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"L’ULTIMA ROSA"
di Francesco Dessolis Titolo: L'ULTIMA ROSA Autore: Francesco Dessolis Genere: Narrativa Editore: Zerounoundici Edizioni Collana: Selezione Pagine: 204 Prezzo: 14,00 euro Acquista su Il Giralibro (-15%) Acquista su IBS
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Francesco Dessolis
Lâ&#x20AC;&#x2122;ULTIMA ROSA
www.0111edizioni.com
www.0111edizioni.com www.ilgiralibro.com
L’ULTIMA ROSA 2009 Zerounoundici Edizioni Copyright © 2009Zerounoundici Edizioni Copyright © 2009 Francesco Dessolis ISBN 978-88-6307-201-3 In copertina: immagine Shutterstock.com
Finito di stampare nel mese di Luglio 2009 da Digital Print Segrate - Milano
Rosa fresca aulentissima, che appari nellâ&#x20AC;&#x2122;estate, le donne ti disiano, pulzelle e maritate. Per te non aggiu pace notte e dia, pensando solo a voi, madonna mia. Cielo dâ&#x20AC;&#x2122;Alcamo
Prologo L’imperatore (A.D. 1229)
Nell’ospedale di San Giovanni d’Acri, dove tengo lezione d’anatomia, c’è più animazione del solito. Sul lettino davanti a me c’è il corpo di una giovane donna, nuda. La donna è morta da poco. Non doveva essere molto attraente neanche da viva, ma questo non impedisce ai futuri medici di fare commenti salaci. Richiamo gli studenti all’ordine, ma trattengo a stento un sorriso. Ho 62 anni, ma non mi sento vecchio. Non ho dimenticato quello che succedeva alla Scuola Medica Salernitana, tanti anni fa. Ricordo anche quella volta che il mio amico Rugi… Sento bussare alla porta. Entra Suor Carmela. “Sorella, vi ho detto molto volte che, quando faccio lezione, non devo essere disturbato, neanche se mi cerca l’imperatore Federico II in persona!” Suor Carmela risponde serissima: “Volete che riferisca all’imperatore il vostro messaggio?” Ricopro il corpo della donna con un lenzuolo. I ragazzi mi subissano di domande, ma io li lascio con Suor Carmela, e mi avvio verso la stanza del Capo. Il Gran Maestro dell’Ordine degli Ospitalieri non c’è. Si è allontanato da San Giovanni d’Acri con una scusa, per non incontrarsi con un imperatore scomunicato. Ho il cuore in tumulto. Sapevo che l’imperatore era in Terrasanta, ma non mi aspettavo certo di incontrarlo. Tanto meno che mi mandasse a chiamare. Davanti alla stanza del Gran Maestro mi aspetta il direttore dell’ospedale, Antoine de Miremont, uno stronzetto con la puzza sotto il naso. Adesso Antoine mi parla quasi con soggezione. L’imperatore vuole parlare proprio con me, da solo! Ecco davanti a me Federico II: imperatore del Sacro Romano Impero, re di Sicilia, re di Cipro e di Gerusalemme. Lo guardo attentamente cercando di capire se in lui c’è ancora qualcosa del bambino che ricordo. M’inchino davanti al mio re, ma Federico mi fa sedere accanto a lui. Mi mostra un medaglione con l’immagine di sua madre, Costanza d’Altavilla, regina di Sicilia.
“Ho solo questo ritratto di mia madre. Vorrei tanto ricordare il suo volto, ma avevo solo quattro anni, quando è morta. Voi la conoscevate bene?” Rispondo prudentemente: “La regina mi onorava della sua amicizia. Ho saputo della sua morte, quando ero in Francia. Non sono più tornato in Sicilia.” L’imperatore annuisce. “Lo so. Avevo chiesto notizie di voi, dopo avere visto il vostro regalo.” Federico mi mostra un vecchio coltello d’argento. Nell’impugnatura ci sono due serpenti attorcigliati. “È il caduceo dei medici. Era vostro vero?” Me l’aspettavo! “Sì. La regina mi aveva detto che l’avrebbe messo da parte per voi, quando sareste stato più grande. Chi vi ha parlato di me?” “La regina stessa. Prima di morire mia madre mi ha lasciato un plico sigillato. L’ho trovato in un cofanetto, quando avevo 14 anni.” Che cosa ha lasciato scritto di me Costanza? Tento un approccio indiretto. “Vostra madre era una gran donna, e vi voleva molto bene!” “Lo so. Mi ha scritto delle cose meravigliose.” Sbaglio, o l’imperatore ha la voce roca? Forse, ma Federico si riprende subito. “Mia madre aveva una grande stima di voi. Ha scritto che mi avete aiutato a nascere.” Mi schermisco. “Ero a Jesi con la regina, ma vostra madre ha fatto tutto da sola!” “Sì, ma voi le avete dato un grande sostegno. Avrei voluto che ci fosse un medico come voi quando è nato mio figlio Corrado…” L’imperatore s’interrompe. Ripensa a sua moglie, la regina Jolanda, morta di parto solo un anno fa. Federico riprende il discorso con un tono più formale. “Nel cofanetto mia madre ha lasciato alcuni oggetti. Insieme al vostro coltello c’era una pergamena con dei versi, e una rosa.” L’imperatore mi mostra il fiore e la pergamena. La rosa naturalmente è rinsecchita, ma ha conservato tutti i petali. Nella pergamena ci sono dei versi, con la mia firma: Celi d’Alcamo. L’imperatore legge la prima strofa: Rosa fresca aulentissima, che appari nell’estate, le donne ti disiano, pulzelle e maritate…
Federico non mi domanda niente, ma io non posso fare a meno di dare una spiegazione. “Ho scritto quei versi, quando ero giovane. Non pensavo che avrebbero potuto interessare un imperatore!” “Invece mi sono piaciuti. Sono molto diversi da quei versi sdolcinati dei provenzali! Adesso a Palermo abbiamo una scuola di poesia, ma voi siete stato il primo a scrivere in siciliano.” L’imperatore mi ha fatto chiamare solo per quei versi? Dico prudentemente: “Mi fa piacere che il siciliano non è più solo una lingua volgare. Anche la regina con voi parlava in siciliano.” “Mia madre voleva solo che io fossi re di Sicilia. Ma chi si accontenta d’essere re, quando può diventare imperatore?” Federico sorride, e per un attimo rivedo il piccolo Rico che giocava con me tanti anni fa. “Maestà, la vostra franchezza è pari al vostro ingegno.” L’imperatore ritorna immediatamente serio. “Con voi sarò ancora più franco. So che voi siete stato un buon amico per mia madre, ma, ora che siamo soli, vorrei farvi una domanda molto speciale: VOI SIETE MIO PADRE?” Temevo che questo momento sarebbe arrivato, ma non mi aspettavo una domanda così diretta! Che cosa posso rispondere? Non certo con un sì o con un no. Tanto meno con un forse! Dovrei raccontare tutta la mia storia, dal giorno in cui sono arrivato per la prima volta a Palermo. Correva l’anno 1190…
Capitolo 1 Il barone d’Alcamo (A. D. 1190)
Entro in quello che un tempo era l’Alcazar, ed oggi è chiamato il Palazzo dei Normanni. Mostro al soldato di guardia una pergamena col sigillo reale. Il militare mi fa ripetere le mie generalità, e poi mi fa salire al piano di sopra, dove i miei documenti sono ricontrollati da tre funzionari, in ordine d’importanza. Finalmente sono ammesso alla presenza di Ruggero d’Altavilla. Il re è seduto dietro ad una scrivania. Ruggero è come lo ricordavo: alto, robusto, e grandi occhi blu, che facevano andare in estasi tutte le ragazze, aristocratiche e plebee. Adesso ha un’espressione altera che non aveva a Salerno. Ma allora non era un re! Appena il servitore chiude la porta, la bocca di Ruggero si apre in un ampio sorriso. Il re si alza, mi viene incontro e mi abbraccia. “Celi! Com’è andato il viaggio?” Nei miei documenti in realtà c’è un altro nome: Michele Cataldo, figlio di Nicola Cataldo e Concetta Cariddi, nato a Salerno il 22 Ottobre 1167. Celi era il mio nomignolo ai tempi dell’Università. Sono contento che Ruggero se lo ricordi. Quando io e Rugi frequentavamo la Scuola Medica Salernitana, Tancredi, il padre di Ruggero, era soltanto conte di Lecce. Non era un vero principe, ma solo un figlio illegittimo di un fratellastro del re. Oggi Tancredi è re di Sicilia, e Ruggero è stato già associato al trono. Rugi mi abbraccia caldamente come prima. Come posso chiamarlo? “Bene... maestà! A parte un po’ di mal di mare, il primo giorno. Sai che ho preso quella pozione che ci ha insegnato il professor Gualtieri?” “Celi! Quando siamo soli, puoi continuare a chiamarmi Rugi. Qui a Palermo non ho i veri amici. Poi è successo tutto così in fretta...” *** Sì, era successo tutto molto in fretta! Solo un anno fa, Ruggero ed io eravamo due scapestrati, che facevano finta di studiare medicina. Perché proprio medicina? Solo perché abitavo a Salerno.
Mio padre è il classico ricco mercante che vuole dare ai figli un po’ d’istruzione. Papà non pensava che avrei fatto veramente il medico. A lui bastava un “pezzo di carta” qualsiasi. Il conte Tancredi era amico di mio padre, e gli aveva affidato suo figlio perché si facesse un minimo di cultura. Presto io e Rugi siamo diventati amici inseparabili. Potevo mai immaginare che Ruggero diventasse re? Ricordo che, una volta che aveva bevuto un po’ di più, Rugi mi aveva fatto uno strano discorso. Era stato il giorno che la principessa Costanza era venuta a Salerno, col marito, Enrico di Hohenstaufen, figlio dell’imperatore Federico Barbarossa. “Quel tedesco di merda! Tu riesci ad immaginarlo come re della Sicilia?” Ero ubriaco anch’io, altrimenti sarei stato più prudente. Ho risposto d’impulso: “Penso che i siciliani dovrebbero cacciarlo via a calci nel sedere, come i milanesi hanno fatto, a Legnano, con suo padre.” Rugi fa un grugnito d’assenso. “Già, l’imperatore perde la Lombardia, ma guadagna la Sicilia. Zia Costanza è una puttana! Suo marito ha l’età nostra, e potrebbe essere suo figlio. Non pensi che mio padre sarebbe un re molto migliore di lui?” Annuisco senza riflettere, anche se rischio di diventare complice di un tradimento. Poi cerco di buttare tutto nello scherzo. “Se tu diventi re, mi dovresti fare almeno barone, ti pare?” “Come no? Barone di questa minchia!” Ridiamo insieme, ma è un riso forzato. Non siamo più tornati sull’argomento. Ci ho ripensato dopo la morte di re Guglielmo II, quando i nobili del regno hanno acclamato Tancredi re di Sicilia, ignorando l’erede legittima Costanza, e il marito tedesco. Rugi stava tramando col padre già allora? Probabilmente sì. Quando ho saputo del colpo di stato, Rugi era già partito per Palermo. Pensavo che Ruggero si fosse scordato di me. Invece oggi mi ha mandato a chiamare. *** Eccomi davanti a lui. Sembra il Rugi di sempre. “Ti ricordi, Celi, quella volta che mi dicesti che se io diventavo re, ti dovevo fare barone?”
“Come no! Barone di questa minchia!” “No, no! Barone dissi, e barone sarai! Michele, da oggi sei barone d’Alcamo!” Minchia! Sono diventato un nobile! Il sogno di ogni mercante. Quando lo saprà papà! Eppure... Guardo attentamente Ruggero, e leggo nei suoi occhi che non mi ha fatto venire in Sicilia, solo per mantenere una mezza promessa fatta da ubriaco. Cerco di trovare le parole giuste. “Il barone Michele d’Alcamo ringrazia calorosamente il suo re, e gli giura eterna fedeltà. Re Ruggero permette che Celi Cataldo dica due parole al suo amico Rugi?” Ruggero trattiene a stento il riso. “Permesso accordato! Che cosa mi vuoi dire Celi?” “Rugi, tu mi vuoi fottere! Dov’è la fregatura?” Per un attimo Ruggero è interdetto, poi la sua reazione è quella che speravo. Scoppia a ridere. “Celi, ti ho chiamato perché volevo accanto a me un nobile intelligente e fidato, e tu mi hai appena dimostrato di essere la persona adatta.” Rugi s’interrompe per soffiarsi il naso. Penso che lo faccia a posta a tenermi in sospeso. Riprende a parlare. “Innanzi tutto ti spiego il tuo titolo. Ti avevo promesso di farti “barone di questa minchia”, e un minchiata di baronia hai avuto. Alcamo non è una vera città ma solo un gruppo di casali. Ci sono molti mussulmani: gente tranquilla, che va in moschea, ma fa il vino per i cristiani, e lo beve con loro. C’è anche un castello, con tanta bella terra attorno, dove puoi andare ad abitare. Non è un gran che, ma ci sono tante stanze, e puoi far venire tutti gli ospiti che vuoi.” Come baronia è veramente una minchiata, ma sono pur sempre un barone, un nobile! Ruggero ancora non mi ha detto che cosa vuole da me. Ci arriva poco alla volta. “Michele d’Alcamo, sto per affidarti una missione molto delicata. Se la porti a termine come si deve, mio padre ed io ti saremo eternamente grati.” “Rugi, sono con te, come suddito e come amico. Raccontami tutto!” Ruggero mi spiega che il regno di Sicilia è in grave pericolo. Federico Barbarossa è morto durante la Crociata. Suo figlio Enrico ha lasciato stare i Saraceni e si sta preparando ad attaccare i Siciliani. Altri due re sono partiti per la Crociata: Filippo di Francia e Riccardo d’Inghilterra.
“La flotta francese è appena arrivata a Messina, e tra pochi giorni arriveranno anche le navi inglesi. Re Filippo e re Riccardo hanno mandato a dire che si fermeranno in Sicilia solo qualche giorno. Tu ci credi?” “Ruggero, non penserai mica che i re di Francia ed Inghilterra si possano alleare con il re di Germania? Enrico dovrebbe essere nemico loro come nostro.” “Hai detto bene. Dovrebbe! Purtroppo i re fanno strani giochi, soprattutto Riccardo. Dicono che lo chiamano Cuor di Leone, perché è un uomo senza pietà.” Ruggero mi guarda negli occhi. “Michele, tu hai conosciuto re Guglielmo?” Faccio mente locale: “L’anno scorso il re è venuto a Salerno. Mi pare che anche tu sia andato a rendergli omaggio.” Rugi fa un cenno d’assenso. “Ti ricordi che lo chiamavano Guglielmo il Buono? Secondo me, era troppo buono, perché si faceva prendere in giro da tutti: da Costanza, da Enrico, ed anche da sua moglie.” Ricordavo poco re Guglielmo, ma la regina Giovanna mi aveva molto colpito. Era molto più giovane di suo marito: aveva una bellezza altera, ma sconvolgente. Io l’avevo vista solo una volta, al Duomo di Salerno, e non l’avevo più dimenticata. Dico a Ruggero, non senza imbarazzo: “Ricordo la regina Giovanna. No, scusa! Adesso la regina è tua madre. Come si può chiamare la vedova di un re?” “Hai colto il punto! Come chiamarla? Come trattarla? Giovanna e Guglielmo non hanno avuto figli, quindi lei non ha diritti. La cosa più semplice sarebbe rinchiuderla in un convento. Mio padre ha provato a farle parlare dall’arcivescovo di Palermo. Sai che ha risposto?” “Ha rifiutato, immagino.” “Peggio! Ha affermato che lei era la regina legittima della Sicilia, e regina sarebbe rimasta!” Mizzica, che donna! Dimentico di parlare ad un re, e chiedo a Rugi: “Se lei ci tiene tanto ad essere regina, perché non te la sposi tu?” Ruggero mi guarda brutto. Faccio marcia indietro. “Faccio notare rispettosamente, che la ragion di stato spesso impone ai re matrimoni poco graditi.” Rugi risponde a tono: “Il re forse potrebbe prendere in considerazione l’idea, ma Rugi ti manda a farti fottere.” Scoppiamo a ridere tutti e due: un riso liberatorio.
Ruggero chiarisce: “Sai che mio padre me l’ha proposto sul serio? Ma non funzionerebbe! E poi io sono già fidanzato.” “Congratulazioni! Con chi?” “Con la principessa Irene Comnena, la figlia dell’Imperatore greco Isacco. Dicono che sia molto bella, e soprattutto, ci procurerà l’alleanza con Costantinopoli.” “Porgo i miei auguri al re e all’amico. Ma ancora non mi hai detto che posso fare per te.” “Barone Michele d’Alcamo! Ti devi prendere cura dell’ex regina Giovanna. La ospiterai nel tuo castello, finché il re deciderà cosa fare di lei!” Ecco cosa intendeva dire Ruggero, quando affermava che nel mio castello potevo avere degli “ospiti”! Rugi nota la mia perplessità e aggiunge. “Celi, che possiamo fare? Al Palazzo Giovanna non la sopportiamo più, e un’ex regina non si può mandare in prigione. Se potesse, mio padre la strangolerebbe con le sue stesse mani, ma come fare con suo fratello?” Non avevo pensato alla famiglia di Giovanna. Deve essere molto importante. “Suo fratello è siciliano?” “No, è inglese.” Ruggero non aggiunge altro, ma capisco subito. “Riccardo Cuor di Leone!” “Hai indovinato! Capisci adesso in quale casino ci troviamo?” *** Il giorno dopo Ruggero ed io partiamo, con una nave, per Messina. Ruggero mi vuole con sé per una missione importante. Prima di affidarmi l’ex regina, il re vuole fare un ultimo tentativo d’accordo con suo fratello. Passato lo stretto, vediamo le navi inglesi e francesi. Sono tantissime. Da Messina sono già arrivate le prime proteste. Inglesi e francesi si ubriacano, rubano a man bassa, e molestano le “fimmene”. Se sono veramente Crociati, che aspettano a partire? Una nave inglese viene verso di noi, vede lo stendardo del re di Sicilia, e ci guida verso il porto. Una nave francese ci segue. Ruggero mi dice: “Vedi? Inglesi e Francesi si comportano come se i padroni siano loro?” Lo vedo, ma re Tancredi non vuole (o non può) mettersi contro i “crociati”. Approdiamo, e un contingente inglese ci scorta fuori della città, sulla collina di Matagrifone.
Sulla cima del colle c’è una piccola rocca, e Riccardo la sta facendo ingrandire, e fortificare. È evidente che gli inglesi non hanno nessun’intenzione di andarsene. Finalmente incontriamo i due re. Re Filippo di Francia ha solo pochi anni più di me. Si fa chiamare Filippo l’Augusto, ma non ha una gran maestà né nell’aspetto, né nel comportamento. Il suo sguardo è freddo e sfuggente. Più imponente è la figura di Riccardo Cuor di Leone. Il re d’Inghilterra deve avere poco più di trenta anni, ed è nel pieno della sua forma fisica. Assicurano che è un gran campione nei tornei. Il primo incontro con i re di Francia e d’Inghilterra avviene all’aperto. Con Ruggero, c’è il conte d’Acerra, il fratello della regina Sibilla. Io sono la persona meno importante della delegazione siciliana, ma il principe mi vuole accanto a sé, insieme a suo zio. Se Ruggero è intimidito dai due grandi re, non lo lascia capire. Rugi parla in francese, che è la sua seconda lingua. Ruggero dà il benvenuto ai suoi ospiti in terra di Sicilia, e li elogia per il loro impegno per la liberazione del Santo Sepolcro. Conclude con l’auspicio che le condizioni del tempo possano permettere ai crociati inglesi e francesi di riprendere al più presto la rotta per la Terrasanta. Il re d’Inghilterra sorride. “Ringrazio i cittadini di Messina per la loro calorosa accoglienza. Sono spiacente che i venti avversi mi abbiano impedito di ripartire immediatamente per la Crociata, ma sono contento che la necessità di passare l’inverno in Sicilia mi permetta di godere le amenità della vostra incantevole isola. Pensavo che avrei rivisto mia sorella, la regina Giovanna. Non è arrivata con la vostra nave?” Ruggero nasconde a fatica la sua rabbia. Con che faccia tosta Riccardo può parlare di “necessità” di stare in Sicilia tutto l’inverno? Come si permette quel Cuor di Leone di chiamare sua sorella “regina”? Ruggero risponde pesando bene le parole. “Vostra sorella Giovanna è indisposta. Se re Riccardo vuole andare a trovarla, sarò felice di accompagnarlo a Palermo.” Rugi sta bleffando. Sa bene che Riccardo non andrà mai a Palermo. Non senza il suo esercito! Finiti i convenevoli, andiamo a pranzo. Io sono messo al tavolo della “piccola nobiltà”.
Accanto a me c’è un inglese che si presenta come Sir Robin di Sherwood, e ha circa la mia età. Parla in un francese incerto. Mi racconta che è d’origine sassone, e si è arruolato nella Crociata per potere combattere accanto a re Riccardo, di cui è un grandissimo ammiratore. Robin è un ragazzo simpatico. Dopo essersi scolato due coppe di vino siciliano, comincia a cantare in una strana lingua che chiamano inglese. I suoi allegri compagni gli fanno eco. Dopo un po’ nel nostro tavolo c’è un gran casino. Nessuno ci fa caso, perché, poco lontano, Riccardo in persona si è messo a cantare una romanza provenzale. Guardo in direzione di Rugi. Anche lui fa finta di divertirsi, ma è chiaramente teso. Dopo pranzo Riccardo e Ruggero hanno un incontro privato. Il conte d’Acerra ne approfitta per scambiare due parole, da solo, con re Filippo. Io rimango a chiacchierare con Robin, che mi racconta tante cose dell’Inghilterra, un’isola fredda e piovosa, così diversa dalla Sicilia. Mi parla anche di un loro strano gioco, con una palla di cuoio.. Riccardo e Ruggero tornano dal loro colloquio. Riccardo è gioviale come sempre, ma Rugi è chiaramente teso. Ruggero scambia due parole sottovoce col conte d’Acerra, e poi chiama a sé tutta la delegazione siciliana. Dopo l’ultimo brindisi prendiamo congedo da re Riccardo e re Filippo. Robin ci accompagna, con altri cavalieri inglesi, al porto. Saliamo sulla nave reale, e ripartiamo immediatamente per Palermo. Dopo che siamo usciti dal porto, chiedo a Ruggero: “Allora, com’è ti è sembrato questo Cuor di Leone?” Rugi fa una smorfia “Qui a schifio finisce!” *** Il giorno dopo sono, con Ruggero ed il conte d’Acerra, al Palazzo dei Normanni, per fare rapporto a Re Tancredi. Conosco Tancredi da sempre, ma è la prima volta che l’incontro come re di Sicilia. Mi sembra molto invecchiato dall’ultima volta che l’ho visto. Eppure il re non dovrebbe avere più di 50 anni. Sono le preoccupazioni, o altro? Il conte d’Acerra parla per primo. Il conte inizia il discorso in francese, ma passa subito al volgare: in tutti i sensi!
“Riccardo Cuor di Leone è nu figl e 'n trocchia! Non ‘a sora vuole, ma denari, e tanti!” Il re ascolta senza scomporsi. “Se è solo questione di soldi, forse ci possiamo mettere d’accordo. Giovanna gliela possiamo restituire subito, e anche la dote. Magari il regno di Sicilia potrebbe anche dare un piccolo contributo alla Santa Crociata.” Rugi chiarisce la situazione in siciliano. “Altro che piccolo contributo! Quel fituso 100,000 once d’oro vuole! E, in più, come “lascito vedovile” per la sorella, la contea di Messina.” Il re non batte ciglio. “Secondo voi Riccardo dice sul serio, o vuole solo mercanteggiare?” Risponde il conte d’Acerra. “Ho parlato col re di Francia. Mi ha confidato che Riccardo vuole rivendere Messina al miglior offerente. Forse proprio a Filippo, in cambio d’alcune terre in Francia.” Adesso anche Tancredi passa al volgare: “Gran figghio di buttana! Altro che Cuor di Leone! Testa di Minchia è!” Il conte d’Acerra riprende il linguaggio formale. “Faccio presente a sua maestà che re Riccardo sa bene che Enrico di Germania può arrivare in Italia, da un momento all’altro. Re Filippo però potrebbe aiutarci.” Il re è perplesso: “Il re di Francia aiutare noi contro il re d’Inghilterra? Tu ci credi?” “No, ma in quello che mi ha detto il re di Francia, potrebbe esserci qualcosa di vero. Filippo vorrebbe cacciare via gli inglesi dal suolo francese. Stringerebbe addirittura un’alleanza con noi, se non avesse giurato al papa di unirsi a Riccardo per la Santa Crociata.” Re Tancredi è perplesso. “Neanche noi possiamo combattere dei Crociati. Il papa non ce lo perdonerebbe mai!” “Sì, ma supponiamo che i cittadini di Messina si sollevassero “spontaneamente” contro lo straniero. Supponiamo che l’esercito siciliano arrivi subito dopo a mettere pace, per permettere ai Crociati di ripartire per la Terrasanta...” Il re scuote la testa. “Riccardo non ci crederà mai!” “Non è necessario che ci creda! Se Riccardo capisce che non riesce a tenere Messina, se ne deve andare per forza. Filippo ha promesso che ci darà anche una mano per convincerlo.” Re Tancredi riflette a lungo, ma infine dà il suo assenso.
“E sia! Non posso assolutamente perdere Messina, e neanche di pagare a quel bastardo 100,000 once d’oro. Gli daremo Giovanna, la dote, ma non un soldo di più.“ Il re si rivolge a me: “Michele d’Alcamo! Ti affido Giovanna d’Inghilterra, fino a che suo fratello si deciderà a fare delle proposte più ragionevoli. Come ostaggio non vale un gran che, ma è tutto quello che abbiamo! Ruggero dice che tu sei un bravo picciotto. Ti ho fatto barone. Non me ne fare pentire!” Sono commosso. Bacio le mani (letteralmente!) al mio re, e gli giuro eterna fedeltà. Adesso mi devo occupare del “trasferimento” di Giovanna ad Alcamo. *** Due giorni dopo Giovanna sale sulla nave reale. Non è stato difficile farle credere che la stessimo riportando da suo fratello. Con Giovanna ci sono tre damigelle, e una quantità incredibile di bagagli. L’ex regina mi è sembrata perplessa, quando il conte d’Acerra mi ha presentato. Sicuramente si è domandata come mai il suo accompagnatore è un modesto barone, e per di più molto giovane, ma non ha fatto commenti. Giovanna ha 25 anni, solo due più di me. È nata in Francia, ma vive in Sicilia da più di dieci anni. Parla, il provenzale, il francese, e il volgare siciliano. Io capisco benissimo sia il francese sia il provenzale, ma preferisco rivolgermi a lei in volgare. Porgo la mano a Giovanna per aiutarla a salire a bordo. Nel breve attimo in cui le tocco la mano, mi sembra di sentire una scossa elettrica. Che cosa ha l’ex regina che le altre non hanno? I capelli biondi raccolti in lunghe trecce? I suoi occhi azzurri profondi? O quelle belle gambe che intravedo per un attimo, quando lei alza la gonna per salire sul ponte? Tutto questo, ma soprattutto la sua innata classe. Giovanna è una vera regina. Salgono le ancelle e cominciano a caricare i bauli. Ad Alcamo l’ex regina non ne avrà assolutamente bisogno, ma Giovanna non lo sa, e mi conviene tenerla buona, fino all’ultimo momento. La nave parte. Ci dirigiamo ad ovest anziché ad est, ma Giovanna non se ne accorge perché è troppo occupata nella sua cabina con Berthe, Carmela, e Rosalia Meglio così, ma ormai si avvicina il momento della verità.
Il vento soffia da est. Abbiamo passato Punta Raisi e siamo nel golfo di Castellamare. Intravedo già il porticciolo dove ci aspettano. Giovanna sale sul ponte, con Carmela. Guarda la costa perplessa. Poi nota il sole alto nel cielo, a sud. Mi chiede: “Messere, da che parte è Messina?” Rispondo cortesemente: “Alle nostre spalle, madonna! Stiamo per approdare in quel porto laggiù.” Giovanna comincia a capire, ma non vuole ancora accettare la situazione. “Come? Dove siamo?” “Siamo nel territorio d’Alcamo. Tra poco arriveremo al mio castello.” Giovanna si guarda intorno. Faccio segno alle guardie di tenersi pronte, nel caso che l’ex regina cerchi di fare resistenza. Tiro fuori il discorsetto che ho preparato: “Madonna, ad Alcamo sarete più al sicuro. A Messina il popolo si è ribellato contro gli inglesi, e vostro fratello non è in grado di proteggervi. Quando non ci sarà più pericolo, sarò lieto di accompagnarvi da re Riccardo. Lo giuro sul mio onore!” Giovanna mi guarda con odio. “Onore! Barone d’Alcamo, che ne sapete voi dell’onore?” Avrei dovuto aspettarmi una risposta di questo tipo, ma mi sembra di sentire una pugnalata nel cuore. Riesco a rimanere impassibile, e a rispondere: “Madonna, capisco il vostro punto di vista, ma c’est la guerre!” Sentendo il suono della lingua materna Giovanna mi dice alcune parolacce in francese. Le guardie intorno a me non capiscono. Io faccio finta di niente. Arriviamo in porto, e sbarchiamo. Berthe, Carmela e Rosalia si stringono intorno a Giovanna, per darle conforto. L’ex regina sale cavallo con agilità, rifiutando anche lo sgabello che le offro. Per un attimo rivedo le sue gambe. Lei se ne accorge, arrossisce, e si ricompone. In carovana saliamo sulla collina dove si trova il paese. In testa Giovanna ed io, dietro di noi le guardie, poi le ancelle, e i carri dei bagagli. Arriviamo al mio “castello”: un casale un po’ più grande degli altri, a cui Ruggero ha fatto dare una ripulita, in previsione dell’arrivo della mia ospite. Al portone mi accolgono i miei servi: Alì e Fatima. Fatima accompagna Giovanna alla sua stanza al primo piano. Le ho lasciata la stanza migliore, con vista sul golfo di Castellamare. Accanto c’è la stanza delle sue ancelle. La mia stanza è al secondo piano, sopra quella di Giovanna. Mi affaccio alla finestra e vedo il mare.
La nostra nave è già ripartita. La vedo veleggiare verso Punta Raisi, per tornare a Palermo. Sono solo, in un paese di merda, a fare la guardia ad una donna che mi odia. Lei è prigioniera, ed io con lei.
Capitolo 2 Rosa fresca aulentissima… (A. D. 1190-1191)
Nei giorni successivi comincio ad occuparmi dell’amministrazione del mio “feudo”. I contadini dei casali vicini vengono a porgermi il loro “omaggi” in natura: polli, formaggio, vino, olio... molto di più di quanto io e le mie ospiti saremo in grado di consumare, in tutto l’inverno. Ricevo anche la visita del mio vicino, il barone Goffredo di Partinico, che mi dà il benvenuto, e anche tanti “buoni consigli” su come trattare “questi cani infedeli”. Noto che Alì si rivolge a lui con deferenza e timore. Appena il barone esce, chiedo al mio servo che cosa sa di lui. Alì mi guarda sorpreso: “Cacommo! Non lo sapete? Prima che voi arrivaste, lui il padrone era!” Con quale diritto il barone di Partinico aveva annesso il territorio d’Alcamo al suo feudo? Domanda inutile! Lo aveva fatto: punto e basta! Adesso capisco certi sguardi di Goffredo! Secondo il barone, io l’ho defraudato di qualcosa di suo. Ho già un nemico! Giovanna passa la maggior parte del tempo nella sua stanza, con le ancelle. Ogni tanto scende nel giardino, con le sue fedelissime. Io la guardo dalla mia finestra. Quando lei se ne accorge si nasconde sotto una tettoia. Le dame le fanno scudo. La domenica, un prete viene a celebrare la messa. Ad Alcamo sono quasi tutti musulmani e l’unica chiesa è la cappella del castello. Quando fa bel tempo, il prete mette l’altare sotto la tettoia del giardino. Giovanna, è sempre in prima fila: il momento in cui posso osservarla meglio è quando fa’ la comunione. Prima naturalmente si confessa. Darei chissà che cosa per sentire quello che dice! Scopro presto che un barone non ha molto lavoro da fare, a parte scrivere e leggere. Scrivo molte lettere: a papà, mamma, mia sorella Marianna, e soprattutto a Ruggero che mi chiede di tenerlo continuamente informato. Rileggo anche i miei libri di medicina. Lo faccio solo per passare il tempo fino a che...
Un giorno vedo Fatima molto preoccupata. Mi sembra che addirittura trattiene le lacrime. Le chiedo che cosa ha. Singhiozzando mi dice che si tratta di suo figlio Omar. Vado a visitarlo. Omar ha dieci anni. Il ragazzo è a letto con la febbre alta. Da qualche tempo, non fa che andare di corpo. Dopo qualche esitazione faccio la cosa che a tutti i medici dà più fastidio: l’analisi delle feci! Cerco nei miei libri di medicina, e trovo la ricetta di una pozione d’erbe. Fatima, corre a procurarsi gli ingredienti, e mi aiuta a preparare l’infuso. Il ragazzo beve, e il giorno dopo sta già meglio. Non pensavo che quest’episodio dovesse cambiare la mia vita, ma così è stato. La voce del “barone medico” si sparge in fretta. Medici nella zona non ce ne sono, e presto Fatima è assillata da tanti ammalati, veri o immaginari. Per la maggior parte di loro non posso fare niente, ma ad alcuni riesco a dare qualche sollievo. Il mese successivo torna a trovarmi il barone di Partinico. La mia fama è arrivata anche dalle sue parti, e Goffredo mi mette in guardia contro questi saraceni che meritano solo di andare all’inferno. Aggiunge che un nobile perde il suo decoro, se si mette a curare dei pezzenti. Ringrazio il barone per i suoi saggi consigli, ma l’invito, d’ora in poi, a curarsi delle faccende del suo feudo, e a non occuparsi del mio. Non lo mando a farsi fottere, ma poco ci manca. Goffredo va via offeso. Mi rituffo nei miei libri di Medicina, e ritrovo anche gli appunti delle mie vecchie “esercitazioni”. Dopo un po’ Fatima diventa la farmacista del villaggio, e continua a preparare pozioni su pozioni. Una domenica, durante la messa, colgo lo sguardo di Giovanna fisso su di me. Appena me ne accorgo lei si volta dall’altra parte, ma vedo che anche Rosalia e Carmela mi guardano in un modo diverso. Capisco che hanno parlato con Fatima, e adesso per loro non sono più solo un brutale carceriere. Ricomincio a fantasticare sul mio amore impossibile. Tra un libro di medicina e l’altro, ricomincio a scrivere versi. Avevo scritto poesie anche a Salerno, anche se Rugi mi prendeva sempre in giro per la mia passione per i poeti provenzali. Scrivo sempre in volgare. Non capisco perché un italiano debba esprimersi in un latino che quasi nessuno parla più, o addirittura in francese.
*** All’inizio di Novembre abbiamo una magnifica “estate di S. Martino, e fa quasi caldo. Giovanna ne approfitta per fare un bagno sotto la tettoia del giardino. Guardo Berthe, Carmela e Rosalia che continuano a portare secchi d’acqua calda, e scomparire dietro i teloni. Non vedo niente, ma immagino tutto. Penso a Giovanna immersa nella tinozza, e a Carmela e Rosalia che le lavano la schiena. Per loro Giovanna è una specie d’idolo, e anche per me. Proprio sotto la mia finestra è sbocciata una rosa, forse l’ultima della stagione, e mi vengono spontanei dei versi, che metto subito su foglio di carta: Rosa fresca aulentissima, che appari nell’estate, le donne ti disiano, pulzelle e maritate. per te non aggiu pace notte e dia, pensando solo a voi, madonna mia. Rileggo i versi che Giovanna non leggerà mai... o no? È assurdo, ma per un attimo immagino Giovanna che legge il mio biglietto, e magari capisce che non sono quello zotico che credeva. Senza pensarci, lascio cadere il foglio con i versi nel giardino. Il biglietto resta impigliato tra le foglie della rosa. Carmela, passando con un secchio d’acqua, lo nota, e lo raccoglie. Chiudo la finestra. Che stupidaggine che ho fatto! Che cosa penserà di me la mia prigioniera, che è anche la mia carceriera? Quel giorno Fatima m’implora di visitare un suo cugino che è venuto apposta da Partinico. Finisco per acconsentire. Tornando nella mia stanza scopro che qualcuno ha infilato un pezzo di carta sotto la mia porta. Ci sono dei versi: Se per me ti disperi, follia lo ti fa fare. Lo mar potresti arare, ai venti seminare. Se tanto mi donassi, quanto ha lo Sultano, toccare a me non poteri la mano. Non sono sicuramente parole cortesi, eppure mi riempiono di gioia. Intanto lei ha risposto, e poi ha composto dei versi per me, e in volgare! L’ha fatto solo per noia o veramente comincia a provare qualche cosa per me? La notte non riesco a chiudere occhio pensando ad una risposta…
Così Giovanna ed io abbiamo cominciato a scrivere quello che poi è stato chiamato “Il Contrasto”. Uno strano dialogo in versi, che è iniziato per gioco, ma poi, ha cominciato ad impegnarci, ogni giorno, lei ancora più di me. Giovanna aveva scritto dei versi anche prima di conoscermi, ma mai in volgare siciliano. Per lei questa è un’esperienza nuova, e poi, modestamente, non capita facilmente, trovare un giovane piacente, che oltre a conoscere la medicina sa anche scrivere dei versi appassionati. Le risposte di Giovanna sono sempre sdegnose, ma dopo un po’ mi sembra di notare dei segnali incoraggianti. Divento più audace: Oimè, Madonna! Quanto mi schianti il core. Femmina d’esto secolo tanto non amai ancore, quant’ora io amo te, rosa invidiata. Ben credo che mi fosti destinata. Se ancora tu non m’ami, io molto t’amo. Sì, tu m’hai preso come un pesce all’amo. La risposta tarda ad arrivare. La domenica successiva Giovanna va a confessarsi. Durante la messa, i nostri sguardi s’incontrano più volte. Carmela, Rosalia, e Berthe, ogni tanto si voltano nella mia direzione. Quando il prete lascia il castello, mi lancia un’occhiata di fuoco. La sera spero di trovare sotto la porta il solito biglietto. Niente. Poi mi accorgo che il foglio c’è. È in una tasca del mio mantello. Deve avercelo messo Carmela quando mi ha “casualmente” urtato durante la messa. Dice: Tu non mi lasci vivere né sera né mattino. Saccio che m’ami, ed amoti di core paladino: sposami davanti da la gente. e poi farò le tue comannamente. *** Era arrivato l’inverno. L’inverno mite della Sicilia, ma pur sempre inverno, e spesso pioveva. Ruggero continuava a scrivermi, ma le notizie da Messina erano pessime.
Riccardo aveva messo la città a ferro e a fuoco, incendiando anche le navi del re. Filippo si era proposto come mediatore, ma Rugi era convinto che il francese facesse il doppio gioco. Se da un lato queste notizie mi rattristavano, dall’altro ero quasi contento, perché non volevo lasciare Giovanna, proprio ora che lei mi aveva scritto che mi amava. Mi aveva addirittura proposto di sposarmi! Naturalmente non poteva essere una proposta seria, ma mi piaceva soprattutto l’ultimo verso. E poi farò le tue comannamente. Il mio amore per Giovanna non era solo platonico: la desideravo anima e corpo. Oltretutto era un bel po’di tempo che io non... Sì, come barone avrei potuto avere qualunque contadina del mio feudo, cristiana o mussulmana. Molte si sarebbero date volentieri, solo per qualche regalino, ma non era quello che volevo. Io volevo Giovanna, e ora io ero sicuro che lei volesse me. Dopotutto da quanto tempo era vedova? Da quanto tempo non riceveva altre carezze che quelle delle sue ancelle? Oso mandarle dei versi più espliciti: . Vita mia, tu vorresti che io per te sia distrutto? Di qua io non mi muovo se non mi dai lo frutto, lo quale se ne sta nel tuo giardino. Disiolo la sera e lo mattino. Ho mandato questo biglietto pochi giorni prima di Natale. Durante la messa solenne Giovanna era concentrata nelle preghiere come non lo era mai stata, ma Rosalia e Carmela non potevano trattenere il riso, quando mi guardavano. Poco dopo ho ricevuto il messaggio di Giovanna: Ben saccio, l’arma doleti com’omo c’ave arsura. Su prendi lo Vangelo, ed il tuo amore giura! Consegno a Fatima un Vangelo, e la prego di portarlo come dono per la mia ospite. È un volume prezioso, che l’arcivescovo di Salerno ha regalato a mia madre. Se l’arcivescovo, e mia madre, sapessero come lo sto utilizzando! Nel volume nascondo un biglietto.
Questo vangelo, cara, ora lo porto in seno, Sovr’esto libro giuroti, che mai ti verrò meno. Accompli mi’ talento in caritate, chè l’arma me ne sta in sutilitate. È l’ultima sera dell’anno. Ceno come sempre da solo, ma non ho appetito. Aspetto con ansia la risposta di Giovanna. Sto per rientrare nella mia camera, quando, nel corridoio, incontro Berthe che mi porge, senza sotterfugi, un biglietto, avvolto in un nastro rosso. Sciolgo il nastro, e leggo: Mio Sire, mi giurasti, e io tutta quanta incenno, Sono a la tua presenza, da voi non mi difenno. A letto dunque andiamo, a la bon’ura, che chissà cosa c’è data in ventura. Una regina mi chiama Sire! Berthe mi fa cenno di seguirla fino alla porta della stanza su cui ho tanto fantasticato. Giovanna mi apre, in una sottoveste bianca ricamata, più bella che mai. Entro, e Berthe chiude la porta dietro di me... *** I primi mesi del 1191, sono stati i più belli della mia vita. Allora avevo solo 23 anni, ma ero un barone rispettato, un medico stimato, e, soprattutto, ero l’amante di una regina! Come medico curavo come potevo i miei “sudditi” prescrivendo pozioni (che qualche volta funzionavano e qualche volta no), e aggiustando ossa rotte. Come barone “amministravo la giustizia” nelle piccole beghe tra contadini, e soprattutto nelle loro continue liti con quelli di Partinico (cristiani di religione, ma non di spirito). Il mio “esercito” era composto in tutto da dieci guardie. Il capo si chiamava Alfio. Aveva militato nella guardia del re, a Palermo, ma ormai era vicino al congedo. Gli altri erano della zona, e passavano il tempo a giocare a dadi e a molestare le contadine.
Nel castello Giovanna ed io continuavamo a recitare la parte di prigioniera e carceriere, ma solo di giorno. Ogni sera, davo la buona notte a Fatima e Alì, e correvo nella stanza della mia “ospite”. Giovanna ed io non facevamo solo sesso. Dopo le prime sfrenate notti d’amore, l’ex regina ha cominciato a raccontarmi della sua vita coniugale con re Guglielmo il Buono: “Buono a nulla!”, diceva lei! La regina aveva avuto altri amanti, ma mai un poeta. Giovanna adorava le poesie. Mi ha fatto leggere alcuni suoi versi in provenzale, e, insieme, ne abbiamo scritto altri in volgare siciliano. Rileggere i nostri versi c’eccitava. Dopo, fare l’amore era ancora più bello. Fino a quando... Sono nel letto di Giovanna, nel bel mezzo dell’amplesso, quando sento bussare ripetutamente alla porta. Chi si permette di rompere le palle? Le ancelle di Giovanna se ne stanno tranquille nella loro stanza. In casa, oltre a loro, ci sono solo Fatima e Alì, che si guarderebbero bene dal disturbare lei o me, se non per questioni di vita e di morte. Giovanna sta pensando la stessa cosa. Si distacca da me, s’infila una vestaglia e va alla porta. Nascosto dietro una tenda vedo entrare Fatima. Sembra agitata. “Scusasse, madonna. Lu baroni dov’è?” Giovanna è interdetta. Non sa se deve fare o no la parte. “Fatima, come ti permetti...” Fatima taglia corto, e grida. “BARUNI!” Mi copro alla meglio, e mi faccio vedere. Non è il caso di fare la commedia, con chi deve avere capito tutto fin dal principio. Fatima mi racconta che un gruppo d’armati sta venendo da Partinico. Una sua cugina l’ha raccomandata di mettersi in salvo. Prima di scappare ha voluto avvisare anche me, ma devo fare in fretta, non c’è tempo. Provo a dire: “Le mie guardie...” Fatima m’interrompe. “Quali guardie? Fuiti tutti sono!” Fatima mi ha avvertito solo per quello che ho fatto a suo figlio. Ci sono due cavalli pronti per noi. Uscendo da casa vediamo delle luci che si avvicinano. Sentiamo delle voci. Scappiamo senza neanche avere il tempo di riflettere. Da chi stiamo fuggendo? Briganti? Ribelli? O magari inglesi che vogliono liberare Giovanna? In ogni caso dobbiamo allontanarci il più presto possibile.
È una notte di luna piena, e anche senza torce riesco a vedere bene la strada. Non possiamo andare verso Palermo senza passare per Partinico. Prendiamo allora la direzione opposta, verso Trapani. Mi viene in mente che lì vicino c’è un possibile rifugio: le rovine del tempio di Segesta. È un tempio iniziato dai Greci circa 1600 anni fa, e mai finito, come tante altre opere in Sicilia. Le colonne torreggiano alla luce della luna. Sembra un paesaggio incantato, e quasi mi scordo, perché siamo qui. Aiuto Giovanna a scendere da cavallo, e lego le bestie ad una colonna. Saliamo i gradini del tempio e ci sistemiamo in un angolo libero dai rovi. Stendo a terra due coperte. Giovanna alla luce della luna è più desiderabile che mai. Mormora: Celi, tu, mi giurasti, e io tutta quanta incenno, Sono alla tua presenza, da te non mi difenno… *** La mattina dopo ci sveglia un pastore: “Picciotti! Fuiti di casa siete?” Apro gli occhi. Alle luci dell’alba vedo che il pastore ha la barba bianca. Sembra inoffensivo. Mi alzo in piedi. C’è andata bene. Avrebbe potuto trovarci uno dei tanti tagliagole che bazzicano da queste parti. “Messere, io sono il barone d’Alcamo, e la madonna qui presente è la regina Giovanna.” Il pastore mi guarda storto: “Sì. Ed io l’imperatore Federico Barbarossa sono!” Quando Giovanna ed io rimontiamo a cavallo, stiamo ancora ridendo. Il buon umore ci passa immediatamente, quando vediamo una colonna di fumo levarsi dal mio castello. Ci avviciniamo al paese con circospezione, e vediamo arrivare Berthe. L’ancella ci racconta tra le lacrime quello che è successo. I briganti, appena entrati in casa, si erano subito diretti alle stanze delle donne. Berthe aveva fatto in tempo a nascondersi nel soppalco. Rosalia e Carmela no. Berthe le ha sentite gridare... Prima di andare via i briganti hanno dato fuoco a tutto. Berthe è scappata prima che il fumo la stordisse. È riuscita a raggiungere un casolare fuori del
paese, dove alcuni contadini si erano barricati. A forza di gridare, è riuscita a farsi aprire. Raggiungiamo il casolare, e riconosco Aisha, che ho aiutato a partorire solo un mese fa, e Ahmed, suo marito. Ci fanno un’accoglienza calorosa, ma quando cerco di capire chi sono questi “briganti”, e chi li ha mandati, si chiudono in un silenzio totale: “Niente aggiu visto, e niente aggiu sentito.” Alì e Fatima, si erano rifugiati a Partinico. Fatima arriva poco dopo, e bacia le mani a me e Giovanna. Io la ringrazio per averci salvato la vita, ma quando le chiedo dove sono andati quei briganti, lei si unisce al coro: “Niente aggiu visto, e niente aggiu sentito.” Prendo Fatima in disparte, per sapere qualcosa di più. Lei aggiunge solo che, tornando ad Alcamo, ai bordi della strada, ha visto uno sconosciuto, che sembrava ferito. Lui ha chiesto aiuto in una lingua straniera, ma lei non ha avuto il coraggio di avvicinarsi, ed è scappata via. Poco dopo vado con Alì nel posto indicato da Fatima. L’uomo è ancora là, privo di sensi. Lo riconosco immediatamente: Sir Robin di Sherwood! *** Robin è ridotto male. Ha una brutta ferita alla spalla, e continua a perdere sangue. Faccio una fasciatura provvisoria con un pezzo di stoffa, e chiedo ad Alì di andare a prendere un carretto per portarlo al casale. Mentre verifico se ci sono altre ferite, Robin apre gli occhi, e mi riconosce. “Mike! Dov’è la regina Giovanna?” Giovanna non è più una regina, ma preferisco non fare polemiche, in questo momento. “Giovanna d’Inghilterra è al sicuro. Tu che ci fai qui?” Robin mi spiega che Tancredi e Riccardo si sono finalmente accordati sull’“appannaggio vedovile” di Giovanna. La nave reale dovrebbe venire a prenderla da un momento all’altro. Robin era venuto a cavallo da Palermo, per portare a Giovanna un messaggio del fratello. C’era qualcosa che non mi tornava. “Robin, come sapevi che Giovanna era ad Alcamo?”
Robin sorride. Lui era stato il primo ad indovinarlo. Sapeva che io ero l’uomo di fiducia di re Ruggero, e mi avevano presentato come “Barone d’Alcamo”. Robin aveva parlato con re Riccardo, e il re d’Inghilterra se n’era ricordato, quando un barone siciliano era venuto a trovarlo a Messina, per porgergli i suoi omaggi. Lo interrompo: “Il barone di Partinico?” Robin annuisce. “Adesso non è più un segreto. Il re di Francia aveva proposto al re d’Inghilterra di fare uno sbarco a sorpresa per liberare la regina, ma a Riccardo interessavano di più i soldi. Non ti avevano avvertito?” No. Non ricevevo messaggi da Palermo da quasi due settimane. Forse il barone di Partinico c’entrava qualcosa. Alcuni briganti avevano aggredito Robin lungo la strada ieri sera. Gli stessi che avevano attaccato il mio castello? Erano veramente dei briganti? Arrivano Alì e Fatima. Carichiamo Robin su un carro e lo portiamo a casa di Ahmed. Lo laviamo, e gli curo di nuovo le ferite. La più seria è quella alla spalla, ma non sono stati toccati organi vitali. Faccio preparare a Fatima una pozione che dovrebbe abbassargli la febbre, e lo lascio riposare. Torno a quello che resta del mio castello. Nella stanza delle guardie trovo Alfio con la gola tagliata. Forse è stato ucciso dai suoi stessi soldati. Al piano di sopra trovo i corpi di Carmela e Rosalia. Quel fottutissimo barone di Partinico! Più tardi ho saputo che Goffredo era uno dei nobili ribelli, che non avevano voluto riconoscere Tancredi re di Sicilia. Se Giovanna avesse fatto la fine di Carmela e Rosalia, l’accordo di pace tra Tancredi a Riccardo sarebbe andato in fumo. Forse il re d’Inghilterra avrebbe addirittura attaccato Palermo... Il giorno dopo Robin sta molto meglio, e mi giura eterna gratitudine. Quando arriva la nave reale, l’inglese è già in grado di camminare da solo. Sulla nave salgono anche Giovanna e Berthe. Giovanna ha ripreso l’espressione altera che aveva nel viaggio d’andata. Vorrei dirle tante cose, ma abbiamo cento occhi attorno. Robin poi non mi lascia un attimo. Non fa che lodare il mio coraggio e la mia bravura di medico. Il mare stavolta è agitato, e abbiamo il vento contrario. Per fare il breve tratto dal porticciolo di Castellamare a Palermo c’impieghiamo tutta la giornata.
Arriviamo stravolti. Al porto troviamo un drappello di soldati che ci accompagna all’Alcazar. *** Qualche giorno dopo sono di nuovo a colloquio con Ruggero. Rugi mi racconta che il re di Francia è appena partito per la Terrasanta. C’entrava anche lui con le manovre del barone di Partinico? Ruggero è convinto di sì. Filippo aveva tutto l’interesse che Riccardo s’indebolisse combattendo contro il re di Sicilia, e magari restasse anche coinvolto nella guerra con il re di Germania. Adesso Enrico è a Roma, ed è stato incoronato dal papa imperatore. Presto muoverà contro Napoli, ma ora re Tancredi può mandare altre truppe in continente. Riccardo Cuor di Leone sta finalmente per partire per la Crociata. Il re d’Inghilterra è diventato addirittura nostro alleato, ma ad un prezzo elevatissimo. “Quanto?” “Ventimila once d’oro!” “Mizzica! E lui, in cambio, che cosa ci dà?” Ruggero è serissimo, quando dice: “Come segno della sua “imperitura amicizia”, re Riccardo ci ha donato uno dei suoi tesori più preziosi: la spada di Artù, il primo re d’Inghilterra! Gli inglesi la chiamano Excalibur.” Ruggero me la fa vedere. È una bella spada, di buon ferro, con l’impugnatura dorata. Per gli inglesi avrà un gran significato simbolico, ma non certo per i Siciliani. “Rugi, ma se questa spada per lui è tanto importante, perché l’ha data a noi? Non se la poteva tenere, e restituirci qualche migliaio d’once d’oro?” Ruggero scoppia a ridere: “Sai che anch’io a mio padre ho detto la stessa cosa? Purtroppo non siamo riusciti ad ottenere niente di più. Quel Cuor di Leone sa contrattare meglio di un mercante di tappeti arabo!” Ruggero ritorna serio, e mi parla da re: “Michele d’Alcamo! Re Tancredi vuole ringraziarti personalmente per la felice conclusione della tua missione.” Felice per chi? Per Carmela e Rosalia? Per Giovanna, consegnata ad un fratello a cui non importa niente di lei? Cerco di non pensarci mentre entro, con Ruggero, nella sala del trono. M’inchino davanti a re Tancredi, ma lui mi fa alzare e mi abbraccia.
“Barone Michele d’Alcamo! Ho deciso di ingrandire il tuo feudo, donandoti anche le terre del traditore Goffredo di Partinico. Da oggi sei barone d’Alcamo, di Partinico e di Baida!” Che carriera che sto facendo! Di questo passo, prima di arrivare a trent’anni, sarò diventato conte, duca... magari imperatore! Com’è possibile? Guardo un attimo Ruggero, e dalla sua espressione capisco che nel dono del re c’è nascosta un’altra fregatura. Il re continua: “Re Riccardo d’Inghilterra mi ha fatto pervenire i suoi ringraziamenti, per il valore che hai dimostrato proteggendo sua sorella dai ribelli. Il re vuole che accompagni tu stesso la principessa Giovanna a Messina, prima che partiate per la Crociata...” Come, come? Guardo nella direzione di Ruggero, che mi conferma che ho capito bene. “Michele, il trattato con Riccardo impegna il re di Sicilia a mandare in Terrasanta duecento cavalieri. Tu avrai l’onore di essere uno di loro!” Ecco la fregatura! “Ringrazio i re di Sicilia e d’Inghilterra, per l’alta considerazione che mi stanno dimostrando, ma faccio umilmente osservare che io non sono un cavaliere. Non sono neanche un uomo d’armi!” Ruggero, continua a parlare in tono formale, ma giurerei che se potesse, scoppierebbe a ridere. “Michele tu sei un barone, e sei anche un medico della Scuola Salernitana. Riccardo d’Inghilterra è stato molto colpito dagli apprezzamenti delle persone che hai curato ad Alcamo, ed è convinto che potrai contribuire al successo della Crociata, meglio di un cavaliere.” Così è stato Robin ad incastrarmi! Avrei dovuto lasciare che morisse dissanguato! Dopo che ci siamo congedati da re Tancredi, Ruggero torna a parlarmi in tono amichevole. “Celi, anch’io avrei preferito che tu restassi con me in Sicilia, ma ormai mio padre si era impegnato con re Riccardo. Ti prometto che ti farò tornare al più presto, e ritroverai il tuo Castello d’Alcamo rimesso a nuovo. Adesso abbiamo bisogno di te per tenerci buono questo Cuor di Leone.” Rugi aggiunge sottovoce: “A me lo puoi dire! Che cosa è successo veramente, tra te e Giovanna?” Sono colto di sorpresa. Cerco le parole giuste. “Se raccontassi tutto a Rugi, lo verrebbe a sapere anche re Ruggero.” Rugi annuisce.
“Hai ragione. Il re ti congeda. Buon viaggio!” Torno alla mia stanza a fare i bagagli, e sento bussare alla porta. È Berthe, che mi consegna un Vangelo, e si allontana immediatamente. Apro il volume. Non è lo stesso Vangelo che ho donato a Giovanna, ad Alcamo. Questo è molto più prezioso, con delle illustrazioni finissime. In fondo sono stati aggiunti, con una calligrafia che ben conosco, due versi: Questo vangelo, caro, ora lo porto in seno, Sovr’esto libro giuroti, che mai ti verrò meno. Come devo interpretare queste parole? Un addio o una promessa? Lo saprò presto. Tanto devo partecipare in ogni caso a questa Crociata, per amore o per forza. In Terrasanta su andiamo, alla buon’ora! Intanto, bella, ci vedremo ancora!
Capitolo 3 Il conte di Famagosta (A.D. 1191)
Giovanna ha viaggiato nella mia nave, da Palermo a Messina. Quando mi ha visto non ha potuto trattenere il suo stupore. Quel Vangelo era per lei un dono d’addio, e invece... In un momento che nessuno poteva sentirmi le ho mormorato: Viva lo re Riccardo, grazie a Dio! Intendi, bella, quel che ti dico io? Giovanna ha risposto seccamente: Acquistiti riposo, canzoneri! Le tue parole non mi piaccion gueri! Arrivati a Messina, una scorta d’inglesi ci accompagna da re Riccardo. Con me ci sono i cavalieri del regno di Sicilia consacrati alla Crociata, e anche le ventimila once d’oro che dovrebbero servire a finanziarla. Alla Rocca di Matagrifone, Giovanna è ammessa immediatamente alla presenza del fratello. Io faccio un po’ d’anticamera, con gli altri crociati siciliani, comandati da Roberto d’Acerra, figlio del conte che ho conosciuto a Messina. Scambio due chiacchiere con Giordano d’Aversa, figlio cadetto di una nobile, ma decaduta, famiglia napoletana, che ho già conosciuto alla Scuola Salernitana. Giordano era uno studente mediocre, sempre squattrinato, forse il più sfigato della Scuola. Rugi non faceva che sfotterlo, ma era un po’ invidioso perché le “ragazze di facili costumi” di solito non lo facevano pagare: dicevano che faceva tenerezza! Vediamo passare una dama bruna, riccamente vestita. Chiedo a Giordano se sa chi è: “Non la conosci? È Berengaria di Navarra, la promessa sposa di re Riccardo.”
La osservo attentamente. Deve avere la stessa età di Giovanna, ed è quasi altrettanto bella. Giordano aggiunge: “Una bella guagliona vero? Che spreco!” Prima che Giordano mi chiarisca cosa intende dire, il nostro gruppo è ammesso alla presenza del re. Riccardo è su un trono, imponente come sempre. Intorno a lui sono schierati alcuni cavalieri fidati, tra cui riconosco Robin. La sorella e la fidanzata del re sono sedute accanto a lui: Giovanna a destra e Berengaria a sinistra. Riccardo inizia il discorso, in francese: “Porgo il mio caloroso saluto ai cavalieri del Regno di Sicilia, che hanno scelto di unirsi a noi per la liberazione della Terrasanta...” Scelto? Io no, e neanche gli altri, credo! Certo, alcuni sono sinceramente devoti, e molti odiano i musulmani. Qualche nobile cadetto, come Giordano, spera ancora di conquistare un feudo in Oriente, ma i tempi di Goffredo di Buglione sono passati da un pezzo! Riccardo continua con frasi di rito. Quasi sobbalzo, quando sento fare il mio nome. “Un ringraziamento particolare al barone Michele d’Alcamo, che ha tratto in salvo la mia adorata sorella dai traditori, e ha salvato la vita al mio fedele servitore Sir Robin di Sherwood. A Michele d’Alcamo conferisco la nomina di Cavaliere dell’Ordine della Giarrettiera.” Faccio un passo avanti, pensando che, tra i tanti titoli che ho ricevuto negli ultimi tempi, questo è sicuramente il più buffo. Il re mi porge una giarrettiera blu, con la scritta. Honny soit qui mal y pense! Guardo un attimo nella direzione di Giovanna, e mi sembra che lei trattenga a stento il riso. Berengaria invece mi guarda con interesse. Ricevo la giarrettiera, ringrazio, e torno in mezzo al mio gruppo. Giordano mi sussurra: “Ricordati di mettertela, quando il re ti chiamerà nella sua camera da letto!” “Che minchia dici?” Giordano chiarisce: “‘O re è nu poco ricchione!” Penso che Giordano parli così solo per invidia. Riccardo è tutt’altro che effeminato. Ha anche una bella fidanzata. Eppure... “Una bella guagliona! Che spreco!”
Comincio a temere che, anche dietro quest’onorificenza, ci sia per me una fregatura, stavolta nel senso letterale del termine! *** Arriviamo così alla tanto sospirata partenza per la Crociata, la terza della Cristianità. Riccardo Cuor di Leone offre ai partecipanti una cena d’addio alla Sicilia. È una specie di “ultima cena da scapolo”, visto che il re e Berengaria si sposeranno presto. Stavolta siedo al tavolo del re, accanto a Robin. Mi accorgo che anche Robin ha al collo una giarrettiera blu. Comincio a preoccuparmi. Al nostro tavolo c’è Blondel de Nesle, un trovatore provenzale, grande amico di re Riccardo. Più che amico, direi. Blondel è seduto alla destra del re, e Riccardo gli tiene sempre un braccio sulla spalla. Honny soit qui mal y pense! Su invito del re, Blondel inizia a cantare una romanza, e poi un’altra. Le coppe di vino siciliano si svuotano in fretta, ma sono continuamente riempite. Torno alla mia nave ubriaco, con Robin. Fortunatamente non sto nella nave del re, ma in quella in cui sono le dame, comprese Giovanna e Berengaria, di cui sono diventato, anche se non ufficialmente, custode. Davanti alla porta della mia cabina auguro la buona notte a Sir Robin. Robin mi stringe la mano, e niente di più. Chiudo la porta, sollevato. Forse su di lui mi sono sbagliato. *** Il viaggio è lungo, e di giorno ho ben poco da fare, a parte qualche partita a dadi, con Giordano e gli altri crociati napoletani. Faccio anche lunghe chiacchierate con Robin, che prova anche ad insegnarmi l’inglese. Io e Robin finiamo per fare amicizia, anche perché tutti e due non siamo nati nobili. Sir Robin era figlio di un fabbro, Joseph Hood, e da ragazzo faceva il bracconiere nella foresta di Sherwood. Robin aveva solo sedici anni, quando vide un cavaliere assalito da cinque briganti. Senza esitare tirò fuori il suo arco e ne trafisse due, e gli altri si sono dati alla fuga. Non faccio fatica ad indovinare chi era quel cavaliere:
“Riccardo Cuor di Leone!” “Sì! Da allora Riccardo mi ha preso al suo servizio. L’ho seguito in tante battaglie, e quando Riccardo è diventato re, io ho ricevuto il titolo di Sir.” Giovanna e Berengaria passano il tempo spettegolando con le ancelle. Una volta sono passato vicino a loro, e le donne si sono completamente zittite. Possibile che parlassero di me? Impossibile. Per Giovanna non conto più niente! La notte rileggo spesso i nostri versi, ma non ho il coraggio di farmi vedere nella parte della nave riservata alle donne. Una sera sento bussare alla porta. È Griselda, una delle ancelle del seguito di Giovanna e Berengaria. Mi porge un biglietto con scritto: Ben saccio, l’arma doleti com’omo che ha l’ arsura. Cogli il mio frutto, affrettati, vieni senza paura! Perché non mi sono deciso prima? Seguo Griselda fino alla porta di una cabina. L’ancella mi fa entrare, e richiude la porta. Davanti a me c’è un letto con un baldacchino, con le tende abbassate. Scosto la tenda, con trepidazione, e vedo... Berengaria! La futura regina è distesa nel letto, coperta solo da un lenzuolo, con i capelli neri sciolti. Ho il terrore che si metta a gridare, e invece mi sorride. Confuso mormoro: “Je suis désolé. Je pense que il y a une erreur!” Berengaria mi tira a sé sussurrando : “Non! Pas d’erreur!” Non mi bastava essere amante di una regina! Adesso lo sono di due, e, per giunta, le regine sono sorella e promessa sposa di un re che è chiamato Cuor di Leone. Lo stesso che mi ha nominato Cavaliere dell’Ordine della Giarrettiera, pensando chissà a che... Berengaria era ben informata dei gusti del marito. Gliel’aveva detto sua suocera, Eleonora d’Aquitania: “Basta che tu riesci a dargli un erede. Dopo puoi fare quello che vuoi!” Berengaria non voleva aspettare. Aveva visto Riccardo con Blondel de Nesle, e aveva capito che forse non sarebbe neanche riuscita a consumare il matrimonio. Non aveva perso tempo. “Perché proprio io?”
Ho fatto questa domanda a Berengaria solo molto più tardi, quando io ero disteso sul letto, esausto. Berengaria mi ha risposto che Giovanna le aveva parlato di me, e, evidentemente, le aveva dato delle buone referenze. Giovanna le aveva anche fatto leggere alcuni nostri versi, che lei aveva ricopiati. “Giovanna mi ha assicurato che tra voi è tutto finito. Riccardo le sta cercando un altro marito.” Ho accettato per buono quello che lei mi ha detto, e mi sono buttato in questa nuova avventura. Berengaria mi ha fatto venire nella sua cabina anche la notte dopo. La sua aggressività mi esaltava, ma non era facile accontentarla. Di giorno, nella nave, continuavo la solita vita, ma facevo fatica a non tradirmi. Robin, non capiva come mai sembravo sempre così stanco, e Giordano una volta mi ha sgridato perché mi ero quasi addormentato durante una partita a dadi. *** Nella traversata dello Ionio troviamo tempo ottimo, e vento favorevole. Costeggiamo il Peloponneso, e ci fermiamo una notte nell’isola di Creta. I crociati scendono tutti a terra a fare baldoria. Robin m’invita ad una cena offerta dal governatore greco a re Riccardo, ma io rifiuto cortesemente, fingendo un mal di testa. Spero di approfittare dell’occasione per recuperare un po’ di sonno. Dormo alla grossa, quando sento bussare alla porta. Mi alzo borbottando: chi rompe le palle? Non può essere Griselda, perché Berengaria è andata alla cena con re Riccardo. Infatti, non è Griselda: è Berthe. Mi porge un biglietto: Saccio che m’ami, ed amoti di core paladino. Vieni a prender lo frutto che sta nel mio giardino! Qui rischio di fare indigestione di frutta! Seguo Berthe nella cabina di Giovanna, e riprendiamo il discorso lasciato in sospeso ad Alcamo. Giovanna mi assicura che ha tanto sentito la mia mancanza, e io non ho difficoltà ad affermare la stessa cosa. Ma come faccio adesso con Berengaria?
Tornato nella mia cabina, faccio fatica a addormentarmi. Poi faccio un sogno in cui sono a letto con Giovanna e Berengaria, d’amore e d’accordo! Un bel sogno? Lo è, fino a quando arriva Riccardo Cuor di Leone, nudo! Mi sveglio di soprassalto. Come ho fatto a cacciarmi in questo casino? La mattina salgo in coperta. I marinai stanno issando le vele. Il vento è favorevole, e dovremmo fare tutta una tirata per la Palestina. Partiamo. Le coste di Creta si allontanano. Il mare è un po’ mosso ma niente di preoccupante. Così sembra almeno! La tempesta inizia nel pomeriggio. La nave balla sempre più forte, e dopo un po’ cominciano tutti a soffrire il mal di mare. Io tiro avanti un po’ meglio degli altri, perché mi sono portato appresso un po’ di quella pozione che mi hanno insegnato alla Scuola Salernitana. Ne do un po’ anche a Robin, e presto io e lui restiamo i soli crociati che ancora resistono sul ponte. Le donne sono rinchiuse nelle loro cabine: almeno nessuna regina mi farà chiamare, questa sera! Vedo che anche le altre navi inglesi ondeggiano pericolosamente. La nave di re Riccardo rimane indietro. Vedo altre due navi annaspare nella bufera, ma poi il vento ci porta lontano dal resto della flotta. Dopo una notte terribile, il mare finalmente si calma, e avvistiamo la terra ferma. Non è la Palestina: è l’isola di Cipro, che fa ancora parte dell’impero bizantino. *** Approdiamo nel porto di Limassol, sulla costa sud dell’isola. Un funzionario greco sale sulla nostra nave. Dice di chiamarsi Alessio, e di essere l’ambasciatore dell’imperatore Isacco Comneno, che è a Cipro. Io sono l’unico dei crociati a parlare il greco, e faccio da interprete. “L’imperatore è lieto di ricevere degli ospiti così illustri, e invita Madonna Giovanna e Madonna Berengaria a rifocillarsi nel suo palazzo.” Le donne non vedono l’ora di scendere dalla nave, ma io le metto in guardia. Oltretutto, mi sembra strano che l’imperatore Isacco Angelo Comneno sia a Cipro, e non a Costantinopoli. Cerco di guadagnare tempo, e Robin manda un gruppo dei suoi uomini a terra, insieme con un marinaio d’origine greca.
Dopo tre ore torna alla nave un solo uomo, ferito. È un inglese grande e grosso, che tutti chiamano, per scherzo, Little John. I suoi compagni sono stati uccisi o catturati. Little John ci spiega che a Cipro c’è veramente “Isacco Comneno”. Non è l’imperatore Isacco Angelo, ma Isacco Ducas, un suo lontano cugino, che si è impadronito di Cipro, e si è alleato con il Saladino. Adesso Isacco Ducas ha gettato la maschera, e ci chiede di arrenderci. Mentre io medico la ferita di Little John, Robin organizza la difesa della nave. Gli arcieri inglesi si piazzano sul ponte, e cominciano a lanciare frecce sugli assalitori. Robin infilza immediatamente il capo del drappello cipriota. Altri cinque greci sono colpiti dai suoi uomini. I ciprioti si ritirano. Cala la notte. Dopo la tempesta siamo tutti esausti. Scarseggiano anche cibo e acqua. Roberto d’Acerra organizza dei turni di guardia. Io faccio il mio con Giordano, che mi confessa di avere combattuto finora solo in qualche torneo. Adesso sta combattendo la sua crociata contro dei greci: altri cristiani! La mattina dopo ci aspettiamo un attacco. Invece arriva un ambasciatore. Si chiama Malik Al-Adil, ed è il fratello minore del Saladino. Malik è il primo vero Saraceno che incontro, a parte, naturalmente gli arabi di Sicilia. Malik ha circa 45 anni. È abbastanza alto, per un arabo. Ha una corporatura massiccia, e lo sguardo di chi è abituato a comandare. Inizia il suo discorso in tono mellifluo, in un discreto francese: “Perché combatterci? Ci sono già stati tanti morti, vostri e nostri! Il Saladino vuole la pace!” Robin risponde: “Se il Saladino vuole veramente la pace possiamo organizzare un incontro tra lui e re Riccardo.” Malik ride: “Quello che chiamano Cuor di Leone? Probabilmente è morto in mare. Perché volete morire inutilmente? Se vi arrendete sarete presto liberati. Dopo che le vostre famiglie avranno pagato il riscatto, naturalmente!” Mio padre forse potrebbe pagare un riscatto, ma quelli più poveri, come Giordano, rischiano di essere fatti schiavi. Almeno così è successo a molti cristiani di Gerusalemme. Lancio uno sguardo a Giovanna e Berengaria. Finiranno nell’harem del Sultano? Robin taglia corto. “Meglio morti che schiavi. Il Saladino non sa chi sono gli inglesi!”
Malik non si fa impressionare. “Inglesi, Franchi, Greci... che differenza fa? La mia gente si sbarazzerà presto di voi, perché noi combatteremo sempre.” Roberto d’Acerra lo interrompe. “Anche noi Normanni vi combatteremo sempre! Vi abbiamo cacciato dalla Sicilia, e ci riprenderemo anche Gerusalemme!” “Intanto però i greci si sono alleati con noi. Perché noi siamo i più forti!” Mentre parliamo sentiamo venire delle grida dalla città. Ci affacciamo e vediamo piovere frecce su Greci e Saraceni, mentre centinaia di cavalieri fanno irruzione nel porto di Limassol. In testa agli inglesi c’è un gigante, che mena colpi, con la spada, a destra e sinistra: Riccardo Cuor di Leone in persona! Malik guarda sconsolato i suoi uomini che sono fatti a pezzi. Quando tutto è finito, il saraceno si decide a dire: “Messer Robin, sarei molto lieto di conoscere il vostro re. Forse voi cristiani non siete tutti smidollati, dopotutto!” *** Riccardo Cuor di Leone era arrivato a Cipro poco dopo di noi. Era approdato ad est di Limassol, e dopo avere saputo che la nostra nave era bloccata nel porto, aveva attaccato la città da terra, prendendo di sorpresa i ciprioti d’Isacco Ducas, e i suoi amici Saraceni. Il re ha accettato molto volentieri di incontrare Malik Al-Adil. Il giorno dopo Riccardo e Malik sembrano vecchi amici, anzi più che amici. Riccardo in persona ha riaccompagnato Malik alla nave saracena che è venuta a riportarlo in Egitto. Riccardo e Malik camminano mano nella mano. Salutandosi si baciano. Robin, un po’ imbarazzato, mi dice: “Tra i Saraceni è normale comportarsi così tra amici. Re Riccardo sostiene che bisogna rispettare le loro usanze, per potere poi fare pace con loro.” Io non sono proprio convinto, e gli altri crociati del Regno di Sicilia ancora meno. Giordano mi fa un cenno toccandosi le orecchie, e io trattengo a stento il riso. Riccardo non è altrettanto gentile con Isacco Ducas, colpevole di avere oltraggiato le sue donne, e, soprattutto, di avere cercato di portargli via l’oro del re di Sicilia. Il re lo ha messo in catene. Poi ha incominciato ad estorcere soldi ai greci, come “contributo per la Crociata.” Molti Ciprioti non sono d’accordo, e Riccardo decide di dare una bella lezione ai cittadini di Kirenia e Famagosta…
La permanenza degli inglesi a Cipro rischia di essere lunga come quella in Sicilia, e Berengaria ne approfitta per costringere Riccardo a mantenere il suo impegno a sposarla. Il matrimonio avviene in pompa magna nella cattedrale di Limassol. Riccardo e Berengaria sono una bella coppia, ma solo davanti al popolo che li acclama Riccardo aveva sposato Berengaria solo perché gliel’aveva ordinato la madre Eleonora: l’unica persona al mondo di cui il Cuor di Leone aveva paura. Dopo la cerimonia, Riccardo preferisce passare la notte con Blondel, il trovatore. La regina mi racconta tutto durante quella che doveva essere la sua prima notte di nozze. Solo che nel suo letto ci sono io! E dire che di solito sono i re a pretendere lo “ius primae noctis”! Questa volta, l’ accontento “solo per dovere”. Forse per questo la mia “prestazione” non è eccezionale, e dopo il terzo assalto sono costretto a chiedere una tregua. Berengaria è delusa. “Che è successo alla tua arma?” “Madonna, voglio essere sincero. Voi siete una regina fantastica, ma il mio cuore è già impegnato!” “Non è il tuo cuore che voglio!” Cerco di farmi perdonare con due versi improvvisati: Se uno ha altrove cuore e mente, anche l’arma ne risente! Berengaria ride: “Bravo poeta! Per stavolta sei perdonato! Allora sei veramente innamorato di Giovanna?” Temo il peggio. “Voi due... avete parlato di nuovo di me?” “No. Ora capisco, come mai Giovanna non mi dice più niente! Starò zitta anch’io, ma solo perché mi sei simpatico! La prossima volta, però, fatti trovare con l’arma bene affilata!“ È andata bene. Ma fino a quando? ***
A Cipro alloggio, a Limassol, nel palazzo dove viveva Isacco Ducas. Al piano terra ho organizzato un nuovo ospedale, dove continuano ad affluire feriti da Kirenia, da Famagosta e dalle altre città conquistate da re Riccardo. Io sono continuamente impegnato a medicare e ricucire. Alcuni se la cavano, altri no. Uno dei miei pazienti è Giordano d’Aversa, tornato da Famagosta con una freccia infilata nel sedere. Una freccia inglese, oltretutto! Fortunatamente avevo fatto un po’ di tirocinio all’ospedale della Scuola Salernitana. Il professor Gualtieri mi diceva che avevo una naturale predisposizione a fare il medico. Adesso lo sono veramente: per amore o per forza! Quando posso, vado a trovare Giovanna. Un giorno provo a dirle: “Giovanna, ricordi quella volta che mi hai proposto di sposarmi? Lo so che erano solo dei versi, ma adesso ho conosciuto tuo fratello. Il re ha una grande stima di me.” “Celi, non puoi parlare sul serio! A Riccardo tu piaci, ma sei un semplice barone. Per me ci vorrebbe almeno un conte. Magari un re!” *** Finalmente Riccardo decide di partire per la Terrasanta. Prima della partenza c’è una solenne cerimonia. Dopo la messa, il re annuncia a sorpresa di volere nominare, come ricompensa dei servigi resi a Cipro, due nuovi conti: Il primo è Robin: “Sir Robin di Sherwood, ti nomino Conte di Kirenia!” Il re poggia la spada sulla spalla di Robin, visibilmente commosso. Sono contento per lui. Robin si è quasi fatto ammazzare per conquistare Kirenia. Certo il suo titolo è solamente formale, visto che a Cipro non torneremo più, ma il prestigio è grande. Poi Riccardo chiama il secondo conte. Mi viene un colpo. Sono io! Mi dirigo verso il re come un sonnambulo. Il re mi abbraccia, e mi bacia. “Michele d’Alcamo, ti nomino Conte di Famagosta!” Il re poggia la sua spada sulla mia spalla. Sono un conte! I crociati del regno di Sicilia mi guardano sorpresi. Giordano è verde per l’invidia. Dov’è la fregatura stavolta?
Perché il re mi ha voluto dare questo titolo altisonante, se a Famagosta non ho nemmeno messo piede? Certo ho curato molti feriti, durante l’attacco a Famagosta. Ho fatto il mio dovere. Al massimo si può dire che sono stato un buon medico... ma basta questo per diventare un conte? Mi vengono in mente quelle parole di Giovanna: “Per me ci vorrebbe almeno un conte...” No! Non è possibile! Giovanna intendeva dire il titolare di una contea importante. Io sono conte solo di nome, perché prima di partire Riccardo Cuor di Leone ha venduto (per un bel po’ di soldi!) l’intera isola di Cipro all’ordine dei Templari. Sono un conte senza contea, come Robin. Forse Riccardo voleva solo che io diventassi un suo suddito. Come barone d’Alcamo devo ubbidienza al re di Sicilia, ma, nel momento che ho accettato il titolo di conte di Famagosta, sono diventato anche vassallo di Riccardo Cuor di Leone. Che casino! Sul ponte della mia nave, vedo la costa di Cipro allontanarsi. Robin è accanto a me, e mi dice: “Ci pensi Mike? Siamo conti! Che mi dici?” “Che i conti non tornano!”
Capitolo 4 Il Cavaliere di San Giovanni (A.D. 1191-1192)
Finalmente vedo, dal ponte della mia nave, quella che per gli ebrei è Terra Promessa, per i cristiani Terra Santa, e per tutti Terra di Conquista. Approdiamo al porto di Tiro, dove sono concentrati la maggior parte dei crociati che assediano, con poca convinzione, San Giovanni d’Acri, il porto più importante della Palestina. Il re di Gerusalemme, Guido da Lusignano, continua a guidare i cristiani di Terrasanta. Guido è re solo di nome, perché a Gerusalemme c’è il “feroce Saladino”. Con lui si sono schierati anche i soldati di Filippo di Francia, appena arrivati. Riccardo Cuor di Leone assume il comando delle operazioni, e la musica cambia completamente. I soldati oziosi sono messi in riga, e le maglie dell’assedio si chiudono. Tutti guardano ora Riccardo come il capo carismatico che tutti aspettavano. Un mese dopo il nostro arrivo, i saraceni d’Acri finalmente si arrendono. Riccardo non ha dubbi: “Uccideteli!” Stranamente l’unico ad avere obiezioni è Guido da Lusignano: “Il Saladino è stato più clemente, quando ha conquistato Gerusalemme. Non sarebbe meglio tenerli prigionieri, e chiedere un riscatto?” Riccardo guarda Guido, con disprezzo: “Il Saladino è generoso solo con i vigliacchi e gli incapaci come te! I cristiani coraggiosi, come i Templari, e i Cavalieri di San Giovanni, li ha fatti uccidere tutti. Io renderò omaggio a questi valorosi saraceni giustiziandoli nello stesso modo!” Il “re di Gerusalemme” incassa il colpo, ma prova ad obbiettare: “Alcuni saraceni sono molto ricchi. Potremmo ottenere un riscatto favoloso!” Riccardo fa un sorriso ironico: “Davvero? E che ci farai col riscatto, quando il saraceno liberato ti infilzerà colla sua spada?” Guido impallidisce. Fa un’ultima obiezione, solo per salvare la faccia. “Tra di loro ci sono anche donne e bambini. Non potremmo essere clementi almeno con loro?”
Riccardo esita solo un attimo: “Le donne hanno combattuto valorosamente accanto ai loro uomini, e anche i figli. Volete prendervi le loro donne? Fatelo, e alla prima occasione vi taglieranno la gola! Volete lasciare in vita quei bambini, dopo avere ucciso i loro padri? Fatelo pure! Tanto io non rimarrò per sempre in Palestina. Quando quei bambini cresceranno, uccideranno i vostri figli, non i miei!” Le parole di Riccardo mi fanno rabbrividire, ma è tutto vero. Lo capisce anche Guido, che, poco dopo, comanda lui stesso l’esecuzione dei prigionieri. Io non voglio assistere allo spettacolo. Torno al mio ospedale da campo, per cercare di salvare almeno i nostri feriti. *** Durante il mio primo mese in Terrasanta ho esercitato la mia professione di medico a Haifa. Poi ci siamo trasferiti tutti a San Giovanni d’Acri. Cancellate le tracce della dominazione mussulmana, la città ha ripreso a rifiorire. Sono tornati tutti i profughi cristiani: artigiani, mercanti, marinai, preti, e “donne di facili costumi”. Sono tornati anche i cavalieri di San Giovanni, detti anche Ospitalieri. Il re ha chiesto che io stesso fossi nominato Cavaliere. Gli Ospitalieri hanno accolto volentieri nel loro Ordine il “Conte di Famagosta”. Prima della mia investitura, ho avuto un colloquio privato con il Gran Maestro. Gli ho confermato la mia ammirazione per i monaci guerrieri dell’Ordine di San Giovanni, ma gli ho fatto presente che io non volevo diventare né monaco, né guerriero, ma soltanto medico. Il Gran Maestro mi ha rassicurato: nell’Ordine ci sono già molti “cavalieri laici”. Così ho aggiunto, ai tanti miei titoli, quello di Cavaliere di un Ordine prestigioso. All’Ospedale il lavoro non manca. Riccardo Cuor di Leone ha lanciato il suo esercito contro Giaffa, ed i feriti continuano ad affluire. Presto mi ritrovo a curare di nuovo una mia vecchia conoscenza: Giordano d’Aversa. Stavolta Giordano si è rotto un braccio, cadendo da cavallo. Niente di serio, ma il suo capo, Roberto d’Aversa, lo viene personalmente a trovare. Poi passa da me e mi parla in privato: “Giordano è “nu bravo guaglione”, ma non è adatto per fare il soldato. Non puoi trovargli un lavoro nel tuo ospedale? Dopotutto, eravate insieme alla Scuola Medica Salernitana.”
Chiarisco la situazione: “Giordano è stato alla Scuola Salernitana, per meno di due anni. Tu te la sentiresti di farti curare da Giordano?” “Ti prego, cerca di trovargli un posto dove non può fare danno. Se torna in battaglia, lo faranno a pezzi, e se lo rimandiamo in Italia morirà dalla vergogna.” Così Giordano d’Aversa è diventato il mio assistente. Conoscendolo meglio mi sono un po’ ricreduto sul suo conto. Giordano è un gran casinaro, chiacchierone, e, soprattutto, irrimediabilmente sfigato. Però è anche “nu bravo guaglione”, leale e volenteroso. Presto Giordano diventa il mio migliore amico, dopo Robin, impegnato nella battaglia intorno a Giaffa. Intanto Riccardo sta conducendo trattative segrete con i Saraceni. Vengo a saperlo da sua sorella. Un giorno Giovanna viene a trovarmi con un diavolo per capello. Non ce l’ha con me, ma con suo fratello. “Riccardo mi ha proposto di sposare Malik al Aladil!” Non sono sicuro di avere capito bene. ”Vuoi dire quel saraceno che è venuto nella nostra nave a Cipro? Il fratello del Saladino?” “Proprio lui! Riccardo dice che, con il matrimonio, io porterei in dote il territorio d’Acri, e il Saladino darebbe al fratello il resto della Palestina. Al Aladil e io diventeremmo re e regina di Gerusalemme!” “È assurdo! Tuo fratello non può dire sul serio!” “Invece sì! Dice che il Saladino ha già accettato. Pensa, io sposare un mussulmano! Riccardo dice che questa è un’occasione unica per far finire la guerra in Palestina!” Mi viene spontaneo domandare: “Purché non se lo sposa tuo fratello quel saraceno, visto che gli piace tanto?” “Bravo! Io a Riccardo ho detto la stessa cosa, e lui mi ha detto che se potesse lo farebbe. Purtroppo, le religioni, cristiana e mussulmana, non lo permettono!” Certo sarebbe un bel matrimonio! M’immagino Riccardo vestito da sposa, e mi viene da ridere. Poi penso a Giovanna che sposa Al Adili, e mi viene da piangere. Provo a chiedere: “La religione permette ad una cristiana di sposare un musulmano?” Giovanna risponde di scatto:
“Non lo so, ma io ho detto a Riccardo che quello stronzo non lo sposo neanche se me l’ordina il papa! Piuttosto sposo te!” Non è certo un gran complimento, ma il fatto che Giovanna abbia solo accennato alla possibilità di sposarmi mi fa sentire un re. “Hai veramente detto a tuo fratello di noi due?” “Che tu sei il mio amante? Riccardo l’ha sempre saputo! Perché credi che ti abbia nominato conte di Famagosta?” Molti anni dopo, mi sono spesso domandato se sia stata colpa di Giovanna (e anche mia!) il fallimento di un matrimonio che poteva mettere fine alla Crociata, anzi a tutte le crociate! Naturalmente non è vero. Probabilmente neanche il re d’Inghilterra ci credeva sul serio, altrimenti avrebbe potuto costringere Giovanna a collaborare. Invece Riccardo ha riferito al Saladino che sua sorella rifiutava di sposare un mussulmano. Non poteva Al Adil farsi cristiano? Naturalmente no, e la Crociata è continuata, più feroce di prima. Così la mia relazione con Giovanna è andata avanti, ma la mia nuova posizione di “amante ufficiale” non era sicuramente di mio gradimento. Ed io che credevo di essere stato discreto! Invece lo sapevano tutti: anche Robin, Giordano... perfino il Gran Maestro! “Per me ci vorrebbe almeno un conte...” Ecco che voleva dire Giovanna! L’amante di una regina deve avere un certo rango! Certo Riccardo Cuor di Leone sapeva fare bene “i suoi Conti”. Distribuiva titoli che non gli costavano niente, e in cambio riceveva gratitudine e fedeltà, anche dalla sorella! Il matrimonio naturalmente è un altro affare, e come affare deve essere trattato. *** Dopo la conquista di San Giovanni d’Acri re Filippo è tornato, con una scusa, in Francia e Riccardo Cuor di Leone si è trovato a dover portare avanti la Crociata, praticamente da solo. Nel Settembre 1191 Riccardo finalmente riesce a sbaragliare l’esercito del Saladino. I crociati occupano il porto di Giaffa. Gerusalemme è a due passi, ma Riccardo riprende le trattative col Saladino. Viene stipulata una tregua, e re Riccardo torna ad Acri. C’è aria di festa.
Si festeggia anche nel mio ospedale. Perfino i feriti più gravi inneggiano alla vittoria. Re Riccardo in persona viene all’ospedale, insieme alla moglie Berengaria. Riccardo Cuor di Leone è acclamato da tutti. Il re fa un bel discorso, cristiano e patriottico. Riccardo non si trattiene a lungo. Dopo il discorso, il re lascia l’incombenza di visitare i malati a Berengaria. Una moglie deve pur servire a qualcosa, no? Negli ultimi mesi Berengaria ed io ci siamo visti di rado. Finito il giro dell’ospedale, Berengaria mi parla come un vecchio amico: “Conte di Famagosta! Avete ben affilato la vostra arma?” Cerco di darle una risposta cortese, senza prendere impegni. “Madonna, la mia arma è sempre al vostro servizio. Solo non vorrei deludere voi, e mancare di rispetto al mio re.” Berengaria ride: “Messere, San Giovanni d’Acri è piena d’armi e cavalieri, ansiosi di compiacere re e regina. Io scelgo con molta attenzione i miei cavalieri. Devono essere carini, ben educati, e soprattutto non devono farsi illusioni, perché li cambio in continuazione. Io ho già messo alla prova più volte la vostra arma. Non avreste qualche amico da raccomandarmi?” Questa domanda non me l’aspettavo. “Madonna, io non conosco molti cavalieri. Il mio migliore amico è Sir Robin di Sherwood.” “Il conte di Kirenia? Lo conosco. E poi?” In che senso lo conosceva? Non ho approfondito l’argomento. “Poi ci sarebbe il mio assistente, Giordano d’Aversa.” Berengaria ci pensa un po’: “Quel bel moretto, un po’ imbranato?” Mi viene da ridere. “L’avete ben descritto, madonna. Se v’interessa sono sicuro che sarà capace di servirvi con dedizione e trasporto.” “Perché no? Potrebbe essere divertente! Dite al vostro assistente di passare stasera al mio palazzo. La mia ancella Griselda gli farà da strada.” Quando gli riferisco il messaggio di Berengaria, Giordano non vuole credere alle proprie orecchie. “’A regina vuole a me? Stai pazzianno?” “No! Ha detto che sei un bel moretto!” La sera accompagno io stesso Giordano al palazzo reale. Presento Giordano a Griselda, e torno a casa, dove trovo ad aspettarmi Giovanna. Una visita inaspettata. Giovanna mi bacia come non faceva da molto tempo.
“Lo sapevo che saresti venuto! Avevo scommesso con Riccardo duecento tarì d’oro!” “Scommesso cosa?” Riccardo aveva scommesso che io sarei andato da Berengaria. Il resto lo vengo a sapere il giorno dopo da Giordano. Mi aspetto di trovarlo stanco ma felice. Invece sembra che ce l’abbia con me. Alla fine sbotta: “Michè! Tu si nu fetentone! Tu sapevi tutto, nun è ‘o vero?” Non sapevo niente. Alla fine Giordano mi racconta com’è andata la sua “notte d’amore”. Berengaria era stata fantastica, ma solo fino a quando era arrivato Riccardo, come nel mio sogno. Me l’ero scampata bella! “’O re voleva a te! Mi ha chiamato “Michel”. Io gli ho detto: no, je suis Giordàn, ma lui...” Giordano si blocca, rosso per la vergogna. Non riesco a fare a meno di domandargli: “Ma tu sei stato più tempo con il re o con la regina?” Giordano mi manda a farmi fottere. Capisco che cavaliere, re e regina si sono scambiati più volte i ruoli quella notte. La regina aveva capito che quello era l’unico modo in cui poteva fare l’amore col re, e forse anche dargli un figlio. Molto tempo dopo, in Italia, Giordano si è vantato di essersi “battuto” con Riccardo Cuor di Leone. Io non l’ho smentito. Mi sentivo troppo in colpa. Quando ho raccontato a Giovanna la storia di Giordano, lei si è sbellicata dalle risate. Io molto meno, pensando che Giovanna avrebbe anche potuto anche perdere la sua scommessa. Credo che sia stato allora che il mio rapporto con Giovanna ha incominciato ad incrinarsi. Ormai mi ero reso conto che i re come Riccardo, Berengaria, e anche Giovanna, facevano parte di un altro mondo, ed io ero stato un illuso, a pensare che quel mondo potesse diventare anche il mio. *** Riccardo non è riuscito a conquistare Gerusalemme. Un paio di volte c’è quasi arrivato, ma poi il suo esercito è stato costretto a tornare indietro. Riccardo non poteva fare tutto da solo. A fianco degli inglesi, c’erano rimasti solamente i “franchi”: i pronipoti dei primi crociati, che passavano la maggior parte del tempo a litigare tra loro.
Alla fine i nobili d’Acri avevano eletto un nuovo re: Corrado di Monferrato. Corrado era stato votato perché era marito d’Isabella, l’ultima discendente dei re di Gerusalemme. Purtroppo, Corrado era peggio ancora di Guido da Lusignano, perché era un traditore. Riccardo aveva scoperto che faceva trattative segrete col Saladino. Cuor di Leone era furioso. Aveva fatto tanta fatica a conquistare almeno un pezzetto di Palestina, ed ora un traditore rischiava di mandare tutto in fumo! Tutte queste cose, me le racconta Robin, tornato dal fronte. Robin propone di andare a rilassarci in un “hammam”, quello che in Italia è chiamato bagno turco. All’ingresso dell’hammam incontriamo Giovanna che sta entrando con una dama, incinta, nel reparto femminile. La riconosco immediatamente: è Isabella, regina di Gerusalemme, moglie di Corrado di Monferrato. Giovanna ha convinto la regina a fare un bagno, per rilassarsi un po’. Prima di entrare, Isabella ha un attimo d’esitazione: “Mio marito sta per tornare a casa. Se non mi trova potrebbe preoccuparsi. ” Giovanna le suggerisce: “Perché non lo mandi a chiamare? Un bel bagno farà bene anche a lui!” Isabella si convince, e manda un’ancella a chiamare il re. Poi entrano. Io e Robin entriamo nel reparto maschile, e ci spogliamo. M’immergo nell’acqua calda, ma non riesco a rilassarmi. Sento che c’è qualcosa di strano. Come mai Giovanna è così amichevole con la regina, se Riccardo odia suo marito? Anche Robin mi sembra strano, troppo silenzioso. Non entra in acqua. Rimane a fare il bagno a vapore, seduto sulla panca, con un asciugamano intorno alla vita. Sotto l’asciugamano mi sembra di notare un rigonfiamento sospetto. Mi ritornano in mente i dubbi che ho avuto una volta, sulle preferenze sessuali di Robin. A scanso d’equivoci, esco dall’acqua, e mi avvolgo anch’io in un asciugamano. Mi siedo vicino a Robin, che sembra essersi addormentato. Finisco per appisolarmi anch’io. Mi risveglio sentendo le voci di due nuovi arrivati. Devono essere siriani perché parlano in arabo. Li saluto: “Salam aleikum!” Loro rispondono, educatamente: “Aleikum Salam!”
Non conosco l’arabo abbastanza bene da continuare la conversazione. I due comunque non parlano più. Si siedono su una panca, ma continuano a tenere gli occhi aperti, in direzione della porta. Noto qualcosa di strano nei loro occhi. Le pupille sembrano dilatate, come in un paziente che stava nel mio ospedale qualche tempo fa. Mi avvicino a Robin per parlargli, ma poi sento altre voci, in francese, venire dall’ingresso. Vedo entrare tre uomini, avvolti in asciugamani. Il più alto è Corrado, il nuovo “re di Gerusalemme”. Gli altri due sono le sue guardie del corpo. Io e Robin salutiamo il re con deferenza, ma nell’hammam le differenze sociali non contano molto. Il re si sfila l’asciugamano, e s’immerge nella vasca. Corrado ha un’aria rilassata, quasi beata. Lo credo bene! Corrado sta per essere incoronato re di Gerusalemme, ha una bella moglie, e un figlio in arrivo. Che cosa potrebbe chiedere di più? Vedo i due siriani avvicinarsi alla vasca. Uno dei due mette un piede nell’acqua, come per sentire quanto è calda. Perde l’equilibrio e cade nella vasca con tutto l’asciugamano. Il suo amico cerca di trattenerlo, ma cade anche lui. Vedo i siriani dimenarsi nell’acqua, imprecando in arabo. Le guardie del corpo del re ridono, ma non per molto. Corrado lancia un grido rauco, e mi accorgo che l’acqua della vasca sta diventando color rosso sangue. Prima che mi renda conto di quello che sta succedendo, Robin si slaccia l’asciugamano e si lancia nella vasca. Adesso vedo che il “rigonfiamento”, che avevo notato prima, non era la sua “arma“ in erezione, ma un’arma vera: un pugnale! Robin colpisce più volte uno dei siriani: il suo corpo ricade nell’acqua, che diventa sempre più rossa. L’altro siriano è fermato dalle guardie del re, che, molto in ritardo, si sono buttate nella mischia. Il siriano superstite è immobilizzato. Accorrono altre guardie. Qualcuno grida: “Un dottore, presto!” L’unico dottore sono io! Io e Robin tiriamo fuori il re dalla vasca, ma vedo subito che non c’è niente da fare. Corrado è stato colpito più volte al cuore, allo stomaco, e all’addome. Deve essere morto quasi subito.
Guardo anche il corpo del siriano colpito da Robin. È morto anche lui. I suoi occhi sbarrati mi confermano quello che ho intuito prima. Quell’uomo era drogato, probabilmente con hascisc. Chiedo alle guardie di farmi vedere l’altro siriano: dai suoi occhi ho la conferma che anche lui è drogato. “Hashashin!” Il siriano superstite fa un mezzo sorriso. Hashashin, in Arabo, indica gli Assassini, una setta islamica che ha già colpito molti cristiani e musulmani. Gli arabi dicevano che erano dei semplici sicari, al servizio dei loro capi. Si diceva che gli Assassini si drogassero con l’hascisc... Molto tempo dopo, domando a Robin: “Come mai avevi un pugnale sotto l’asciugamano?” “Io non mi separo mai dal mio pugnale. Come hai visto, faccio bene!” Cerco di pesare bene le parole. “Hai fatto in fretta a lanciarti nella vasca. Sospettavi qualcosa?” “Io sto sempre all’erta! Mi dispiace di non essere riuscito a salvare il re.” Gli dispiace veramente? Poche ore prima Robin mi diceva che Corrado era un traditore, una minaccia per il regno cristiano. Poi si è precipitato a colpire i suoi assassini. A cose fatte! Più tardi parlo con Giovanna. Era stata lei a comunicare ad Isabella l’assassinio del marito. Al funerale la regina sembrava disperata, ma Giovanna era scettica. “Isabella si consolerà presto. Riccardo le ha già trovato un nuovo marito. È un nostro parente, Henri de Champagne. Henri sarà un re molto migliore di Corrado. Adesso finalmente Riccardo potrà fare una pace onorevole col Saladino, e andarsene.” Mi viene spontanea una battuta: “Allora avete brindato tutti con Champagne, quando avete saputo della morte di Corrado!” Giovanna non gradisce la mia ironia. “Che cosa vorresti insinuare?” “Niente, ma ho visto che sei stata tu a suggerire ad Isabella di far venire il re all’hammam!” “Conte di Famagosta! Voi stesso potete testimoniare che il re è stato pugnalato dagli Assassini, e che il Conte di Kirenia ha cercato di salvarlo!” Proprio così. Il re sa fare bene i suoi conti!
Il conte di Kirenia organizza un assassinio per lui, ed il conte di Famagosta è costretto a fare da testimone! *** Tutto è andato secondo i piani di Riccardo Cuor di Leone, tranne un piccolo dettaglio. Il Conte di Kirenia non è riuscito a completare il suo lavoro. Uno degli assassini si è salvato, e può parlare. Riccardo non può correre rischi. Robin mi racconta tutto il giorno dopo. “Re Riccardo mi ordinato di lasciare San Giovanni d’Acri immediatamente. Devo andare in Inghilterra. Sembra che alcuni nobili stiano organizzando un colpo di stato per incoronare re suo fratello, il principe Giovanni.” Forse è vero. Ma soprattutto è meglio che Robin non sia qui, se l’assassino parlasse. Robin aggiunge: “Re Riccardo dice che faresti meglio a partire anche tu. Sicuramente avranno bisogno di te in Sicilia.” Ci avevo pensato, ma non riesco a trattenere una battuta sarcastica: “Re Riccardo è molto gentile a permettermi di andarmene, invece di farmi assassinare!” Robin mi tappa la bocca “Mike, attento a quello che dici! Solo dieci anni fa io ero un piccolo fuorilegge. Re Riccardo mi ha preso con sé, e mi ha fatto diventare Sir, e poi Conte. Io farei tutto per lui! Tutto!” Anche uccidere un amico? Robin mi aveva chiamato Mike, il mio diminutivo inglese, per sottolineare che, per lui, io ero sempre un amico, ma questo era il suo ultimo avviso. Non siamo tornati più sull’argomento. Sono stato fortunato. Il giorno dopo il mio colloquio con Robin, arriva ad Acri una nave siciliana. Il capitano porta buone notizie. L’imperatore Enrico è stato sconfitto a Napoli, dal Conte d’Acerra. Il regno è salvo! Ora l’imperatore è in Germania, e sta combattendo contro alcuni feudatari ribelli. Re Tancredi manda a re Riccardo un messaggio per chiedergli il permesso di far ripartire i cavalieri siciliani. Avrà bisogno di loro se Enrico tornerà in Italia.
Permesso accordato! Partiamo tutti. Roberto d’Acerra è ansioso di raccontare le sue imprese al padre. Giordano non ne può più del lavoro in ospedale, e non vede l’ora di ritornare a casa. Non ha conquistato né terre né gloria, ma almeno è vivo. Robin verrà con noi, fino a Salerno, e poi cercherà una nave che lo porti in Inghilterra. Prima della partenza ci sono gli addii. Il primo è con gli Ospitalieri. Il Gran Maestro mi comunica che l’Ordine sta creando una rete d’ospedali in Europa, e mi dà l’indirizzo del loro rappresentante a Roma. Saluto i miei amici all’ospedale sicuro che non tornerò mai più. Mai dire mai! L’addio più triste è quello con Giovanna. La notte prima della partenza facciamo l’amore per l’ultima volta. La nostra relazione è durata, tra alti e bassi, un anno e mezzo. È molto di più di quanto mi potevo aspettare, quando, ad Alcamo, ho fatto cadere dalla finestra il biglietto con i miei primi versi. Rosa fresca aulentissima... La rosa di Giovanna ha ancora un meraviglioso profumo. Adesso che veramente è finita, penso solo ai nostri momenti più belli. Non voglio ricordare, i litigi degli ultimi tempi, la partecipazione di Giovanna al complotto dell’hammam, e soprattutto quella scommessa per cui è stato “messo in mezzo” il povero Giordano. Domando alla mia “rosa”: “Hai mai pensato veramente di sposarmi?” “Ci ho pensato, ma solo come ad un sogno. Se fossi stata una nobildonna qualsiasi l’avrei fatto, ma io sono la sorella di Riccardo d’Inghilterra. Non sarò più regina, ma posso sposare un duca francese, che aiuti mio fratello, contro re Filippo.” Naturalmente lo so già, ma non mi piace sentirlo dire. “Mi scriverai, almeno?” Giovanna scuote la testa. “Forse scriverò ancora dei versi, ma non te li manderò. A che servirebbe?” Giovanna è venuta al porto a salutarmi. Stavolta era veramente un addio. Almeno così credevo!
Capitolo 5 Il Conte di Nocera
Dal ponte della mia nave vedo, in cima alla collina, il castello d’Arechi. Più in basso scorgo la Chiesa di San Matteo e le case di Salerno. A Salerno c’è la mia famiglia. Non li vedo da quasi due anni! Sono partito come Michele Cataldo, neo dottore in medicina. Torno come Michele d’Alcamo, Cavaliere di San Giovanni, Conte di Famagosta, Barone d’Alcamo. Partinico, Baida…e chi più ne ha più ne metta! A Salerno incontrerò anche Rugi. Ruggero, in quest’ultimo anno, è stato spesso in continente, guidando, col conte d’Acerra, la guerra contro l’imperatore. Adesso Rugi sta per tornare in Sicilia, ma prima vuole parlare con me. Me l’ho ha scritto in un brevissimo messaggio che mi ha mandato ad Acri. Naturalmente un re non è tenuto a dare spiegazioni. Al porto di Salerno trovo ad aspettarmi la mia famiglia al completo: mamma, papà, mia sorella Marianna (18 anni) e il mio fratellino Matteo (12 anni). Matteo è cresciuto, ma ha sempre la solita espressione strafottente. Il suo precettore si lamenta che non è capace di scrivere una frase senza errori, né in latino, né in volgare. È bravissimo solo a fare i conti: i suoi conti! Marianna si è fatta proprio una bella ragazza. Mia sorella è sempre stata carina, ma ha sempre fatto disperare papà, perché andava in giro a piedi nudi come una contadina, e ogni tanto si rinchiudeva nella sua stanza a scrivere poesie in provenzale. Adesso Marianna cura molto di più il suo aspetto. Oggi è quasi elegante! Dopo i primi baci e abbracci, presento i miei amici: Giordano e Robin. Giordano era già stato una volta a casa mia. Aveva anche fatto un po’ di corte a Marianna, ma lei lo aveva subito scoraggiato. Oggi mia sorella lo saluta con fredda cortesia. Marianna è molto più espansiva con Robin, che presento come “conte di Kirenia”. Questo titolo impressiona molto papà. Più tardi, in privato, gli spiego che Robin è un conte senza contea, come me. Papà mi fa un sorrisetto. “Vai a trovare Ruggero, e poi ne riparliamo!” ***
Ruggero alloggia in quello che era il palazzo del suo trisavolo Roberto il Guiscardo, quando Salerno era la capitale del regno. Rugi mi accoglie con una stretta di mano. È sempre cordiale, ma non come a Palermo. Ruggero sta imparando il suo nuovo lavoro di re, e non è un compito facile. “La guerra ancora non è finita, e dobbiamo guardarci dai traditori. Adesso anche gli arabi di Sicilia si sono ribellati. Per me i musulmani siciliani possono benissimo continuare a pregare Allah. Basta che accettino che il loro re sono io, e non il Saladino. Ti sembra troppo?” Io lo trovo ragionevole, ma mi rendo conto che Ruggero e Tancredi hanno molti problemi. Se potessi li aiuterei, ma come? Il re mi fa i complimenti per la mia attività di medico in Palestina. Poi mi dà una notizia bomba. “So che re Riccardo ti ha fatto conte, e non voglio che in Italia tu perda il titolo. Michele d’Alcamo, ti nomino conte di Nocera.” Ecco che voleva dire mio padre! Qual è la fregatura adesso? Rugi mi legge nel pensiero perché sorride. “Celi, stavolta non c’è né trucco, né inganno. La tua è una vera contea. Le terre di Nocera sono ben coltivate, e ti daranno una buona rendita. Potrai anche continuare a fare il medico. Anzi, ti aiuterò a costruire un nuovo ospedale, a guerra finita.” Sono ancora perplesso. “Che cosa è successo a quello che era conte di Nocera prima di me?” Ruggero esita a rispondere. “Romualdo di Nocera era un servitore fedele. È stato ucciso, con tutta la famiglia, dai soldati dell’imperatore quando hanno marciato su Salerno.” Spero di non fare la sua stessa fine, ma almeno a Nocera non troverò nessuno che mi contesti il titolo! “Ringrazio il mio re, e sono sempre pronto a servirlo, come suddito e come amico. Mi dispiace solo che non possa aiutarlo a porre fine alla guerra, con una pace onorevole” Rugi sorride. “Non è detto Celi. Forse puoi!” Ecco la fregatura! Ruggero mi racconta com’è andata veramente la guerra con Enrico.
L’avanzata dell’imperatore era stata travolgente. Salerno si era arresa senza combattere. Enrico aveva lasciato la moglie Costanza a Salerno, e aveva assediato Napoli. “L’imperatore aveva quasi vinto! Ci ha salvato solo un’epidemia di peste, e una rivolta in Germania, che ha costretto l’imperatore a tornare a nord. Zia Costanza è rimasta a Salerno.” Quasi dimenticavo, che l’imperatrice Costanza è zia di Ruggero. “Adesso l’imperatrice è tornata in Germania?” “No, mia zia è ancora a Salerno. È nostra ospite, nel Castello d’Arechi.” Comincio a capire. Costanza è prigioniera, come lo è stata Giovanna! “Rugi, non mi vorrai fare il carceriere un’altra volta!” Re Ruggero sorvola sulla mia mancanza di rispetto, e continua a parlarmi da amico: “Celi, con Giovanna d’Inghilterra tu non sei stato solo un carceriere. Tu sei riuscito a fartela amica. Più che amica, da quanto ho sentito dire. Ci hai aiutato a far pace con Riccardo Cuor di Leone. Vorrei che con zia Costanza tu facessi la stessa cosa!” Rugi sta scherzando. Costanza è una vecchia! Ha quasi quarant’anni! “Rugi, non vorrai mica che mi fotta tua zia!” Ruggero risponde serissimo: “Se è necessario, sì!” Ruggero mi chiarisce la situazione. I salernitani gli hanno consegnato Costanza, per farsi perdonare del fatto che prima l’avevano acclamata come regina. Che fare adesso? Costanza, formalmente, è l’unica erede legittima al trono di Sicilia, e non ha figli. Se le succedesse “un incidente”, suo marito Enrico non avrebbe alcun diritto al trono. In teoria la guerra dovrebbe finire con la vittoria di re Tancredi. Ma solo in teoria. “Papa Celestino III ha mandato un messaggio a mio padre, chiedendogli di liberare Costanza. Il papa ha una paura matta dell’imperatore. Forse, se liberassimo sua moglie, potremmo ammorbidirlo, e fare la pace.” Forse, ma Enrico potrebbe interpretare il gesto come una prova di debolezza. E avrebbe ragione. “Rugi, se mi fottessi tua zia cambierebbe qualcosa?” “Non ti ho chiesto di fare lo stallone. Devi fare il diplomatico. Quando te lo dirò, tu accompagnerai zia Costanza a Roma dal papa. Lungo la strada, devi fartela amica. Parlale di poesia, di medicina, delle crociate: tu sei bravissimo con le parole. Devi piacerle, e dove non arrivi con le parole, fai pure lavorare la tua arma! Zia Costanza non è una stupida, ma sempre fimmena è!”
Capisco che, se Rugi mi fa questa richiesta, la situazione del regno deve essere molto difficile. “Sono pronto a combattere per il mio re con tutte le “armi” che ho a disposizione, ma sei sicuro che Costanza può aiutarci a fare la pace con Enrico?” “Non lo so, ma per fare contento il papa dobbiamo almeno provarci. Sto cercando di guadagnare tempo per trovare degli alleati… ma questo lo saprai a tempo debito. Domani vado a Napoli: ne riparliamo al mio ritorno” A questo punto potrei prendere congedo, ma voglio dimostrare a Rugi che intendo meritarmi la mia contea. “Che ne dici se passo subito a trovare l’imperatrice Costanza?” Ruggero sorride soddisfatto. “Perché no? Va, e fatti onore!” *** L’imperatrice è “nostra ospite” nel Castello d’Arechi. Costanza ha uno sguardo penetrante, e trasuda autorità da tutti i pori. Dimostra tutti i suoi 38 anni. Non è bella, e tanto meno sensuale. Rugi una volta mi ha detto che doveva farsi suora. Io la vedrei, almeno, come badessa di un monastero importante. Io mi presento a lei come “Conte di Nocera”. Costanza sembra perplessa. “Io ho conosciuto il conte Romualdo di Nocera. Era leale e coraggioso. Peccato che abbia scelto il re sbagliato! Siete un suo parente?” Potrei raccontarle una balla, ma capisco che sarei subito scoperto. “No, re Ruggero mi ha affidato da poco la contea di Nocera. Sono anche conte di Famagosta.” “Famagosta sta nell’isola di Cipro, ma voi non siete greco. Avete guadagnato il titolo durante la Crociata, vero?” In un certo senso è vero. Annuisco. Costanza sorride, compiaciuta. “Non vi dovete vergognare della vostra nobiltà recente. Tra qualche secolo i vostri pronipoti saranno fieri di avervi come antenato. Voi siete il primo della vostra stirpe, e io l’ultima della mia” Interessante, come punto di vista. Non me lo sarei mai aspettato da un’imperatrice. Non sono d’accordo solo sulle ultime parole. “Madonna, ci solo altri Altavilla oltre voi: Re Tancredi, Re Ruggero, il principe Guglielmo...” Costanza scuote la testa. “Quelli non sono veri Altavilla. E non vivranno a lungo.” La sicurezza di Costanza mi fa rabbrividire.
“Madonna, vostro nipote Ruggero desidera solo fare pace con voi.” “Davvero? E allora perché non è venuto lui stesso a parlare con me? Da quando è nato, l’avrò visto sì e no due o tre volte!” Ci avevo pensato anch’io, ma capisco benissimo Rugi. A che serve essere re, se non si riesce a rifilare a qualcuno le rogne più grosse? “Sono sicuro che il re sarà lietissimo di incontrarvi prima della vostra partenza per Roma.” “Ruggero non è un vero re. Capisco che lo è per voi, ma non dimenticate quello che è successo all’altro conte di Nocera.” “Ruggero non è solo il mio re. È anche un amico. Abbiamo studiato insieme alla Scuola Medica Salernitana?” “Oh! Siete un medico?” Adesso Costanza è veramente curiosa. Mi fa un sacco di domande e io le rispondo volentieri. Costanza mi dice che ha conosciuto tanti dottori a Salerno. Dice che sono tutti palloni gonfiati. Non posso darle torto. Forse greci e latini conoscevano la medicina più di noi. Forse un giorno si riuscirà veramente a curare le malattie, ma non in questo secolo. Mi accorgo di parlare volentieri con lei. La saluto dicendole che tornerò presto a trovarla. Lei sorride. “Venite quando volete. Tanto io sono qui!” *** È stata una giornata intensa, e spero potermi rilassare un po’ a casa. Invece… Non faccio in tempo ad aprire il cancello del giardino, che sono colpito in faccia da una palla di cuoio. Subito dopo arriva un ragazzino, che recupera il pallone, e, senza una parola di scusa, lo lancia verso Matteo. Corro verso mio fratello e lo blocco: “Che diavolo state combinando?” Matteo mi dice, come se niente fosse: “Hai visto che forza, questa palla? Me l’ha portata Francesco, da Assisi.” Francesco è il ragazzino che mi ha dato “il benvenuto”. Suo padre, Pietro Bernardone, è socio di mio padre nel commercio di stoffe, ed è nostro ospite a Salerno, con tutta la famiglia. Vedo che con Matteo e Francesco gioca anche un altro ragazzino più piccolo. È il principe Guglielmo, il fratellino di Rugi, che è amico di Matteo. Robin mi dice che la palla è simile a quella con cui giocano in Inghilterra.
Il calcio non è un gioco da gentiluomini, ma Robin non è nato nobile, e neanch’io. Giordano è d’antica famiglia napoletana, ma visto che contro di noi gioca anche un principe di sangue reale, non può certo tirarsi indietro Formiamo due squadre: tre “guagliuncelli” contro tre “vecchierelli”. Mio padre fa da arbitro. I “guagliuncelli” vanno subito in vantaggio. Guglielmo è piccolo, ma velocissimo, e Francesco sembra non capire che i calci bisogna darli alla palla, e non alle gambe degli avversari. In porta Matteo fa parate strepitose. Noi “vecchierelli” abbiamo in porta Giordano, che si fa infilare un sacco di “goals”. Poi un tiro fortissimo di Guglielmo lo prende in pieno “sul basso ventre”, ed è costretto a lasciare il campo. Il suo posto viene preso da Marianna che è ansiosa di fare bella figura con Robin. Mia sorella fa delle splendide parate, e permette prima a Robin, e poi a me, di segnare in contropiede. La partita è interrotta dall’arrivo di mia madre che c’invita ad andare a cambiarci per la cena. “Guagliuncelli” e “vecchierelli” si stringono la mano. Guglielmo si scusa con Giordano, e Marianna coglie l’occasione per abbracciare Robin. La sera parlo da solo con mio padre. Naturalmente papà sapeva già della mia nuova contea. Anzi stava progettando una gran festa per me, con tutta l’aristocrazia salernitana! “Adesso hai 25 anni, ed è tempo che tu ti trovi una bella moglie. Sei conte, amico del re, ed anche Cavaliere dell’Ordine degli Ospitalieri. Puoi permetterti una ragazza d’antica nobiltà!” Qualcosa nel tono di papà non mi piace. “Non mi dirai che hai già combinato il mio matrimonio?” “E anche se fosse? L’ho fatto per il tuo bene! La ragazza è il miglior partito di Salerno: Caterina di San Severino!” Papà ha ragione. Caterina è la ragazza più in vista di Salerno, e anche la più stronza! L’ho incontrata una volta sola, quando studiavo all’università. Io ero stato ammesso a casa sua, solo perché amico di Rugi. Lei era bella, elegantissima, e con la puzza sotto il naso. Non mi aveva degnato di uno sguardo! “La ragazza è d’accordo?” “Il padre è d’accordo. Tu hai il titolo, e io i soldi. Che può pretendere di più il conte, per sua figlia?”
Così i San Severino accettano di mescolare il loro sangue con quello dei Cataldo. Ma il mio parere non conta niente? A fatica convinco mio padre a rimandare l’annuncio del fidanzamento. Intanto papà e il conte di San Severino finiranno di preparare il contratto di nozze. “Non vorrai mica fare storie? La ragazza è bella, ricca, e appartiene alla famiglia più potente del principato di Salerno. Che vuoi pretendere di più?” Non posso certo dire a papà che una contessina fa ben poca impressione a chi è stato l’amante di due regine. Qui parliamo di matrimonio. Il matrimonio è solo un affare: per re, nobili e mercanti. Ripenso a Berengaria. Per lei sposare Riccardo Cuor di Leone è stato un buon affare? D’altra parte, alcuni matrimoni combinati possono anche andare bene: come quello di mio padre (mercante pugliese) e mia madre (figlia di un armatore siciliano). Sono perplesso. Il ricordo di Giovanna comincia a sbiadire. Forse dovrei voltare pagina. *** Il giorno dopo “vado a salutare”, i San Severino”. Il conte Gustavo mi accoglie con una cordialità che mai dimostrato in passato. Suo figlio Adalberto, che prima mi aveva sempre snobbato, ora mi saluta come un vecchio amico. La contessina si degna di farsi vedere solo verso la fine della mia visita. È sempre bella ed elegante. Mi permette di baciarle la mano. Devo ammettere che Caterina è notevolmente migliorata in questi ultimi due anni. La ragazza che ricordavo si è fatta donna, ed il suo sguardo ha qualcosa di malizioso che è quasi una sfida. Io alle sfide non mi tiro mai indietro. Il conte m’invita ad andarli a trovare quando voglio. Io ringrazio, e prometto che ritornerò. La settimana successiva Giordano parte per Aversa. Ha appena saputo che il fratello è morto senza eredi e spera in una grossa eredità. Mi rassicura che tornerà in tempo per la mia festa. Robin resta a Salerno. Marianna lo ha convinto a partire con la nave di Pietro Bernardone. Io faccio una breve visita al mio feudo di Nocera. L’intendente mi fa vedere il mio palazzo, le terre, e la contabilità. Trovo anche dei locali adatti per il mio nuovo ospedale.
Tutto sembra andare a gonfie vele, eppure ho un senso d’inquietudine. Vado a coricarmi nella camera da letto che apparteneva al precedente conte di Nocera. La stanza è ariosa, il letto è comodo, ma ho difficoltà a prendere sonno. Quando riesco finalmente ad appisolarmi, ho un incubo. Sono nell’hammam di San Giovanni d’Acri, disteso nella vasca, e l’acqua è color rosso sangue. Il sangue non è mio. Sta uscendo dalle ferite di un’altra persona che galleggia accanto a me, con gli occhi sbarrati. Lo riconosco: è Ruggero! Mi risveglio di colpo. *** Appena tornato da Napoli, Ruggero mi manda a chiamare. Gli riferisco il primo mio colloquio con Costanza. Il re ascolta soddisfatto. “Stai andando bene. Sembra che tu le sia simpatico.” “Forse. Ma tu no!” “Mi sarei meravigliato del contrario. Io non l’ho mai potuta soffrire quella strega! Non vedo l’ora di rimandarla dall’imperatore. Lo chiamano Enrico il Crudele! La zietta ha il marito che merita!” Cambio discorso. “Rugi, sei più tornato alla Scuola Salernitana? Mi hanno detto che hanno un diploma anche per te.” “Ci sono passato ieri, ma non per il diploma. Ho chiesto al professor Teofilo di andare a Palermo, a visitare mio padre.” Perché Rugi fa venire in Sicilia uno dei medici più famosi? Ruggero previene la mia domanda. “Sì, mio padre non sta bene, ma tienitelo per te. Appena sistemata questa faccenda di zia Costanza, torno in Sicilia. Papà dice che il destino del regno è nelle mie mani.” Ripenso al mio ultimo sogno, con Rugi morto nel bagno turco. Se a Ruggero succedesse qualcosa... “Senti Rugi, sarà una stupidaggine, ma devo raccontarti un sogno che ho fatto.” Ruggero ascolta attentamente. Non ride. “Interessante. Anche mamma mi ha detto di avere avuto dei sogni premonitori. Forse non è solo per caso che si chiama Sibilla! Ti devo far vedere una cosa.” Ruggero mi mostra un pugnale. Nell’impugnatura ci sono dei caratteri arabi.
“Ho trovato questo pugnale sotto il cuscino ieri mattina. Ne hai visti come questo, in Palestina?” Annuisco “Una volta. In un bagno turco.” “È quello usato dalla setta degli Assassini, vero? Dicono che talvolta lo mandino come avvertimento.” “Lo sanno tutti. Forse qualcuno vuole metterti su una falsa pista.” “Forse. Come dicono che è successo a San Giovanni d’Acri. Chi ha fatto uccidere il re di Gerusalemme? Gli Assassini, o Riccardo Cuor di Leone?” Il discorso si sta facendo pericoloso. Rispondo con cautela. “Non lo so. Una cosa non esclude l’altra.” Ruggero chiude il discorso. “Non importa. Adesso Riccardo Cuor di Leone è un nostro alleato, e può farci comodo. Tra poco tornerà in Europa.” Penso subito a Giovanna. “Passerà per la Sicilia?” “Spero proprio di no! Sarebbe capace di chiederci altri soldi! Non ci pensare adesso, e continua a lavorarti mia zia!” *** Nei giorni successivi vado spesso a trovare Costanza. Non lo faccio solo per dovere. Più passa il tempo e più mi rendo conto che mi piace parlare con lei. Parliamo di tutto: politica, medicina, poesia…e anche questioni personali. Un giorno mi ritrovo a parlare di matrimonio. Anzi del mio matrimonio. “Oggi sono andato a trovare “la mia fidanzata”. Non sapevamo cosa dire.” Costanza sembra contenta da farmi da confidente. “Capita spesso, tra marito e moglie. Almeno la ragazza ti piace?” “Non saprei. Pensavo che una contessina dovesse avere un po’ di cultura, e invece sa appena leggere. Non sa niente di poesia, e conosce solo a memoria la storia del suo casato. Dice che i San Severino discendono dai patrizi romani.” Costanza scuote la testa “Non mi risulta. A quanto ne so, la loro nobiltà, non è più antica di un secolo.” “Sì, ma lei è nata nobile, e io no. È così importante?” Costanza sorride. “Per chi non ha altri meriti, sì!” Costanza altre doti ce l’ha. E Caterina?
“Non ho ancora capito se le piaccio. Perché dobbiamo fare per forza un matrimonio combinato?” “Tutti fanno un matrimonio combinato. L’ho fatto anch’io!” Colgo l’occasione per fare a Costanza una domanda molto personale. “Scusate madonna, voi perché avete sposato vostro marito?” Costanza non si scandalizza per la mia domanda. “Me lo sono chiesta spesso anch’io. Nessuno mi ha costretto. Avrei potuto restare in convento, se volevo. Non mi sono sposata nemmeno per diventare imperatrice. La moglie dell’imperatore non conta niente. La verità è...” Costanza mi guarda negli occhi: “Volevo un figlio. Enrico è giovane come te, e speravo che mi potesse dare un figlio. Farei qualunque cosa per avere un figlio mio!” Mi sento rabbrividire. Il nostro discorso è fortunatamente interrotto da una guardia, che viene ad annunciare l’arcivescovo di Salerno. Costanza risponde seccamente che non ha intenzione di vedere Sua Eccellenza, né adesso né mai. Quando la guardia esce, Costanza sbotta: “Quel maledetto ipocrita! È stato lui a farmi mettere in prigione. La pagherà cara!” Cerco di calmarla. “Madonna, non credo che l’arcivescovo sia direttamente responsabile.” “E chi altri se no? Dovevate vedere come “Sua Eccellenza” era servile quando c’era l’imperatore! Quando è arrivato l’esercito del conte d’Acerra, l’arcivescovo non sapeva che fare per farsi perdonare. Sembra che l’idea di consegnarmi a Tancredi sia venuta ad un mercante di queste parti, e l’arcivescovo è venuto a prendermi con le sue guardie: Per la vostra stessa sicurezza, madonna!” Torno a casa con un terribile dubbio. Chiedo a mio padre: “Chi ha avuto l’idea di far arrestare l’imperatrice Costanza?” Papà impallidisce. “L’arcivescovo è venuto da me perché sapeva che io ero amico di Tancredi. Io gli ho detto che il re sicuramente avrebbe gradito un bel gesto da parte dei Salernitani.” “Allora è vero! Il mercante di cui mi ha parlato Costanza sei tu!” Papà annuisce. “Non lo dire a nessuno. Se lo viene a sapere Enrico il Crudele, siamo tutti morti!” ***
La settimana dopo Ruggero mi comunica la data della mia missione a Roma. Costanza ed io partiremo tra una settimana. “Ho ricevuto un messaggio incoraggiante dal papa. Se l’imperatore ci attaccherà, avremo degli alleati. Incontrerai i loro rappresentanti a Roma.” Sono sorpreso. “Allora sono stato promosso da semplice accompagnatore ad ambasciatore?” “In un certo senso sì, ma non ufficialmente. I nostri alleati non si vogliono esporre, e tu sei la persona più adatta per dei “colloqui informali”. Il nostro ambasciatore presso la Santa Sede ti darà tutti i dettagli.” Ringrazio formalmente il re per la sua fiducia. Poi chiedo a Rugi: “Ci sarai alla festa per il mio fidanzamento?” “Non me la perderei per nessuna ragione al mondo!”
Capitolo 6 La resa dei conti (AD 1192)
Ormai siamo arrivati alla resa dei conti, in tutti i sensi. Alla mia festa di fidanzamento ci saranno un bel po’ di conti: il conte Riccardo d’Acerra ( con il figlio Roberto), il conte di Gustavo di San Severino (con i figli Caterina e Adalberto), il conte di Kirenia (Robin), e, tanti altri. Anche Giordano è diventato conte. Me lo dice appena tornato da Aversa, ma è tutt’altro che contento. Il fratello gli ha lasciato solo il titolo, e tanti debiti. Sono sorpreso. “Non capisco. Credevo che Aversa fosse una contea ricca.” “Lo credevo anch’io, ma mio fratello ha tartassato i contadini, e poi ha sperperato tutto il patrimonio. Mi è rimasto solo un castello in rovina e pochi acri di terra che nessuno coltiva più!” Sembra che la sfiga non si decida ad abbandonare Giordano. Provo a suggerirgli una soluzione “La terra d’Aversa è buona. Se trovi dei bravi contadini, l’anno prossimo avrai già un buon raccolto.” Giordano scuote la testa. “Dici bene tu che sei ricco, e stai per sposare la più bella ragazza di Salerno. Inguaiato come sono, a me chi mi sposa?” Cerco di rincuorarlo. “Non ti buttare giù. Dopotutto sei conte, e hai combattuto nella Crociata. Potresti trovare una moglie ricca, e investire i soldi della dote nelle tue terre. ” Giordano mi guarda perplesso. “Tu dici? Vabbè! Io ci provo!” Dopo la colazione faccio il giro della casa. Mia madre sta dando istruzioni in cucina, e mio padre è andato dall’arcivescovo. Non trovo Robin. Mi dicono che si è alzato prima di me, ed è uscito. Anche Marianna è introvabile. Forse non è una combinazione. Decido di fare due passi verso il castello di Arechi. Magari potrei fare anche una chiacchierata con Costanza. Il nostro viaggio a Roma è tra pochi giorni. Sulla strada mi sembra di vedere, davanti a me, Giordano. Affretto il passo per raggiungerlo, ma mi accorgo che lui prende un sentiero che sale in alto, verso una villa che conosco.
Seguo Giordano da lontano. Lo vedo girare intorno alla recinzione del giardino, fino ad un punto in cui il muro è più basso. Giordano si guarda intorno furtivo, poi scavalca il muretto. Dalla villa una ragazza corre verso di lui. È Caterina di San Severino. Mi nascondo, e ascolto quello che dicono. “Catarì! Pecchè me dici ste parole amare?” “Giordano, non pensarci più! Devo sposare Michele Cataldo. Adesso è anche conte!” “Sono conte anch’io! La mia famiglia è più antica della tua!” “Giordano, papà ha bisogno di soldi, e solo il padre di Michele glieli può dare. Papà risparmia la dote, e si piglia pure i denari!” A questo punto non ce la faccio più e mi faccio vedere. Caterina arrossisce. Giordano borbotta: “Michele, me l’avevi detto tu di provarci, no?” “Sì, ma tu non mi avevi detto che volevi sposare la mia fidanzata!” Giordano ritrova il suo coraggio: “Ma quale fidanzata! Tu la conosci appena! Caterina ed io stiamo insieme da quando andavo alla Scuola Medica Salernitana. Io non ero niente, ma lei mi voleva bene lo stesso.” Guardo Caterina, e improvvisamente la vedo in una luce diversa. Adesso la contessina ha perso tutta la sua boria. “Michele! Tu sapevi già che non ti potevo sposare per amore. Ti supplico solo di non dire niente a papà. Non per me, ma per Giordano!” Caterina si stringe tra le braccia di Giordano, e si mette a piangere. Come ho fatto a non accorgermene subito! “Caterina, non ho nessun’intenzione di costringerti. Siamo ancora in tempo a rompere il fidanzamento!” “No, è troppo tardi. Se solo Giordano fosse riuscito a farsi una posizione alla Crociata! Adesso, se tu non mi sposassi, sarei disonorata, e Giordano rischierebbe la vita. Dimentica tutto Michele, ti prego!” Come posso sposarmi a queste condizioni? Eppure, me lo chiede anche Giordano: “Michele, È stata tutta colpa mia! Perdonala!” Mi allontano lasciando Caterina tra le braccia di Giordano. Mi sento in colpa con Caterina, con Giordano, e con mio padre. Come posso trovare una via d’uscita? ***
Fa un caldo afoso, e solo in alto c’è un po’ d’aria. Salgo verso il castello, ma non ho più voglia di andare a trovare Costanza. Mi dirigo verso un luogo dove andavo da ragazzo. Ci sono degli alberi, e una splendida vista. Mi sistemo nel mio posto preferito, sotto un cespuglio, da cui si vede il villaggio di Vietri, e l’inizio della costiera amalfitana. Dal mare arriva una piacevole brezza. Per qualche minuto mi rilasso. Sto quasi per appisolarmi, quando sento delle voci, dietro di me. “Papà, assettateve accà!” “Finalmente un po’ d’aria! A casa si crepa dal caldo.” Le voci appartengono alle ultime persone che volevo incontrare: il conte Gustavo di San Severino, e suo figlio Adalberto. Nel punto in cui mi trovo non mi possono vedere. Sto per alzarmi e salutarli, ma poi alcune parole del conte mi bloccano. “Domani finalmente potremo fare l’atto d’acquisto di quei terreni. Quel taccagno di un Cataldo ha detto che caccerà i soldi solo dopo il fidanzamento ufficiale.” “Papà, ci dobbiamo proprio imparentare con quella gente?” “Adalberto, i tempi cambiano. Con queste crociate, anche i pezzenti diventano nobili! E poi, che re abbiamo adesso! Tancredi e Ruggero sono dei bastardi. Guglielmo il Buono sì che era un vero Altavilla!” “Papà, però sia ben chiaro! Io, Marianna Cataldo, non me la sposo!” “Non ho mai pensato a fartela sposare. Ho detto a suo padre che ci avrei riflettuto, ma figuriamoci se una villana come lei può diventare una San Severino! Va sempre in giro scalza, e una volta l’ho vista perfino giocare a palla!” “C’è di peggio papà! Quella legge! Scrive poesie! Se le donne si mettono a fare le intellettuali, dove andiamo a finire?” “Stasera almeno cerca di farti amico Michele Cataldo… pardòn: “Michele d’Alcamo, di Famagosta e Nocera”. Ha più titoli di me, quel cafone arricchito!” Resto in silenzio a sentire altre amenità di questo tipo. Ormai devo aspettare che se ne vadano. Prometto a me stesso che me la pagheranno. Oh se la pagheranno! *** Tornato a casa, incontro Marianna. Mia sorella mi saluta con un bacio, e tanti complimenti. Marianna fa sempre tante moine prima di chiedermi un favore. Sto al gioco, aspettando di sentire cosa vuole.
“Celi, mi sono innamorata!” Ripenso al discorsetto che ho appena sentito. “Per me va bene chiunque, purché non sia Adalberto di San Severino!” “Quel damerino? Ho detto a papà che piuttosto mi faccio monaca! Il mio innamorato è bello, buono, nobile... ed è anche tuo amico.” “Robin! Ma se vi conoscete appena!” “Celi, è stato un colpo di fulmine! Robin mi vuole sposare, e portare in Inghilterra!” Parlo con Robin, poco dopo, da solo. Il mio amico sembra deciso. “Mike, parto tra pochi giorni. Aiutami a convincere tuo padre.” Sarà dura per papà lasciare andare Marianna così lontano, ma la mia preoccupazione è un’altra. Marianna è sicuramente innamorata, ma lo è anche Robin? “Robin, io voglio che mia sorella sia felice. Non voglio che lei faccia la fine di Berengaria.” Robin mi guarda perplesso. “Che c’entra Berengaria? Io non sono mica Riccardo Cuor di Leone!” “No, ma tu sei un suo grande amico, ed anche amico mio. Non è che tu sposi la sorella perché non puoi sposare il fratello?” “Celi, che dici? Io ti voglio bene, ma il sentimento che provo per Marianna è completamente diverso!” Lo spero bene! Devo prima chiarire una questione. “Robin, tu sei mai stato a letto con Berengaria?” Robin esita. “Sì, qualche volta.” “C’era anche re Riccardo?” La risposta di Robin è disarmante. “La prima volta c’era anche lui. Non mi sarei mai permesso di andare con la regina senza il permesso del re.” Come temevo! Robin si affretta a chiarire. “Io amo Marianna! Non farei mai questi giochetti con lei! Mi credi?” “Voglio crederti!” Più tardi faccio una lungo discorso con mio padre. Ci sono tante cose da chiarire, importanti decisioni da prendere. La discussione è lunga, ma alla fine troviamo un accordo. ***
Alle sette di sera tutto è pronto per il ricevimento. Il giardino è illuminato da fiaccole, dal cancello d’ingresso fino alla zona in cui sono state sistemate le tavole imbandite, con gli antipasti. In cucina sono pronte le pietanze calde. C’è di tutto: carne, pesce, frutti di mare... Cominciano ad arrivare i primi ospiti. Gli ultimi sono, naturalmente, quelli con una maggiore percentuale di sangue blu: i conti di San Severino, i conti d’Acerra, e infine, re Ruggero. Io spiego a Ruggero che nella mia vita privata c’è stato un cambio di programma. Rugi ascolta divertito il mio piano, e promette che starà al gioco. Vedo che il conte Gustavo di San Severino guarda con molta attenzione io e Rugi che parliamo. Quando il re si allontana, il conte mi viene incontro, quasi “scodinzolando”. “Michele, Re Ruggero ci ha fatto un grande onore a venire a questa festa.” Rispondo con noncuranza: “Davvero? Non dicevate che lui e suo padre sono dei bastardi? Che fanno nobili villani e cafoni arricchiti?” Il conte impallidisce: “Avete detto queste cose al re?” “No. Non intendo farlo, se voi non mi costringete.” Il conte vorrebbe replicare, ma papà c’invita tutti a sederci a tavola. Al tavolo principale c’è il re, la mia famiglia, e tutti i conti, compresi Robin e Giordano. C’è anche Pietro Bernardone, altamente onorato di cenare in una così illustre compagnia. Non c’è invece suo figlio Francesco. Per evitare problemi gli abbiamo permesso, di cenare, con Matteo, insieme alla servitù, dall’altra parte del giardino. Cominciano a portare le pietanze. Tutti mangiano di gusto tranne il conte di San Severino, che spilluzzica appena il cibo e continua a guardarmi inquieto. Adalberto non ha capito niente, e continua ad abboffarsi. Caterina ha messo la sua maschera di gran dama. Sorride, e dice solo parole di circostanza. Giordano è nervoso, ma cerca di darsi un tono. Robin è seduto accanto a Marianna, e si scola una coppa di vino dopo l’altra. Arrivati al dessert, mi alzo e prendo la parola: “Ringrazio re Ruggero per avere onorato la nostra casa con la sua presenza. Ringrazio anche gli altri illustri ospiti per essersi uniti a noi per festeggiare insieme alla nostra famiglia. Sto per annunciare un fidanzamento...” Faccio una pausa ad effetto.
“... il fidanzamento di mia sorella Marianna col mio amico Robin di Sherwood, conte di Kirenia.” Applaudo gli sposi, seguito dagli altri commensali. Marianna abbraccia Robin, e gli dà un bel bacio, sulla bocca, davanti a tutti. I San Severino sembrano scandalizzati, ma tutti gli altri applaudono ancora più forte. Riprendo la parola. “Colgo l’occasione che siamo tutti riuniti intorno a questa tavola, per anticiparvi la notizia di un altro fidanzamento...” Altra pausa ad effetto “Voglio fare gli auguri al caro amico Giordano, conte d’Aversa ed eroe della crociata, che sta per sposare la qui presente Caterina di San Severino.” M’interrompo di nuovo, bloccando il padre di Caterina, che sta per alzarsi, e indicando il re. “Mi scuso col conte Gustavo per avere dato io la notizia, ma ho voluto essere il primo a fare gli auguri a Giordano e a Caterina, di fronte al nostro re. Caterina, sei molto fortunata a sposare un valoroso combattente, un valente medico e, soprattutto, un grande amico.” Caterina coglie al volo il messaggio. Dice: “Grazie Michele, lo so!” Caterina si alza e, imitando Marianna, tra lo stupore generale, va a baciare Giordano, che è ancora imbambolato. Tutti applaudono gli sposi, tranne, naturalmente, Gustavo e Adalberto di San Severino. Adalberto guarda il padre senza capire. Gustavo capisce benissimo, ma non può più farci niente, visto che il fidanzamento è stato ufficializzato davanti al re. Ormai il conte deve tenersi Giordano come genero: per amore o per forza! Non voglio dare ai San Severino il tempo di riflettere. Organizzo altri brindisi alle due coppie di sposi, e Gustavo è costretto ad unirsi agli auguri di tutti. Più tardi, il conte d’Acerra mi chiede: “Non dovevi essere tu a sposare la contessina di San Severino?” Rispondo candidamente: “Non so chi ha sparso questa voce. Caterina è stata sempre innamorata di Giordano. Ho voluto fare un piacere ad un amico, forzando un po’ la mano al padre.” Alla prima occasione Caterina mi prende in disparte e mi ringrazia: “Michele, sei stato grande! Nessuno era mai riuscito a fare fesso papà! Sai che adesso quasi mi dispiace che non ci sposiamo?”
“Un po’ dispiace anche a me, ma sono sicuro che tu e Giordano sarete felici insieme. Piuttosto cercate di sposarvi appena possibile, prima che tuo padre trovi una scusa per cambiare idea.” Caterina assume un’aria sorniona. “Ci ho già pensato. Dirò a papà che sono incinta, e che ci dobbiamo sposare subito.” “Caterina, non stai esagerando? Non c’è bisogno che tu dici una bugia!” “Forse non è una bugia!” Faccio un po’ di conti. Siamo a Salerno da più di un mese. Se Giordano si è precipitato da Caterina appena arrivato...” “Giordano lo sa?” “Non ancora. Glielo dico domani.” Caterina non finisce mai di stupirmi. Che cosa avrebbe inventato se avesse sposato me? Meglio non indagare! *** Re Ruggero è il primo a lasciare la festa, seguito dai conti d’Acerra. Poco dopo vanno via anche i conti di San Severino, e tutti gli altri. Restano solo Robin, ormai ufficialmente fidanzato a Marianna, e Giordano, che è stato “invitato” a presentarsi a Palazzo San Severino, il giorno dopo. Giordano non fa che ringraziarmi: “Celi, tu mi hai ridato la vita. Non scorderò mai quello che hai fatto per me! Mai!” In realtà non l’ho fatto solo per lui e Caterina. Finalmente mi sono tolto il senso di colpa che avevo nei confronti di Giordano, per lo scherzetto che gli aveva fatto Berengaria. Adesso tutti sono felici: Robin, Marianna, Giordano, Caterina... Ed io? Sono rimasto solo. Ho detto a papà che non ho alcuna fretta di sposarmi. Prima devo portare a termine la mia missione a Roma, con l’imperatrice Costanza. Poi si vedrà. Guardo Robin e Marianna, abbracciati, con una punta d’invidia. Forse tra me e Caterina in altre circostanze poteva anche funzionare... Sento una musica provenire dai locali della servitù. Mi avvicino, e vedo che i “villani” talvolta sanno divertirsi di più dei nobili. La musica è travolgente, e la gente canta e balla saltellando con un ritmo frenetico. È una danza popolare che imita i movimenti di chi è morso da una tarantola, e per questo è chiamata “tarantella”.
I preti la condannano perché deriverebbe da un antico rito pagano. In ogni caso i villani si divertono, e come! Ballano tutti: vedo saltellare anche Matteo e Francesco. Mi avvicino al gruppo e tutti m’invitano ad unirmi al ballo. Io mi schermisco, ma una servetta mi prende per la mano e m’insegna i primi passi. Mi chiede: “Ce l’hai la morosa?” “Ce l’avevo, ma oggi mi ha lasciato. Sposa un altro.” “Poereto!” La servetta mi dice che si chiama Rosina, e viene da un paese vicino a Venezia. Capisco a fatica il suo “volgare veneto” ma non m’importa. Probabilmente io e lei, stasera, c’infratteremo da qualche parte, ma adesso sono tutto preso dalla danza. Ci prendo gusto, e comincio anche a fare i passi più complicati. Tutti battano le mani seguendo il ritmo. Improvviso una strofa: Tarantella del conte dottore. Facite ‘o favore, ballate cummé. Tarantella, l’Italia traballa, ma intanto si balla col papa e col re. *** Prima di partire per Roma assisto al matrimonio tra Robin e Marianna, nella piccola chiesa di Vietri. Il celebrante è un frate grande e grosso, anche lui in partenza per l’Inghilterra. Il suo nome è Gaetano Tucciarone, ma Robin lo chiama Frate Tuck. Alla cerimonia ci sono solo pochi intimi. Facciamo da testimoni io e Giordano. Caterina è la damigella della sposa. Mio padre è molto emozionato mentre accompagna Marianna all’altare. Non è stato facile convincere papà a dare il suo consenso. Ha ceduto solo dopo che gli ho fatto notare che Robin ha la piena fiducia di re Riccardo, e un giorno si farà un nome. Sono stato un buon profeta.
Molti anni dopo ho sentito molte storie romanzate su Robin Hood e i suoi allegri compagni, tra cui Little John e Frate Tuck. Anche mia sorella è entrata nella leggenda, col nome di Lady Marian. In queste storie di vero c’è ben poco. L’unica cosa sicura è che Robin non è riuscito a raggiungere l’Inghilterra in tempo per impedire il colpo di stato, che ha portato al potere il principe Giovanni Senza Terra. Robin allora è tornato alla sua foresta di Sherwood, dove ha organizzato una guerriglia contro i tirapiedi del principe Giovanni, preparando il ritorno di Riccardo Cuor di Leone. Ma questa è un’altra storia.
Capitolo 7 L’ambasciatore (A. D. 1192)
Sulla strada per Roma io e Costanza facciamo una breve sosta a Nocera. Costanza è molto interessata al progetto del mio nuovo ospedale. “La vostra è una buona iniziativa. Posso provare a parlarne con l’imperatore. Dopotutto voi non avete combattuto contro Enrico, anzi mi avete fatto liberare. Forse l’imperatore potrebbe perfino lasciarvi la contea di Nocera.” Nelle parole di Costanza c’è un sottinteso che non mi piace. “Madonna, la contea di Nocera mi è stata donata da re Ruggero. Il mio compito è cercare di far rappacificare il mio re con l’imperatore, non di tradirlo.” Costanza sorride. “La vostra lealtà vi fa onore, ma il compito che vi è stato assegnato è impossibile. Voi, forse, vi potete salvare, Ruggero no.” *** Passata Napoli prendiamo la Via Appia, che è ancora la più importante strada del regno. Passiamo il confine con lo Stato Pontificio e ci fermiamo a Terracina, dove siamo ospiti del barone Cencio Frangipane. Il barone ha circa trent’anni. È signore di Terracina, ma è nato e cresciuto a Roma, e parla in un volgare romanesco abbastanza comprensibile. Cencio ci racconta molte storie piccanti sulla corte del papa. Riesce ad essere galante anche con Costanza che apprezza lo scherzo e le battute allusive, molto più di quanto mi sarei aspettato. Dopo cena un’ancella ci accompagna alle nostre camere. Mi spoglio e mi sdraio nel letto. È stata una giornata dura, e il giorno dopo dovremo svegliarci presto. Sento bussare alla porta. Chiedo chi è, ma non ottengo nessuna risposta. Solo altri colpi, più forti. M’infilo un camicione, e vado ad aprire. Mi manca il fiato. Davanti a me c’è l’imperatrice in persona. Costanza è in camicia da notte e ha i capelli sciolti. Mi domanda come se niente fosse: “Allora, messere, non mi fate entrare?”
“Naturalmente madonna, ma non capisco che cosa vi ha indotto a venire da me.” Costanza entra. La sua camicia lascia intravedere un corpo tornito e invitante. Forse dipende dalla luce fioca delle candele, ma adesso l’imperatrice sembra anche più giovane. “Veramente non capite? Eppure vi credevo un tipo sveglio!” Avrei dovuto sapere che questo momento sarebbe arrivato, ma sono del tutto impreparato. Forse perché finora ho parlato con Costanza come un’amica, una specie di zia. Rugi aveva ragione: sempre fimmena è! “Madonna, qualcuno potrebbe avervi visto. Domani voi sarete da vostro marito...” “Non mi ha visto nessuno. Ho mandato via la mia ancella tedesca. Anche se un servo mi vedesse uscire, avrebbe il buon senso di tenere la bocca chiusa.” Ripenso a quello che ho promesso a Ruggero. Non mi posso tirare indietro. “Madonna, voi mi fate un grande onore. Spero solo che voi...” Costanza non mi lascia finire. Mi stringe a sé. Infila la mano sotto il mio camicione... Qualche tempo dopo, mi alzo dal letto per aprire la finestra, e fare entrare un po’ d’aria. Fa caldo. Costanza è distesa nuda sul mio letto, ad occhi chiusi. Non è male, per la sua età. Penso che è la terza regina che con cui sono andato a letto. Dubito che sia mai successa una cosa simile, ad uno che non ha neanche una goccia di sangue blu! Costanza apre gli occhi. “Vi ringrazio, messere. Spero che questa sia la volta buona!” Non capisco. Costanza chiarisce immediatamente. “Oggi era il giorno più adatto. Forse voi siete riuscito finalmente a darmi il figlio che desidero.” Avrei dovuto capirlo! Costanza mi aveva già detto che avrebbe fatto “qualunque cosa”. “Perché proprio io?” “Non potevo mica andare a letto con un servo, o con una guardia! Tra poco vedrò mio marito e sarò costretta a fornicare di nuovo con lui. Fornicare, non fare l’amore! Ogni volta mi fa più male.” Costanza mi mostra delle cicatrici in varie parti del corpo. Sono poco evidenti, ma risalgono a molto tempo fa. “Vostro marito vi picchia?”
“Perché credete che lo chiamino Enrico il Crudele?” Rabbrividisco, per Costanza, e anche per me. Fare le corna ad Enrico il Crudele! Mettere un bastardo sul trono del Sacro Romano Impero! Mio figlio sarebbe anche erede del trono di Sicilia. Ci ha pensato Ruggero, quando mi ha chiesto di fottere sua zia? Se almeno “il mio sacrificio” servisse a qualcosa! Costanza nota un volume accanto al mio letto. “Oh! Un vangelo! Molto bello! Ne ho regalato uno simile a re Guglielmo qualche anno fa!” Forse è proprio quello! Costanza sfoglia le pagine, e arriva alla dedica di Giovanna. Questo vangelo, caro, ora lo porto in seno, Sovr’esto libro giuroti, che mai ti verrò meno. Costanza legge stupita: “Oh, un pegno d’amore! La vostra innamorata vi scrive una poesia!” “Non stiamo più insieme. Un tempo, anch’io le avevo scritto dei versi.” “Interessante! Non avevo mai letto poesie in volgare. Avete altri versi da farmi leggere?” Le mostro una pergamena dove ho scritto tutti i miei versi. C’era anche la mia firma: Celi d’Alcamo. Costanza legge, ammirata e divertita. “Che versi! Mi piacerebbe che li aveste scritti per me!” “Se volete sono vostri, madonna!” Costanza si alza dal letto e si riveste, infilando la pergamena sotto la camicia da notte. “Vi ringrazio molto del vostro regalo. Vi ringrazio di tutto. Spero di potere ricambiare al più presto.” “Madonna, non chiedo niente per me. Vorrei soltanto che voi facciate tutto il possibile per fare tornare la pace tra l’Impero e il regno di Sicilia. Dite a vostro marito che ci sono stati già tanti morti, italiani e tedeschi. Facciamo cessare questo bagno di sangue!” Costanza fa un cenno col capo. “Messere, io sono siciliana, e amo il mio paese. Farò tutto quello che è in mio potere.” Apro la porta e controllo che non ci sia nessuno nel corridoio. Costanza esce, salutandomi con un bacetto sulla bocca. Io la guardo rientrare nella sua stanza e richiudo la porta.
Prima di coricarmi prendo una penna e una pergamena. Ho dato a Costanza l’unica copia dei miei versi, e devo riscriverli prima di dimenticarli. Rosa fresca aulentissima... *** Arriviamo a Roma poco prima del tramonto, e ci troviamo davanti il Colosseo, simbolo della passata grandezza di Roma, e anche della sua attuale rovina. Guardo deluso le pecore che pascolano accanto ai resti di un impero di cui anche Enrico il Crudele osa proclamarsi erede. Anche la basilica di San Pietro per me è una delusione. È imponente ma ho visto molte chiese più belle a Palermo e a Costantinopoli. Costanza nota il mio disappunto e dice: “Questa è la chiesa dove è sepolto San Pietro. Vorresti che il papa la buttasse giù per farne una nuova?” Costanza ed io ci salutiamo. Costanza è accompagnata al palazzo dove risiede la delegazione dell’Impero presso la Santa Sede. Io alloggio nel palazzo del Re di Sicilia, dove mi viene consegnato il mio programma di incontri per i giorni successivi. *** Il mio primo colloquio è con Ottone di Brunschwick, rappresentante dei Guelfi tedeschi. Ottone è poco più di un ragazzo, ma è figlio del duca di Sassonia, e, per parte di madre, anche nipote di Riccardo Cuor di Leone. Il principe mi dice che la liberazione di Costanza è stata un errore. Mi parla in latino, che ancora è la lingua colta della cristianità. “Dovevate almeno cercare di perdere tempo! L’imperatore aspettava solo la liberazione della moglie per attaccarvi!” Faccio presente che il re di Sicilia ha solo seguito la raccomandazione del Papa. Ottone risponde senza mezzi termini: “Papa senex stultus et delirus est!” Resto senza parole. Celestino III ha quasi 90 anni. Molti pensano che sia un vecchio rimbambito ma nessuno osa dirlo, almeno a Roma. Ottone ha una bella faccia tosta, soprattutto per un principe guelfo!
“Noi Guelfi appoggiamo il papa solo perché è un simbolo della lotta contro l’imperatore. Secondo me, tutti i tedeschi dovrebbero lasciar perdere questa buffonata del Sacro Romano Impero, e unirsi in una grande Germania.” Scommetto che Ottone vorrebbe diventare lui stesso re di Germania! Dico prudentemente: “Personalmente sarei felice che Germania ed Italia diventassero degli stati nazionali come la Francia. Prima però dobbiamo sconfiggere l’imperatore.” Ottone annuisce. “Possiamo farlo. Molti principi e vescovi la pensano come me. Se voi riuscite a resistere all’imperatore in Italia, è fatta!” Ho l’impressione che Ottone conti su di noi, almeno quanto il re di Sicilia spera nei guelfi tedeschi. Chi farà il primo passo? “Il re di Sicilia è pronto ad affrontare l’esercito d’Enrico. Voi, quando attaccherete l’imperatore in Germania?” “Lo faremo al momento opportuno. Abbiamo un asso nella manica, il più gran condottiero della Cristianità: Riccardo Cuor di Leone!” Colgo l’occasione per fare sapere ad Ottone che ho già conosciuto, suo zio (anche se non così intimamente, come il re avrebbe voluto!). “Re Riccardo senza dubbio darebbe un grande aiuto alla nostra causa. Credevo che fosse ancora in Palestina.” “Non più. Re Riccardo ha fatto la pace col Saladino e sbarcherà in Italia da un momento all’altro. Quando attraverserà le Alpi, tutti i guelfi tedeschi si ribelleranno, e l’imperatore sarà sconfitto!” Cerco di strappare ad Ottone delle promesse precise ma il principe si rifiuta di prendere impegni. In compenso, Ottone ha delle brave spie alla corte d’Enrico. Il principe mi consegna una pergamena con la descrizione completa dell’armata che l’imperatore manderà in Italia. Non è un grande esercito. Possiamo batterlo. Se tedeschi e inglesi faranno la loro parte, il regno di Sicilia è salvo. *** Nei giorni successivi ho altri incontri con rappresentanti dei Comuni italiani. Ruggero una volta mi ha detto che il nostro regno non si dovrebbe chiamare “Regno di Sicilia”. Perché non “Regno d’Italia Meridionale”? O, meglio ancora “Regno d’Italia”?
Il problema è che un re d’Italia esiste già, ed è l’imperatore del Sacro Romano Impero. Se riuscissimo a sconfiggere Enrico, forse... Il mio primo colloquio è col rappresentante di Milano, Umberto di Giussano. Il padre d’Umberto, Alberto, era alla testa dell’esercito che aveva sconfitto Federico Barbarossa a Legnano. Il milanese dice che Enrico è ancora peggio di suo padre, ma quando comincio a parlargli d’Italia lui storce il naso. “L’Italia è solo un‘espressione geografica!” “Eppure io e voi parliamo, la lingua del sì, il volgare italiano” “Il volgare siciliano e il volgare lombardo sono completamente diversi. Perfino noi due facciamo fatica a capirci. I lombardi non accetterebbero mai un re siciliano!” Faccio rapidamente marcia indietro. “Messere, io vi sto solo proponendo solo un’alleanza.” Umberto mi ride in faccia. “Vorreste che proprio noi attaccassimo l’esercito dell’imperatore, quando verrà in Italia? Troppo comodo! La lega lombarda ha combattuto da sola la sua battaglia. Voi dovete combattere la vostra!” Non è completamente vero. I re di Sicilia, in passato, hanno abbondantemente finanziato la Lega Lombarda, per tenere impegnato l’imperatore a nord. Umberto lo sa benissimo. Infatti, aggiunge. “Naturalmente Milano non vuole che l’imperatore diventi troppo forte. Forse dei “volontari milanesi” potrebbero unirsi ai siciliani. Ma il sangue dei milanesi ha un prezzo…” Umberto mi comunica il suo prezzo, “non trattabile”. È una cifra altissima! Prometto di riferire al re di Sicilia il suo messaggio. Il mio incontro con Zanetto Dandolo, nipote del doge di Venezia, non va meglio. Con lui non parlo d’Italia. Provo a far breccia sulla rivalità di Venezia con Genova e Pisa, che si sono alleate con l’imperatore. Dandolo ascolta compiaciuto, ma quando parlo di una possibile azione comune, tra flotta veneziana e flotta siciliana, scuote il capo: “Venezia si è impegnata a rimanere neutrale. Non possiamo fare guerra con Genova e Pisa contemporaneamente. Prima o poi, Genova e Pisa combatteranno fra loro, e noi ce la vedremo col vincitore!” Zanetto aggiunge:
“Naturalmente Venezia non vuole che Genova e Pisa divengano troppo forti. Forse delle navi veneziane potrebbero unirsi alla vostra flotta, sotto la bandiera del re di Sicilia. Ma il sangue dei veneziani ha un prezzo…” Zanetto mi comunica il suo prezzo. Il sangue veneziano costa di più di quello milanese! Il mio ultimo colloquio è con Alighiero da Firenze. Il fiorentino parla un volgare simile a quello di Pietro e Francesco d’Assisi, e non facciamo fatica a capirci. Alighiero mi parla con orgoglio di suo padre Cacciaguida, eroe della Seconda Crociata. Il fiorentino è completamente d’accordo con me quando parlo male dei Pisani. Ahi Pisa vituperio delle genti! Alighiero ci augura tanta fortuna contro la flotta pisana, ma quando gli parlo di una vera alleanza, scuote la testa. “Firenze non può attaccare Pisa da sola, soprattutto se l’esercito di Enrico arriva in Italia. Certo, se il re di Sicilia riuscisse a formare un’alleanza di città italiane, i fiorentini farebbero la loro parte.” Racconto ad Alighiero i miei colloqui con i rappresentanti di Milano e Venezia. Alighiero scuote la testa con disappunto. Mi fa sentire alcuni suoi versi sull’argomento: Ahi serva Italia di dolore ostello! Nave senza nocchier nella tempesta! Non donna di province ma bordello! Alighiero ed io parliamo un po’ di poesia. Secondo me, i suoi versi meriterebbero di essere pubblicati. Alighiero scuote la testa. “I letterati d’oggi non prendono neanche in considerazione le poesie in volgare! Forse un giorno mio figlio, o mio nipote, troverà in un cassetto i miei versi, e scriverà un poema immortale!” Prima di salutarmi Alighiero fa tanti auguri al re di Sicilia, e promette di nuovo l’appoggio di Firenze, ad una coalizione guidata dal re di Sicilia. Sempre che… Alighiero s’interrompe imbarazzato, ed io continuo per lui: “Scommetto che volete dirmi che il sangue dei fiorentini ha un prezzo…”
Alighiero annuisce. “Mi dispiace, ma il consiglio dei Priori ha usato proprio queste parole!” La conclusione dei miei colloqui è amara. I siciliani, in Italia, non hanno alleati. Devono sbrigarsela da soli… a meno che non siano disposti a pagare! *** Prima di lasciare Roma ho anche vari colloqui alla sede dell’Ordine degli Ospitalieri. Parlo col cavaliere Bernard de Chatillon che mi promette il suo appoggio per il mio ospedale di Nocera, se ottengo il sostegno di altri medici della Scuola Salernitana. Il giorno prima della mia partenza vedo uscire dal palazzo del Gran Maestro due strani personaggi. Bernard mi dice che sono Rashid-al Din e il suo aiutante Selim. Rashid-al Din è il capo degli Ismaeliti.: tra loro opera anche la setta degli Assassini. “Rashid ha proposto al papa la conversione di tutti gli Ismaeliti al cristianesimo. Siamo in un grande imbarazzo. Se questi signori vogliono veramente diventare cristiani, come possono fare gli Assassini?” Ripenso alle parole di Bernard quando m’imbarco sulla mia nave, al porto di Ostia, diretto a Palermo. Tra i passeggeri vedo un arabo che mi sembra Selim. Gli Assassini sono attivi anche in Sicilia? Cerco di tranquillizzarmi dicendomi che forse, a Palermo, Selim prenderà un‘altra nave per l’Africa o la Palestina. Forse... A Palermo ci fanno aspettare, prima di darci il permesso di entrare in porto. Ci dicono che è arrivata, da Costantinopoli, la nave della principessa Irene, promessa sposa di re Ruggero. Vedo da lontano il corteo che si avvia verso il palazzo dei Normanni. Quando sbarchiamo, sulla banchina sono rimasti in pochi. Riconosco una persona: Goffredo di Partinico, il barone traditore! Goffredo si dirige verso la prima persona che sbarca dalla nave: Selim. I due si baciano sulle guance, e si allontanano in fretta. Io cerco di farmi largo tra i passeggeri della nave ma, quando riesco a mettere piede a terra, Goffredo e Selim sono spariti.
*** Il giorno dopo il mio arrivo a Palermo, sono convocato da re Tancredi e re Ruggero. Ruggero mi fa ripetere le conclusioni dei miei colloqui a Roma. Le informazioni più importanti sono quelle che Ottone mi ha dato sull’esercito che l’imperatore sta mandando in Italia. Non è un esercito numeroso come quello del 1190, e sarà comandato dal conte Bertoldo. L’imperatore, per ora, resterà in Germania. Tancredi tossisce forte. Rugi gli passa un fazzoletto, ed il re riprende il discorso. “Se le informazioni d’Ottone sono giuste, l’imperatore è a corto di mezzi.” Ruggero aggiunge: “Come noi! Non possiamo permetterci di pagare per il sangue dei milanesi e dei veneziani, dopo quel salasso che ci ha fatto quel Cuor di Leone!” Noto che Ruggero sta guardando la parete dove è appesa la spada “Excalibur”. Quanto c’è costata! Tancredi taglia corto. “Lasciamo stare Riccardo. Dobbiamo pensare a difenderci.” Tancredi comincia spiegare al figlio come intende rispondere all’attacco imperiale. Sono congedato. Più tardi, in privato, Rugi mi parla in modo più confidenziale. “Sono preoccupato per papà. Con i problemi di salute che ha, non dovrebbe mettersi alla testa di un esercito.” “Che cosa dice il dott. Teofilo?” “Quello? Sta benissimo lui! È pagato profumatamente solo, per visitare il re ogni tanto, e dire quattro scemenze!” “Ho notato che tuo padre ha una strana tosse. Gli succede spesso?” “Troppo spesso!” Cambio argomento, e racconto a Rugi il mio incontro al porto. Ruggero si lascia sfuggire un’imprecazione. “Non bastavano i ribelli! Adesso pure gli Assassini!” “Hai ricevuto altri messaggi”?” “No, ma sto sempre all’erta. Nessuno deve disturbare il mio matrimonio. Naturalmente sei invitato!” ***
Qualche giorno dopo, Ruggero presenta al padre la sua promessa sposa. Irene ha 16 anni: è bella e delicata, come un bocciolo di rosa. Rugi la chiama “Rosa senza spine”! Tancredi si rivolge a lei in greco, auspicando che questo matrimonio sia l’inizio di una lunga era di pace ed amicizia tra impero bizantino e regno di Sicilia. Al pranzo di benvenuto scopro che Rugi mi ha riservato un posto accanto ad una damigella della sposa. La ragazza si chiama Elena, ha 18 anni, ed è una lontana cugina di Irene. Elena è ben diversa da Irene. La sua bellezza è decisamente terrena: labbra carnose, occhi maliziosi, capelli neri lunghi sciolti... Elena attacca subito discorso, in un latino incerto. Io le rispondo in greco. Lei s’illumina: “Oh, sei d’origine greca?” “No. Sono nato a Salerno, ma da ragazzo ho vissuto tre anni a Costantinopoli.” Elena si avvicina a me ancora più interessata. “Siete figlio di un ambasciatore?” “No. Mio padre è un mercante.” Elena mi guarda stupita, anzi delusa. “Mi avevano detto che voi siete conte!” Sono indispettito, ma faccio finta di niente. Rispondo seccamente “Sono conte di Nocera. E anche conte di Famagosta.” Elena è perplessa. C’impiega un po’ di tempo a capire che la mia è una nobiltà recentissima. Riconoscendo il nome Famagosta, mi fa alcune domande su Cipro. Io rispondo senza entrare in particolari. Più tardi, faccio a Ruggero tanti complimenti per la sua bella fidanzata. Rugi ascolta compiaciuto. Poi mi chiede: “Ti è piaciuta Elena?” Rispondo automaticamente: “Mi sembra una tipa con la puzza sotto il naso...”. Mi viene un dubbio. M’interrompo, e chiedo: “Rugi, mi hai fatto sedere accanto a lei per un motivo preciso?” Ruggero ride.
“Capisci sempre tutto! È vero. Volevo fartela conoscere. Elena è d’ottima famiglia, intelligente, e colta. Sarà un’ottima moglie per il fortunato che la sposerà” “Il “fortunato” sarei io?” “Perché no? Irene è molto affezionata a sua cugina, e mi ha chiesto se conoscevo qualcuno da presentarle. Alla dote ci penso io, naturalmente!” Il ritratto è chiaro. Nobile, bella ma squattrinata. A Costantinopoli non trova nessuno del suo rango, e così cerca di accalappiare qualche sprovveduto siciliano. Naturalmente un nobile d’antica schiatta non se la prenderebbe mai, e Rugi ha pensato a me! “Dopotutto tu hai bisogno di una moglie, ed Elena ti darebbe un certo prestigio. Pensaci!” Prometto a Ruggero che ci rifletterò. Nei giorni successivi, quando vado a trovare Ruggero, passeggiamo nel giardino, dove spesso incontriamo “casualmente” Irene ed Elena. Ruggero si apparta con Irene ed io resto a parlare con Elena. La ragazza si mostra molto più disponibile del primo giorno. Mi fa molte domande sulla mia professione di medico. Esprime anche il suo sincero (?) apprezzamento per il mio impegno ad Acri, e si mostra molto interessata al progetto del mio nuovo ospedale. Elena fa di tutto per piacermi. Mi fa sentire perfino qualche frase in volgare siciliano! Io guardo, da lontano, Ruggero che tuba con Irene, e lo invidio. Mi dico tra me e me che sono diventato troppo esigente, a forza di frequentare regine. Elena è bella, fine, sensuale: che potrei chiedere di più? E poi, come posso dire di no a Ruggero, dopo tutto quello che ha fatto per me? Al matrimonio di Ruggero e Irene, Elena è la più bella delle damigelle della sposa. Il matrimonio è celebrato nella Cappella Palatina, fatta costruire da Ruggero II (nonno di Rugi) all’interno del Palazzo dei Normanni. Ammiro gli splendidi mosaici, le ricche vesti di re e principi, e, naturalmente la sposa, “rosa senza spine”. Elena, rosa piena di spine, ma profumatissima, ogni tanto mi cerca con lo sguardo. I suoi occhi sembrano dirmi: “Quando toccherà a noi?” ***
Il giorno del mio matrimonio attendo nervoso la sposa davanti all’altare del Duomo di Monreale. Sono passati solo due settimane dal matrimonio di Rugi, ma non potevo aspettare ancora: prendere o lasciare! Il duomo di Monreale è il capolavoro dell’arte moderna. È stata inaugurato da re Guglielmo il Buono, zio di Rugi, fratello di Costanza, e anche marito di Giovanna. L’oro dei mosaici riflette i raggi del sole che filtra dalle vetrate. Arriva la sposa, accompagnata da Rugi in persona. Elena si siede accanto a me. Mi sorride, e i miei dubbi svaniscono, o quasi. Il matrimonio è celebrato dal vescovo di Monreale, che ci fa un bel discorso, in latino, finendo col solito: “Ego coniungo vos in matrimonium...” Esco dalla chiesa con Elena sotto braccio. Dopo il pranzo di nozze saliamo su una carrozza che ci accompagna al porto. Ci attende la nave reale, in partenza per Salerno. Salutiamo gli amici dal ponte e scendiamo nella cabina dove passeremo la nostra prima notte di nozze. Finalmente soli! La sposina non mostra alcun segno d’imbarazzo, anzi è lei a prendere l’iniziativa. Elena non finge un‘innocenza che non ha. Preferisce usare l’arma della seduzione. Chi colto il fiore, prima di me? Rugi? Forse il re ha esercitato lo “ius primae noctis”, ma giurerei che Elena è partita, in fretta e furia, da Costantinopoli per un motivo ben preciso. In ogni caso, la mia sposina ci sa fare. Qualunque cosa è successa prima, non m’importa. Non molto almeno!
Capitolo 8 Il conte dottore (A. D 1192 1193)
Al porto di Salerno trovo ad accogliermi mio padre e mia madre, ansiosi di conoscere mia moglie. Elena sta imparando in fretta il volgare, ed è tutta moine, che incantano mio padre, ma lasciano perplessa mia madre. Più tardi chiedo a mamma, sinceramente, cosa c’è che non va, ma lei evita di rispondere. “Deve piacere a te. Io voglio solo che tu sei felice!” Mio padre ha fatto costruire per noi una villa, accanto alla sua. Papà aveva iniziato i lavori quando io ancora ero in Palestina. Ora la casa sarà abitata da una sposa diversa da quella per cui era stata destinata, ma mio padre è contento lo stesso. Elena è addirittura imparentata alla famiglia reale bizantina dei Comneni. Ce n’è abbastanza da fare crepare d’invidia i conti di San Severino! I primi a venirci a trovare sono i conti d’Aversa: Giordano e Caterina, ormai felicemente sposati. Giordano non è insensibile al fascino di Elena, ma non per questo ha meno attenzioni verso la moglie, che allatta il primo figlio. Giordano ha insistito che io facessi da padrino: l’hanno chiamato Michele. Elena fa subito amicizia con Caterina, che la presenta all’alta società di Salerno. Dopo un po’ io ed Elena troviamo un modo di vivere un po’ insolito, ma soddisfacente per tutti. Io la lascio libera di frequentare l’alta società a Salerno, e lei mi accoglie affettuosamente nel suo letto ogni volta che torno a casa, dal lavoro. Nel periodo in cui sono stato conte di Nocera, ho passato ben poco tempo nel mio feudo, e non solo per colpa di Elena, che non ha mai voluto metterci piede. Nocera non era adatta come sede di un ospedale: la città era troppo piccola, e troppo vicina a Salerno, dove i gelosissimi “baroni” della Scuola Salernitana ce l’hanno messa tutta per mettermi i bastoni tra le ruote. Solo il mio vecchio professore, Gualtieri, si è schierato dalla mia parte, ha lasciato la Scuola ed è venuto a lavorare con me, prima a Nocera, e poi a Napoli.
A Napoli c’era già un piccolo ospedale dell’Ordine degli Ospitalieri. Ho cominciato a collaborare anche con loro, e in breve tempo, mi sono ritrovato sommerso dagli impegni. Il mio lavoro è diventato addirittura frenetico quando è ricominciata la guerra tra Regno di Sicilia ed Impero. Il conte Bertoldo aveva invaso l’Abruzzo ed il Molise. L’esercito del re Tancredi aveva fermato i tedeschi in Puglia, ed era passato al contrattacco nel Sannio. Da Salerno il fronte mi sembrava lontano, finché ho ricevuto la visita di un mio vecchio “compagno d’armi”: Roberto d’Acerra. Roberto mi ha pregato di aiutarlo. “La nostra situazione è critica. Al fronte non sappiamo dove mettere i feriti. Dobbiamo organizzare subito un ospedale da campo.” Io ho cercato invano di defilarmi. “Roberto, Salerno è piena di valenti dottori. Perché ti rivolgi proprio a me?” “Quei fanfaroni della Scuola Medica Salernitana sono buoni solo a sputare sentenze in latino. Io ho bisogno di un medico che sa gestire un ospedale di guerra, e tu hai fatto una bell’esperienza in Terrasanta!” Così ho dovuto trasferirmi a Benevento, a poche miglia dal fronte. Ho dovuto creare dal nulla un ospedale, con pochi infermieri di Napoli. I feriti continuavano ad affluire, ed ero costretto a lavorare in condizioni igieniche disastrose. Quando pensavo che non ce l’avrei fatta più, è arrivata una notizia clamorosa: Tancredi aveva sbaragliato l’esercito dell’imperatore, e il conte Bertoldo, era morto in battaglia. Il comunicato ufficiale di re Tancredi diceva: “I resti di quello che era uno dei più potenti eserciti della Cristianità risalgono in disordine, e senza speranza, le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza.” Re Tancredi forse esagerava, ma in ogni modo gli italiani avevano vinto. Adesso potevo smobilitare l’ospedale, e trasportare gli ultimi feriti all’ospedale di Napoli. Poi finalmente sarei potuto tornare a Salerno a riabbracciare mia moglie. Mi era venuto il dubbio di averla troppo trascurata negli ultimi mesi… Verità sacrosanta! Ma avrei dovuto pensarci prima! ***
Dicono che il marito è sempre l’ultimo a saperlo. Anch’io lo dicevo, ma non avrei mai pensato che quel marito un giorno potessi essere io! Scopro tutto nel modo più banale: tornando a casa in anticipo! Un giorno Giordano mi è venuto a trovare all’ospedale di Napoli. Il mio amico mi ha offerto un passaggio sulla nave dei San Severino, che portava un carico di ortaggi da Aversa. Sbarchiamo a Salerno all’alba. Giordano mi presta un cavallo, e arrivo alla mia villa, quando ancora tutti dormono. Il cane mi viene incontro, e mi fa le feste. L’accarezzo. È bello essere a casa! Salgo le scale, ed apro la porta della camera da letto. Elena è avvolta in una coperta, e mi volta le spalle. Mi sembra strano che mia moglie dorma con la finestra aperta… Sento abbaiare, e mi sporgo dal davanzale. Il cane corre dietro ad un uomo, mezzo nudo, che faticosamente riesce a scavalcare il muro di cinta, e scomparire dalla mia vista. Elena, finge di svegliarsi. “Michele! Che bella sorpresa!” Mia moglie s’interrompe quando le mostro il cappello che l’uomo ha dimenticato, prima di calarsi dalla finestra: il cappello di Adalberto di San Severino! Il marito è sempre l’ultimo a saperlo. Quanti altri lo sapevano? Sicuramente Giordano. Me lo confessa lui stesso il giorno dopo. Il mio amico avrebbe voluto parlarmene, ma poi ha preferito fare in modo che scoprissi tutto da solo. “Tu per me sei un fratello, e non potevo permettere che Adalberto si burlasse di te. Ma non potevi stare più attento? Una bella guagliona, come tua moglie, non va lasciata sempre sola!” Cornuto e mazziato! A questo punto dovevo decidere cosa fare, senza scandali naturalmente. Forse i miei amici dell’Ordine degli Ospitalieri potevano aiutarmi ad annullare il matrimonio... Mi ha dissuaso mio padre. Dopotutto Elena era parente della regina. Non mi conveniva chiudere un occhio? Mia moglie ce l’ha messa tutta per farsi perdonare, ed alla fine c’è riuscita. Dopotutto anche quella troia d’Elena è riuscita a farsi perdonare da Menelao!
Mia moglie mi convince a prendermi una vacanza. Pochi giorni dopo, partiamo per una seconda luna di miele. Viaggiamo di nuovo nella nave reale, verso la Sicilia. *** Rugi è molto contento di vedermi. Mentre le nostre mogli si raccontano gli ultimi pettegolezzi (non tutti, spero!), Ruggero ed io parliamo del futuro del regno. Tancredi è tornato dalle Puglie, vittorioso, ma esausto, e la sua tosse è molto peggiorata. Teofilo dice che il re ha una strana malattia che i greci chiamavano tubercolosi. Ai tempi dell'antica Grecia la cura era empirica. Alcuni consigliavano la “suzione di latte di donna”, direttamente dalla mammella! Tancredi aveva curato personalmente la scelta della sua “balia”, nonostante i commenti salaci della moglie e dei figli. Non so se il re aveva gradito la cura, ma la sua tosse non era affatto migliorata. Tancredi ha già incominciato a cedere al figlio le redini del governo. Ruggero mi dice che ha proposto il “perdono” ai nobili ribelli che si arrendono, e vuole trovare un accordo anche con i suoi sudditi musulmani. “Che fine ha fato Goffredo di Partinico?” Rugi esita a rispondere. “La settimana scorsa l’hanno visto ad Erice, ma quando le guardie sono arrivate, lui era già lontano. In ogni caso non può più darci fastidio. Se vuoi, puoi ritornare nel tuo feudo d’Alcamo senza problemi.” Il mio feudo? Ero convinto che Ruggero avesse dato le terre d’Alcamo a qualcun altro. Sento nella voce di Rugi, un tono sospetto. Gli rispondo: “Grazie, ma non ci tengo a tornare da quelle parti. Sono venuto qua solo per una breve vacanza.” Rugi mi guarda fisso. “Peccato! Speravo che potessi darmi una mano. Ho bisogno di un amico fidato, e anche Irene sarebbe contenta di avere Elena vicino.” C’è un’altra fregatura in arrivo! “Sono sempre a tua disposizione, come suddito e come amico, ma non posso stare contemporaneamente a Nocera e ad Alcamo.” Rugi risponde immediatamente: “Hai ragione. Per questo voglio creare per te la Contea d’Alcamo. Così conserverai il titolo di conte, e potrai vivere a Palermo.”
Non sono sicuro di avere capito bene. “Ma... la contea di Nocera? Il mio ospedale? “ Ruggero ha la risposta pronta. “Mi hanno detto che negli ultimi tempi passavi la maggior parte del tempo all’ospedale di Napoli. Adesso i Cavalieri hanno aperto un nuovo ospedale a Palermo. Sarai tu a dirigerlo. Ho già parlato con il Gran Maestro. La contea di Nocera posso darla benissimo a qualcun altro.” Credo di capire. Tutto è già deciso. “Scommetto che hai già in mente il nome del nuovo conte di Nocera”. Ruggero sorride, imbarazzato. “Hai ragione. Sto pensando a Roberto d’Acerra. Roberto ha combattuto valorosamente alla Crociata ed in Puglia. Si merita un feudo.” Roberto è figlio del conte d’Acerra, zio di Rugi. Adesso tutto è chiaro! “Rugi. Io non ti avevo chiesto niente. Io non ci tengo neanche ad essere conte. Mi basta fare il medico.” Rugi risponde immediatamente. “Farai il medico, ma voglio che tu sia anche conte d’Alcamo. La Contea d’Alcamo, comprenderà anche Partinico, Castellamare e Baida. Mi hanno detto che tu avevi un buon rapporto con i musulmani. Voglio che tu mi aiuti in una nuova politica di conciliazione nazionale.” Un servitore bussa alla porta, e annuncia l’arrivo della regina Irene, con la nuova contessa d’Alcamo. Elena mi getta le braccia al collo. “Michele! La regina mi ha fatto vedere il nostro nuovo palazzo. Certo dovrò faticare un po’ per metterlo a posto, ma poi faremo una bella festa! Sono tanto contenta di vivere a Palermo.” Feste, vita di corte... per Elena sarà un paradiso! Ed io? Continuo ad accumulare titoli, e fregature! *** Il giorno dopo sono in viaggio per Alcamo, ma stavolta ho una buona scorta. Il capo delle mie guardie è Salvatore, un veterano che ha combattuto anche nell’ultima guerra. Riconosco da lontano il mio “castello”. Ruggero l’ha fatto veramente rimettere a nuovo. Adesso le mura sono bianche, ed è stata aggiunta anche una nuova ala. Fatima mi vede da lontano, e mi corre incontro: “Baruni! Che piacere vedervi!”
“Anch’io sono molto lieto di vedervi Fatima. Come sta Alì? E il piccolo Omar?” Fatima mi guarda imbarazzata. “Quale Fatima? Io mi chiamo Filomena! Ci siamo fatti tutti battezzare. Mio marito si chiama Alessio, e mio figlio Marco!” Sono perplesso. “Filomena, sono contento per voi, ma non capisco perché vi siate fatti cristiani proprio adesso. I re Normanni hanno sempre lasciato libertà di culto ai sudditi musulmani.” “Così era, ma adesso...” Filomena si blocca, e faccio fatica a tirarle fuori altre parole. Dopo che il Saladino ha conquistato Gerusalemme gli “integralisti islamici” sono arrivati anche in Sicilia. Dall’Africa sono arrivati nuovi “imam” che hanno incitato tutti i musulmani alla Jihad. Molti siciliani di origine araba si sono ribellati. “Vi ricordate Ahmed e Aisha? Loro sono arabi, e sono scappati dai loro parenti in Tunisia. Noi siculi siamo, e in Sicilia resteremo!” Annuisco. A Palermo ho sentito che molte barche di profughi, sono partite per l’Africa. Tra loro c’era anche l’imam d’Alcamo, che ha detto: “Torneremo! Passeranno anni, forse secoli, ma torneremo!” Capisco che non si tratta solo di libertà di religione. I baroni ribelli cercano di mettere in difficoltà re Tancredi sfruttando le divisioni tra cristiani e musulmani. Spiego ai miei servi che intendo fare costruire nel castello un nuovo ambulatorio, collegato con l’ospedale di Palermo, dove saranno curati indifferentemente cristiani e musulmani. Alessio mi ascolta perplesso. Filomena, ancora più scettica, mi dice: “I musulmani brutta gente sono!” Rimango di stucco. “Ma se anche voi eravate musulmani fino a due anni fa!” “Appunto!” Alessio mi spiega che le cose in paese sono molto cambiate. Filomena era diventata l’animatrice della comunità cristiana d’Alcamo, e la vecchia moschea era divenuta una chiesa. I musulmani d’Alcamo consideravano Filomena e Alessio dei rinnegati. Dopo la partenza dell’imam d’Alcamo, gli islamici avevano cominciato a frequentare la moschea di Baida. “A Baida c’è un nuovo imam, che sta predicando la Jihad contro i cristiani. Ormai perfino io Filomena abbiamo paura a uscire di casa.”
Baida fa parte della mia contea C’è anche un piccolo castello, sulla collina che guarda il golfo di Castellamare. Mando le mie guardie in avanscoperta. Salvatore mi riferisce che il castello è mal ridotto, ma è ancora abitabile. Sicuramente qualcuno ci ha vissuto, fino a poco tempo fa, ma, quando hanno provato a fare domande ai contadini, la risposta è stata la solita: “Niente aggiu visto, e niente aggiu sentito!” Decido di andare a Baida di persona. Mi presento, con una scorta alla moschea, per conoscere l’imam. Lo riconosco subito. È Selim, l’uomo che ho visto, a Roma, insieme a Rashid-al Din, il capo della setta degli Assassini. Selim mi guarda in cagnesco, ma non sembra riconoscermi. Io mi presento come il conte di Alcamo. Provo a spiegargli la “politica di conciliazione nazionale” di Ruggero, ma l’imam non mi sta nemmeno a sentire. “Così tu saresti il “conte dottore”? Quello che vuole corrompere i figli di Allah, facendo finta di curarli?” “Io curo tutti quelli che ne hanno bisogno. Sono un cavaliere dell’Ordine degli Ospitalieri” Mi blocco. Per un musulmano non è una buona referenza. “Un crociato! E osi venire qua!” I fedeli della moschea cominciano ad insultarmi, in un misto d’arabo e siciliano. A fatica le mie guardie riescono a portarmi in salvo. *** Al castello di Baida, con Salvatore, preparo un piano. Uno dei miei soldati è un mussulmano di Corleone, convertito al cristianesimo. Ora si fa chiamare Giuseppe, ma il suo nome musulmano è Yussef. Il venerdì successivo Yussef si presenta alla moschea. Chiede all’imam di nasconderlo, dicendo di essere un disertore. Selim non abbocca subito. L’imam fa a Yussef un sacco di domande, e manda a chiedere informazioni a Corleone. Intanto però il mio uomo è ammesso nella comunità islamica, e Giuseppe comincia a mandare a Salvatore dei messaggi, che lascia in posti stabiliti. Finalmente riceviamo un’informazione interessante. L’imam si reca spesso in una casa isolata, non lontano dal castello di Baida. La sera successiva le mie guardie seguono l’imam fino al casolare e fanno irruzione uccidendo tutti i ribelli, meno i due capi, che sono portati al castello.
Uno è Selim. L’altro è Goffredo, ex barone di Partinico. Selim mi guarda con odio, ma non dice una parola. Goffredo prova a fare il gradasso, ma cambia subito espressione quando gli dico che lui e l’imam saranno condotti immediatamente al carcere di Palermo, per essere “interrogati”. Goffredo e Selim parleranno. Parlano tutti. *** La settimana dopo sono di nuovo a Palermo, a colloquio con Ruggero. Goffredo e Selim hanno parlato. Il torturatore voleva ancora “lavorarci” un po’, ma, dopo avere visto le facce dei due, gli ho ordinato di smettere. Forse Goffredo e Selim non avevano detto tutto quello che sapevano, ma quanto era saltato fuori era già abbastanza preoccupante. Goffredo aveva fatto i nomi di molti baroni. La maggior parte dei ribelli erano già noti, ma c’erano anche degli “insospettabili” che sono stati immediatamente imprigionati e “interrogati”. Selim aveva resistito più a lungo. Solo alla fine aveva fatto i nomi degli imam d’Erice e Corleone, e anche molti imam di Palermo. La maggiore sorpresa è stata la rivelazione che i ribelli musulmani si riunivano nei sotterranei di una delle chiese più importanti di Palermo: San Giovanni degli Eremiti! Rugi mi ascolta, per niente stupito. “C’era da aspettarselo. Al tempo dei Saraceni quella era la moschea principale di Palermo! Ogni tanto, scopriamo ancora qualche stanza segreta. Avete trovato qualcosa nei sotterranei?” “Solo alcune copie del Corano, e questo pugnale.” Mostro a Ruggero l’arma: è identica a quella che Rugi ha trovato sotto il cuscino l’anno scorso. “Rugi, i ribelli vogliono ucciderti! Selim lo ha confessato, ma non sappiamo ancora quando e come.” Ruggero è pensieroso. “Pensi che il torturatore può ancora scoprirlo?” “Rugi, io sono un medico, non...” Ruggero m’interrompe. “Scusa Celi, non dovevo coinvolgerti in questa storia. Per essere un dottore, ti sei dimostrato un buon poliziotto. Adesso torna al tuo ospedale, e lascia fare ai professionisti.” “D’accordo Rugi, ma sta attento! Faresti meglio a non farti vedere in pubblico, finché non sappiamo qualcosa di più.”
Rugi scuote la testa. “Non posso. Già mio padre, per la sua malattia, esce poco. Un re deve dare a tutti l’impressione di avere la situazione sotto controllo. Domani andrò alla messa solenne di San Giovanni degli Eremiti.” Secondo me, quello è l’ultimo posto dove Ruggero dovrebbe farsi vedere, ma non posso mettermi contro il re. Torno a casa, e trovo una gradita sorpresa. Il professor Gualtieri ha accettato di venire a Palermo, per aiutarmi a gestire il nuovo ospedale. Elena invita Gualtieri a pranzo, nel nostro nuovo palazzo. Facciamo grandi progetti, e quasi dimentico le mie preoccupazioni. Quasi... *** Il giorno dopo sono, accanto ad Elena, nella Chiesa di San Giovanni degli Eremiti. Elena non è particolarmente religiosa, ma questa per lei è un’occasione mondana. Io ed Elena ci sediamo ai primi posti. I banchi sono pieni. Manca solo la famiglia reale. Mi guardo intorno, ancora preoccupato. Prima della cerimonia avevo insistito fare ispezionare la chiesa, alla ricerca di nicchie dove potevano nascondersi eventuali sicari. Le guardie del re avevano attentamente perquisito tutte le persone, compreso l’abate. Eppure... Il mio sguardo cade su due frati benedettini, con una lunga barba. Non mi ricordavo di averli visti entrare. Sono in piedi in un angolo, non lontano dalla porta d’ingresso. Il cappuccio copre la maggior parte della faccia, ma, nei loro occhi, vedo tutto tranne la beatitudine celeste. Mi alzo. Elena mi guarda stupita. Le faccio un segno tranquillizzante, e vado verso Salvatore che è fermo vicino alla porta. Gli mormoro poche parole, all’orecchio. In quel momento entra il corteo del re. Davanti a tutti c’è Tancredi con Sibilla, poi Ruggero con Irene, Guglielmo, e le principesse. Le guardie di Salvatore fanno scudo alla famiglia reale che avanza verso l’altare. Cerco con lo sguardo i due frati: sono scomparsi. Sono diventato un paranoico? Mi accodo al corteo del re, e torno al mio posto. La messa comincia. Non è facile seguire una messa cantata senza lasciarsi distrarre dai propri pensieri.
Oggi per me è ancora più difficile. I miei occhi scrutano ogni angolo della chiesa, celebranti e presenti. Il coro intona l’Agnus Dei, e il vescovo celebrante si avvicina al banco della famiglia reale, con il calice dell’Eucaristia. Porge l’ostia a re Tancredi. L’attenzione di tutti i presenti è rivolta verso il re. Nessuno fa caso ai due religiosi, con i paramenti dorati, che assistono il vescovo. Nessuno tranne me. Riconosco la loro barba, i loro occhi. Uno di loro si avvicina a Ruggero. Grido: “Rugi, attento!” Ruggero si volta verso di me, e si sposta quanto basta per schivare il pugnale dell’assassino. Intervengono immediatamente Salvatore e altre guardie. I falsi frati sono immediatamente portati via. Pochi dei presenti si sono resi conto di quello che è successo. Ruggero fa cenno di continuare la funzione come se niente fosse. Il vescovo è costernato ma capisce, e, in un modo o nell’altro, riesce a portare avanti la cerimonia fino al termine. *** Solo più tardi, in sacrestia, riesco a parlare con Ruggero a quattr’occhi. Ruggero mi fa vedere una piccola ferita sulla spalla. Solo un graffio, dice. Io guardo con preoccupazione il “graffio”: tutto intorno c’è un rossore che non mi piace affatto. Cerco di parlare con diplomazia: “Secondo me, faresti meglio a venire un attimo nel nostro ospedale. Vorrei farti visitare da Gualtieri” “Sei matto? Farmi visitare da un luminare della Medicina per un graffio?” “Forse non è solo un graffio. Dicono gli Assassini usano pugnali con la punta avvelenata.” Ruggero impallidisce. “Ma che dici! Io sto bene!” Fortunatamente il palazzo dove stiamo allestendo l’ospedale è a due passi. Quando vede la ferita di Ruggero, Gualtieri non ha dubbi, e gli fa immediatamente un salasso. Si rivolge al re come un paziente qualunque. “Michele vi ha portato qui appena in tempo. Fortunatamente la punta del pugnale ha appena scalfito la pelle, e il veleno non è dei più potenti.” Ruggero è portato al Palazzo dei Normanni con una lettiga. Al palazzo lo visita anche il dott. Teofilo, ora medico personale di re Tancredi.
Alla Scuola Medica Salernitana, Teofilo era considerato da tutti bravo, ma un po’ stronzo. Col tempo non è diventato più bravo, ed il suo carattere è ancora peggiorato. Le sue prime parole sono: “Chi si è permesso di fargli un salasso? Il medico di corte sono io!” Quando sente il nome di Gualtieri, Teofilo dà in escandescenze. A Salerno i due professori non si potevano sopportare. Faccio vedere a Teofilo la pozione che Gualtieri ha prescritto. Il dottore l’annusa e la versa per terra. “Gualtieri di veleni non ha mai capito niente!” Queste parole naturalmente Teofilo non le dice davanti a Ruggero Io le riferisco a Rugi più tardi, quando è da solo nella sua stanza. Ha ancora un po’ di febbre, ma niente da preoccuparsi. Ruggero si fa una risatina, ma mi esorta ad avere pazienza. “Celi, so bene che tu e Gualtieri mi avete salvato la vita, ma è meglio non stuzzicare troppo Teofilo. Dopotutto lui è il medico di mio padre.” Saluto Rugi, con l’intesa che sarei andato a trovarlo il giorno dopo, e ritorno all’ospedale dove racconto tutto a Gualtieri. Il professore non si stupisce affatto. “Che cosa ti aspettavi da quel tedesco di merda?” “Tedesco? Dal nome pensavo che fosse greco?” “No! Sua madre era greca, ma suo padre è nato a Colonia. In Germania Teofilo si faceva chiamare Wolfgang. Ho sentito che ne parlava con l’imperatore, quando è venuto a Salerno.” Non credo alle mie orecchie. Teofilo è conterraneo dell’imperatore, ed ora è il medico di re Tancredi. C’è qualcosa che non mi torna. “Professore, vi ricordate come Teofilo è diventato il medico di corte?” “Veramente Ruggero l’ha chiesto prima a me. Io gli ho risposto che non me la sentivo di lasciare i miei studenti. Sai benissimo che non io saprei vivere alla corte di un re. Poi Teofilo si è fatto avanti.” “Come? Lui, un tedesco, si è proposto come medico, per il principale nemico del suo imperatore?” Gualtieri, si gratta la testa, perplesso. “Ora che mi ci fai pensare... sì, è strano. Allora ho pensato che Teofilo volesse terminare la carriera in un posto tranquillo, e ben pagato.” E adesso? Io e Gualtieri restiamo a lungo in silenzio, pensando tutti e due la stessa cosa.
Teofilo non può venire meno al suo giuramento ad Ippocrate. O può? Cerco di rassicurarmi dicendo: “Teofilo è il medico di corte da quasi un anno.” Gualtieri è più dubbioso di me. “Il re è migliorato?” “No, è peggiorato. Teofilo gli ha prescritto delle strane cure.” Racconto a Gualtieri la storia della balia. Ridiamo insieme, ma è un riso forzato. E adesso? Vorrei ritornare immediatamente al Palazzo dei Normanni, ma con che scusa? Mica posso dire tranquillamente a Ruggero: “Il tuo dottore è un assassino. Sta uccidendo tuo padre, e vuole uccidere anche te!” Eppure devo farlo. *** A casa parlo con Elena. Non le dico tutto, ma la convinco ad aiutarmi ad avere un colloquio con Irene. Ho pensato che questa fosse la via più facile per arrivare a Ruggero, visto che Teofilo non mi permetterebbe mai di entrare nella stanza di Rugi, e re Tancredi non mi darebbe retta. Elena ha vissuto per molto tempo al Palazzo dei Normanni. Conosce le persone giuste, e le scorciatoie per saltare tutte le procedure, e arrivare alla regina. Infine veniamo ammessi alla presenza d’Irene. Irene è più bella che mai. Come l’aveva chiamata Rugi? Rosa senza spine! Elena è altrettanto bella, ma Irene è una delicatissima rosa bianca, mentre Elena è una rosa rossa scarlatta, piena di spine. Rugi chiamava la moglie anche “Colomba senza inganno”. Irene sembra l’innocenza in persona. Elena... lasciamo perdere! Racconto ad Irene i miei sospetti. La regina è spaventata, ma non stupita. Mi dice: “Alla corte di Costantinopoli queste cose succedono spesso. Forse greci e latini non sono poi tanto diversi, dopo tutto!” Irene ci porta alla stanza di Rugi. C’è una guardia davanti alla porta. Teofilo ha lasciato detto che il re sta dormendo e non deve essere disturbato. La regina gli ordina di farci entrare.
Ruggero è disteso sul letto immobile, sereno. Accanto a lui c’è un calice quasi vuoto. Ne annuso il contenuto. Riconosco l’odore: mandorle amare. Proprio Teofilo, a Salerno, ci aveva fatto una lezione sui veleni, e aveva parlato anche delle mandorle amare. Quel giorno c’era anche Ruggero. Se solo Rugi fosse stato uno studente più attento! “Rugi!” Scuoto il mio amico che continua a restare immobile. Provo a sollevarlo dal letto. Forse, se riuscissi a farlo vomitare... Mi rendo conto subito che è troppo tardi. Ruggero non respira. Non sento nemmeno i battiti del suo polso. È morto da almeno mezzora. Irene guarda prima Rugi e poi me. “Celi! Fa’ qualcosa!” Non c’è niente da fare. Irene capisce, e grida: “Ruggero!” La regina stringe le mani fredde del marito. Piange. *** Due giorni dopo Teofilo, sotto tortura, ha confessato di essere stato pagato dall’imperatore per uccidere re Tancredi. Lo stava avvelenando da molto tempo, a poco a poco, per non farsi scoprire. L’avvelenamento di Ruggero non era stato programmato. Teofilo aveva colto la palla al volo quando aveva avuto l’occasione, e aveva agito in fretta. Io ero arrivato troppo tardi per salvare Rugi, ma prima che Teofilo facesse sparire il calice con la sua “medicina”. Per non far precipitare il regno nel caos, re Tancredi ha annunciato che Ruggero era morto di una misteriosa malattia. Io stesso ho dovuto scrivere il certificato di morte. Naturalmente questo non ha salvato la vita agli assassini. Teofilo e Goffredo sono stati impiccati il giorno stesso, senza processo, e senza clamore. Selim è vissuto qualche giorno in più, quanto è bastato al torturatore per fargli confessare tutto quello che sapeva, sull’organizzazione dei ribelli musulmani in Sicilia. Nei sotterranei di San Giovanni degli Eremiti abbiamo trovato anche un passaggio segreto che portava alla chiesa. Tancredi era distrutto ma deciso a tutto, pur di salvare il trono dei Normanni. Il funerale di Ruggero è stato grandioso come quello di un re. Tancredi lo ha fatto seppellire con i paramenti reali e la corona.
Rugi passerà alla storia come Ruggero III, anche se è stato re solo insieme a suo padre. Io so che poteva essere un gran re per la Sicilia, forse per tutta l’Italia, ma non ha avuto la possibilità di dimostrarlo. Tancredi sa che non vivrà a lungo, e ha voluto subito nominare il suo nuovo successore: suo figlio Guglielmo, di dieci anni. Tancredi vuole addirittura associarlo al trono. Che cosa penseranno i baroni siciliani di un re bambino? Purtroppo Guglielmo diventerà re molto presto. Gualtieri dice che le “cure” di Teofilo hanno ridotto molto male Tancredi. Ormai è questione di mesi. La malattia di Tancredi doveva essere un segreto, ma la voce si è sparsa in fretta. Un mese dopo la morte di Ruggero, il regno di Sicilia è in piena crisi. I nobili ribelli hanno rialzato la testa, e gli imam hanno invocato la Jihad. Molte città mussulmane si sono ribellate: Erice, Corleone, Caltanissetta... Ad Alcamo gli effetti li ho potuti constatare io stesso. Quando sono tornato al mio castello, ho trovato la porta spalancata. In una stanza c’erano i corpi di Filomena, Alessio e Marco, sgozzati e girati in direzione della Mecca. Ho cercato invano di chiedere informazioni alla gente d’Alcamo. La risposta era la solita: “Niente aggiu visto, e niente aggiu sentito.” *** Ormai sono conte di Alcamo solo di nome. Nel mio castello c’è una guarnigione di soldati del re, e nella mia contea non mi faccio più vedere. Vivo a Palermo con Elena, nel nostro nuovo palazzo. Mia moglie passa molto tempo con Irene, ma la corte è a lutto, e non è questa la vita che Elena si aspettava. Io passo la maggior parte del tempo in ospedale. Gualtieri s’impegna al massimo, ma mancano letti, viveri, infermieri... praticamente tutto. Il Gran Maestro dei Cavalieri di San Giovanni aveva fatto grandi promesse, ma all’ospedale è arrivato poco o niente. La vigilia di Natale, arriva a Palermo una nave dell’Ordine, diretta a San Giovanni d’Acri.
C’è anche il mio amico Bernard de Chatillon. Mi fa capire che l’Ordine non manderà uomini e mezzi all’Ospedale di Palermo, finché la situazione politica della Sicilia non si sarà chiarita. La cosa mi lascia perplesso. “Non capisco. Il regno di Sicilia è lo stato più forte d’Italia. Non saranno certo pochi saraceni a farlo crollare” Bernard fa una smorfia. “I saraceni no, ma l’imperatore sì!” “Ma che dici? I siciliani hanno già sconfitto due volte l’imperatore! Enrico sta combattendo contro i guelfi in Germania, e non ha abbastanza risorse da attaccare la Sicilia.” Bernard scuote la testa. “I guelfi tedeschi si stanno arrendendo uno dopo l’altro. Non hanno speranza, adesso che l’imperatore ha fatto prigioniero Riccardo Cuor di Leone.” Ho avuto la conferma della prigionia di Riccardo in una lettera di mia sorella Marianna. Il re era partito dalla Terrasanta un anno fa, ma non era mai giunto in Inghilterra. Solo una delle sue navi, con la regina Berengaria e la principessa Giovanna (la mia “aulentissima rosa”), era arrivata a Marsiglia. Il re aveva preferito dirigersi in Inghilterra, passando per la Germania. Non ho mai capito perché Riccardo abbia preso questa decisione. Forse voleva incontrarsi con il nipote Ottone. Forse voleva “fare una sorpresa” al fratello Giovanni Senza Terra. Fatto sta che Riccardo è stato fermato a Vienna, e l’arciduca d’Austria l’ha consegnato all’imperatore. Robin e i suoi amici stavano raccogliendo i soldi per il riscatto. Non ho dubbi su come l’imperatore spenderà quel denaro. Ho imparato che tutto ha un prezzo, anche il sangue dei soldati italiani. Quanto vale il sangue blu di un re? Un giorno il re di Sicilia mi manda a chiamare. Stavolta Tancredi non mi vuole per una visita medica, perché mi riceve nella sala del trono. Con lui c’è la moglie Sibilla e il conte d’Acerra. C’è anche il piccolo Guglielmo, che Tancredi vuole già coinvolgere in tutte le decisioni importanti. Il re si rivolge a me in tono formale: “Michele d’Alcamo, l’anno scorso Ruggero ti ha incaricato di riconsegnare l’imperatrice Costanza a suo marito. Voglio che oggi tu completi la tua missione andando come nostro ambasciatore in Germania, per proporre un trattato di pace tra il regno di Sicilia e l’Impero.”
Esito prima di rispondere. “Il re mi fa un grande onore, ma io sono un medico, non un diplomatico. Penso che molti altri nobili del regno siano più adatti di me a quest’incarico.” Il re sospira. “Lo pensavo anch’io, ma l’imperatrice Costanza vuole parlare solo con te. Si può sapere cosa gli fai tu alle fimmene?” I particolari me li racconta il conte d’Aversa. Il regno di Sicilia deve prepararsi ad una terza invasione, e stavolta l’imperatore avrà un esercito più forte, forse invincibile. Enrico si era perfino rifiutato di ricevere il nostro ambasciatore. Neanche Costanza aveva voluto parlargli. Aveva mandato a dire che solo una persona del regno di Sicilia era stata gentile con lei: io! “Quanto sei stato “gentile” con lei?” Io evito di rispondere direttamente. “Ho fatto solo quello che Ruggero mi ha chiesto.” Al sentire il nome del figlio, Tancredi cambia espressione. “Se Ruggero si è fidava di te, voglio farlo anch’io. Va, e fa’ quello che va fatto.” Più tardi il conte d’Acerra mi da istruzioni precise sulla mia missione in Germania. Naturalmente proporrò ancora a Costanza un trattato di pace, ma nemmeno Tancredi ci conta molto. Il mio compito principale è cercare di approfittare della fiducia dell’imperatrice, per avere qualche informazione utile al regno di Sicilia. Forse Enrico si può ancora fermare. Se i fedeli di Cuor di Leone riuscissero a liberarlo senza pagare il riscatto… Se i guelfi tedeschi resistessero all’imperatore… Se i guelfi italiani si unissero in una lega… Troppi se! Fare la spia non mi piace, ma non posso certo tirami indietro. Chiedo solo un po’ di tempo per sistemare le mie faccende a Palermo. Innanzitutto l’ospedale. Fortunatamente c’è Gualtieri che è molto più esperto di me. Poi c’è Elena. Non posso portarla con me, ma non mi piace l’idea di lasciarla sola per tanto tempo. Elena mi toglie d’impaccio dandomi una notizia bomba: “Aspetto un bambino!”
Non riesco a credere alle mie orecchie. Era da tanto tempo che ci provavamo! Deve essere successo poco prima che andassi ad Alcamo: i sintomi sono inequivocabili. Al porto di Palermo, ci salutiamo con grandi abbracci. Affido Elena a Gualtieri, e le prometto che tornerò presto, molto presto.
Capitolo 9 Il Sacro Romano Impero (A. D 1194)
Una volta Rugi mi aveva detto che il Sacro Romano Impero, non era Sacro, non era Romano, e non era neanche un Impero. “Germania ed Italia sono solo un’accozzaglia di ducati, contee, e città libere. L’Impero non esiste!” “Davvero? E allora contro chi stiamo combattendo?” “Contro uno stronzo che crede ancora alla favola dell’Impero Universale!” “Enrico il Crudele sarà pure uno stronzo, ma è sempre l’imperatore, e proprio per questo può distruggerci tutti!” “Non lo farà, finché io sono vivo!” “Rugi, ma tu non sei più vivo!” Mi risveglio. *** Sono a Salerno, prima tappa nel mio viaggio verso la Germania. Tancredi ha mandato un messaggio a Costanza, per fissare un appuntamento. Io aspetto istruzioni nella casa dei miei genitori. Dormo nella mia stanza da scapolo. Accanto c’è la camera degli ospiti, dove ha dormito anche Rugi, quando tornavamo a casa ubriachi. Forse è per questo che lo sogno spesso, in questo periodo. Sento il bisogno di un amico ma Rugi non c’è più, e Robin è con Marianna, in Inghilterra. Neanche Giordano è a Salerno. Sono andato a trovarlo, ma nella casa dei San Severino, c’è solo Caterina, che allatta Carmelina, l’ultima nata. “Complimenti! Due figli in meno di due anni!” Caterina si è un po’ ingrassata dopo le due gravidanze, ma è sempre bella, e negli occhi c’è ancora un lampo di malizia. “Ormai penso solo a fare la mamma. Come sta Elena?” Caterina sa della tresca tra mia moglie e suo fratello? Probabilmente sì, ma conviene a tutti fare finta di niente. Rispondo, come se niente fosse: “Bene! È incinta!”
Dopo i rituali complimenti, chiedo a Caterina dove sono gli uomini della sua famiglia. Caterina esita a rispondere. Capisco che mi nasconde qualcosa. “Papà ed Adalberto sono a Capaccio, nel Cilento. Appena posso li raggiungo anch’io con i bambini. Un po’ d’aria di campagna ci farà bene.” “E tuo marito?” “Giordano è partito subito dopo la nascita della bambina. Papà l’ha mandato a Roma, per affari.” Quali affari? A Salerno c’è un’aria pesante. Molti nobili e mercanti hanno lasciato la città. Il motivo lo scopro quando mi viene a trovare Roberto d’Acerra, da poco conte di Nocera. Roberto mi porta un messaggio del padre. “La notizia è appena arrivata da Palermo. Re Tancredi è morto. Domani Guglielmo sarà incoronato re di Sicilia. La regina Sibilla farà da reggente.” Guglielmo ha solo dieci anni. Il regno di Sicilia è nelle mani di una donna e un bambino! Adesso capisco perché tanti hanno lasciato Salerno, a partire dai San Severino! Roberto m’informa che tra due settimane Enrico e Costanza saranno ad Augusta, per fare la pace con i nobili Guelfi. Presto la Germania sarà completamente sotto il controllo di Enrico il Crudele. Poi toccherà all’Italia. Roberto mi da anche una pergamena col sigillo della regina Sibilla. Leggo allibito quello che mi scrive: “Ho perso Tancredi, ho perso Ruggero e non voglio perdere anche Guglielmo. Vai da Costanza e implorala di salvare mio figlio. Dille che sono pronta a tutto, purché mio figlio viva!” Guardo negli occhi Roberto e gli chiedo: “Siamo nella merda, vero?” Il conte fa un gesto sconsolato. “Fino al collo! Nel ducato di Napoli, sono diventati tutti codardi, o traditori. Non ho idea di quello che puoi fare con l’imperatrice Costanza ma fallo presto!” Neanche io so quello che posso fare, ma mi preparo a partire. Non partirò solo. Mentre faccio i bagagli mi viene a trovare mio padre, che mi fa uno strano discorso. “Andando a Germania puoi passare per Assisi? Dovresti consegnare delle carte molto importanti a Pietro Bernardone.”
Papà mi porge delle pergamene. Sono Lettere di Credito, per delle belle cifre. Mi dà anche un sacchetto, pieno di monete d’oro. “Non sapevo che tu e Pietro aveste in corso affari così grossi. Che cosa state comprando?” Mio padre si decide ad aprire il sacco. “Non si tratta solo dei nostri affari. Pietro deve fare per me un deposito in una banca di Venezia.” Così papà sta incominciando ad esportare capitali all’estero! “Sei sicuro di poterti fidare di Pietro Bernardone?” “Devo farlo. Nel regno di Sicilia sta andando tutto in malora. Devo mettere in salvo quello che posso.” Papà aggiunge, come se niente fosse: “Magari potresti cogliere l’occasione per portare in vacanza tuo fratello. Matteo sarebbe felice di rivedere Francesco.” Allora le cose vanno peggio di quanto pensavo! “Papà, Ca nisciuno è fesso!. Tu hai paura, vero?” ”Solo un fesso non l’avrebbe. Se vince l’imperatore siamo perduti tutti quanti.” “Allora perché non partite anche tu e mamma?” “Prima devo mettere a posto i miei affari. Intanto porta via Matteo. Puoi dire a Pietro che il ragazzo resterà ad Assisi per qualche settimana. Poi gli farò sapere.” La nave affonda, e i sorci scappano. *** Viaggiamo in quattro: con me e Matteo ci sono due guardie che ci fanno da scorta. Percorriamo la Via Appia fino a Roma. Poi prendiamo la Via Flaminia, verso nord, facendo una deviazione, per accompagnare Matteo ad Assisi. Pietro Bernardone prende le lettere di credito di mio padre e accetta l’incarico di trasferire i capitali a Venezia, in un conto intestato a mio padre e a me. A scanso d’equivoci dico a Pietro che io stesso sarei passato a Venezia, sulla via del ritorno. Pietro Bernardone promette anche di prendersi cura di mio fratello, fino all’arrivo di mio padre. Francesco è contentissimo di rivedere Matteo, e lo presenta subito ai suoi amici. Francesco ha 13 anni (pochi mesi meno di Matteo), e studia, con poco profitto, nella scuola della Cattedrale d’Assisi.
Pietro Bernardone vorrebbe che il figlio entrasse nell’azienda di famiglia, ma Francesco non fa che sperperare i soldi del padre. Penso che Matteo si divertirà molto con lui! *** Continuo il mio viaggio verso nord, attraversando lo Stato Pontificio, fino a Bologna. A Modena sono già nel territorio dell’Impero, ma né papa né imperatore hanno un vero potere sui liberi Comuni dell’Italia Settentrionale. Proseguo verso nord, e arrivo a Trento, sede di un vescovo che è anche principe dell’Impero. Siamo ancora in Italia, ma fa molto freddo, e comincio già a sentire parlare tedesco. Arriviamo in città verso sera, e a stento troviamo due stanze in una locanda. Per cena ci portano un piatto di wurstel con crauti. Mangiamo in silenzio. Comincio a sentire la fatica del viaggio. Mi da fastidio il brusio degli altri commensali, in un incomprensibile volgare trentino, ed in tedesco. Ad un certo punto sento delle frasi in una lingua che assomiglia al tedesco, ma non è tedesco. Riconosco alcune parole, e sento anche un nome: Robin. Mi avvicino al tavolo degli inglesi, e vedo che al tavolo c’è proprio Sir Robin, mio cognato! Io e Robin congediamo le nostre guardie e passiamo la serata, davanti a due boccali di birra. Robin fa parte della delegazione inglese che ha negoziato il riscatto di Riccardo Cuor di Leone. La trattativa era stata lunghissima e l’imperatore continuava a perdere tempo. Poi Robin ha ricevuto un aiuto insperato da una nostra vecchia conoscenza: il trovatore Blondel de Nestle! “Blondel ha scoperto dove Riccardo era tenuto prigioniero. Dice che è andato in giro per tutte le prigioni della Germania cantando una romanza sotto le finestre, e alla fine Re Riccardo gli ha risposto!” “Ma che cavolata è questa! Tu gli hai creduto?” “No, ma Blondel ci ha dato l’informazione giusta. Forse ha avuto una soffiata da un suo amichetto tedesco!” Alla fine gli inglesi hanno messo l’imperatore alle strette, e hanno minacciato di liberare con la forza il loro re. Il riscatto è stato pagato, e re Riccardo è stato liberato.
“Quanto avete pagato?” Robin me lo dice a bassa voce. È una cifra da far paura! “Come avete fatto a mettere insieme tanto denaro?” “Non è stato facile. Tutti gli inglesi hanno contribuito al riscatto del loro re. Solo il principe Giovanni non voleva cacciare una sterlina. Per tirargli fuori dei soldi ho dovuto rubarglieli!” Robin mi racconta le sue imprese nella foresta di Sherwood. Lo chiamavano “Il principe dei ladri!”. Non posso fare a meno di osservare: “Valeva la pena di rovinarvi per un re normanno, che non sa neanche l’inglese?” Robin mi guarda brutto. “Riccardo è di sangue normanno, ma è sempre un gran re. E poi tu non sai com’è il principe Giovanni. Con re Riccardo, l’Inghilterra può tornare a vivere!” “E l’Italia morire!” Spiego a Robin che Enrico il Crudele utilizzerà i soldi degli inglesi per conquistare la Sicilia. Mio cognato lo sa già. “Enrico vi attaccherà per terra e per mare. Una parte del riscatto servirà per pagare la flotta genovese. Re Riccardo mi ha incaricato di portare i soldi a Genova. Ho con me una lettera di credito.” Non posso trattenere un commento: “Il tuo re era stato già pagato profumatamente per essere nostro alleato. Ci aveva pure donato la vostra spada Excalibur. Sai dove se la può mettere adesso?” “Se non fossi mio cognato, ti farei pagare col sangue per queste parole!” Meglio cambiare discorso. Parliamo di Marianna, e del bambino che è appena nato: l’hanno chiamato Mike. La notizia mi mette di buon umore: sono zio, e presto sarò anche padre. Io e Robin brindiamo ai nostri figli, e finiamo per ubriacarci. Le ultime vicende del re d’Inghilterra, mi fanno pensare a sua sorella. Da molto tempo non pensavo più alla mia “rosa fresca aulentissima”. Sotto i fumi dell’alcol ho il coraggio di chiedere a Robin: “Hai più visto Giovanna?” “Sì, è con la madre in Francia. Per il riscatto del fratello mi ha dato tutti i suoi gioielli!” “Si è risposata?” “Non ancora!”
Vorrei fare altre domande, ma Robin si è addormentato. La mattina dopo, quando scendo a fare colazione, mio cognato è già partito per Genova. *** Io proseguo il mio viaggio, a tappe forzate. Fortunatamente il tempo è buono, ed il passo del Brennero è aperto. Pochi giorni dopo sono ad Augusta, in Baviera. Augusta è la città preferita dall’imperatore, ma non è una vera capitale, così come il Sacro Romano Impero non è veramente un impero. Nella mia locanda sento molte persone parlare in volgare italiano. Il conte d’Acerra mi aveva incaricato di segnalargli, al mio ritorno, tutti i cittadini del regno di Sicilia che avrei incontrato in Germania. Dò una bella mancia all’oste per avere la lista di tutti i suoi ospiti, e scopro un nome che non mi aspettavo: il conte Giordano d’Aversa! Il giorno dopo incontro il mio amico a colazione. Giordano è contentissimo di vedermi. “Celi! Non sapevo che anche tu eri qui!” “Sono appena arrivato.” “Io sono ad Augusta da una settimana. Non ho ancora parlato con l’imperatore, ma sono riuscito a farmi ricevere da Costanza. La regina è una brava donna, ma tu la conosci già no?” Giordano parla a raffica. Era stato mandato da Goffredo di San Severino a chiedere clemenza all’imperatore, nella prospettiva, sempre più probabile, che il regno di Sicilia cambiasse padrone. Goffredo è proprio un gran paravento! Manda avanti suo genero, in modo che nessuno possa accusare lui stesso di tradimento. Giordano non si rende conto del rischio che sta correndo. Pensa che io sia venuto per il suo stesso motivo. Lo interrompo, prima che si comprometta troppo. “Non sono un traditore, io. Sono venuto a portare all’imperatrice un messaggio della regina Sibilla”. Giordano impallidisce. “Celi, non mi rovinare! Io ho famiglia!” “Se non fosse per me, tu non avresti nessuna famiglia!” Giordano è mortificato. “Michè! A te devo tutto, ma se mi faccio ammazzare a chi servirebbe? Salvati anche tu, finché puoi!” Giordano aveva incontrato Robin, e sapeva tutto del riscatto di Riccardo.
“Quel fetentone di Cuor di Leone! Ci ha fottuto tutti quanti!” Detta da Giordano, quell’espressione potrebbe essere intesa in senso letterale! Il mio amico se ne rende conto, e arrossisce. Cambia discorso. “La regina Costanza mi ha raccomandato di stare lontano da Salerno, perché la vendetta dell’imperatore sarà terribile. Staremo nascosti in Cilento fino a quando...” Giordano continua a parlare, ma io penso alla mia famiglia. Si salvi chi può! Prometto al mio amico che farò finta di non averlo visto. *** La regina mi riceve, il giorno dopo, nella sala delle udienze. Costanza mi dice che suo marito l’ha incaricata di ricevere tutti i postulanti del regno di Sicilia. Enrico sa che i nobili italiani si fideranno più di una regina siciliana che di un imperatore tedesco. Costanza ha raccontato a tutti che il regno di Sicilia conserverà la sua autonomia, e che i nobili che giureranno fedeltà all’imperatore conserveranno i loro feudi e i loro privilegi. Il tono con cui mi parla Costanza mi autorizza a farle una domanda indiscreta. ”È vero? L’imperatore manterrà le sue promesse?” “Naturalmente no! Non a caso lo chiamano Enrico il Crudele.” “Allora perché voi state facendo il suo gioco?” “E perché io dovrei trattare Salernitani e Siciliani meglio di come loro hanno trattato me?” “Forse per carità cristiana.” “Belle parole! Ho passato molti anni in convento, ma non sono una monaca, e voi lo sapete benissimo.” Costanza sorride. Per un attimo sembra quasi bella. Sono sincero quando le dico: “Conservo anch’io un bel ricordo del nostro ultimo incontro. Mi dispiace solo che non abbia dato il frutto da voi sperato.” “Vi sbagliate! Il frutto c’è stato.” Mi prende un colpo. Costanza chiarisce immediatamente: “Quando sono arrivata in Germania ero incinta. Per rendere il figlio legittimo, dovevo solo andare a letto con mio marito, il più presto possibile. Ricordate quelle cicatrici che vi ho mostrato?”
Ricordo bene, e indovino cosa è successo. “Avete perso il bambino!” Costanza annuisce. “Enrico è stato più crudele del solito. Forse, perché quella volta ero stata io a prendere l’iniziativa.”. Mi avvicino a Costanza e l’abbraccio. Adesso lei è solo una donna, una madre mancata. Piange. Penso che re terribile potrebbe essere, per la Sicilia, un uomo che si diverte a picchiare una donna. “Non dovete farvi più toccare da quell’uomo!” “Non succederà più, se voi mi aiuterete.” “In che modo?” “Nello stesso modo in cui mi avete aiutato l’ultima volta.” Forse non ho capito bene. Eppure le parole di Costanza possono essere intese in un solo modo. “Ho quarant’anni, ma sono ancora fertile. Una settimana fa sono stata di nuovo a letto con mio marito. Se rimanessi incinta mi lascerebbe in pace. Forse Enrico non è grado di darmi un figlio, ma voi sì.” Ruggero mi aveva ordinato di fottere sua zia, se fosse stato necessario. Adesso Rugi è morto, e il regno di Sicilia sta andando a puttane. Se io “mi sacrifico” chi ci guadagna? L’ultima volta, Costanza mi aveva preso di sorpresa, e, devo ammetterlo, non era stato sgradevole. Allora non sapevo che lei voleva da me un figlio. Adesso... “Madonna, il defunto re Tancredi mi aveva mandato qui per ottenere dall’imperatore una pace onorevole. La regina Sibilla mi ha dato un messaggio personale per voi. Vi prego di leggerlo.“ Costanza legge. La sua risposta è dura. “Sibilla ha avuto un marito che l’ha amata, e gli ha dato due figli e tre figlie. Io ho solo un marito che mi disprezza, e che non sa neanche concepire un bambino.” “La regina Sibilla ha perso il marito e un figlio, e ora rischia di perdere tutto. Non avete pietà di lei?” Costanza non cambia espressione, ma sento un tono diverso nelle sue parole. “Posso capire il dolore di una madre. Io non sono un mostro, ma l’imperatore sì!” “Potete intercedere presso di lui?”
“Posso fare ben poco. L’imperatore mi ha sposato solo perché sono l’erede del trono di Sicilia. Dopo avere occupato il regno, Enrico si libererà presto di me. Certo se avessi un figlio...” Costanza mi guarda in modo allusivo. Mi fa capire che il destino di Sibilla, Guglielmo e tutta la Sicilia è nelle mie mani. Anzi, nei miei lombi! *** “Fottila!” “Rugi, non si può fottere a comando!” “Hai bisogno di ordini? A te piacciono solo le regine: Giovanna, Berengaria, Costanza... se avessi potuto ti saresti fottuto anche mia moglie! Credi che non mi sia mai accordo di come guardavi Irene?” “Rugi, da morto sei ancora più insopportabile che da vivo!” “E allora perché mi sogni sempre?” Mi risveglio. *** Il giorno dopo il mio colloquio con Costanza, sono ricevuto anche dall’imperatore. Prima di Enrico ho già conosciuto altri re: Tancredi di Sicilia, Filippo di Francia, Riccardo d’Inghilterra. L’imperatore non assomiglia a nessuno di loro. Costanza mi ha detto che Enrico non ha neanche 30 anni, ma ne dimostra qualcuno di più. È seduto su un trono. Alla destra c’è la moglie Costanza. Riconosco alcuni rappresentati del regno di Sicilia: il conte d’Andria, l’abate di Montecassino, il conte d’Aversa (Giordano). Tutti “sorci” in fuga. Ci sono anch’io. Costanza mi ha suggerito di andare da lui a titolo personale, e non come ambasciatore del re di Sicilia. Non c’è niente da trattare. Nessun negoziato è possibile. Enrico ha vinto prima ancora di cominciare a combattere. L’imperatore saluta tutti con parole di circostanza. Quando arriva il mio turno, Costanza dice al marito che sono io il conte dottore che l’ha accompagnata a Roma, l’anno prima. Enrico mi fa un bel sorriso: il sorriso di un serpente! “Oh, un uomo di scienza! La medicina mi ha sempre affascinato!” Non lo metto in dubbio. A nessuno prima era venuto in mente di usare un medico come sicario!
Ripenso a Rugi e a suo padre, e a fatica riesco a rendergli omaggio senza fare commenti. Il mio incontro “privato” con Costanza avviene di sera, in un convento poco fuori la città, dove spesso la regina si recava in ritiro spirituale. Entro nel convento vestito da frate. Mi apre una suora siciliana di cui la regina è sicura di potersi fidare. Costanza mi aspetta nella sua cella, con una camicia da notte ricamata. Sono molto nervoso. Ho quasi paura di non farcela. Oltretutto, se Costanza ha un figlio, chi mi dice che sarà veramente un bene per Guglielmo, Sibilla e l’Italia? Penso a mia moglie Elena, e al nostro figlio in arrivo, a cui dovrei dare un fratellastro. Penso a re Guglielmo, a Sibilla che confidano su di me. Penso anche alla vedova di Rugi. Che ne sarà d’Irene se Enrico diventa re di Sicilia? Diventerà anche lei, rosa senza spine, una preda di guerra? Il pensiero d’Irene con Enrico mi fa ribollire il sangue. Guardo Costanza, e improvvisamente vedo in lei solo la moglie dell’uomo che ha fatto uccidere Rugi, e ucciderà chissà quanti altri, se non riusciamo a fermarlo. La stendo sul letto. Le strappo la camicia ricamata e penso a come sarebbe bello farlo con Irene. Mi sembra di sentire di nuovo la voce di Rugi: “Se avessi potuto ti saresti fottuto anche mia moglie!” È vero Rugi! Se potessi lo farei anche adesso, ma non ci riuscirò mai. Posso solo fottere un’imperatrice, fare le corna al pervertito che ha fatto uccidere il mio amico, e mettere un bastardo sul suo trono. Posso farlo, e voglio farlo! *** Sulla via del ritorno mi fermo a Venezia. A Rialto vado a trovare una mia vecchia conoscenza: Zanetto Dandolo, il nipote del doge. La Repubblica di San Marco è ancora decisa a rimanere neutrale nel conflitto tra Sicilia e Germania, e continua a fare affari con entrambi i contendenti. Strana città Venezia, costruita sulle isole della laguna: piena di traffici, ma senza grandi monumenti. Zanetto mi fa visitare la cattedrale, dedicata a San Marco. Le sue cupole sono solo una brutta imitazione di quelle di Santa Sofia a Costantinopoli. For-
se un giorno San Marco sarà una basilica importante, ma adesso la chiesa è spoglia, e sembra incompiuta. Zanetto mi accompagna da Isacco, il banchiere che cura gli affari di Pietro Bernardone a Venezia. Isacco mi conferma che Pietro ha aperto un conto a nome di mio padre, nominando me come curatore. Ho la brutta sorpresa di scoprire che l’importo è molto inferiore a quello che sapevo. Mi riprometto di chiarire la faccenda con mio padre e Pietro appena possibile. M’imbarco sulla prima nave in partenza per la Sicilia. *** A Palermo corro immediatamente ad abbracciare mia moglie. Elena sta benissimo. La gravidanza le dona. Omai è al sesto mese, e ha una bella pancetta. Mia moglie racconta come ha passato gli ultimi mesi. “Dopo la morte di re Tancredi, a Palermo si vive male. Anche alla corte c’è un‘atmosfera pesante.” “Che dice Irene?” “Non vedo mia cugina da molto tempo. Dopo la morte di Ruggero, Irene non esce quasi mai dal palazzo. Passa la maggior parte del tempo con la regina Sibilla.” La regina mi riceve il giorno dopo. Con lei c’è Irene. Riferisco il messaggio di Costanza. “L’imperatrice vi raccomanda di non fidarvi di suo marito, qualunque promessa vi fa. Se volete salvare re Guglielmo, dovete mandarlo lontano, magari a Costantinopoli.” Sibilla manda uno sguardo eloquente ad Irene, che scuote la testa. “Costantinopoli non è sicura. Mio padre è in guerra con i Bulgari, e la corte è piena di complotti.” Sibilla aggiunge. “Non esiste un posto sicuro per un re in esilio. L’imperatore può trovarlo e farlo uccidere dovunque. Meglio che resti in Sicilia, dove almeno c’è un esercito che lo protegge.” Sì, ma fino a quando? Riferisco un altro suggerimento di Costanza: “Se Enrico riesce arrivare in Sicilia, vi conviene rinchiudervi in una fortezza sicura, e cercare di prendere contatto con Costanza. L’imperatrice ha promesso il suo appoggio, anche se dovrà mettersi contro suo marito.” Sibilla mi guarda pensierosa. “Costanza è sincera? Può mantenere la sua promessa?”
Rispondo con sicurezza. “L’imperatrice è ben disposta verso di voi. Molti in Sicilia l’appoggeranno.” “Conte d’Alcamo vi ringrazio. Vi prego di non riferire il nostro colloquio a nessuno. Mio fratello spera ancora di vincere la guerra!” Guardo Irene, ultima confidente della regina. Noto che evita di guardarmi negli occhi. Non capisco perché. Forse le ricordo Ruggero? Torno al mio ospedale, o almeno a quello che n’è rimasto. I Cavalieri di San Giovanni ci hanno abbandonato, e dobbiamo arrangiarci come possiamo. *** Nel mezzo della notte Elena si sveglia. Ha le doglie, eppure dovremmo essere solo al settimo mese, se non ci siamo sbagliati a fare i conti. Non è il primo bambino che aiuto a nascere, ma questa volta si tratta di mio figlio. Elena grida: si sono rotte le acque. Mando a chiamare Gualtieri, e nel frattempo cerco di rassicurare mia moglie. “Respira! Va tutto bene!” “Bene una minchia!” Elena ha imparato fin troppo bene il volgare siciliano! Arriva Gualtieri, e dalla sua espressione capisco che c’è veramente qualcosa che non va. Mi prende in disparte. “Hai notato che le gambe di Elena si sono gonfiate in questo ultimo mese?” “Sì, un po’. Voi stesso mi avete detto che talvolta capita, quando la puerpera acquista peso.” “Sì, ma in alcuni casi è un sintomo di un’infezione della placenta.” “C’è pericolo per il bambino?” “Michele, tu sei un medico e conosci già la risposta.” Elena ha di nuovo le contrazioni. Vedo comparire la testa del bambino. È un maschio. Piange. Taglio il cordone ombelicale, e prendo il bambino in braccio. Com’è piccolo! Poco dopo esce la placenta. Una placenta chiaramente infetta. L’espressione di Gualtieri me lo conferma. Mi dice: “C’è fuori un prete. Puoi far battezzare il bambino.” “Perché? Che fretta c’è?” Leggo negli occhi di Gualtieri la risposta, ma potevo arrivarci da solo.
Il fatto è che sono medico, ma anche padre, e non voglio arrendermi, neanche davanti all’evidenza. Accanto al prete ci siamo solo io, con il bambino in braccio, e Gualtieri, che fa da padrino. Elena è a letto, poco distante. È sfinita, ma mi sembra che sta bene. “Come volete chiamare questo bambino” “Ruggero!” Dico quel nome senza riflettere. Avevo già pensato di dare a mio figlio il nome del mio amico, ma adesso tremo al pensiero che Rugi junior può fare la fine del suo omonimo. Il prete spruzza l’acqua santa e completa in fretta il rituale. Il piccolo Ruggero vagisce sempre più debolmente... “Adesso c’è un altro angelo in Cielo!” Le parole del prete non mi consolano, anzi mi fanno imbestialire. Non è giusto! Il piccolo Rugi giace immobile nella sua culla, in attesa che preparino la sua bara. Sono seduto sul letto di Elena, e le stringo le mani. Non riesco a dire niente, nemmeno a piangere. *** L’esercito dell’imperatore ha iniziato l’invasione dell’Italia meridionale pochi giorni dopo la morte di mio figlio. I comunicati ufficiali parlano di molti scontri ai confini di Puglia e Campania. Dicono che l’esercito del re di Sicilia fa un“eroica resistenza”, ma nessuno sa come sta andando veramente. Un giorno ricevo la visita di un funzionario reale, che m’invita a seguirlo al Palazzo dei Normanni. Mi attende la regina Sibilla, con suo fratello, il conte d’Acerra. Il conte non perde tempo in convenevoli. “Conte d’Alcamo, voi siete medico. Quando avete parlato con l’imperatrice Costanza, avete notato in lei qualcosa di strano?” Non capisco la domanda: “L’imperatrice mi è sembrata in buona salute, ma non le ho fatto una visita medica.” Il conte sbotta: “Insomma, Costanza è incinta?” Faccio fatica a non tradirmi.
“Quando l’ho vista, l’imperatrice non aveva nessuno dei sintomi della gravidanza, ma ora sono passati più di tre mesi.” “Secondo voi una donna di quarant’anni può avere un figlio?” “Sì, ma il primo parto in tarda età comporta notevoli rischi, sia per la donna sia per il bambino.” Il conte d’Acerra si rivolge alla regina Sibilla. “Costanza mente! L’imperatore ha messo in giro la voce che la regina è incinta solo per convincere i Siciliani che il loro prossimo re è un legittimo discendente degli Altavilla.” Sibilla non è convinta. “Se Costanza non è incinta, lo verremo presto a sapere!” “Forse no. Forse Enrico vuole inscenare un finto parto. Magari l’imperatore ha avuto un bastardo da una sgualdrina qualunque, e lo vuole fare passare come figlio legittimo.” Sibilla si rivolge a me. “Secondo voi Costanza sarebbe disposta a fare questa commedia?” Rispondo sinceramente. “Non credo. L’imperatrice una volta mi ha detto che desiderava tanto un figlio, ma un figlio suo!” Il conte d’Acerra scuote la testa. “Secondo me quel bambino è in ogni caso un bastardo. Enrico e Costanza sono sposati da molti anni, e non è possibile che abbiano un figlio proprio adesso. Se trovo quel mentecatto che ha messo incinta quella cagna...” Sibilla lo interrompe. “Chi è il padre non ha importanza. Importa solo sapere se il bambino discende o no dagli Altavilla.” Il conte d’Acerra non ha dubbi. “Diremo a tutti di no! Diremo che la gravidanza di Costanza è un trucco, e sfideremo l’imperatore a dimostrare il contrario.” Il conte e la regina continuano a parlare tra loro come se io non esistessi. Poco dopo vengo congedato. Torno all’ospedale sconvolto. Ho perso un figlio, ma forse sto per averne un altro! *** Adesso non ci sono più dubbi. Il regno di Sicilia ha perso la guerra. La flotta imperiale, partita da Genova, è apparsa improvvisamente di fronte a Napoli. La città, che due anni fa aveva resistito eroicamente, adesso è caduta quasi senza combattere.
Tradimento? Oppure colpa del disfattismo che ha contagiato tutti? Nessuno vuole combattere per un re bambino, contro un imperatore chiamato Enrico il Crudele. Tutti a casa! L’unico che ha provato a resistere è stato il conte d’Acerra, ma alla fine anche i suoi soldati se la sono data a gambe. Il conte è stato fatto prigioniero. Più tardi si è venuto a sapere che è stato legato alla coda di un cavallo, trascinato per le vie, e poi impiccato. L’unica città della Campania che ancora resiste è Salerno, ma solo perché i Salernitani hanno paura della vendetta d’Enrico e Costanza, per il voltafaccia di due anni fa. Da molto tempo non ricevo più lettere da mio padre e mia madre. Saranno riusciti a lasciare la città in tempo? Finalmente arriva una nave con gli ultimi nobili rimasti fedeli a re Guglielmo. Riconosco l’arcivescovo di Salerno. Gli chiedo: “Eccellenza! Avete visto mio padre?” “Non lo vedo da molto tempo. Ormai a Salerno sono rimasti in pochi.” Parlando con gli sfollati scopro che anche la Puglia è stata conquistata dall’esercito imperiale. Salerno è sotto assedio, e non resisterà a lungo. Il giorno dopo sono convocato dalla regina al Palazzo dei Normanni. Sibilla è con Irene. Mi conferma che il regno di Sicilia è sull’orlo del collasso. La regina è in partenza per la fortezza di Caltabellotta, dove pensa di potere resistere per qualche mese. E poi? “Costanza ha promesso che avrebbe salvato mio figlio. Io le credo, ma Enrico è venuto in Italia da solo. Avete idea di dov’è Costanza?” La regina deve essere proprio disperata, se fa questa domanda a me! Io posso solo riferirle le dicerie che ho raccolto. “Dicono che Costanza è in viaggio per l’Italia. Forse l’imperatore vuole mostrare l’erede ai siciliani.” “Se arrivasse in tempo! Quando nascerà il bambino?” Faccio un po’ di conti. “Forse a fine Dicembre.” “Cercherò di resistere almeno fino a Gennaio. Avete modo di rintracciare Costanza prima del parto?” Mi viene un’idea. “Col vostro permesso potrei andare a cercarla. Così potrei rintracciare anche i miei genitori. L’ultima volta che li ho visti erano a Salerno, e non so che fine hanno fatto.”
“Permesso accordato!” Prima di partire chiedo solo un favore: “Vi prego di prendervi cura di mia moglie. Abbiamo da poco perso un figlio, e non vorrei lasciarla sola a Palermo. Vi sarei molto grato se la portaste con voi, dovunque andiate.” “Naturalmente. Vostra moglie è molto simpatica, e poi è cugina d’Irene...” Irene si affretta a dire che parlerà subito ad Elena, ma capisco che c’è qualcosa che non va. Sto per lasciare il Palazzo dei Normanni, quando sono avvicinato da un‘ancella che mi prega di seguirla. Vengo fatto entrare in quella, che, un tempo, era la camera di Rugi. Mi trovo davanti Irene. “Conte d’Alcamo, c’è una cosa che non ho mai voluto dirvi, ma adesso dovete sapere. Dopo la morte di Ruggero, ho trovato tra le sue carte una lettera. Vi prego di leggerla” Riconosco immediatamente la calligrafia. Mio amato bene! Ormai sono sicura. Avremo un figlio! Il figlio che tua moglie non è stata capace di darti. Vorrei tanto poter gridare al mondo intero che il bambino è tuo, ma devo per forza inchinarmi davanti alla ragion di stato... e poi non sarebbe giusto né per Irene né per Michele. Bontà sua! Guardo Irene e vedo la stessa rabbia nei suoi occhi. Riprendo la lettura. Ti amo, ti amerò sempre, ma questo segreto rimarrà tra noi. Ti prego solo di vegliare su nostro figlio, perché un giorno possa avere nel Regno il posto che gli spetta. Ed io che lo avevo chiamato Ruggero! Un presentimento? Rugi poteva dare a suo figlio una contea migliore di quella d’Alcamo, e poi, chissà! Dopotutto anche re Tancredi era un figlio illegittimo! Ecco perché Ruggero mi aveva mandato in missione ad Alcamo e a Baida! Per fottersi con calma mia moglie. Guardo di nuovo Irene, che mi chiede. “Adesso capite perché non volevo che vostra moglie venisse a vivere con me e la regina?”
Capisco. “Elena sa che voi avete trovato questa lettera?” Irene annuisce. “Le ho parlato, quando voi eravate in Germania. Se la cosa vi può consolare, lei mi ha giurato che con mio marito ha avuto solo una breve avventura. Ha detto anche che il bambino non era figlio di Ruggero. Sperava solo di guadagnarci qualcosa...” La cosa non mi consola per niente. Ormai il ricordo del mio bambino e del mio amico è rovinato per sempre. *** “Celi, è stata una cosa da nulla! Elena ama te.” “Sì, Rugi, e anche te, Adalberto, e chissà quanti altri...” “No, lei ama solo te. Una volta l’ho sentita mormorare il tuo nome, nel sonno.” “Allora ammetti che sei andato a letto con lei!” “Che ti aspettavi? Quando una bella donna mi stuzzica, non posso mica tirarmi indietro!” “Devi farlo, con la moglie di un amico.” “Senti chi parla! Tu non avevi occhi che per Irene. Hai una bella moglie, ma pensi solo alle regine. Anche Elena l’aveva capito.” “Hai il coraggio di dire che è tutta colpa mia?” “Quale coraggio? Io sono morto!” *** Era veramente tutta colpa mia? Continuo a sognare Rugi, l’amico che mi ha tradito. Non so se ho parlato con il fantasma di Rugi, o solo con la mia coscienza, ma quel sogno mi ha scosso. Il giorno dopo torno da Irene, e la prego di perdonare Elena e di portarla con la regina a Caltabellotta. Irene acconsente. “Farò come volete. Siete troppo buono! Vostra moglie non vi merita.” Quando dico ad Elena che parto di nuovo, per un lungo viaggio, mia moglie cerca di trattenermi. “Nascondiamoci insieme da qualche parte! Puoi andare dalla regina Costanza, quando lei arriverà a Palermo.”
Dico ad Elena che la lascio sotto la protezione della regina Sibilla. Mia moglie cambia immediatamente espressione. “Che ne dice Irene?” “Mi ha detto che è molto contenta che vai a stare con lei!” Elena è perplessa, ma non ha il coraggio di dire altro. Neanch’io! *** Sono su una nave, diretto a nord. Navighiamo sottocosta per sfuggire alle imboscate delle navi di Genova e Pisa, che stanno per invadere la Sicilia. Passato Capo Palinuro, incappiamo in una tempesta. Il vento ci spinge verso terra e a fatica i rematori riescono ad evitare che la nave si sfasci sugli scogli. A Punta Licosa il mare si è un po’ calmato, ma la nave a stento riesce a tenersi a galla. A fatica riusciamo ad approdare sani a salvi. È notte, e ci addormentiamo esausti sulla spiaggia. La mattina riconosco, poco lontano, i templi di Paestum. Mi ricordano Segesta, dove Giovanna ed io abbiamo dormito, dopo essere fuggiti da Alcamo. Quanto tempo è passato? Solo tre anni, ma mi sembra un secolo. I marinai verificano se la nave è in grado di riprendere il mare. Guardo le falle e rabbrividisco. Siamo stati fin troppo fortunati ad arrivare fin qui! Saluto i marinai e proseguo il mio viaggio a piedi. La zona in cui mi trovo è paludosa. Devo arrivare prima possibile alle colline se voglio evitare di prendermi la malaria. Arrivo a Capaccio, poco prima del tramonto. Sulla strada che porta al castello c’è una casa, da cui sento venire delle voci. Mi avvicino al cancello e sento l’abbaiare di un cane, poi il pianto di un bambino. Una voce di donna grida: “Michele, veni qui!” Caterina di San Severino non sta chiamando me, ma suo figlio. Subito dopo arriva anche Giordano. Baci, abbracci... Fortunatamente Gustavo e Adalberto di San Severino sono in giro per le loro terre, e torneranno solo il giorno dopo. Giordano mi racconta il suo viaggio di ritorno dalla Germania.
Il conte d’Aversa non era neanche passato per il suo feudo. Era andato direttamente nel Cilento, ed era rimasto nascosto fino all’arrivo dell’esercito dell’imperatore. “Dove sono i tedeschi?” “Hanno preso Salerno tre giorni fa. Adesso proseguono verso sud. Cosenza si è già arresa...” Devo assolutamente andare a Salerno, per sapere quello che è successo a mio padre e mia madre. Quando lo dico a Giordano, lui mi fa un segno eloquente. “Stai pazzianno?” Convinco il mio amico ad aiutarmi. Riparto la mattina dopo. Giordano mi regala un cavallo, e un po’ di viveri. *** Arrivando a Salerno, passo davanti alla torre che chiamano “la Carnaia”. Il nome viene da una battaglia di 300 anni fa, in cui i cristiani fecero una carneficina di saraceni. Adesso vedo molti cadaveri, ma sono tutti cristiani: italiani e tedeschi. I salernitani hanno resistito fino all’ultimo, ma infine gli imperiali hanno fatto irruzione in città, seminando morte e distruzione. Salerno doveva essere punita per l’affronto fatto due anni prima alla regina Costanza. I tedeschi hanno obbedito agli ordini con entusiasmo. Intorno vedo ancora i segni degli incendi. Andando verso il centro comincio a vedere pochi scampati che portano a seppellire i loro cari. Sento un uomo gridare. “Enrico ‘o Fetente!” È vero: Enrico il Crudele è troppo poco! Passo accanto al Duomo. Vedo alcune teste infilate su pali proprio davanti alla chiesa. Riconosco il prete che mi ha insegnato il catechismo. L’arcivescovo è in salvo in Sicilia... per ora! Arrivo alla villa dei miei genitori. La casa ancora in piedi, ma i muri sono anneriti dal fumo dell’incendio. Provo a chiamare, ma non mi risponde nessuno. Entro nella camera di mio padre. I saccheggiatori hanno rivoltato tutta la casa, ma vedo che tutte le mattonelle del pavimento sono ancora al loro posto. Sotto una mattonella trovo il nascondiglio segreto di mio padre. C’è solo una lettera, indirizzata a me.
Celi, se passi di qui, sappi che tua madre ed io siamo in partenza per un posto sicuro. Passeremo prima a prendere Matteo. Se non ci trovi, puoi chiedere notizie a chi sai. Tiro un sospiro di sollievo. La pergamena ha la data del 20 Settembre, più di un mese fa. Forse papà e mamma sono già passati ad Assisi. Dovrebbero avere lasciato un messaggio per me a Pietro Bernardone. Dovrebbero... Prima di lasciare la casa voglio dare un’occhiata ai locali della servitù, nel caso che sia rimasto qualcuno. Trovo solo una ragazza, morta. È distesa a terra, nuda, con gli occhi sbarrati. La riconosco subito: è Rosina, la servetta con cui avevo ballato la tarantella. Tarantella d’Enrico ‘o Fetente che ‘a povera gente la vita levò. Tarantella, l’Italia è fottuta, nessuno ci aiuta, si salvi chi può!
Capitolo 10 Il Ciclope (A.D. 1194-1195)
Riprendo il mio cammino verso nord, e faccio una sosta a Nocera. Vedo che il castello è stato dato alle fiamme. Riconosco per strada un maniscalco che una volta ho curato nel mio ospedale. Mi racconta che Nocera aveva cercato di resistere alle truppe imperiali, ma il conte (Roberto!) era stato sconfitto, fatto prigioniero, e poi scuoiato vivo. Rabbrividisco. Poteva toccare a me. Proseguo per Napoli. Trovo segni di saccheggi, ma la città se l’è cavata molto meglio di Salerno. Il porto è pieno di marinai genovesi. Nel Castel dell’Ovo c’è un delegato dell’imperatore. Napoli si sta avviando a diventare la seconda capitale del Regno, al posto di Salerno. *** Riprendo la Via Appia e passo il confine con lo stato pontificio. A Terracina mi fermo al Castello Frangipane. Cencio mi accoglie amichevolmente, e mi racconta le ultime notizie sulla guerra. Messina si è arresa, Catania è stata messa a ferro e a fuoco, e a Siracusa sono sbarcati i genovesi. Palermo dovrebbe arrendersi da un momento all’altro. “Dov’è l’imperatore adesso?” “Forse già a Palermo!” “Costanza è con lui?” Cencio sorride. “Ah la chiami per nome! Allora sono vere quelle chiacchiere che ho sentito!” Arrossisco. “La regina mi ha onorato della sua amicizia. Nient’altro!” “Bravo! È così che deve dire un gentiluomo!” Cencio continua ad ammiccare. “Lo sai che la regina è incinta? Dicono che è un trucco, ma io credo di no. A quarant’anni una donna non è ancora da buttare via... ma questo tu lo sai benissimo, no?”
Cencio sa veramente qualcosa? Cerco di stare allo scherzo. A fatica riesco ad avere le ultime notizie su Costanza. L’imperatrice voleva che suo figlio nascesse in Italia, ed era partita senza attendere l’autorizzazione del marito. Cencio aggiunge. “So che, una settimana fa’, la regina era ospite del vescovo di Trento. Mi hanno detto che viaggia molto lentamente. Non credo che potrà essere a Roma prima della fine dell’anno.” Faccio un po’ di conti. Ho il tempo di passare ad Assisi, e poi cercare Costanza, in una tappa del suo viaggio. *** Ad Assisi riabbraccio Matteo. Le sue prime parole sono: “Finalmente! Mamma e papà dove sono?” Vorrei saperlo anch’io! Pietro Bernardone mi dice: “Ho ricevuto l’ultima lettera da tuo padre più di un mese fa. Era in partenza con la sua nave per Venezia. Sarebbe dovuto arrivare da un pezzo.” Un viaggio via mare ha sempre dei pericoli: ci sono le tempeste, i pirati saraceni... C’è anche la possibilità che la nave di mio padre sia stata intercettata da una nave genovese o pisana. Posso parlarne con Costanza. Forse lei mi può aiutare. Pietro interrompe i miei pensieri. “Non so che sia successo a tuo padre, ma io non posso tenere ancora tuo fratello a sbafo. Meno male, che sei venuto a riprendertelo!” Non riesco a credere alle mie orecchie. Questo è lo stesso Pietro Bernardone che mio padre ha ospitato, con tutta la famiglia a Salerno? Inizio il discorso con prudenza: “Il banchiere Isacco mi ha mostrato l’importo del conto che avete aperto con i soldi di mio padre.” Pietro m’interrompe. “Voi mi avete dato solo delle lettere di credito. A fatica sono riuscito a recuperare qualcosa. Genovesi e Pisani sono in guerra col regno di Sicilia, e non vogliono pagare i debiti con i loro nemici.” Ribatto: “Appunto per questo mio padre si è rivolto a voi, che siete suddito del papa.” “Ho fatto quel che potevo, e non è stato facile. Vostro padre lo confermerebbe se...”
Pietro s’interrompe. Mi viene un terribile sospetto: Pietro sa che mio padre non tornerà! La porta della stanza si apre. È Francesco. “Papà! Non vorrai mica cacciare via Matteo?” Pietro è imbarazzato. Prova a dire: “Matteo deve tornare dalla sua famiglia…” “Quale famiglia? Suo padre e sua madre sono scomparsi, sua sorella è in Inghilterra, e suo fratello non può occuparsi di lui.” Adesso sono io ad essere in imbarazzo. “Che dici? Matteo può benissimo venire con me a Palermo. Solo dobbiamo lasciare un messaggio per mamma e papà.” Francesco insiste. “Scusa Michele, ma tu sei sempre impegnato in ospedale. Che farebbe Matteo, a Palermo?” Nel frattempo è entrato anche mio fratello. Non dice niente, ma prende per mano Francesco. La sua espressione è eloquente. Francesco guarda di nuovo il padre. Il suo sguardo non ammette repliche. “Matteo può aspettare i suoi genitori qui. Non è vero, babbo?” Pietro guarda prima il figlio, poi me, e infine sbotta. “Va bene. Matteo può restare, per un po’. Ma sia ben chiaro che detrarrò dal vostro conto di Venezia le spese per il suo mantenimento!” Matteo è chiaramente irritato, ma preferisce rispondere diplomaticamente. “Posso guadagnarmi da vivere. Se volete vi aiuterò con la contabilità. Sono bravo in matematica.” Francesco coglie la palla al balzo “È vero papà. Matteo mi aiuta sempre a fare i compiti!” Pietro finalmente sorride. “Ecco perché da quando è arrivato Matteo, Francesco a scuola va molto meglio!” Pietro ed io mercanteggiamo un po’, ma alla fine troviamo un accordo. Matteo e Francesco si abbracciano, ed io tiro un sospiro di sollievo. Matteo è più al sicuro ad Assisi che in viaggio con me. Più tardi dico a mio fratello: “Non immaginavo che Francesco fosse tanto affezionato a te!” “Francesco è un santo. È generoso con tutti. Il padre lo rimprovera sempre perché è troppo buono.” Matteo aggiunge: “Mamma e papà arriveranno presto…vero?” Vorrei tanto crederlo! Cerco di rassicurare mio fratello, ma ho un brutto presentimento. Adesso ho un motivo in più per trovare Costanza.
*** Ad Assisi nessuno sa niente dell’imperatrice Costanza. Proseguo sulla Via Flaminia per Ancona, dove mi fermo a dormire in una locanda. Manca poco a Natale e fa molto freddo. Dopo cena cerco di riscaldarmi davanti al caminetto. Accanto a me c’è un mercante di Roma che ha voglia di chiacchierare. Io sto quasi per addormentarmi, e faccio finta di ascoltarlo solo per cortesia. Sobbalzo quando lo sento dire: “Mi dispiace solo che devo partire domani e mi perderò lo spettacolo. Pensate: una regina che partorisce in piazza!” Non sono sicuro di avere capito bene. “La regina Costanza? L’imperatrice?” “Chi altri se no? Nessuno voleva credere che la regina fosse veramente incinta, e allora lei ha deciso di partorire davanti a tutti.” “Dov’è la regina?” “A Jesi, a poche miglia da qui.” Se penso che ci sono passato senza neanche fare domande! A Jesi c’è solo un castello insignificante. Se Costanza si è fermata lì, vuol dire che può partorire da un momento all’altro. Passo una notte insonne. Vedrò nascere mio figlio, e ho il terrore che il piccolo faccia la stessa fine del mio primogenito. Non potrei sopportare una simile esperienza un’altra volta! *** Il giorno dopo sono al castello di Jesi. Mi presento come Conte d’Alcamo, e aggiungo che sono anche un medico. La regina mi riceve quasi subito. Ha una bella pancia, e mi sembra in ottima forma. Costanza spiega al suo medico personale che io l’ho già curata, a Salerno. Dovrò testimoniare a tutti i siciliani che il suo bambino è veramente l’erede legittimo al trono di Sicilia. Legittimo? Si fa per dire! Restiamo da soli, e la regina mi parla come una mamma qualsiasi: “Celi, sono tanto contenta che tu sia venuto! Aiutami a mettere al mondo tuo figlio!”
Sono commosso. Costanza per la prima volta mi chiama Celi, il nome con cui ho firmato i mie versi. Deve averli riletti molte volte! Oso chiamarla anch’io per nome: “Costanza, sei sicura che sia veramente mio figlio?” La regina aggrotta le sopracciglia. “Sicurissima no, ma spero tanto che il bambino sia tuo. Non voglio abbia il sangue degli Hohenstaufen!” “E se fosse una bambina?” “Deve essere un maschio, con tutti i calci che mi dà!” Non dico a Costanza che questa è solo una diceria, senza fondamento scientifico. Le accarezzo la pancia, e sento che il bambino è veramente irrequieto. Ha fretta di venire al mondo. Bussano alla porta. Un’ancella annuncia il principe Filippo, il fratello minore dell’imperatore. Costanza lo fa entrare. “Filippo ti presento il conte Michele d’Alcamo. È il medico che mi ha curato, quando ero prigioniera a Salerno. Mi ha fatto liberare, e mi ha accompagnato dal papa.” Il principe mi guarda con curiosità. Noto che ha circa la mia età. Filippo assomiglia poco a suo fratello, e sembra più simpatico. Mi parla in francese, con forte accento tedesco. “Il conte dottore! Ho sentito parlare di voi. Come sta la puerpera?” “La regina sta bene, ma non avrebbe dovuto affaticarsi in un lungo viaggio.” “Glielo detto anch’io! L’imperatore è molto preoccupato per suo figlio. Che ne pensate di quella sua idea di partorire in piazza?” Guardo Costanza. Oso dire: “Secondo me la regina non dovrebbe correre questo rischio. Fa molto freddo fuori!” Costanza ribatte: “Si gela anche in questo palazzo! Ho dato ordine di fare preparare una tenda, e tutti potranno vedere nascere il prossimo re di Sicilia!” Filippo fa un sospiro rassegnato. “Ormai si è sparsa la voce. Se ci tirassimo indietro, la gente comincerebbe a spettegolare. La regina avrà tutta l’assistenza possibile. Quando pensate che nascerà il bambino?” Azzardo un’ipotesi. “Ormai manca pochissimo. Direi oggi o domani.” “Sarebbe bello se fosse oggi. Sarebbe un segno del destino se l’erede al trono nascesse la notte di Natale, mentre il padre è incoronato re di Sicilia!” Ho capito bene?
Costanza mi spiega tutto appena Filippo è uscito. La regina Sibilla si è arresa. L’imperatore ha promesso salva la vita, a lei e alla sua famiglia. Guglielmo ha anche ricevuto il titolo di Conte di Lecce. “Enrico manterrà le sue promesse?” Costanza scuote la testa. “Avevo avvertito Sibilla di non fidarsi. Doveva aspettare almeno che io arrivassi in Sicilia.” Spiego a Costanza che è stata Sibilla a mandarmi da lei. Costanza sembra delusa. “Allora non siete venuto per me!” Mi correggo in fretta. “Certo che sono venuto per voi, ma non avrei mai potuto raggiungervi senza l’aiuto della regina. Che succederà adesso?” “Non so. Guglielmo è ancora un bambino, ma è stato re di Sicilia. Per l’imperatore è sempre una minaccia.” Cerco di convincermi che Enrico manterrà la sua parola, almeno per un po’. Forse Costanza farà in tempo ad arrivare in Sicilia, prima che sia troppo tardi. La notte di Natale sono al fianco della regina. La tenda è pronta, ma le doglie non sono ancora incominciate. Nella cappella del Castello è celebrata la Santa Messa. Costanza riceve la comunione, e poi si affaccia alla finestra. Il popolo di Jesi l’acclama. Tanti passano la notte all’aperto nell’attesa del futuro re. Il bambino ora non sembra avere più tanta fretta di lasciare il suo comodo rifugio. Solo il giorno di Santo Stefano Costanza comincia ad avere le doglie. La regina è messa immediatamente su una portantina. In piazza sono accesi da qualche tempo dei fuochi, ed è stata fatta bollire una quantità impressionante d’acqua. Sotto la tenda c’è una confusione pazzesca. Ci sono almeno dieci dottori (o presunti tali) ma la regina insiste ad avere al suo fianco me. Fa bene Costanza a fidarsi di un medico che non è neanche riuscito a salvare il suo primogenito? Costanza è una donna forte. Sopporta il dolore molto meglio d’Elena. Grida solo quando comincia ad apparire la testa del bambino. “È un maschio!” La voce si sparge nella piazza e nelle vie di Jesi. Tanti si accalcano verso la tenda. A molte donne è dato il permesso di entrare e vedere.
Tengo tra le braccia mio figlio (?), dopo avere tagliato il cordone ombelicale. Il bimbo strilla con una forza inaudita. Lo metto tra le braccia della madre. Costanza lo stringe delicatamente a sé, esausta ma felice. “Bello di mamma tua!” È veramente bello? Non saprei, ma sicuramente è sano e forte! *** Nella piccola chiesa di San Niccolò il vescovo domanda:. “Che nome volete dare a questo bambino?” Costanza risponde senza esitazione: “Federico Ruggero!” Enrico e Costanza avevano già deciso di chiamare il figlio coi nomi dei nonni: Federico come il “nonno paterno” (Federico Barbarossa), Ruggero come il nonno materno (Ruggero II di Sicilia). Il principe Filippo è incantato da “suo nipote”, e lo coccola chiamandolo “Fritz”. Costanza parla al bambino in volgare siciliano, e lo chiama “Rico”. La regina ha insistito che facessi io da padrino, preferendomi a tanti nobili più importanti. Io sono imbarazzato, mentre lo prendo in braccio. Guardo attentamente Rico cercando delle somiglianze. Sono padre o padrino? *** Non rimaniamo a Jesi a lungo. Costanza ha fretta di riprendere il suo viaggio, per il regno di Sicilia. Facciamo solo una breve sosta a Roma, ospiti del cardinale Lotario, dei Conti di Segni. Papa Celestino III è vecchio e debole, ma siede ancora sul trono di Pietro. Molti a Roma si preparano al prossimo conclave. Tra loro il nostro ospite è uno dei candidati più autorevoli. Il cardinale ci riceve alla Torre delle Milizie, il nuovo palazzo che i Conti di Segni hanno fatto costruire sulle rovine del Mercato di Traiano. Lotario è completamente diverso da Celestino. Il cardinale ha solo 35 anni, ed è da sempre sostenitore dell’indipendenza della Chiesa dall’Impero. Costanza mostra al cardinale il piccolo Federico. Il cardinale non lesina i complimenti. “Che amore di bambino! Tutto sua madre!” Lotario si dà da fare per guadagnarsi la simpatia della regina. Costanza sta al gioco. Anche lei, un giorno, potrebbe avere bisogno di lui.
*** Napoli è la prima città del Regno ad accogliere festosamente Costanza. Molti vengono a presentare delle suppliche, per le ultime vittime di Enrico il Crudele. L’imperatore ha fatto incarcerare anche Sibilla, Guglielmo, e tutta la famiglia reale. Costanza mi ha promesso di intercedere per loro, appena arriviamo in Sicilia, ma forse è già troppo tardi. Che fine avrà fatto Irene? Ed Elena? Mi sento di nuovo in colpa per avere pensato prima ad Irene, e poi a mia moglie. A Napoli sento che Enrico ha requisito terre e città a molti nobili italiani mettendo al loro posto i suoi amici tedeschi. Tra i conti rimasti senza contea c’è anche il mio amico Giordano. A Castel dell’Ovo, Costanza gli concede un’udienza privata. Uscendo Giordano mi dice: “Poteva andare peggio! La regina mi ha promesso un’altra contea in Sicilia. Partirò subito, con Caterina e i bambini.” “Che cosa dirà tuo suocero?” “Se ha salvato la pelle e la contea, lo deve a me! Vurria vedè si facisse storie!” Noto che Giordano non sembra più lo sfigato che avevo conosciuto durante la Crociata. Forse al mio amico è andata meglio che a me. Lui ha salvato moglie e figli, e si è anche liberato di un suocero ingombrante. A Napoli incontro anche il Gran Maestro degli Ospitalieri. L’Ordine ha riaperto l’Ospedale di Napoli. All’Ospedale di Palermo ci dovrò pensare io. *** Sulla nave che ci porta a Palermo ci sono anche Giordano, Caterina, e i loro figli. Caterina è di nuovo incinta, e Giordano stravede per lei. Caterina fa una buona impressione anche alla Regina Costanza. Stranamente le due donne, così diverse, diventano quasi amiche. In realtà Costanza non cerca amici. Vuole solo crearsi una corte di sudditi fedeli a lei, e non a suo marito.
Dopo quel momento di debolezza, a Jesi, Costanza ha ripreso a darmi del voi, anche in privato. Io guardo sempre il piccolo Rico, cercando di capire a chi assomiglia. Ha gli occhi azzurri come mia madre, e, purtroppo, il naso di Costanza. Nella nostra nave viaggia anche il principe Filippo di Hohenstaufen. Filippo mi fa molte domande sulla Sicilia, e sulla famiglia Altavilla. Poco alla volta fa cadere il discorso sulla vedova di Ruggero. “La principessa è veramente così bella?” Rispondo senza esitazione: “Bella e dolcissima. Suo marito la chiamava Rosa senza spine.” “Interessante, sono curioso di vederla.” Azzardo a domandare: “La principessa è a Palermo?” “Sì. L’imperatore me la vuole fare conoscere. Forse la sposerò!” Faccio fatica a rimanere impassibile. Dentro di me non riesco ad accettare l’idea che Irene è diventata un bottino di guerra! Ripenso ad Elena. Anche lei dovrebbe essere a Palermo. Mi riprometto di riabbracciarla dimenticando il passato. Forse possiamo ricominciare da capo. *** A Palermo ritrovo il vecchio Gualtieri. Mostro al professore una borsa di monete d’oro che mi ha dato il Gran Maestro, e facciamo progetti per il rilancio dell’ospedale. Nessuno sa dov’è Elena, e non ho il coraggio di chiederlo a Costanza. Dopo molte esitazioni, chiedo udienza al principe Filippo, che mi riceve subito. “Oh il conte dottore! Come va l’ospedale?” Dopo pochi convenevoli, chiedo a Filippo se ha già visto la principessa Irene. “Come no! Me ne sono innamorato subito. Avevate ragione: è una “rosa senza spine.” A questo punto oso chiedere se posso parlare con la principessa, cugina di mia moglie... Filippo è gentilissimo. Mi accompagna lui stesso da Irene. Irene è sorpresa di vedermi con Filippo. La principessa ostenta una cortesia formale, ma è evidente che Filippo le piace.
Non posso darle torto. Il principe è d’aspetto gradevole, ed è gentile. In più è un ottimo partito! Irene mi porge una pergamena: “Conte d’Alcamo, sono contento di rivedervi. Ho per voi una lettera di vostra moglie.” Mi congedo dalle altezze reali e apro il plico appena arrivato a casa. Caro Celi Ieri è arrivata una nave da Costantinopoli. Al comando c’è mio cugino Basilio, che ha chiesto ad Irene di imbarcarsi per Costantinopoli prima dell’arrivo della flotta imperiale. Irene ha rifiutato. Io ho accettato. Spero che riuscirai a capirmi. Il nostro non è mai stato un vero matrimonio. Forse se nostro figlio fosse sopravvissuto... Sì era veramente tuo figlio, qualunque cosa ti abbia detto Irene! Non so nemmeno se tornerai mai a Palermo. Da quando siamo sposati sei stato quasi sempre via. Anche quando eravamo insieme, pensavi ai tuoi malati, a Ruggero, ad Irene... a tutti tranne che a me! Vorrei dirti tante cose, ma credo che sia meglio dare un taglio netto. Non ti chiedo di perdonarmi. Saresti capace di farlo, e non lo sopporterei. Lo diceva anche Ruggero, che eri troppo buono! Addio Elena Comnena Elena firma col suo cognome bizantino, per ribadire, una volta per tutte, che tra noi tutto è finito. Rileggo la pergamena parecchie volte. Cerco di analizzare quello che sento. Umiliazione? Forse, ma anche senso di colpa. Rabbia? No, al massimo un po’ d’irritazione. Dolore? No. Anzi, quasi... sollievo! *** Nei suoi primi mesi come re di Sicilia, Enrico si è guadagnato un altro soprannome: il Ciclope.
Non so se qualcuno gliel’ha mai riferito. Forse, l’immagine del gigante, che ingoia un siciliano dopo l’altro, non gli sarebbe dispiaciuta. Enrico si è divertito addirittura a mandare le sue vittime nel mio ospedale, prima di farli impiccare. Il primo è stato l’arcivescovo di Salerno. Io l’ho riconosciuto subito, ma lui no. Gli avevano bruciato gli occhi. Poco dopo mi hanno mandato un vecchio che portava, in tutto il corpo, i segni delle torture. Era il conte di Castrogiovanni, colpevole di avere appoggiato la regina Sibilla fino all’ultimo. Infine sono costretto a medicare un ragazzino, accecato e castrato. Ha perso molto sangue, e non parla. È in uno stato catatonico. Una guardia mi spiega che l’imperatore vuole che i suoi sudditi lo temano. Per questo manda le sue vittime ad un “conte-dottore” che può testimoniare a tutti che fine fanno i traditori. Il soldato mi sussurra che il bambino è Guglielmo d’Altavilla: quello che, per pochi mesi, è stato chiamato re Guglielmo III. Faccio fatica a non tradirmi. Conoscevo bene Guglielmo. Tante volte l’ho visto giocare con mio fratello Matteo. Solo che... Il bambino che mi hanno portato non è Guglielmo. Non gli assomiglia nemmeno! *** Il giorno dopo sono al Palazzo dei Normanni, per visitare Costanza e il bambino. Costanza non è mai stata così bene. Il piccolo Rico scoppia di salute. Costanza è dispiaciuta di non poterlo allattare lei stessa, ma la sua balia marchigiana ha latte in abbondanza. Racconto a Costanza dei “pazienti” che mi ha mandato suo marito. Costanza lo sa già. “Alcuni erano veramente dei traditori. L’arcivescovo di Salerno se l’è meritata.” “E Guglielmo? È ancora un bambino!” “L’imperatore voleva che la dinastia d’Altavilla si estinguesse. Avevo chiesto ad Enrico di salvare la vita di Guglielmo. Enrico ha risposto che mi avrebbe accontentato. L’ha fatto, ma a modo suo.” Rabbrividisco. Costanza aggiunge. “Celi, io non lo volevo! Ma pensa a nostro figlio!” Nostro figlio! Costanza non l’aveva mai detto prima.
Guardo il piccolo Rico. Per lui Costanza è capace di tutto, ma io no. Federico non deve diventare re di Sicilia, a questo prezzo! Costanza intuisce i miei sentimenti e aggiunge in fretta. “Sibilla e le figlie si salveranno. Le manderemo in Germania. Ho convinto Enrico che le ragazze potranno diventare ottime mogli per i nostri alleati.” Anche le principesse sono diventate merce di scambio! Adesso so che non devo assolutamente dire a Costanza quello che scoperto su Guglielmo. Chiedo invece: “Prima che Sibilla parte, potrei salutarla? Mi aveva affidato una missione, e voglio dirle che suo figlio è vivo, almeno.” Costanza torna a darmi del voi. “Avete un bel coraggio. Andate!” *** Una guardia mi accompagna all’ultimo piano del Palazzo dei Normanni. Prima c’erano le camere della servitù. Adesso ci sono Sibilla e le figlie, guardate a vista. La guardia mi fa entrare nella stanza dell’ex regina, e accetta di lasciarci soli. Sibilla è stupita di vedermi. Io la saluto ad alta voce, poi metto il dito sulla bocca e le indico la finestra. Ci spostiamo in un angolo in cui nessuno può sentirci, e le sussurro. “Dov’è Guglielmo?” Sibilla impallidisce. Prova a dire: “Non sapete che...” La interrompo. “Ho visto il bambino... mutilato, e non ho detto niente a nessuno. Dov’è il vero Guglielmo?” Sibilla scoppia a piangere. “Salvatelo, vi prego!” “Farò quello che posso, ma per quell’altro povero ragazzo non c’è più niente da fare!” Sibilla continua a piangere. “Era il figlio di una mia ancella. Temevo che l’imperatore non mantenesse la sua parola, ma non pensavo che...” Dopotutto Sibilla è come Costanza. Anche lei, per suo figlio, è disposta a tutto! “Come mai nessuno si è accorto di niente?”
“Nessuno guarda attentamente un bambino, e a quell’età i ragazzi cambiano in fretta.” Sibilla mi racconta com’è avvenuto lo scambio dei ragazzi, le sue speranze, e poi la sua disperazione. Io le riferisco del mio colloquio con Costanza. La rassicuro sul destino delle sue figlie. Aggiungo: “Io non sono riuscito a salvare Rugi, ma voglio almeno aiutare suo fratello. Ditemi dov’è!” Sentendo il nome di Ruggero, Sibilla riprende a piangere. Mi racconta tutto. *** Finalmente “Il Ciclope” torna ai suoi affari in Germania. Con lui partono Filippo (con Irene), Sibilla (con le figlie), e un numero enorme di bagagli, pieni dei tesori della reggia di Palermo. Filippo e Irene non si sono ancora sposati. L’imperatore ha convinto Filippo ad aspettare, fino a quando non si saprà chi comanda a Costantinopoli. Corrono voci che c’è stato un ennesimo colpo di stato. Il padre d’Irene, è stato imprigionato, e accecato, dal fratello Alessio. Irene aveva ragione. Latini e greci non sono poi tanto diversi! Costanza è rimasta in Sicilia, con il piccolo Federico. I nobili siciliani ripongono in lei le loro ultime speranze. Molti hanno perso la vita, e altri il feudo. Io stesso sono ancora conte d’Alcamo, ma la guerra contro i ribelli islamici continua, e nel mio castello c’è una guarnigione tedesca. Un giorno Costanza chiede il mio parere, prima di assegnare una contea, rimasta vacante. “Sto pensando di nominare Giordano conte di Castrogiovanni. Non è una gran contea, ma c’è una fortezza importante, e non voglio darla ad un tedesco. Il nuovo conte dovrà comandare una guarnigione di soldati che hanno combattuto per Sibilla. Credete che Giordano sarà all’altezza?” Rispondo immediatamente. “Giordano è intelligente e fidato, e sua moglie sa farsi benvolere da tutti. Se volete posso accompagnarlo io stesso a Castrogiovanni. Al ritorno, potrò riferirvi come se la cava il nuovo conte.” Costanza accoglie la mia proposta. Corro a dare al mio amico la bella notizia. Giordano e Caterina hanno abitato a casa mia, in queste ultime settimane.
La presenza dei bambini mi distraeva dai miei pensieri, e Giordano mi dava una mano in ospedale. Adesso dico al mio amico che potrà ricambiare la mia ospitalità a Castrogiovanni. Partiamo immediatamente. In realtà non sono affatto sicuro che Giordano, poco esperto d’armi, e oltretutto napoletano, sia indicato per gestire una contea siciliana come Castrogiovanni. Se l’ho raccomandato a Costanza, è stato, soprattutto, per mantenere la promessa che avevo fatto a Sibilla. *** Un tempo Castrogiovanni si chiamava Enna. Castrogiovanni è solo la storpiatura siciliana del suo nome arabo, ma ormai tutti la chiamano così. La terra della contea è arida, e non mi meraviglia affatto che nessun nobile tedesco l’abbia reclamata. Quando arriviamo davanti alla rocca capisco perché Costanza ci teneva tanto a mettervi un uomo di sua fiducia. Le mura sono costruite a picco sulla roccia. La fortezza è praticamente imprendibile. Ci viene incontro il capo della guarnigione, Calogero Cabibi. Calogero è di poco più grande di me, e capisco subito che è un soldato esperto. Ha difeso Castrogiovanni da solo, quando il vecchio conte era prigioniero, e si arreso solo quando la regina Sibilla gliel’ha ordinato. Giordano si comporta da diplomatico. Elogia il comandante per il suo coraggio, e dice che sa di poter contare sul suo appoggio, ora che la regina Costanza ha intrapreso una politica di “conciliazione nazionale”. Calogero ascolta impassibile, ma non mi sembra molto convinto. Mentre Giordano e Caterina visitano la casa, io mi allontano con una scusa, e vado a trovare Calogero. Gli mostro un fazzoletto in cui è ricamata una piccola S: come Sibilla. Calogero cerca di rimanere impassibile. “Un bel fazzoletto. Come l’avete avuto?” “Me l’ha consegnato la regina Sibilla in persona. Sono il Conte d’Alcamo.” “Oh! Il conte dottore! Non abbiamo bisogno di voi. Qui stiamo tutti bene!” “Anche Guglielmo?” Calogero impallidisce, ma dice: “Non capisco di chi state parlando. Tra i miei soldati non c’è nessuno che si chiama Guglielmo.” Racconto a Calogero tutto quello che mi ha detto Sibilla.
Il comandante ammette che Guglielmo è stato portato a Castrogiovanni. È venuto con una donna di nome Isotta, la madre del ragazzino che è stato scambiato col re. Calogero mi accompagna alla casa dove la donna e il bambino sono nascosti. Riconosco subito Guglielmo, anche se è vestito come un contadino. Anche lui mi riconosce, mi viene incontro, e mi chiede: “Come sta mamma? E le mie sorelle?” Posso rispondere sinceramente. “Stanno bene. Sono in Germania.” “E Alfredino?” Guglielmo parla del bambino che ha preso il suo posto. Non riesco a dire niente. Non sono capace di mentire. Calogero risponde al mio posto: “Nessuno sa niente. Probabilmente è anche lui in Germania” Annuisco. Forse è vero. Quando è uscito dall’ospedale, il bambino era ancora vivo. La madre di Alfredino scoppia a piangere. Che fare adesso? Sento bussare alla porta. È Giordano. “Michele, che ci fai qui? Cercavo Calogero. Mi avevano detto che era andato a casa...” Giordano si blocca, quando vede Guglielmo. Io invento la prima scusa che mi viene in mente. “Calogero mi ha chiesto di fare una visita medica a suo nipote...” Giordano m’interrompe. “Michè, Ca nisciuno è fesso! Chillo è Guglielmo, nun è ‘o vero?” Non posso negarlo. Giordano conosceva Guglielmo. Aveva anche giocato a pallone con lui! Posso solo ricordare al mio amico un suo vecchio debito. *** Giordano non è un ingrato, ma è terrorizzato, per se e la sua famiglia. “Michele, ti rendi conto nascondere Guglielmo è “alto tradimento”. Per un guaglione che a Salerno quasi mi scassava le palle!” ”Se denunci Guglielmo, sarà lui a rimetterci le palle, e non solo quelle!” Giordano è mortificato. Prova a dire: “Se ne parlassimo con la regina Costanza? Lei non è cattiva” “La regina non salverà mai il rivale al trono di suo figlio!” “Michele, nessuno sarebbe disposto a combattere per Guglielmo contro Federico!”
“Non ti chiedo di farlo. Appena possibile porterò Guglielmo lontano dalla Sicilia, ma adesso per lui il posto più sicuro è proprio Castrogiovanni.” Giordano è “nu bravo guaglione”. Accetta di prendersi a casa l’ex re. Il conte di Castrogiovanni si guadagna così la gratitudine di Guglielmo, e cosa ancora più importante, la stima di Calogero. Il comandante più tardi mi confessa che, all’inizio, era piuttosto scettico sulle qualità di Giordano. Ora è disposto a dargli tutto il suo supporto. Giordano mi chiede di rimanere ancora qualche giorno a Castrogiovanni per assistere Caterina che sembra avere una gravidanza difficile. Il parto avviene in anticipo sul tempo previsto. Sono due gemelli, in ottima salute. Caterina è stremata ma felice. Giordano non sta in sé dalla gioia. I bimbi sono battezzati con i nomi di Pietro e Paolo. I padrini sono Guglielmo e Calogero, che ormai fanno parte della famiglia. Passo il Natale a Castrogiovanni. La cena è abbondante, annaffiata con un forte vino siciliano. In questo momento lieto, mi viene da pensare al povero Alfredino e a sua madre. Chiedo: “Come mai Isotta non ha cenato con noi?” Calogero fa un gesto di disappunto. “Isotta è scappata via!” “Come? Era prigioniera?” “Purtroppo no. Avevo detto al conte che era pericoloso lasciarla andare in giro senza sorveglianza!” Giordano cerca di tranquillizzarmi. “Michele, che cosa potevo fare a quella povera donna, che ha già perso il figlio? Ucciderla? Metterla in prigione?” Calogero scuote la testa, ma non posso dar torto a Giordano. Cerco di tranquillizzarmi. Isotta probabilmente non è neanche riuscita ad arrivare a Palermo. Anche se arrivasse al Palazzo, chi le darebbe retta? Suonano le campane, brindiamo a Gesù bambino, e anche all’anno nuovo. Giordano è convinto che l’anno 1196 porterà pace e prosperità alla Sicilia, e a tutta la Cristianità. Vorrei tanto crederlo anch’io!
Capitolo 11 Tra re e regina (A. D. 1196)
Da quando Enrico ha occupato la Sicilia, i Cavalieri di San Giovanni hanno moltiplicato i finanziamenti per l’ospedale di Palermo. Il Gran Maestro mi ha perfino autorizzato ad acquistare un palazzo nuovo, che sarà anche la residenza ufficiale dell’ambasciatore dell’Ordine presso il regno di Sicilia. Capisco il motivo di tanta generosità solo dopo aver parlato col mio amico Bernard de Chatillon, appena arrivato da San Giovanni d’Acri. Mi dice: “Ci siamo Michele! Stiamo preparando la Crociata!” Cado dalle nuvole. “Quale crociata? Ce ne sono già state tre!” “Questa sarà l’ultima. La guiderà l’imperatore in persona. Presto Gerusalemme sarà di nuovo cristiana“ Provo ad obiettare. “Nemmeno Riccardo Cuor di Leone è riuscito a prendere Gerusalemme. Perché Enrico il Crudele dovrebbe riuscirci?” “Crudele o no, Enrico è l’imperatore che ci vuole. Ha la forza e la determinazione che serve.” “Che dice il re di Gerusalemme?” “Henri de Champagne? Lui è stato sempre solo un burattino nelle mani dello zio Riccardo. Riccardo Cuor di Leone ha tradito gli ideali della Crociata e adesso sta combattendo contro il re di Francia. Dio lo punirà!” Non faccio commenti. Penso solo che se Enrico il Crudele andasse veramente in Palestina, tutti i Siciliani farebbero salti di gioia. Troppo bello per essere vero! *** L’imperatore arriva in Italia pochi giorni dopo. Si capisce subito che Enrico vuole veramente fare la Crociata, ma a pagarla devono essere Napoletani e Siciliani. Come se i tedeschi non avessero già rubato abbastanza! Da Napoli continuano ad arrivare notizie di esecuzioni, di veri o presunti ribelli. Un giorno la regina mi manda a chiamare. Costanza è con il piccolo Rico, che mi viene incontro a braccia aperte. “Celi!”
“Rico! Figghiu beddu!” Lo prendo in braccio, e gli faccio un po’ di coccole. Rico parla poco, ma capisce bene il siciliano. Costanza si è sempre rifiutata di parlargli in tedesco. Costanza ci guarda compiaciuta, ma dice che Federico deve andare a nanna. Arriva subito una bambinaia che lo porta via. La regina vuole parlarmi da sola. “Quando avete visto l’ultima volta il conte Giordano di Castrogiovanni?” Non capisco il motivo della domanda. “Giordano è venuto a trovarmi in ospedale l’ultima volta che l’avete convocato a Palazzo. Mi sembra che sia stato un mese fa.” Costanza annuisce. “Vi ha detto per quale motivo l’ho chiamato?” “No. Mi fatto capire che era una cosa riservata.” “Non avrebbe dovuto dirvi neanche questo! Voi conoscete mio marito!” “Ormai lo conoscono tutti in Sicilia.” Costanza abbozza appena un sorriso. “Siamo in un momento critico per il regno. Adesso Enrico ha la Sicilia, ed anche un figlio. Ormai non gli servo più!” Non posso credere alle mie orecchie. “Non capisco. Non può annullare il vostro matrimonio!” Costanza scandisce le parole: “Forse, ma ci sono tanti mezzi per liberarsi di una moglie, e anche di un marito!” Rabbrividisco. Tra Costanza ed Enrico ci sarà una lotta all’ultimo sangue! “Se ancora sono viva è solo perché molti nobili Siciliani sono rimasti fedeli agli Altavilla. Pensavo che lo fosse anche il conte di Castrogiovanni, ma Giordano si è rivelato più amico vostro che mio!” Sudo freddo. “Madonna, Giordano è un mio amico, ma non vi tradirebbe mai!” “L’ha già fatto! Nasconde in casa sua un ragazzo che dice d’essere re di Sicilia.” Mi butto in ginocchio. Mi prendo tutta la colpa. Chiedo pietà per Giordano, Caterina, e anche per Guglielmo. “Quel povero ragazzo non ci pensa neanche a diventare re. Vuole solo vivere. Voi stessa avevate promesso a Sibilla di salvargli la vita.” “Sibilla però ha sacrificato un altro bambino per salvare il suo. Ho parlato con sua madre!” Costanza mi spiega che Isotta conosceva la contessa di Clotilde di Caltagirone, che ne ha parlato al marito.
“Fortunatamente il conte Arnaldo di Caltagirone è un amico fidato... lui!” Costanza si rivolge a me con il suo tono più formale. “Conte d’Alcamo, non voglio punirvi, perché ho bisogno di voi. Ho bisogno anche del Conte di Castrogiovanni. Di quel ragazzo io non so niente, e non voglio sapere niente. Se salta fuori qualcosa, ve la vedrete direttamente con l’imperatore.” Non riesco a credere di essermela cavata così a buon mercato! Faccio mentalmente il conto delle persone che sanno che Guglielmo è vivo: Giordano, Caterina, Calogero, i conti di Caltagirone, e... Costanza mi legge nel pensiero. “Non vi preoccupate d’Isotta. La farò rinchiudere in un convento. Non parlerà!” No, non parlerà. Il giorno dopo ho visitato Isotta in ospedale. Le avevano tagliato la lingua. *** Una settimana dopo il mio incontro con Costanza, ricevo un invito a cena dal conte Arnaldo di Caltagirone. Conoscevo il conte solo di vista, ma una volta Rugi mi aveva parlato di lui. Arnaldo era un siciliano di vecchio stampo, e aveva cercato, invano, di convincere re Guglielmo II (il Buono) a non fare sposare la sorella ad un tedesco. Rugi sperava di portarlo dalla sua parte. Forse ci sarebbe riuscito, se ne avesse avuto il tempo... Non avevo mai visto la contessa Clotilde, ma Elena l’aveva incontrata in un salotto, quando io ero ad Alcamo. Mi aveva detto che la contessa era molto più giovane di suo marito, e che gli faceva un sacco di corna. “Il bove che dice cornuto all’asino!” Non avrei mai dovuto lasciarmi sfuggire questa battuta con Elena. Forse mi ha procurato qualche corno in più! A Palazzo Caltagirone trovo il fior fiore dell’aristocrazia siciliana. Tutti si fanno annunciare con una sfilza di titoli da far paura. Per non sfigurare mi annuncio come “conte d’Alcamo e di Famagosta”. La regina mi ha dato istruzioni precise su come comportarmi. Saluto il conte e la contessa come se li conoscessi da sempre. Arnaldo mi accoglie come un vecchio amico, ma mi riesce difficile dargli del tu. Il conte di Caltagirone deve avere almeno 60 anni, ma ha un bel portamento.
La contessa è veramente bella, con i suoi lunghi capelli neri, attorcigliati in trecce elaborate. Ha grandi occhi neri, e non dimostra più di 25 anni. Mi accorgo che tanti guardano di soppiatto me e Clotilde cercando qualche segno rivelatore. Tutti devono pensare che io sia l’amante della contessa. Almeno fosse vero! La cena sembra non finire mai. Sono rintontito dalle tante chiacchiere. Non manca nemmeno la musica, e un trovatore provenzale recita le sue romanze. Tutti applaudono, ma sono sicuro che ben pochi l’hanno veramente capito. Mi domando quando qualcuno si deciderà a scrivere versi in siciliano. Nessuno l’ha ancora fatto... tranne me, naturalmente! Finalmente gli invitati cominciano ad andarsene. Nessuno si meraviglia vedendo che io rimango col conte e la contessa per un ultimo bicchiere di Marsala. Quando finalmente siamo soli, Arnaldo arriva al punto: “Michele, la regina mi ha detto che possiamo fidarci di te. Tu sei un vero siciliano?” Rispondo di getto: “Sono di Salerno, ma non voglio che la Sicilia e l’Italia siano schiave di un re straniero.” “Era quello che volevo sentire.” Brindiamo alla regina Costanza e al principe Federico Ruggero. Beve anche Clotilde, stringendosi teneramente ad Arnaldo. Il conte mi annuncia che intorno alla regina Costanza si sta formando un gruppo di “patrioti” che sosterranno lei e il figlio contro l’imperatore “con ogni mezzo”. “Bisogna fermare il Ciclope, prima che ci divori tutti quanti!” Il conte mi spiega che il mio compito sarà quello di mantenere i contatti tra “gli amici della regina”. Non devo sapere nient’altro. Chi non sa non può parlare. “Allora non vi fidate di me!” “In certe situazioni parlano tutti.” Ripenso al ragazzino che è scambiato per Guglielmo, anche a sua madre. “Sapete quello che è successo ad Isotta?” Risponde Clotilde: “Lo sappiamo. L’abbiamo fermata appena in tempo. Poteva tradirci tutti!” Guardo la contessa. Capisco che è una donna determinata almeno quanto il marito. Domando:
“Perché proprio io?” Risponde Arnaldo: “Perché voi avete una doppia copertura: siete un medico dell’Ordine degli Ospitalieri, e siete abbastanza giovane e prestante, perché tutti vi credano l’amante di mia moglie.” Sono imbarazzato. “Scusate conte. Ma non vi secca recitare davanti a tutti la parte del...” “Cornuto? Perché dovrebbe dispiacermi? Mia moglie ha già avuto degli amanti. Lo sanno tutti!” Clotilde fa un cenno d’assenso, e aggiunge: “Arnaldo sa bene che io amo solo lui!” Ripenso a Giovanna, Berengaria, e anche ad Elena. Questi aristocratici non li capirò mai! *** La settimana successiva torno ancora a Palazzo Caltagirone. Il conte Arnaldo è partito per destinazione ignota. Clotilde mi consegna alcuni messaggi per gli “amici”. Alcuni sono nobili palermitani che ho conosciuto alla sua festa: mi verranno a trovare in ospedale con la scusa di farsi visitare dal “conte –dottore”. C’è anche una pergamena per l’amico Giordano. È un plico sigillato. Dovrò portarlo a Castrogiovanni io stesso. Clotilde mi raccomanda: “So che Giordano è un vostro amico, ma non ditegli da chi avete avuto il messaggio!” “Lo so. Chi non sa non può parlare. Ma Giordano è come un fratello. Per me si farebbe squartare vivo.”. Clotilde fa un gesto di scongiuro. “Non ditelo!” Clotilde non ha altre istruzioni da darmi, ma sembrerebbe strano se un medico (o un amante) si trattenesse così poco nella sua camera. La contessa mi chiede come ho conosciuto la regina Costanza. Le racconto la mia storia, omettendo solo i particolari più intimi. Clotilde ascolta attenta: “Allora siete figlio di un mercante! Avete una nobiltà recente, come me. Lo sapevate che mia madre era una contadina?” Non me lo sarei aspettato. Clotilde ha la classe di una nobildonna di antica schiatta. “L’unica differenza tra noi, è che voi il titolo ve lo siete guadagnato in una crociata, e io a letto!”
Clotilde ed io siamo più simili di quanto lei crede. Se lei sapesse che io sono stato nominato da re Riccardo conte di Famagosta “per meriti speciali” nel letto di sua sorella! Sono imbarazzato. Chiedo il permesso di congedarmi. Clotilde mi guarda stupita. “Perché? Potete rimanere quanto volete. Dopotutto siete il mio amante ufficiale.” Lo sguardo di Clotilde non sembra dar luogo ad equivoci. La mia voce trema, quando dico: “Pensavo che fosse tutta una commedia. Non osavo...” “Osate, conte. Osate!” Oso. Da troppo tempo la mia “arma” è rimasta nel fodero, e Clotilde ha risvegliato il mio desiderio dal primo momento che l’ho vista. Non mi sentivo così da quando ero ad Alcamo, con Giovanna. Accosto le mie labbra alle sue. La bacio dolcemente, e intanto le accarezzo il collo, e comincio a slacciarle la veste. Clotilde ricambia il bacio con trasporto. Mi viene spontaneo sussurrarle alcuni miei versi: Accompli mi' talento, amica bella, ché l'arma con lo core mi s 'infella.» *** Prima di partire per Castrogiovanni, vado a salutare Costanza e Rico. Mentre gioco con il bambino sento dei rumori nel corridoio, e voci concitate in siciliano e in tedesco. È l’imperatore, appena arrivato a Palermo. Enrico entra nella stanza di Costanza senza farsi annunciare. Rico va nascondersi dietro la madre. Costanza guarda il marito con astio. “Non potevi avvisarmi prima d’entrare? Sono con il mio medico.” Enrico parla a Costanza come se io non esistessi nemmeno. “Allora? Non sarebbe la prima volta che ti vedo nuda, purtroppo! Non so come hai fatto a darmi questo bel bambino.” Enrico il Crudele prende in braccio il principino, e Rico si mette a piangere. L’imperatore comincia ad imprecare in tedesco. Poi torna a rivolgersi alla moglie, in un pessimo francese. “Costanza, come stai crescendo Fritz! Si comporta come una femminuccia!” “Non si chiama Fritz! Si chiama Federico Ruggero!” Sono sulle spine. Provo a fare un colpo di tosse.
“Maestà, la regina e il principe sono in ottima salute. Chiedo il permesso di congedarmi.” “Permesso accordato!” Vado via in fretta. Dietro di me continuo sentire il lamento del piccolo Federico. *** Due giorni dopo, sono a Castrogiovanni con Giordano e Caterina. Siamo soli. Guglielmo fa pratica d’armi con Calogero. Il piccolo Michele gioca con la sorella Carmelina. Pietro e Paolo si sono finalmente addormentati. Giordano rompe il sigillo del plico che gli ho portato. Legge attentamente poi mormora: “Ci siamo! Domani parto per Palermo!” Io non faccio commenti, ma Caterina sembra preoccupata. “Sei sicuro Giordano? Se ti succedesse qualcosa...” “Non mi succederà niente. Il Ciclope farà la fine che si merita.” Provo a buttarla sullo scherzo. “Chi ti credi di essere? Ulisse?” “No, ma sono stufo d’essere Messer Nessuno!” Caterina prova a rabbonirlo. “Giordano, tu per me sei tutto. Non rischiare la vita, per una regina che pensa solo al suo potere! Pensa ai nostri figli!” “Appunto! Non voglio che i miei figli crescano sotto un re che è chiamato Enrico il Crudele!” Provo a dire: “Giordano, se Enrico parte per la Crociata, può darsi che saranno i saraceni a levarcelo di torno!” “Michè! Enrico ‘o Fetente non andrà mai in battaglia. Manderà a morire tanti poveri guaglioni, solo per farsi nominare re di Gerusalemme.” Il titolo “re di Gerusalemme” mi fa venire in mente il re che ho visto assassinare ad Acri. “Il re di Gerusalemme adesso non è Henri de Champagne?” “Henri è ancora re, ma ha una paura matta dell’imperatore. Da qualche anno, cristiani e saraceni sono in pace, e il re di Gerusalemme tutto vuole tranne un’altra crociata. Soprattutto se la guida un imperatore che si proclama capo di tutta la cristianità!” “Henri potrebbe chiedere aiuto a suo zio. Re Riccardo ora è libero, e dovrebbe essere ansioso di vendicarsi dell’imperatore.”
Sentendo il nome di Riccardo Cuor di Leone, Giordano arrossisce, ma, davanti alla moglie, preferisce far finta di niente. “La regina Costanza sarebbe felice di avere il re d’Inghilterra come alleato, ma re Riccardo sta combattendo contro re Filippo, in Francia.” In conclusione, nessuno ormai è in grado di fermare Enrico il Crudele, tranne, forse, sua moglie. Caterina cerca di trattenere il marito. “Giordano, lascia che a queste cose si occupino i re!” Giordano le mette la mano sulla spalla. “Catarì, perché credi che la regina mi abbia fatto conte di Castrogiovanni? Adesso mi chiede di ricambiarle il favore!” Caterina non riesce a trattenere le lacrime. Sa bene che con Costanza c’è poco da scherzare. Giordano decide di partire per Palermo con me, e pochi uomini fidati. Calogero rimane a Castrogiovanni, con l’ordine di difendere la fortezza fino all’ultimo, “se qualcosa va male”. Giordano ed io ci salutiamo poco prima di arrivare a Palermo. Gli “amici di Costanza” s’incontreranno in un luogo segreto, che neanche io devo conoscere. Io ho un‘altra meta. Ho un appuntamento con Clotilde nella villa dei conti di Caltagirone, sulle pendici del monte Pellegrino. *** Salendo sulla collina, vedo uno splendido panorama di Palermo. Distratto dai miei pensieri, mi accorgo di avere perso la strada per Villa Caltagirone. Il sentiero termina improvvisamente in una radura del bosco. È pomeriggio inoltrato, e gli ultimi raggi del sole illuminano una pianta di rose, cresciuta, chissà come, proprio davanti all’ingresso di una grotta. Colgo una rosa, e se annuso il profumo. Improvvisamente, alle mie spalle sento una voce femminile che recita: Rosa fresca aulentissima che appari nell’estate... Mi volto di scatto. Chi può conoscere i miei versi? Mi trovo davanti una donna vestita di stracci, con gli occhi spiritati. Mi guarda fisso e dice: “Celi d’Alcamo, rubi le mie rose?”
Guardo stupefatto la donna. Mi accorgo che non è vecchia come mi sembrato a prima vista. Forse non ha più di 30 anni, e sarebbe anche piacente se non fosse così magra. “Chiedo scusa madonna. Non pensavo che qualcuno abitasse qui. Come sapete il mio nome?” “Io so tutto di te, conte dottore, anche quello che tu non vorresti mai sapere!” Possibile che la mia fama è arrivata anche alle orecchie di una contadina? “Madonna, temo di avere perso la strada. Cercavo Villa Caltagirone.” “Tornate indietro, e al primo bivio girate a sinistra. Portate pure la mia rosa alla vostra innamorata!” Mi allontano in fretta senza voltarmi. Riesco ad arrivare alla villa prima del tramonto. Clotilde mi accoglie a braccia aperte. Le porgo la mia rosa e le racconto dove l’ho raccolta. Clotilde impallidisce. Si fa il segno della croce e mormora: “Santa Rosalia!” “Non ho mai sentito nominare questa santa. Chi è?” “Una strana donna che abitava in una grotta da queste parti. Credevo che fosse morta da almeno trent’anni. Dicevano che guariva gli ammalati, e prediceva il futuro. L’hanno fatta santa a furor di popolo.” Il giorno dopo volevo tornare a cercare quella grotta, ma Clotilde mi ha scongiurato di lasciar perdere. Non ne abbiamo parlato più. *** Nella villa siamo soli, a parte la servitù. Clotilde è un’amante appassionata. Non è una regina, ma mi fa sentire come un re. Arnaldo non si sa dov’è, ma a Clotilde non interessa più di tanto. Il marito l’avverte sempre quando torna, per non metterla in situazioni imbarazzanti. Un giorno Clotilde ed io passeggiamo tra due lunghe file di oleandri rosa, in piena fioritura. Mi viene spontaneo domandarle: “Lo sai che la pianta d’oleandro è velenosa, vero?” “Non c’è bisogno di essere un medico per saperlo. E poi le foglie hanno un sapore orribile: a nessuno verrebbe in mente di masticarle.” “Se lo sai, vuol dire che ci hai provato! Non sono velenose solo le foglie, ma anche i fiori. Per caso, qui avete degli alveari?” “No, non ho mai potuto sopportare le api. Perché?”
“Bisogna stare attenti anche al miele, se è fatto con i fiori d’oleandro!” Clotilde mi guarda con una strana espressione. “Chissà che sapore ha il miele d’oleandro! Non avevo mai pensato di potere avvelenare qualcuno con il mio fiore preferito!” La contessa scoppia a ridere, ma non sono sicuro che lei stia solo scherzando. Clotilde è come l’oleandro: bella ma pericolosa. *** Durante una passeggiata in cima alla collina, vediamo uscire dal porto di Palermo una gran numero di navi. Clotilde le guarda perplessa. “È la flotta imperiale. Forse la crociata è incominciata.” Mi viene in mente quello che mi diceva Giordano. “Almeno ci leveremo di mezzo Enrico il Crudele, per un po’!” “Forse per sempre!” “Che cosa intendi dire? Volete uccidere il re?” Clotilde ride. “Niente di così drammatico. Il piano scatta dopo la partenza dell’imperatore per la Palestina. Costanza convocherà i nobili siciliani, e farà proclamare il figlio re di Sicilia, con lei come reggente!” Mi sembra troppo facile. “E i tedeschi? Pensi che la lasceranno fare?” “Quelli che non sono partiti per la crociata, obbediranno al fratello dell’imperatore. Il principe Filippo si è messo d’accordo con Costanza!” Non ci avrei mai pensato! Filippo vuole sposare Irene, liberarsi del fratello, e prendersi la corona di Germania! Clotilde sembra sicura che il piano riuscirà. Evidentemente lo pensano tutti “gli amici della regina”, compresi Arnaldo e Giordano. Vorrei poterci credere anch’io! Tornato alla villa, trovo ad aspettarmi un messo della regina Costanza che m’invita con urgenza al palazzo. Forse Rico non sta bene. Oppure... *** Federico sta benissimo. Mi accoglie facendomi tante feste. Gioco un po’ con lui, ma la regina lo manda via subito con una scusa. Mi parla con un tono formale:
“L’imperatore ha scoperto che dei nobili siciliani volevano assassinarlo. Alcuni ribelli sono stati arrestati. Li stanno interrogando.” “Li conosco?” “Sì. Dicono che il capo dei ribelli è il conte di Castrogiovanni, il tuo amico Giordano!” Guardo Costanza e credo di capire. “Volete dare tutta la colpa proprio a lui? Giordano non è un assassino!” “Forse no, ma sicuramente è una gran testa di minchia!” Costanza mi spiega che, il giorno prima della partenza dei crociati, sono stati arrestati due saraceni che avevano i pugnali della Setta degli Assassini. Uno di loro ha ammesso di conoscere Giordano. Per Enrico il Crudele era stato più che sufficiente… “Giordano ha già confessato. Ha sostenuto che il piano per uccidere l’imperatore è stata un’idea sua. Che lui voleva diventare re di Sicilia!” “Assurdo! Sotto tortura si dice di tutto!” “Lo so. Presto accuserà anche te… e me!” Costanza è terrorizzata. Non posso darle torto. “Che posso fare?” “Niente! Non devi dire niente! Pensa a Rico!” “Tortureranno anche me?” “Forse no. Dopo tutto sei un Cavaliere dell’Ordine degli Ospitalieri. Il vostro Gran Maestro è il migliore alleato di Enrico in Palestina.” “L’imperatore vuole ancora fare la Crociata?” “Sì, ma per ora sono salpate solo poche navi. Enrico ha annunciato che partirà solo dopo avere riportato l’ordine in Sicilia.” L’ordine di un cimitero! Cerco di tranquillizzare Costanza. Le giuro che terrò la bocca chiusa, ma sappiamo entrambi quanto valgono questi giuramenti in certe situazioni. *** Torno in ospedale, e cerco di riprendere il mio lavoro come se niente fosse. Non è facile. A Palermo non si parla che di arresti, processi sommari ed esecuzioni. Un giorno mi vengono a trovare due guardie imperiali. Un tedesco mi dice, ridendo, che “il re di Sicilia” vuole conferire con me. Il “re” è su una barella, ed ha, conficcata nella testa, una corona di ferro irta di chiodi. È Giordano!
Le guardie poggiano la barella su un tavolo del mio studio, ed escono ridacchiando. Rimango solo col mio amico. Giordano ha ferite e bruciature in tutto il corpo. Nella testa i chiodi sono penetrati in profondità. Respira ancora. “Michele!” “Giordano, non parlare. Adesso vedo cosa possiamo fare.” “Michè, nu poco di medicina l’aggio studiata anch’io. Ca nisciuno è fesso!” Giordano continua a parlare in volgare napoletano. Io rispondo nella stessa lingua. Se qualche spia dell’imperatore sta origliando, dubito che possa capire qualcosa. Giordano ai torturatori ha detto tutto quello che volevano, ma mi giura che non ha tradito né me né la regina. Il mio amico è stato coinvolto in fatti più grandi di lui. “È stata tutta colpa di Riccardo Cul di Ricchione! Non gli era bastato prendermi per il culo con quella zoccola di Berengaria! Aveva raccontato tutto anche a suo nipote, Henri de Champagne!” Il re di Gerusalemme si era alleato con la setta degli Assassini per uccidere l’imperatore. Henri aveva ricattato Giordano per fare entrare i sicari al Palazzo. Il piano era miseramente fallito! “Michè, pensa alla mia famiglia! Non fare mai sapere a Caterina che io...” Giordano s’interrompe. Sputa sangue. Riprende a fatica. “Celi! C’è una cosa che non ho detto a nessuno, nemmeno sotto tortura. Io ho un altro figlio!” “Caterina è di nuovo incinta?” “No, la madre non è Caterina. È la regina Costanza!” Non è possibile! Giordano sta delirando! “Michè! Federico è mio figlio. Ho fatto le corna all’imperatore! Il prossimo re di Sicilia sarà figlio mio!” Giordano s’interrompe di nuovo. Un fiotto di sangue violento gli esce dalla bocca. Lo guardo morire senza poter fare niente. La porta del mio studio si apre. È Gualtieri, il mio vecchio professore di Salerno, che ora insegna il mestiere ai giovani medici dell’ospedale. Guarda il corpo di Giordano senza fare commenti. “Ha detto qualcosa?” “Solo parole senza senso.” Gualtieri annuisce.
“Non mi aspettavo che potesse dirti qualcosa di nuovo. I torturatori gli avevano già fatto confessare tutto” “Perché hanno portato Giordano da me?” “Per darti un avvertimento. Ci saranno molte altre esecuzioni nel regno di Sicilia.” Le previsioni di Gualtieri si sono avverate. Enrico il Crudele ha voluto liberarsi di tutti i veri, o presunti, traditori, una volta per tutte. Gli “amici della regina” sono stati arrestati, e “interrogati”. Non so che fine ha fatto il conte Arnaldo. Le porte di Palazzo Caltagirone sono sbarrate. Non ho nemmeno provato a passare alla villa sul monte Pellegrino. Le spie dell’imperatore possono essere dappertutto. Non oso nemmeno andare a trovare Costanza, ma un giorno la regina mi manda a chiamare. Un servo mi riferisce che il principe Federico sta male. Stavolta, non è una scusa. *** Federico ha la febbre, e tossisce continuamente. Non è solo uno strano raffreddore estivo. In faccia si sono formate delle macchie rosse che hanno fatto mormorare ad un medico francese che l’ha visitato una parola terribile: vaiolo! Il dottor Bertrand viene dall’università di Montpellier, una nuova scuola di medicina, creata da alcuni medici provenienti dalla Scuola Salernitana. Bertrand non neanche quarant’anni, ma si comporta come se fosse già un gran luminare. Mi domando come mai si siano rivolti a lui. Forse Costanza, all’inizio, aveva paura di chiamarmi, per non destare i sospetti dell’imperatore. Io e Bertrand visitiamo di nuovo il principe. Federico continua a tossire, e le macchie si sono estese al collo e alle spalle. Costanza è ansiosa. L’avverto di evitare il contatto con il bambino. La malattia potrebbe essere contagiosa. “Allora pensate anche voi che sia vaiolo?” “Non credo. Penso che sia una malattia che colpisce soprattutto i bambini. In volgare salernitano la chiamiamo morbillo.” “È grave?” Rispondo prudentemente.
“Se il bambino è robusto come Federico, di solito la malattia ha un decorso benigno.”. Bertrand sbuffa. “Quello che voi chiamate morbillo non è altro che una forma di vaiolo. Bisogna provvedere al più presto.” “Come?” “Innanzi tutto un salasso…” Lo interrompo: “Ad un bambino di 20 mesi? Piuttosto, un bel salasso lo faccio a voi!” “Chi ha parlato di salasso?” Mi volto. La voce è di Enrico VI, Imperatore del Sacro Romano Impero. Bertrand è imbarazzato. “Maestà, sanno tutti che il sangue ammalato va eliminato.” “Mi avete fatto un salasso il mese scorso per una semplice indigestione, e dopo sono stato molto peggio di prima.” “Ora però voi state bene. Se mi posso permettere...” “Non potete. Non vi autorizzo a cavare il sangue a mio figlio.”. L’imperatore una volta tanto è preoccupato per “suo figlio”. O forse ha solo paura che se Federico muore qualcuno possa mettere in discussione i suoi diritti al trono di Sicilia? “Conte d’Alcamo, voi avete parlato di “morbillo”. Dal nome, mi sembra una malattia meno grave del vaiolo. Avete qualche prova?” “Maestà, il medico persiano Avicenna ha ben descritto vaiolo e morbillo, indicando tutti i sintomi differenti.” Bertrand obietta: “Avicenna era musulmano! Un giovane mediconzolo osa proporre di curare l’erede del Sacro Romano Impero con la medicina degli infedeli!” Chiedo di chiamare a consulto il dott. Gualtieri, un medico affermato di cui neanche Bertrand può contestare l’autorità. Quando Gualtieri visita Federico, le macchie rosse si sono estese in tutta la parte superiore del corpo. Gualtieri mormora: “Buon segno!” Costanza non capisce: “Perché?” “Tutto mi fa pensare che la diagnosi del conte d’Alcamo è giusta. Se si tratta di morbillo, le macchie si estenderanno fino ai piedi, e poi cominceranno a sparire.” L’imperatore non è proprio convinto, ma preferisce dare retta a Gualtieri, piuttosto che a Bertrand.
*** Io e Costanza passiamo la notte al capezzale di Federico. Le macchie si sono estese alle gambe. Secondo Gualtieri è un buon segno, ma... Mormoro a Costanza: “Adesso che siamo soli posso farvi una domanda. Chi è veramente il padre di Federico?” La regina è colta di sorpresa. Si guarda intorno e sussurra. “Nessuno può saperlo con certezza. Potrebbe essere anche l’imperatore.” “E Giordano?” Costanza confessa. “È successo due giorni prima del vostro arrivo ad Augusta. Dopotutto Giordano era giovane, robusto, e padre di due figli. Era tanto ansioso di compiacermi!” “Allora, le probabilità che io sia il padre di Rico sono una su tre.” “Una su quattro!” Guardo stupefatto Costanza, che aggiunge. “Sì, quella settimana ho conosciuto anche un giovane nobile inglese. Era pronto a tutto pur di accelerare la liberazione di re Riccardo...” Robin! Uno strano destino ha legato Robin, Giordano e me! Non abbiamo condiviso solo il letto di Berengaria. Adesso abbiamo addirittura un presunto figlio in comune! Io e Giordano siamo stati fedeli alla regina per amore di “nostro figlio”. Giordano è morto per lui, e anch’io ho rischiato la vita appoggiando Costanza contro Enrico. Adesso, se Federico muore, quanto tempo passerà prima che io sia mandato nella camera delle torture? Non riesco a non pensarci, mentre guardo quel bambino che ho sempre amato come un figlio, che potrebbe ancora essere mio figlio. Guardo con più attenzione Rico che dorme, cercando di trovare possibili somiglianze. Ho sempre creduto di trovare in lui qualcosa di me, ma adesso non sono più tanto sicuro. In realtà Rico somiglia soprattutto alla madre, a parte il colore dei capelli che tende al rosso. L’imperatore Federico Barbarossa è veramente suo nonno? Io e Costanza vegliamo Rico per tutta la notte. Siamo soli.
Enrico il Crudele è stato impegnato tutta la giornata in processi sommari che hanno decimato la nobiltà siciliana. Adesso dorme “il sonno del giusto”. Gualtieri è tornato in ospedale. Bertrand è andato via offeso annunciando che, ”se qualcosa va male” non sarà colpa sua. Mi sveglio alle prime luci dell’alba. Costanza si è addormentata appoggiata alla mia spalla destra. La regina apre gli occhi e si alza, dirigendosi verso la culla. “Celi! Le macchie sono arrivate fina alla pianta del piede!” Lo vedo anch’io, ma faccio notare a Costanza che sulla fronte le macchie sono già sbiadite. Avevamo ragione io e Gualtieri. Federico ha solo il morbillo, e la malattia ha già superato la fase più acuta. Presto il principe guarirà. *** La guarigione di Federico mi ha salvato la vita. Stranamente, anche il conte e la contessa di Caltagirone se la sono cavata. Clotilde mi racconta tutto, quando viene a trovarmi in ospedale. Il giorno dell’arresto di Giordano, Arnaldo era a Napoli, per conto di Costanza. La sua assenza da Palermo l’ha salvato dall’accusa di complicità con gli Assassini. Domando a Clotilde: “Che cosa farete adesso?” “Non è necessario che tu lo sappia. È meglio che non ci vediamo, per un po’.” “Mi stai dando il benservito?” “Non devi prenderla in questo modo. Siamo stati bene insieme, ma ora devo pensare al bene di mio marito.” Sì, era proprio un benservito, anche se ben motivato. *** Federico si è completamente ristabilito, e ormai, quando vado a trovarlo, è più per giocare con lui, che per dargli delle cure che non gli servono. Costanza, dopo quei momenti d’intimità al capezzale di Rico, è tornata ad avere con me un atteggiamento formale. Un giorno, prima di congedarmi, mi dice in modo quasi casuale. “Se ben ricordo voi avete un fratello, in continente.” “Sì, Matteo. Ora lavora ad Assisi, nello Stato della Chiesa.” “Non andate mai a trovarlo?”
“Non lo vedo da quando è nato Federico. Ogni tanto ci scriviamo.” “Perché non vi prendete una vacanza, e lo andate a trovare?” Ora sono sicuro che la domanda di Costanza ha un secondo fine. Rispondo prudentemente. “Mi piacerebbe rivedere Matteo. Magari potrei approfittare del viaggio per rendervi qualche servigio.” “Sì, potete. Passando per Roma potreste andare a rendere omaggio al cardinale Lotario di Segni. Voi lo avete già conosciuto, l’anno scorso.” “Sarò molto lieto di rivederlo. Devo riferirgli qualcosa da parte vostra?” “Ve lo dirò al momento opportuno. Prima dovrete organizzarvi il viaggio. Penso che potrete partire poco dopo Natale.” “I vostri desideri sono ordini!” Non era un modo di dire, ma un dato di fatto. *** La vigilia di Natale ricevo una visita. All’ospedale mi annunciano che un ragazzo sporco e malvestito ha chiesto di me. Quando lo vedo, mi prende un colpo. È Guglielmo d’Altavilla, ex re di Sicilia! Guglielmo è ferito. Lungo la strada da Castrogiovanni a Palermo è stato assalito da briganti che gli hanno portato via tutto quello che aveva. Mi racconta la sua storia. “Dopo l’arresto di Giordano, sono venute a Castrogiovanni delle guardie che hanno ordinato a Caterina di seguirle a Palermo. Calogero le ha cacciate vie e ha sprangato le porte della città. Sono fuggito prima che fosse troppo tardi.” Il giorno dopo riferisco a Costanza che partirò, con una nave pisana, ai primi di Gennaio. Da Pisa, proseguirò per Assisi, e tornerò passando per Roma. Costanza approva il mio programma: “L’importante è che voi siate a Roma prima della fine di Gennaio.” Costanza non mi consegna nessun messaggio. Mi chiede solo di porgere suoi omaggi al cardinale Lotario, e di rispondere alle sue domande. Aggiunge: “Naturalmente se Sua Eminenza ha un messaggio per me, sarà vostra cura riferirmelo!” Naturalmente! Prima di congedarmi chiedo:
“Avete avuto notizie dalla contessa di Castrogiovanni?” Costanza risponde come se niente fosse. “Sì, Caterina sta bene. Le ho promesso che il feudo passerà ai suoi figli. Conto molto su di lei.” Forse, ma sicuramente Caterina non può contare sulla regina! La contessa dovrà difendere Castrogiovanni solo con l’aiuto di Calogero e delle sue guardie. Bene! Se Costanza fa il suo gioco, io farò il mio!
Capitolo 12 Il fuggiasco (A. D. 1197)
La traversata da Palermo a Pisa non è né breve né tranquilla. Il mare è agitato, ed il vento contrario. Guglielmo si è imbarcato con me. Ai marinai ho detto che è un mio nipote. Il capitano mi sorride ammiccando: “Dicono tutti così!” Guglielmo arrossisce, facendo sbracare dalle risa i marinai. La situazione non piace neanche a me, ma è meglio che mi credano un pedofilo che un traditore. E poi, se dicessi ai marinai che Guglielmo è stato re di Sicilia, le loro risate arriverebbero fino a Gerusalemme! *** A Pisa ci fermiamo a vedere la Piazza dei Miracoli. Il Duomo è stato da poco ricostruito ed arricchito. Solo il campanile è stato lasciato a metà, perché il terreno ha ceduto, e la torre pende in modo preoccupante. Adesso, i Pisani addirittura si vantano della loro torre pendente, come se l’avessero fatto apposta! Girando per le strade ho avuto la conferma che Pisa è una delle città più ricche d’Italia. I pisani si sono arricchiti nelle guerre contro i Saraceni, ma hanno anche saccheggiato Amalfi e Palermo! Ahi Pisa, vituperio delle genti! Mi sono ricordato delle parole di Alighiero, quando Guglielmo ed io siamo passati per Firenze. I fiorentini sono orgogliosi e battaglieri, ma la loro città è più piccola di Pisa, e può vantare ben poche opere d’arte. *** Proseguiamo il viaggio a tappe forzate, fermandoci solo il tempo necessario per fare riposare i cavalli, ad Arezzo e a Perugia.
Infine arriviamo ad Assisi. Riconosco da lontano la casa di Pietro Bernardone. Non posso dire a Pietro chi è veramente Guglielmo. Ho preparato una lunga storia, ma non ho bisogno di raccontarla. Pietro Bernardone è in Francia. Mi viene ad aprire suo figlio Francesco. Matteo è con lui! Matteo ha quasi 17 anni, ma ne dimostra di più. Mio fratello ha sempre saputo il fatto suo, ma le ultime esperienze l’hanno maturato e indurito. Non deve essere stato facile per lui adattarsi a lavorare alle dipendenze di Pietro Bernardone. Francesco ha solo pochi mesi meno di Matteo, ma è ancora un ragazzone. Mi riconosce subito e mi abbraccia calorosamente. Anche Matteo mi abbraccia, ma si blocca immediatamente, quando si accorge che non sono solo. “Non è possibile! Tu sei... Guglielmo?” Guglielmo annuisce come se niente fosse. “In carne ed ossa! Vuoi che te lo provi con qualche tiro in porta?” Francesco strabuzza gli occhi. “Vuoi dire che tu sei il principe Guglielmo d’Altavilla? Quello con cui ho giocato a palla a Salerno? Ma non eri...” “Morto? Non ancora almeno! Dipende solo da voi?” Cerco di chiarire la situazione. “Nessuno deve sapere che l’ultimo degli Altavilla è ancora vivo. Guglielmo deve rifarsi una nuova vita, con un altro nome. Matteo, conto su di te!” Mio fratello è perplesso. “Che cosa posso fare? Mi ci sono voluti due anni per guadagnarmi la fiducia da Pietro Bernardone. Se adesso si viene a scoprire che nascondo un nemico dell’imperatore...” Francesco lo interrompe. “Matteo, che dici? Non ti ricordi che due anni fa eri tu ad avere bisogno d’aiuto?” Matteo arrossisce. “Non è la stessa cosa!” Francesco insiste. “Invece sì. Non è necessario che diciamo la verità a mio padre. Possiamo sostenere che è un tuo cugino. Guglielmo può stare con noi fino a che trova un lavoro.” Francesco è veramente un santo! Ma quale lavoro può fare un ex-re?
Guglielmo non ha avuto una grande istruzione. Sa appena leggere ed è negato per la matematica. Gli hanno insegnato solo ad andare a cavallo e a maneggiare la spada. Francesco ha un’idea. “Il Comune d’Assisi sta cercando dei nuovi soldati. Dicono che Perugia vuole attaccarci.” Guglielmo un soldato? Ma se ha poco più di 14 anni! L’ex re mi previene. “Per me va benissimo! Nell’esercito del regno di Sicilia c’erano soldati ancora più giovani di me. Nella guarnigione di Castrogiovanni, io ero il migliore!” Ormai la decisione è presa. Francesco ha preso in simpatia Guglielmo, ed è deciso ad aiutarlo a tutti i costi. Matteo accetta, con riluttanza, di fare la sua parte. Poco prima della mia partenza per Roma Matteo ed io abbiamo un incontro privato. Matteo mi chiede se ho notizie di mamma e papà. Scuoto la testa. “No. Neanche i cavalieri di San Giovanni sono riusciti a sapere niente.” Matteo parla a bassa voce. “Pietro Bernardone sa qualcosa!” Anch’io avevo avuto un sospetto, ma per Matteo è più di un’ipotesi. “Ho raccolto strane voci tra i clienti di Pietro Bernardone. Sostengono che le sue navi non sono mai attaccate dai Saraceni, ma quelle dei suoi concorrenti sì!” Rimango di stucco. “Non vorrai insinuare che...” “Non ho prove, ma non credo alle coincidenze. Pietro è l’unico che sapeva, quando è partita da Salerno la nave di papà, e che itinerario faceva.” “Ti rendi conto di quello che dici? Pietro era amico di papà. Che ci avrebbe guadagnato?” “Tutto! Ho scoperto che Pietro ha incassato tutte le lettere di credito di nostro padre. Avevano altri affari insieme. Adesso è tutto suo!” Ripenso all’anno in cui Pietro era nostro ospite a Salerno. Come aveva fatto papà a mettersi quella serpe in seno? “Ne hai parlato con Francesco?” “Fossi matto! Lui chiederebbe spiegazioni a suo padre, e Pietro mi sbatterebbe immediatamente fuori!”
Guardo Matteo come se lo vedessi per la prima volta. Dove è finito il fratellino con cui giocavo a palla? “E tu! Come fai a lavorare con un furfante che forse ha ucciso tuo padre e tua madre?” “Pietro la pagherà, ma adesso ho bisogno di lui.”. La voce di Matteo ora è poco più di un sussurro. “Ho messo un po’ di soldi da parte. Ho aperto un altro conto a Venezia. Quando avrò un capitale sufficiente, mi metterò in proprio.” “Stai rubando a Pietro Bernardone?” “Mi sto solo riprendendo quello che lui ci ha rubato.” Matteo vede la mia espressione e aggiunge, imbarazzato. “Naturalmente sono tutti soldi di papà. Avvisami subito se i Saraceni ci chiedono un riscatto per liberarlo!” Faccio finta di credergli. Siamo interrotti dall’arrivo di Francesco e Guglielmo. Francesco ci comunica esultante che Guglielmo è stato accettato nell’esercito del Comune d’Assisi. Francesco ha preso la passione dei giochi d’armi. Guglielmo gli promette di insegnarli un po’ di scherma. Si offre di farlo anche a Matteo, ma mio fratello rifiuta cortesemente. Matteo non è più interessato ai giochi. Ormai pensa solo agli affari. Brindiamo alla nuova vita di Guglielmo, e alla bella carriera di Matteo. Prima di partire per Roma saluto ancora mio fratello, con il presentimento che non lo rivedrò più. *** Arrivato a Roma mi presento alla torre delle Milizie. Lotario mi riceve insieme con una persona che non mi sarei mai aspettato: Filippo di Svevia, il fratello dell’imperatore! “Il conte dottore! Che fortunata combinazione incontrarvi qui!” Fingo di credere alla “fortunata combinazione”. Finge di crederci anche il cardinale, che, evidentemente, ha tenuto i contatti tra Costanza e Filippo. Filippo mi chiede quali sono le ultime notizie sui “traditori” che volevano uccidere il suo “amato fratello”. Racconto tutto quello che so, inclusa la fine di Giordano, ma senza fare commenti. Il cardinale si fa il segno della croce, mormorando poche parole in latino. Filippo mi chiede come stanno Costanza e Federico. “Il principe si è completamente ripreso dalla sua malattia. La regina fisicamente sta bene, ma è molto provata...”
“Lo credo bene! Il marito vuole ripudiarla!” Vedendo la mia faccia stupita il cardinale chiarisce. “Pensavamo che la regina vi avesse già informato. L’imperatore ha chiesto al Santo Padre. l’annullamento del suo matrimonio.” Filippo aggiunge. “L’imperatore vuole sposare la principessa Irene, ed unire gli Imperi d’Oriente ed Occidente. La cristianità sarebbe finalmente riunita!” Enrico il Crudele imperatore di tutta la cristianità! Una prospettiva che fa accapponare la pelle. Filippo mi fa una domanda esplicita. “L’imperatore ha accusato la regina di qualche crimine? Tradimento?” Rifletto. “Non formalmente, ma molti dei nobili imprigionati erano suoi fedelissimi. La regina ora è completamente isolata.” “Per questo si è rivolta a voi!” Il cardinale si rivolge a Filippo: “Ho consigliato al papa di guadagnare tempo. La regina è ancora viva, solo perché l’imperatore spera di avere l’annullamento del suo matrimonio. Solo voi potete salvarla!” Filippo è perplesso. “Se dicessi qualcosa all’imperatore, mio fratello sospetterebbe anche di me!” “Non credo che l’imperatore oserebbe prendersela con due innamorati. Voi amate la principessa Irene? Allora sposatela!” Filippo esita: “Non vorrei altro... ma come posso sposarmi senza il permesso di mio fratello?” “Di che permesso avete bisogno? Non è stato lui a prometterla in sposa a voi? Vi ha mai annunciato che ha cambiato idea?” “No, ma non posso sposarmi così in fretta senza un valido motivo!” Il cardinale sbuffa. “L’onore di una principessa è un valido motivo! Irene è incinta?”. “Che cosa dite Eminenza! Irene è una rosa senza spine...” “Allora coglietela, immediatamente!” Filippo scoppia a ridere: “Non mi sarei mai aspettato un consiglio simile da un cardinale!” “Siete assolto in anticipo. Ne va della vita della regina Costanza!” Forse l’intervento del cardinale Lotario ha veramente salvato la vita a Costanza. In ogni caso, poco tempo dopo, Filippo e Irene si sono sposati.
Non ho mai saputo come l’ha presa “Enrico il Crudele”… *** Prima di lasciare Roma vado al Palazzo dei Cavalieri di San Giovanni. Non è solo una visita di cortesia. Sono stato convocato dal Gran Maestro in persona, che mi chiede subito cosa facevo dal cardinale Lotario. Ho pronta una spiegazione ragionevole, ma il Gran Maestro non si lascia ingannare. “Michele d’Alcamo, voi avete messo in pericolo la vostra vita e avete compromesso il nostro Ordine! Per favorire la regina Costanza, vi siete fatto nemico l’imperatore!” “Eccellenza, la regina Costanza è una pia donna, ed è la madre dell’erede al trono!” “Sì ma l’imperatore è l’autorità suprema di tutta la Cristianità. Ha anche promosso la Crociata, e non è ancora partito solo per colpa di ribelli come voi!” Chiedo umilmente scusa, ma il Gran Maestro ha già preso la sua decisione. “Michele d’Alcamo, voi siete un bravo medico, ma farete meglio a stare lontano da Palermo, per un po’. Partirete immediatamente per Napoli, e da lì v’imbarcherete per San Giovanni d’Acri!’” Così, dopo sei anni, sono ripartito per la Terrasanta. Non ho potuto nemmeno salutare Costanza e Federico. Mi è stato proibito anche di lasciare un messaggio. A Napoli ho incontrato, invece, l’imperatore. Enrico VI era venuto a salutare la partenza di un altro gruppo di Crociati. Non credo che mi abbia riconosciuto, perché era troppo occupato con la sua ultima amichetta, seduta accanto a lui in una carrozza. La dama era bella ed elegante. Quando si è voltata dalla mia parte, l’ho riconosciuta subito: la contessa di Caltagirone! Perché Clotilde è diventata l’amante del re? Per convenienza? Per salvare il marito? Forse entrambe le cose. Ormai che importanza ha? *** Negli ultimi anni San Giovanni d’Acri è diventata più grande e più bella. Adesso il Saladino è morto. Il nuovo sultano è suo fratello, Malik Al-Adil, lo stesso che Riccardo voleva far sposare a Giovanna.
Malik Al-Adil è più pragmatico di suo fratello, e tiene a freno gli integralisti islamici che vorrebbero ricacciare gli infedeli in mare con una nuova jihad. Tutto bene? Quasi, almeno fino a che sono arrivati i crociati tedeschi. Per tenerli occupati, il re di Gerusalemme li ha mandati ad assediare Sidone, nel Libano. Gerusalemme può aspettare, finché arriverà Enrico il Crudele. Se arriverà! Ad Acri, ho ripreso il mio vecchio posto nell’ospedale. Quando sono arrivato la prima volta in Terrasanta, avevo solo 23 anni, ed ero alle mie prime esperienze. Adesso ho quasi 30 anni, ma l’esperienza mi ha fatto solo capire quanto poco sappiamo di Medicina, ad Oriente e ad Occidente. All’ospedale trovo molti bravi infermieri, ma pochi che possono veramente essere chiamati “dottori.”. L’unico che ha un diploma universitario è una persona che avrei preferito non incontrare mai: Bertrand di Montpellier! Bertrand è ancora più stupito di me: “Che ci fate voi qui! Il Gran Maestro ci aveva scritto che doveva arrivare il Conte di Famagosta!” “Sono io! Tutti mi conoscono con questo titolo ad Acri!” Bertrand non può certo opporsi al Gran Maestro, ma mi da un chiaro avvertimento: “Conte o no, finché sei ad Acri dovrai fare i conti con me! Guai a te, se osi proporre ancora le medicine dei Saraceni!” Alla fine io e Bertrand troviamo un compromesso, dividendo l’ospedale in due reparti, e lavorando ciascuno “secondo i suoi metodi”. Più tardi mi raccontano che Bertrand è venuto ad Acri, perché l’imperatore l’ha licenziato, e la storia della sua diagnosi sbagliata si è sparsa in tutta Europa. Alcune voci sono arrivate anche ad Acri. Molti pazienti di Bertrand chiedono di essere curati nel mio reparto, e in breve mi trovo oberato di lavoro. Il gran Maestro mi ha fatta assegnare una bella casa nel centro di Acri: la stessa in cui, tante volte, era venuta a trovarmi la mia “rosa fresca aulentissima”. Da molto tempo non pensavo più Giovanna. Adesso tutto mi ricorda di lei. Un giorno ho la sorpresa di incontrare Berthe, la sua ancella. Berthe si è sposata con un maniscalco, ed è rimasta in Terrasanta. Mi riferisce che Giovanna è partita per la Francia un mese dopo di me. Ha sposato il duca di Tolosa. Cerco di avere altre notizie, ma Berthe è evasiva.
Sento che mi nasconde qualcosa. *** Un giorno viene in ospedale un inviato del re di Gerusalemme. Chiede che un medico venga a visitare sua figlia Filippa, che piange in continuazione. Non è la prima volta che il re e la regina chiedono una visita medica a domicilio, per piccole indisposizioni o malattie immaginarie. Stavolta però la regina non ha chiesto un medico qualunque: vuole proprio me! Isabella di Gerusalemme ha chiesto di Michele d’Alcamo, noto anche come “il conte dottore! Bertrand è verde dalla rabbia. “Va pure a perdere tempo con quelle mocciose. All’ospedale ci penso io!” Le “mocciose” sono le principesse: Maria, Alice e Filippa. La regina Isabella me le fa visitare tutte e tre. Le principesse non hanno particolari disturbi. Forse la regina mi ha chiamato solo perché era curiosa di conoscere “il conte dottore”. Isabella mi chiede: “.Siete già stato ad Acri? Ho l’impressione di avervi già visto.” “È vero madonna. Ci siamo conosciuti circa sei anni fa. Voi eravate incinta della principessa Maria ed eravate insieme a Giovanna d’Inghilterra.” Isabella ha un sobbalzo: “È vero! Voi siete il Conte di Famagosta! Giovanna mi ha tanto parlato di voi!” Che cosa le avrà raccontato Giovanna? Dal tono della regina intuisco che Isabella sa molte cose. “Chi poteva immaginare che il famoso dottore siciliano foste proprio voi! Se lo sapesse Giovanna!” In quel momento entra nella stanza il re di Gerusalemme in persona. Henri de Champagne è grande e grosso come suo zio Riccardo, ma ha un sorriso aperto. Le bambine più grandi gli corrono incontro e lui le bacia come un papà qualunque. La moglie gli dice: “Henri, il Conte di Famagosta ha visitato le bambine. Stanno tutte bene...” Il re capisce subito chi sono: “Conte di Famagosta, re Riccardo mi ha parlato molto bene di voi. Sono contento che siete tornato ad Acri.” Faccio i miei omaggi al re, ma intanto io e Henri ci studiamo l’un l’altro. Henri sicuramente si sta domandando cosa so dell’assassinio del primo marito di sua moglie.
Io mi chiedo se questo re bonaccione abbia veramente pagato dei sicari per assassinare Enrico il Crudele, ricattando anche il povero Giordano. Il re si trattiene poco. “Sarei molto lieto di parlare ancora con voi, ma mi attende una delegazione di Pisani. Venite a trovarmi domani.” Non c’è mai stato un domani, ma in quel momento nessuno poteva prevederlo. Dopo l’uscita del marito, Isabella chiede di farsi visitare anche lei. Non ha niente. È solo un pretesto per farmi restare. Isabella mi fa molte domande sulla corte siciliana. Io rispondo tenendomi sul vago, e ne approfitto per chiederle se ha avuto notizie di Giovanna. La regina è lieta di spettegolare ancora un po’. “Ho ricevuto una lettera di Giovanna la settimana scorsa. Ha avuto un figlio, il suo primo figlio!” La regina s’interrompe. Capisco che vorrebbe dire altro, ma il riserbo che dovrebbe avere una regina la trattiene. Tento il tutto per tutto. “Madonna, voi sicuramente sapete che io e la principessa Giovanna ci siamo amati. Se sapete qualcos’altro di lei, non nascondetelo!” La regina sembra commossa: “Messere, Giovanna con suo marito non è felice. Il duca di Tolosa l’ha sposata solo per la sua dote. La tratta come una serva, e non gli importa niente neanche del bambino.” Isabella non ha ancora detto tutto. Cerco di forzarle la mano. “Ho notato che voi avete esitato, quando avete detto “primo figlio”. Giovanna ha avuto altri bambini?” “No, che io sappia, ma poco prima di partire per la Francia, Giovanna aveva delle nausee. È stato un mese dopo che voi siete partito da Acri...” La regina finalmente l’ha detto. Non so perché, quasi me lo aspettavo. Io e Isabella restiamo in silenzio. La regina ora è pentita di essersi lasciata andare, ma evidentemente era troppo curiosa di vedere la mia reazione. Io non so che pensare. Se il sospetto d’Isabella è fondato, che cosa avrà fatto Giovanna? Ha abortito, o ha partorito di nascosto? Forse Giovanna ha affidato il bambino ad una persona di sua fiducia. Faccio un po’ di conti: mio figlio dovrebbe avere già cinque anni... I miei pensieri sono interrotti da uno squillo di tromba.
Isabella è contenta di avere un pretesto per interrompere una conversazione imbarazzante, e apre la finestra. Davanti al palazzo del re stanno sfilando i cavalieri tedeschi, appena tornati dal Libano. Si sentono gridi d’esultanza. Sidone è stata liberata dai Saraceni. Ora tutta la costa siriana da Antiochia ad Acri è sotto il controllo dei Cristiani. I crociati potranno ricevere più facilmente rifornimenti per terra e per mare. Presto anche Gerusalemme sarà liberata dagli infedeli! Su un balcone accanto alla nostra finestra c’è il re di Gerusalemme, che osserva compiaciuto la parata. Henri è imponente. È tanto alto che la ringhiera del balcone non gli arriva nemmeno alla vita. Lo sguardo del re si sposta un attimo verso il basso. Sotto il balcone vedo un cavaliere, in abiti sgargianti, come quelli usati dai nobili siciliani, con i capelli scuri e ricci. Alza la testa verso di me e mi sorride. No! Non è possibile! Quello è Giordano! Mi stropiccio gli occhi e guardo di nuovo in basso. Il cavaliere che assomigliava a Giordano è sparito, e dal balcone il re saluta i crociati vittoriosi. Chiedo alla regina il permesso di congedarmi. Esco dal palazzo, mentre la parata è ancora in corso, ripensando a quello che mi ha detto Isabella. C’è una sola persona che forse può dirmi se Giovanna ha avuto un figlio mio: Berthe, la sua ex ancella! *** Berthe mi aveva detto che il marito faceva il maniscalco a Haifa, non lontano da Acri. Prendo il mio cavallo e con fatica riesco ad aggirare la lunga sfilata dei cavalieri tedeschi davanti al palazzo del re. Appena fuori città lancio il cavallo al galoppo. Giungo presto a Haifa, e, davanti alla bottega del maniscalco, riconosco Berthe che chiacchiera con una contadina. Berthe impallidisce. Interrompe il colloquio con l’amica e mi viene incontro. “Conte di Famagosta, che fate qui?”
“Berthe, tu hai sempre saputo di me e la tua padrona. Devi dirmi la verità. Giovanna era incinta, quando è partita per la Francia? Ha avuto un figlio? Un figlio mio?” Berthe scoppia a piangere. “Come l’avete saputo?” “Non ha importanza. Dov’è il bambino?” “È una bambina!” Resto di sasso. Ho una figlia! Preso l’avvio, Berthe incomincia a parlare senza fermarsi un attimo. “Voi uomini siete tutti uguali: nobili e plebei, zotici e poeti. Tutti complimenti e moine quando vi fa comodo, ma quando una donna ha veramente bisogno di voi, ve la squagliate. Voi dove eravate quando madonna Giovanna ha scoperto di essere incinta? Tra le braccia di un’altra?” Forse. Chiedo a Berthe di raccontarmi tutto. “Quando madonna Giovanna è partita per la Francia io ero già fidanzata con Raul, ma come potevo lasciare la mia padrona? Sono andata con lei fino a Marsiglia. È lì che è nata la bambina. Era bellissima! Tutta sua madre?” E il padre? Non ha dato anche lui il suo contributo? Naturalmente non lo dico a Berthe. La lascio parlare. ”Avrei voluto adottarla io stessa, ma madonna Giovanna ha preferito affidarla ad una ragazza di Marsiglia. Ha promesso di mandarle dei soldi ogni mese, a condizione che lei potesse continuare a vederle la bambina, almeno ogni tanto” “Come si chiama questa ragazza?” “Mi pare Marie. Che cosa volte fare? Volete chiedere a tutte le Marie di Marsiglia?”. Naturalmente no! Però posso trovare Giovanna. “Quando avete visto la vostra padrona l’ultima volta?” “Cinque anni fa’. Dopo la nascita della bambina sono tornata in Terrasanta, e non ho più avuto notizie né di lei né della bambina...” Parlo ancora con Berthe, ma non riesco a sapere niente di più, tranne il nome della bambina: Roxanne. Mormoro quel nome più volte tornando ad Acri. Chissà se, scegliendo il nome alla bambina, la mia “rosa fresca aulentissima” ha pensato a me! Prima di andare a casa, faccio un salto in ospedale, e trovo tante facce stravolte. Suor Celeste mi dice: “Vi abbiamo cercato dappertutto! Non eravate al palazzo reale?” “Sì ma poi ho dovuto fare una visita urgente a Haifa. È successo qualcosa?”
Suor Celeste mi guarda stupita. “Non sapete niente? Il re di Gerusalemme è morto! È caduto da un balcone!” *** Com’è morto veramente Henri de Champagne? Il referto medico ufficiale parla d’incidente. L’ha redatto il mio “amico” Bertrand di Montpellier. Bertrand si era precipitato al palazzo appena erano venuti all’ospedale gli inviati della regina. Henri de Champagne era a terra sotto il balcone, sanguinante, con un bel po’ d’ossa rotte. È morto quasi subito. Credo che quest’episodio abbia contribuito a rovinare completamente la fama di Bertrand, perché il dottore ha lasciato la Terrasanta poco tempo dopo. Naturalmente non si può escludere la possibilità di un omicidio. Henri è caduto a terra, quando la sfilata dei crociati tedeschi era quasi finita. Dalla stanza del re era appena uscita una delegazione di pisani. Tutti sanno che i pisani sono alleati dell’imperatore, quello che voleva togliere a Henri la corona di Gerusalemme. Nessuno è riuscito a parlare con uno di questi pisani: sembrano spariti nel nulla! Le guardie del re hanno interrogato tutti quelli che erano a palazzo. L’unico testimone dell’”incidente” era un giardiniere, che ha riferito che il re era solo sul balcone. Il re si sarebbe chinato in basso e avrebbe perso l’equilibrio. Certo la ringhiera del balcone era bassa, e il re molto alto, ma come fa uno a morire così! Certe cose succedono solo agli sfigati come... Giordano? Spesso ripenso al cavaliere che ho visto sotto al balcone. Se l’avesse visto anche il re? Se Henri avesse riconosciuto Giordano? L’uomo che il re aveva ricattato, e di cui aveva provocato, indirettamente, la morte atroce? M’immagino Giordano, con la sua corona di ferro inchiodata sulla testa, che invita il re a raggiungerlo! Il giorno dopo vado da Bernard de Chatillon, per chiedergli in permesso di assentarmi dall’ospedale, per andare in Francia. Ho già trovato un passaggio su una nave genovese diretta a Marsiglia. Naturalmente non posso dire a Bernard la vera ragione del mio viaggio improvviso.
M’invento una lunga storia a proposito di mio padre, che forse è stato ritrovato in una nave saracena, naufragata non lontano da Marsiglia. La mia storia fa acqua da tutte le parti ma Bernard ci crede. Mi dà il permesso di partire e mi fa tanti auguri per mio padre. Ringrazio. Dopotutto una figlia è meno importante di un padre? *** Nella cuccetta della mia nave faccio uno strano sogno. C’è Rugi vestito nel suo abito più sgargiante, seduto su una nuvoletta. L’ultima volta che l’avevo sognato ero furioso con lui per colpa di Elena. Adesso io e Rugi siamo di nuovo amici. Mi siedo accanto a lui e parliamo, come se niente fosse, dei vecchi tempi. Ad un certo punto mi viene spontaneo chiedergli: “Ha più rivisto Giordano?” “No, ma ieri ho incontrato Henri de Champagne che lo cercava. Era incavolato nero!” *** Nel tratto di mare tra la Grecia e la Sicilia, la mia nave s’imbatte in una tempesta terribile, e a fatica riusciamo ad arrivare a Messina. Al porto il capitano e i marinai scendono per valutare i danni che ha subito la nave. Si capisce subito che la nave dovrà essere portata in secco per le riparazioni. Dovremo restare in Sicilia per chissà quanto tempo! Guardo dal ponte della nave la città in cui sono venuto la prima volta con Rugi. Vedo in alto la fortezza di Matagrifone, dove ho conosciuto Riccardo Cuor di Leone. Ripenso anche a Robin che ora starà combattendo per il suo re chissà dove… Non ho il coraggio di farmi vedere in città. Mi sono arrivate voci terribili sulle ultime vittime d’Enrico il Crudele. Per me erano tutti degli sconosciuti tranne uno: Arnaldo di Caltagirone. Improvvisamente sento suonare le campane del Duomo. Non capisco. Manca almeno un’ora a mezzogiorno. Poi mi accorgo che le campane suonano a morto. Guardo in alto la fortezza di Matagrifone, e vedo che il vessillo del re è stato calato a mezz’asta. La notizia vola di bocca in bocca fino ai marinai della nave: l’imperatore è morto! Non riesco a crederci: l’imperatore aveva solo pochi anni più di me!
Enrico era sofferente da qualche tempo. Tutto era cominciato, quando l’imperatore aveva guidato l’attacco contro la fortezza di Castrogiovanni, ancora in mano agli eredi di Giordano. Caterina rivendicava, a nome dei figli, i suoi diritti sulla contea. Il comandante Calogero aveva sdegnosamente respinto ogni offerta di resa. L’imperatore era furioso, ma la fortezza sembrava imprendibile. Sotto le mura di Castrogiovanni Enrico aveva cominciato ad avere attacchi di vomito, diarrea, vertigini. Alla fine l’imperatore si era convinto che era tutta colpa dell’acqua di Castrogiovanni e si era ritirato a Messina. Sembrava migliorato, ma poi è morto improvvisamente. Le campane di Messina continuano a suonare, ma ora il suono non mi sembra più tanto lugubre. Il re è morto. Viva il re! Salgo alla fortezza di Matagrifone, e sono ricevuto da Costanza che sta giocando con Federico. Rico mi riconosce subito, e mi corre incontro. Il bambino non ha capito quello che è successo al padre (?). O forse ha capito fin troppo bene! Costanza non mi rimprovera per averla lasciata sola. Il Gran Maestro le aveva fatto sapere quanto bastava. Mi accompagna invece in una stanza, dove, dice, una malata ha bisogno di me. Nella stanza c’è un odore terribile. Faccio fatica a riconoscere nella donna distesa nel letto la contessa Clotilde di Caltagirone. Clotilde apre gli occhi e dice. “Ho di nuovo delle allucinazioni. Mi sembra di vedere Michele.” Le prendo la mano. “Sono proprio io. Che ti è successo?” Clotilde mi guarda senza vedermi veramente. Le tasto il polso, e poi accosto l’orecchio al petto. Il cuore batte ad un ritmo irregolare. Ad un certo punto Clotilde mi afferra la mano e comincia a contorcersi nel letto gridando: “Enrico! Basta!” Diarrea, vomito, vertigini, allucinazioni: sono gli stessi sintomi di cui paralava Teofilo a Salerno, in una delle sue lezioni sui veleni. La malata chiude gli occhi e si appisola di nuovo. Costanza mi fa un cenno ed usciamo. Entriamo nella stanza della regina. Costanza mi chiede sottovoce: “Potete fare qualcosa per lei?”
“Se è quello che penso, è troppo tardi. Vostro marito aveva gli stessi sintomi?” Costanza annuisce: “Sono venuti tanti medici a visitarlo, ma nessuno ci ha capito niente. Negli ultimi tempi sragionava. Sosteneva di vedere i fantasmi.” Per un attimo li vedo anch’io: Rugi e Giordano. Prima di sparire mi fanno un cenno di saluto. “Voi credete ai fantasmi?” Costanza risponde risoluta: “Credo al Paradiso e all’Inferno, ma non a queste sciocchezze!” Mi ricordo quella frase di Clotilde: “Chissà che sapore ha il miele d’oleandro! Non avevo mai pensato di potere avvelenare qualcuno con il mio fiore preferito!” Forse l’ha fatto! Chiedo a Costanza: “L’imperatore amava i dolci?” “Era golosissimo!” “E Clotilde?” “Aveva regalato ad Enrico dei dolci al miele, ma a lei non piacevano molto. Ne ha presi un paio solo per far piacere a mio marito.” Evidentemente Clotilde pensava che una piccola dose di veleno non le avrebbe fatto niente. Avrebbe dovuto darmi retta! Mentre io e Costanza parliamo sento le pareti tremare. Il lampadario comincia a dondolare, un quadro casca a terra. Poi tutto si ferma. Un piccolo terremoto: c’e ne sono stati tanti a Messina! Corriamo fuori. Ci aspettiamo altre scosse, ma non succede niente e infine rientriamo. Mentre la servitù controlla se ci sono stati danni, torno alla stanza di Clotilde. È distesa sul letto immobile, senza vita. Le chiudo gli occhi. Sento delle grida nella stanza vicina. Mi affaccio e vedo Costanza, pallidissima, che guarda, con gli occhi sbarrati, il letto dove era stato deposto il corpo dell’imperatore. Enrico era stato vestito col suo abito migliore. Il becchino aveva già cominciato a preparargli il trucco, ma tutto è stato rovinato dal terremoto. Sopra il letto reale era appesa una spada con l’impugnatura dorata. La lama è caduta sul re infilzandolo proprio in mezzo agli occhi. È uno spettacolo
terribile, ma non posso fare a meno di pensare che il nostro Ciclope abbia fatto la stessa fine del mostro dell’Odissea. Riconosco la spada. È Excalibur: il gentile dono di Riccardo Cuor di Leone. *** “Rugi, sei stato tu?” “No, l’idea è stata di Giordano. Quando la spada si è staccata dal muro, ha deviato la traiettoria quel tanto che bastava. Un colpo perfetto!” “Non è bello prendersela con un morto!” “Non sono morto anch’io? Almeno quella stupida spada è servita a qualcosa.” Giordano è accanto a Rugi, e ride a crepapelle. Ride anche Ruggero. Strano. Da vivi quei due non erano mai stati amici. Allora è vero che la morte unisce! Mi risveglio. *** Adesso la spada Excalibur ce l’ho io. Costanza l’ha fatta ripulire e me l’ha regalata. Sostiene che ai re porta iella. Excalibur non ha salvato neanche re Artù. Ruggero e Tancredi sono morti poco dopo averla avuta “in dono”. Enrico voleva portarla in Germania, ma, chissà come, è caduta da un sacco, ed è rimasta a Messina. Costanza mi ha detto: “Riportala a Riccardo Cuor di Leone, se proprio ci tieni a rivedere sua sorella!” Avevo dovuto raccontare a Costanza la mia vecchia storia tra me e Giovanna. Costanza non si è stupita più di tanto. Alcune voci erano arrivate fino a lei! “Perché non rimani accanto a Federico? Anche lui è tuo figlio.” “Voglio molto bene a Rico, ma voi stessa avete ricordato che le probabilità che lui abbia il mio sangue sono solo una su quattro.” “Forse, ma sinceramente mi piacerebbe che lui prendesse qualcosa da voi. Vorrei tanto che mio figlio diventasse un re amante delle arti e delle scienze. Magari anche un poeta!” “Madonna, Federico crescerà accanto a sua madre, e avrà i migliori precettori. Mia figlia Roxanne, non so neanche che fine ha fatto!”
Costanza mi dà il permesso di partire per la Francia, ma ad una condizione: devo prima andare per lei a Roma, dal papa. Accetto, ma prima ho altre incombenze da sistemare. Innanzi tutto l’ospedale di Palermo, rimasto quasi senza dottori. Dopo “l’interrogatorio” d’Arnaldo di Caltagirone, Enrico il Crudele voleva arrestare anche me. Non trovandomi se l’era presa col povero Gualtieri, che era morto in carcere. Passo le consegne a due giovani medici promettenti, nell’attesa che l’Ordine mandi qualcuno al posto mio. Prima di partire faccio anche una visita a Castrogiovanni. Caterina e i bambini stanno bene. Calogero ha ricevuto dalla regina Costanza il titolo di barone, e anche il permesso di sposare Caterina. Sono deluso: per il ricordo di Giordano, ma anche perché avevo quasi pensato di sposarla io! Partendo per Roma, abbraccio per l’ultima volta Costanza e Federico. Lascio come regalo a Federico un piccolo coltello d’argento, con due serpenti attorcigliati: il caduceo dei medici. Naturalmente la madre glielo darà solo quando lui sarà più grande. Per Costanza ho un dono simbolico: una rosa, l’ultima rosa della stagione, cresciuta chissà come nel giardino del mio ospedale. La regina è commossa: “Avete avuto un pensiero molto gentile. Conserverò questa rosa insieme alla pergamena dei vostri versi, e fingerò che li abbiate scritti per me.” Prometto alla regina che tornerò presto, con mia figlia. Costanza scuote la testa. “Non fate promesse che non potete mantenere!” Per un attimo mi sembra che Costanza trattenga a stento una lacrima. Anch’io ho un nodo alla gola. Non ho mai amato Costanza, ma le ero sinceramente affezionato. Quella donna, dura e fragile nello stesso tempo, ha lasciato in me un segno indelebile. *** Appena la mia nave sbarca ad Ostia ricevo una notizia bomba. Papa Celestino III è morto. Il conclave ha nominato papa il cardinale Lotario di Segni, che ha preso il nome d’Innocenzo III.
La regina sarà senz’altro contenta di sapere che il nuovo papa è un suo amico. Io ho qualche dubbio. Innocenzo III ha solo 37 anni. Celestino III era vecchio e debole, ma Innocenzo III è un papa giovane, che sa fin troppo il fatto suo. Il papa mi riceve solo dopo una lunga anticamera. Legge il plico col sigillo di Costanza che gli ho consegnato. Mi domanda. “Sapete quello che mi chiede la regina?” “La regina Costanza mi onora della sua confidenza. La regina è preoccupata per suo figlio Federico, e vi chiede di prenderlo sotto la vostra protezione.” Il papa annuisce. “Non negherò certo la mia protezione ad un bambino di quattro anni, ma mi domando se la regina Costanza ha ben valutato le conseguenze politiche della sua richiesta. Io posso riconoscere Federico re di Sicilia, ma non posso incoronarlo imperatore del Sacro Romano Impero.” Rispondo immediatamente. “La regina Costanza vuole che Federico cresca in Sicilia. Non vuole nemmeno che impari il tedesco!” Papa Innocenzo sorride. “Allora troveremo sicuramente un accordo!” Il papa fa cenno ad un prelato di fare entrare un’altra persona. È il principe Filippo di Svevia. Filippo bacia l’anello al papa, e poi mi saluta cordialmente. “Conte dottore! Sembra che siamo destinati ad incontrarci sempre!” Filippo ed io ribadiamo i termini dell’accordo. A Costanza e Federico la Sicilia e l’Italia meridionale. A Filippo la Germania, e l’Italia Settentrionale. L’accordo è convalidato dal papa, che vuole assolutamente evitare che Sacro Romano Impero e Regno di Sicilia siano governati dallo stesso re. Filippo stesso andrà in Sicilia a fare sottoscrivere l’accordo a Costanza. La mia missione è terminata. Posso partire per la Francia. Prima di salutarmi Filippo mi dà un messaggio personale. “Mia moglie Irene ha ricevuto una visita da suo fratello Alessio. Il principe vorrebbe che io lo aiutassi a riprendere il trono di Costantinopoli, ma io adesso ho altri problemi.” Filippo s’interrompe, poi continua po’ imbarazzato.
“Scusate se sono indiscreto. Il principe Alessio era accompagnato da una bella donna che diceva di essere sua cugina. Si chiama Elena. È lei vostra moglie?” Da molto tempo non pensavo più ad Elena. Tanto meno voglio pensarci adesso. “Ringrazio Vostra Altezza, ma tutti sanno che mia moglie è morta. Deve trattarsi di un’altra Elena.” Filippo annuisce. “Lo pensavo anch’io. Se ci ripensate potete sempre mandarmi un messaggio. Sono sicuro che lei ritornerà” Filippo è stato un buon profeta. Elena e Alessio sono tornati più volte da Irene e Filippo, poi da papa, e infine dal doge di Venezia. Credo che Elena abbia avuto la sua parte nell’organizzazione della cosiddetta “Quarta Crociata”, la guerra finita col saccheggio di Costantinopoli, nel 1204. Non so se Elena è morta insieme all’ultimo imperatore bizantino, o è riuscita a cavarsela ancora una volta, magari sposando uno dei “crociati”. Non lo so, e non m’interessa.
Capitolo 13 Rose di Francia (A.D. 1198, 1199)
Non è stato facile trovare una nave, per Marsiglia, e ancora più lungo è stato il viaggio fino a Tolosa. Arrivato in città comincio subito a raccogliere notizie sul marito di Giovanna: Raimondo VI, conte di Tolosa, e marchese di Provenza. I mercanti di Tolosa erano abbastanza soddisfatti del loro conte: Raimondo favoriva le libertà comunali, e faceva pagare poche tasse. Il conte poi era amante delle belle arti, e scriveva anche poesie! I preti parlavano malissimo di Raimondo. Sostenevano che era un uomo dedito alla lussuria. Prima di Giovanna aveva avuto altre tre mogli, e un numero incalcolabile di amanti. Amante focoso, poeta…. Giovanna aveva amato suo marito? Alla fine prendo coraggio, e scrivo un biglietto: Rosa fresca aulentissima, regina del mio cuore, rispondi alle preghiere del conte tuo dottore1 Ben sai quanto ti ho amato, e quanto t’amo, Son sempre appeso come un pesce all’amo. Come farlo pervenire a Giovanna? Una sua ancella, Sophie, era fidanzata con un fabbro che aveva bottega sotto la mia locanda. Dopo una lunga contrattazione, il fabbro accetta di consegnare il biglietto alla fidanzata. Due giorni dopo, Sophie viene da me, con la risposta. : Se mo’ non te ne vai, con la maledizione, mio marito ti trova, e ti da una lezione. Canzoneri mio bello, se anche un dì io t’ho amato, acquistiti riposo, che quel tempo è passato! Me l’aspettavo.
Mi piacerebbe avere con Giovanna un lungo scambio di versi come ad Alcamo, ma adesso le circostanze sono ben differenti. Consegno a Sophie un biglietto che ho già preparato. Vita mia, tu vorresti che io per te sia distrutto? Di qua io non mi muovo se non mi dai lo frutto, del nostro amor, che il padre adesso brama. Sai cosa intendo: parlo di Rossana! So di correre un brutto rischio, ma nessuno a Tolosa capisce il volgare siciliano, a parte me e Giovanna. Sophie torna da me il giorno dopo. La ragazza è spaventata. Mi raccomanda di non cercare più né lei né il fidanzato. Sophie aggiunge che “la contessa di Tolosa” ha in programma di andare a Montpellier, la settimana prossima, per farsi visitare dal Professor Abelarde. *** Montpellier è a circa 50 miglia da Tolosa. La città ospita una nuova Scuola di Medicina, in cui ha studiato anche il mio “amico” Bertrand. Ho già sentito parlare del Professor Abelarde. Una volta era anche venuto a Salerno a parlare con Gualtieri. Decido di andarlo a trovare, in nome del nostro comune amico. Abelarde ascolta con rammarico la notizia della morte di Gualtieri. Mi racconta che ha già sentito parlare del mio “scambio d’opinioni” con Bertrand. “Quel macellaio! Gli avete dato la lezione che meritava!” La mia domanda d’assunzione all’università di Montpellier è immediatamente accolta. Dopo le guerre di Enrico il Crudele è iniziata una fuga di cervelli dall’Italia alla Francia. Ormai Salerno è in decadenza e Montpellier è in ascesa. Sono assegnato all’ospedale dell’università, dove gli studenti si esercitano con le “cavie umane”. Cerco di salvarne almeno qualcuno. Aspetto con ansia l’arrivo di Giovanna. Sono sicuro che Roxanne è a Montpellier. Evidentemente Giovanna viene ogni tanto a trovare la bambina con la scusa di farsi curare. Ma di che? Non ho il coraggio di dire niente ad Abelarde. Solo per caso sono con lui, quando gli riferiscono che è venuta a trovarlo “la contessa di Tolosa”.
Abelarde si scurisce in volto. Si rivolge a me per congedarmi. Trovo il coraggio di dirgli. “Avrei piacere di salutare la contessa Giovanna. Ho avuto l’onore di conoscerla a San Giovanni d’Acri.” Il professore mi guarda perplesso. “La contessa non si trattiene mai molto. Riferirò il vostro messaggio, e se lei vuole, vi farò chiamare.” Sono costretto ad andarmene. Scendendo le scale vedo salire due donne. Sophie tiene gli occhi abbassati. L’altra non può essere che Giovanna, ma porta un velo davanti alla faccia e finge di non riconoscermi. Non so che fare. Vado nel mio studio e faccio finta di consultare delle vecchie pergamene. Il tempo sembra non passare mai. Finalmente una suora si affaccia alla mia porta. La contessa mi aspetta. Giovanna è sola nello studio d’Abelarde, che si è discretamente allontanato. Improvvisamente mi sembra che tutti gli ultimi anni siano stati cancellati, e sono di nuovo il giovane poeta d’Alcamo, innamorato di una regina. Ci abbracciamo. Giovanna è la prima a riprendere il controllo. “Celi, non sei cambiato per niente!” “Anche tu sei sempre la stessa. Anzi, sei ancora più bella!” “Sei un gran bugiardo, ma grazie lo stesso!” È vero! Sono un gran bugiardo. Giovanna è molto diversa dall’ultima volta che l’ho vista. Non tanto per le borse sotto gli occhi, o le piccole rughe sulla fronte: è la sua anima che è invecchiata! A San Giovanni d’Acri la sorella di re Riccardo era la regina di tutte le feste, e si poteva permettere anche un amante (quasi) segreto. Adesso… Vorrei fare tante domande, ma Giovanna mi blocca. “Non è prudente parlare qui. Esci dall’ospedale subito dopo di me, e segui la mia carrozza. Attento a non farti notare” Aspetto che Giovanna esca e mi precipito fuori, a far sellare il mio cavallo. La carrozza di Giovanna mi aspetta poco fuori città. Proseguiamo fino ad una povera casa. Giovanna scende dalla carrozza. Vorrei parlarle, ma lei mi zittisce, e bussa alla porta. Ci viene ad aprire una giovane donna.
Marie non è brutta, ma è sporca e mal vestita. Mi guarda con sospetto. Giovanna mi presenta, parlando in provenzale. “Marie ho chiesto al dottor Michel d’Alcamò di venire a visitare Roxanne. L’altra volta mi avevate detto che era stata poco bene…” Roxanne fa capolino dall’uscio della cucina, e dice. “Non voglio nessun dottore. Mamma dice che i dottori sono tutti dei somari.” Guardo, esterrefatto, mia figlia. Anche vestita di stracci è bellissima. Ha il naso e il mento della madre, ma i capelli castani, e gli occhi neri, sono i miei. Il carattere… quello deve averlo preso dallo zio Riccardo. Non per niente Roxanne discende da una stirpe di re! Mi avvicino alla piccola. “Io non raglio, e non tiro calci. Però, se vuoi, ti posso portare a cavalluccio…” Ho detto la prima cosa che mi è venuta in mente ma Roxanne mi prende subito in parola! Dopo cinque minuti io e mia figlia giochiamo insieme come se ci conoscessimo da sempre. Giovanna ci guarda esterrefatta, e Marie non crede ai suoi occhi. “Roxanne non da mai tanta confidenza agli sconosciuti. Questo dottore è uno stregone!” Rispondo senza pensare: “No, è questa piccola che ha stregato a me!” Giovanna viene a giocare con noi. Adesso siamo una vera famiglia. Ridiamo e scherziamo insieme. Marie ci guarda un po’ contrariata, ma ci lascia fare. Arriva, troppo presto, il momento del congedo. Marie prende da parte Giovanna, che tira fuori una borsa piena di monete. Marie fa una smorfia. “Tutto qui? Con questi non riesco neanche a pagare gli affitti arretrati?” Giovanna si giustifica. “Mio marito si è presa tutta la mia dote. Dice che ho già tutto. Che me ne faccio dei soldi?” Raimondo deve essere un gran bastardo. Magari la picchia pure:, come Enrico con Costanza! Guardo di nuovo Roxanne che ora è triste. Il pensiero di lasciare mia figlia in questa casa mi fa star male. Agisco d’impulso, e dico a Marie. “Se volete, voi e Roxanne potete venire ad abitare da me. L’università mi ha assegnato una bella casa, e ho giusto bisogno di una donna per le pulizie.” Marie esita, ma Roxanne mi appoggia immediatamente.
Giovanna è perplessa, ma capisce che è per il bene della piccola, e spinge Marie ad accettare la mia proposta, promettendole altri soldi… Così Roxanne e Marie vengono a vivere con me ed io divento padre a tempo pieno. Un mese dopo Abelarde mi manda a chiamare. “Ho saputo che avete preso una donna in casa…” Rispondo immediatamente: “Non è come pensate. Avevo bisogno di una donna per le pulizie, e mi faceva pena la bambina…” Abelarde m’interrompe: “Questi sono fatti vostri! Devo solo avvertirvi che Marie appartiene alla setta degli Albigesi. Il papa dice che sono degli eretici. State attento a non farvi coinvolgere.” Prometto, ma non m’importa niente della religione di Marie. L’unica cosa che conta è che adesso comincio a conoscere mia figlia, e le voglio bene ogni giorno di più. Adesso che ci sono io, Giovanna viene a trovare la figlia più spesso. Roxanne non sa che lei è la sua vera madre, ma forse lo ha intuito perché le fa sempre tante feste. Ogni volta che rivedo Giovanna, la trovo più allegra, addirittura più giovane. La mia “rosa aulentissima” sta ricominciando a rifiorire! *** All’inizio dell’estate, in ospedale, mi comunicano che “il conte di Kirenia” è venuto a cercarmi. Non realizzo chi è, prima di trovarmi davanti Robin. Mio cognato mi racconta che sta combattendo con Riccardo Cuor di Leone contro i francesi di re Filippo. La guerra ormai va avanti da quattro anni. Adesso c’è una tregua, e gli hanno concesso una breve licenza. Prima di partire per l’Inghilterra, Robin ha portato un messaggio di re Riccardo a sua sorella, e Giovanna gli ha riferito che io ero a Montpellier. Invito Robin a casa mia, e Marie prepara una bella cena. Roxanne è subito affascinata da “zio Robin” che la fa anche giocare con il suo enorme arco. Dopo aver dato il bacio della buona notte alla bambina, io e Robin parliamo dei “vecchi tempi” e ci raccontiamo le ultime novità.
Marianna e i bambini stanno bene, ma Robin si lamenta che li vede troppo poco, per colpa di questa guerra che non finisce mai. Arriva addirittura a dire: “Sai che forse avevi ragione, quando dicevi che noi inglesi facevamo male ad andare dietro ad un re Normanno? Riccardo è stato in Inghilterra solo pochi mesi!” Riccardo è un gran soldato, ma non vale molto come stratega: vince tutte le battaglie, ma non la guerra! Perfino il marito di Giovanna si è dimostrato un pessimo alleato per il re d’Inghilterra. Il conte di Tolosa non riesce neanche a tenere a bada i ribelli Albigesi, e Riccardo non ha abbastanza soldati da mandare in Provenza. Robin mi confida: “Sai cosa mi ha detto una volta il re? Che sua sorella sarebbe stata più felice, perfino se sposava te!” Non è proprio un gran complimento, ma il fatto che il re d’Inghilterra ci abbia almeno pensato mi lusinga un po’. “Riccardo si ricorda di me?” “E come! Gli hai fatto perdere una bella scommessa!” Questi maledetti re! Per loro noi siamo solo pedine dei loro stupidi giochetti! Il ricordo di quella scommessa: mi fa venire in mente una persona a cui non pensavo da tempo. “La regina Berengaria è con re Riccardo?” “No, è da qualche parte in Francia. Il re dice che quella puttana non la vuole più vedere!” Un delegato del papa aveva cercato di convincere il re a riprendersi la moglie, ma Riccardo l’aveva cacciato via in malo modo. “Chi si crede di essere il papa per dare ordini ai re? Non gli basta di essersi presa la Sicilia!” “Come? E la regina Costanza?” “Non lo sapevi? Costanza è morta un mese fa. Il papa ha preso la reggenza della Sicilia, in nome del piccolo Federico.” Non sapevo niente! Non mi ero nemmeno accorto che Costanza aveva quella terribile malattia che i latini chiamavano “cancro”. Bel medico che sono! Robin vede il mio sconforto, e sente il bisogno di aggiungere due parole di condoglianze. “La regina Costanza era una brava donna. L’ho conosciuta anch’io ad Augusta” In senso biblico! Sono sconvolto, e parlo senza riflettere. “Robin, tu lo sai che potresti essere il padre di Federico?”
Robin impallidisce. Mi guarda e dice. “Sì ci ho pensato. Anche tu?” Io e Robin parliamo a lungo di Costanza e Federico. Il piccolo re ha già perso la madre, e due possibili padri: Enrico e Giordano. In compenso ora Federico ha un padre adottivo eccezionale: il Santo Padre! Tutto questo Robin ed io lo diciamo scolandoci due fiaschi di vino. La mattina dopo scopro che mio cognato è ripartito senza salutarmi. Non l’ho più rivisto. *** Passano i mesi. Roxanne si è decisa a chiamarmi papà, e adesso faccio fatica a staccarmi da lei quando vado a lavorare. Ogni tanto viene a trovarci Giovanna, e passiamo insieme momenti meravigliosi. Marie ci lascia fare, finché riceve i suoi soldi alla fine del mese. La madre adottiva di mia figlia non ha mai sentito la bambina come sua. A lei interessa solo la sua strana religione. Una volta ha cercato di convertire anche me, ma io le ho detto che poteva fare quello che voleva, purché non mettesse in pericolo la vita di mia figlia. Adesso Marie è spesso fuori casa, per raduni con i suoi amici “Catari” (o “Albigesi”), e Roxanne passa sempre più tempo con me e la sua vera madre. Poi le visite di Giovanna cominciano a diradarsi. Il marito comincia a fare troppe domande. Come mai tante visite dal medico, proprio adesso che lei sta così bene? Poco prima di Natale, Giovanna mi confessa che non potrà venire per molto tempo. Il marito deve allontanarsi da Tolosa. Giovanna dovrà rimanere a difendere la città con pochi soldati. Non è una richiesta: è un ordine! Giovanna mi confida: “Non ne posso più di Raimondo! Adesso mi porta via anche nostro figlio. Raimondo junior andrà via con lui. Mio marito sostiene che la vita del suo erede deve essere protetta!” Sono allibito. “E quella di sua madre no?” “Per Raimondo no! Per lui la moglie è solo una “fattrice”, che si può sempre sostituire!” Giovanna piange, ed io la stringo tra le mie braccia.
Adesso la mia rosa è bella come ad Alcamo. La bacio e lei mi risponde con trasporto. Sophie bussa alla porta. “Scusate madonna, ma fuori si è scatenata una tempesta. Non ce la facciamo a tornare al castello, prima che faccia buio.” Colgo la palla al balzo. “Restate qui. Marie è fuori con i suoi amici, e potete sistemarvi nella sua stanza.” Naturalmente nella stanza di Marie ci dorme solo Sophie. Giovanna ed io diamo il bacio della buona notte a Roxanne, e ci rinchiudiamo nella mia stanza. Aspettavamo da tanto tempo questo momento! Giovanna mormora: Celi, tu, mi giurasti, e io tutta quanta incenno, Sono a la tua presenza, da te non mi difenno. Io completo la strofa: A letto dunque andiamo, a la bon’ura! Che chissà che c’è data in ventura... *** È l’Anno del Signore 1199. Siamo alla fine del XII Secolo. Una mattina di Marzo sento bussare alla porta: sono Giovanna e Sophie. Giovanna è distrutta, dopo aver viaggiato per tutta la notte. È fuggita da Tolosa appena in tempo. Alcuni traditori hanno consegnato la città ai ribelli albigesi. Sophie zoppica. È caduta da cavallo e si è slogata una caviglia. Mentre faccio un massaggio a Sophie, Giovanna mi racconta la sua fuga. “Mi hanno abbandonato tutti, anche mio marito! Devo assolutamente trovare mio fratello!” Sophie si lamenta, sostiene che non può camminare, ma sono sicuro che esagera. Secondo me, cerca una scusa per non seguire la padrona in giro per la Francia. Lasciamo Sophie a riposare, e spiego la situazione a Giovanna, che comincia ad imprecare. “Quella scansa fatiche! E allora cosa dovrei dire io che…” Giovanna s’ interrompe.
Improvvisamente capisco tutto. Giovanna sta bene, ma è un po’ ingrassata, e come medico ho una certa esperienza. “Sei incinta!” Giovanna annuisce con la testa. “È figlio mio?” Giovanna non risponde, ma la sua espressione è inequivocabile. “È meraviglioso! Roxanne avrà un fratellino!” La risposta di Giovanna non è quella che volevo. “Come fai a parlare così! Ti rendi conto che se mio marito lo scopre ci ammazza a tutti e due?” “Tuo marito è uno stronzo! Robin mi ha detto che neanche tuo fratello lo sopporta più.” “Appunto per questo devo andare da Riccardo. Ma poi che ti aspetti? Che ci dia la sua benedizione?” Perché no? Dopotutto, Riccardo Cul di Ricchione non può certo mettersi a fare il moralista! Naturalmente questo non lo dico a Giovanna. Mi limito a stringerla a me, e la accarezzo mentre piange. Il giorno dopo chiedo ad Abelarde il permesso di assentarmi dall’ospedale per accompagnare la contessa di Tolosa da suo fratello Riccardo. Secondo le ultime notizie, il re d’Inghilterra sta assediando il castello di Chalus, ad un centinaio di miglia da Montpellier. Chiedo ad Abelarde la massima discrezione. Il professore è perplesso, ma non fa obiezioni. Lasciamo Roxanne a Marie, che promette di badare anche a Sophie, finché lei non si ristabilisce. Staccarsi da Roxanne non è facile. Prima di partire, Giovanna stringe a se la bambina come se temesse di non rivederla più. Roxanne piange. Mi sembra di sentire ancora i suoi lamenti, lungo tutta la strada per Chalus. *** Il viaggio alla ricerca di Riccardo Cuor di Leone non è né breve né facile. La strada è lunga e accidentata e ci perdiamo più volte. Giovanna mi spinge a spronare il cavallo, ma io ho paura, per lei e per il bambino. Infine arriviamo su una collina da cui vediamo il castello di Chalus. Vedo sulla torre lo stendardo di Riccardo Cuor di Leone.
Respiro di sollievo. Penso che, se il castello è stato conquistato, Riccardo darà più retta a sua sorella. Ci avviciniamo all’accampamento inglese. Ci viene incontro un cavaliere biondo ed aitante, che si presenta come Sir Ivanhoe. Ivanhoe non crede ai suoi occhi, quando scopre di avere davanti la sorella del suo re! Mentre andiamo verso il castello, chiedo ad Ivanhoe se conosce il conte di Kirenia. “Robin? Lo conoscevo bene! Era un cavaliere valoroso, il miglior arciere d’Inghilterra!” Era? Purtroppo ho capito bene! Robin è morto sei mesi fa, alla battaglia di Gisors: un’altra “gran vittoria” di Riccardo Cuor di Leone, con tanti caduti, francesi e inglesi. Non ho nemmeno il tempo di piangere il mio amico, perché siamo subito ammessi alla presenza di re Riccardo. Il re è a letto, ed ha gran fasciatura alla spalla. L’incontro tra fratello e sorella è commovente. Poi Riccardo si accorge anche di me. “Oh, il conte dottore! Capitate a proposito. La mia ferita sembrava una sciocchezza, ma non si decide a guarire” Levo la fasciatura, e mi accorgo che la piaga ha un aspetto orribile. L’infezione si è propagata a tutto il braccio, e nella spalla ci sono ancora alcuni piccoli pezzi di freccia Chiedo prudentemente: “Quando vi hanno medicato?” “Immediatamente. Il dottore mi ha subito tolto la freccia dalla spalla.” Ribollisco di rabbia. “Non era un dottore, ma un macellaio! Ha strappato la freccia, senza neanche stare attento a non lasciare frammenti nella ferita!” Ivanhoe mi guarda perplesso. “Non capisco. Il medico veniva dalla famosa università di Montpellier.” Ho un terribile sospetto. “Bertrand di Montpellier?” “Sì, lo conoscete?” Bertrand se l’è squagliata, appena il re ha incominciato a peggiorare. Posso solo cercare di ripulire la ferita, ma forse è troppo tardi. Il giorno dopo Riccardo riceve la visita di sua madre: Eleonora d’Aquitania.
Eleonora da giovane è stata una bella donna, ma ha sempre avuto un brutto carattere. Ha avuto due mariti (un re di Francia e un re d’Inghilterra) ed otto figli, che l’hanno amata ed odiata. Adesso Eleonora ha almeno 75 anni, ma è ancora piena d’energia. Cuor di Leone davanti a lei diventa un agnellino. Dietro la porta sento perfino la madre gridare al figlio: “Come ti è venuto in mente di attaccare il castello senza metterti nemmeno la maglia di ferro?” Giovanna è delusa perché sua madre l’ha appena salutata. “Mamma ha sempre voluto bene solo a Riccardo!” Eppure, la vecchietta mi fa tenerezza. Sento la mancanza di mia madre. Domando a Giovanna: “Se parlassi con tua madre…” Giovanna risponde stizzita: “Sei matto? Lei non sa nemmeno di Roxanne!” Riccardo continua a peggiorare, e a nulla valgono le mie cure. Il re chiede di conoscere chi gli ha lanciato la freccia mortale. Ivanhoe conduce nella sua stanza, in catene, il responsabile. Si chiama Pierre Basile ed è poco più di un ragazzo. Riccardo lo guarda perplesso: “Ragazzo, sapevi di colpire il tuo re?” Pierre Basile non si lascia intimidire: “Voi non siete il mio re. Voi inglesi avete invaso la nostra terra, ma noi vi ributteremo in mare.” Riccardo sorride. “Sarebbe un peccato tirare il collo ad un bel ragazzo come te! Sir Ivanhoe, dategli una borsa di monete, e liberatelo.” Pierre Basile non crede alle sue orecchie. Ivanhoe, contrariato, esce con Pierre dalla stanza, ma non lo libera. Resta in attesa. Poco dopo il re chiama accanto a sé la madre e la sorella: è la fine. Io rimango dietro la porta, finché Giovanna ed Eleonora escono dalla stanza. Eleonora si rivolge ad Ivanhoe: “Il re è morto. Fate quello che dovete.” Ivanhoe ed altri cavalieri vanno a rendere omaggio alla salma. Pierre Basile è trascinato via. “Dove mi state portando?” “Dal boia. Sarai scorticato, e poi impiccato!” “Non potete! Il re aveva detto di liberarmi!” “Vallo a raccontare a lui!”
Eleonora d’Aquitania ordina che suo figlio venga sepolto nell’abbazia di Fontevraud, nella cappella dei duchi d’Angiò. Riccardo è rivestito con il suo abito più bello, per ricevere l’omaggio di tutti i suoi soldati. Mi viene l’idea di fare al re morto un dono: la “spada Excalibur” che lo stesso Riccardo aveva “regalato” a re Tancredi, e che la regina Costanza aveva rifilato a me. Eleonora d’Aquitania guarda la spada perplessa: “Questa spada l’avevo regalata io a Riccardo! L’aveva fabbricata un fabbro di Bordeaux, copiando i disegni della spada Excalibur. Come l’avete avuta?” Racconto ad Eleonora tutta la storia. La madre di Riccardo sorride tristemente. “Messere, vi ringrazio del vostro dono. Autentica o no, la spada Excalibur farà una bella figura nel sepolcro di Riccardo Cuor di Leone.” Almeno mi sono liberato di quella spada. Forse Costanza aveva ragione: porta sfiga! Giovanna ha un lungo colloquio con la madre, da sola. Poi mi spiega i suoi programmi. “Accompagnerò Riccardo all’abbazia di Fontevraud. Mamma mi ha consigliato di restare lì, finché non nascerà il bambino.” “Vengo con te!” “No, tu torna da Roxanne. Almeno lei avrà il padre vicino.” Vorrei insistere, ma anch’io sono preoccupato per la bambina. Cerco una soluzione. “Ti raggiungerò con Roxanne. Ti aiuterò a far nascere nostro figlio, e poi fuggiremo insieme.” Giovanna ha un sorriso triste: “Vedremo. Intanto vai!” Giovanna mi dà una borsa di monete, per il viaggio. “Questi erano i soldi di Pierre Basile. Adesso lui non ne ha più bisogno!” *** Il viaggio di ritorno a Montpellier è lungo quasi come quello dell’andata. Tornato a casa ho una brutta sorpresa: Roxanne non c’è, e neanche Marie. Disperato, chiedo notizie all’università. I colleghi mi guardano in un modo strano. Finalmente Abelarde accetta di ricevermi.
“Dove stavate? Sono arrivati i soldati del conte, ed hanno arrestato Marie. I cattolici non sopportano più gli Albigesi. Il papa vuole perfino fare una crociata!” “Professore, la politica non m’ interessa. Dov’è Roxanne?” “La bambina? L’hanno portata in convento, a Nimes.” Non è facile trovare Roxanne. Sono fortunato perché a Nimes incontro Jacques de Moulin, un cavaliere templare che ho conosciuto a San Giovanni d’Acri. I rapporti tra Templari e Ospitalieri non sono mai stati molto cordiali, ma anche i Templari hanno bisogno di medici. Jacques mi aiuta a trovare Roxanne. La bambina era disperata e, appena mi vede, mi viene incontro piangendo. La copro di baci. Il templare mi consiglia di lasciare al più presto la Francia, se non voglio rischiare di passare per amico degli Albigesi. Il mese prossimo una nave dei templari partirà per San Giovanni d’Acri. Si offre di darmi un passaggio. Prendiamo appuntamento per il primo ottobre, a Marsiglia. Dico a Roxanne: “Andiamo a prendere mamma!” Viaggiamo, più in fretta che possiamo, verso l’abbazia di Fontevraud. Appena arrivato, chiedo alla madre superiora di Giovanna. La suora mi prende per mano, e mi accompagna alla cappella con le tombe dei duchi d’Angiò. Vedo una lapide con il nome di Riccardo Cuor di Leone. Accanto c’è la tomba di Giovanna. Vicino a lei riposa nostro figlio. Giovanna l’aveva chiamato Riccardo. Suor Therese mi spiega che Giovanna è morta di parto due settimane fa: il piccolo Riccardo ha fatto appena in tempo ad essere battezzato. Guardo la lapide di Giovanna con le date di nascita e di morte 1166-1199. Aveva 33 anni! Roxanne è in piedi accanto a me silenziosa. Non ha ancora sette anni, ma capisce tutto. Prima di ripartire per la Terrasanta, lascio sopra la lapide di Giovanna una rosa rossa, la mia ultima rosa.
Capitolo 14 Laudato si’ mi Signore! (A.D. 1219)
Sono passati 20 anni, e lavoro sempre nell’ospedale di San Giovanni d’Acri. Ho avuto altre donne, ma non mi sono più sposato. Non ho voluto dare una matrigna a Roxanne, che è cresciuta con me, coccolata da tutto il personale dell’ospedale. Roxanne si è fatta una bella donna, ma continua a rifiutare ogni proposta di matrimonio. Sto quasi per perdere la speranza di avere dei nipotini, quando arrivano in Terrasanta i superstiti della Quinta Crociata, dopo la clamorosa batosta subita in Egitto. Alcuni crociati si stabiliscono ad Acri. Tra di loro c’è un mio figlioccio: Michele di Castrogiovanni, il figlio di Giordano. Accolgo Michele come un figlio. Il ragazzo è simpatico, ma sfortunato. La madre Caterina è morta dando alla luce il suo ultimo figlio, ed il patrigno Calogero gli ha portato via la contea. Michele ha cercato invano la gloria nella Crociata. Gli chiedo: “Come stanno i tuoi fratelli?” “Carmelina è stata richiusa in un convento. Pietro e Paolo si sono imbarcati di nascosto nella Crociata dei Fanciulli, e non li ho più rivisti”. I figli di Giordano sono più sfigati del padre! Roxanne s’innamora subito di Michele: è un bel ragazzo e le fa tenerezza. Un mese dopo Roxanne e Michele sono già sposati. Mio genero mi aiuta in ospedale, come faceva un tempo suo padre. Presto divento anche nonno. *** Poco dopo è arrivato dall’Egitto un’altra mia vecchia conoscenza: Francesco d’Assisi. Avevo sentito parlare di lui, ma non riuscivo a credere che il frate che predicava pace e amore era lo stesso ragazzo che a momenti mi rompeva le gambe giocando a calcio. Francesco ha addirittura fondato un nuovo ordine, e tra i suoi seguaci c’è anche Guglielmo d’Altavilla.
L’ex re di Sicilia ha lasciato stare le armi, ed ora si fa chiamare Fra Leone, pecorella di Dio. Francesco mi racconta come ha trovato la sua vocazione. È stato dopo che era tornato, stravolto, dalla guerra contro Perugia. Non ne poteva più delle armi e del sangue. “Mio padre ha cercato di farmi entrare nei suoi affari, e mi ha dato anche la chiave del suo archivio segreto. Così ho scoperto quello che è successo a tuo padre e a tua madre!” Francesco s’interrompe imbarazzato. Io pendo dalle sue labbra. “Ho trovato tre lettere di Achille, il rappresentante di mio padre in Egitto. La prima era del 10 Novembre 1194. Diceva che, per il riscatto di tuo padre e tua madre, i pirati chiedevano mille tarì d’oro…” Mille tarì sono una bella cifra, ma Pietro Bernardone poteva pagarli solo con il nostro conto di Venezia! La voce di Francesco è roca dal pianto, quando aggiunge. “La seconda lettera era datata 6 Marzo 1195. Tua madre era morta. Per tuo padre si accontentavano di cinquecento tarì.” Sono senza parole. Non mi aspettavo che mia madre fosse ancora viva, ma saperlo in questo modo! Sto per parlare, ma Francesco m’interrompe. “Devi sapere tutto! La terza lettera è del 15 Ottobre 1196. Achille aveva incontrato tuo padre al mercato degli schiavi d’Alessandria. Era in uno stato talmente pietoso, che si poteva comprarlo per 10 tarì, forse meno…” Adesso Francesco piange senza ritegno. Io sono diviso tra dolore e rabbia. Mi viene spontanea una domanda. “Glie l’hai detto a Matteo?” “Sì. Tuo fratello è molto cambiato. Si è fatto consegnare le lettere, e poi le ha usate per ricattare mio padre. Matteo si è comprato tre nuove navi e si è trasferito a Venezia.” Adesso capisco perché da anni mio fratello non mi scrive più! Teme che io voglia una parte del malloppo! Francesco continua a parlare. Da molto tempo aveva voglia di liberarsi di questo peso. “Dopo tutto quello che è successo, non ho voluto più saperne dei soldi di mio padre. Gli ho restituito perfino i miei vestiti!” Avevo sentito parlare di questa storia. Tutti dicevano che Francesco era diventato matto. Adesso capisco tutto!
Francesco era venuto in Terrasanta, per predicare pace e amore a cristiani e mussulmani. In Egitto aveva cercato perfino di convertire il Sultano El Kemil! Il Sultano non si è convertito, ma non lo ha neppure fatto giustiziare: si è limitato ad ascoltarlo ed espellerlo dall’Egitto. Francesco in Palestina ha avuto un discreto seguito. Fin troppo per i Templari, che alla fine sono riusciti a cacciarlo via dalla Terrasanta. Prima di partire Francesco mi ha fatto leggere il suo “Cantico delle Creature”, quello che inizia con: Laudato si’, oh mio Signore… Ho trovato questi versi bellissimi, anche se sono completamente diversi dai miei. Mi fa piacere che anche in Italia Centrale ora si scrive in volgare. Forse un giorno le tante lingue volgari italiane si fonderanno in una sola, e in Italia si parlerà la stessa lingua, dalle Alpi alla Sicilia. Forse, ma ci vorrà tempo, molto tempo. Francesco è morto in Italia pochi anni dopo, e l’hanno immediatamente fatto santo. In Terrasanta molti non erano d’accordo. Alcuni sostenevano che la sua “propaganda sovversiva” aveva fatto crollare il morale dei Crociati. Forse per questo il Sultano d’Egitto l’ha risparmiato! *** Dopo il fallimento della Quinta Crociata, i Cavalieri di San Giovanni d’Acri aspettavano con ansia l’arrivo dell’imperatore Federico II. Federico aveva promesso al papa, di fare un’altra Crociata, ma l’imperatore continuava a perdere tempo. Alla fine il pontefice l’ha addirittura scomunicato. Anch’io aspettavo l’arrivo dell’imperatore, ma per motivi ben diversi dai miei amici Cavalieri. Avevo seguito da lontano la “carriera” di Federico sin da quando, a 14 anni, si era autoproclamato maggiorenne, e aveva preso finalmente le redini del regno di Sicilia. Secondo la volontà della madre, il dominio di Federico avrebbe dovuto limitarsi all’Italia meridionale, ma poi il destino ha deciso altrimenti.
Dopo la morte di Filippo di Svevia, i tedeschi avevano scelto come re Ottone di Brunschwick, quel ragazzo borioso che avevo conosciuto a Roma, nel 1192. Innocenzo III aveva invece nominato imperatore proprio il “suo figlio adottivo”: Federico II. Il papa pensava che Federico sarebbe stato un docile strumento nelle sue mani. Come si sbagliava! Adesso i guelfi sostengono che Federico II è l’Anticristo in persona. Dicono anche che Federico è amico dell’Islam, ma dimenticano che solo lui è riuscito a debellare i ribelli mussulmani in Sicilia. Adesso anche Alcamo è diventata una città cristiana. Per i ghibellini, Federico è una specie d’idolo. Non fanno che lodarlo per la sua cultura ed il suo acume politico. Lo chiamano addirittura “Stupor Mundi”! Io ho sempre preso le parti di Federico, e non solo perché sono l’unico dei suoi “possibili padri” ancora in vita. Ho spesso immaginato la vita di Federico da bambino, cresciuto senza madre, in mezzo a tanti preti che cercavano di manovrarlo come volevano. Deve avere finito per odiarli! Io penso che Federico sarebbe un gran re d’Italia, se non fosse anche imperatore, e re di Germania. Forse Federico trasformerà il vecchio “Sacro Romano Impero” in uno stato moderno, laico e federale: un nuovo impero dove italiani, tedeschi e francesi potranno conservare le loro autonomie. Forse l’imperatore potrebbe addirittura costringere il papa a rinunciare al “potere temporale”, riportando l’impero “sui colli fatali di Roma”! Mi chiedo spesso se queste mie fantasie sono sogni di un italiano, o speranze di un padre. Nel 1229, finalmente, Federico, è arrivato in Terrasanta. L’imperatore ha perfino conquistato Gerusalemme, senza colpo ferire, ottenendo con la diplomazia quello che Riccardo Cuor di Leone non era riuscito ad avere né con la forza, né con l’astuzia. Quando l’imperatore è venuto ad Acri avrei voluto chiedergli udienza, ma che potevo dirgli? Invece l’imperatore è venuto a cercare me!
Epilogo L’ultima rosa (AD 1229)
L’imperatore esce dalla stanza. Antoine si affretta a venirgli incontro, e gli propone di fare un giro dell’ospedale. Federico declina l’invito, e manda a chiamare la sua carrozza. Rimasto solo, sono raggiunto da mia figlia Roxanne, e andiamo a parlare nel mio studio. Roxanne mi fa tante domande, ma io le riferisco solo la parte del colloquio che la riguarda direttamente: “L’imperatore mi ha riconfermato il mio vecchio titolo di conte di Famagosta. Io lo trasmetto a te e ai tuoi figli.” Mia figlia è perplessa, ma leggo nei suoi occhi l’ambizione di sua nonna Eleonora. “È solo un titolo formale?” “Stavolta no! A Famagosta c’è una fortezza importante. Tu e tuo marito dovrete abitare a Cipro. Michele sarà contento. Sarà un buon conte, se avrà vicino una contessa come te.” A Roxanne l’idea non dispiace, ma capisce il sottinteso delle mie parole. “Tu non vieni con noi, papà?” “No, io sono troppo vecchio per viaggiare, e poi ho sempre il mio lavoro in ospedale.” Mia figlia protesta, ma so bene che partirà. Roxanne, la mia ultima rosa, se ne andrà, e io rimarrò solo con i miei ricordi. È meglio così. Perfino l’imperatore sa che la pace in Terrasanta non durerà a lungo. I saraceni riprenderanno Gerusalemme e forse conquisteranno anche San Giovanni d’Acri. A Famagosta mia figlia e i miei nipoti saranno al sicuro. Forse, un giorno, i turchi conquisteranno anche Cipro, ma non in questo secolo. Vado a coricarmi presto. Mi sento molto stanco… ***
Sono in piedi davanti all’altare. Indosso un ricco abito da cerimonia, lo stesso vestito sgargiante che avevo, quando ho ricevuto il mio primo titolo nobiliare. Nella chiesa vedo tanti vecchi amici: Rugi con Irene, Giordano con Caterina, Robin con Marianna… C’è anche Costanza. Lei è da sola. Il marito non è stato invitato! Nel primo banco ci sono mio padre, mia madre, e la madre della sposa: Eleonora d’Aquitania. Ecco che arriva Giovanna, accompagnata dal fratello, Riccardo Cuor di Leone. La sposa è bellissima nel suo abito rosa, con un lungo strascico. Si siede accanto a me, e poggia sul banco un vangelo, riccamente illustrato, che ben conosco. Entra il celebrante: un frate con una tonaca bianca, e un’aureola sulla testa. È Francesco, o meglio, San Francesco. Francesco mi fa mettere la mano destra sul vangelo. Sento la mia voce che dice: Il tuo vangelo cara, sempre lo porto in seno, Su questo libro giuroti che mai ti verrò meno. Celi prende Giovanna, per legittima sposa Finalmente sei mia, aulentissima rosa! Giovanna mi risponde anche lei in versi: Celi, tu mi giurasti, e io tutta quanta incenno. Sono alla tua presenza, da te non mi difenno. Giovanna prende Celi in tutta libertà. Ti voglio come sposo da qui all’eternità! Francesco sfodera il più bello dei suoi sorrisi, e ci benedice: Davanti a Cielo e Terra congiungo il vostro amore. Laudate e ringraziate! Sii laudato, oh Signore! L’organo suona una musica celestiale. Un coro d’angeli comincia a cantare. Riconosco i versi di Francesco: Laudato si’, oh mio Signore!
Laudato si’, oh mio Signore! Dove sono adesso? Forse sono a San Giovanni d’Acri, nel mio letto. Sto facendo un bellissimo sogno da cui forse non mi risveglierò più. O forse sono in un luogo al di là dello spazio e del tempo, da cui, chissà come, ho raccontato la mia storia ad uno scrittore del XXI secolo, che l’ha trasformata in un romanzo. Forse sono in Cielo. Cielo d’Alcamo
Appendice Finzione e realtà
Gli avvenimenti di questo romanzo sono immaginari, ma coinvolgono molti personaggi storici (qui indicati in grassetto). L’Autore ritiene utile qualche chiarimento: Cielo d’Alcamo è il poeta siciliano autore del “Contrasto”, indicato in tutte le antologie italiane come primo esempio di poesia in “volgare”. Da questa poesia sono stati tratti i versi che si scambiano Celi e Giovanna. L’Autore si è permesso di modificarli per adattarli alla trama del romanzo, e per renderli più comprensibili al lettore del XXI secolo. Del poeta “Cielo d’Alcamo” non sappiamo nulla, neanche il suo vero nome. Forse Cielo viene da Celi e Michele, ma questa è solo una delle tante ipotesi. Riccardo Cuor di Leone è un personaggio storico passato alla leggenda. Nella realtà Riccardo era un valoroso soldato, ma un re avido e senza scrupoli, come in questo romanzo. Morì nel 1199, combattendo contro il re di Francia. Per quanto riguarda la sua vita privata, Riccardo ha confessato pubblicamente di aver “peccato di sodomia”. Il suo matrimonio con Berengaria di Navarra è stato solo una formalità. Berengaria è passata alla storia come l’unica regina d’Inghilterra che non è mai stata in Inghilterra. Giovanna d’Inghilterra era la sorella preferita di Riccardo Cuor di Leone. Giovanna è stata effettivamente regina di Sicilia, poi “fidanzata” al fratello del Saladino, e infine sposata al Conte di Tolosa. In seguito lasciò il marito, e si rinchiuse in un convento. Morì, nel 1199, a 33 anni, dopo aver dato alla luce un figlio, morto poco dopo. La sua storia d’amore con Celi, naturalmente, è un’invenzione dell’Autore. Filippo II di Francia fu prima amico di Riccardo Cuor di Leone, e poi suo acerrimo nemico. Morì nel 1223, dopo avere tolto ai re d’Inghilterra la maggior parte dei loro territori in Francia.
Robin Hood è una figura leggendaria. Forse le leggende più antiche sono ispirate ad un personaggio realmente vissuto, ma è impossibile fare ipotesi attendibili. Tancredi di Sicilia fu nominato re, dalla fazione antigermanica dei nobili siciliani, nel 1189. Sposò Sibilla d’Acerra, e morì nel 1194, forse di morte naturale, poco dopo il figlio Ruggero III. Ruggero III di Sicilia (Rugi) fu associato al trono dal padre Tancredi. Sposò la principessa Irene Comnena nel 1192 e morì nel 1193, in circostanze poco chiare. L’ipotesi che è stato avvelenato, come in questo romanzo, è molto verosimile. Guglielmo III di Sicilia, fu re solo negli ultimi mesi del 1194, dopo la morte del padre Tancredi. Secondo molti storici, l’imperatore Enrico VI lo fece accecare e mutilare, ma sono state fatte anche altre ipotesi. Alcuni nobili siciliani sostengono ancor oggi di essere i suoi discendenti. Costanza d’Altavilla non è mai stata suora, come creduto anche da Dante, ma è vissuta molti anni in un convento, prima di sposare l’imperatore Enrico VI. Costanza partorì il futuro imperatore Federico II sotto una tenda, a Jesi. Prima di morire affidò il figlio a papa Innocenzo III. Enrico VI, figlio dell’imperatore Federico Barbarossa, è osannato dagli storici tedeschi, ma in Italia ha ampiamente meritato il soprannome d’Enrico il Crudele. Morì molto giovane, di una strana indigestione, nel 1197. Molti sospettarono che fosse stato avvelenato dalla moglie Costanza. Filippo di Svevia, fratello d’Enrico VI, nel 1197 sposò Irene Comnena, e da lei ebbe quattro figlie. Il poeta tedesco Walther von der Vogelweide definì Irene "rosa senza spine”, “colomba senza inganno”. Dopo la morte del fratello, Filippo fu proclamato imperatore. Morì assassinato nel 1208. Innocenzo III, al secolo Lotario dei Conti di Segni, divenne papa, nel 1198. L’Autore ha immaginato che Costanza l’avesse conosciuto nel 1195, quando lui era ancora cardinale. Questa ipotesi non può essere né confermata, né smentita.
Guido da Lusignano, Corrado da Monferrato, Henri de Champagne, furono per breve tempo “re di Gerusalemme”. Guido da Lusignano fu deposto nel 1192. Corrado da Monferrato fu re solo per pochi giorni. Fu assassinato nel 1192, e molti accusarono della sua morte Riccardo Cuor di Leone. Henri de Champagne fu re dal 1192 al 1197. Morì cadendo “accidentalmente” da una finestra (almeno secondo la versione ufficiale!). Francesco d’Assisi, da giovane, sicuramente non fu un santo. Dell’ adolescenza di Francesco, e degli affari di suo padre, si sa ben poco, e l’Autore ha immaginato degli eventi che nessuno può confermare o smentire. Federico II è un personaggio storico che ha fatto molto discutere i suoi contemporanei, e gli storici dei secoli successivi. Alcuni lo considerano l’ultimo dei grandi imperatori “romano germanici”. Altri fanno notare che Federico II era italiano di nascita e cultura, e poteva essere un gran re d’Italia, se limitava le sue ambizioni al Sud. A questi ultimi l’Autore fa rispondere allo stesso Federico II, all’inizio del romanzo: nessuno si accontenta d’essere re, quando può diventare imperatore! In questo romanzo, accanto a re e principi, compaiono personaggi di pura invenzione come Caterina, Elena, Clotilde, Giordano (che ha il nome di una delle vittime d’Enrico il Crudele), e lo stesso Celi. Storia e fantasia sono talmente mescolate, che altre precisazioni rischierebbero di confondere il lettore. Qui basti dire che ogni riferimento a fatti veramente accaduti non è casuale: è volontario!
UN AIUTO A COLPI DI PENNA &
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