continuava a toccarsi il collo e guardare in direzione di Omar. Spostai anch’io lo sguardo sul collo del dirottatore e notai una piccola radio trasmittente. Forse era il detonatore. Era questo che voleva dirmi il pilota? “Portala ai tuoi padroni e falli tremare…” rise sprezzante prima di richiudere il portellone. Quando fui di nuovo vicino a Syd, questo mi chiese: “Qual è la tua opinione a proposito delle possibilità di successo di una nostra offensiva?” “Mah… Mezz’ora fa avrei scommesso dieci contro uno che saremmo riusciti a completare l’intera fase con perdite solo da parte dei terroristi!” risposi. “E adesso?” “Adesso so che non si tratta solo di fanatici balordi. Probabilmente sono allenati e attrezzati come lo siamo noi e hanno avuto parecchio tempo per organizzare questa operazione.” “E adesso?” insistette Syd: “Abbiamo quattro possibilità di riuscire contro una, e forse con meno di dieci perdite, Syd. Direi che non esistono vie di mezzo: se facessimo fiasco avremmo il cento per cento delle perdite. L’aereo e tutti quelli che sono a bordo, compresi i nostri uomini che parteciperanno all’azione.” Presi la radio e chiamai l’aereo. “Il negoziatore americano è pronto a riferire…” “Bene. Finalmente ci siamo. Sentiamo…” rispose Omar. “I prigionieri sono pronti a partire insieme all’oro su due 747.” “OK! Restiamo in attesa e… niente scherzi! Chiudo!” Nel silenzio totale, mi rivolsi ai miei uomini: “OK, ragazzi! Questa volta muoviamo il culo il più in fretta possibile.” Il gruppo d’assalto indossava tute intere di nailon nero molto aderenti, in modo da non essere individuato al buio. Appesa al collo tutti portavano una maschera antigas, pronta per l’uso. Calzavano stivali di tela nera, con soffici e silenziose suole di gomma. Ogni uomo portava le proprie armi speciali e l’equipaggiamento necessario in uno zainetto nero o alla cintura,
164
Paolo Maria Mariotti
pure nera. Nessun giubbetto antiproiettile che potesse impedire o ostacolare la mobilità. Erano quasi tutti poco più che ventenni, scelti dai migliori corpi di appartenenza nelle loro nazioni. Erano tutti in perfetta forma. “Andiamo!” sussurrai, e il gruppo d’assalto si mise in azione. In testa c’erano due uomini che portavano sulle spalle una bombola di gas che, dopo venti secondi, di inalazione provocava una paralisi totale, dopo trenta, la perdita dei sensi. Dopo due minuti, sopraggiungeva un blocco polmonare e quindi la morte. L’antidoto era l’aria fresca, o meglio ancora l’ossigeno puro; la ripresa era rapida, senza conseguenze di lunga durata. Fu tolta la luce e liberato il gas nel 747. Dopo dieci secondi fu ridata energia e l’aria condizionata cominciò a ricambiare l’aria avvelenata. Contemporaneamente, due squadre appoggiarono le scalette di alluminio alle ali e rimossero i pannelli delle uscite di sicurezza. Entrammo tutti e in dieci secondi i terroristi non esistevano più. Mai azione fu più veloce e perfetta.. Il primo a morire fu Omar che non riuscì a raggiungere il detonatore per far saltare l’aereo. L’ultima fu una giovane ragazza che l’autopsia rivelò essere al quarto mese di gravidanza. <Pazzi! Pazzi!> pensai. Ma l’A.E.T. era riuscito ad operare al meglio, dimostrando che la sua nascita era stata una mossa indovinata. “E’ fatta!” gridai ai miei uomini. “Cessate il fuoco. Li abbiamo beccati tutti. E’ tutto finito. Abbassate gli scivoli d’emergenza e fate scendere con calma i passeggeri!” Poi, come era arrivata, la squadra A.E.T. risalì silenziosamente a bordo del proprio aereo che aspettava sulla pista di rullaggio e ripartì immediatamente per la sua base a Roma. <Roma> pensai <questa sì che è una bella gatta da pelare. Altro che i dirottatori!>
Il soglio infangato
165
CAPITOLO VENTIDUESIMO Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia perché saranno saziati. Matteo 5,6
Il nostro rientro a Roma avvenne in sordina, senza tanti strombazzamenti come è naturale per le organizzazioni del tipo A.E.T.. I giornali di tutto il mondo riportarono a caratteri cubitali la notizia della liberazione dei trecento ostaggi da parte di militari non meglio identificati in quanto non era stato possibile rintracciare alcun appartenente alla squadra che si era eclissata subito dopo il felice esito del blitz. Ma era logico che i vari governi si facessero sentire e lo fece anche il nostro Presidente del Consiglio. “Dottor Biavati? Sono il generale Mazzoni, consigliere militare della Presidenza del Consiglio!” disse al telefono una voce abituata a comandare. “Buon giorno, generale. In cosa posso esserle utile?” risposi cautamente. “Il Primo Ministro mi incarica di porgerle i suoi più calorosi complimenti per l’ottima operazione che lei e i suoi uomini avete da poco portato a termine!” “Ringrazi il Presidente da parte mia, generale!” “Aspetti, dottore! Il Presidente mi ha anche incaricato di fissarle un appuntamento a Palazzo Chigi. Concorderemo insieme, noi due, il giorno e l’ora più opportuni!” “Adesso, così su due piedi, mi prende alla sprovvista, generale! Non saprei proprio dirle… Facciamo così… Mi dica lei quando intende il presidente e io mi adeguerò alla sua richiesta. Le va bene?” risposi al massimo della gentilezza. “Benissimo! Allora facciamo domani alle 13.00!” “OK, per l’ora canonica, generale. C’è altro?” “No, dottore. A domani!” <Sarà un’altra bufera? L’ultima volta non ci siamo lasciati in buoni rapporti> pensai <In quale altro trabocchetto vorrà farmi cadere questa volta?>
166
Paolo Maria Mariotti
Chiamai Antonio Bernetti sul cellulare e quando mi raggiunse in ufficio gli raccontai della telefonata del generale Mazzoni. “Questa volta vado da solo, Antonio. Comunque, fammi seguire da due ragazzi e dì loro di controllare se sono seguito e da chi. Dal canto mio, cercherò di essere prudente, ma devo assolutamente dare l’impressione di sentirmi al sicuro.” “Spero proprio per te che non ci sia qualche tranello per la strada…” disse Antonio, lasciando trasparire preoccupazione dal suo volto. “Sinceramente non credo che si arrivi a tanto, ma, comunque, state tutti in campana. Adesso dimmi come stanno i tuoi figli!” dissi cambiando volutamente discorso. “Stanno bene e mi chiedono sempre quando potranno riabbracciare Selvaggia. Sai che l’adorano!” “Presto! Molto presto, spero! A quanto mi dicono mia madre e mia suocera, migliora ogni giorno. Sai una cosa? Non vedo l’ora di chiudere con questa brutta storia del Vaticano e potermi finalmente prendere cura di mia moglie. Ultimamente non le sono stato molto vicino…” “Già, penso proprio che si meriti di più che un salutino ogni tanto…” disse il mio amico. Di me non si può certo dire che manco di puntualità. Alle 13.00 in punto entravo nello studio del Premier, accompagnato dallo scodinzolante generale Mazzoni, che tra l’altro incarnava proprio il prototipo dell’alpino con il suo bel sorriso aperto seminascosto da due grossi baffoni. Il Presidente, addirittura, si alzò dalla poltrona e mi venne incontro accogliendomi con una vigorosa stretta di mano e un altrettanto caloroso sorriso: “Sono fiero di stringerle la mano, dottor Biavati. Finalmente un italiano ha saputo dimostrare agli altri che, quando ci mettiamo di proposito, sappiamo fare bene le cose… Nonostante le nostre ultime divergenze, sono orgoglioso di quanto ha saputo dimostrare!” disse con enfasi. “La ringrazio, signor Presidente, ma ho fatto solo il mio dovere. Mi spiace solo che i terroristi non ci abbiano lasciato altra soluzione che ucciderli. Il tempo a nostra disposizione volava sull’ordine dei decimi di secondo!” “Me ne rendo conto! E’ quanto mi ha raccontato il Presidente Reynolds che, detto tra noi, per lei ha un vero e proprio debole” disse il premier sorridendo affabile. “Troppo buono, signore. Ma, ovviamente, la cosa non può che farmi piacere!”
Il soglio infangato
167
“E fa piacere anche a me. E adesso che i complimenti sono stati fatti, se non le dispiace vorrei passare a cose che per tutti noi rivestono un’importanza vitale.” Vedendo la mia faccia assumere un atteggiamento di difesa, continuò: “No… No… Non tragga conclusioni avventate, almeno non prima di aver ascoltato quello che ho da dirle”. “Va bene, signore. La ascolto!” risposi asciutto. Mi porse dei documenti della DIGOS con sopra il timbro “CONFIDENZIALE”. “Li legga, per favore. Poi le dirò quello che tutti dovremo fare. Va bene? Si prenda pure tutto il tempo che vuole, io intanto sbrigherò altri affari. Quando avrà finito di leggerli mi dirà…” Presi i documenti e, seduto in poltrona, cominciai a spulciarli uno ad uno. Uno dei dossier riguardava Ruggero Capelli. Nonostante la lettera falsa di Martins e dei suoi “soci” della Banca Vaticana relativa alla proprietà della Suprafin, nonostante le bugie e i sotterfugi di Capelli, nonostante l’aiuto del suo protettore Lucio Grilli, gli ispettori della Banca d’Italia in una lunghissima relazione giungono alla conclusione che nell’impero di Capelli vi è del marcio. Dal Sud America e usando il suo nome in codice, Grilli telefona a Capelli nella sua abitazione privata. Per Capelli, sempre più immerso nel fango a causa delle sue collusioni con la Mafia, il Vaticano, la Massoneria, le notizie sono pessime. Nei giorni in cui l’ispettore della Banca d’Italia consegna il suo rapporto al direttore della Vigilanza della banca stessa, una copia del rapporto è nelle mani di Grilli a Buenos Aires. Non per merito dei due funzionari della Banca d’Italia, ma grazie alla rete massonica. Grilli informa Capelli che il rapporto sta per essere spedito dalla Banca d’Italia alla procura di Milano e specificamente allo spauracchio di Capelli: il giudice Egidio Aldobrandini, uomo assolutamente incorruttibile. Il quale, dopo aver attentamente analizzato un resoconto di 500 pagine sul rapporto compilato dalla Banca d’Italia, ha ordinato al comandante della Guardia di Finanza di Milano di mandare i suoi uomini nella banca di Capelli con il compito di verificare, punto per punto, le numerose irregolarità criminali denunciate nel rapporto. Nessuno sapeva del rapporto, eccetto Capelli e Grilli. Alcuni giorni dopo, Aldobrandini, mentre era fermo al semaforo, viene accostato da cinque uomini che cominciano a sparare e lo uccidono. Poco dopo, l’omicidio viene rivendicato dai terroristi rossi di Prima Linea.
168
Paolo Maria Mariotti
Ora ci si chiede: perché un gruppo di estrema sinistra avrebbe dovuto uccidere a sangue freddo un giudice conosciuto a livello nazionale per le sue inchieste sul terrorismo nero? C’è da dire che anche gruppi come Prima Linea, o le stesse Brigate Rosse, non feriscono o uccidono solo per questioni ideologiche, ma sono anche dei mercenari. I legami tra Brigate Rosse e Camorra napoletana, per esempio, sono ben documentati. <Perché mi ha dato questo dossier? Cosa vuole da me?> pensai, mentre lo stavo guardando. “Ebbene” mi disse il premier “che ne pensa?” “Signore, la mia idea è sempre quella di prima. Anzi, addirittura ne esce rafforzata, dopo questa lettura!” “E’ quello che pensavo! Beh, bisogna fare piazza pulita!” “Sì, certo! Ma non credo alla teoria delle trame terroristiche. Penso più ad un discorso di Mafia, che altro, signor Presidente!” dissi francamente. “Troppe cose coincidono con altre o addirittura si sovrappongono.” “Senta, Beppe… Mi permette di chiamarla per nome? Bene. Dobbiamo prendere i pesci in trappola… Questo…” disse mostrandomi un foglio “… è la richiesta ai giudici interessati di spiccare mandati di cattura per Ruggero Capelli, Marco Sicari e Lucio Grilli…” Lo guardai leggermente di traverso. “Lo so, mancano altri tre nomi, ma per il momento abbiamo le mani legate. Il Vaticano, purtroppo, è uno Stato sovrano e le nostre leggi non possono esservi applicate!” rispose alla mia muta domanda. “Penso che dovrei ritenermi soddisfatto” dissi, “ma non lo sono, signore! Posso suggerirle una cosa?” “Ma certo! Dica pure!” “Chieda un colloquio al nuovo Papa. Lei, in qualità di capo del governo, può farlo. Gli presenti le copie dei documenti che mettono con le spalle al muro i cardinali Valloret e Corder e il vescovo Martins. Gli dica chiaramente che la giustizia divina non può scindersi da quella umana. Gli faccia capire che se questi documenti finissero in mano a certa stampa, il Vaticano perderebbe molto più che tre alti prelati. Non voglio che vengano rinchiusi in carcere, ma in conventi di clausura come semplici frati. Solo così potranno sentire il peso della loro colpa e cercare il perdono per quello che hanno fatto!” dissi tutto in una tirata. Il Presidente mi guardò, poi disse: “Ha mai pensato di mettersi in politica, Beppe?”
Il soglio infangato
169
“Dio mi guardi, signore! E’ un mestiere che non fa per me. Lascio a lei questa incombenza!” Rise di gusto e nel guardarmi seriamente, disse: “Fra qualche giorno le farò sapere l’esito di questo colloquio, sempre che il Santo Padre accetti di incontrarmi. Arrivederci, Beppe. E… grazie…” “Arrivederci, signor Presidente!” Tempo due giorni e iniziò una caccia all’uomo davvero memorabile. L’Interpol e i Servizi Segreti di varie nazioni erano riusciti a “confinare” in un piccolo paesino di montagna, sulle Ande argentine, Lucio Grilli e il suo entourage. Chiusi tutti gli sbocchi e fatto saltare il minuscolo aeroporto da cui avrebbe potuto prendere il volo, il “Burattinaio” era praticamente in trappola. I governi americano e italiano, forse con blandizie, forse con il pugno di ferro, ottennero da parte dei generali argentini la chiusura dei cieli anche agli elicotteri nella zona montuosa a ridosso delle Ande. Impiegando centinaia e centinaia di uomini, alla fine riuscirono a catturare Grilli travestito da “peone”, mentre tentava la fuga attraverso un impervio passo di montagna. E’ stato estradato in Italia e messo in un carcere di massima sicurezza dal quale è riuscito ad evadere, con l’aiuto, sembra, di un solo carceriere, e oggi è uccel di bosco. Chi riesce a credere una cosa del genere, sicuramente crede anche che Giovanni XXIV è morto di morte naturale. Ruggero Capelli ha fatto una fine diversa. Si è “suicidato”, con l’aiuto dei suoi amici massoni. In altre parole l’hanno suicidato. La stranezza è che alcune ore prima che si scoprisse la morte del banchiere, anche la sua segretaria personale, Gabriella Carotti, si è “suicidata” gettandosi dal quarto piano della Banca. Fu trovata una lettera d’addio che copriva di ingiurie il grande capo. Pochi mesi dopo anche un funzionario della Banca si è “suicidato” gettandosi da una finestra. La vedova di Capelli ha chiaramente incolpato il Vaticano per la morte del marito, affermando: “Il Vaticano ha ucciso mio marito per nascondere la bancarotta dello IOR.” Vero o falso? Capelli aveva commesso un furto progressivo e continuo di più di un miliardo di dollari, un furto che sarebbe stato scoperto se Giovanni XXIV
170
Paolo Maria Mariotti
fosse vissuto. Con lui morto, Capelli era libero di continuare la sua colossale e spaventosa serie di crimini. Fino alla fine ha riciclato denaro per la Mafia. Compito che veniva eseguito con l’ausilio della Banca Vaticana. Riciclo di denaro proveniente da rapimenti, spaccio di droga, contrabbando di armi, furti nelle banche, rapine a mano armata, sfruttamento della prostituzione, furti di gioielli e di opere d’arte. MarcoSicari, dopo lunghi pedinamenti e rocambolesche fughe, fu catturato dal FBI e rinchiuso in un carcere di massima sicurezza negli Stati Uniti. Mentre si procedeva alla formalizzazione degli atti per la sua estradizione in Italia, dove avrebbe dovuto rispondere di molteplici crimini, si era “suicidato” con un caffè probabilmente propinatogli dai suoi stessi compari mafiosi per cucirgli le labbra definitivamente. Per quanto riguarda Valloret, Corder e Martins, ancora una volta lo Spirito Santo ha preso un’altra strada. Grazie alla munificenza di Giovanni XXV (che non aveva voluto ascoltare il premier italiano, definendo i documenti tutta cartaccia), Valloret conserva ancora l’incarico di Segretario di Stato, oltre agli altri incarichi, compreso quello di controllare la sezione finanziaria principale, l’Amministrazione del Patrimonio della Santa Sede: l’A.P.S.A. (la sposa nel matrimonio Sicari/Vaticano). Corder conserva il suo incarico di cardinale di Chicago e si dà molto da fare per raccogliere contributi da inviare segretamente nella terra di Giovanni XXV, suo benefattore. Sono venute a galla tutte le sue manchevolezze, ma ancora una volta lo Spirito Santo ha guardato altrove. Martins ha una sola recriminazione da fare: Giovanni XXV, pur nella sua munificità, non lo ha ordinato cardinale (probabilmente dietro pressioni di altri cardinali). Ma lo ha lasciato alla presidenza della Banca Vaticana. E’ stato attaccato varie volte, ma sopravvive, anche se se ne sta nascosto dietro le mura vaticane, per timore di essere arrestato non appena metta fuori la testa. E Beppe Biavati? Ha riabbracciato la sua adorata Selvaggia, perfettamente guarita, e viaggia con la coscienza a posto, sicuro di aver fatto il suo dovere fino in fondo, con il rammarico di non aver potuto “vendicare” la morte di quello che avrebbe potuto essere un Papa eccezionale, se solo glielo avessero permesso.