Maria Goretti: emergenza sanitaria (fantascienza), di Luca Barezzi

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"MARIA GORETTI: EMERGENZA SANITARIA" di Luca Barezzi

Titolo: MARIA GORETTI: EMERGENZA SANITARIA Autore: Luca Barezzi Genere: Fantascienza Editore: Zerounoundici Edizioni Collana: Guest Book Pagine: 252 Prezzo: 14,90 euro Acquista su Il Giralibro (-15%) Acquista su IBS

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LUCA BAREZZI

Nave Spaziale Militare Maria Goretti Episodio I:

EMERGENZA SANITARIA

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EMERGENZA SANITARIA 2008 Zerounoundici Edizioni Copyright © 2008 Zerounoundici Edizioni Copyright © 2008 Luca Barezzi ISBN 978-88-6307-176-4 In copertina: immagine Shutterstock.com

Finito di stampare nel mese di Marzo 2009 da Meloprint – Il Melograno Cassina Nuova - Milano


A Filomena e Irene Morgana che mi hanno riempito la vita.



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Data: 06 agosto 2196. Messaggio numero: 1842/81 - 0615 cod. 4/EM Da :ITalian Joint Force Head Quarter (IT-JFHQ) - Stazione Orbitante “Ares” - Orbita geostazionaria Marte A: Comando Operativo di Vertice Interforze (COI) - ROMA – TERRA Oggetto: Emergenza Sanitaria

Conseguentemente ad un allarmante ed improvviso incremento di ricoveri ospedalieri tra i nostri effettivi abbiamo provveduto a stilare una accurata statistica delle diagnosi effettuate (all.1). Da tale studio scaturisce un anomala manifestazione di patologie veneree, nella fattispecie Gonorrea e Sifilide riguardanti sia il personale di sesso maschile che di sesso femminile. Nella situazione attuale il nostro contingente trova ad operare con una forza pari al 70% degli effettivi, con inevitabili gravi ripercussioni sull’efficienza della missione, per non parlare delle gravissime difficoltà, verificatesi a causa dell’enorme numero di ricoveri all’interno dell’ospedale della base, ormai vicino al collasso. Inoltre essendo tali patologie già da decenni debellate ci troviamo impreparati nell’affrontare la situazione, sia dal punto di vista specialistico che terapeutico essendo l’ospedale completamente sfornito di medicinali adeguati. Un rapporto dell’ufficiale medico, capitano Giuseppe Gandolfi (all. 2) informa che se non si interviene più che tempestivamente l’intero contingente sarà spazzato via dalla malattia nel giro di 1, massimo 2 mesi nella più ottimistica delle previsioni. Vista la delicatezza della situazione finora abbiamo provveduto a tenere, per quanto possibile, riservata la cosa, ma fra breve mi vedrò costretto a chiedere aiuto al contingente americano, meglio e maggiormente fornito di mezzi e medicinali.


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Tutto il personale sembra essere in preda a fortissimi stimoli sessuali ed incapace di trattenersi dall’avere rapporti. Vista la particolare intensità di tali stimoli, del tutto anomali, sospettiamo una sorta di attacco terroristico di nuovo tipo ed alquanto originale per modalità ed efficacia. Nei sei (6) casi di decessi già verificatisi lo staff medico ha riscontrato, dalle autopsie (all. 3) un livello estremamente alto di Testosterone nei maschi (4) ed un altrettanto elevato livello di ferormoni nelle femmine (2). Crediamo inoltre che le due patologie siano state trasmesse all’esterno della base, ma in che modo, tutt’ora lo ignoriamo. Richiedo pertanto istruzioni ed il vostro consenso a rivolgermi al personale medico americano e vi invito, altresì, a spedire al più presto i seguenti medicinali (all. 4 spectinomicina e penicilina) e “altri mezzi” utili per contrastare l’epidemia. Ufficiale Medico Colonnello Guido Ponzi

^ Aeroporto Militare “Francesco Baracca”. Sede Comando Operativo di vertice Interforze (COI) – Centocelle Roma - centro comunicazioni e informatica. 07 agosto 2196 – 02:29. Il tenente Federico Schiaretti, supervisore alle comunicazioni del quartier generale del COI era stanco, anzi molto stanco. Era entrato in servizio al centro comunicazioni del COI alle dieci di sera, dopo essere stato tutto il giorno sui campi da tennis con la sua ultima fiamma, una bellissima svedese in vacanza in Italia. Aveva giocato come un matto tutto il pomeriggio, non risparmiando nulla per non sfigurare contro quella bionda estremamente in forma e letteralmente una furia con la racchetta in mano, finendo comunque per perdere due partite su tre. Tuttavia dopo una cena anticipata, per via del fatto che doveva prendere servizio, aveva avuto il suo premio di consolazione nella camera d’albergo


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della ragazza, uscito dalla quale, sempre per non sfigurare, si reggeva a malapena in piedi. Una furia anche senza la racchetta in mano. Era in questo stato che alle 22:00 aveva preso servizio, infilandosi immediatamente nel suo ufficio all’ultimo piano dell’edificio sito all’interno dell’aeroporto di Centocelle, chiudendosi la porta alle spalle. Appoggiò la testa allo schienale della sedia e nel giro di qualche secondo cadde nel torpore più assoluto. Pochi istanti dopo il sogno che stava facendo prometteva grandi cose. Si trovava ancora nella camera d’albergo, coricato sul letto con lei, le sue mani armeggiavano col reggiseno quando alla porta della camera qualcuno cominciò a bussare. Era troppo eccitato per dar ascolto ad un qualche stupido cameriere del servizio in camera. Le cose procedevano alla grande, era arrivato alle mutandine che stavano scivolando languidamente, sulla pelle come seta, della svedese. Tuttavia il bussare non cessava, dapprima era un battere discreto, ma che col progredire dei suoi successi pareva crescere di intensità fino a raggiungere, al momento culminante, un frastuono assordante. Si svegliò di soprassalto ritrovandosi nel suo piccolo ufficio senza finestre, ben lontano dalla lussuosa stanza d’albergo a cinque stelle in cui aveva passato il pomeriggio. L’unica cosa reale era il bussare insistente alla sua porta. Cercò di riprendere contatto con la realtà il più rapidamente possibile, dandosi anche una sistemata e togliendo di scatto i piedi dalla scrivania Buttò un’occhiata all’orologio appeso sopra la porta in cui i numeri luminosi asserivano che erano le 02:32 del 07 agosto 2196. “Avanti!” disse dopo aver cercato di assumere un contegno quantomeno passabile per un ufficiale. La porta si aprì lasciando entrare il sergente Artusi capo sala radio. Il sergente aveva una video cartelletta in mano, fece il saluto senza pronunciare una sola parola, e la consegnò al suo superiore. “Grazie sergente” disse mentre il sottufficiale aveva già salutato e imboccato la via verso la sala radio. Sottufficiali.. pensò, scuotendo la testa mentre dava una rapida scorsa al messaggio, ma immediatamente la sua attenzione fu interamente assorbita dalle parole che vi erano contenute.


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Finito di leggere mise la cartelletta sulla scrivania e si appoggiò contro lo schienale della sedia congiungendo i polpastrelli delle dita, una posizione che assumeva sempre quando doveva riflettere attentamente. Doveva prendere una decisione. Il messaggio era evidentemente urgente, ma la trafila burocratica prevedeva in ogni caso che, nonostante il codice di emergenza del messaggio fosse elevato, questo avrebbe dovuto comunque passare sulla scrivania del suo diretto superiore. Il fatto era, che di superiori presenti non ce n’era nemmeno uno, era lui l’ufficiale più alto in grado presente in quel momento. Rimase assorto un paio di minuti, poi inviò in copia il messaggio al terminale del suo superiore che lo avrebbe visto la mattina successiva, e una copia direttamente all’ufficio del capo di stato maggiore del COI. Si appoggiò allo schienale della sua sedia e richiuse gli occhi sperando di aver fatto la cosa giusta. Provò per un istante ad immaginare le implicazioni di quel messaggio. Non ci riuscì, erano troppo enormi per essere contemplate da un semplice tenente, appoggiò nuovamente i piedi sulla scrivania e sperò che la svedese tornasse a fare capolino nei suoi sogni.

^ Aeroporto Militare “Francesco Baracca”. Sede Comando Operativo di vertice Interforze (COI) – Centocelle Roma – Uffici Quartier Generale. 07 agosto 2196 – 08:06. La prima cosa che il sergente maggiore Adriana Fochetti vide quando accese il suo terminale fu il lampeggiare del riquadro relativo ai messaggi in arrivo. “34 nuovi messaggi” diceva la scritta lampeggiante, decisamente troppi, diceva la sua mente, senza bisogno di lampeggiare. La “signora Adriana” come veniva chiamata dai suoi colleghi maschi, rimase a fissare per qualche istante il monitor olografico sulla scrivania. La sera prima aveva fatto veramente tardi, era stata al cinema con delle sue amiche e poi in giro nei locali per singles della città, dove nonostante i suoi sforzi non aveva concluso nulla.


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L’acidità del suo umore quella mattina, era paragonabile a quella latte del cagliato. Gettò un’occhiata all’orologio affisso sulla parete dell'ufficio, le 08:09. Troppo presto per iniziare a lavorare, decisamente troppo presto per qualunque cosa. Si avviò quindi verso la sala ristoro dove un buon caffè, avrebbe potuto essere di grande aiuto per dare un senso a quella giornata iniziata già male. Tornata alla sua scrivania, dopo un paio di caffè, che non avevano per niente raddrizzato il suo umore, il monitor le diceva che i messaggi erano diventati quarantuno. Nessuna pietà, baby. Si sedette sbuffando indispettita, era agosto e la maggior parte del personale era in licenza in qualche bel posto, magari a godersi il relax su di una qualche spiaggia. Era sola in ufficio; lei le ferie le aveva già fatte in luglio e adesso avrebbe dovuto aspettare fino a Natale per staccare un po’ dal lavoro. Ad ogni istante che passava ad osservare lo schermo, si sentiva sempre più nervosa e in collera con il resto del mondo. Per Dio era anche venerdì! Non aveva nessuna voglia di lavorare, soprattutto di sobbarcarsi anche il lavoro dei colleghi assenti. Rimase seduta qualche minuto ad osservare la proiezione olografica che ora indicava quarantadue messaggi, che avrebbe dovuto leggere e smistare, un lavoro che avrebbe richiesto una forte dose di concentrazione e un mucchio di tempo. Improvvisamente fu sicura che le stava per venire un forte mal di testa, mentre un senso di nausea già le attanagliava lo stomaco. Subito dopo pensò che non era in grado di lavorare. Si rivolse al piccolo microfono dell'apparecchio per le comunicazioni incorporato alla sua scrivania. “Ufficio Personale” disse scandendo le parole a beneficio dell’orecchio elettronico che smistava le chiamate. Dopo qualche istante una voce rispose al suo auricolare. “Ufficio personale, Guardiamarina Ferretti” disse la voce, mentre sul monitor appariva il volto del guardiamarina. Una faccia conosciuta e amica per fortuna. “Ciao Claudio, sono Adriana” “Hey Adriana, come va?” Claudio era un vecchio amico, cercò per qualche istante di ricordare se ci era stata a letto; forse si. “Non troppo bene, mi sento un po’ male e vorrei andarmene a casa” “Hai già avvisato il tuo capo?”


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“Non c’è, sono tutti in ferie e il mio capo non rientrerà prima di lunedì” “Beh se non stai bene…” “Il fatto è che non c’è nessuno. Se me ne vado credi che ci saranno dei problemi?” disse cercando di darsi un tono di professionale preoccupazione per il lavoro. “Ma quali problemi carissima! Praticamente non c’è nessuno neanche qui, sono tutti in licenza” Bene. La conversazione stava prendendo proprio la piega che sperava, la prossima affermazione di Claudio avrebbe potuto risolvere la sua giornata. “Senti Adriana, se proprio non stai bene vai pure. Tanto non credo che in questi giorni ci sia una particolare mole di lavoro, più di metà del personale è in licenza, e poi lì al COI mi pare che ci sia sempre qualcuno in caso di emergenza, vero?” “Beh sì…” aveva già un piede fuori della porta. “Allora vai a casa e riposati, in fondo non siamo né ammiragli né generali. Credo che le forze armate possano sopravvivere una giornata senza un sergente maggiore, vero?” “Beh… penso di si…” “Bene allora. Ti sta arrivando il permesso di uscita, ciao Adriana e curati” “Ciao Claudio, grazie, e vediamoci qualche volta” disse civettando un po’ “Sicuro, ciao” Raccolse le sue cose ficcandole velocemente nella borsa, quasi avesse paura di un ripensamento. Nella fretta non si accorse che uno dei messaggi arrivati durante la notte era indirizzato all’attenzione del capo di stato maggiore del COI e classificato come urgentissimo e prioritario. Tre minuti dopo Adriana era già fuori da Centocelle diretta al Lido di Ostia. Il mal di testa, fortunatamente, non si era fatto sentire e non le avrebbe rovinato la giornata.

^ CINCNAV comprensorio di S. Rosa – Roma. 16 agosto 2196 – 09:33. In una piccola sala riunioni posta all’interno di un edificio presso la sede del Comandante in Capo della Squadra Navale, erano seduti cinque uomini.


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Quattro erano in silenzio immersi nella lettura di una video cartella, che un assistente aveva fatto trovare sul tavolo al momento del loro arrivo, e che per essere attivata richiedeva il codice personale delle quattro persone sedute intorno al grande tavolo da riunioni. I dati erano contenuti in una directory criptata il cui nome era seguito dal codice: A01.01 Riservato. Un quinto uomo stava seduto a capotavola sorseggiando un caffè bollente, mentre aspettava che gli altri quattro finissero di leggere. Lui era già a conoscenza del contenuto del rapporto riservato che gli altri stavano leggendo in quel momento, e che era giunto sulla sua scrivania con dieci giorni, dieci preziosissimi giorni, di ritardo. Era stata una delle letture più agghiaccianti che avesse mai fatto. Ora aspettava che le parole che vi erano scritte, facessero lo stesso effetto agli uomini seduti con lui intorno a quel tavolo. Erano tutti alti ufficiali delle Forze Armate e membri dello stato maggiore del COI, alla sua sinistra c’era il generale Achille Soncini responsabile del personale militare impegnato nelle missioni internazionali, di fronte a lui, dall’altra parte del tavolo, c’era il colonnello Cesare Panno, responsabile del centro comunicazioni interforze, il capitano di vascello Giovanni Mancina responsabile politico della Marina e infine alla sua destra il capitano di vascello Roberto Sassi capo del reparto intelligence della Marina. Era da quest’ultimo l'uomo a capotavola, cioè il comandante in Capo dello Stato Maggiore del COI, ammiraglio di Squadra Paolo Capace, si aspettava delle risposte,. “Per la miseria!” esclamò Panno, una volta finito di leggere e posando la cartelletta sul tavolo “Già” disse laconico il Capo di Stato Maggiore. Una per volta le cartellette vennero posate sul tavolo, senza che nessuno osasse proferire parola, tutti avevano lo sguardo preoccupato e l’aria molto allarmata. Sassi era sbiancato come un cadavere, intuiva a chi sarebbe caduta addosso, se non tutta almeno la maggior parte di responsabilità di quella faccenda, posò piano la cartelletta evitando di incrociare lo sguardo di chiunque attorno a quel tavolo. Capace attese ancora qualche istante, indugiando sui volti di quei quattro alti ufficiali, poi prese la parola. “Bene signori, ora siete al corrente della situazione. Come ci dobbiamo muovere?”


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“Mi domando come sia stato possibile venirne a conoscenza così tardi?” disse Soncini. “Bè la comunicazione è arrivata il sette agosto e un tenente…” disse Panno cercando tra i suoi appunti il nome dell’ufficiale “… tenente… Schiaretti, ha inoltrato la comunicazione direttamente al quartier generale del COI, quindi per noi l'informazione era già stata inoltrata a chi di dovere” disse mettendosi così al sicuro da eventuali critiche il suo dipartimento. “Mi domando che fine abbia fatto una volta arrivato lì” intervenne Mancina. La responsabilità di quel casino era a questo punto di altri, e Panno si appoggiò sereno allo schienale della poltrona. “Beh, qui posso rispondere io” intervenne Capace “un sergente maggiore ha pensato bene, dandosi malata, di andare al lido di Ostia piuttosto che passare un bel venerdì di sole in ufficio. Poi, avendo prolungato la malattia per un’altra settimana, e non avendo passato le consegne al suo sostituto, la comunicazione è rispuntata solo al rientro del suddetto sergente maggiore.” Intorno al tavolo si sentirono dei fischi tra i denti. “Inutile dire che tale sergente, è ora in viaggio verso Tritone, la luna di Nettuno dove l'ISAC-CNR ha una base di osservazione atmosferica del pianeta” Tutti annuirono, non c’era nessuno che non pensasse che quello fosse il minimo che potesse capitare a quel disgraziato sottufficiale, già il fatto che avesse evitato la corte marziale aveva del miracoloso. “Comunque non è di questo che dobbiamo discutere. Il COI passerà alla marina la patata bollente e ora, noi, dobbiamo decidere come muoverci e quali ordini emanare. Il capo di stato maggiore della marina è stato informato, ed abbiamo la sua totale collaborazione” Fece una pausa lasciando scorrere lo sguardo lungo il tavolo, valutando l’umore e la reattività dei suoi collaboratori. “Primo: come è stato possibile che si sia verificato un tale disastro senza che ne venissimo a conoscenza? Roberto?” disse poi rivolgendosi al capo del servizio informazioni. Sassi non rispose subito, prese tempo consultando qualche scarabocchio che cercava di far passare per appunti, sapeva che la sua carriera era appesa ad un filo. “Non abbiamo avuto nessun rapporto dai nostri agenti sul posto. Nulla che facesse presagire un attacco terroristico, soprattutto di questo genere. Mi stupisce che non sia stato portato contro gli americani. Comunque un attacco di questo tipo è del tutto nuovo nel suo genere. Gli unici rapporti che abbiamo avuto riguardavano i soliti informatori della polizia che segnalavano un incremento dei nostri soldati nei bordelli, ma vista la lunga


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durata della missione abbiamo ritenuto il fatto come fisiologico. Ripeto nessuna segnalazione che facesse presagire ad un attacco terroristico tanto meno di questo tipo.” Disse tutto d’un fiato. “Forse avete guardato nella direzione sbagliata.” commentò Capace. “Achille” disse poi rivolgendosi al capo del personale, il quale si rizzò di scatto sulla poltrona “Non abbiamo forse fatto circolare una comunicazione ufficiale, in cui si proibivano al personale militare tali frequentazioni? Come mai un ordine scritto è stato bellamente ignorato in modo così plateale? Come mai gli ufficiali in loco hanno permesso che i loro uomini trasgredissero a tali disposizioni scritte?” “Sono uomini…” rispose cauto Soncini, come se quella semplice affermazione spiegasse tutto. “…e donne” interloquì Mancina In quel momento la porta si aprì, lasciando entrare un altro ufficiale, era il contrammiraglio Franco Cunetto capo dei servizi sanitari della Marina, e convocato a quella riunione su ordine specifico del Capo di Stato Maggiore del COI. “Ciao Franco, siediti e aggiornati” disse Capace, indicando al nuovo arrivato una poltrona vuota, di fronte alla quale, era posata un’altra video cartella ancora spenta. Poi rivolto agli altri ufficiali presentò il nuovo arrivato. “Il contrammiraglio Cunetto è il responsabile dei servizi sanitari della marina. Sarà sua la responsabilità di contenere e neutralizzare gli effetti di questo attacco” Cunetto si sedette, e dopo aver risposto ai cenni di saluto, attivò la cartelletta e si mise a leggere, mentre gli altri restarono in silenzio aspettando che finisse. “Accidenti, sembra una cosa seria” esclamò conclusa la lettura del rapporto. “Seria è un eufemismo” convenne Capace. “Sono state fatte delle analisi approfondite? E i campioni sono arrivati? Bisogna scoprire se si tratta di infezioni ordinarie e modificate geneticamente. Posso avere i dati?” “Non ancora Franco, sono in viaggio dalla Luna verso l’ascensore spaziale e il suo prossimo viaggio è in programma per mercoledì, cioè dopodomani” “Non si può accelerare la cosa? Qui la rapidità mi sembra essenziale” “Hai perfettamente ragione…” disse Capace che aveva una grande stima dell’ufficiale medico. Venuto dalla gavetta come lui, e che come lui si era fatto le ossa sui vari campi di battaglia delle missioni di pace “Ma non si possono modificare i viaggi degli ascensori, purtroppo. Tuttavia questo ci


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lascia due giorni per prepararci e buttare giù un piano efficace. Quindi signori, idee?” Ognuno degli ufficiali convocati guardò altrove nella speranza che fosse qualcun altro ad iniziare a parlare. In quella situazione tutti avevano una gran paura di dire stupidaggini di fronte al capo di stato maggiore e di compromettere così la propria carriera. Un silenzio imbarazzante calò nella piccola saletta. Fu Cunetto a risolvere la situazione. Come del resto Capace si aspettava. Il responsabile medico era l’unico, oltre a lui in quella sala, a non aver raggiunto il proprio grado per meriti politici. “Bè, non vorrei dire una cazzata, ma allo stato attuale delle cose senza avere nessun dato su cui lavorare io farei tre cose: Primo. Invierei comunque al responsabile medico, il colonnello Ponzi, una grande quantità di spectinomicina e penicillina; secondo. Invierei una altrettanto grande quantità di preservativi, è l’unico modo sicuro per evitare le malattie sessuali, e che mi sembra chiaro siano gli “altri mezzi” a cui si riferisce il colonnello nel suo messaggio; terzo. Inizierei una quarantena della base con divieto assoluto al nostro personale di lasciarla e a chiunque altro di entrare” Il terzo punto ebbe l’effetto di far sussultare tutti attorno al tavolo. “Il terzo punto è difficile da mettere in atto Franco, abbiamo missioni da adempiere nell’ambito della forza multinazionale” disse Capace “Risolvete il problema dicendo quello che ci è successo e che qualcuno ci sostituisca. Sia gli americani che gli inglesi hanno un mucchio di personale, credo che ce la possano fare a adempiere temporaneamente anche alle nostre missioni, che se non sbaglio sono di semplice pattugliamento” “E’ inaccettabile sul piano politico” intervenne Mancina “La cosa ci coprirebbe di ridicolo, per non parlare poi delle nostre rinnovate e fragili, per quanto amichevoli, relazioni con il Vaticano. Il governo si appresta a varare leggi sulla moralità che soddisfino le frange moderate di centro e di destra e non possiamo certo far sapere che i nostri soldati, che abbiamo lodato sperticatamente come eroi della pace e della morale, passano invece il tempo ad inzuppare il biscotto negli orifizi delle prostitute di Marte; e le donne del nostro personale, mogli, fidanzate, figlie, si fanno poi scopare da quegli stessi uomini. Come se lo scopo della nostra missione fosse un’orgia planetaria. No, la cosa deve rimanere riservatissima. La quarantena non è un’opzione, almeno non dal punto di vista politico. Sarebbe un suicidio e il governo non l’approverebbe mai” Sassi intanto taceva, sprofondando sempre di più nella poltrona. Parodia visiva della sua carriera.


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“Inoltre” continuò Mancina “Per quanto riguarda il secondo punto… sappiamo tutti che i preservativi, come mezzo anticoncezionale non sono visti di buon occhio dalla Santa Sede, quindi la distribuzione di tali contraccettivi è fortemente scoraggiata dal governo” “Sempre nell’ambito delle amichevoli relazione col Vaticano, vero?” lo interruppe Cunetto. “Esattamente, come gesto di buona volontà del governo nei confronti dei dettami della chiesa, quindi, come dicevo, anche questa non è una strada percorribile. Non si possono distribuire profilattici alle nostre forze come per dire: Ecco andate pure a scopare quanto volete. Cosa ne penserebbe l’opinione pubblica?” “E soprattutto il Vaticano” intervenne ancora una volta Cunetto. Mancina non rispose. “Sassi. Cosa si propone di fare il servizio informazioni?” intervenne Capace. Sassi era un fervente sostenitore dello schieramento politico attualmente al governo, ed era arrivato al suo posto di capo dei servizi informazione grazie all’intervento diretto di un senatore della maggioranza. Prima di assurgere a quel ruolo, lavorava come capo magazziniere all’arsenale di La Spezia; ora era gli occhi e le orecchie del governo, al quale si sospettava, riferiva costantemente. Il capo degli 007 delle forze armate parve riscuotersi da un profondo torpore, si guardò intorno smarrito e si schiarì la voce cercando di guadagnare tempo per riorganizzare i pensieri. “Allora… per prima cosa, adesso che sappiamo che si tratta di un attacco terroristico…” “Sospettiamo, non sappiamo” lo corresse Mancina, sempre attento alle sfumature. “Si… sospettiamo… dunque dicevo… per prima cosa indagheremo negli ambienti noti del terrorismo locale e… hem… poi… una volta in possesso di dati più precisi e dettagliati metteremo in atto una contromossa tesa ad eliminare definitivamente i fautori di questo vile attacco ai nostri uomini, che sono su quel pianeta in missione di pace e a difesa della democrazia dell’intero Sistema Solare, e che così vilmente sono stati fatti bersaglio… di… di un così vile gesto, che sicuramente porterà dei ritardi nel progresso sia economico che sociale delle popolazioni di Marte, il cui benessere sta estremamente a cuore al nostro governo, fortemente avverso alla tirannia imposta dai locali signori della guerra che…”


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“Bene Sassi” lo interruppe Capace che sentiva la colazione risalirgli lungo l’esofago. “Bene… si metta subito all’opera per porre in atto le sue iniziative di controspionaggio e mi tenga aggiornato. Può andare” Un sollevato e sudatissimo Capo del Servizio Informazioni, dopo aver fatto il saluto, lasciò la sala con un passo che rasentava la corsa. Nessuno fece commenti, non davanti al consigliere politico, messo all’interno di quella ristretta cerchia di ufficiali dallo stesso governo che aveva messo uno come Sassi a capo del Servizio Informazioni. “Bene, allora abbiamo deciso che una quarantena è impraticabile cosa ci resta? Mancina a lei lascio la gestione politica della faccenda. Gestisca la cosa a sua discrezione, tenendomi però costantemente informato delle misure che intende adottare. Panno, apra un canale riservato con l’ospedale del Colonnello Ponzi e lo avverta che le cose si stanno muovendo il più celermente possibile. Inoltre filtri tutte le comunicazioni da e per Marte, in modo da non far trapelare nulla. Soncini, lei emetta un comunicato riservato agli ufficiali nel quale si fa divieto assoluto di parlare della cosa, sperando che i media non siano già sulla notizia. Il nostro ritardo è stato spaventoso, ma per un qualche miracolo quegli avvoltoi non hanno fiutato ancora nulla. Anche se, temo, sia questione di poco.” “A gestire i media ci penserà il mio dipartimento, li dirotteremo su altre notizie” disse Mancina “Un’ultima cosa” continuò il manipolatore di notizie “Potrei essere, in linea di massima, d’accordo sull’invio di preservativi come suggerisce il contrammiraglio Cunetto, tuttavia a condizione che i contenitori destinati al loro trasporto siano il più anonimi possibile, e che comunque tale trasporto non risulti su nessun documento. In ogni caso dovrò consultarmi col rappresentante del ministero prima di dare l’assenso ad una tale iniziativa” “Per quale motivo?” chiese Cunetto “Bè, sapete tutti, come ho accennato prima, che il governo sta per varare nuove leggi sulla moralità in stretta collaborazione col Vaticano e il Santo Padre, e una di queste leggi prevede che tutti i sistemi contraccettivi indicati dalla Santa Sede siano dichiarati illegali” “Santo Dio!” esclamò il contrammiraglio “E quanto manca al ripristino della Santa Inquisizione?” “Non sia sarcastico Cunetto, queste sono cose che esulano dalla nostra competenza. Il governo agisce nell’interesse del paese anche se a volte è difficile da comprendere” “Diciamo che il governo agisce nell’interesse dei voti dei baciapile” incalzò Cunetto


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“Lei non è collaborativo Cunetto e questo non credo faccia bene alla sua…” “Carriera? Sa che mi importa! E’ sconcertante! Vietare i preservativi è aprire la strada ad ogni sorta di malattia venerea, ma cosa credete che la gente smetterà improvvisamente di scopare? Tanto vale chiedere che smetta di respirare. Voi siete pazzi. Pazzi!” “Adesso basta!” si intromise Capace facendo valere la propria autorità “Abbiamo una situazione da risolvere e queste chiacchere non portano a nulla. I preservativi verranno inviati in forma anonima e consegnati direttamente al Colonnello Ponzi che provvederà a distribuirli” “Se il ministero darà l’autorizzazione” puntualizzò Mancina “Se ci sarà l’autorizzazione, certo. E’ una via d’azione che soddisfa la politica?” Capace non gradiva per nulla quella conversazione, sebbene fosse totalmente d’accordo con l’ufficiale medico. “Assolutamente” rispose Mancina. “Bene signori, abbiamo un piano. Ognuno di voi sa cosa fare. Potete andare” l’espressione di Capace era determinata mentre congedava gli ufficiali, che in silenzio lasciarono la stanza diretti ai loro reparti per mettere in atto i provvedimenti decisi. Solo Cunetto e Mancina rimasero seduti ai loro posti. Una volta usciti Panno e Soncini, Cunetto mise gli altri due al corrente delle sue riflessioni. “Suggerisco, se la cosa non offende la Santa Sede del governo, di istituire un consultorio all’interno dell’ospedale militare, con tanti rapporti sessuali non è affatto da escludere una qualche gravidanza inaspettata” “Santo cielo! Anche questa!” Sbottò il capo di stato maggiore che non aveva pensato a implicazioni di quel tipo. “Le gravidanze dovranno essere tenute segrete come tutto il resto” incalzò il politico. “Bè, sarà difficile nascondere i pancioni, ma forse un miracolo farà si che non ci siano gravidanze… oppure il Governo imporrà degli aborti per i figli del peccato?” “Istituisca il consultorio e alle donne sposate o fidanzate di cui verrà accertata una gravidanza dovranno essere immediatamente rimpatriate e poste in licenza. Con un po’ di fortuna andranno immediatamente a letto con i loro fidanzati o mariti, e penseranno che le gravidanze in atto siano il frutto di quei rapporti regolari” disse Mancina ignorando il sarcasmo di Cunetto. “Bè, Franco, credo che di più non possiamo fare se non vogliamo veramente prendere in considerazione delle interruzioni di gravidanza di massa, cosa che preferirei caldamente evitare”


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“Assolutamente!” rincarò ancora Mancina “Tutto deve apparire il più normale possibile, aborti di massa sarebbero come minimo disastrosi per il governo” “Sempre per il bene del paese, giusto?” ironizzò Cunetto “Si ricordi che non c’è mai stato un governo così generoso con le forze armate come quello in carica. Grazie ad esso anche lei ha potuto beneficiare di nuove attrezzature e strutture, se non sbaglio” rispose stizzito il consigliere “Ah bè, allora… inchiniamoci ossequiosamente al governo e al suo denaro che ci compra tutti i nostri preziosi giocattoli… e il nostro buon senso” “Basta ora Franco! E dico sul serio” sbottò Capace. “D’accordo” cedette Cunetto “Istituiamo il consultorio e con la scusa di visite obbligatorie accerteremo le eventuali gravidanze. Dovremo comunque inviare sul posto almeno una mezza dozzina di ginecologi” “Bene Mancina, direi che la questione politica è risolta osservando il massimo riservo. E’ tutto, può andare se non ha altri suggerimenti da fornire” “Nessuno. Mi terrò in contatto con lei e, se necessario, vi farò sapere le mosse da intraprendere secondo l’ufficio politico con l’evolversi della situazione.” Disse alzandosi e facendo il saluto. “Grazie Capitano” lo congedò Capace ricambiando il saluto. “Che coglione leccaculo” disse Cunetto una volta che la porta si chiuse alle spalle del consulente politico. “Stronzo necessario purtroppo. Allora Franco che ne dici della situazione?” “Mah, senza altri dati è difficile dirlo, ma leggendo il rapporto direi che la situazione è grave e dobbiamo agire in fretta. Ci sono navi in partenza non appena possiamo avere l’ascensore?” “Ancora non lo so” “Inoltre devo avere qui i campioni al più presto per vedere cos’è che ha causato questa euforia sessuale e trovare il modo di neutralizzarla. Non ti nascondo che potrebbe diventare una bella rogna” “Non me lo dire…” Quando Cunetto si alzò non fece il saluto, i due uomini semplicemente si strinsero la mano, si conoscevano dai tempi dell’accademia e avevano visto insieme tutto quello che c’era da vedere nella vita in marina. Fino a quel giorno perlomeno.


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^ Quartier Generale della Marina (QUARTGENMARINA) Palazzo Marina – Roma. (Ufficio del Capo di Stato Maggiore) Roma. 16 agosto 2196 – 11:33 Paolo Capace, capo di stato maggiore della COI, era seduto alla sua scrivania, appoggiato allo schienale della lussuosa poltrona di vera pelle. Dopo che il Capo di Stato Maggiore della Difesa aveva assegnato il compito di far fronte a quell’emergenza alla marina, Capace aveva preso in prestito un ufficio presso il quartier generale della stessa per seguire più da vicino l’evolversi della situazione. Seduto sulla lussuosa poltrona, con le mani si massaggiava le tempie cercando di alleviare almeno in parte, il mal di testa che lo stava attanagliando da quando aveva ricevuto il messaggio del colonnello Ponzi. Purtroppo il massaggio non stava avendo il successo che avrebbe desiderato, quindi si rassegnò a prendere una delle pilloline che teneva nel cassetto della scrivania. Con amarezza notò che i contenitori di quei rimedi chimici, si svuotavano sempre più velocemente negli ultimi tempi. Sospirò prima di deglutire la pastiglia bianca senz’acqua. Nell’attesa che il fabbro che si era installato nella sua testa, smettesse di battere su di una immensa incudine, premette il pulsante che lo metteva in contatto con il suo nuovo segretario. La signora Adriana a quell’ora doveva essere già in viaggio per il Monte Bianco, dove era situata la piattaforma di carico dell’ascensore spaziale; prima tappa del suo lungo viaggio verso Tritone. All’altro capo del collegamento (nella stanza accanto) c’era un nuovo giovane sergente, ancora in preda al micidiale miscuglio di eccitazione e nervosismo per il nuovo incarico. “Comandi” rispose con voce stentorea. Capace fece un piccolo sforzo di memoria per ricordare il nome del giovane sottufficiale. “Pisano…” gli sovvenne “…mi metta in contatto con l’Ammiraglio di Squadra Colatelli per cortesia. Il più in fretta possibile, grazie” Meno di due minuti dopo il cicalino sulla sua scrivania fece sentire la sua voce. “L’ammiraglio di Squadra Colatelli, signore!” quasi urlò il sergente dando così nuove energie al fabbro. “Bene, me lo passi sullo schermo” Il volto a lui noto di Colatelli apparve sullo schermo olografico.


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Augusto Colatelli era il responsabile della squadra navale che aveva l’incarico della missione di peacekeeping su Marte, nonché responsabile della stazione orbitale Monte Bianco, alla quale era collegato l’ascensore spaziale. Ufficiale preparato e competente, l’ammiraglio era sempre piaciuto a Capace. “Signore?” disse Colatelli in attesa sullo schermo. “Ammiraglio, ho bisogno di sapere quali navi da carico potranno essere a disposizione presso la piattaforma geostazionaria Monte Bianco per la risalita dell’ascensore di venerdì prossimo” “Abbiamo solo una nave che potrà essere alla piattaforma per venerdì…” disse Colatelli consultano uno schermo della sua scrivania “…la Maria Goretti una nave da carico classe Gorgona” “La Maria Goretti?” chiese Capace facendo uno sforzo di memoria “Ma non doveva essere messa in disarmo già cinque o sei anni fa?” “Dieci anni fa in effetti” puntualizzò Colatelli “Tuttavia con i tagli al bilancio di quel periodo si è preferito tenerla in servizio, in quanto non avrebbe potuto essere sostituita. E’ stata comunque ristrutturata e dotata di alcuni sistemi elettronici un po’ più recenti di quelli che aveva in dotazione” “Non abbiamo altre navi a disposizione?” “No signore né da carico né da guerra. L’unica è la Pietro Micca, ma è in cantiere per lavori di ammodernamento e non potrà muoversi per almeno un decina di giorni” “D’accordo, chi è il comandante della Goretti?” “Il Tenente di Vascello Fiore, signore” Quel nome non gli diceva nulla. “Bene Ammiraglio, dia ordine alla Maria Goretti di dirigersi alla Piattaforma Monte Bianco dove dovrà prendere a bordo un carico speciale. Le invierò tutti i dettagli della missione sul canale protetto. La missione è classificata A01.01. E’ tutto Ammiraglio, buona giornata” “A lei, signore” Capace chiuse la comunicazione e pensò alla Maria Goretti. Conosceva quella nave di fama e non poté fare a meno di sentire un brivido corrergli lungo la schiena. Il fatto che una missione così delicata fosse affidata a quella nave non lo rassicurava affatto. La Maria Goretti, infatti, avrebbe dovuto essere messa in disarmo e demolita parecchi anni prima, era la nave più vecchia e malandata della flotta ed era un miracolo che non seminasse pezzi nello spazio; e una sfortuna


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eccezionale che fosse l’unica nave a disposizione per la piattaforma di carico. Che Dio ci aiuti pensò cupo. Per un attimo accarezzò il pensiero del pensionamento, aveva una bella casa sulla costa ligure dove avrebbe potuto ritirarsi con la moglie. I figli erano sistemati, uno era ingegnere aerospaziale e lavorava a Nuova Napoli sulla Luna, mentre la figlia aveva intrapreso la carriera militare ed era imbarcata su di un bel vascello da guerra di base su Europa, una delle lune di Giove dove la Marina aveva un porto militare. Purtroppo quei pensieri bucolici furono nuovamente interrotti dal cicaleggio dell’interfono, mentre il fabbro nella sua testa, che pareva si fosse preso una pausa per il caffè, tornò al suo lavoro con rinnovato vigore. “Si?” disse aprendo la comunicazione. “Il Capitano di Vascello Mancina! Signore!” urlò il suo nuovo segretario. “Sergente, le assicuro che il microfono che ha davanti è abbastanza sensibile da captare la sua voce anche senza urlare, non vorrei che si preoccupasse di questo, e le assicuro che io, nonostante l’età, ci sento benissimo. Mi passi il Capitano Mancina, grazie.” “Sissignore” stavolta quasi un sussurro. Santo cielo! Pensò scuotendo la testa. Sullo schermo, stavolta apparve il volto del consulente politico. Che vorrà adesso questo rompicoglioni? “Capitano, parli pure” “Signore, ci sono ulteriori sviluppi non direttamente collegati al nostro problema, ma che purtroppo, temo andranno a complicarlo ulteriormente” Il fabbro nella sua testa adesso picchiava come una furia. “Cioè?” “Bè… ecco… nell’ambito delle rinforzate relazioni con la Santa Sede il Cardinal Pompini…” “Chi?!” “Hem… il Cardinal Pompini vice-segretario della CEI e presidente del Concilio della Moralità della Santa Sede” “Non pensavo esistesse una simile incarico in Vaticano” “E’ stato istituito dall’attuale Papa l’anno scorso. Comunque dicevo, il cardinal… il cardinale, ha espresso il desiderio di visitare le nostre truppe su Marte al fine portare il conforto della Santa Sede a quegli uomini e donne, che tanto si prodigano per il progresso della pace, della democrazia e del cattolicesimo nel nostro sistema solare, e vuole partire al più presto.”


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“Oh mio Dio! L’idea di tenere tutto sotto silenzio andrà a farsi benedire” disse, cogliendo con un parte della mente l’ironia di quello che aveva appena detto. “Gli dica che non ci sono navi disponibili per il momento” “Purtroppo non si può fare, il cardinale si è rivolto direttamente al Segretario generale della Difesa, il quale gli ha assicurato che almeno una nave è disponibile per il prossimo viaggio dell’ascensore spaziale, la… vediamo… ah ecco, la Maria Goretti, nome che anche suscitato l’entusiasmo del cardinale” “La Maria Goretti?! Oddio, ma è un incubo… “Di queste cose non sono informato, signore. Non rientrano nel mio settore di competenza” “Ha qualche idea capitano?” chiese l’ammiraglio prendendosi la testa tra le mani. Il fabbro era all’apice del sua prestazione, pareva che ora usasse martelli con entrambe le braccia. “Io manterrei comunque le cose come stanno, la Goretti, perché sarà questa nave ad occuparsi del trasporto, caricherà quello che deve caricare. Inoltre questo ci consente di dare un'ottima copertura alla missione di soccorso. In fondo il cardinale non è comunque tenuto a sapere la natura del carico delle nostre navi. L’unico punto fermo è che nemmeno l’equipaggio della Goretti dovrà sapere cosa trasporta. In questo modo eviteremo che qualche bocca larga tra loro si lasci sfuggire qualcosa, se non proprio col cardinale con qualcuno del suo seguito” “D’accordo capitano, si occupi della cosa. Organizzi la sistemazione del cardinale su quella nave. Colatelli, il comandante di Monte Bianco, sarà presto al corrente di almeno parte dell'operazione, quindi non credo che incontrerà alcuna difficoltà” “Mi scusi signore, ma non dovrebbe essere compito della logistica occuparsi di queste cose?” “Quante altre persone vuole coinvolgere nella faccenda Capitano? Se ne occupi lei e basta. Il contrammiraglio Cunetto provvederà a far pervenire il carico presso la piattaforma del Monte Bianco in tempo per il viaggio dell’ascensore, lei si occupi del cardinale e di tutta la politica inerente. Faccia in modo che il tenente Fiore, comandante della Goretti, possa predisporre lo spazio necessario ad ospitare il cardinale e il suo seguito, è tutto.” “Sì signore” finalmente la faccia sempre più odiosa del consulente politico scomparve dallo schermo. Capace si accasciò contro lo schienale della poltrona e chiamò il suo segretario.


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“Signore?” sussurrò. “Sergente, non voglio essere disturbato fino all’ora di pranzo prenda nota delle chiamate e dica che sono in riunione” “Sì signore” ma il collegamento era già stato chiuso e la luce sulla porta dell’ufficio del Capo di Stato Maggiore era diventata rossa. Divieto di entrare. Capace si era isolato dal mondo e dai suoi problemi.

^ Base Lunare “Nuova Napoli” emisfero meridionale della Luna Comprensorio alloggi personale “San Giacomo”. 17 agosto 2196 – 22:33 All’interno del piccolo alloggio alla periferia di Nuova Napoli, aleggiava un sottile strato di fumo azzurrognolo. Un odore leggermente acre permeava l’aria mischiato a quello di un economico diffusore spray per ambienti. L’unica luce, invece, proveniva da una piccola lampada su di un ripiano in un angolo che riempiva l’ambiente di un soffuso bagliore giallo, rendendo quel piccolo spazio molto intimo e accogliente. Il comandante Amedeo Fiore era sdraiato supino sul piccolo letto ad una piazza e mezzo, accanto a lui una ragazza dai capelli neri teneva languidamente la testa appoggiata al suo petto. Entrambi erano nudi e la rilassatezza conseguente al sesso, era accentuata dallo spinello che si passavano l’uno con l’altra. “Dove cazzo la trovi questa roba?” le chiese Amedeo continuando a guardare il soffitto, mentre dalle narici gli usciva un’ampia nuvoletta azzurrognola che si andò a unire a quella già presente sopra di loro. “Meglio che non te lo dica.” Rispose la ragazza prendendo lo spinello dalle sue mani e tirando anche lei una lunga boccata. “E’ la migliore che abbia mai fumato” “Ti credo, con quel che costa” Lei si girò sulla schiena, i seni sodi facevano puntare i capezzoli verso il soffitto. Non c’era traccia di chirurgia estetica sul suo corpo, rendendola per questo ancora più sensuale. Amedeo si girò e le prese un capezzolo tra le labbra.


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“Smettila” disse lei sottraendosi alle presa, rabbrividendo e ridacchiando per il solletico. Forse anche per qualcos’altro. Lui si alzò dal letto. “Devo andare a pisciare” Le disse prendendole lo spinello ormai quasi finito. Ne aspirò un’altra lunga boccata senza staccare gli occhi dal corpo di lei disteso nudo sul letto sfatto. Lei ricambiò lo sguardo ammiccando maliziosamente e allargò le gambe, mostrando il pube perfettamente depilato. “Fatti il bidet prima di tornare qui” gli disse sorridendo. Il tenente di vascello Fiore si senti rimescolare il sangue, e solo con uno sforzo di volontà si staccò da quella visione, dirigendosi verso la porta del piccolo cubicolo destinato ai servizi igienici per alleggerire la vescica e fare quello che gli era stato così deliziosamente richiesto. Tutto l’ambiente era piccolo: il bagno, la stanza che fungeva sia da salotto che camera da letto, mentre una piccola rientranza a fianco della porta d'ingresso davanti al letto, ospitava un minuscolo cucinino. Piccolo, ma funzionale. Come tutti gli alloggi base della città lunare. Valeria, così si chiamava la ragazza, lavorava alle banchine di carico del porto mercantile di Nuova Napoli, era nata sulla Luna e non aveva mai messo piede sulla Terra, né in qualsiasi altro posto del sistema solare, se era per questo. Lui si domandava spesso come facesse ad avere quella carnagione così mediterranea senza mai avere esposto il corpo ai raggi del sole. Solitamente gli abitanti della luna erano di un pallore mortale che cercavano, invano, di nascondere con docce abbronzanti nei vari solarium e centri estetici della città. Che lui sapesse, Valeria non ne aveva mai frequentato uno. Finì di vuotare la vescica e si stava scrollando l’attrezzo che avrebbe nuovamente usato di li a poco, quando si udì il campanello della porta d’ingresso suonare. Cazzo! Chi è che rompe i coglioni proprio ora? Pensò sedendosi sul bidet e sperando che Valeria se ne liberasse in fretta, la sua eccitazione era già più che visibile al pensiero di ciò che lo aspettava. “Chi è?” sentì chiedere alla ragazza “Carabinieri! Apra per favore!” Amedeo rimase bloccato nell’udire quella parola, la mano ferma sull’asta del suo pene insaponato, con il cuore che aveva preso a battergli furiosamente nel petto.


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Sentì Valeria soffocare un’imprecazione poi il rumore dell’aspiratore sul soffitto acceso al massimo. I Carabinieri! Santo cielo! Forse avevano beccato Valeria con la sua Marijuana, forse era lei che la spacciava, per quello non gli aveva mai detto da dove la prendeva. Cazzo! Se lo beccavano lì, potevano pensare che lui fosse suo complice. Santo cielo! Era un Tenente di Vascello della Marina Militare, la sua carriera sarebbe finita alla velocità della luce, ma quale carriera? Sarebbe finito dentro, magari in un carcere orbitante sulla fascia di asteroidi, oddio… “Arrivo” la sentì dire con voce calma. Amedeo smise perfino di respirare. Nella stanza polifunzionale dell’alloggio si udì lo sbuffo della porta d’ingresso che si apriva, scorrendo all’interno della parete. Ciò che i due carabinieri si trovarono di fronte li lasciò senza parole. Una bellissima ragazza nuda era sulla soglia dell’alloggio e li fissava con un mezzo sorriso stampato sulle labbra socchiuse. “Sì?” chiese lei con un tono di voce talmente sensuale che avrebbe fatto venire un infarto ad un eunuco. Per un attimo nessuno dei due militari riuscì a spiccicare parola, gli occhi di entrambi scorrevano sul corpo di lei come un raggio rilevatore, cercando di immagazzinare nel cervello ogni dettaglio di quell’immagine spettacolare apparsa improvvisamente davanti a loro. “Sì?” chiese di nuovo Valeria senza mostrare alcun imbarazzo per la propria nudità davanti a quegli sguardi assatanati. “Cerchiamo il tenente di vascello Amedeo Fiore” disse uno dei due lottando disperatamente e invano per togliere gli occhi da pube rasato della ragazza. Battaglia persa in partenza. L’altro, immobile e muto, letteralmente sbavava. Valeria sorrise dentro di sé sapeva di averli in pugno. Ma quand’è stata l’ultima volta che questi due sono stati con una donna? pensò. “Era qui” “Ce lo può chiamare?” “No” “Perché no?” “Perché non c’è” “Ma ha detto che era qui” “Esatto, era” “Allora non c’è?” “No”


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“E perché no?” disse il carabiniere praticamente ipnotizzato dal seno di Valeria. L’altro, non più muto, mugolava. “Non lo so, forse aveva da fare” “Ah sì? E dove?” ormai la disperazione traspariva dal tono del militare, che non riusciva a trovare più scuse per potersi fermare e continuare a guardare la ragazza. “Non lo so. Non me lo ha detto, ma se lo vedo gli devo riferire qualcosa?” “Sì!” grido quasi il carabiniere che aveva trovato l’appiglio per poter restare ancora un po’. “Bene, cosa?” “Cosa?” “Cosa gli devo dire?” “A chi?” “Al tenente di vascello Fiore che siete venuti a cercare” “Ah, lo attendono urgentemente alla capitaneria di porto” “Ok se lo vedo glielo dirò senz’altro, grazie” “Prego” sussurrò il militare “Allora arrivederci” li salutò Valeria con la voce più sensuale che entrambi avessero mai udito, mentre richiudeva la porta. Vide i due carabinieri spostarsi di lato, per riuscire a vedere il più possibile prima che la porta scorrevole si chiudesse del tutto. Una volta chiusa ermeticamente Valeria sentì dei gemiti sul pianerottolo. Amedeo uscì dal bagno, bianco come uno straccio e con l’erezione che era ormai un lontano ricordo. “Che volevano?” chiese con la voce che gli tremava “Te” “Me!?” c’era angoscia nella sua voce. “Si te, sei atteso urgentemente alla capitaneria di porto” “Oddio!” esclamò cominciando a rivestirsi. “Allora la mia proposta non ti interessa più?” chiese maliziosa. “Cazzo Vale, devo andare. Quegli stronzi sono un po’ pignoli per quanto riguarda gli ordini” “Sicuro?” Gli chiese strusciando il suo corpo nudo contro quello di lui, quasi altrettanto nudo. Resistere era un’altra battaglia persa e Amedeo, nonostante la divisa, non aveva l’indole né di un combattente né tanto meno di un monaco. La baciò e sollevandola la mise sul letto. “Credo che possano cercarmi ancora per un po’” disse mentre lei gli baciava il ventre, poi non fu più necessario dire nulla.


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Si alzò dal letto con le gambe molli e con un vago senso di colpa che lo fece rivestire in fretta. Indossata la divisa e dopo aver controllato di essere presentabile si avvicinò alla porta. Lei lo trattenne per un braccio. “Non ti dimentichi nulla amore?” “Oh… scusa” disse imbarazzato estraendo i portafoglio “Duecento?” “Per te amore facciamo centocinquanta, e la fumatina te la offro io” “Sei un tesoro” Valeria arrotondava il magro stipendio di portuale sfruttando il magnifico corpo che la natura le aveva regalato. Non con tutti però, non era una prostituta in senso stretto, aveva una piccola cerchia di amici, che lei chiamava i suoi fidanzati, con i quali condivideva il letto e il contenuto dei loro portafogli. La baciò di nuovo e non si stupì di sentire ancora un guizzo di calore nei propri lombi. Lei ricambiò il bacio abbracciandolo, poi staccandosi da lui lo guardò negli occhi. Valeria aveva meravigliosi occhi color nocciola dentro i quali, pensava Amedeo, qualunque uomo avrebbe potuto perdersi e annegare. “Ciao” gli disse baciandolo nuovamente. Un bacio veloce, ma allo stesso tempo stranamente intimo che lo lasciò un po’ confuso. Uscì nel corridoio avviandosi verso l’ascensore del palazzo. Arrivato a metà corridoio non resistette all’impulso di girarsi indietro aspettandosi di trovare il corridoio vuoto. Invece con un braccio alzato e la mano appoggiata allo stipite della porta c’era ancora Valeria che lo guardava andarsene. La salutò con un cenno che lei contraccambiò con un sorriso, poi rientrò chiudendosi la porta alle spalle. Si chiese se quel giorno fosse successo qualcosa, qualcosa che sinceramente gli sfuggiva. Scosse la testa accantonando questi pensieri e si precipitò lungo il corridoio verso l’ascensore che lo avrebbe portato al livello del suolo, duecentocinquanta metri più in basso. Uno dei vantaggi della bassa gravità della luna era che si potevano costruire edifici davvero alti, sfruttando così lo spazio in senso verticale oltre che orizzontale.


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Nuova Napoli era stata fondata nel 2098 e da allora non aveva smesso di espandersi nemmeno verso l’alto all'interno di un cratere, il Clavius, nell’emisfero meridionale della Luna. Il cratere aveva un diametro di 220 Km e una profondità di 3.500 metri, uno spazio più che sufficiente per lo sviluppo di una città. La zona era stata assegnata all’Italia dalla lottizzazione internazionale della Luna avvenuta nel 2054. Dalla sua fondazione, effettuata da un manipolo di pionieri composto da tecnici, scienziati e manovali, la popolazione della città era aumentata fino a toccare gli attuali otto milioni di abitanti, sviluppandosi intorno al suo porto spaziale e raggiungendo gli attuali trenta chilometri di diametro. Più o meno a metà di quella distanza dal porto, si trovava l’alloggio di Valeria, nella parte periferica occidentale della città. Amedeo si immise nel flusso di gente che si dirigeva verso la stazione della tubolare, dove avrebbe preso la prima navetta che si fosse diretta nei pressi dello spazioporto. In pochi minuti sarebbe arrivato a destinazione e avrebbe saputo cosa cavolo volevano da lui. La tubolare si estendeva a raggiera dal centro della città, dove c’era la stazione centrale, intervallata da percorsi circolari concentrici. Non esistevano veicoli privati a Nuova Napoli, a parte quelli destinati al trasporto delle merci e quelli delle forze dell'ordine, tutti gli spostamenti avvenivano con la tubolare o a piedi, lungo i viali e i vicoli pressurizzati. Alcuni dei quali (nelle zone più lussuose) avevano il soffitto trasparente che consentiva di ammirare lo spazio esterno, e al sole di fare capolino. Amedeo dovette cambiare mezzo all’intersezione nel quartiere Masaniello. dove prese la linea principale che lo avrebbe portato dritto alla stazione centrale e allo spazioporto. Trascorse i pochi minuti del viaggio in mezzo alla calca dei pendolari a pensare, suo malgrado, a quel bacio di Valeria, poi una voce metallica annunciò l’avvicinarsi del convoglio alla stazione centrale di Posillipo, interrompendo definitivamente il corso dei suoi pensieri. Scese dalla navetta e percorse a piedi i viali sotterranei che conducevano al blocco centrale dello spazioporto. Al di sopra di quel dedalo di vie, c’erano le piazzole di decollo e atterraggio, dove quasi incessantemente, arrivavano e partivano le navi spaziali che facevano la spola verso la stazione orbitale, oppure trasportando uomini e materiali nei vari siti minerari nella zona della Luna assegnata all’Italia.


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Alla fine raggiunse la zona militare dello spazioporto dove, arrivato alla guardiola, si presentò al piantone. “Tenente di vascello Fiore” si annunciò Il caporale consultò lo schermo del suo computer e dopo aver trovato il nome del tenente nella lista, lo indirizzò all’ufficio dell’ufficiale responsabile di turno. Non fece in tempo a mettere piede negli uffici che venne immediatamente condotto da un capitano di corvetta, in quel momento l’ufficiale responsabile. Amedeo fece il saluto che venne bruscamente ricambiato dal capitano che rimase a fissarlo in silenzio per qualche istante, con l’espressione di uno che avesse appena passato le ultime ore in uno stato febbrile. Come in effetti era stato. Due chiazze umide si allargavano sotto le ascelle dell’uniforme da lavoro, conferendogli un aspetto trasandato e stanco a cui contribuivano anche i capelli spettinati e lo sguardo allucinato. “Comandante, ma dove era finito?” sbottò continuando a fissarlo. “Bè, ero in giro, sono in franchigia fino a domani e…” “Il suo palmare dove cavolo è?! Non lo sa che un ufficiale deve sempre essere reperibile in qualunque momento?! Lei ha una vaga idea del casino in cui ci ha messo non facendosi trovare!? Lei e quella sua amichetta che le ha retto il gioco facendo finta di non sapere dove fosse?! Questa è omertà! Bella e buona!” L’ufficiale era paonazzo dalla rabbia, mentre ad Amedeo sovvenne vagamente l’immagine dell'aggeggio, evidentemente dimenticato, su di una mensola nella sua cabina sulla Maria Goretti. Cazzo, proprio oggi se lo doveva scordare? Ma che sfiga di merda! “Il mio palmare non ha suonato l’ho qui in tasca…” disse tastandosi platealmente la tasca posteriore dei pantaloni. Poi, ostentando una faccia che era il ritratto dello stupore: “Mi hanno derubato! Non ho neppure più il portafoglio!” esclamò. “Allora le hanno rubato il palmare al viaggio di andata e il portafoglio nel viaggio di ritorno, perché altrimenti non mi spiego come abbia fatto a pagare la sua amichetta.” Osservò serafico il capitano. Amedeo ebbe il buon gusto di tacere. “Comunque…” riprese con un tono più rilassato “…l’importante è che lei sia qui così, magari, vedendola andarsene se ne andrà anche il mio mal di testa. Questi sono i suoi ordini” disse allungandogli una video cartella “Lei con la sua nave deve partire immediatamente verso la piattaforma Monte Bianco dove riceverà ulteriori istruzioni. Negli ordini che le ho appena


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consegnato si sottolinea l’urgenza della sua partenza… che ovviamente grazie alla sua sbadataggine è andata a farsi friggere. Le farà piacere sapere che gli ordini arrivano direttamente dal QUARTGENMARINA. Ora può andare” disse sorridendo malignamente. “Ma la mia nave non è pronta e ho metà dell’equipaggio in franchigia” cercò di protestare Amedeo. “Bè, per quanto riguarda quella che lei chiama nave, rottame sarebbe più corretto, se non è implosa, o esplosa fino ad oggi, possiamo sperare che non lo farà nei prossimi giorni. Tenuta insieme con lo sputo era e continuerà ad esserlo, non credo ci sia cantiere navale che possa risistemarla. Per quanto riguarda il suo equipaggio… bé spero per lei che siano meno distratti del loro comandante, e abbiano tutti il loro palmare acceso e a portata di mano. Gli ordini glieli ho consegnati… e ora, se mi permette, sono cazzi suoi. E’ tutto tenente può andare” Cazzo! fu il primo pensiero che lo colse appena la porta dell’ufficio del capitano gli si chiuse alle sue spalle. Cazzo! fu il secondo pensiero che attraversò la sua mente dopo che ebbe fatto il primo passo verso l’uscita della capitaneria. Che palle! Fu invece il suo terzo e ultimo pensiero prima di fermarsi un attimo a riflettere sul da farsi. C'era poco da riflettere, doveva fare in modo di partire il più velocemente possibile ubbidendo agli ordini. Quindi con passo deciso, si recò verso il reparto logistico. Nel piccolo locale in cui si gestivano tutti i voli militari dello spazioporto c’erano due sottufficiali indaffaratissimi ai loro terminali, gocce di sudore imperlavano le fronti aggrottate per la concentrazione, tanto che Amedeo ebbe qualche esitazione prima di farsi avanti. Tuttavia gli ordini arrivavano dal QUARTGENMARINA, e per di più erano urgenti. Il solo pensarci lo faceva ancora rabbrividire, quindi spazzata via ogni esitazione si avvicinò al più vicino dei tre. “Tenete di Vascello Fiore” si presento aspettandosi che il graduato gli facesse il saluto. “Un attimo” disse invece quello chino su suo terminale olografico, le mani volavano sulla tastiera digitale. Un attimo!? Vabbé… sono così impegnati a gestire il traffico… lasciamo da parte la disciplina pensò Amedeo, in fondo le formalità del saluto non lo avevano mai interessato. Poi improvvisamente il graduato in fondo alla stanzetta si alzò di scatto urlando di gioia!


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“Goooooollllllllll” urlò saltellando intorno alla scrivania Gol? Amedeo si sporse per vedere lo schermo del graduato che aveva di fronte e lì, in bella vista, c’era la riproduzione olografica di un campo di calcio, in cui i giocatori virtuali della maggica esultavano di fronte ai depressi omini, con le sembianze precise dei giocatori reali, in maglia bianco nera. Il graduato bestemmiò sommessamente, poi alzando la testa guardò il tenente come se fosse stata un apparizione. “Sì?” chiese “Sì?! Cosa cazzo vuol dire sì?” sbottò Amedeo scimmiottando il tono del graduato, ora era veramente incazzato “Si alzi immediatamente e mi faccia il saluto!” Il graduato lo guardò stupito, come se avesse di fronte un personaggio un po' bizzarro, poi con un atteggiamento di profonda condiscendenza mista a noia, si alzò in piedi e fece un fiacco saluto al quale Amedeo rispose seccamente. “Bene, adesso mi dica…” iniziò Amedeo quasi ringhiando, quando si aprì l’unica porta presente nella stanza, oltre a quella d’ingresso, e ne uscì un capitano di corvetta che con fare stizzito si rivolse al graduato che aveva prima esultato. “Gabelli!” Amedeo cominciava già a pregustare la lavata di capo che avrebbero preso quei due, e finalmente il ripristino di un minimo di disciplina. Gabelli non si mosse dalla sua sedia, anzi sfoggiava un sorriso sfacciato rivolto al suo superiore. “Gabelli! Sappia che il suo è solo culo, e comunque era fuori gioco” “Il computer non l’ha segnalato, signore” “Bè allora c’è un difetto nel programma. Era fuori gioco” insistette il Capitano. “Non credo è solo che il computer non è come gli arbitri veri che sono sudditi della Vecchia Signora, il computer è imparziale. E LA MAGGICA SEGNA!” urlò alzando ancora le braccia in segno di vittoria. “Gabelli, lei finirà male” sentenziò l’ufficiale. Oddio… pensò Amedeo sospirando e facendo il saluto al capitano. Il capitano fece per tornare nel suo ufficio quando il suo sguardo si posò per puro caso su Amedeo. Un lampo di imbarazzo passò nei suoi occhi, ma poi si accorse che davanti a lui c’era solo un tenente di vascello, suo inferiore di grado e la sicurezza della gerarchia tornò nel suo sguardo. “Buongiorno tenente” disse rispondendo al saluto di Amedeo “Cosa possiamo fare per lei?”


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“Capitano… ho ordini di portare la mia nave alla piattaforma Monte Bianco con la massima urgenza, mi servirebbe un passaggio verso la stazione orbitale e un mezzo per il mio equipaggio in franchigia, non appena si presenterà allo spazioporto.” “D’accordo, il caporale Gabelli si occuperà delle sue esigenze” disse indicando il graduato che ancora esibiva un sorriso trionfante. Poi il capitano salutò e si richiuse all’interno del suo ufficio. Probabilmente a sperimentare nuovi schemi di giocò, suppose Amedeo. Gabelli si avvicinò lentamente, ma con andamento trionfale al bancone, dove prese posto ad un terminale. “Ma chi segue il traffico delle navi?” chiese Amedeo stupito di tutto quel rilassamento in un settore così nevralgico dello spazioporto. “I computers e, in parte, l’ufficio traffico civile, noi siamo in pausa pranzo” rispose il caporale rilassatissimo. “Dunque qual’è la sua nave?” “La Maria Goretti” Nel sentire pronunciare il nome della nave l’altro graduato rise sommessamente. “Ma non era stata messa in disarmo?” chiese Gabelli con espressione stupita. “Non ancora” rispose laconicamente Amedeo, ormai rassegnato e quasi immune alle solite battutine sulla sua nave. “Bè, può salire sulla Corallo, parte fra un quarto d’ora per la piattaforma, ecco il pass e il permesso d’imbarco” Amedeo ringraziò e rispose al saluto del caporale, finalmente fatto in modo corretto e con il giusto tenore, poi si avviò verso il terminal di carico dove era ormeggiato il suo passaggio. La Corallo era un piccolo porta container, con una ridottissima cabina di pilotaggio e un altrettanto minuscolo sedile in plastica sul quale il capitano della marina mercantile, dal momento che le operazioni portuali erano in appalto a ditte private anche nella zona militare, fece sedere Amedeo. Il viaggio fu: scomodo, rumoroso e comunque troppo lungo. Durò circa una mezz’ora, passata in un silenzio interrotto solo dalle bestemmie del capitano, che dall’accento doveva essere sardo, e dagli insulti rivolti agli altri mezzi che facevano la spola dalla Luna alla piattaforma orbitante. Il sollievo che provò nell’arrivare a destinazione fu immenso. Attraversò il barcarizzo estensibile e pressurizzato, che collegava la Corallo alla banchina, e schizzò in direzione della sua nave con le gambe intorpidite dalla posizione scomodissima che aveva dovuto tenere per la mezz’ora del


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viaggio, muovendosi così come un ubriaco e sentendosi le gambe come se fossero di gomma. Amedeo attraversò l’ampia area di stoccaggio della marina mercantile, dirigendosi verso una delle fermate della navetta che lo avrebbe portato alle bocche di carico all’altra estremità della base spaziale riservata alla marina militare, e dove era ormeggiata la sua nave. Intorno a lui l’attività febbrile di carico e scarico si svolgeva senza interruzione ventiquattro ore su ventiquattro; un incessante via vai di carrelli porta container che sfrecciavano nell’immenso hangar mercantile, dove centinaia di uomini e donne si davano da fare per far funzionare la colonia italiana sulla Luna. La navetta percorse velocemente le centinaia di metri del corridoio pressurizzato lungo la circonferenza della base, portandolo dalla indaffaratissima zona mercantile, che occupava praticamente il novanta percento della base, a quella militare, dove era la ormeggiata la Goretti. Ai lati dell’ingresso di un ampio corridoio grossi cartelli gialli con le scritte in nero recitavano la formula di rito: “ZONA MILITARE. LIMITE INVALICABILE. SORVEGLIANZA ARMATA”. Amedeo lo valicò, mostrando il proprio tesserino di riconoscimento ad un annoiato militare seduto nel posto di guardia, più intento a leggere una rivista che alle persone che valicavano il limite invalicabile. Degnò a stento di uno sguardo superficiale il documento che Amedeo gli stava mostrando, prima di fargli cenno di entrare muovendo quasi impercettibilmente la testa. Nessun accenno di saluto, né offerto né richiesto. La zona militare non necessitava di nessuna navetta per essere attraversata e dopo una camminata di cinque minuti, attraverso qualche corridoio e aggirando mezzi e container parcheggiati ovunque, arrivò finalmente al dock di carico dove era ormeggiata la sua nave. La Maria Goretti era una nave da trasporto, nella fattispecie una nave da rifornimento di squadra classe Gorgona. Era una nave vecchia che avrebbe dovuto essere messa in disarmo anni prima, come tutti gli facevano notare, ma che per qualche oscuro motivo la Marina aveva mantenuto in servizio. Da vedere era decisamente brutta, sembrava un grosso cubo con appiccicato sul davanti quella che sembrava una grossa caffettiera, alla cui sommità c'era il ponte comando. Il grosso cubo, naturalmente era la stiva, che misurava settanta metri di lunghezza e trenta di larghezza, per un’altezza di altri trenta metri, a poppa della stiva era attaccata un’altra struttura collegata ad essa


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tramite un corridoio e da diversi bracci d’acciaio. La sala macchine con i due grossi ugelli dei reattori di spinta. Ovviamente non era nulla in confronto alle moderne navi da rifornimento che avevano capacità di carico che superavano abbondantemente il milione di metri cubi. Piccola brutta e dimenticata, almeno fino ad ora. Le missioni della Maria Goretti consistevano in viaggi attraverso il sistema solare interno e le lune di Giove, trasportando materiale di scarto, rottami, pezzi di ricambio di seconda mano, viveri e quant’altro che non veniva ritenuto degno di essere caricato sulle altre navi da trasporto. La Maria Goretti era così piccola (e lenta) che non faceva nemmeno parte di una squadra, rendendola cosi una specie di nave mercantile militare quasi indipendente, cosa che veniva considerata dal suo comandante estremamente piacevole, e perfettamente in linea con la sua mentalità: mantenere un profilo basso ed evitare il più possibile le rogne. La nave aveva un equipaggio di venticinque uomini tra ufficiali, sottufficiali, comuni e fucilieri di marina, ora il problema era rintracciarli tutti e farli salire a bordo il più presto possibile. Un’altra caratteristica della nave, che sfociava un po’ nella leggenda, era che aveva fama di raccogliere tutti gli scarti della marina. Gli ufficiali imbarcati erano infatti elementi la cui carriera aveva subito un brusco tracollo per fatti avvenuti su altre navi, mentre i sottufficiali erano tra quelli con il punteggio più basso nelle relative scuole. I comuni, invece, erano tra quelli in esubero delle altri navi e che erano i primi dei quali si erano prontamente liberate. Tutti elementi indesiderabili, molto poco marziali; tranne il comandante in seconda Filippo Fumagalli, primo del suo corso, zelota del regolamento elevato a dogma, ottima famiglia e ottime credenziali. Nessuno sapeva come fosse finito sulla Goretti. Nemmeno lui. Con suo grandissimo disappunto. Insomma, la Maria Goretti era una specie di cassonetto differenziato per rifiuti della marina. L’ampio portellone di carico sul fianco della nave era aperto e solo uno svogliato porta-container avanzava lentamente verso l’imboccatura, portando sulla sua piattaforma un singolo container riportante la dicitura bianca su sfondo verde “MATERIALE DI SCARTO”. Siccome non aveva voglia di passare lungo il barcarizzo pressurizzato che lo avrebbe portato direttamente in plancia, entrò nella stiva, da dove avrebbe raggiunto, salendo la scala che saliva attraverso i quattro ponti della nave, il ponte comando.


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“Uè, salve dottò!” lo salutò un individuo mingherlino e basso, con addosso l'uniforme di lavoro recante i gradi di primo maresciallo. “Salve Esposito, e le ricordo che si deve rivolgere a me chiamandomi comandante o signore” “Vabbuò, scusatèm assaje dottò!. Salve Signor Comandante” “See, ok Esposito. Come vanno le procedure di carico?” “Chiste è l'urtimo container, dottò. Po' putimme partì” “Solo questi?” chiese Amedeo indicando la mezza dozzina di container già stoccati nella stiva della nave, dove sembravano piccole scatole abbandonate. “Si dottò, e tutti pieni di scarti da portare allo smaltimento” “Hmm… non andremo allo smaltimento. I suoi sono tutti presenti?” “Manca sulo chillo piezz ‘e cesso 'e Marchini, dottò” “Bene lo richiami immediatamente e pronti a salpare alle 04:00” “Miiii dottò, quanta prescia. Chi starà succerenn' maie?” “Missione importante. Chi è di guardia in plancia?” “ Chill'atu piezz' 'e cesso 'e Fumagalli” “Cazzo…” sibilò Amedeo. I rapporti con il suo primo ufficiale non erano proprio perfetti. Fumagalli milanese d.o.c. contrastava parecchio con la sua personale interpretazione della vita militare, e questo creava attriti continui e soprattutto infinite rotture di palle con regolamenti e consuetudini radicate della marina, che sulla Maria Goretti venivano il più delle volte tranquillamente ignorate. “O ver', duttò. Ma quanne c'ho ranno 'o trasferimente a chillu guaglione?” “Mai troppo presto Esposito” Detto questo Amedeo si diresse a grandi passi verso il ponte comando. Appena messo piede in plancia venne accolto dal grido “ATT-TENTI!” così improvviso e forte che ebbe un sobbalzo. Amedeo si guardò intorno per dare l’ordine di riposo, ma osservando la plancia si accorse che era presente solo il sottotenente di vascello Fumagalli. “Riposo Fumagalli, comunque non era necessario urlare l’attenti visto che è solo” “Le ricordo che all’ingresso di un superiore è preciso dovere dare l’ordine di attenti, signore” “Si, ma lei è solo qui dentro, quindi bastava che si alzasse e mi salutasse” “Era mio preciso…” “Si vabbè Fumagalli, ma qui sulla Goretti non siamo così formali” “Ho già avuto modo di constatarlo più volte signore, e a proposito… ho compilato una lista di nomi di uomini, rei di gravi mancanze al regolamento


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e che dovranno, a mio avviso, essere senz’altro puniti.” Disse allungando ad Amedeo un modulo punizioni fitto di nomi e annotazioni. Amedeo dette una scorsa alla lista notando che praticamente era identica, per completezza, all’intero ruolino equipaggio. Mancava solo il suo nome e quello dell’ufficiale medico, comunque superiore in grado a Fumagalli e, ovviamente, quello dello stesso comandante in seconda. “Fumagalli si rende conto che se mettiamo in punizione tutti quelli di questa lista la nave non potrebbe partire per mesi? E poi che mancanza è: si soffiava il naso in mia presenza?” “Il comune Daniele Ottomani, addetto armi, si rivolgeva a me con il naso che gli colava e soffiandoselo ometteva di farmi prontamente il saluto che mi è dovuto.” “Santo Dio Fumagalli…” sospirò accantonando la cartelletta. Il comandante in seconda intanto, restava ritto sull’attenti, Amedeo lo guardò e ancora una volta provò una sorta di stupore dinanzi allo stoicismo del giovane ufficiale, il cui peggior difetto, dal suo punto di vista, era la sua assoluta incapacità di riuscire a conciliare il regolamento della marina, con le varie situazioni, che si presentavano ogni giorno su di una nave, con un equipaggio composto da uomini che erano costretti a convivere in spazi relativamente ristretti per intere settimane, se non mesi. “Riposo tenente” sospirò prima che i muscoli di Fumagalli rischiassero di frantumarsi per la troppa rigidità. “Allora dobbiamo partire al più presto, pertanto dirami un comunicato all’equipaggio con codice di imbarco d'emergenza. Lasceremo Nuova Napoli alle 04:00 appena completate le operazioni di rifornimento. Mi chiami anche il sergente Malatesta e lo mandi nella mia cabina” “Sissignore, posso sapere la nostra destinazione e la natura dei nostri ordini?” “La piattaforma orbitante Monte Bianco e per quanto riguarda gli ordini, verremo aggiornati una volta a destinazione” “Molto bene, signore” scattò Fumagalli. Per un istante Amedeo temette che si mettesse a battere i tacchi, ma il sottotenente si limitò ad un secco cenno del capo prima di dirigersi verso la sala operazioni. Il suo sancta sanctorum. Cinque minuti dopo il sergente Malatesta comandante dei fucilieri di marina della Goretti, si presentò nella cabina di Amedeo. “Sergente Malatesta a rapporto signore” si annunciò. “Ah, bene” disse Amedeo, staccando gli occhi dagli ordini che aveva ricevuto, e che stava leggendo per la decima volta, tentando di capire cosa mai il Quartier Generale della Marina volesse da lui. Grane, sicuramente.


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“Molto bene sergente, partiremo alle 04:00, quindi è fatto divieto di scendere dalla nave per chi è già a bordo. Ha con sé la lista di quelli che ancora devono arrivare?” disse allungando la mano. “Eccola signore” il sergente porse ad Amedeo una video cartella con l’elenco dei membri dell’equipaggio che ancora si trovavano a Nuova Napoli. Una mezza dozzina di marinai e l’ufficiale medico. “Vedo che il dottore non è a bordo, sa per caso dov’è?” “No signore” rispose Malatesta con l’aria imbarazzata. L’ufficiale medico, infatti, nonostante fosse un uomo coltissimo ed un ottimo medico, era anche uso ad avere rapporti molto stretti con ogni sorta di bottiglia che contenesse un qualunque liquido a più di dieci gradi di gradazione alcolica. La risposta del sergente sottintendeva che il dottore era probabilmente rintanato in qualche bar a bere, o più probabilmente, collassato sotto un tavolo. Niente di nuovo. “Dica ad un paio di fucilieri, Guenza e Boschi, di andarlo a rintracciare e portarlo a bordo, per cortesia. E’ tutto, grazie” “Sì signore…” esitò “… ha qualche suggerimento sulle zone di ricerca?” “Dica a Guenza di iniziare dal Corvo Nero, è un pub vicino ai docks mercantili” “Bene signore” Malatesta se ne andò e la porta si richiuse automaticamente, lasciando Amedeo a continuare a scervellarsi sulla natura di quegli ordini.

^ Stazione Orbitante Base Lunare “Nuova Napoli” emisfero meridionale della Luna - N.S.M. “Maria Goretti”. 18 agosto 2196 – 03:56 Mancavano quattro minuti alla partenza verso la piattaforma dell’ascensore spaziale Monte Bianco, e il comandante Fiore aveva preso posto sulla poltrona di comando in plancia, ovviamente annunciato con voce stentorea da Fumagalli. Il viaggio sarebbe durato circa un'ora, visto che non era possibile spingere i motori della nave, dei vecchi Trieste C1660-IE a piena potenza. Ciò era


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dovuto a due fattori: la relativa vicinanza della .loro destinazione e l'intenso traffico, soprattutto mercantile presente in zona. Amedeo lanciò uno sguardo ai due orologi digitali appesi sopra le vetrate della plancia di fronte alla sua poltrona, uno indicava a numeri luminosi azzurri l’ora, 03:57:35, mentre l’altro con numeri luminosi rossi – 00:02:25. Meno di tre minuti al lancio. E del dottore ancora nessuna traccia. “Plancia da sala macchine” disse una voce, con un forte accento veneto, resa metallica dall’interfono. “Plancia, dica Bordin” rispose prontamente Fumagalli. “’Ghèmo un problemìn col due, siòr” comunicò il direttore di macchina riferendosi ad uno dei due motori ionici di spinta della nave. “Bordin, le ricordo, nuovamente, di non parlare in dialetto nelle comunicazioni ufficiali” replicò seccamente Fumagalli. “Lasci perdere tenente” intervenne Amedeo “Che c’è Bordin? Non l’avevamo sistemato il 2?” “Si siòr, ma s’è messo a far le bizze di nuovo. Non ci hanno dato i pezzi, perché non li trovavano e allora ho fatto una sistemazione di fortuna, tanto per farci arrivare a Monte Bianco, ma la pezza non ha tenuto, siòr!” Merda! “Quanto tempo le ci vuole Bordin per sistemare il tutto?” “Mezz’ora, siòr” “Bene Bordin, proceda, chiudo.” Disse interrompendo la comunicazione con la sala macchine. “Balestrieri avvisi il controllo volo che ritardiamo mezz’ora” disse rivolto all’operatore radio “Forse riusciremo ad avere il dottore a bordo” guardò nuovamente gli orologi: 03:59:03; -00:00:57 “Il controllo volo ci autorizza al posticipo alla partenza, signore” “Grazie” Fumagalli si girò verso la grande vetrata che offriva un’ampia visuale sul dock di carico. Il suo disappunto per quel ritardo era palese. Per lui era un’altra prova della evidente scarsa qualità della nave e del suo equipaggio, che rischiava di gettare macchie indelebili sulla sua carriera. Contrasse la mascella per contenere la rabbia che lo divorava. Laureatosi in astrofisica e ingegneria spaziale con il massimo dei voti, pubblicazione delle tesi, primo del proprio corso all’accademia navale di Livorno, non riusciva a capacitarsi come fosse finito su quella carretta spaziale, in mezzo ad un branco di veri falliti. La discarica dei rifiuti della marina.


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Odiava tutti su quella nave, dove la disciplina era pressoché inesistente, e il rispetto per il grado una mera barzelletta. Gli pareva di essere su un dannato cargo mercantile di infimo ordine, piuttosto che su una nave della Marina Militare. Ciliegina sulla torta, quando avevano comunicato al controllo volo la causa del loro ritardo si erano pure sentite, in sottofondo, le risatine sarcastiche dei controllori di volo. Servire sulla Goretti per il sottotenente Fumagalli, era fonte di grave imbarazzo per sé e per la sua famiglia, nonché una macchia sul proprio curriculum e un freno a mano tirato per la propria carriera. Aveva già fatto almeno sei richieste di trasferimento, alle quali non aveva ricevuto nemmeno una risposta, una cosa che trovava estremamente strana e sconcertante. Altri meno qualificati di lui erano già ufficiali su navi prestigiose come la Pietro Micca, mentre lui era ancora lì, a languire su quel maledetto rottame spaziale, agli ordini di un comandante incompetente, per giunta, e con un equipaggio formato da inetti e indisciplinati. Cercò di rilassare i muscoli e di non pensarci, mentre riprogrammava l’orologio del conto alla rovescia impostandolo sulle 04:30:00, pregando di non dover richiamare nuovamente il controllo volo per avere un’altra dilazione. Sentiva che non l’avrebbe sopportato. “Plancia da infermeria” gracchiò l’interfono. Amedeo riconobbe la voce di Guenza, uno dei fanti di marina mandati a recuperare il dottore. “Qui plancia” rispose prontamente Fumagalli “Dottore a bordo, equipaggio al completo” “Bene, dottore a rapporto nel quadrato ufficiali” ordinò Fumagalli prima che Amedeo potesse intervenire. Seguì un silenzio carico di imbarazzo in cui si poteva benissimo immaginare Guenza che cercava disperatamente le parole per dire quello che era evidente a tutti. “Hem… il dottore è indisposto, signore” A questo punto Amedeo intervenne subentrando al suo secondo, prima che la cosa degenerasse in modo imbarazzante. “Qui è il comandante. Assicuratevi che il dottore venga portato nella sua cabina e ditegli di presentarsi a suo comodo non appena ripresosi dal malore” “Bene signore, chiudo” rispose Guenza evidentemente sollevato. Amedeo si girò a guardare Fumagalli che lo fissava con uno sguardo carico di disapprovazione.


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“Signore…” iniziò il tenente quasi sibilando “Va bene così tenente, il dottore è indisposto” tagliò corto Amedeo “Ma signore è evidente…” “Il dottore è indisposto. Mi sono spiegato tenente?” ora era la voce di Amedeo ad essere dura, un tono che non ammetteva repliche. “Sissignore” rispose Fumagalli con una freddezza che fece scendere la temperatura in plancia di almeno dieci gradi. Il timoniere Colengo guardava un punto imprecisato davanti a sé, l’addetto alle comunicazioni Balestrieri armeggiava freneticamente con i vari tasti della sua consolle, mentre il radarista Dente osservava il suo schermo come se la Goretti si trovasse in mezzo ad un traffico pazzesco invece che ancora ormeggiata ai docks. Furono venti minuti lunghi e pesanti, duranti i quali Amedeo richiese un check della strumentazione al solo scopo di infrangere il pesante silenzio che regnava in plancia. Poi finalmente la voce di Bordin si fece sentire all’interfono. “Plancia da sala macchine, son Bordin, siòr. Il motore l’è riparato, podemo partir, siòr” “Bene Bordin, accendere al mio ordine” rispose immediatamente Amedeo prima che Fumagalli potesse nuovamente rimproverare il direttore di macchina per la mancanza di formalità nelle comunicazioni. “Bene, siòr!” Fumagalli taceva e teneva lo sguardo fisso davanti a sé, la mascella contratta e le mani artigliate ai braccioli della sua poltrona. “Tenente?” “Sì signore” sibilò Fumagalli “Eseguiamo un check pre lancio” “Nuovamente signore?” altro sibilo “Non si è mai troppo sicuri” glissò Amedeo “Specialmente su questa nave” borbottò Fumagalli con un tono di voce, però, sufficientemente alto per essere udito. Il personale in plancia si girò verso il comandante in seconda lanciandogli occhiate di fuoco. Amedeo si limitò a far finta di non aver sentito quel commento sarcastico. Sospirò. Mentre il comandante in seconda eseguiva un ultimo controllo, Amedeo si mise a fissare l’orologio e a chiedersi per la millesima volta cosa diavolo volesse da lui il quartier generale della marina.


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Pensò affannosamente a quali infrazioni potesse aver commesso. Fece un rapido esame di coscienza, che ebbe come risultato un discreta lista di azioni non proprio aderenti al regolamento, o alla condotta di un ufficiale di marina ma, gli disse la vocina con l’indulgenza del suo avvocato difensore interiore, erano tutte sciocchezze. Per un attimo si chiese se Fumagalli non avesse a che fare con tutto questo. La sua ostilità era palese, e il fatto che avesse fatto diverse domande di trasferimento non era un segreto per nessuno. Che fosse una vendetta meschina e fine a se stessa, verso il suo comandante che riteneva responsabile della sua situazione? Forse si era inventato qualcosa, forse…. Cominciò ad avvertire un fastidioso mal di testa e un vago senso di nausea. Bè…, in ogni caso nel giro di un paio d’ore avrebbe scoperto di cosa si trattava, nel bene e nel male. Inutile pensarci ora. Più facile a dirsi che a farsi. Finalmente quando l’orologio segnò 04:30:00 e il conto alla rovescia 00:00:00 stavolta in numeri verdi, la Goretti mollò gli ormeggi. I grossi cavi pressurizzati si staccarono con un sibilo dai rispettivi alloggiamenti, mentre i bracci meccanici, che tenevano salda e allineata la nave alla base spaziale, si aprirono lasciando galleggiare la Goretti libera nello spazio. Un grosso cubo con una caffettiera appiccicata a prua. “Macchine da plancia, avanti adagio” ordinò Fumagalli girandosi poi verso Amedeo. Il capitano fece un cenno di assenso. “Portiamoci a distanza di inizio crociera e poi alla massima velocità possibile verso la stazione Monte Bianco, grazie tenente” ordinò “Macchine da plancia, tenersi pronti all’accelerazione appena a distanza di crociera” “Macchine ricevuto” Amedeo decise che sarebbe rimasto in plancia fino ad accelerazione avvenuta, poi si sarebbe ritirato nella sua cabina per l'ora necessaria ad arrivare nell’orbita della terra. “A tutti i ponti da plancia, tenersi pronti per l’accelerazione.” Amedeo, come tutti, si assicurò di essere ben seduto sulla sua poltrona ergonomica in grado di assorbire tutti i G che sarebbero derivati dal passaggio di velocità, che da poche centinaia di chilometri all’ora li avrebbe portati ai circa i duecentomila della velocità di crociera per quella breve tratta.


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“Macchine da Plancia… accelerazione... Ora!” ordinò Fumagalli Improvvisamente Amedeo sentì premere il proprio corpo contro la poltrona, come se su di lui fosse stata posta una lastra pesantissima che aderiva perfettamente al suo corpo, faceva fatica a respirare e la visione periferica gli si offuscò leggermente. Odiava quei momenti, lo coglievano sempre impreparato come se ogni volta fosse la prima. Non era mai riuscito ad abituarcisi e cessata la fase di accelerazione rimaneva sempre con un vago e fastidioso senso di nausea. Il viaggio era iniziato ed entro un ora, una e mezzo al massimo, la nave sarebbe arrivata alla piattaforma orbitante “Monte Bianco”, stazione dell’ascensore spaziale che partiva dalla montagna omonima. “Fumagalli, a lei il comando, mi ritiro nella mia cabina” “Sissignore” Amedeo si alzò dalla propria poltrona che venne immediatamente - un po’ troppo immediatamente - occupata dal suo secondo. Ha un disperato bisogno di comandare. Poveraccio. Pensò Amedeo uscendo dalla plancia e percorrendo il corridoio retrostante che lo avrebbe portato alla sua cabina posta anch’essa sul ponte comando. Come comandante godeva di una cabina relativamente ampia, a pochi passi dalla plancia, in modo che, in caso di emergenza, potesse essere al suo posto il più velocemente possibile. Nonostante fosse più ampia di quella del resto dell’equipaggio, era comunque un piccolo locale, che però aveva il lusso di un piccolo bagno privato (un dei benefici del comando). Era composta da un stanza principale in cui c’erano un letto a scomparsa, una piccola scrivania con fissato un terminale del computer, una sedia e una poltroncina. Un piccolo armadio completava l’arredamento. Amedeo aveva un po’ personalizzato l’ambiente, aggiungendo foto, posters e piccoli souvenir comprati nei vari posti in cui era stato, e che facevano bella mostra di sé sulle varie mensole fissate alle pareti. Insieme al palmare. Appena chiusosi la porta alle spalle si coricò sul letto e, fissando il soffitto, ricominciò a pensare per l’ennesima volta quale potesse essere il motivo della sua convocazione così frettolosa. Con calma si mise quindi a scandagliare, nuovamente, la propria coscienza. Forse, pensò, qualcuno aveva scoperto che durante un viaggio verso una delle lune di Giove si era portato dietro una ragazza? Solo l’equipaggio lo sapeva e non voleva credere che qualcuno di loro potesse averlo tradito. Forse era per quella volta che con Esposito avevano traghettato dei profughi da Marte alla Terra dove avevano dei parenti che li avrebbero aiutati? Forse


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li avevano presi e avevano fatto il suo nome. Oppure per quella volta che, con il dottore e qualcun altro dell’equipaggio avevano preso in “prestito” una navetta dalla base spaziale della Luna ed erano andati per bordelli nel settore francese? Cazzo! Pensò improvvisamente non sarà per quel piccolo contrabbando di liquori che abbiamo fatto con le stazioni avanzate di Nettuno e Plutone? Oddio! Forse quando abbiamo sbarcato il dottore su Marte senza autorizzazione, in modo che potesse portare la maggior parte delle scorte di medicinali della nave, ad un ospedale ONG di un villaggio di frontiera dove si trovavano ricoverati numerosi bambini? Forse Fumagalli era venuto a sapere una di queste cose e aveva fatto rapporto? In quel momento maledisse tutte quelle cose che aveva fatto… ma perché non era anche lui, come Fumagalli, pensò, ligio ai regolamenti in modo da evitare tutte queste fesserie… I suoi pensieri si attorcigliarono su loro stessi, portandolo a vagare con la mente su vari aspetti della sua vita e così, senza accorgersene, iniziò a pensare a cosa avrebbe fatto se lo avesse sbattuto fuori dalla Marina, a pensare a quale lavoro avrebbe potuto fare. Ma io non so fare niente! Poi un pensiero improvviso lo colpì come un pugno allo stomaco: e se lo avessero messo in prigione? Alcune delle cose che aveva fatto prevedevano sicuramente la corte marziale… oddio! Per un attimo pensò di ordinare di invertire la rotta sbarcare nuovamente sulla Luna, disertare e… cosa? Che avrebbe potuto fare? Fuggire per sempre? Dove? Si sentì spacciato, come una mosca sul muro.


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^ Direzione Generale della Sanità Militare (DIFESAN) - Ispettorato di Sanità e Commissione Medica Centrale della Marina – Roma, Terra. 17 agosto 2196 – 09:15 Il suono dell'interfono distrasse Cunetto che stava in quel momento leggendo un preoccupante rapporto proveniente da Marte. A redigerlo era stato il colonnello Ponzi che ancora una volta invitava a far pervenire il più velocemente possibile all'ospedale di Campo Garibaldi gli aiuti richiesti. “Che c'è?” chiese senza staccare gli occhi dal rapporto. “L'ammiraglio Capace in linea per lei, signore” lo informò la segretaria che aveva preso e filtrato la comunicazione. “Me lo passi pure, grazie” poi dopo un secondo di attesa, nel quale il volto di Capace comparve sul monitor olografico “Paolo, dimmi” “Temo di avere brutte notizie Franco” “Non ne abbiamo proprio bisogno, hai letto l'ultimo rapporto di Ponzi?” Capace esitò qualche secondo, e il contrammiraglio percepì nell'espressione del Capo di Stato Maggiore una profonda frustrazione e rabbia a stento contenuta. “Che è successo?” chiese iniziando a preoccuparsi più di quanto già non fosse. Il volto di Capace lo guardò dritto in faccia con i suoi occhi elettronici, come se cercasse le parole, poi tutto d'un fiato e senza giri di parole gli diede la peggiore notizia che Cunetto si poteva aspettare. “La salita dell'ascensore è stata rinviata” “COSA!?” Capace non rispose limitandosi a sospirare. “Ma come è successo? Come mi hai detto tu l'altro giorno i viaggi dell'ascensore non possono essere modificati” “Lo so Franco, è stato Mancina” Il contrammiraglio rimase in silenzio, semplicemente non aveva parole per replicare, quindi Capace lo mise al corrente degli ultimi avvenimenti. Il cardinale aveva dovuto rimandare il viaggio di tre giorni, per via di alcuni impegni inderogabili del Concilio della Moralità e Mancina aveva manovrato per rimandare la salita dell'ascensore, smuovendo le più alte cariche del governo che avevano dato il loro assenso a quel ritardo. “Ma tu non hai detto nulla?” riuscì finalmente a dire Cunetto, pentendosi però immediatamente della sua affermazione “Scusa Paolo, sono sicuro che hai fatto il possibile per fermare questa assurdità”


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“Non hanno voluto sentire ragioni, Franco. Mancina ha minimizzato la situazione su Marte spalleggiato da quel cretino di Sassi. Non c'è stato nulla da fare. L'ascensore partirà il ventuno, invece del diciotto” “La vedo male, Paolo” sentenziò Cunetto prima di chiudere la comunicazione.

^ Stazione Ascensore Spaziale “Monte Bianco” - Monte Bianco, Terra. 21 agosto 2196 – 14:32 Il grosso aviogetto “Agusta SG 62” bianco con le insegne della Città del Vaticano eseguì un’ampia ed elegante virata, scendendo di quota, e posandosi sullo spazio predisposto nella vasta piazzola di imbarco prospiciente alla stazione dell’Ascensore Spaziale. I cuscinetti magnetici mantennero il grosso velivolo a qualche centimetro dal suolo, permettendo così ai passeggeri di scendere agevolmente a terra. Un atterraggio perfetto che mise il portellone esattamente davanti al tappeto rosso, sul quale il cardinale avrebbe effettuato il breve tragitto fino alla sala d’attesa riservata ai VIP della stazione. Il capitano di vascello Mancina rimase immobile, fermo nella posizione di attenti, dietro di lui c'erano altri ufficiali della marina e dell’esercito in alta uniforme, mentre una delegazione delle guardie svizzere prendeva rapidamente posto ai lati dell’aviogetto formando una specie di corridoio giallo e blu. A fianco di Mancina, il cappellano della base prese ad agitarsi strascicando i piedi e tossendo leggermente, non era cosa di tutti i giorni avere a che fare con una delle più alte cariche spirituali e politiche del Vaticano. Mancina gli rivolse un’occhiata dura inducendo il cappellano a ricomporsi immediatamente. Finalmente, dopo un tempo che parve infinito a tutti quelli in attesa ad una temperatura di dieci gradi, il portellone laterale dell’aviogetto si aprì, e nel riquadro che si delineò nella fiancata apparve il cardinal Pompini in un profluvio di vesti rosse. Scese per primo, posando le pantofole cardinalizie rosse sul tappeto altrettanto rosso steso per accogliere lui e il suo seguito.


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La seconda figura che si affacciò sul portellone fu Don Gelmino Cosmi il segretario particolare del cardinale. Dopo di lui uscirono in fila indiana le altre quindici persone del suo seguito. Lungo tutto il percorso all’aperto erano stati posizionati dei generatori di calore, in modo da evitare che il freddo pungente, degli oltre quattromila metri di quota, potesse creare disagio alla delegazione vaticana. “Eminenza” salutò per primo Mancina inchinandosi a baciare l'anello del cardinale, seguito a turno da tutti gli ufficiali presenti. Espletate le formalità e percorso il breve tragitto lungo il tappeto, il gruppo arrivò finalmente al tepore dell’edificio che ospitava l’ingresso dell’ascensore. Naturalmente il cardinale fu rapidamente introdotto nella zona VIP dove, dietro un tavolo da buffet, erano in attesa una mezza dozzina di camerieri pronti a servire ricchi e gustosi stuzzichini, in modo da rendere meno tediosa l’attesa all’importante dignitario del vaticano. Appena accomodati, Mancina si recò personalmente al tavolo del buffet a prendere un piatto di tartine al caviale e un calice di spumante per il cardinale, il quale li accettò con un lieve cenno di ringraziamento. Mancina si piegò, invece, in un appena accennato, ma ossequioso inchino. “Lei è molto gentile ammiraglio” “E’ un piacere eccellenza… e mi permetto di correggerla, ma purtroppo il mio grado è solo quello di capitano. Capitano di vascello” “Le chiedo scusa, ma la mia conoscenza dei gradi della marina è praticamente nulla. Evidentemente lo splendore della sua uniforme mi ha tratto in inganno. Grazie per la correzione capitano. “Piacere mio, eminenza” “Quanto pensa che dovremmo aspettare?” “Non più di una mezz’oretta, ma se vuole mi vado a informare di preciso” Sulla parete, esattamente di fronte a loro era incassato un enorme orologio digitale che scandiva il conto alla rovescia per l’arrivo dell’ascensore. Mancina ritenne, diplomaticamente, che non era il caso di farlo notare al cardinale. “Non è necessario, l’accoglienza che così gentilmente mi avete preparato, allevierà qualunque attesa, per quanto lunga possa essere” disse il porporato infilandosi in bocca un’intera tartina delle dimensioni di un fazzoletto da naso. Mancina notò che sulla rada barbetta del cardinale erano rimaste appiccicate una dozzina di uova.


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Distolse lo sguardo per evitare un po’ di imbarazzo, cosa che, notò con la coda dell’occhio, fece anche il segretario particolare del cardinale, il quale distolse lo sguardo dal viso di sua eminenza trovando incredibilmente interessanti le stampe tridimensionali appese alle pareti della sala d’aspetto. Così mentre il seguito, dopo che il cardinale era stato servito, si lanciava in un assedio feroce al buffet, Mancina cercò di intrattenere il più piacevolmente possibile il suo ospite. Parlò di cose futili, rispondendo alle domande del cardinale sulla marina, l’esercito e la vita militare in genere, cercando di rinviare il più possibile quello che lo angustiava nel profondo, e che non trovava il coraggio di dire. Purtroppo un detto che Mancina conosceva recitava: Rinviarla si, scamparla no e così cercando molto in profondità il militare che aveva in sé, prese il coraggio a due mani e affrontò l’argomento. “Eminenza….” Esordì titubando. “Si, caro?” “Bè, ecco vorrei parlarle della sua sistemazione… anzi della nave con la quale voi e il vostro seguito affronterete il viaggio fino a Marte…” “Ah! La Maria Goretti” esclamò Pompini illuminandosi in volto, cosa che abbatté ancora di più Mancina “Trovo che la marina abbia avuto un’idea eccellente ad onorare una delle sue navi, con il nome di una donna così pia e santa. Una scelta veramente felice, ne parlavo giust’appunto col mio segretario durante il tragitto verso questa bellissima montagna. E’ vero figliolo?” “Assolutamente” si affrettò a confermare il segretario “ Sua Eminenza si è profuso in complimenti alla marina per la scelta così azzeccata della nave che ci porterà a destinazione” Mancina che si sentiva sprofondare in un baratro senza fondo, riuscì comunque a tirare fuori tutto quello che aveva da dire. “Ecco Eminenza, vede… in realtà la Maria Goretti è una nave molto vecchia… purtroppo la vostra improvvisa, sebbene graditissima richiesta, ci tengo a sottolinearlo, di portare alle nostre truppe il conforto della parola del Vaticano..” “La parola di Dio, capitano… la parola di Dio” lo interruppe il cardinale. “Esattamente Eminenza, mi scusi” disse maledicendosi per la gaffe “volevo naturalmente dire la parola di Dio, portata ai nostri militari da un così illustre esponente della sede Vaticana. Ecco… ci ha colti un po’ impreparati. Insomma non avevamo navi abbastanza degne di un così alto e importante esponente della Santa Sede, e quindi ci siamo dovuti, arrangia…. servire dell’unica nave a disposizione in quel momento. La Maria Goretti, appunto,


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che è come dicevo una nave vecchia e che, devo dire purtroppo, avrebbe dovuto essere messa in disarmo già molti anni fa…” “Allora ringraziamo Dio che ciò non sia avvenuto, altrimenti il mio viaggio non avrebbe potuto avere luogo. Non crede che tutto ciò faccia parte della volontà di nostro Signore?” “Naturalmente Eminenza…. Ma quello che voglio dire, che sto cercando di dire... è che forse le vostre sistemazioni non saranno probabilmente consone ad una così importante personalità, quale voi siete, Eminenza. Vi chiedo quindi di essere indulgente con noi se il viaggio non sarà particolarmente confortevole. Le assicuro comunque che abbiamo fatto tutto il necessario affinché il viaggio sia il meno disagevole possibile per lei ed il suo seguito. Il capitano Fiore, comandante della Goretti, è stato felicissimo di mettere a disposizione di sua Eminenza la propria cabina” “Non si preoccupi capitano, un po’ di disagio in un lungo viaggio serve comunque ad avvicinarci a Nostro Signore e comprendere per quanto possibile, a noi semplici peccatori, le sofferenze che Suo Figlio ha patito per mondare l’intera umanità dai suoi peccati” “Grazie eminenza, la sua proverbiale bontà è giustamente portata ad esempio per tutti noi” “Grazie figliolo, sono certo che lei abbia fatto del suo meglio, e tutto ciò che è umanamente possibile per rendere questo viaggio il più confortevole possibile a questo vecchio pastore del Signore” disse il cardinale porgendo la mano con l’anello cardinalizio, sul quale Mancina, per il sollievo di essere esonerato da qualunque responsabilità, si avventò in qualcosa che invece di essere un semplice bacio rituale, rischiava di assomigliare ad un vero e proprio rapporto orale. L’imbarazzante situazione venne provvidenzialmente interrotta dal suono della sirena che annunciava l’arrivo dell’ascensore. L’ascensore, come mezzo di trasporto nei viaggi spaziali, era stato introdotto da circa una quarantina d’anni rendendo immediatamente obsoleti i poco capienti e costosi shuttles. La struttura dell’ascensore era in sé molto semplice, si tratta infatti, di un’enorme cabina, divisa in una zona passeggeri e un’altra molto più ampia, dedicata al carico di merci. Come un comune ascensore, è agganciata ad un cavo composto da nanotubi di carbonio legati tra loro da un epossido, che partendo dalla stazione del Monte Bianco raggiunge una grossa base in orbita geosincrona, che funge da contrappeso. A differenza dei comuni ascensori, tuttavia in questo caso il cavo è immobile, mentre è la cabina, o climber, che si muove lungo di esso.


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L’ascensore per salire sfrutta l’energia prodotta dai dispositivi di frenata della cabina in discesa e la forza centrifuga del moto rotatorio terreste, praticamente una sorta di effetto fionda. Allontanandosi progressivamente dalla Terra e dalla sua forza di gravità accelera costantemente, permettendole, così di percorrere le decine di migliaia di chilometri di distanza dalla stazione orbitante in tempi relativamente brevi, divenendo così lo standard per i trasporti dalla superficie terreste alle varie stazioni in orbita attorno alla terra.

^ Stazione Orbitante Ascensore Spaziale “Monte Bianco” – Dock di carico n° 3 – Maria Goretti. 21 agosto 2196 – 15:45 Già da cinque giorni la Maria Goretti era ancorata alla piattaforma orbitante, richiamata in tutta fretta dalla Luna aveva subito in quei giorni più manutenzioni e riparazioni che negli ultimi dieci anni. L’intero equipaggio era stato letteralmente sfrattato dalla nave e solo ad Amedeo era consentito salire sulla nave, e anche in questi casi veniva trattato come un ospite indesiderato e a stento tollerato, sempre tra i piedi dei tecnici al lavoro sulle varie strutture della nave. Un’orda di operai, tecnici, ingegneri si erano impossessati della nave, perfino una trentina di imbianchini erano all’opera sia sulle parti esterne che interne della nave, con particolare cura nelle cabine. Bordin, addirittura, aveva giurato di aver visto una squadra di arredatori aggirarsi nella cabina del capitano. A conferma di ciò, Amedeo e tutti gli ufficiali furono cortesemente invitati da un’occhialuta assistente arredatrice a svuotare le loro cabine di tutti i loro effetti personali. La nave, inoltre, era stata tirata in secco e i lavori procedevano incessantemente giorno e notte per renderla quanto più adatta possibile al trasporto del legato pontificio. Appena sbarcato Amedeo si era recato immediatamente a rapporto, ma nessuno pareva sapere qualcosa riguardo ai suoi ordini o indicargli per quale motivo fosse stato convocato con così tanta urgenza a Monte Bianco.


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Impegnò così il tempo struggendosi nell’incertezza e nell’ansia vagando senza una meta precisa per la base orbitante, e presentandosi più volte alla capitaneria sperando sempre che la situazione venisse chiarita. L’equipaggio era in libertà, dal momento che la nave era interdetta per via dei lavori di ristrutturazione. Non restava che occupare il tempo in attesa di ulteriori notizie. L’unica cosa positiva era che ormai si era convinto che non lo avessero convocato per una qualche punizione o peggio, corte marziale. Lo dimostravano i lavori in corso sulla sua nave. L’unica cosa ancora da chiarire era la natura della missione che gli avrebbero assegnato, naturalmente l’equipaggio speculava su tale argomento a trecentosessanta gradi arrivando alle conclusioni più assurde, dalla vendita della nave a privati come yacht spaziale, da lì le meticolose ristrutturazioni, a quelle oltre l’assurdo, tipo camuffamento della nave per missioni di spionaggio. Fumagalli, naturalmente si asteneva dal formulare qualunque ipotesi. Lui attendeva solo ordini da eseguire alla lettera. Le uniche ipotesi sensate erano quelle del dottore, che gli aveva esposto davanti una bottiglia di cognac in uno dei bistrot che frequentava nel settore francese della base. Italia e Francia avevano infatti condiviso costi e benefici della costruzione della stazione orbitante, visto che il Monte Bianco era la cima più elevata di cui entrambi i paesi si potevano avvalere. Concessione dell’Italia del monte, concessione della Francia di più fondi e materiali. Amedeo muoveva il bicchiere imprimendo al liquore un moto rotatorio lento e costante, lo sguardo perso nelle piccole onde ambrate che la sua mano generava. L’ambiente era piccolo e in penombra, molto intimo, un luogo per coppie, o per vecchi amici in vena di confidenze. Entrambi erano in silenzio da parecchi minuti, ognuno perso nei propri pensieri. Era quella l’amicizia? si chiese Amedeo, la possibilità di poter stare bene con una persona senza sentire il bisogno di riempire i silenzi con una conversazione inutile? Non sapeva se il dottore lo considerava un amico, ma pensava che perlomeno l’ufficiale medico provasse quanto meno stima per lui. Era una delle poche persone, a parte Valeria, che lo facevano sentire profondamente a suo agio. Stufo delle ipotesi campate per aria che l’equipaggio sfornava ogni cinque minuti, anche lui aveva smesso di fare congetture a vuoto, accantonando la


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questione con la fatalità di chi non può fare nulla per cambiare cose che erano già decise a prescindere dalla volontà dell’interessato, quindi aveva accettato volentieri l’invito del dottore in quella piccola riproduzione di scampolo di Francia. “Hai idea di quando ripartiremo?” chiese il dottore alzando lo sguardo verso Amedeo “Non ne ho la più pallida idea. Sono stato anche oggi due volte alla capitaneria e non hanno saputo dirmi nulla” Amedeo tenne lo sguardo fisso, ipnotizzato dal cognac che continuava a ruotare all’interno del suo bicchiere. “Pensi di berlo o stai aspettando che evapori?” “Lei che ne pensa dottore?” chiese con lo sguardo ancora perso nel colore ambrato in movimento. “Di cosa?” “Di tutta la faccenda. L’equipaggio si lancia in ipotesi tra le più assurde” Il dottore si appoggiò allo schienale della panca imbottita, lo sguardo che vagava distrattamente tra le ombre del locale. Piccole oasi di luce lasciavano intravede coppie che si scambiavano dolcezze condite da sguardi languidi. “Tranne il nostro Filippo Fumagalli” precisò Beretta “Tranne lui, certo” “Credo che tutti i lavori di miglioramento non siano per merito delle nostre belle facce, o per le nostre gloriose missioni di trasporto rottami” “Certo che no, ma allora secondo lei cosa mi devo aspettare quando mi consegneranno gli ordini per questa missione” Amedeo alzò finalmente gli occhi per guardare il volto del dottore immerso nella penombra. “Grane” rispose piegandosi verso il tavolo ad afferrare il proprio bicchiere per svuotarlo in solo breve sorso. “Già è quello che temevo, ma di che tipo?” Il dottore fece schioccare la lingua riempiendosi nuovamente il bicchiere. “Credo che stavolta non trasporteremo rottami” la voce leggermente impastata. Amedeo annuì lentamente tornando a dedicarsi al proprio bicchiere. Il giorno seguente un giovane fuciliere di marina, a bordo di un veicolo elettrico, arrivò al molo dove era ormeggiata la Goretti chiedendo del comandante Fiore. Con un senso di ansia mischiato a curiosità Amedeo salì sul mezzo, facendosi condurre verso la propria destinazione dall’autista che gli era stato messo a disposizione. Un lusso mai visto prima e che aveva intenzione di godersi appieno.


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Il fuciliere guidò in silenzio e Amedeo, da parte sua non sentiva alcun bisogno di una conversazione. Si immerse nei suoi pensieri permeati di congetture dell’ultimo minuto sulla natura di quella convocazione. L’ansia placata. Forse lo stoicismo del dottore aveva, alla fine, influenzato pure lui. Dal sedile del passeggero si godette il tragitto osservando l’attività frenetica dei vari attracchi, in cui navi italiane e francesi caricavano o scaricavano materiali e personale. Poco distante si intravedeva la capitaneria di porto, la sua destinazione, ancora poche decine di metri e finalmente avrebbe scoperto il motivo di tutta quella attività frenetica sulla sua nave. Si preparò a scendere aspettandosi di sentir rallentare il mezzo, solo che il fuciliere che gli faceva da autista non solo non rallentò, ma proseguì oltre la capitaneria lasciandosela rapidamente alle spalle e deviando verso una rampa in salita in direzione dei settori superiori della stazione. Sentì nuovamente l’ansia farsi strada. Guardò il suo autista che rimaneva totalmente inespressivo. La sua inquietudine aumentò, quando la piccola vettura continuò a salire di livello in livello fino al sesto, l’ultimo. A quel punto Amedeo si decise a porre la domanda. “Caporale, ma dove stiamo andando?” “Ho l’ordine di accompagnarla al blocco centrale, comandante” intendendo il settore in cui si svolgevano tutte le attività nevralgiche della stazione. Il luogo in cui aveva sede anche lo staff dell’ammiraglio Colatelli, comandante responsabile di tutte le attività militari italiane sulla stazione. Oddio pensò deglutendo a vuoto. Si accasciò sul sedile imbottito, lasciandosi passivamente condurre a destinazione. Chiedendosi più di prima, cosa mai volessero da lui. Il veicolo si fermò davanti all’ingresso dove con le gambe leggermente molli si presentò alla guardiola. “Sono il comandante Fiore” si identificò Il piantone consultò uno schermo: “Prenda l’ascensore, ultimo livello, prego” Ultimo livello. Il gotha del comando della stazione Monte Bianco. Sicuramente grane, grane grosse. L’ascensore impiegò una trentina di secondi a percorrere tutta l’ascesa verso il centro di potere, poi le porte si aprirono su di un ampio locale, nel quale, ad alcune scrivanie, erano al lavoro alcuni impiegati, civili e militari. Si diresse verso una di queste alla quale un sergente stava inserendo dati in un computer.


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“Sono il comandante Fiore della Maria Goretti” si identificò nuovamente. Il sergente guardò prima lui, poi un planning e di nuovo lui. “Entri l’ammiraglio la sta aspettando” “Lei è a conoscenza del motivo della mia convocazione?” chiese al sergente “No signore” rispose questi tornando a rivolgere la propria attenzione ai suoi dati. “Grazie” rispose Amedeo. Povero fesso chissà cosa cazzo avrà combinato pensò il sottufficiale, guardandolo varcare la porta degli uffici dell’ammiragliato. Un paio di giorni prima aveva visto arrivare un paio di alti ufficiali e sentendoli parlare tra loro aveva sentito fare proprio il nome di Fiore. “Sento puzza di corte marziale” confidò con tono saccente al soldato di guardia davanti alla porta. “Povero stronzo, comunque ben gli sta. Odio gli ufficiali” fu il commento lapidario del piantone. “Già, a chi lo dici” Amedeo prese un grosso respiro, e dopo essere stato annunciato da una segretaria con i gradi di sottotenente, entrò nell’ufficio dell’ammiraglio. Davanti a lui seduti attorno ad un tavolo da riunioni c’erano tre ufficiali. Greche e stellette, fece scorrere lo sguardo intorno al tavolo a cui erano seduti. Alla destra dell’ammiraglio, che sedeva al capo opposto del tavolo, un giro di bitta e una greca su sfondo blu: un contrammiraglio della sanità; alla sua sinistra un giro di bitta, due binari e un doppio binario su sfondo nero: un capitano di vascello dello stato maggiore. Con una mano che tremava leggermente si sforzò di eseguire un saluto perfetto. “Tenete Fiore a rapporto signore… signori” si impappinò. Incertezza non colta né sottolineata dai tre, semplicemente ignorata. “Si sieda tenente, abbiamo alcune cose da comunicarle e poco tempo per farlo quindi ci scuserà se saltiamo le normali formalità” esordì l’ammiraglio rispondendo distrattamente al saluto. Amedeo si sedette in silenzio. “Le presento il contrammiraglio Cunetto responsabile del dipartimento della sanità della marina e il capitano di vascello Storti, logistica” Si limitò a rispondere con un cenno del capo ai due ufficiali, troppo intimidito per parlare. Fatte le presentazioni, l’ammiraglio rimase in silenzio qualche istante contemplando la figura seduta al lato opposto del tavolo. Aveva letto il


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dossier sul comandate Fiore, naturalmente, e non si sentiva per niente tranquillo. Trentacinque anni, figlio di un secondo capo in pensione, nessun legame affettivo, e una carriera che sembrava il vademecum del perfetto menefreghista. Un solo comando: quello attuale da tre anni, prima servizi su navi minori, mai incarichi di particolare responsabilità, nessuna nota, nessuna segnalazione sul suo conto da parte dei precedenti comandati sotto i quali aveva servito. Un signor nessuno al comando di una nave semi dimenticata. Si chiese se quel tenente di vascello scaturito praticamente dal nulla, fosse in grado di assolvere a quella delicata missione. Avrebbe preferito avere un’alternativa ma, semplicemente, non ce n’erano. Prendere o lasciare e lasciare non era contemplato. Sospirò prima di parlare. “Bene comandante, abbiamo un grosso problema e lei deve aiutarci a risolverlo” “Farò tutto il necessario, signore” Amedeo cercò una posizione più comoda sulla sedia. “Benissimo, lei è a conoscenza del motivo per il quale la sua nave è stata richiamata d’urgenza a questa stazione? “No signore” “Ottimo, e quello che diremo qui dovrà rimanere tra queste pareti, mi sono spiegato comandante? Solo lei sarà a conoscenza della vera natura della missione che le verrà affidata” “Sì signore” “Anzi a dire il vero è una duplice missione, che si intreccia in maniera inestricabile per quanto imbarazzante” “Imbarazzante… signore?” la sedia pareva divenire sempre più scomoda. “Ecco… vede Fiore…” esitazione nel tono dell’ammiraglio “…il nostro contingente su Marte è stato vittima di un attacco terroristico” “Un attacco terroristico? Non ho sentito nulla del genere signore, i media non ne hanno parlato” “E se lavoreremo bene non ne parleranno mai! Siamo riusciti, non so come, a tenere segreta la vicenda fino ad ora, e così dovrà rimanere, chiaro?” “Certo signore” c’erano delle puntine sulla sua sedia? Cambiò di nuovo posizione. “Bene. Allora, la sua nave dovrà caricare un certo quantitativo di materiale destinato a fronteggiare questo attacco terroristico. Sui container e sulle bollette di carico naturalmente verrà segnato un tipo di materiale che non


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corrisponde a quello effettivamente trasportato. Questo per continuare a mantenere segreta la missione. Il materiale dovrà essere consegnato direttamente al colonnello Guido Ponzi, cioè l’ufficiale sanitario responsabile del nostro contingente su Marte. Le non consegnerà, ripeto non consegnerà, nulla a persone diverse dal suddetto colonnello. Sono stato chiaro?” “Sì signore. Quale sarà l’effettivo carico?” osò Amedeo. “Questa non è un’informazione necessaria tenente” intervenne il capitano di vascello seduto alla sinistra dell’ammiraglio. “Capisco, ma devo sapere se è materiale potenzialmente pericoloso per la nave, se dobbiamo adottare misure particolari per lo stoccaggio e quant’altro.” “Non c’è nessun pericolo e dovrà essere trattato come un qualunque carico che la sua nave trasporta solitamente” “Di solito trasportiamo rottami” “Non si preoccupi, lo faccia stivare normalmente e lo consegni sotto la supervisione del colonnello Ponzi” precisò l’ammiraglio riprendendo le redini della riunione. “Il suo equipaggio è affidabile? Altrimenti siamo in grado di sostituirlo, le ripeto che la riservatezza è vitale, quindi pensi bene se c’è tra i suoi qualche elemento con la bocca larga” Tutti. Pensò subito Amedeo. Forse c’era un fuoco acceso sotto la sedia, resistette alla tentazione di controllare sudando copiosamente. “Rispondo per ogni singolo membro del mio equipaggio, signore” rispose invece pregando di non aver assassinato la sua miserabile carriera. “Bene, perché così sarà. Adesso passiamo alla seconda parte del nostro problema: Lei avrà un ospite in questo viaggio, un ospite estremamente importante, che andrà trattato con il massimo riguardo possibile, lui e il suo seguito. Inoltre sarà con voi il contrammiraglio Cunetto qui presente” disse indicando un ufficiale seduto al tavolo. Cunetto fece un cenno informale di saluto col capo “Lui e una sua equipe medica” concluse l’ammiraglio. “Signore, sinceramente non saprei dove sistemare tutte queste persone; la Goretti è una nave da trasporto l’unico grande spazio che abbiamo è la zona di carico” “Anche di questo non si deve preoccupare tenente, in questo preciso istante si sta già provvedendo affinché la sua nave venga adattata alla situazione” Un sacco di cose di cui non preoccuparsi, pensò preoccupato. Poi fece l’unica domanda che avrebbe potuto avere una risposta. “Posso chiedere chi sarà l’illustre ospite?”


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*** Di ritorno dalla riunione Amedeo trovò la propria nave ancora presa d’assalto da un nugolo di tecnici. Tutti e venticinque i membri dell’equipaggio, tra ufficiali graduati e marinai, erano in fila a guardare come la loro nave veniva presa d’assalto da squadre di manutenzione. L’unico che si agitava e camminava avanti e indietro lungo la banchina era il direttore di macchina Bordin, che appena lo vide gli si avvicinò a grandi falcate. Fumagalli serafico come sempre, effettuò un saluto perfetto al quale Amedeo rispose distrattamente, rimanendo con gli occhi strabuzzati a vedere l’incredibile attività che ferveva dentro e fuori alla sua nave che pareva essersi moltiplicate nelle ultime ore. “Comandante…” “Che succede Fumagalli?” “No lo so signore, ero al circolo ufficiali quando ho avuto notizia che squadre di manutenzione stavano asportando motori e sistemi elettronici. Oltretutto mi hanno impedito di salire a bordo per verificare di quale tipo di lavori si trattasse” “Ma come? Non ha protestato?” “All’inizio veementemente signore, ma non è servito a nulla. Poi, un maleducatissimo tenente di vascello mi ha sventolato sotto il naso un ordine scritto dell’ammiragliato, in cui ci veniva ordinato di mettere la nave a completa disposizione del cantiere navale di questa stazione. Era firmato dall’ammiraglio Colatelli in persona, signore, quindi mi sono fatto da parte.” Gli ordini dall’alto, non si discutono: il dogma di Fumagalli. A quel punto Bordin vide che il capitano era abbordabile e gli si precipitò incontro. “Che succede siòr? Che fanno ai miei motori? Son delicati! Ho fatto delle modifiche, se ci mettono le mani mi rovinano tutto, siòr! Che disastro!” “No lo so Bordin, ma a quanto pare li dobbiamo lasciar fare, ma almeno il comandante della nave potrà pur salire. Chi è il responsabile dei lavori?” “E’ quel primo maresciallo laggiù signore” rispose Fumagalli pronto come sempre, indicando un tipo tarchiato, che con i pugni appoggiati ai fianchi, impartiva ordini con voce stentorea allo sciame di tecnici che gli vorticava intorno. Amedeo gli si avvicinò a grandi falcate:


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“Maresciallo. Sono il tenente di vascello Fiore comandante della Maria Goretti. Esigo un spiegazione” Passò qualche istante prima che il maresciallo si voltasse a fare il saluto all’ufficiale che lo stava interpellando, pareva troppo impegnato ad urlare ordini ad una squadra di meccanici che correva verso l’enorme portellone di carico, portando una quantità impressionante di materiale. “Signore” rispose finalmente il graduato facendo il saluto. “Allora maresciallo che succede?” “Ordini signore, mi è stato detto di rimettere a nuovo questo rottam… hem, questa nave, e ho solo due giorni di tempo. E’ un’impresa disperata.” “Esigo di salire a bordo” “Non è possibile signore, sono in corso parecchi lavori e l’ambiente è pericoloso” “Non importa, maresciallo esigo di salire, e per Dio non credo proprio che debba chiedere il permesso a lei per salire a bordo della mia nave” “Faccia pure allora, signore” disse il maresciallo facendosi da parte. Amedeo non si degnò pure di rispondere, girò i tacchi e si diresse a passo veloce verso la scaletta che portava al portello pressurizzato del ponte di comando. La scena che gli si presentò davanti agli occhi aveva un ché di apocalittico, pannelli smontati, cavi elettrici attorcigliati come serpenti erano sparsi ovunque e letteralmente decine di tecnici che si affaccendavano intorno ad ogni centimetro quadrato della nave. Arrivò, tra mille difficoltà, in sala macchine dove un nugolo di tecnici stava togliendo dai loro supporti i vecchi motori Trieste C1660-IE. Scese la scaletta per arrivare al livello del pavimento della sala macchine, in mezzo a scintille e rumori metallici, schivando tecnici, pezzi di ricambio e attrezzature, fino a giungere al fianco di un tecnico che pareva fosse quello che aveva in mano la situazione. Con una grossa video cartella in mano e il casco di protezione giallo in testa, osservava un grosso paranco agganciare uno dei motori per sollevarlo dal suo alloggio. “Sono il comandante Fiore” urlò Amedeo per sovrastare il rumore “Sono il comandante della nave” “Non dovrebbe essere qui” urlò a sua volta il tecnico. Mantenendo lo sguardo fisso sulla manovra in corso. “E’ la mia nave” Amedeo gli si mise quasi di fronte. “Non dovrebbe essere qui lo stesso. E’ pericoloso” “Voglio sapere cosa state facendo ai miei motori. Perché li state togliendo?”


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La manovra si era conclusa e il motore era stato saldamente posizionato su di un pianale per essere portato via. Solo allora il tecnico si degnò di guardare in faccia Amedeo. “Li stiamo sostituendo, con dei nuovi Isotta Fraschini AV 1025 I, più potenti e affidabili. A proposito mi domando come abbiate fatto a navigare con quei due vecchi rottami, lo sa che non si trovano nemmeno più dei pezzi di ricambio per i vostri motori?” “Perché nessuno mi ha avvertito?” “No lo so signore, io ho ricevuto l’ordine dall’arsenale di sostituire i suoi motori solo stamattina, e di procedere in fretta. Comunque, se ora mi vuole scusare comandante, abbiamo un sacco di lavoro da fare e pochissimo tempo per farlo” salutò e si diresse verso una squadra di operai che stava imbracando il secondo motore. Amedeo rimase ancora qualche minuto ad osservare l’attività degli operai, poi risalì la scaletta per tornare nel lungo corridoio che lo avrebbe riportato a prua della nave. Attraverso le finestre del corridoio sospeso, che attraversava da poppa a prua tutta la stiva, Amedeo poté vedere che la zona carico era stata trasformata in una sorta di magazzino per gli operai e i tecnici che stavano lavorando sulla nave. Una piccola parte della quale notò, stava venendo predisposta per ospitare le brande dell’equipaggio, in quanto gli alloggi sarebbero stati assegnati al cardinale e al suo seguito a partire da quello del comandante fino ai comuni di seconda. Sarebbe stato un lungo viaggio pensò tristemente. Attraversati i settanta metri del corridoio, schivando anche lì operai e macchinari, varcò il portellone che immetteva nella parte anteriore della nave che ospitava il ponte comando, le cabine degli ufficiali e dei capo reparti, gli alloggi dell’equipaggio, l’infermeria, la mensa e il quadrato ufficiali. Distribuiti su quattro ponti. Anche l’infermeria non era stata risparmiata, nuove attrezzature mediche stavano venendo installate, probabilmente per ogni emergenza medica si fosse resa necessaria durante il trasporto del cardinale. Qui bene, molto bene. Risalendo i ponti arrivò a quello di comando dove era ubicata la sua cabina, che trovò rivoltata come un calzino. Riverniciata e con nuovo mobilio che aveva completamente mutato aspetto al piccolo cubicolo al quale era si abituato nei tre anni precedenti. Forse non tutto il male viene per nuocere, pensò.


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Proseguì lungo il corridoio, lanciando una fugace occhiata al quadrato ufficiali, anch'esso in fase di ristrutturazione, ed entrò in plancia, dove parecchi tecnici erano intenti a smontare, rimontare, riconfigurare tutti i sistemi elettronici della sua nave con altri di ultima generazione. Per un istante sentì di provare un profondo affetto per il cardinal Pompini. Soddisfatto, uscì dal portello stagno per raggiungere il suo equipaggio in attesa sulla banchina e riferire le migliorie in atto sulla nave. Appena lo videro gli si fecero incontro. La curiosità dipinta sui loro volti, quindi per prevenire un fuoco di fila di domande tutte uguali parlò per primo. “Signori, da quel che ho potuto vedere stanno completamente rinnovando la nave. Bordin, non stanno mettendo le mani nei suoi motori, ma li stanno sostituendo con dei nuovi, non dovrà più faticare sette camice per farli funzionare” un sorriso sulla faccia del direttore di macchina “Stanno aggiornando anche tutto l’impianto elettronico della nave e installando hardware più recenti in plancia” rivolto a Fumagalli e agli specialisti che operavano in plancia. “Insomma ci stanno ristrutturando la nave” “Ma perché comandante? Visto che fino a ieri per avere un pezzo di ricambio da pochi centesimi quasi lo dovevamo rubare” una voce nel gruppo, forse Faga assistente alle manutenzioni. “Bè, ragazzi sembra che avremo un ospite” “Un ospite signore? Chi è? Se è lecito chiedere” Fumagalli, la voce che tradiva l’eccitazione alla prospettiva di avere un passeggero importante. “Certo Fumagalli. Dia l’ordine, tutti gli uomini in riga e coperti per cortesia” “Sì signore. Uomini in riga e coperti! Att-tenti!” ordinò il comandante in seconda. “Riposo, Fumagalli” ordinò Amedeo dopo che tutto l’equipaggio e gli ufficiali ebbero preso il loro posto. “Ri-poso!” Osservò il suo equipaggio, le linee non erano troppo regolari e le divise non troppo in ordine, alcuni non avevano nemmeno il berretto, ma sulla sua nave andava bene così. “Allora ragazzi, abbiamo una missione diplomatica da compiere. Alla nostra nave è stato affidato l’importante compito di traghettare su Marte un’importante personalità politica, il cardinal Pompini…” Il nome, come prevedibile, suscitò l’irrefrenabile ilarità dell’equipaggio, alla quale Amedeo si unì con un leggero sorriso, e lasciando che per qualche minuto che le battute sul nome del porporato si sprecassero. L’unico a


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rimanere serio come una lapide fu, ovviamente, Fumagalli. Quando l’ilarità finalmente si quietò riprese la parola. “Ragazzi, nonostante il nome, il nostro ospite è una personalità molto importante , Vice-segretario della CEI e presidente del Comitato per la Moralità istituito ultimamente dal Santo Padre. La marina ci ha affidato questo incarico, quindi va trattato, lui e il suo seguito, con il massimo riguardo. Mi aspetto pertanto da tutti voi il massimo, ripeto massimo impegno per rendere il più gradevole possibile il viaggio al cardinal Pomp… (risatine soffocate) a questa importante personalità. Per ogni mancanza in tal senso ne risponderete a me, e non sarò indulgente. Mi sono spiegato chiaramente?!” “Sì signore!” “Fumagalli… equipaggio in libertà” “Equipaggio…! Rompete le righe!” “Comandante? Comandante?” Esposito il responsabile di carico che gli si era avvicinato. “Si Esposito che c’è?” “Hem… Dottò, che stanno facendo alla nave?” “La stanno sistemando Esposito, come ho già detto” “Si… ma… proprio tutta?” Il viso di Esposito era corrucciato e continuava a spostare il peso da un piede all’altro. “E certo Esposito. Mica fanno un lavoro a rate” Amedeo aveva già capito dove il primo maresciallo voleva andare a parare. Era infatti al corrente dei piccoli traffici illeciti che il suo responsabile di carico gestiva, pescando tra il materiale di scarto della marina. Amedeo tollerava, ed Esposito qualche volta aiutava con qualche pezzo di ricambio introvabile, una sorta di muto e mutuo accordo, che finché non travalicava certi limiti poteva essere accettato. “Insomma stanno facendo dei lavori piuttosto approfonditi… che stanno lavorando pure nella mia zona, dottò?” “Tranquillo Esposito…” gli rispose con un tono di voce basso e confidenziale, da cospiratore “Non stanno lavorando nella zona carico, i suoi scomparti segreti sono al sicuro” “Quali scomparti segreti dottò?” si schernì Esposto “Io mi preoccupo per la sicurezza della nave. del carico e soprattutto dell’equipaggio, non vorrei che rompendo qualcosa…” “Certo Esposito, e io che ho detto?” Amedeo si allontanò verso il suo secondo.


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“Eeh, va ‘bbuono dottò” mormorò Esposto tornando verso l’interno della base, dove aveva alcuni affari da svolgere con un certo furiere dell’esercito. “Tenente?” disse rivolto al comandante in seconda. “Sì signore? Che voleva Esposito?” “Eh?! Esposito? Nulla” Fumagalli era un nemico giurato del capo carico. Era fermamente convinto che Esposito fosse coinvolto in traffici poco chiari col materiale della marina, ma non essendo mai riuscito a coglierlo sul fatto o a raccogliere prove decisive dei suoi traffici, non aveva mai potuto prendere provvedimenti disciplinari nei suoi riguardi, e questo lo faceva imbestialire. “Fumagalli mi affido a lei per l’opportuna sistemazione del nostro ospite ed il suo seguito. Naturalmente cederò la mia cabina al cardinale e mi aspetto che anche tutti gli ufficiali e i graduati facciano altrettanto per il suo seguito. Dovrebbero essere circa quindici persone. Inoltre Carolfi dovrà dividere la cucina col cuoco personale del cardinale. Faccia in modo che non succedano guai, conosciamo entrambi Antonio e sappiamo quanto sia geloso delle sue pentole. Se fa troppe difficoltà gli parlerò io, facciamo in modo che non uccida nessuno. Questa è la lista dei nostri ospiti con le loro esigenze e particolarità consegnatami dall’ammiraglio in persona.” disse porgendo al primo ufficiale una video cartella. ”Tutto chiaro?” “Perfettamente signore, provvedo immediatamente all’assegnazione dei posti e alle opportune modifiche per la sistemazione del cardinale.” “Bene Fumagalli vada pure” lo congedò rispondendo al suo saluto. Quando tutti se ne furono andati gli si avvicinò il dottore. “Allora Amedeo sembra che avremo ospiti importanti?” “Come si sente dottore?” “Non peggio del solito” “Forse si dovrebbe riguardare di più” “Già… forse. Allora? Ti trovo molto più sollevato di quando sei andato a rapporto. Devo desumere che la faccenda non ti sia del tutto sgradita, vero?” “La faccenda è sicuramente un grana, come mi aveva predetto lei, tuttavia i vantaggi sono molti. Ha visto come ci hanno sistemato la vecchia Goretti? In condizioni normali avremmo quasi dovuto uccidere per farci sostituire una vite. A proposito ci sono attrezzature nuove anche in infermeria. Ultimo modello” “Non lo metto in dubbio visto l’importanza del nostro ospite. Non si sa mai che debba subire un trapianto di cuore durante il tragitto… tutto sta nel vedere chi dovrà donarlo”


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“Non la vedo particolarmente entusiasta” “Lascia perdere. Ma non prendere sottogamba questa missione, anche se tutti i nuovi giocattoli ti entusiasmano. Avere a che fare contemporaneamente con un simile personaggio e lo stato maggiore, può essere molto pericoloso per una carriera, soprattutto con un equipaggio come il tuo” Amedeo fissò gli occhi arrossati del dottore sentendo che parte del suo buon umore lo stava abbandonando. “Tanto peggio di così… e poi dove vuole che vada la mia carriera” “Già…” rispose laconico Beretta allontanandosi in direzione dello spaccio della base. “Non sparisca anche stavolta dottore, o partiremo senza di lei!” gli urlò Come tutta risposta il dottore agitò un braccio in segno di saluto senza nemmeno voltarsi. Ora rimaneva il problema di come occupare il tempo fintanto che la nave non fosse tornata agibile. Ci sarà qualcosa da fare a bordo della stazione che non sia necessariamente doversi rintanare al circolo ufficiali? Sicuramente.

^ Presidio italiano su Marte: “Campo Garibaldi” settore Schiaparelli – Ospedale da campo. 21 agosto 2196 – 19:45 Il colonnello Guido Ponzi era in uno stato d’animo che ormai rasentava la disperazione. Altri centoventitré casi di malattie veneree erano stati diagnosticati da quando aveva mandato il messaggio tredici giorni prima, e i decessi erano saliti a venti. L’ospedale da campo, già allora vicino al collasso, ora era vicino a divenire una bomba biologica. Non solo l’epidemia si diffondeva con rapidità sorprendente, ma anche tutti quei corpi ammucchiati uno vicino all’altro, il calore e le condizioni igieniche, rese precarie dalla situazione di enorme sovraffollamento, rendevano concreta la possibilità che si sviluppassero nuove patologie epidemiche.


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Allora sarebbe stata veramente la fine. I suoi ripetuti appelli, alle autorità militari, erano stati puntualmente confortati dall’assicurazione che sulla Terra si stava facendo tutto il possibile per arginare la situazione. Intanto, però, su Marte le cose precipitavano. Altri otto casi conclamati solo il giorno precedente e quel giorno ancora altri quattro. Oltre a ciò i due ufficiali della sanità dovevano far fronte anche elle irrefrenabili pulsioni sessuali dei ricoverati, i quali nonostante le loro condizioni, cercavano continuamente di accoppiarsi. Quasi a nulla era valso separare i pazienti maschili dalle donne, segregate in un hangar della base sottoposto a sorveglianza armata, entrambi trovavano i modi più ingegnosi per soddisfare i loro istinti. Una neurotossina presente nel sangue dei malati, toglieva infatti ogni freno inibitore, trasformando uomini e donne in una sorta di animali governati dall'istinto, che dopo qualche giorno di intensa attività sessuale cadevano esausti privi di forze. Condizione nella quale rimanevano fino alla morte. Gli effettivi in grado di operare erano ormai ridotti a circa il trenta percento del contingente iniziale, praticamente non c’era più personale per svolgere le funzioni di difesa e pattugliamento, e le sue richieste di rivolgersi, per avere assistenza, alle forze internazionali presenti sul pianeta, erano state tutte categoricamente rifiutate dall’IT-JFHQ. Ordini del COI continuavano a ripetere. Il guaio era che una nave, per coprire il tragitto dalla terra a Marte in quel periodo, avrebbe dovuto percorrere trecentosettanta milioni di chilometri, quindi, nella migliore delle ipotesi, cioè che venisse impiegata una delle navi più veloci della flotta, almeno otto giorni di viaggio. Altri otto giorni di attesa impotente; e solo se la nave fosse partita il giorno stesso! Campo Garibaldi, alla fine, era stato inevitabilmente isolato, quindi non poteva ricevere rinforzi e più il tempo passava senza prendere contromisure, più la situazione sarebbe diventata critica. Ponzi era sfinito, prima si era trasferito da Ares a Campo Garibaldi per essere attivo sul posto, dove si era installato in un angusto sgabuzzino riconvertito ad ufficio dotato di una brandina da campo, al fine di mettere a disposizione dei malati la stanza che aveva occupato al suo arrivo. In quel momento stava provando a chiudere gli occhi, dopo trentasei ore filate di assistenza continua ai pazienti, e cercando nel contempo di


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escogitare sistemi di cura con i pochissimi mezzi che aveva a disposizione, passando gran parte del tempo in laboratorio, assistito dal capitano Gandolfi. Il laboratorio era rimasta l’unica parte dell’ospedale non ancora completamente invasa da barelle improvvisate. Anche i letti degli alloggi del personale erano finiti, alla fine era stato necessario utilizzare le barelle da campo. Era ormai evidente che la malattia era stata geneticamente modificata, in quanto il suo decorso era innaturalmente veloce, almeno dieci volte quello normale, mentre le pulsioni sessuali irrefrenabili di chi veniva contagiato erano dovute a tossine che centuplicavano la produzione di ormoni. Le conclusioni erano che senza l’arrivo di nuovi medicinali dalla Terra, in pratica non avrebbe potuto fare nulla. Tutta la zona italiana di Schiaparelli era stata messa sotto una discreta, ma inflessibile quarantena che per il momento aveva evitato il diffondersi dell’epidemia alle zone circostanti. Restava da capire come il personale venisse contagiato, l’acqua era da escludere tutte le fonti erano state controllate dando risultati negativi, ma che per precauzione erano comunque state sigillate. Il personale utilizzava solo acqua confezionata assolutamente sicura. Se il contagio fosse aerobico anche lui ne sarebbe stato contagiato, ma questo non era avvenuto, perché? Qual’era la discriminante tra lui e gli altri che venivano contagiati? Stancamente si massaggiò le tempie per lenire un po’ l’emicrania che non lo mollava un attimo ormai da giorni, quando un caporale entrò senza tanti complimenti - le formalità erano state messe da parte - nel bugigattolo. “Signore?” “Si? Che c’è?” “Una comunicazione per lei da parte del contrammiraglio Cunetto” “Arrivo” Con un notevole sforzo, fisico e di volontà, si alzò dalla sedia e strascicando i piedi si recò nella sala comunicazioni. Nel suo nuovo piccolo ufficio non c’era spazio sufficiente per installare alcun mezzo di comunicazione. “Ponzi, signore” disse mettendosi davanti al piccolo schermo olografico che riproduceva il viso del contrammiraglio, in quel momento a trecentosettanta milioni di chilometri di distanza. “Allora colonnello, qual è la situazione?” esordì Cunetto senza tanti preamboli. “Pessima signore, senza i farmaci e le attrezzature che abbiamo richiesto non vedo vie d’uscita”


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“L’ ETA per il materiale è previsto fra undici giorni” “Undici giorni?” Ponzi non riusciva a credere a quello che il contrammiraglio gli stava dicendo “Undici giorni… Signore fra undici giorni non ci sarà più un solo uomo o donna in salute, abbiamo avuto altri quattordici decessi, la malattia evolve in modo incredibilmente rapido, ho un ospedale concepito per cento posti letto, e attualmente i ricoveri sono circa settecento e il personale ancora operativo è al trenta percento in rapida diminuzione” “Lo so colonnello, abbiamo ricevuto tutti i dati che ci ha inviato. Un ottimo lavoro tra l’altro, ma più di così non riusciamo a fare, lei sa meglio di me quali siano i tempi necessari ad arrivare fino a voi, ci sono dei limiti fisici che non possiamo eludere” “Signore con tutto il rispetto, ma sto curando questa malattia con dell’aspirina, sto dando gocce di aranciata con l’acqua ai malati dicendogli che è una medicina, la situazione rischia veramente di sfuggire al controllo. Anzi è già fuori controllo. Dobbiamo usare personale armato per tenere separati i pazienti che continuano a cercare di accoppiarsi con tutto ciò che gli capita a tiro. Signore, la imploro di permettermi di chiedere aiuto alle forze internazionali presenti sul pianeta, oppure, a questo punto, è mio dovere comunicare che non posso più garantire il controllo della situazione” “Capisco colonnello, ma purtroppo non posso darle questo permesso. Si attenga alle ultime direttive ricevute in merito e faccia del suo meglio, come ha fatto fin’ora. La quarantena deve essere garantita a qualunque costo, ma di questo si sta già occupando il comandante dell’IT-JFHQ” “Sì signore” la voce era quasi un sussurro rassegnato, che non sfuggì a Cunetto. “Colonnello” disse con un tono più pacato possibile “C’è qualcuno li con lei?” “Sì signore l’operatore alle comunicazioni” “Lo faccia uscire” “Filippo, per cortesia, mi vuoi scusare?” “Certo signore” rispose il caporale lasciando il locale e chiudendosi la porta alle spalle. ”Sono solo signore” “Bene Ponzi, senta… comprendo perfettamente la sua situazione, mi creda, sono attualmente alla stazione orbitante Monte Bianco e sto per partire con una equipe per portarle aiuto, anche se credo che, come dice lei, giungerà troppo tardi. Purtroppo nella faccenda si è infilata la politica, da qui il divieto di divulgare la notizia della situazione. Tenga duro e faccia quello


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che può. Sappia che per quanto possibile e per quanto possa essere utile capisco perfettamente la sua situazione e le assicuro che lei ha ed avrà, il mio assoluto appoggio” “Grazie signore faremo del nostro meglio” “Lo so colonnello, tenga duro. Chiudo” Ponzi rimase a fissare per qualche istante lo schermo vuoto, poi emise un profondo sospiro e ricorse a tutte le sue energie per alzarsi e trascinare i piedi fino al laboratorio di analisi.

^ Stazione Orbitante Ascensore Spaziale “Monte Bianco” – Dock di carico n° 3 – Maria Goretti. 23 agosto 2196 – 17:05 Un nuovo piano di volo, che sostituiva il precedente aveva posticipato la partenza di tre giorni e sulla Goretti se ne approfittava per procedere ancora a qualche modifica e aggiornamento, sebbene il grosso del lavoro fosse concluso. Quando Amedeo aveva potuto finalmente rimettere piede sulla sua nave quasi non l’aveva riconosciuta: era praticamente stata rimessa a nuovo. Si era recato al dock di carico con Bordin, Fumagalli, l’ufficiale di rotta Aschieri, e l’ufficiale medico Beretta. Dopo una breve ispezione alla sala macchine Bordin era praticamente in estasi, i vecchi motori ionici, più volte rappezzati, erano stati sostituiti con il modello più recente che la nave potesse portare. Bordin sembrava un bambino la mattina di natale. Anche tutta la strumentazione in plancia era stata aggiornata sia nelle parti hardware che software, e qui Aschieri apparve un po’ preoccupato, poiché non era sicuro di destreggiarsi bene con i nuovi programmi. Tuttavia un tutor olografico con le sembianze di Einstein, sembrava potesse risolvere il problema e Aschieri si mise subito ad aggiornarsi, sgranando una serie di domande tecniche all’immagine olografica. Amedeo e il dottore proseguirono, lasciando in plancia anche Fumagalli ad aggiornarsi sui nuovi sistemi installati nella centrale operativa.


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Lasciati i tecnici ai loro nuovi giocattoli, Amedeo e il dottore rimasero soli a girare per la nave. Il dottore non sembrava particolarmente ansioso di vedere l’infermeria, che era stata anch’essa completamente rinnovata. “Allora che ne pensa dottore? Non vuole vedere l’infermeria?” gli chiese Amedeo notando che il dottore continuava a girare apparentemente a vuoto lungo la nave. “Non particolarmente” “E perché? Non è contento che finalmente ci abbiano consegnato tutto quello che non osavamo nemmeno sperare per la nostra carretta?” “Certo che sono contento, ma chissà perché, ho l’impressione che più che un regalo sia un prestito, ma spero di sbagliarmi, ovviamente” “Ma cosa dice? E perché ci avrebbero dato tutto questo se poi ce lo volessero togliere?” “Per una ragione molto semplice caro mio. Politica” “Politica? Ma che centra” “Amedeo a volte la tua ingenuità è veramente disarmante” “Si spieghi meglio dottore” disse Amedeo sentendosi punto sul vivo dal tono condiscendente del suo ufficiale medico. Beretta sospirò come se si accingesse a spiegare qualcosa di ovvio ad un bambino un po’ tardo. “Amedeo… dobbiamo dare un passaggio su Marte ad un’alta carica del Vaticano, giusto?” “Giusto, e per questo che ci hanno ristrutturato la nave, ma non vedo per quale motivo non rendere permanenti le modifiche” “Nessun motivo, in effetti, ma la presenza del cardinale non è l’unica ragione di questi cambiamenti, o meglio non quella principale” “E quale sarebbe?” Si trovavano sul ponte inferiore, dove c’erano i servizi igienici e i dormitori dell’equipaggio, davanti alla porta pressurizzata che dava accesso alla stiva. “Hanno fretta. Allora… dobbiamo ospitare questo pezzo da novanta, quindi di mezzo c’è senz’altro l’ufficio politico della marina, e quelli ci tengono molto, anzi moltissimo alle apparenze, quindi se la marina avesse potuto scegliere con che nave portare il cardinal Pompini su Marte, pensi che avrebbe scelto la nostra?” Vedendo che Amedeo rimaneva in silenzio il dottore continuò col suo ragionamento. “Certo che no, anche perché qualunque altra nave sarebbe stata più veloce della nostra, quindi l’unica spiegazione è che la nostra fosse, malauguratamente per la marina, l’unica nave a disposizione, e questo


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spiega il rientro precipitoso dalla Luna e l’attività degna di un formicaio a cui abbiamo assistito un questi giorni. Scommetto che non dovremo solo trasportare un prelato e il suo seguito su Marte. I motori che piacciono tanto a Bordin servono perché qualcuno vuole che noi arriviamo il prima possibile su Marte. E non per fare un favore al cardinale, ci puoi scommettere. Contemporaneamente si doveva allestire la scenografia per il teatrino destinato ad uso dell’illustre cardinale, ma come ogni scenografia, alla fine dello spettacolo viene smantellata. Non ti ci abituare troppo a tutti i nuovi giocattoli tecnologici.” “Bè, ma ormai che li hanno installati perché poi ce li dovrebbero togliere?” disse Amedeo profondamente impressionato dalle capacità deduttive del dottore, che con solo pochi indizi era arrivato incredibilmente vicino ad indovinare la vera natura della loro missione. “Scusa, tu lasceresti tutti questi costosissimi e avanzatissimi marchingegni su una carretta dello spazio che per lo più trasporta rottami e rifiuti dalle zone più remote del sistema solare? O li utilizzeresti per qualche nave con scopi ben più pratici e bellici?” Il silenzio di Amedeo fu più che eloquente. “Bè? Allora andiamo a visitare la mia nuova infermeria, o no?” disse il dottore, iniziando a salire la scala metallica che portava al ponte superiore. “Certo andiamo” sospirò Amedeo. “Non te la prendere Amedeo” cercò di consolarlo il dottore “In fin dei conti che ci frega di tutta questa chincaglieria luccicante, hai sempre portato a termine tutte le missioni che ti sono state affidate in modo egregio” “Già, sai che roba, l’operatore ecologico del Sistema Solare” “Andiamo Amedeo, forse sono stato troppo negativo, lo ammetto, ma è il mio umore di oggi che non è dei migliori” cercò di scherzare il dottore nel tentativo un po' goffo di tirargli su il morale “Non farti influenzare dal mio pessimismo cosmico, è uno stato mentale che mi affligge da anni e spesso non mi accorgo che tendo ad influenzare anche chi mi sta intorno. Ah! Ecco l’infermeria!” disse entrando baldanzosamente oltre la porta scorrevole e fermandosi sulla soglia a dare un’occhiata d’insieme. “Per Dio!” esclamò “Qui si potrebbero effettuare interventi di neurochirurgia avanzata!” affermò iniziando a ispezionare le varie nuove strumentazioni, che per le loro dimensioni molto più ridotte rispetto alle precedenti, facevano sembrare l’infermeria più ampia di come era apparsa fino a quel giorno. “Certo non hanno badato a spese per la salute del nostro ospite. Bè non è certo un semplice marinaio…” disse più a se stesso che ad altri, continuando


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ad ispezionare le nuove strumentazioni, ma stavolta notò Amedeo, l’ombra di un sorriso era apparsa sul suo volto. Amedeo notò con piacere come il dottore, lasciatosi alle spalle il suo cupo pessimismo, in fondo godesse dei suoi nuovi strumenti tanto quanto Bordin dei suoi nuovi motori. Gli fece anche piacere vederlo finalmente interessato a qualcosa che potesse accendere il suo interesse. Naturalmente le motivazioni del suo entusiasmo erano differenti da quelle del direttore di macchina, quest’ultimo infatti apprezzava la perizia tecnica e le prestazioni che i nuovi motori potevano dare in termini di velocità fine a se stressa, nel dottore, invece, c’era una gioia più profonda. Quest’ultimo infatti vedeva i suoi nuovi strumenti, non come un semplice prodigio della tecnica che gli facilitasse il lavoro, ma un qualcosa che gli consentiva di essere ancora più utile a chi ne avesse bisogno. Amedeo uscì in silenzio lasciandolo ad ispezionare i suoi nuovi giocattoli, come li aveva definiti qualche istante prima, e prese a girare per la nave approfittando del fatto di essere solo per fare in pace le sue considerazioni. La trasformazione era davvero stupefacente. Naturalmente visto il tempo a disposizione erano state effettuate per lo più ristrutturazioni superficiali, ma che comunque nel loro insieme avevano radicalmente cambiato l’estetica della nave. La sua ispezione non si limitò esclusivamente all’estetica, naturalmente aveva apprezzato tantissimo i miglioramenti apportati alla sua cabina, ma, contrariamente a quanto potesse pensare di lui Fumagalli, Amedeo era un capitano attento che conosceva e ci teneva a conoscere ogni singolo dettaglio della sua nave, quello che poteva e quello che non poteva fare e soprattutto fino a che punto avrebbe potuto spingerla in caso di emergenza. Pochi lo sapevano, forse solo il dottore, ma Amedeo avrebbe potuto egregiamente sostituire, in qualunque momento, qualunque membro del suo equipaggio (ad eccezione della cucina), dall’addetto alle armi al direttore di macchina Bordin, che rimaneva comunque un incredibile genio dell’ingegneria rappezzativa come amava definirsi lui stesso. Quindi aspettò che tutti avessero lasciato la nave, dopodiché reparto per reparto approfondì la propria conoscenza, partendo dai nuovi motori, fino ai nuovi strumenti installati in plancia e a tutto quello che di vitale era stato modificato sulla Goretti. Gli ci vollero diverse ore e quando ebbe finito era notte. Tutti i membri dell’equipaggio, siccome la nave era ancora in secca, venivano alloggiati all’interno della base, quindi Amedeo era solo.


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Godette del silenzio che regnava sulla nave appoggiandosi mollemente sulla propria poltrona di comando, cercando di cogliere quell’energia vitale che ogni nave riusciva a trasmettere a quanti erano in grado di percepirla. Era vecchia, brutta, malandata, rappezzata e disprezzata da tutti, non aveva mai visto un combattimento, ma lui, inspiegabilmente, l’amava, contrariamente a Fumagalli, che letteralmente scalpitava per abbandonarla, lui aveva fatto di tutto per rimanerci. Certo le occasioni di far carriera non gli erano mancate, ma aveva sempre fatto in modo di lasciarsele sfuggire, per rimanere con la sua nave e il suo equipaggio composto di reietti e perdenti. Gente che nessuno voleva, un’umanità variegata e variopinta e con un senso della disciplina quantomeno discutibile, ma in grado, Amedeo ne era convinto, di poter affrontare qualunque situazione; a modo loro certo, ma non li avrebbe cambiati con nessun super esperto efficiente e freddo tecnico super addestrato. Rimaneva il fatto che lui non voleva andarsene. Forse perché cercava di schivare le grandi responsabilità di un comando più prestigioso... non lo sapeva, forse il dottore avrebbe potuto dare una risposta adeguata sui veri motivi della sua mancanza di ambizione, lui non li conosceva e basta. E non li voleva nemmeno conoscere, gli andava bene così. Sentiva che avrebbe fatto meglio per la marina, che peraltro, contrariamente alle apparenze, amava, su quella carretta che su di una qualche scintillante e super tecnologica nave da guerra, dove sarebbe stato uno dei tanti anonimi ufficiali in competizione fra loro. Chiuse gli occhi e sentì il proprio corpo che si adattava a quella poltrona sulla quale si era seduto innumerevoli volte. Decise che avrebbe dormito nella sua cabina, anche se formalmente era stata ceduta al cardinale, pensò che tuttavia nessuno se ne sarebbe accorto o risentito, e poi quella era la sua nave, lui ne era il comandante e quindi poteva fare quello che voleva. Era assorto in questi pensieri, quasi sulla soglia del sonno quando un lieve rumore turbò la calma pressoché assoluta della nave deserta. Deserta appunto, quindi cosa aveva provocato quel rumore? Chi ci poteva essere sulla nave a quell’ora oltre a lui? In silenzio si alzò cautamente dalla poltrona, cercando di fare il meno rumore possibile e trasalì quando le porte pneumatiche della plancia si aprirono sibilando in un modo che parve assordante in quel silenzio assoluto.


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Rimase immobile in ascolto qualche istante, cercando di capire se qualcuno si stesse avvicinando. Improvvisamente si rese conto di essere disarmato. Avrebbe potuto passare dalla sua cabina se ci fossero ancora i suoi effetti personali, ma li aveva portati tutti, compresa la pistola d’ordinanza, negli alloggi della stazione assegnati al suo equipaggio. Sempre cautamente entrò nel corridoio dietro la plancia, sul quale si affacciavano la sua cabina, quella di Fumagalli e il quadrato ufficiali. Tutto era assolutamente silenzioso, tanto che per un attimo credette di essersi immaginato tutto. Percorse il corridoio in tutta la sua lunghezza, muovendosi lentamente e senza far rumore, avvicinandosi alle scale che lo avrebbero portato ai ponti inferiori. Fortunatamente le scarpe in dotazione agli equipaggi avevano la suola di para, per evitare di scivolare sui ponti o sulle scale delle navi, e che in quel momento aveva un pregio in più: non facevano nessun rumore. Cominciò a scendere la scaletta di metallo che portava al ponte inferiore, quando sentì una porta aprirsi. Si immobilizzò immediatamente, rendendosi conto di essere perfettamente visibile a chiunque ne fosse uscito. Rimase immobile e in silenzio qualche istante pronto a reagire, ma non gli si parò davanti nessuno e questo gli diede il tempo di nascondersi dietro alcuni macchinari lasciati dagli operai. Da quella posizione era in grado di osservare il corridoio sotto di lui senza essere visto; la porta che si era aperta era quella dell’infermeria. Qualcuno che fosse venuto a rubare dei medicinali? Accadeva qualche volta che nelle navi qualcuno si introducesse per rubare vario materiale, tra cui i medicinali, per questo le navi erano spesso piantonate da fanti di marina. Ma quando le navi erano tirate in secco, questa precauzione veniva considerata inutile, in quanto la nave all’interno degli immensi hangar di manutenzione, veniva considerata in un luogo sicuro, dove avevano accesso solo i tecnici addetti alle riparazioni e sigillato a chiunque altro. Evidentemente non era così. Inoltre pensò, il cardinale sarebbe giunto solo il giorno dopo, e il discorso di attentati terroristici che gli aveva fatto l’ammiraglio gli tornò alla mente in modo sinistro. Deglutì a vuoto. La porta rimase aperta qualche istante, lasciando uscire dall’interno dell’infermeria solo una chiazza di luce bianca, forse chiunque ci fosse, lo


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aveva sentito e si stava preparando a tendergli un agguato non appena lui avesse cercato di entrare. Rimase quindi nascosto, in silenzio, poi improvvisamente mentre la porta iniziava chiudersi una figura balzò fuori brandendo in mano un piccolo oggetto come se fosse un coltello. La porta si chiuse immediatamente alle spalle dell’intruso facendo ripiombare il corridoio nella penombra. Su tutta la nave erano in funzione le luci di servizio, piccole lampadine che emettevano una luce verde così fioca da essere appena sufficiente per non andare a sbattere contro qualche oggetto. Luce quindi, troppo tenue per riuscire a distinguere da quella, seppur breve distanza, chi fosse, ma l’atteggiamento era decisamente aggressivo. Amedeo si sentì terribilmente esposto e nudo senza nessuna arma con cui affrontare la situazione, mentre la figura continuava a muoversi furtivamente brandendo l’arma che aveva in mano in ogni direzione, pronta a colpire. Era senza dubbio un militare, Amedeo lo capiva da come si muoveva. Uno dei fanti di marina? Sarebbe stato nei guai allora perché lui non aveva l’addestramento adatto a fronteggiarne uno, specialmente a mani nude, era un marinaio, non un soldato addestrato al corpo a corpo. Forse avrebbe potuto dare l’allarme, avvertendo i piantoni che sorvegliavano l’ingresso dell’hangar, che un intruso si era introdotto sulla sua nave. Lentamente, quasi strisciando cercò di avvicinarsi alle scale ringraziando ancora una volta il cielo per le suole di para delle sua scarpe. Si mosse lentamente tenendo d’occhio la figura che ora era intenta ad ispezionare la parte opposta del corridoio, pronta ad affrontare qualunque cosa fosse balzata fuori da una delle altre porte presenti su quel ponte. Amedeo intanto aveva raggiunto il corridoio del ponte ed in quel momento si rese conto, era perfettamente esposto alla vista dell’uomo. Stava per affrontare il primo gradino quando il rumore che aveva udito in plancia si ripeté. Istintivamente si immobilizzò, cosa che diede l’opportunità all’intruso che si era girato verso la fonte del rumore di vederlo perfettamente. Anche Amedeo si girò e per un attimo si fronteggiarono nella semioscurità verdastra del corridoio. “Chi è la?! Fermo!” disse la figura avventandosi contro di lui. Amedeo sentì i propri muscoli contrarsi pronti a balzare contro il suo assalitore. Non si sarebbe fatto sopraffare da un volgare ladruncolo senza nemmeno battersi. La figura era ormai a pochi passi da lui e si avvicinava decisa.


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Quello che aveva in mano era sicuramente un’arma anche se Amedeo non riusciva ancora a distinguerla, pareva un aggeggio lungo e sottile con un piccolo ma intenso puntino di luce bianca ad una estremità. Troppo piccolo per esser una torcia Poi l’intruso fu alla sua portata e Amedeo fu pronto a scattare. Spiccò un balzo repentino cercando contemporaneamente di cogliere l’intruso di sorpresa, afferrare l’arma e di colpirlo al volto. Troppe cose tutte insieme. L’uomo si scansò di lato e Amedeo si sentì sollevare da terra e poi sbattere violentemente sul pavimento. Venne immobilizzato in posizione prona da mani che avevano una presa ferrea, e il suo braccio, non sapeva come, era finito piegato contro la sua schiena provocandogli un dolore tremendo alla spalla che gli impediva qualunque movimento. L’intruso era alle sue spalle, anzi proprio sopra di lui e lo schiacciava sul pavimento, con la coda dell’occhio vide un luccichio metallico e si sentì spacciato. “Amedeo!” senti sussurrare con sorpresa dall’intruso, mentre la pressione sulla sua schiena spariva improvvisamente e il suo braccio tornava libero. “Amedeo, ma che fai?” Chiese l’uomo alle sue spalle. “Dottore, che fa lei?” chiese a sua volta senza girarsi avendo riconosciuto la voce del suo ufficiale medico. Si massaggiava il braccio cercando di capire se ne avesse ancora l’uso. Si, funzionava ancora. “Ho sentito un rumore e siccome pensavo di essere solo sono uscito a controllare se c’era un qualche topo di nave in cerca di souvenir. Poi ho visto qualcuno muoversi nell’ombra. Ma ho gridato di stare fermo, non mi hai riconosciuto?” “No. Ero troppo concentrato a non farmi ammazzare” “Bè, scusa” “Non fa nulla dottore, solo mi ricordi di non litigare mai con lei” disse massaggiandosi la spalla indolenzita. “Comunque cosa ci fa sulla nave? E combinato a quel modo per di più?” “Potrei farti la stessa domanda. Comunque sono tornato da poco da una festicciola” Entrambi infatti indossavano, al posto della divisa, le più anonime e comode tute grigie da lavoro della marina che ognuno aveva in dotazione, e sicuramente in quella luce fioca i gradi non erano certo distinguibili.


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Inoltre il dottore aveva in testa un panama che si era procurato chissà dove e sopra la tuta indossava una specie di camicia hawaiana. “Mi rilassavo e mi aggiornavo sulle nuove tecnologie che ci hanno installato e mi sono assopito, ma pensavo di essere solo” “Un pensiero in verità sciocco quando si fa parte di una popolazione di venti miliardi di individui, non trovi? E comunque nemmeno noi due siamo soli su questa nave” “Già qualcun altro c’è di sicuro. Comunque cos’è che ha in mano da brandire come arma?” gli chiese indicando lo strumento che il dottore stringeva in mano e che aveva usato contro di lui. “Oh… è un bisturi laser, non serve a nulla da lontano, ma se si arriva ad un corpo a corpo perlomeno qualche danno lo fa” “Bene adesso mi sento più tranquillo a sapere quanto pesantemente siamo armati” ironizzò Amedeo e il dottore si lasciò scappare una risata sommessa. Il dottore era un culture sia dell’ironia che del sarcasmo comunque e dovunque. “Allora che facciamo comandante? Diamo l’allarme?” “No prima voglio capire cosa sta succedendo. Già la nostra reputazione non è delle migliori e non voglio peggiorarla con una figura di merda per un allarme ingiustificato” “Giustissimo. Dopo di lei signore” ironizzò a sua volta il dottore indicandogli le scale che scendevano al ponte inferiore. Quando giunsero al ponte C, il penultimo della nave, si fermarono un attimo in ascolto. Il pensiero degli attacchi terroristici si riaffacciò alla mente di Amedeo. “Dottore” sussurrò “ Devo dirle una cosa” Beretta si girò verso di lui e accorgendosi dell’espressione ansiosa di Amedeo rimase in silenzio. “Vede non dobbiamo trasportare solo il cardinale domani…” iniziò angosciato nel rivelare informazioni riservate, anche se del dottore sentiva di potersi fidare ciecamente. Tuttavia se come temeva avrebbero dovuto affrontare dei terroristi che stavano trafficando sulla nave, il dottore doveva essere messo al corrente dei suoi sospetti. “Ah no?” “Bè… ecco non dovrei dirglielo…” “Allora non dirmelo” lo interruppe il dottore intuendo il dilemma interiore di Amedeo “Chiunque ci sia di intruso su questa nave lo affronteremo con la massima prudenza, senza atti inutilmente eroici, e nel caso ci dovessimo


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rendere conto di non poterlo affrontare daremo subito l’allarme. D’accordo?” “Grazie dottore” provando ancora più stima per quell’uomo così strano e così arguto. “Allora muoviamoci” Avanzarono lentamente seguendo il corridoio che correva tutt’intorno alla zona di carico per una lunghezza di duecento metri e che abbracciava, a quindici metri di altezza, il regno del primo maresciallo Esposito. Avanzavano cauti, sbirciando ogni tanto attraverso gli oblò, che posizionati lungo il corridoio, permettevano di osservare la stiva, quando sentirono di nuovo quel rumore, ora molto più distinto. Era come se qualcuno appoggiasse qualcosa di pesante al suolo, e il suono proveniva indubbiamente dalla stiva della nave. Entrambi si immobilizzarono restando in ascolto, ma il rumore non si ripeté. “Sembra come se qualcuno stia movimentando qualcosa, la sotto” osservò il dottore cercando di sporgere solo gli occhi appena al di sopra del vetro, ma senza riuscire a vedere nulla nella penombra verde sotto di lui. Poi i due uomini si scambiarono uno sguardo d’intesa, ma fu Amedeo il primo a parlare, anche se era sicuro il dottore c’era arrivato prima di lui. “Sta pensando a quello che penso io dottore?” “Assolutamente, ma in ogni caso, non abbandoniamo troppo presto ogni prudenza per poi pentirci troppo tardi delle nostre intuizione errate.” “Certo” “Scendiamo e sveliamo il mistero” disse camminando lentamente verso la scala a metà corridoio. Amedeo lo seguì, attento anche lui a non fare il minimo rumore. Scesero fino ad arrivare dietro lo stipite del portellone laterale della stiva e prudentemente si sporsero, ma nella penombra non riuscirono a distinguere nessun movimento, cosa che riacutizzò i timori di Amedeo. Provò un brivido lungo la schiena, mentre aguzzava la vista cercando di vedere quello che sperava, il cuore accelerò i battiti, quando il dottore gli diede una gomitata e gli fece cenno di guardare in un punto della stiva, dove due figure erano indaffarate attorno ad un piccolo trans-pallet. Entrambi tirarono un sospiro di sollievo. Una quarantina di metri da loro infatti, dalla parte opposta della stiva, videro Pasquale Esposito intento in uno dei suoi traffici clandestini. Non riuscirono a vederlo distintamente, ma non c’erano dubbi sull’identità di una delle due figure che trafficavano nella stiva. “Porca miseria!” imprecò Amedeo, il dottore si limito a sghignazzare.


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“C’è poco da ridere, dottore. Mi è quasi venuto un infarto” “Probabilmente tu ne sai più di me per farti venire un infarto, ma ora che la situazione si è chiarita non negherai che si presenta assai comica. Noi qui preparati ad affrontare, che so…. una minaccia terroristica, per poi scoprire un po’ di traffico illegale di materiali alla marina. Molto rumore per nulla mi pare abbia scritto qualcuno tempo fa” il dottore ammiccò ad Amedeo accennando ai terroristi. Amedeo rimase un attimo interdetto dall’allusione del dottore, cercando di ricordare se gli fosse scappato detto qualcosa, ma proprio non riusciva a ricordare di averlo fatto. “Lei come lo sa?” “Cosa?” “Dei terroristi” “Io non so nulla, perché tu non mi hai detto nulla” disse il dottore “ Ma ora che hai intenzione di fare?” disse cambiando ancora argomento, facendo capire ad Amedeo che la questione terroristi era chiusa. Palla colta al balzo, ringraziando ancora in silenzio quell’uomo dalle mille sfaccettature. “Non credo di potergliela far passare liscia anche stavolta. Sono perfettamente al corrente dei suoi piccoli traffici, ovviamente, e li tollero come tollero molte cose su questa nave, ma fare mercato nero, proprio in questa situazione, in cui la nave è sotto tutti i riflettori delle alte sfere della marina… proprio no! Non renderò ufficiale la cosa, ma di sicuro gli farò scaricare dalla mia nave qualunque cosa di illegale vi abbia introdotto” sbottò Alzandosi per entrare nella stiva. Stava varcando il portellone quando si sentì la mano del dottore trattenergli il braccio. Si accucciò nuovamente e in un sussurro gli chiese che stava succedendo. Per tutta risposta, senza proferire parola, il dottore gli indicò un punto in un angolo della stiva, a qualche metro da loro. Nascosta dietro ad un piccolo container, Amedeo vide una terza figura che teneva d’occhio le prime due indaffarate intorno al trans-pallet. Aguzzando la vista Amedeo distinse la figura di Fumagalli. “Cazzo…” gli sfuggì. “Già, e se guardi bene ha qualcosa in mano” “Un’arma? Dio spero di no, è così fanatico che sarebbe capacissimo di mettersi a sparare ad Esposito”


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“No, non mi sembra un’arma, direi che piuttosto è una telecamera. Si, ne sono quasi sicuro sta raccogliendo finalmente le prove definitive che inchioderanno Esposito” “Santo cielo!” “Che hai intenzione di fare?” “Non lo so” “Esposito ha una moglie e undici figli…” “Questo lo so” disse passandosi una mano sul volto. Il dottore lo lasciò pensare rimanendo in silenzio, osservando Amedeo dibattersi per trovare una soluzione che salvasse sia le apparenze che Esposito dall'ira del comandante in seconda.. Restò accucciato in disparte, non aveva nessuna intenzione di interferire in quella vicenda. *** “Muoviti Giovà mica teniamo tutta ‘a notte” “Non sono un facchino, cazzo, se vuoi fare in fretta dammi una mano, cazzo” “Tu tieni troppi cazzi in bocca, uagliò” “Ma vaffanculo terrone del cazzo: Avanti scarica questa cassa che abbiamo quasi finito. Cazzo non vedo l’ora di andarmene da qui, hai un’idea di cosa ci succede se ci prendono? Cazzo!” “Nun t’angustià uagliò, ti credevo più smaliziato, tieni ‘o core ‘e mozzarella?” “Non mi fare incazzare Pasquale, non sono tipo con cui scherzare” “Eeehh, statte accorto uagliò, l’apparenza inganna. Ecco fatto scaricato tutto. Ora te ne puoi andare.” “Col cazzo mi devi pagare” “Fermi!” urlò una voce nella semioscurità “Cazzo” imprecò Giovanni “Statte ‘bbuono e zitto Giovà, per carità” “Fermi!” ripeté la voce ora più vicina. Una violenta luce bianca proveniente da una torcia elettrica li illuminò. Esposito strizzò gli occhi accecato dalla luce, quando finalmente riuscì a distinguere qualcosa, vide Fumagalli che si avvicinava con un largo sorriso stampato in faccia. “Piezz’ ‘e cesso” mormorò a denti stretti.


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“Bene Esposito finalmente ti ho beccato con le mani nel vasetto della marmellata, eh?” “Tenente…” Esposito scattò sull’attenti eseguendo un perfetto saluto e assumendo l’atteggiamento di chi è intento a fare il proprio dovere. “Bene Esposito cosa abbiamo qua?” Fumagalli girò attorno alle casse che erano appena state scaricate, osservandole con l’interesse di un predatore “Ah… materiale non contrassegnato” continuò gongolando “Non contrassegnato significa solo una cosa, vero Esposito?” “Non contrassegnato? Mii, mica me n’ero accorto, davvero strano signor tenente” “Non fare il furbo Esposito! Stavolta sei fregato! Si da il caso che io abbia filmato tutto” era evidente che Fumagalli stava facendo uno sforzo enorme per non mettersi letteralmente a saltare per la felicità. “Ma tenente, le assicuro che è tutto assolutamente a posto” “Ah, sì Esposito? E che ci fai allora qui a quest’ora di notte? Non mi sembra un orario consono per le consegne di materiale. Tu chi sei?” chiese brusco rivolgendosi a Giovanni. “Hem.. io… io…” “Tu sei il complice di Esposito, ma non ti preoccupare ho tutto documentato, vi aspetta una bella corte marziale” gongolò, stavolta senza riuscire a trattenere un enorme sorriso di soddisfazione. “Tenente le assicuro che il materiale consegnato è stato regolarmente ordinato al magazzino generale della stazione, ecco i documenti” disse Esposito porgendo una video cartella al tenente. La sicurezza di Fumagalli, di fronte al tono fermo ostentato dal primo maresciallo vacillò, temendo di vedersi sfuggire dalle mani una preda così agognata, allungò la mano e senza tante cerimonie la strappò dalle mani di Esposito. “Qui dice che le casse contengono materiale elettronico senza nessuna specificazione di che materiale si tratta, chi lo ha ordinato? Non vedo nessun riferimento nell’ordine?” “Non so signor tenente, a me è stato solo detto di ritirarle e poi mi è arrivata la documentazione sulla video cartella; non ho fatto caso a chi avesse fatto l’ordine” “E chi glielo ha detto che sarebbe arrivato questo materiale? Il nome Esposito!” “Eh, chi me l’ ha detto? Mi faccia pensare…” “Esposito l’avverto non tollero i suoi giochetti, il nome subito!”


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“Io gliel’ho detto, tenente. Comunque cos’è tutto questo trambusto” disse una voce alle sue spalle. Fumagalli scattò sull’attenti esibendosi nel suo solito impeccabile saluto, al quale Amedeo rispose distrattamente. “Allora che succede tenente? Lei non dovrebbe essere qui.” Esposito guardò il suo comandante arrivare e si sentì un po' meno perduto. Il materiale che aveva scaricato non era certo stato ordinato da qualcuno, se non da lui stesso e certo non attraverso i regolari canali burocratici. Da tempo intratteneva piccoli affari illeciti con il caporale Giovanni Scarlatti, uno dei magazzinieri della stazione, il quale gli passava sottobanco vario materiale, che Esposito provvedeva poi a vendere attraverso la sua rete di contatti a chi ne avesse bisogno, arrotondando così il suo stipendio per mantenere una famiglia che pareva divenire sempre più numerosa di anno in anno. Si giustificava che erano i lunghi periodi di lontananza, e ogni volta che rivedeva la moglie invariabilmente questa rimaneva incinta. Non sono di legno dottò rispondeva ogni volta che annunciava la prossima nascita di un figlio. “Capitano, ho le prove certe che il qui presente primo maresciallo Pasquale Esposito tratta illegalmente materiale della Marina.” “Ah, si? E come fa ad esserne così sicuro” “Ho filmato tutto” asserì “Da quando questi due sono entrati nella stiva con il trans-pallet a quando hanno finito di scaricare queste casse, tra l’altro non contrassegnate in alcun modo. L’ora in cui è avvenuto il tutto, il modo furtivo con cui si sono introdotti nella stiva, insomma tutto. L'intera faccenda non lascia adito a dubbi che si tratta di un’attività assolutamente illegale. Come mio dovere redigerò un rapporto che dovrà essere inoltrato al comandante di corpo, secondo gli articoli 57 1° comma e 58 sempre 1° comma del Regolamento di Disciplina Militare” Amedeo lo guardò per qualche istante, disgustato dal sorriso tronfio che il suo secondo aveva stampato sul volto. Poi si girò verso l’uomo che era con Esposito. “Lei vada pure caporale” Scarlatti non se lo fece ripetere due volte e abbozzato un frettoloso saluto si diresse a passo di corsa verso l’uscita della stiva. “Comandante…?” disse con un filo di voce Fumagalli, il cui sorriso si era dissolto per lasciare spazio allo stupore. “Posso?” chiese Amedeo allungando una mano verso la video cartella.


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Fumagalli esitò un attimo prima di consegnarla, sentendo che la situazione gli stava fuggendo di mano. Amedeo finse di consultare attentamente la cartelletta per qualche minuto, poi alzò lo sguardo verso Esposito con espressione accigliata. “Esposito non le avevo forse detto, anzi ordinato di avvisarmi immediatamente quando fosse giunto questo materiale? Perché non lo ha fatto?” Esposito che ormai si sentiva in trappola fu colto di sorpresa, ma non essendo certo uno stupido, e soprattutto molto veloce di cervello, non si lasciò sfuggire lo spiraglio che gli offriva, come aveva sperato, il suo comandante. “Mi scusi dottò, ma vista l’ora tarda pensavo stesse dormendo e non volevo disturbarla. L’avrei comunque avvisata domani mattina” “Non è una scusa, lei ha disobbedito, questo è materiale importante, e io dovevo essere informato nel momento stesso in cui veniva portato a bordo. Visto comunque che alla base del suo agire c’erano delle buone intenzioni non le verrà inflitto un rimprovero, che verrebbe inserito nella sua documentazione personale, ma solo un richiamo e il divieto di lasciare la nave fino alla partenza” “Sì signore” il volto avvilito di Esposito era un perfetto esempio di contrizione allo stato puro. “Tenente, provveda a formalizzare la punizione inflitta al primo maresciallo” Fumagalli rimase interdetto, sentiva di avere avuto Esposito nelle proprie mani e improvvisamente gli era sgusciato tra le dita come un’anguilla, e quel che era peggio, con l’aiuto del comandante. Rimase così allibito che non riuscì a rispondere, rimanendo a bocca aperta a fissare Amedeo come se non riuscisse a capire quello che gli aveva appena detto. “Ha capito tenente? Si assicuri che il primo maresciallo Esposito venga punito come ho detto” A quel punto Fumagalli si riprese capendo che era stato sconfitto proprio da chi invece avrebbe dovuto sostenerlo. Tutto ciò era semplicemente assurdo, troppo anche per quella nave di balordi. “Comandante! Io protesto e protesto fortemente, qui siamo di fronte ad un evidente furto ai danni della marina. Il primo maresciallo Esposito deve essere punito in modo esemplare e trovo quantomeno oltraggioso, che un ufficiale comandante, quale lei è, si presti a coprire le sue azioni illegali. Signore, io inoltrerò il mio rapporto al comandante di corpo, affinché instauri un procedimento disciplinare presso l’autorità competente a carico


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di Esposito e i suoi complici nelle vesti di imputati. Non se la caverà così a buon mercato!” “Sta forse insinuando qualcosa, tenente?” “Signore, con rispetto parlando, trovo la sua condotta in questa faccenda quantomeno discutibile, pretendo che le casse scaricate dal capo Esposito vengano aperte per poterne ispezionare il contenuto.” L’accusa era stata lanciata, un’accusa pesante. Esposito non sapeva più dove stare e prese a dimenarsi nervosamente, spostando il peso da un piede all’altro, la situazione gli era ormai sfuggita di mano e se le accuse di Fumagalli, fossero state portate davanti alle autorità, il minimo che si poteva aspettare era di finire in carcere. Inoltre era sinceramente dispiaciuto che ne venisse coinvolto anche il suo comandante. Rimase quindi in silenzio rassegnato a vedere la situazione precipitare. Amedeo rimase impassibile, sguardo fermo dritto negli occhi del suo comandante in seconda. Fu il sottotenente Fumagalli ad abbassarlo per primo, ma non demorse dalle sue intenzioni. “Mi spiace comandante” bofonchiò “Ma è mio dovere agire per il bene della marina, sono sicuro che da ufficiale lei mi capisce” Amedeo si girò con calma verso Esposito e con voce pacata, ma decisa gli ordinò di andare nella sua cabina. Una volta che Esposito si fu allontanato rivolse nuovamente l’attenzione al suo secondo, il quale stavolta sostenne lo sguardo. “No Fumagalli, io non la capisco” riprese Amedeo, mani dietro la schiena “Non capisco come il suo odio personale verso Esposito, le offuschi così tanto la capacità di giudizio, inducendola a trascurare i propri doveri per dare la caccia alle chimere, improvvisandosi un dilettantesco ispettore di polizia.” “Ma comandante…” iniziò a replicare Fumagalli attingendo il coraggio dalla certezza di trovarsi nel giusto. “Stia zitto tenente, non ho ancora finito” lo interruppe Amedeo. Sapeva perfettamente che Esposito era colpevole, ma riteneva più colpevole Fumagalli per quel suo meschino accanimento contro un uomo che, a parte qualche trafficuccio illecito, era un ottimo marinaio. Conosceva Esposito dal giorno stesso in cui gli era stato affidato il comando della Goretti, arrivando così anche a conoscerlo come marinaio, ma soprattutto come uomo. Era arrivato a provare rispetto per quel piccolo napoletano e per la sua umanità, che aveva dimostrato in mille occasioni.


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Ne aveva più stima di quanta ne avesse per qualunque ufficialetto pomposo fresco di accademia, che col regolamento alla mano pensava di guidare gli uomini come se fossero automi. La loro era solo una piccola nave scassata, che trasportava rottami in mezzo ad eventi più grandi di loro, non era un incrociatore da battaglia armato fino ai denti con un equipaggio anonimo di duemila uomini. “Questo materiale” continuò Amedeo indicando le casse “ E’ stato portato a bordo su preciso ordine dell’ammiraglio Colatelli, comandante di questa stazione, che come lei ben sa, ho incontrato l’altro giorno in attinenza alla missione che ci aggiungiamo a compiere. Comunque oltre a questo materiale che deve essere preso a bordo, ne seguirà altro domani che arriverà con l’ascensore spaziale e che Esposito provvederà a stivare; e anche quel materiale, per sua informazione, non sarà contrassegnato o comunque contrassegnato in un modo che lei potrebbe anche ritenere sospetto. Che facciamo tenente? Avviamo procedimenti disciplinari a carico di tutti quelli che sono sull’ascensore, cardinale compreso, solo perché lei non ritiene coerente la descrizione del materiale?” “No signore, io..” “Non mi interrompa tenente! Allora, il materiale che riceveremo è riservato ed ha un’urgenza prioritaria per essere consegnato su Marte. Crede che se non fosse così urgente, avrebbero assegnato la missione ad una carretta come la Goretti, che lei disprezza tanto? Siamo qui per portare a termine un missione che non è solo dare un passaggio ad una importante figura politica, chiaro tenente? Comunque, se lei lo ritiene opportuno, potrà stilare il suo rapporto e consegnarmelo, le garantisco che non solo lo farò avere al comandante di corpo, ma anche all’ammiraglio Colatelli, al quale dovrà poi dare spiegazioni su cose che lei non sa. D’accordo?” Silenzio da parte di Fumagalli, che stava a capo chino e i pugni serrati per la rabbia. “Inoltre tenente, lei è in possesso e sta utilizzando un apparecchio per registrazioni audiovisive…” Disse Amedeo indicando la piccola telecamera che Fumagalli aveva ancora in mano, portando così il suo affondo decisivo per risolvere quella situazione “…in palese contrasto con l’artico 49 1° comma lettera b. Anch’io conosco il regolamento tenente.” “Cosa…? Io… volevo delle prove” “Prove di cosa? Lei è a conoscenza delle particolari esigenze di sicurezza della nostra missione, e avrà sicuramente letto la nota informativa che le ho inoltrato in merito a questo punto, vero?”


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“Io… io stavo seguendo Esposito, non ho avuto tempo di guardare…” “Se lei non avesse perso tempo con le sue investigazioni” infierì Amedeo caricando la parola di sarcasmo “Sarebbe senz’altro stato al corrente della mia informativa. Inoltre mi pare evidente, che anche lei è a bordo della nave senza autorizzazione, la nave è isolata, come da ordine dell’ammiraglio. Solo al comandante ne è consentito l’accesso e alle persone da lui autorizzate. Mi dica Fumagalli le ho mai dato questa autorizzazione?” “No signore… ma io…” Fumagalli non guardava più Amedeo negli occhi il suo sguardo vagava oltre. Era finita, il terreno gli era franato sotto i piedi. Esposito era riuscito a fregarlo un’altra volta. Abbassò il capo, sconfitto. “Crede che debba procedere anch’io secondo l’articolo 57 1° comma e l’articolo 58 sempre 1° comma?” gli chiese Amedeo senza dargli tregua, ritorcendogli contro lo stesso regolamento che lui stesso aveva usato contro Esposito. Fumagalli deglutì lasciandosi sfuggire un lungo sospiro. “Evidentemente lei è in possesso di informazioni che io ignoro, signore. Ma le assicuro che stavo agendo nell’interesse della marina e non mio personale” “Non lo dubito Fumagalli” il tono di Amedeo era ora conciliante. La crisi era superata “Tuttavia prima di agire, in futuro si consulti con me per evitare queste situazioni tutt’altro che piacevoli. Lei, anche se velatamente mi ha mosso gravi accuse senza avere nessuna prova, e su basi quantomeno aleatorie. Inoltre lei si trovava sulla nave senza nessuna autorizzazione, si rende conto di come potrebbe finire la sua carriera se io dessi seguito a ciò che è avvenuto stanotte?” “Le faccio le mie scuse signore, e la prego di non dare seguito alla mia condotta sconsiderata” “Scuse accettate tenente. Ciò che è successo qui stanotte rimarrà tra noi, come è giusto che sia tra un equipaggio affiatato. Dimenticheremo tutto. Ora può andare tenente” lo congedò Amedeo rispondendo poi al perfetto saluto di Fumagalli che si allontanò, con il passo pesante dello sconfitto, verso il suo alloggio sulla base. Amedeo lo guardò allontanarsi sospirando di sollievo, poi si diresse verso il portellone dove aveva lasciato il dottore, ma dell’ufficiale medico non c’era alcuna traccia, come del resto si aspettava. Si diresse quindi verso gli alloggiamenti dell’equipaggio ed entrò senza bussare nella piccola cabina del primo maresciallo Esposito. Il graduato balzò in piedi mettendosi sull’attenti ed eseguendo un saluto perfetto.


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“Lasci perdere Esposito” gli disse Amedeo facendogli cenno di mettersi comodo. Dopo un attimo di esitazione il maresciallo si sedette sul bordo della brandina. La cabina era veramente piccola e arredata con l’essenziale, un brandina, appunto, una sedia e una minuscola scrivania. Le pareti, però, erano letteralmente tappezzate dalle foto della moglie, dei figli e dei numerosissimi nipoti. “Dottò…” iniziò Esposito e ancora una volta Amedeo zittì il suo interlocutore con un cenno della mano. “Esposito, solo una cosa…” “Dica dottò” la sollecitudine nel tono di Esposito fece quasi sorridere Amedeo “Voglio pensare che quelle casse siano veramente state ordinate da qualcuno, e sono altresì convinto che qualunque cosa contengano, sia di qualche necessità al nostro contingente su Marte che le prenderà in carico. Chiaro?” “Certo dottò” “Quindi” proseguì, ignorando l’assicurazione di Esposito “Le voglio vedere scaricare dalla nave con regolare documentazione non appena attraccheremo alla base Ares. Dico bene?” “Certo dottò” “Bene Esposito, sono contento che la situazione sia risolta senza alcun danno alla marina” concluse alzandosi per uscire. “Troppo ‘bbuono dottò” lo sentì dire mentre la porta pneumatica della cabina si chiudeva alle sue spalle. Finalmente chiusa la faccenda, Amedeo si diresse verso l’infermeria sperando di trovarci il dottore, ma anche lì non c’era traccia dell’ufficiale medico, e non trovandolo da nessuna parte, concluse che fosse sceso dalla nave utilizzando la scala esterna del ponte comando per non farsi vedere. Purtroppo, quell’atmosfera di calma e quiete che aveva provato prima di quel trambusto si era irrimediabilmente guastata, pertanto a malincuore, rinunciò a dormire nella sua nuova cabina e si diresse anche lui verso gli alloggi della base. La giornata che stava per arrivare (se si poteva parlare di giornate nello spazio) si sarebbe rivelata senz’altro assai impegnativa.


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^ Stazione Orbitante Ascensore Spaziale “Monte Bianco” – Dock di carico n° 3 – Maria Goretti. 24 agosto 2196 – 09:36 Il mattino successivo sulla Goretti l’atmosfera era quella di sempre, l’equipaggio era all’oscuro di ciò che era successo la notte prima e si comportava normalmente. Tra Amedeo e Fumagalli invece, c’era una sorta di cauta cordialità che nonostante gli sforzi di entrambi, non riusciva a mascherare l’imbarazzo per gli avvenimenti, ancora troppo recenti per essere archiviati, della notte precedente. Nonostante ciò, entrambi si impegnavano a mantenere un atteggiamento normale. Il dottore naturalmente, era irreperibile. L’attività febbrile intorno alla nave era cessata, e l’equipaggio al quale era stato finalmente consentito di risalire sulla nave, era indaffarato nei compiti abituali di qualunque nave, l’unica variante è che tutti cercavano una scusa per fare un lavoro che li portasse vicino a quello che c’era di nuovo da vedere (o utilizzare) sulla nave. Esposito cercava di evitare qualunque contatto con Fumagalli, il quale si era limitato a convalidare la punizione inflitta al capo carico, dopo di ché si era, a sua volta, tenuto a distanza dal comandante, dedicandosi alla consultazione dei manuali dei nuovi sistemi installati in plancia. “Tenente…” disse Amedeo dopo aver firmato il documento. “Sì signore?” il tono era formale e cauto. “Siccome la nostra partenza è stata posticipata di tre giorni ho chiesto il permesso per un’esercitazione di volo per poter testare i nuovi motori e i nuovi sistemi. Vorrei tutto il personale pronto per il decollo con le verifiche di sistema eseguite entro le dodici” “Sì Signore” si limitò a rispondere Fumagalli. L’imbarazzo a malapena celato. Amedeo aveva pensato che un’esercitazione, avrebbe contribuito a distrarre tutti dalla missione inusuale che si apprestavano a compiere, e soprattutto, avrebbe consento all’equipaggio di familiarizzare con i nuovi sistemi di volo, comunicazione e quant’altro fosse stato installato a bordo e a Bordin di testare i nuovi motori ionici. Gli ordini erano stati dati, e ad Amedeo non restava altro da fare se non aspettare che venissero consegnati i materiali in arrivo con l’ascensore spaziale.


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L’unico inghippo, che stranamente Fumagalli non aveva sarcasticamente fatto notare era che, anche solo che per poter compiere anche una semplice esercitazione il medico era necessario a bordo. “Pigazzani” urlò Amedeo per farsi sentire dal fante di marina di guardia al portellone di carico, al di sopra del frastuono che regnava nell’ hangar in piena attività. Il fante arrivò, non proprio di corsa, eseguendo un fiacco saluto una volta raggiunto Amedeo. “Sì signore” e dopo un attimo “Devo cercare il dottore?” “Esatto credo che lo troverà nel suo alloggio sulla base. Si faccia aiutare e lo riporti qui entro le dodici” “Sì signore” disse il fante allontanandosi in cerca di un suo collega da coinvolgere nella consueta ricerca dell’ufficiale medico. La ricerca, stavolta, non avrebbe richiesto troppo tempo, l’indicazione che aveva dato Amedeo avrebbe dovuto essere quasi certa. Mancava, infatti dall’infermeria, la bottiglia di brandy che il dottore teneva in un cassetto dei medicinali e che probabilmente stava già bevendo quando era iniziato il trambusto. Avendo, quindi, una bottiglia già aperta a disposizione era inutile cercarlo in un qualche bar, la destinazione più logica per il dottore era il suo alloggio dove avrebbe potuto finire il suo brandy in pace. L’attesa di Amedeo non fu inattiva, vide infatti avvicinarsi un sergente, il quale dopo aver fatto il saluto, senza dire una parola gli consegnò una cartelletta criptata con i suoi nuovi ordini. Immesso il proprio codice per rendere leggibile la cartella, Amedeo vide che l’ascensore spaziale era arrivato e che stavano trasportando i container nella zona di carico dove si trovava la Goretti. Normalmente le operazioni di carico, venivano effettuate con la nave attraccata ad uno dei moli della base, collegata ad essa tramite il portellone della stiva agganciato in modo ermetico alla base attraverso un barcarizzo pressurizzato che veniva esteso dal molo. Tuttavia essendo la nave in secco e di piccole dimensioni, le operazioni si sarebbero svolte all’interno dell’hangar, poi una volta sgombrata la zona e aperti gli immensi portelloni del dock di carico, la nave sarebbe stata fatta scivolare sui rulli ai quali era adagiata fino allo spazio esterno. Con passo veloce si avviò verso il piccolo gabbiotto che fungeva da ufficio di Esposito nella stiva, dove trovò il suo capo carico indaffarato al computer. Esposito alzò lo sguardo nel sentirlo arrivare, e con gesti che parevano casuali, chiuse la schermata sulla quale stava lavorando prima che lui potesse vederla. Amedeo fece finta di nulla.


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“Esposito stanno arrivando i container che stiamo aspettando. Chiami i suoi uomini e provveda al loro stoccaggio. Voglio che siano sistemati e messi in sicurezza il più rapidamente possibile. “Sissignore” disse il capo chiamando poi con l’interfono i suoi aiutanti perché lo raggiungessero. Di li a poco il primo porta container a levitazione magnetica arrivò nella zona di carico e gli uomini di Esposito iniziarono le operazioni di stivaggio. Solo il tempo di sistemarlo opportunamente nella stiva e già altri quattro attendevano fuori del portellone della Goretti e con loro era arrivato anche il contrammiraglio Cunetto. Amedeo che si trovava in plancia per gli ultimi preparativi per l’esercitazione, fu avvisato da un fante di marina dell’arrivo dell’alto ufficiale. Alla notizia fu colto da quel brivido di panico che lo colpiva sempre quando doveva avere a che fare con alti ufficiali, ma in un attimo si ricompose, controllò che la propria uniforme fosse in ordine e chiese al fante dove si trovasse il contrammiraglio. “E’ giù di sotto che controlla le operazioni di stivaggio, signore” “Bene. Tenente venga con me” disse rivolto al primo ufficiale Fumagalli che non appena aveva sentito la parola contrammiraglio si era come illuminato, si precipitò al fianco di Amedeo per scendere nella stiva a porgere i propri omaggi a Cunetto. Raggiunta rapidamente la zona dove erano in attesa i grossi container, i due videro il contrammiraglio in piedi sulla soglia del portellone prendere nota di ogni container che entrava nella stiva, assistito da una mezza dozzina di altre persone che lo aiutavano a tenere conto delle attrezzature che venivano caricate. Arrivati a pochi passi dall’ufficiale, sia Amedeo che Fumagalli scattarono sull’attenti facendo il saluto. Fumagalli un po’ arretrato rispetto al suo comandante. “Tenente di vascello Fiore, comandante della Maria Goretti, signore” si presentò Amedeo. Fumagalli rimase rispettosamente in silenzio aspettando che fosse il proprio capitano a presentarlo all’ufficiale superiore. Il contrammiraglio si girò lentamente continuando a consultare la cartella che aveva in mano e spuntando qualcosa che gli veniva dettato da uno dei suoi aiutanti, poi alzò alo sguardo e rispose al saluto. “Bentrovato comandante, spero che la nave sia pronta a partire non appena avremo finito le operazioni di carico”


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Per un attimo Amedeo rimase interdetto da quello che gli stava dicendo Cunetto, infatti ciò contrastava con gli ultimi ordini che aveva ricevuto e che fissavano la partenza tre giorni dopo. “La nave è pronta a partire in qualunque momento signore, ma i miei ordini di volo prevedono di salpare il ventiquattro” Cunetto si immobilizzò come se avesse subito un congelamento repentino, la mascella contratta e gli occhi serrati. Poi con una voce controllata da un evidente sforzo di autocontrollo chiese ad Amedeo da dove arrivavano questi ordini. “Mi sono arrivati ieri dal Capitano di Vascello Mancina signore.” “Me li faccia vedere” “Certo. Tenente vuole essere cosi gentile da farceli inviare dalla plancia sulla sua cartella? A proposito, signore non le ho presentato il comandante in seconda della nave, il sottotenente di vascello Filippo Fumagalli” disse indicandolo, il quale salutò impeccabilmente, mentre il contrammiraglio si limitò ad un gesto rapido e distratto, che solo con molta fantasia poteva essere scambiato per un saluto. “Mi scusi tenente, ma non c’è tempo per le presentazioni ufficiali, mi faccia vedere quell’ordine” tagliò corto Cunetto indicando la cartella che Fumagalli teneva in mano. Fumagalli sì irrigidì per i modi bruschi del contrammiraglio, ma non palesò nessun risentimento, dandosi invece da fare con la video cartella per richiamare gli ordini, desideroso solo di rendersi il più utile ed efficiente possibile. Fumagalli da tempo cercava di ingraziarsi qualunque ufficiale di grado elevato che gli capitava sotto tiro, cercando qualche spinta utile per ottenere quel sospirato trasferimento che aveva iniziato a desiderare nel momento stesso in cui aveva messo piede sulla Goretti. Purtroppo per lui tutti i suoi tentativi, per qualche misterioso motivo erano andati a vuoto. Ora cercava la sua possibilità con il contrammiraglio. In pochi secondi ottenne quello che aveva chiesto. “Ecco gli ordini contrammiraglio” disse ossequioso porgendo la cartelletta. Cunetto gli diede una rapida occhiata e man mano che procedeva nella lettura di quelle poche righe, il suo volto si incupì sempre di più, tanto che Amedeo fece istintivamente un passo indietro. Finito di leggere restituì la cartelletta a Fumagalli e senza degnarlo di uno sguardo o di un ringraziamento si rivolse ad Amedeo.


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“Capitano, tenga pronta la nave per un decollo immediato, io sarò di ritorno fra un’ora al massimo. Al mio ritorno la nave deve essere pronta a partire all’istante” disse e subito dopo si girò rivolgendosi al suo seguito. “Finite di caricare il più in fretta possibile” ordinò secco. Detto ciò salì sul veicolo elettrico che lo aveva condotto fin lì e sparì nei meandri della stazione orbitante, lasciando Amedeo e Fumagalli a guardarsi in faccia totalmente disorientati. Comunque un ordine di un contrammiraglio è un ordine che va eseguito, anche se in contrasto con altri ordini ricevuti e la Maria Goretti fremette di attività mentre i container venivano caricati e l’equipaggio effettuava le operazioni necessarie per la partenza peraltro, fortunatamente, già a buon punto in previsione dell’esercitazione fissata.

^ Stazione Orbitante Ascensore Spaziale “Monte Bianco” – Attracco ascensore spaziale. 24 agosto 2196 – 10:15 Dopo i tre giorni necessari per percorrere i centoventimila chilometri che separavano il Monte Bianco all’omonima stazione spaziale, l’ascensore attraccò nell’ampia zona di carico e scarico dedicata. Il primo ad uscire dall’enorme cabina passeggeri fu Mancina che si precipitò a controllare che tutto fosse in ordine per accogliere l’alto prelato sulla stazione orbitante. Erano presenti le maggiori personalità della base, sia civili che militari, tutti allineati come cadetti il giorno del giuramento, in attesa di porre omaggio all’inviato del Vaticano. Una volta accertatosi che tutto fosse a posto, diede l’ordine di far sbarcare il cardinale, nel frattempo piacevolmente trattenuto con la scusa di operazioni tecniche necessarie per poter effettuare lo sbarco. Un sfavillante tappeto rosso era stato steso tra le porte pressurizzate dell’ascensore fino agli alloggi riservati ai VIP della base. Il cardinale uscì per primo, seguito dal suo segretario con il quale procedette tra due ali di militari in alta uniforme, carabinieri col pennacchio e la fanfara


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della marina, mentre i più alti ufficiali presenti sulla piattaforma erano schierati appena dietro il portellone di ingresso della stazione. Il cardinale fece il suo ingresso, elargendo saluti e benedizioni a destra e a manca. Anche numerosi soldati e marinai, osservanti e non, si erano assiepati lungo le transenne, i primi per ricevere una benedizione i secondi per semplice curiosità. Dopo aver svolto tutte le formalità rituali dello sbarco, stringendo la mano e benedicendo tutto il corpo ufficiali e i civili in blocco, il cardinale fu condotto nei suoi alloggi, dove un ricco buffet e successivamente un pranzo ufficiale di benvenuto lo aspettavano. Mancina naturalmente rimaneva attaccato al cardinale come una cozza allo scoglio, facendo in modo che ogni singola necessità del prelato, anche la più insignificante, venisse immediatamente esaudita. “Caro capitano, ringrazio la marina per la meravigliosa accoglienza che mi ha voluto riservare, e lei in particolare per le costanti attenzioni, peraltro immeritate, che mi rivolge” “Attenzioni riservate con immenso piacere, Eminenza” “Queste tartine al caviale sono assolutamente ottime, spero che sulla nave con la quale effettueremo questo avventuroso viaggio, per portare il conforto della parola di Dio alle nostre truppe impegnate a portare la pace su quello sventurato pianeta, siano state assicurate adeguate scorte di questo alimento squisito con il quale mi state viziando” “Assolutamente eminenza. E’ stato il mio primo pensiero assicurarle ogni genere di conforto necessario a renderle il viaggio il meno disagevole possibile. Oh…. Chiedo scusa ma mi stanno chiamando probabilmente per definire qualche dettaglio dell’ultimo minuto” disse Mancina inchinandosi “Vada pure capitano, capisco che la posizione che ricopre richieda il suo costante e indefesso impegno” “Sua eccellenza è davvero troppo buono” chiosò Mancina allontanandosi. Con passo svelto e senza farsi notare raggiunse le cucine, dove afferrò un cameriere che passava per un braccio. “Dov’è il capocuoco?” Il cameriere un semplice marinaio comune, rimase sbigottito, rimanendo qualche secondo con la bocca semiaperta per lo stupore. Non succedeva tutti i giorni di essere afferrato bruscamente, da un capitano di vascello. “Allora marinaio, non ho tutto il giorno!” lo scosse Mancina “E’ quello là” disse indicando un uomo totalmente indaffarato ai fornelli.


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Mancina lasciò andare il marinaio senza più prestargli la minima attenzione e si diresse a passo di marcia verso il capocuoco. “E’ lei il capocuoco?” chiese brusco L’uomo, un primo capo, che non si era accorto che qualcuno gli si stava avvicinando, trasalì al tono brusco di Mancina, e alzando lo sguardo rimase sbigottito nel vedere un ufficiale estraneo alla base nella sua cucina. “Sì signore” rispose scattando sull’attenti e facendo il saluto al quale Mancina non si prese nemmeno la briga di rispondere. “Voglio che tutte le scorte di caviale presenti nel suo magazzino, insieme a quant’altro ci sia di raffinato, vengano immediatamente portate sulla Maria Goretti, dock di carico 3, chiaro?” “Scusi signore ma lei chi è?” “Questo non la deve interessare, le basti sapere che sono l’ufficiale incaricato della scorta del cardinal Pompini, quindi le consiglio di fare ciò che le ho detto, oppure ne risponderà direttamente al capo di stato maggiore, siamo intesi? Entro due ore al massimo, le sue scorte dovranno essere a disposizione delle cucine della Goretti” Detto questo voltò le spalle al cuoco e si allontanò in direzione del salone dove si stava svolgendo il buffet. Stava per varcare la soglia del salone quando si sentì afferrare. Si divincolò violentemente girandosi per vedere chi avesse osato mettergli le mani addosso così rudemente. Stavolta la sorpresa fu sua. Davanti a lui in una anonima uniforme di servizio c’era il contrammiraglio Cunetto, stelletta sulla spallina dorata però, perfettamente visibile. “Signore! Che cosa ci fa qui? Come a fatto ad arrivare prima di noi? “Di questo non si deve preoccupare. Quello di cui si deve preoccupare, invece, è il fatto che ho sentito che il cardinale si vuole fermare tre giorni su questa stazione per avere la possibilità di visitarla e ufficiare una messa per tutto il personale. Non lo neghi! Ho visto il suo ordine diretto alla Goretti. Ordine 245/i in data 19 agosto firmato direttamente da lei col suo codice identificativo” “Non lo nego certo. Sua Eminenza mi ha espresso questo suo desiderio mentre eravamo in viaggio sull’ascensore e io ho prontamente provveduto perché il desiderio del cardinale fosse esaudito” “Ma è pazzo!!? Non lo sa che su Marte i nostri uomini stanno morendo?! Non c’è un minuto da perdere e lei da il suo assenso a perdere ulteriori due giorni su questa stazione, solo per soddisfare il capriccio di un prete?”


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Mancina come responsabile politico della marina non era certo abituato ad essere trattato così bruscamente, quindi riassestandosi l’uniforme si raddrizzò a fronteggiare il contrammiraglio, che comunque lo sovrastava di quasi tutta la testa, e con la voce più fredda e formale possibile rispose al suo superiore. “Signore! Intanto non stiamo parlando di un semplice prete, e nemmeno di un parroco di campagna, ma del cardinal Pompini, che sebbene abbia un nome ridicolo è comunque il vice-segretario della CEI e il presidente, ripeto presidente del Concilio della Moralità della Santa Sede, il quale sta lavorando a stretto contatto con il governo italiano per importanti riforme in campo sociale. L’importanza politica di questa missione è incalcolabile, chiaro? Quindi il cardinale avrà tutto ciò che vuole, compreso il fatto di fermarsi qui per un mese se lo desidera. Le ricordo, inoltre, che io non dipendo da lei per gli ordini, ma direttamente, per questa missione, dal ministero della difesa e questo significa direttamente dal ministro” Cunetto rimase per un attimo senza fiato, mentre una sorta di nebbia rossastra iniziò ad offuscargli la vista. Dovette ricorrere a risorse insospettabili di autocontrollo per non estrarre la sua pistola d’ordinanza e freddare sul posto quel piccolo stronzo demente. “Capitano…” sibilò con un tono che colava veleno ad ogni sillaba. Poi, riprendendo fiato per controllarsi continuò “Capitano, ora lei andrà dal cardinale e gli dirà, che non è possibile fare quello che desidera, e che il viaggio inizierà oggi stesso al più presto. Capito? Questo capitano, è un ordine e se non lo esegue all’istante, all’istante capito? Io la deferisco alla corte marziale e farò in modo che lei ne esca così male che supplicherà per un plotone d’esecuzione, sono stato sufficientemente chiaro anch’io?” “No signore, ribadisco che il cardinale rimarrà fintanto che lo riterrà opportuno e la Goretti con lui” “Capitano lei sta deliberatamente disobbedendo ad un ordine diretto di un suo superiore, le ricordo che io sono un contrammiraglio e lei un semplice fottuto capitano di vascello! Lei si sta scavando la fossa con le sue mani” “La devo correggere di nuovo signore, ricordandole ancora una volta, che io non sono ai suoi ordini. I miei ordini, scritti, arrivano da un livello più alto del suo, più alto anche dell’ammiraglio Capace” “Ma cosa sta dicendo…?” Cunetto ormai, era convinto di vivere un terribile incubo, in cui quel piccolo pezzo di merda pareva aver preso il controllo dell’intera marina militare. “Sto dicendo che i miei ordini, le ripeto scritti, arrivano direttamente dal ministero della difesa, anzi dal ministro in persona, il quale mi conferisce


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pieni poteri su questa missione, subordinandone ad essa qualsiasi altra. Compresa la sua. Adesso sono stato sufficientemente chiaro contrammiraglio?” disse accentuando il tono sarcastico dell’ultima frase. Cunetto si sentiva sempre più sprofondare in baratro di disperazione, ma soprattutto di rabbia, raccogliendo tutta la sua forza riuscì a sibilare: “Adesso ascoltami piccola insignificante caccolina di merda, se non fai alzare immediatamente il culo al tuo fottuto prete e se non lo fai salire prima di immediatamente sulla quella cazzo di nave, ti giuro che la pagherai. Pagherai per ogni singolo soldato che morirà a causa del tuo dannato ritardo, e stai certo che provvederò personalmente. Aspetto il cardinale sulla nave tra mezz’ora altrimenti su Marte ci dovrà andare a piedi” “E’ una minaccia?” rispose serafico Mancina “No, capitano è una promessa” Cunetto si girò di scatto e si allontanò verso la zona di carico. Mancina rimase un attimo a guardare la schiena dell’ufficiale che si allontanava lungo l’ampio corridoio dove era avvenuto quell’amichevole scambio di battute, poi con un mezzo sorriso sulle labbra si diresse al più vicino centro di comunicazioni interne della stazione. Lo trovò dopo pochi passi e attivatolo, chiese di essere messo immediatamente in comunicazione con la plancia della Maria Goretti e col comandante Fiore.

^ Stazione Orbitante Ascensore Spaziale “Monte Bianco” – Dock di carico n° 3 – Maria Goretti. 24 agosto 2196 – 11:25 Le operazioni preliminari per la partenza erano state ultimate e tutti i nuovi sistemi controllati, quindi in attesa di Cunetto, Amedeo si trovava nel quadrato ufficiali a sorseggiare un caffè in compagnia del dottore. Amedeo stava in silenzio assorto nei suoi pensieri, il dottore invece stava cercando di combattere i postumi dell’alcol. Era stato recuperato nel suo alloggio e portato quasi di peso a bordo pochi minuti prima. “Come va dottore?” chiese Amedeo per fare un po’ di conversazione. “Secondo te?”


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“Poco fa è arrivato il contrammiraglio Cunetto” Lo informò Amedeo “Ci ha detto che dobbiamo partire immediatamente” “Ah, ecco a cosa è dovuta tutta questa attività frenetica” “Bè a dire il vero era in programma un’esercitazione per provare i nuovi motori e sistemi che ci hanno dato, quindi eravamo già praticamente pronti” “E come mai Cunetto vuole partire subito?” “Non lo so, ma aveva una fretta indiavolata, probabilmente ha a che fare con quello che sta succedendo su Marte…” si interruppe bruscamente, rendendosi conto troppo tardi che si era lasciato sfuggire troppo. Il dottore continuò a fissare la propria tazza di caffè, come se non avesse sentito. “Non credo che tu abbia un futuro nei servizi segreti, ragazzo mio” disse senza alzare lo sguardo. “Dottore…” iniziò Amedeo “Non ti preoccupare, io non ho sentito nulla” “Lei non sente mai nulla ma sembra sempre informato di tutto, anche ieri sera per esempio quando ha accennato ai terroristi” “Santo cielo ragazzo, smettila! Stai dicendo tutto quello che ti è stato detto di non dire” “Ma lei come…” stava per chiedere prima di venire interrotto dal cicalino dell’interfono. “Plancia a comandante” gracchiò la voce di Fumagalli dal piccolo altoparlante nella parete. “Qui il comandante” rispose Amedeo premendo il pulsante di comunicazione “C’è una video comunicazione urgente per lei” “Arrivo” “Forse ti starà cercando James Bond” “Chi?” “Lascia perdere” Arrivato in plancia Amedeo si sedette sulla sua poltrona dove ad uno dei braccioli era fissato un piccolo schermo per le comunicazioni visive. “Tenente di Vascello Fiore” “Buongiorno comandante, sono il capitano di vascello Mancina responsabile delle relazioni politiche della marina” disse il volto sullo schermo. Mancina aveva deciso di giocare duro fin dall’inizio, facendo pesare la propria posizione affinché il comandante di quella carretta capisse senza ombra di dubbio che aveva a che fare con un pezzo grosso. Questo, pensava, avrebbe stroncato qualunque eventuale resistenza da parte di Fiore.


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Sapeva che Cunetto avrebbe tentato qualche mossa, quindi aveva deciso di giocare d’anticipo, facendogli terra bruciata intorno. “Comandante l’ho chiamata per darle un preciso ordine. Mi sta ascoltando bene?” “Sì signore” “Bene. L’ordine è il seguente e le arriverà fra qualche istante anche in forma scritta: La Nave Spaziale Militare Maria Goretti non dovrà, ripeto non dovrà, lasciare la stazione orbitante Monte Bianco per nessun genere di missione fino a nuovo ordine. Ha capito? Mi dia conferma” “Ho capito, la mia nave non dovrà lasciare la stazione Monte Bianco per alcuna missione fino a nuovo ordine” “Bene comandante, la devo informare che questa conversazione è stata registrata inclusa la sua conferma della perfetta comprensione dell’ordine, la cui ottemperanza è sotto la sua diretta responsabilità. Ogni trasgressione, sarò chiaro, verrà perseguita in sede disciplinare. Ha capito?” “Sì signore” “Molto bene comandante le auguro una buona giornata” concluse Mancina chiudendo la comunicazione. Amedeo si appoggiò allo schienale della poltrona tirando un profondo sospiro. La situazione si stava complicando, intuiva fin troppo chiaramente, che quella comunicazione aveva a che fare con il profondo disappunto del contrammiraglio. In quel momento desiderò ardentemente essere in missione verso le lune di Urano, o in qualsiasi altro posto tranne che quello. Lo sapeva. Ad avere a che fare con gli alti papaveri si finiva sempre per complicarsi la vita in un modo o nell’altro, ed a finirci in mezzo erano sempre i pesci piccoli come lui. Ancora una volta il dottore aveva visto giusto, pensò amaramente. In plancia era calato il silenzio, tutti avevano sentito la comunicazione. “Tenente, ha sentito? Interrompa i preparativi e comunichi alla torre che per ora non lasceremo la stazione” “Sì signore” rispose Fumagalli godendo, nel vedere il suo comandante impelagato in una situazione più grande di lui, e che avrebbe anche potuto stroncargli la carriera. Ah… tutta quella banda di cialtroni della Goretti sotto processo, che sogno! Amedeo si alzò per raggiungere il dottore nel quadrato ufficiali e finire il caffè, ma mentre era sulla soglia, sentì il trillo dell’interfono e la voce di uno dei fanti di marina comunicargli che il contrammiraglio Cunetto chiedeva il permesso di salire a bordo.


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“Concesso” rispose Amedeo, sentendo il terreno che iniziava a franargli sotto i piedi, l’arrivo del contrammiraglio poteva significare solo grossi guai. Un piccolo tenente di vascello come lui, impelagato in una faida tra alti ufficiali poteva solo finire per ricoprire il ruolo dell’agnello sacrificale. Per un attimo pensò di chiedere al dottore se avrebbe potuto ricoverarlo all’istante, magari in preda ad una qualche sindrome incapacitante. Naturalmente non lo fece. Chiamò invece Fumagalli per poter accogliere il contrammiraglio. Ebbero appena il tempo di uscire dalla plancia e si trovarono di fronte Cunetto. “Mi spiace comandante di non aver tempo di rispettare le formalità, mi dovrà perdonare” “Certo signore” rispose Amedeo che non era mai stato granché incline alle procedure formali della marina, e provando un fugace moto di simpatia per l’alto ufficiale e i suoi modi spicci. Al contrario, Fumagalli si accigliò nel vedere calpestate le norme più elementari di comportamento, che richiedevano un particolare procedura per l’ingresso a bordo di un alto ufficiale. “Il carico e stato opportunamente stivato?” tagliò corto il contrammiraglio venendo subito al sodo. “Hem… sì signore” “Ottimo. Quindi se le procedure di partenza sono state effettuate come avevo ordinato, partiamo subito. Il mio personale è già a bordo. Per la sua sistemazione provvederemo in seguito, ora l’importante è partire immediatamente, se vuole dare l’ordine comandante…” Amedeo esitò in preda all’incertezza e all’imbarazzo, la situazione che paventava si era puntualmente verificata e ora si trovava tra due fuochi. “Ecco… signore…” esitò cercando le parole “…abbiamo ricevuto precisi ordini di non lasciare la stazione” disse, scegliendo di essere diretto come pareva apprezzare il contrammiraglio. Cunetto rimase in silenzio, lo sguardo fisso su Amedeo come se quello che aveva detto fosse del tutto assurdo. “Cosa?” sibilò “Ecco siamo stati contattati dal capitano di vascello Mancina, il quale ci ha ordinato di non lasciare la stazione per nessun motivo, vede il capitano Mancina è…” “So benissimo chi è” lo interruppe Cunetto sputando le parole come se avessero un pessimo sapore. “So bene chi è quel gran figlio di puttana!” “Mi spiace signore” si azzardò a dire Amedeo


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“Lei non si deve dispiacere comandante, lei deve far partire questa nave.” “Mi spiace ammiraglio ma gli ordini che ho ricevuto sono molto chiari” “Me li faccia vedere” chiese a Fumagalli, il quale pronto come sempre, gli tese la cartella. Cunetto lesse gli ordini, il volto fiocamente illuminato dalle pagine della video cartella, rendevano i suoi lineamenti contratti ancora più duri e marcati. Quelle pagine luminose, lo tenevano inchiodato su quella stazione, mentre su Marte parecchi soldati italiani stavano morendo. Digrignò i denti, e ancora una volta Amedeo fece istintivamente un passo indietro di fronte alla furia a stento repressa del contrammiraglio. Poi lentamente riconsegnò la cartella a Fumagalli e per la prima volta gli rivolse la parola. “Tenente ci vuole scusare?” disse facendogli chiaramente capire che voleva rimanere solo con il comandante Fiore. Il primo ufficiale si irrigidì vistosamente, risentito di venire escluso dalla conversazione, ma salutò formalmente e senza dire una parola si voltò e si diresse in plancia. Rimasti soli, Cunetto si lasciò sfuggire un lungo sospiro che esprimeva una stanchezza ed un avvilimento infiniti. “Ne ha un po’ del pignolo arrivista, quel sottotenente” commentò non appena le porte della plancia si chiusero alle spalle di Fumagalli. “Il sottotenente Fumagalli è in verità, un maniaco del regolamento e non vede l’ora di far carriera su di una importante nave da guerra. Odia profondamente essere su questa nave, e sono anche ragionevolmente certo che odi anche tutto l’equipaggio. Me in particolare” gli rispose sorridendo, contento che l’argomento si fosse spostato su cose frivole, e che il contrammiraglio si fosse, almeno in apparenza, calmato. “C’è un posto dove possiamo parlare capitano? E magari berci un caffè?” “Certo. Mi segua” rispose Amedeo facendogli strada verso il quadrato ufficiali Appena si aprirono le porte, Amedeo si fece da parte per lasciar passare il suo superiore, poi lo seguì all’interno del locale pronto a versargli una tazza di caffè, ma appena entrato si ricordò della presenza del dottore, il quale, però, pareva non avere nessuna intenzione di alzarsi e salutare il contrammiraglio, anzi, pareva non averlo nemmeno notato. Amedeo, cercò di prendere in mano la situazione per evitare che divenisse troppo imbarazzante, e prima di chiedere al dottore di lasciarli soli procedette alle presentazioni. “Contrammiraglio le presento il nostro ufficiale medico il tenente di vascello dottor Carlo Beretta”


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A quel punto il dottore si alzò e porse stancamente il saluto al contrammiraglio. Cunetto esitò, poi invece di redarguire il dottore, come temeva Amedeo, porse la mano all’ufficiale medico. C’era qualcosa nell’espressione di Cunetto mentre stringeva la mano del dottore, qualcosa che Amedeo interpretò come incredulità. Forse i due già si conoscevano. Sapeva così poco del passato del dottore. L’attimo passò, ma anche il dottore aveva colto il lampo di incredulità negli occhi del contrammiraglio, al quale stava comunque stringendo vigorosamente la mano, aspettandosi la domanda che puntualmente seguì. “Lei è quel Beretta?” chiese infatti Cunetto “No. Quel Beretta era più giovane e stupido, io sono la versione invecchiata, ma sempre stupida. Anche se con l’età che ho, forse un po’ meno di tanti anni fa” rispose con un sospiro il dottore. Cunetto sorrise continuando a stringere la mano del dottore. “Mi lasci comunque dire che è un onore per me conoscerla dottore, anzi stavo giusto per fare quattro chiacchere informali con suo comandante e sarei lieto che lei si potesse unire a noi” “Veramente avrei alcune analisi da finire…” tentò di svincolarsi Beretta. “La prego dottore, insisto. In verità non sono chiacchere frivole, ma una questione della massima importanza, e la sua presenza sarebbe per me di notevole aiuto per quello di cui dobbiamo discutere” Amedeo che non capiva il senso di quel discorso, né tanto meno l’incredibile deferenza che il contrammiraglio manifestava verso il suo ufficiale medico, rimase basito in piedi, stupito da tanta considerazione da parte di un alto papavero della marina, nei confronti di un semplice medico di bordo. Amedeo aveva conosciuto il dottore quando aveva preso il comando della Goretti, e tra i due era sorta una naturale quanto insolita amicizia. Un legame molto informale che consentiva, in privato, al dottore di dare del tu al proprio comandante, mentre Amedeo non poteva fare a meno di dargli del lei in segno di rispetto alla sua cultura, età e preparazione. Rispetto che il dottore si era guadagnato nonostante i molti difetti, il peggiore di tutti il bere, ma aveva dato prova più volte della propria umanità e competenza. Sobrio o no aveva sempre svolto le sue mansioni con la massima diligenza e soprattutto con una comprensione del prossimo, che raramente Amedeo aveva riscontrato in una persona. Un’insieme di contraddizioni che rendevano quell’uomo, una persona estremamente complessa e spesso impenetrabile, ma assolutamente interessante.


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Tuttavia, non era mai riuscito a scoprire nulla sul passato del dottore e ogni volta che aveva provato a porre qualche domanda, anche indiretta, Beretta aveva sempre cambiato argomento. Non essendo stupido aveva capito che il passato non era un argomento gradito, e quindi aveva smesso da tempo di fare domande rispettando la riservatezza del suo ufficiale. Naturalmente, come comandante, aveva accesso a tutti i dossier relativi ai membri del suo equipaggio, ma quello del dottore, quando lo aveva consultato non appena ricevuto il comando della Goretti, non faceva cenno a nessun evento particolare. Solo un laconico trasferimento per motivi di servizio. Che poteva voler dire tutto e niente. Ciò non di meno si era sempre posto, suo malgrado, delle domande trovando risposte per lo più aleatorie in piccoli indizi, ma non era mai riuscito a risolvere il rompicapo che rappresentava quell’uomo. Ora un nuovo tassello si aggiungeva al puzzle delle sue elucubrazioni, tuttavia per il profondo rispetto che aveva nei suoi confronti, si tenne fuori da quella conversazione, adoperandosi a preparare la tazza di caffè promessa al contrammiraglio. “E’ una sorpresa trovarla su questa nave dottore, ma cosa è successo?” “Nulla, è stata una mia scelta. Come le ho detto ero giovane e stupido, ora quel periodo me lo sono buttato alle spalle. Definitivamente” disse il dottore calcando il tono sull’ultima parola, e anche Cunetto capì al volo che il passato del dottore che non era un argomento su cui insistere. Comunque, il quel momento ad attenuare l’imbarazzo dei due, arrivò Amedeo con vassoio e un paio di tazze di caffè che appoggiò sul tavolo. “Servito dal comandante della nave” osservò con un sorriso il contrammiraglio, per stemperare a sua volta il lieve imbarazzo da lui involontariamente causato con le sue domande rivelatesi indiscrete. “E’ un piacere” rispose Amedeo con lo stesso sorriso, dandogli man forte. Prima di affrontare il motivo per il quale aveva voluto parlare in privato con Amedeo, Cunetto sorseggiò il caffè in silenzio, lasciando agli altri due il tempo di chiedersi cosa avrebbe detto. Il dottore da parte sua, continuava a dedicarsi al suo caffè con aria assente, come se quella piccola riunione informale con uno dei più alti ufficiali dello stato maggiore non suscitasse in lui la minima emozione Amedeo al contrario, beveva nervosamente a piccoli sorsi il suo caffè, lanciando rapidi sguardi furtivi al contrammiraglio, aspettando che iniziasse a parlare. Era più che evidente che la situazione lo innervosiva parecchio e che avrebbe dato qualunque cosa, pur di trovarsi in qualunque altro posto.


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Cunetto posò delicatamente la tazza sul vassoio, prese un profondo respiro e iniziò a parlare. “Comandante Fiore, come le è stato comunicato la nostra base su Marte è stata oggetto di un attacco terroristico” disse anche a beneficio di Beretta “Il fatto è, che non si tratta di un attacco terroristico comune con bombe o quant’altro, ma qualcosa di più originale, ciò nondimeno ugualmente devastante. Possiamo dire che è stata utilizzata un arma biologica” esordì iniziando a raccontare ai due ufficiali della Goretti tutto quanto era veramente avvenuto su Marte. “Inoltre…” continuò “Nonostante l’estrema urgenza di un intervento sanitario, siamo bloccati su questa stazione, a causa di una banale visita di rappresentanza, mentre i nostri ragazzi sul campo continuano a morire” fece una piccola pausa, fissando Amedeo dritto negli occhi “Capisce ora la mia urgenza comandante?” Amedeo rimase qualche istante in silenzio, cercando di assimilare quello che il contrammiraglio gli aveva appena rivelato. A quel punto, era evidente che lui sarebbe stato l’ago della bilancia in una disputa tra alti ufficiali e restava il fatto che fondamentalmente a lui si richiedeva una scelta, che si poteva riassumere in poche parole. Stare con Cunetto, optando per una scelta eticamente giusta e mettendo probabilmente fine alla propria carriera, oppure eseguire alla lettera gli ordini ricevuti, salvare la propria carriera e lasciare morire i ragazzi su Marte. Nel quadrato, sia il dottore che Cunetto rimasero in silenzio, entrambi capivano il dilemma che attanagliava Amedeo e lo lasciarono a dipanare la matassa del suo conflitto interiore senza interferire. Alla fine Amedeo rivolse una domanda a Beretta. “Dottore lei che ne pensa” “Ragazzo mio” disse il dottore “Fortunatamente non spetta a me decidere cosa fare, sei tu il comandante, io qualunque decisione tu prenda la rispetterò e la comprenderò” Amedeo annuì lentamente cercando, anzi sforzandosi i tutti i modi di prendere la decisione giusta. “Comandante” intervenne Cunetto “ Mi rendo perfettamente conto che la decisione che lei deve prendere è assolutamente critica, ma la situazione assurda in cui ci troviamo, richiede decisioni critiche. Voglio aggiungere solo una cosa, se lei dovesse decidere di partire in aiuto dei nostri ragazzi su Marte, e ci dovessero essere, a seguito di ciò, ripercussioni diciamo ufficiali, io la sosterrò incondizionatamente, sollevandola da qualunque responsabilità


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e sono pronto a mettere un ordine per iscritto anche adesso, al fine di preservare la sua carriera” “Anche lei rischia molto contrammiraglio, o sbaglio?” “Non sbaglia, ma la mia decisione l’ho già presa e così i miei aiutanti. La difenderò fino in fondo comunque vada a finire. In un modo o nell’altro arriverò su Marte. Quello che chiedo è di non arrivare troppo tardi per salvare quei ragazzi” Beretta sospirò “Io sono con lei ammiraglio” disse guardandolo dritto in faccia. “Lo immaginavo dottore, ma averne la conferma mi fa comunque molto piacere” rispose Cunetto stringendogli la mano. Entrambi si girarono verso Amedeo, il quale sentendo di non avere più scelta e che, in fin dei conti la decisione l’aveva già presa non appena Cunetto aveva finito di esporre la situazione, porse a sua volta la mano al contrammiraglio. “Se adesso dico di no, che figura ci faccio?” Cunetto gli sorrise. Il dottore lo guardò dritto negli occhi e ad Amedeo si gonfiò il cuore di orgoglio nel vedere rispetto nello sguardo del dottore. “Come intendi procedere” gli chiese il dottore, finalmente interessato alla vicenda “Ho un’idea” sorrise a sua volta Amedeo. *** In plancia Fumagalli passeggiava nervosamente avanti e indietro, si sentiva frustrato per essere stato così bruscamente escluso dal colloquio. Era certo che qualunque fosse stata la questione da discutere avrebbe potuto apportare un valido contributo, certo molto più di quell’incapace del comandante Fiore. Inoltre si sentiva defraudato della possibilità di poter dimostrare, ad un alto ufficiale, le sue capacità e poter finalmente ottenere un appoggio per un suo trasferimento su di una vera nave da guerra. Le sue considerazioni furono interrotte dal secondo capo Denti, addetto al radar. “Signore, chiedo il permesso di abbandonare la plancia” “Negato” rispose bruscamente Fumagalli, sedendosi finalmente alla postazione del comandante in seconda dove continuò a rimuginare sulla


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situazione, e chiedendosi in vano di cosa stessero parlando quei due nel quadrato ufficiali. Sentiva il proprio risentimento tramutarsi in livore vero e proprio per la situazione in cui si trovava, sempre escluso da tutto, costretto a combattere quotidianamente per mantenere un minimo di disciplina su quella nave infame, ricavandone solo derisione e disprezzo da parte dell’equipaggio. E quel che era peggio, dover sottostare ai comandi di un incapace mollaccione che tirava letteralmente a campare, incurante della propria carriera e di quella dei suoi ufficiali, costringendolo a vivere in una sorta di limbo in cui ogni opportunità per mostrare le sue capacità gli veniva preclusa, e così anche ogni possibilità di avanzamento. Se c’era qualcosa di importante da fare era certo che il tenente di vascello Fiore faceva di tutto per trovarsi altrove. Dio! Quanto odiava quella nave e tutti quelli che vi si trovavano a bordo. Era assorto in questi cupi pensieri quando sentì l’avviso lanciato da Denti. “Comandante in plancia!” Fumagalli scattò in piedi girandosi verso il portello d’accesso, aspettandosi di vedere anche il contrammiraglio Cunetto, ma nel locale entrò solo il comandante Fiore. Sembrava improvvisamente invecchiato, il volto era teso e un po’ pallido e Fumagalli sperò intimamente che avesse ricevuto una strigliata dall’ufficiale dello stato maggiore, e che il suo aspetto fosse dovuto da un grande abbattimento d’animo. Malgrado ciò c’era qualcosa nello sguardo di Fiore, una bagliore di determinazione che non ricordava di avere mai visto prima. Per questo motivo rimase sconcertato quando vide il volto del proprio comandante aprirsi in un sorriso, e con voce gioviale rivolgersi a lui. “Tenente. Avviso di partenza, tutti gli uomini ai propri posti. Capo...” continuò rivolto all’addetto alle comunicazioni il capo di prima classe Quaglia “Richieda l’autorizzazione alla torre per il previsto decollo per esercitazione” poi girandosi verso Fumagalli e vedendolo ancora fermo immobile ripeté l’ordine. “Tenente, avviso di partenza per favore” Il comandante in seconda si riscosse dal proprio stupore, realizzando che ciò che stava dicendo Fiore era in assoluto contrasto con gli ordini ricevuti precedentemente, e non mancò di farlo notare. “Signore mi permetto di ricordarle che abbiamo ricevuto precisi ordini di non lasciare la stazione” “Lo so tenente, tuttavia le ribadisco l’ordine che le ho appena dato”


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“Signore” insistette Fumagalli “Chiedo spiegazioni, altrimenti non posso eseguire l’ordine appena ricevuto” a quella frase in plancia scese un silenzio infranto solo dal ronzio degli strumenti elettronici. Tutti i componenti dell’equipaggio si erano girati per assistere a quel nuovo scontro tra il loro comandante e il suo secondo. “Lei si sta rifiutando di eseguire un preciso ordine tenente?” “Signore sempre con tutto il rispetto è lei che sta infrangendo un ordine” disse con un tono che contraddiceva il rispetto appena professato. “Bene tenente, mi rilegga l’ordine che abbiamo ricevuto” Fumagalli si mosse rigidamente, con gesti che tradivano una profonda rabbia repressa. Digitò sulla tastiera della sua consolle e richiamò a video l’ordine di Mancina leggendolo ad alta voce. Una volta terminato si girò quindi verso il suo comandante con aria trionfante. Non c’erano dubbi la nave non poteva lasciare la stazione e se Fiore avesse insistito, lui avrebbe potuto esautorarlo e portare tutta la faccenda davanti ad un commissione disciplinare. Sorrise. Amedeo vide nuovamente quel sorriso tronfio sulla faccia del suo secondo e per un istante, provò nuovamente un moto di odio profondo per quel miserabile lacchè, ma fu solo un attimo perché ciò che stava per dire gli avrebbe cancellato dalla faccia quell'odioso sorrisetto di trionfo. “Esattamente tenente, gli ordini ci dicono che non possiamo lasciare la stazione per alcuna missione, e infatti, noi eseguiremo una semplice esercitazione, quindi il mio ordine non contrasta minimamente con quello ricevuto. Inoltre l’esercitazione è stata autorizzata già da tempo e quindi in programma. A meno che lei non si voglia assumere la responsabilità di affrontare la nostra missione portando il cardinal Pompini su Marte con motori e sistemi non adeguatamente testati…” Fumagalli il cui sorriso era svanito come neve al sole esitò, e Amedeo colse la palla al balzò. “Bene tenente, interpreto il suo silenzio come un assenso alle mie argomentazioni quindi… se ora vuole cortesemente dare l’ordine di partenza e comunicare all’equipaggio di raggiungere i propri posti, le sarei grato. O vuole insistere nella sua disubbidienza all’ordine appena impartitole?” Le spalle di Fumagalli si accasciarono, era stato sconfitto ancora una volta da quel subdolo cialtrone. A denti stretti diede il suo assenso. “Scusi signore, ma posso almeno sapere qual'è la destinazione dell’esercitazione” chiese caricando di acrimonia ogni singola parola.


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“Marte, naturalmente” gli rispose serafico Amedeo, come se fosse la destinazione più ovvia del mondo.

^ Presidio italiano su Marte: “Campo Garibaldi” settore Schiaparelli – Ospedale da campo. 25 agosto 2196 – 05:45 Il colonnello Ponzi era esausto. Coadiuvato dal capitano Gandolfi aveva passato giorno e notte in laboratorio. Ormai il contingente italiano era ridotto al quindici per cento degli effettivi e quel quindici serviva a stento, a pattugliare i dintorni del campo e a presidiare a stento lo stesso, senza possibilità di riposo per gli uomini rimasti. Fortunatamente, Campo Garibaldi, era piuttosto isolato e distante dai grandi centri urbani del pianeta, trovandosi infatti, nella zona semidesertica nei pressi del cratere di Schiaparelli. Grazie alla sua posizione geografica, il contagio era stato tenuto sotto controllo isolando facilmente la zona, ed evitando che si diffondesse alle aree controllate dalle altre forze NATO. Tuttavia nonostante i loro sforzi, non erano ancora riusciti a trovare il mezzo di diffusione del virus; l’unica particolarità era che il personale medico sembrava stranamente immune alla malattia. “Che ne pensi Giuseppe?” chiese Ponzi al suo collega, mentre sfinito, si appoggiava pesantemente allo schienale della sedia sfregandosi gli occhi arrossati. Gandolfi sospirò per la stanchezza e la frustrazione. “Non lo so, il fatto che noi della sanità sembriamo immuni - e di questo ringrazio Dio - mi fa pensare che il contagio, a parte quello per via sessuale, avvenga magari in una determinata zona in cui vanno le nostre pattuglie” “Può essere se non fosse che il paziente zero, al momento del contagio non era stato di pattuglia in nessun luogo” obiettò Ponzi. Gandolfi non sapeva più che pesci pigliare. Avevano pensato ormai a tutto, ad una contaminazione dell’acqua, dell’impianto di condizionamento


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dell’aria, al cibo, tutto; ma ognuna delle ipotesi veniva frustrata da delle eccezioni e dalle analisi effettuate. “Qual’era la mansione del paziente zero” chiese improvvisamente Ponzi. “Mitragliere, su un mezzo blindato. Comunque la zona di pattugliamento della sua squadra è pulita, abbiamo già controllato. Inoltre altri soldati sono stati infettati ed avevano altre aree di competenza. No colonnello, le zone di pattugliamento sono per forza pulite, perché molti soldati sono tornati sani dai loro turni di pattuglia. Abbiamo già cercato in quella direzione” “Non mi sto riferendo alle zone” continuò Ponzi con le mani incrociate davanti alla faccia e gli occhi chiusi “Ma a quello che specificatamente ha fatto. Cosa fa un mitragliere?” “Spara?” azzardò Gandolfi poco convinto, e con la mente stremata dalla stanchezza. “Certo, abbiamo controllato le armi?” “Molti soldati toccano le armi, ma non tutti sono stati infettati” disse Gandolfi che cominciava a vedere un barlume di logica nel ragionamento del colonnello. Una strada che non avevano ancora percorso. Per un attimo ci fu silenzio, entrambi gli ufficiali medici intenti a pensare. Poi, improvvisamente, avvenne una di quelle cose che ogni tanto capitano a chi si arrovella strenuamente su di un problema senza venirne a capo, una di quelle cose che vanno sotto il nome di illuminazione, e che arriva in quei momenti in cui la mente vaga seguendo una propria strada, e lasciata libera di seguirne liberamente il percorso, trova la soluzione. “Qual’era la mansione dei primi casi di contagio?” esclamarono entrambi quasi all’unisono. Si guardarono in faccia per un istante, entrambi riconoscendo nell’altro la stessa folgorazione, poi Gandolfi si mise a digitare rapidamente alcuni comandi sulla tastiera del proprio terminale. Ponzi si alzò dalla sedia e stancamente, si portò alle spalle del collega. Il capitano Gandolfi inserì i filtri per ottenere solo i dati necessari dal database, e premette invio. Un istante dopo, lo schermo si illuminò, mettendo di fronte ai due ufficiali il pezzo mancante del puzzle. “Cazzo…” mormorò tra i denti Gandolfi. Il colonnello si limitò a ricadere pesantemente sulla sedia, portandosi le mani alla faccia e sospirando sia per la stanchezza che per il sollievo. “Tanto elementare, quanto geniale” sospirò Gandolfi. Le mani appoggiate stancamente sui braccioli. Il quadro ora era completo, e con un po’ di fortuna, se gli aiuti fossero arrivati al più presto, avrebbero potuto arrestare il contagio.


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*** Il maggiore Cavalli, comandante del contingente di campo Garibaldi era di persona, su un mezzo blindato, di pattuglia a est di Schiaparelli. Vista la crisi in corso, l’area di pattugliamento era stata obbligatoriamente ridotta, riducendola a soli cento chilometri di raggio dalla base italiana. Quattro pattuglie di venti uomini ciascuna, ai quattro punti cardinali, con un solo aviogetto a disposizione, era quello che gli italiani erano ormai in grado di mettere in campo. Fortunatamente il settore italiano era sempre stato il più tranquillo, almeno fino ad un mese prima, quando era iniziato quell’incubo di epidemia. Dalla Terra non arrivavano aiuti, e il colonnello Ponzi aveva letteralmente saccheggiato il settore italiano della base orbitante di tutto quello che avrebbe potuto essere utile sul pianeta. Ciò nonostante l’epidemia era dilagata fuori controllo, e solo il particolare isolamento della base italiana ne aveva, probabilmente, evitato il dilagarsi su tutto il pianeta. Tuttavia Cavalli era preoccupato, molto preoccupato. Non ne sapeva il motivo, ma c’era qualcosa che non quadrava in tutta quella faccenda. Militare di carriera, a quarantasette anni ne aveva già venticinque di esperienza in territori ostili e sapeva che in guerra (poiché quella su Marte era una guerra vera e propria, anche se veniva, ostinatamente definita dai politici, missione di pace) quasi nulla accade per caso e se l’epidemia era, come si diceva, un attacco terroristico, allora questo attacco doveva avere uno scopo. Quello che lo preoccupava era l’esiguità del contingente che poteva ancora operare, tuttavia, a dissipare almeno in parte le sue preoccupazioni, nonostante l’acuirsi e il diffondersi della malattia, il settore era rimasto tranquillo come sempre, senza nessuna attività ostile da parte dei ribelli. Si accorse che era proprio questo a renderlo nervoso. In silenzio, il maggiore dei bersaglieri levò una preghiera perché così rimanesse fino all’arrivo degli aiuti e dei rinforzi. Con questi pensieri in testa, appoggiò gli occhi stanchi e arrossati alla visiera in gomma del periscopio per dare un’occhiata al territorio circostante, sperando di continuare a vedere, come sempre, nient’altro che rocce, terriccio rossastro e qualche piccola macchia di arbusti. Il paesaggio, in quel settore, era quanto di più simile all’aspetto originario del pianeta prima del processo di terraformazione, altre zone del pianeta


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molto più popolate, avevano ormai raggiunto un aspetto simile a quello della Terra, soprattutto nella zona di Valles Marineris, ora divenuta un immenso fiume, sulle rive del quale erano sorte e prosperavano numerose città. Il processo di terraformazione era stato lungo quasi un secolo, durante il quale i primi pionieri, geneticamente modificati per adattarsi alle condizioni appena accettabili del pianeta, avevano lavorato duramente per renderlo abitabile alla razza umana. Naturalmente, la presenza umana su Marte, anche se geneticamente modificata, non era stata immediata. Un primo nucleo di coloni si stabilì in pianta stabile sul pianeta dopo un decennio che il processo aveva avuto inizio, vivendo in cupole pressurizzate. Il loro scopo: tenere sotto controllo e monitorare il processo di ecopoiesi che consisteva nel liberare nell’atmosfera di Marte il biossido di carbonio imprigionato nelle calotte polari e nel regolite, al fine di creare un effetto serra che avrebbe consentito di innalzare la temperatura e aumentare la pressione atmosferica. Successivamente, l’introduzione di alcuni batteri capaci di produrre sia ammoniaca che metano, ottimi elementi per contribuire all’effetto serra, ne avevano accelerato il processo. L’aumento della temperatura così ottenuto, aveva consentito all’acqua presente sul pianeta in forma solida, di tornare allo stato liquido, successivamente, l’introduzione di cianobatteri, cioè microrganismi capaci di resistere a condizioni estreme, avevano consentito, attraverso un processo di fotosintesi, di trattenere il biossido di carbonio presente nell’atmosfera e liberare ossigeno. Una volta raggiunte le condizioni necessarie, l’introduzione di piante geneticamente modificate, aveva arricchito l’atmosfera di ulteriore ossigeno grazie al processo di fotosintesi, consentendo ai coloni di poter sopravvivere sulla superficie senza l’ausilio di particolari protezioni. Alla fine giunse il momento dei grandi flussi migratori dalla Terra verso l’ormai ex pianeta rosso. Tecnici, operai, avventurieri, intere famiglie avevano voluto lasciarsi alle spalle le precarie condizioni di vita su di una Terra sovraffollata, con ormai scarse risorse alimentari e quasi al collasso ambientale, per rifarsi una nuova vita su Marte. Come sempre nel corso della storia, furono le classi meno abbienti, i diseredati, a partire con le loro poche cose, per lavorare alla colonizzazione della nuova terra promessa. Dietro di loro, al sicuro sulla Terra, al riparo dai pericoli, le grandi multinazionali e i governi delle nazioni che avevano


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investito in quel progetto grandioso, tiravano le fila delle vite di questi pionieri e si spartivano le risorse ancora inviolate del pianeta. Questi primi marziani, da parte loro, si erano invece assoggettati ad un lavoro immane, durissimo e pericoloso, in condizioni di vita estreme. Ora che il pianeta era abitabile, altri milioni di terrestri anelavano di trasferircisi per fuggire al sovrappopolamento della Terra. Nuovi coloni, che le multinazionali e i governi favorivano a discapito dei vecchi. Più diritti, più possibilità, terre per coltivazioni intensive, lavoro specializzato e concessioni minerarie a chi, ultimo arrivato trovava già la strada spianata. I diversi, i primi coloni che avevano subito le mutazioni genetiche indotte, per poter lavorare e sopravvivere alle condizioni estreme del pianeta vergine, erano diventati i paria della nuova società marziana. Scartati come attrezzature obsolete, messi in disparte a spartirsi le briciole del banchetto della colonizzazione, relegati in zone delimitate del pianeta a sopravvivere di sovvenzioni governative, oppure negli slums delle grandi città. Ogni anno ondate di coloni arrivavano sul pianeta. Grandi città nascevano sulle vecchie basi, i nuovi culti religiosi che si erano sviluppati nei cento e più anni di lotta contro quella natura ostile, erano stati spazzati via dalle religioni ufficiali, i luoghi di culto marziani demoliti per far spazio a quelli tradizionali terrestri. La storia si ripete; sempre, in ogni tempo e in ogni dove. Una lezione che nessuno vuole imparare. Tuttavia anche i nuovi coloni cominciano a sentire il distacco dalla madre Terra. Marte è un pianeta nuovo per una nuova vita. Il cordone ombelicale che lega i coloni alla Terra diviene sempre più debole. Marte ha le risorse, gli uomini e le possibilità per fare da solo. I nuovi coloni si mescolano con quelli vecchi. Una nuova coscienza nazionale, non frammentata da fazioni, nazioni di culture e lingue diverse, comincia ad attecchire e prosperare. Una coscienza planetaria, che travalica i confini delle nazioni terrestri, che ignora le differenze di razza, credo e lingua. I marziani parlano una loro lingua, un miscuglio di tutte quelle portate sul pianeta e che li rende simili e uniti. Diversi. In principio solo qualche debole segnale, bandiere di Marte a bande verticali rosse, verdi e blu, iniziano ad apparire sui muri, qualche straccio tinto di quei colori viene provocatoriamente issato su di un pennone improvvisato.


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Segnali ignorati. Prodotto di qualche fanatico utopista. E’ questo che le autorità terrestri pensano. Fino alla prima bomba. Allora i segnali vengono notati, analizzati, sviscerati e finalmente compresi. Marte non vuole essere una colonia terrestre. I terrestri avevano colonizzato Marte per sopravvivere. I ribelli, discendenti dei primi coloni, non volevano morire. Gli attentati si susseguono. Le varie fazioni indipendentiste, prima agiscono da sole, isolate dalle altre, poi improvvisamente tutte spariscono assorbite da un movimento nazionalista a livello planetario, che finalmente le organizza e le coordina. Le guida un uomo, un personaggio carismatico. Si dice discenda direttamente da quei tecnici planetari che per primi avevano messo piede su Marte. L’uomo ha un nome che è un manifesto dell’origine della nazione marziana. Yuri Akiro Seguillen. Il capo indiscusso dei ribelli. Il suo movimento non ha un nome, solo uno scopo: l’indipendenza. I Governi tuonavano contro gli attacchi alla democrazia, le multinazionali strepitavano affinché i loro interessi sul pianeta venissero protetti, le chiese invocano la distruzione dei culti eretici di Marte. La Terra aveva risposto con una missione di pace internazionale, mentre i ribelli avevano dichiarato una guerra che la Terra continuava a fare finta che non esistesse. Erano proprio questi che il maggiore sperava di non vedere attraverso il suo periscopio a lungo raggio. La gomma del visore gli lasciò una cornice rossa attorno agli occhi, quando staccò il viso passandosi una mano sul volto sudato. Stanco oltre ogni dire per i continui turni di pattuglia dai quali non si esimeva come chiunque altro, appoggiò la fronte al visore del periscopio, cercando nel buio dietro le palpebre un minimo di ristoro. Tutti i suoi uomini erano sfiniti quasi quanto lui e lo sfinimento, sapeva bene, porta inevitabilmente ad errori dovuti alla difficoltà di concentrazione. Il caporale Marco Colli, diciott’anni, varesino in ferma breve, che sedeva nella postazione radar del blindato, non faceva eccezione. Lo sguardo era fisso sul monitor davanti a lui, ma la mente era decisamente altrove. Era su Marte da sei mesi nei quali, a parte l’ultimo, aveva avuto una vita relativamente facile nelle pattuglie a largo raggio a bordo dei blindati, ogni settimana per tre giorni, il resto del tempo passato nelle zone ristoro della base a praticare sport, attività ludiche e turismo.


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Tutto questo fino all’ultimo mese, in cui il facile e ben pagato soggiorno sul pianeta si era rilevato un incubo. I turni in pattuglia si erano moltiplicati, sia come frequenza che come durata, spesso dormiva sul blindato tanto era poco il tempo a disposizione tra una missione e l’altra, il personale era sempre meno e nonostante le zone di pattugliamento venissero drasticamente ridotte, erano sempre e comunque molto ampie per consentire un raggio di sicurezza tra la base e un’eventuale minaccia. L’atmosfera all’interno del blindato era quasi irrespirabile, sia per il caldo che per l’odore dei corpi sudati e mal lavati. Procedevano regolarmente verso il nav point prefissato con qualche scossone, che invece di tenere sveglio l’equipaggio, aveva un effetto soporifero. La testa di Marco iniziò a ciondolare al ritmo delle lievi asperità del terreno, sprofondando in un torpore sempre più profondo. Fu per questo motivo che il piccolo bip del radar, che in condizioni normali non gli sarebbe sfuggito passò inosservato, così senza colpa e senza speranza, la pattuglia procedeva ignara verso la propria rovina, portando con sé anche l’intera missione italiana nel settore di Schiaparelli. La pattuglia era composta da quattro mezzi: il blindato comando, un VBM Freccia, su cui si trovava Cavalli, due blindati trasporto truppe APC Puma 750, che normalmente trasportavano quaranta uomini, ma di cui solo uno aveva a bordo appena otto bersaglieri - l’altro veniva usato come appoggio corazzato - e un mezzo pesante MBT Ariete. Il primo ad accorgersi del pericolo fu il comandante dell’Ariete . Come il maggiore Cavalli, aveva da ore gli occhi incollati al visore telescopico della torretta attraverso il quale colse un bagliore, un riflesso, in un piccolo avvallamento a qualche chilometro di distanza. Fu solo per un istante, ma sufficiente a metterlo in massima allerta. “Ferma” ordinò con voce calma nell’interfono. Il pilota fermò il carro con un lieve scossone in poco meno di dieci metri. I computer di bordo degli altri mezzi, collegati fra loro in rete eseguirono simultaneamente la manovra. I quattro blindati erano ora fermi in mezzo al deserto sabbioso del settore orientale di Schiaparelli. Dietro di loro, la scia di polvere rossastra sollevata dalle ruote a prova di proiettile, andava rapidamente scomparendo, portata via dal vento del deserto. “Giordano, che succede” disse la voce del maggiore nella cuffia della radio.


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“Mi è parso di vedere qualcosa signore” un attimo di esitazione nella risposta, durante il quale aveva continuato a guardare nel visore ad altissima definizione con l’ingrandimento al massimo. “Specifichi meglio sergente” “Un riflesso” “Direzione?” “47° gradi est signore” Pausa. “Io non vedo nulla e il radar non indica niente. E’ sicuro di aver visto qualcosa?” Il capocarro non fece in tempo a rispondere. Una accecante palla di fuoco cancellò l’Ariete e il capocarro Giordano in una frazione di secondo. Lo spostamento d’aria e i frammenti del mezzo pesante, investirono il carro comando facendolo sobbalzare e scaraventando l’equipaggio a terra. Cavalli perse solo un piccola frazione di secondo per riprendersi, e ancor prima che il rumore dell’esplosione si dissolvesse, stava già urlando nel microfono di espellere le granate fumogene montate su tutti mezzi, per creare una cortina dietro la quale avrebbero avuto una qualche possibilità di fuga. “Indietro!” Urlò al pilota il quale prese a manovrare freneticamente su volante e pedali, mentre con una mano premeva il tasto che disattivava la modalità di marcia automatica passando a quella manuale. Da dietro il blindato si udì il crepitare ritmico del piccolo cannone da settantacinque montato su uno dei Puma, poi un’altra esplosione. Con la faccia incollata al periscopio cercò di vedere cos’era successo, ma tutta la zona era nascosta da una fitta cortina di fumo creata dal miscuglio dei fumogeni e dall’incendio dell’Ariete. “Colli!” urlò al caporale senza staccarsi dal visore “Dia l’allarme alla base!” Fuori non riusciva a vedere ancora nulla in mezzo a tutto quel caos. Dov’erano i Puma? Poi il blindato urtò violentemente qualcosa, squassando nuovamente tutti i suoi occupanti. Nel fare retromarcia era andato a sbattere contro uno dei Puma e da quella distanza Cavalli poté vedere che il mezzo era stato colpito ad un fianco. Il colpo aveva messo fuori uso una delle ruote e il blindato si era inclinato su di un fianco. Nonostante ciò l’autiere del mezzo colpito stava ancora disperatamente manovrando per uscire fuori da quel caos, cercando di portarsi a distanza di sicurezza dallo scontro. Il cannone da settantacinque continuava a sparare a raffica. Contro cosa, Cavalli non riusciva a vederlo.


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Dai numeri identificativi sulla torretta vide che si trattava del Puma con a bordo gli otto fanti. Che ne era di loro? I portelli sulla parte posteriore erano ancora chiusi. Forse erano tutti morti nell’esplosione? L’Ariete distrutto e un Puma danneggiato, la situazione precipitava e il nemico non era ancora visibile. “Colli da dove cazzo sparano?!” “Non lo so signore il radar non segnala niente!” Un’altra esplosione arrivò a squassare il blindato. Cavalli ruotò il visore, cercava disperatamente di capire cosa stesse succedendo la fuori. Il suo Freccia non aveva ancora subito danni, ma intorno al suo mezzo si era scatenato l’inferno. Finalmente anche il suo mezzo iniziò a sparare, con il suo piccolo cannoncino da cinquanta. Forse il cannoniere era riuscito ad individuare qualcosa in tutto quel caos di esplosioni e fumo reso sempre più denso dagli incendi e dagli spari. Girò il periscopio in direzione del Puma colpito e vide finalmente aprirsi gli sportelli posteriori. I bersaglieri si precipitarono all’aperto. Ora il mezzo era completamente fermo e delle fiamme iniziavano svilupparsi nel vano motore. Vide un paio di membri dell’equipaggio buttarsi fuori dal mezzo, mentre un terzo avvolto dalle fiamme, cercava disperatamente di uscire da un portello laterale. Ignorò l’orrendo spettacolo che si svolgeva sotto i suoi occhi, cercando di individuare il nemico, quando vide tutti i bersaglieri falciati da un fuoco incrociato di mitragliatrici. “Sparate! Ore quattro!” urlò al suo cannoniere, aveva visto i bagliori di una mitragliatrice pesante dietro ad alcuni arbusti. Mantenne il visore sul punto indicato finché non udì il crepitio della calibro cinquanta e i traccianti disintegrare la piccola macchia di arbusti. Anche loro avevano artigli. Eliminata quella minaccia, spostò l’attenzione sui membri dell’equipaggio del Puma superstiti che avevano cercato rifugio dietro la sagoma del loro carro solo per vederli falciare da un massiccio fuoco proveniente da un ammasso di rocce ad una cinquantina di metri di distanza. Stava per urlare al suo cannoniere di fare fuoco verso quella postazione, quando li vide. Quattro carri pesanti, con le corazzature stealth a specchio che li rendevano virtualmente invisibili sia ai radar che all’occhio, sbucarono dalla sommità di una piccola duna a un centinaio di metri dal suo blindato. Apparivano e sparivano tra le volute di fumo che avvolgevano la scena della battaglia riflettendone i bagliori.


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Staccò gli occhi dal visore per urlare al pilota di fuggire a tutta velocità, ma riuscì solo a prendere il fiato necessario quando un proiettile da centocinque colpì in pieno il Freccia riducendolo ad un ammasso contorto di lamiere incandescenti. Il secondo Puma venne colpito una frazione di secondo dopo. Tutto lo scontro era durato meno di quaranta secondi e nessun allarme era stato lanciato. I quattro carri pesanti avanzarono su cingoli larghi quasi un metro, fendendo l’aria satura di fumo, mentre da dietro alcune rocce sbucarono due gruppi di uomini armati di RPG. Tutti rimasero fermi a guardare il risultato del loro agguato, poi da oltre le dune di terra rossa giunse il rumore di grossi motori. Pochi istanti dopo una lunga colonna di carri e mezzi blindati per trasporto truppe, passò a fianco dei relitti italiani procedendo verso ovest. Gli uomini con gli RPG salirono su uno dei mezzi blindati, lasciandosi alle spalle solo morti e rottami incandescenti. Ora solo ottanta chilometri separavano i ribelli dal campo Garibaldi, e non c'era più nulla in mezzo che potesse fermarli.

^ Stazione Orbitante Ascensore Spaziale “Monte Bianco” – Dock di carico n° 3. 26 agosto 2196 – 12:45 Mentre su Marte la situazione precipitava, sulla Stazione Spaziale Orbitante Monte Bianco la permanenza del cardinal Pompini proseguiva senza intoppi. Dopo l’arrivo, il ricevimento e la cena con gli ufficiali, Mancina si era premurato di accompagnare il cardinale negli alloggi a lui riservati, dichiarandosi a disposizione di sua eminenza, ventiquattr’ore su ventiquattro. Ogni mattina il cardinale ufficiava una messa a beneficio dei militari che non erano di servizio. Partecipazione obbligatoria. Dopo di ché, insieme al suo seguito, veniva accompagnato nelle varie zone della stazione con Mancina che fungeva da cicerone, illustrando al cardinale le varie funzioni di ogni reparto e zona, sia civile che militare: dalla torre di


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controllo ai vari docks di carico e di attracco delle navi sia mercantili che militari. Il primo nucleo della stazione Monte Bianco era stato messo in orbita centoventi anni prima, in previsione della costruzione dell’ascensore spaziale, considerato allora una meraviglia della tecnologia che avrebbe soppiantato i costosi e pericolosi shuttles, aprendo nuove frontiere alla colonizzazione spaziale Da quel primo nucleo, di poche decine di metri quadrati si era trasformato in un colosso in orbita geostazionaria, costituito da una sezione rettangolare lunga un chilometro sul lato più lungo, cinquecento metri per quello più corto frazionata in sei livelli. Al centro dell’ultimo livello, quello opposto alla superficie terrestre, si elevava la torre di controllo una struttura piramidale tronca, alta trecento metri con una base di duecentocinquanta metri per lato. Da ogni lato della stazione, si diramavano numerosi bracci alti quattro livelli, quattro per ogni lato lungo e due per quelli corti, ai quali le navi spaziali potevano attraccare alla stazione tramite i barcarizzi estensibili pressurizzati. Ogni molo era in grado di fornire attracco a quattro navi di medie dimensioni. Ogni braccio, o dock di carico, serviva due moli ed aveva un’altezza che copriva quattro livelli in modo da poter ospitare al suo interno le navi per le operazioni in secco come era avvenuto per la Goretti. Un cantiere navale orbitante a fianco della stazione era a disposizione per le operazioni di manutenzione delle grandi navi, militari e mercantili. Ogni livello della stazione aveva un’altezza di trenta metri, che nella parte non adibita a docks, cioè nella parte più interna ospitava uffici, appartamenti, magazzini, sedi di imprese di trasporti, era a sua volta suddiviso in ulteriori sei sottolivelli. La stazione era praticamente una città orbitante, la cui popolazione si aggirava intorno alle settantamila persone, tra personale civile e militare. Naturalmente, le stazioni orbitanti americane erano molto più grosse, in grado di ormeggiare le immense fregate da guerra che pattugliavano incessantemente lo spazio del sistema solare. Mancina aveva organizzato il tour del cardinale, utilizzando comodi veicoli elettrici con i quali potersi spostare velocemente da un settore all’altro, e percorrendo le rampe in lieve pendenza per spostarsi tra i vari livelli e sottolivelli.


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Il tour aveva opportunamente escluso quelle zone che potevano risultare imbarazzanti, come i depositi di armi e munizioni o i depositi di rifiuti tossici provenienti dalla terra e che venivano smaltiti nello spazio aperto. In particolar modo Mancina si era ben guardato dal portare il cardinale nella zona a luci rossi del settore francese, abitualmente frequentatissima dagli italiani. Il pezzo forte della visita si svolse alla sommità della torre di controllo, dove il cardinale attraverso le grandi vetrate panoramiche, poteva godere di un’ampia vista dello spazio. La Terra appariva in tutto il suo splendore, una grande palla azzurro grigiastra sospesa nel vuoto, mentre miliardi di stelle le facevano da cornice. Di fronte a quello spettacolo il cardinale rimase assorto in contemplazione, il volto disteso di chi sente una grande pace interiore. Mancina, al suo fianco lo sentì sussurrare una preghiera. Girandosi a sua volta a contemplare l’infinito che si estendeva davanti a lui, per un breve istante avvertì quanto insignificanti e piccole fossero le sue preoccupazioni. Osservando il cardinale assorto in preghiera, poté scorgere l’uomo di Dio che forse era stato un tempo, e non l’abile e smaliziato politico che aveva scalato a gomitate le gerarchie del Vaticano. Ma presto quell’istante, improvviso come era arrivato, se ne andò, riportandolo ai suoi doveri e allo scopo della sua presenza in quel luogo. Impressionare il legato pontificio. Missione compiuta. “E’ uno spettacolo toccante, vero eminenza?” disse dopo aver rispettosamente atteso che il cardinale finisse di recitare la sua preghiera. “Molto vero, capitano. L’esplorazione dello spazio anziché porre in dubbio l’esistenza di Dio, come molti purtroppo sostengono, ci concede invece l’opportunità di contemplare appieno l’immenso splendore della sua opera” Gli occhi di Pompini erano ancora rivolti verso l’infinito, forse nella speranza di scorgere quel Dio al quale, da giovane, aveva voluto dedicare la propria vita. Prima della politica, prima che le lusinghe del potere temporale gli facessero seguire altre strade, molto più terrene. “Le sue parole sono estremamente toccanti quanto vere, eminenza” “Le parole di sua eminenza sono sempre ispirate” intervenne il segretario particolare del cardinale, intenzionato a non essere secondo nel tessere le lodi del suo superiore. Anche lui, infatti, non disdegnava certo una carriera nelle gerarchie ecclesiastiche, carriera che doveva obbligatoriamente passare attraverso il favore e le buone grazie di chi gli era superiore.


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Ci fu ancora un momento di raccolto silenzio, poi Mancina prese ad illustrare a sommi capi l’attività nevralgica che veniva svolta in quel settore. Finita la visita alla torre, li aspettava un sontuoso pranzo al circolo ufficiali, al quale giunsero attraversando vaste zone occupate da ditte private di trasporti spaziali e laboratori, che effettuavano esperimenti in condizioni di assenza di gravità in speciali camere, nelle quali la gravità artificiale della stazione era disattivata. Lungo l’ampio corridoio passarono davanti a numerosi uffici, negozi e centri commerciali che servivano gli abitanti della stazione, c’erano cinema, discoteche, un ospedale, scuole e asili, persino una biblioteca pubblica. Per il cardinale, che per la prima volta aveva lasciato la Terra, era tutto assolutamente straordinario e non smetteva di rivolgere domande a Mancina il quale era ben felice di rispondere a tutto. Spesso improvvisando. La missione stava andando a gonfie vele, sua eminenza era palesemente impressionato. Solo il segretario pareva non gradire appieno le meraviglie della stazione. Se ne stava imbronciato, seduto sul sedile posteriore del veicolo. Mancina, sospettava che Don Cosmi potesse vedere in lui un avversario nell’accaparrarsi le grazie del cardinale. Un atteggiamento sciocco, visto che lui non aveva di certo nessuna ambizione in campo ecclesiastico. A meno che… Indubbiamente i timori che lui potesse mettersi in competizione per ottenere favori per scalzare il segretario erano assolutamente infondati. Quindi alla base dell’atteggiamento imbronciato di Don Cosmi ci doveva essere dell’altro. Lo osservò con maggiore attenzione. Don Cosmi stava seduto sul sedile posteriore, il mento appoggiato al palmo della mano, lo sguardo rivolto verso l’esterno del veicolo, probabilmente senza vedere nulla di ciò che gli passava davanti, le gambe accavallate. Notò le mani delicate, le unghie perfettamente curate, la carnagione diafana, l’atteggiamento volutamente distaccato da quanto avveniva a bordo del veicolo, l’espressione imbronciata. Rivolse, allora la sua attenzione al cardinale. Sguardi fugaci in direzione del suo segretario. Lanciati come per caso, ma l’espressione era sicuramente ansiosa. Mancina capì. Gelosia da parte di Don Cosmi nei suoi confronti? Per poco non scoppiò a ridere. Era verosimile che tra il cardinale e il suo segretario ci fosse qualcosa di più di un semplice rapporto di lavoro?


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Una eventualità, che se confermata e gestita correttamente, poteva trasformare il segretario, anzi il cardinale stesso, in un valido alleato per accedere a importanti appoggi politici. Il segretario sicuramente ambiva a divenire cardinale a sua volta, Mancina invece, voleva una carriera politica ad alto livello. La marina poteva rappresentare un valido trampolino di lancio, ma l’appoggio di un importante esponente della curia non poteva che dare un ulteriore impulso alle sue ambizioni. Il presidente del Concilio per la Moralità, omosessuale e con una tresca col suo segretario. Se era vero lo avrebbe avuto in pugno. Una situazione che, se provata, poteva aprirsi su possibilità infinite. Ma prudenza. Quelle erano mosse che andavano studiate attentamente e con estrema cautela. Tempo al tempo. Nell’attuale clima politico Vaticano, l’omosessualità non era certo un buon viatico per la carriera, ma per il business del ricatto era oro colato. Se i suoi sospetti erano fondati, si sarebbe assicurato la collaborazione del cardinale nell’ottenere tutti gli appoggi politici all’interno del Vaticano che gli sarebbero serviti. Un specie di cavallo di troia nelle sale del potere. Per la sua carriera quella missione andava di bene in meglio. Si concesse un raro moto di ilarità interiore pensando al nome del cardinale e le sue presunte tendenze sessuali. Anche Don Cosmi avrebbe potuto essere un valido strumento o alleato. Decise che se ce ne fosse stata la possibilità, avrebbe tentato un abboccamento col segretario del cardinale durante il pranzo. Tanto per sondare il terreno. *** Il pranzo si svolse nell’ampio salone del circolo ufficiali, lo stesso nel quale il giorno dell’arrivo del cardinale si era tenuto il rinfresco di benvenuto. Erano presenti tutti gli ufficiali non in servizio di stanza sulla stazione. Anche qui: presenza obbligatoria. Al cardinale era stato riservato il posto al centro della grande tavolata a forma di ferro di cavallo, alla quale erano seduti una cinquantina di ufficiali disposti in ordine di grado, quelli di grado più basso alle estremità del tavolo più lontane dall’ospite e via via a salire fino al grado di ammiraglio di divisione del comandante della stazione, che sedeva a fianco del cardinale.


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Mancina approfittò dell’occasione per sedersi vicino a Don Cosmi, a destra del lato centrale della tavolata, dove sedeva il cardinale e gli alti ufficiali della base. Prima del pranzo il legato pontificio recitò una breve preghiera, come faceva sempre prima di consumare i pasti, a cui tutti gli ufficiali parteciparono compiti e pervasi da sincero fervore religioso. Tuttavia Mancina, notò che il raccoglimento del cardinale era diverso dal solito, stavolta molto più sentito, molto più profondo. Si chiese cosa stesse chiedendo a Dio mentre mormorava la sua invocazione: grazie per l’immensità e la bellezza incommensurabile della sua opera? Oppure un rapido riconciliamento col suo amichetto? Guardò entrambi, prima il cardinale, poi Don Cosmi per cogliere qualche indizio a sostegno dei suoi sospetti, ma entrambi gli uomini di chiesa erano a capo chino, apparentemente assorti nella loro comunione con Dio. “Amen” concluse il cardinale. “Amen” risposero tutti i commensali e, come se fosse stato impartito un ordine, i camerieri in divisa bianca iniziarono a servire gli antipasti. Mancina non voleva affrontare subito un abboccamento con Don Cosmi, quindi in quelle prime fasi del pasto, che comunque sarebbe stato lungo, si distrasse facendo spaziare lo sguardo lungo la tavolata e studiando i suoi commensali. Dette una rapida occhiata alle estremità del tavolo dove sedevano gli ufficiali di grado inferiore, personaggi per lui privi di importanza, poi facendo risalire lo sguardo lungo la tavolata, le spalline divennero sempre più elaborate, doppi binari e giri di bitta, fino a divenire dorate con stellette all’apice del ferro di cavallo, dove al centro spiccava, circondato da tutta quella profusione di nastrini e galloni, il nero, non meno sfarzoso, dell’abito talare del cardinale. Percepì però qualcosa di stonato nella tavolata, qualcosa che non quadrava. Stava soffermandosi su questa sensazione, per cercare di metterla a fuoco, quando le sue meditazioni vennero interrotte proprio dal segretario del cardinale. “Trovo questa permanenza sulla stazione estremamente eccitante ed interessante capitano, anche se per lei deve essere normale routine avere sott’occhio questa meraviglia della tecnologia, vero?” Affermazione frivola, in netto contrasto con l’atteggiamento fino a quel momento ostentato dal segretario.


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Mancina intuì servisse a rompere il ghiaccio per affrontare argomenti più seri. Bene, ecco l’occasione di abboccamento che aveva sperato di avere. Decise di stare al gioco e dare corda al segretario. “Non quanto crede padre, e nemmeno quanto, in realtà vorrei. I miei doveri mi tengono lontano dalle meraviglie dello spazio. Il mio incarico richiede la mia quasi costante presenza a Roma” “Immagino siano importanti impegni relativi alla sicurezza del nostro paese” lo lisciò Cosmi. Altre chiacchere, inutili ma che tendevano ad avvicinarsi al vero argomento a cui il segretario voleva arrivare. Mancina decise di lasciare che il segretario continuasse a girarci intorno, affinché fosse lui a scoprire le carte per primo. Ma un’esca avrebbe forse potuto accelerare le cose. “Il più delle volte affronto problemi che concernono la sicurezza del paese, anche se indirettamente. E' questo che spesso molte persone, dalla visione limitata, non riescono a capire” “Come la capisco invece!” esclamò Cosmi felice, non vedendo, o non volendo vedere, l’amo che Mancina gli aveva appena lanciato. “E’ esattamente la mia stessa situazione, capitano. Si lavora duramente dietro le quinte, senza nessuna pretesa di protagonismo, poiché il lavoro che facciamo è la nostra ricompensa che accettiamo in tutta umiltà. Ma ahimè, spesso passa del tutto inosservato, se non addirittura vilipeso e screditato. Facciamo un lavoro che per quanto utile, per sua natura non è ben visto; se non da poche menti illuminate che ne comprendono l’importanza” “Verissimo. Una mente aperta e riconoscente come il cardinale” convenne Mancina “Esatto, purché ciò venga portato alla loro attenzione” incalzò Don Cosmi, servendogli l’occasione che aspettava su di un piatto d’argento. Ecco! Pensò trionfalmente Mancina, ha scoperto le carte. Decise di dargli una ulteriore spintarella affinché il segretario arrivasse a scoprirle tutte. “Parole sante” lo sostenne Mancina “Ma cosa intende con portare all’attenzione?” disse dandogli la spallata finale. “Bè, ecco… lei sa che l’idea di questa missione è stata mia? Non che me ne arroghi il merito, certo, ma nell’ambito delle relazioni tra il Vaticano e il governo italiano, così impegnato a difendere la democrazia e conseguentemente permettere il diffondersi della dottrina cattolica, mi è sembrato giusto portare a conoscenza del cardinale, con un contatto diretto, gli sforzi che vengono quotidianamente compiuti da quegli uomini, come lei capitano, che così tanto si prodigano a questa causa” disse. E aggiunse “Sa, il cardinale ha importanti amicizie ai più alti livelli della politica”


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Ecco che il politico Don Cosmi aveva messo sul piatto la posta che era in grado di offrire. Un piatto ricco, in quanto le conoscenze di Pompini erano davvero altolocate. Per questo lui stesso era così fortemente interessato al buon esito della missione. Una buona parola, o ancora meglio il sostegno del cardinale potevano rappresentare un ottimo biglietto da visita per il suo ingresso nella politica ufficiale del paese. Ed ecco che quella opportunità gli veniva offerta, certo in cambio del suo sostegno ed elogio presso lo stesso cardinale del lavoro svolto dal suo segretario. E lui probabilmente, aveva carte migliori in mano. Dare poco e ottenere molto. Uno scambio più che accettabile, quindi anche lui decise di giocare in modo scoperto. “Credo che uomini come noi, appunto perché tanto osteggiati da altri, debbano trovare tra di loro punti di convergenza, affinché possano portare avanti le proprie ambizioni, che non sono altro che quelle di servire meglio la propria causa. Soprattutto se la causa, come in questo caso, è comune. Non è d’accordo?” “Assolutamente” rispose Don Cosmi “Stiamo disquisendo di argomenti veramente interessanti, caro Don Cosmi, ma forse questa non è la sede più appropriata per portare avanti il nostro discorso, non trova?” “Lei cosa suggerisce capitano?” “Io come responsabile politico della marina, ho a disposizione un confortevole ufficio qui sulla stazione, che ne dice di bere insieme un vero tè d’importazione e continuare con maggiore tranquillità la nostra piacevole conversazione? Diciamo verso le sedici?” “Sarà un vero piacere capitano. Intanto mi potrebbe passare cortesemente quella deliziosa salsa tartara?” “Naturalmente” Finita quella che volgarmente poteva essere definita una danza di accoppiamento, Mancina tornò a rivolgere la propria attenzione alle portate che si avvicendavano sulla tavola, conversando saltuariamente sia con Don Cosmi, che con i propri commensali di argomenti privi di importanza. Il pasto procedeva piacevolmente, quando con la coda dell’occhio vide qualcuno vestito di bianco, che sulle prime scambiò per un cameriere, dirigersi a passo deciso verso l’ammiraglio Colatelli. La scena lo incuriosì, quindi vi dedicò la propria attenzione, anche per avere modo di abbandonare una conversazione oziosa con un capitano di corvetta seduto di fonte a lui.


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Il nuovo entrato non era un cameriere, ma si trattava di un guardiamarina, che giunto di fianco all’ammiraglio si chinò per sussurrargli qualcosa all’orecchio. Probabilmente qualche problema che richiedeva l’attenzione del comandante della stazione. Con un complesso così vasto e articolato da gestire, sicuramente le piccole grane e seccature non mancavano di certo. Malgrado ciò c’era qualcosa di anomalo nell’espressione di Colatelli. L’ammiraglio stava prestando troppa attenzione a quello che il guardiamarina gli stava comunicando, un’attenzione esagerata per una qualche piccola seccatura. La reazione di Coltelli lo incuriosì, facendogli tornare quella fastidiosa sensazione di qualcosa di sbagliato. Come un prurito che per quanto grattasse non riusciva a placare. Il guardiamarina finì di comunicare il proprio messaggio e, dopo essere stato congedato, lasciò la sala discretamente come era entrato. Colatelli si rivolse al cardinale, evidentemente porgendogli le proprie scuse, poiché un istante dopo si alzò dalla tavola e seguì il guardiamarina fuori dal salone del circolo ufficiali. Forse era solo paranoia dovuta allo stress accumulato in quei giorni, ma la preoccupazione che il problema potesse riguardare in qualche modo la sua missione diplomatica lo assalì, e cercò tra gli alti ufficiali il contrammiraglio Cunetto, per vedere se anche lui fosse coinvolto in quel piccolo avvenimento; ed improvvisamente quella fastidiosa sensazione di disagio prese consistenza mutandosi in un terribile sospetto. Dov’era Cunetto? Nel lato della tavolata riservata agli alti ufficiali non ce n’era traccia. Sperò che fosse alla toilette, ma tutti i posti dove avrebbe potuto sedere il contrammiraglio erano occupati, tranne naturalmente, quello di Colatelli che si era appena liberato. Sentì un nodo di panico torcergli lo stomaco. Lentamente fece scorrere lo sguardo lungo la tavolata nei posti dove sedevano gli ufficiali di grado inferiore. Guardò attentamente entrambe le estremità del tavolo a ferro di cavallo, e il suo sospetto si rafforzò ulteriormente facendogli provare un senso di vertigine. Nemmeno il tenente Fiore era presente al pranzo. Come aveva potuto essere così stupido!? Era rimasto vittima della sua presunzione. Avendo ordinato a quel cretino di Fiore di non lasciare assolutamente la stazione si era sentito tranquillo.


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Com’era stato possibile che un miserabile tenente di vascello potesse disubbidire ad un suo ordine? Come aveva potuto pensare, che Cunetto non avrebbe tentato qualcosa di estremo? Mio Dio pensò, se la Goretti aveva veramente lasciato la stazione, come temeva, la sua missione era fallita e così anche la sua carriera. “Capitano?” si senti chiamare, mentre una mano gli si appoggiava sulla spalla. “Capitano si sente bene?” Si girò lentamente e si trovò di fronte la faccia preoccupata di Don Cosmi. “Capitano c’è qualcosa che non va?” insistette l’ecclesiastico vedendo che lui non rispondeva. Ripreso un minimo di controllo, prima di rispondere bevve d’un fiato il bicchiere di vino che fino a quel momento aveva solo centellinato. “Va tutto bene padre, grazie” “E’ diventato improvvisamente pallido, non si sente bene? Devo chiamare un medico?” “No, no. Non si preoccupi, grazie. Solo un piccolo giramento di testa. Se mi vuole scusare” si congedò cercando di non essere troppo scortese. Lasciare così il pranzo non era certo molto ortodosso, infatti molti sguardi si levarono su di lui, ma in quel momento non gliene fregava nulla, doveva assolutamente scoprire se la Goretti era ancora ormeggiata alla stazione. Forse, pensò con un filo di speranza, Fiore non aveva potuto essere presente al pranzo perché trattenuto dai lavori in corso sulla nave e Cunetto magari, era intento a controllare che tutto il suo materiale fosse arrivato e opportunamente stivato. In quel momento aveva bisogno di aggrapparsi a qualunque speranza, poiché prendere in considerazione ciò che temeva essere successo era inimmaginabile. Cercò di camminare senza fretta, mentre lasciava il salone, sebbene tutto il suo corpo fremesse d’impazienza. Avrebbe voluto mettersi a correre, ma si sforzò di mantenere un atteggiamento calmo e disinvolto, almeno finché non ne avesse superato le porte. Stava quasi per uscire quando sentì richiamare la sua attenzione. Era un sottotenente di vascello seduto all’ultima sedia della tavolata, nel punto più lontano dall’olimpo dorato delle stellette al vertice del tavolo. “Che c’è!” rispose quasi ringhiando. Che cazzo voleva quell’insignificante ufficialetto? Non aveva tempo da perdere. Se quel babbeo avesse osato chiedergli qualcosa o trattenerlo con chiacchere frivole lo avrebbe mandato sotto corte marziale.


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“La sta chiamando il cardinale, signore” rispose il sottotenente con un filo di voce, e avendo visto l’espressione del capitano di vascello quasi non era riuscito a tirare fuori nemmeno il fiato per comunicare quel breve messaggio. Mancina alzò lo sguardo verso il cardinale e lo vide, una volta sicuro di avere catturato la sua attenzione, fargli cenno di avvicinarsi. Immediatamente si cucì un sorriso sulle labbra e nonostante fremesse di rabbia e di impazienza si avvicinò al suo prezioso ospite. “Mi dica eccellenza, ha bisogno di qualcosa, il pranzo è di suo gradimento?” “Oh no figliolo, è tutto estremamente squisito, anzi porga i miei complimenti al vostro cuoco. No, l’ho chiamata poiché ho pensato che domani lasceremo questa meravigliosa stazione per un lungo viaggio, che potrebbe essere pericoloso, vero?” “Eminenza le assicuro che le nostre navi sono sicurissime, e che il suo viaggio sarà il più confortevole e piacevole possibile, glielo assicuro” “Non lo metto in dubbio, ma mi chiedevo, se ovviamente non è troppo disturbo, se l’equipaggio di quella nave, con un nome così splendido, gradirebbe che la benedissi personalmente prima di affrontare il nostro lungo viaggio. Non crede che sarebbe opportuno? Sarei ben lieto e felice di farlo, magari oggi stesso verso sera. Prima di cena?” Mancina si sentì sprofondare sempre più in un abisso di disperazione, pensando sarcasticamente che forse sarebbe stato meglio che il cardinale benedisse lui subito, senza aspettare l’ora di cena. Comunque mantenne il controllo e sempre sorridendo rispose che la riteneva un’idea eccellente e che se sua eminenza fosse stato così gentile da scusarlo, si sarebbe recato immediatamente alla nave per comunicare all’equipaggio la buona notizia. Finalmente riuscì a lasciare il salone. A passo veloce raggiunse i veicoli elettrici messi a disposizione fuori dal circolo ufficiali. Non aveva molto tempo poiché i suoi doveri lo obbligavano a non lasciare il cardinale troppo a lungo, ma quando aveva lasciato il salone, il pranzo era ancora nella fase degli antipasti, pertanto riteneva di avere circa un’ora e mezzo per scoprire se i suoi timori erano fondati. Guidò personalmente alla massima velocità possibile. I corridoi percorribili con le vetture elettriche erano ampi e poco trafficati, in quanto anche su Monte Bianco il traffico privato si svolgeva usando i mezzi pubblici. Seguì le indicazioni verso la zona dei docks da tre a sei nel lato lungo della stazione.


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Gli ci volle mezz’ora per scendere i tre livelli della stazione che separavano il circolo ufficiali dal dock di carico numero tre. Una mezz’ora densa di ansia e preoccupazione. Scese con le gambe malferme dalla vettura, ritrovandosi davanti al grande portellone che delimitava l’ingresso alla zona di carico, dove in una garitta a lato dell’ingresso, alcuni fanti di marina, controllavano il flusso di uomini e materiali in entrata e in uscita dal dock. Si impose di calmarsi e con passo deciso si avviò verso i militari di guardia, dove un sergente era intento a sorvegliare alcuni monitor di controllo. Appena vide Mancina avvicinarsi si alzò ed eseguì un impeccabile saluto, al quale gli riuscì di rispondere molto più stentatamente di quanto avrebbe voluto. Quei fanti erano molto sensibili alla marzialità, e lui voleva imporre immediatamente la sua autorità. Non gli sfuggì comunque l'espressione di disapprovazione del sergente. Pazienza, non era certo lì per avere l’approvazione o la stima di un fante di marina a guardia di un molo. “Buongiorno capitano” lo salutò il sergente. “Buongiorno sergente, sono il capitano di vascello Mancina e chiedo il permesso di entrare. “Motivo della sua richiesta?” chiese il sergente mentre un altro soldato alle sue spalle digitava su di una tastiera compilando un modulo di accesso. “Sono l’ufficiale incaricato della sicurezza e del viaggio del cardinale Pompini” rispose. Non ci furono altre domande e il sergente gli porse un pass per visitatori, che il personale non direttamente impiegato nelle operazioni di carico e scarico doveva esibire all’interno delle aree di approdo delle navi. Digitando poi alcuni tasti sulla sua consolle aprì le enormi porte stagne che immettevano all’interno del dock e Mancina sentì il proprio cuore martellargli furiosamente nel petto. Poi costringendo le proprie gambe a muoversi ne varcò la soglia. Il dock era un immenso spazio cubico, costellato di attrezzature e mezzi necessari per operazioni di carico e scarico, gru, veicoli porta container, zone di stoccaggio e quant’altro servisse per gestire le navi in arrivo o in partenza dalla stazione. L'ampia zona di carico consentiva di lavorare su due navi contemporaneamente ormeggiate ai lati del braccio, che partendo dal corpo centrale della stazione fungeva da molo di attracco, un lungo corridoio alto centoventi metri e largo cinquanta.


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Si aspettava, anzi sperava di trovare un’attività frenetica all’interno di quell’area, ma tutto era apparentemente calmo, pochi addetti con grossi carrelli elevatori stavano stoccando alcuni container nelle apposite zone, mentre alcune squadre di operai procedevano a lavori di manutenzione in diverse zone del dock. Gli bastò una sola rapida occhiata per rendersi conto che della Maria Goretti non c’era traccia. Rimase immobile per qualche istante, la mente svuotata che si rifiutava di assimilare quel fatto inoppugnabile che gli occhi invece confermavano: Cunetto lo aveva fregato e Fiore aveva scientemente disobbedito ai suoi ordini prestandosi come complice. Era impensabile, anzi intollerabile! Un vero e proprio atto di sabotaggio. Sentì la rabbia montargli dentro quasi incontrollabile, mescolata ad un odio mortale per Cunetto e Fiore, ma si impose di rilassare i muscoli contratti e di pensare lucidamente. Rimase immobile per qualche minuto, fino a quando finalmente si sentì pervaso da un profonda, fredda e lucida calma. Per l’ira ci sarebbe stato tempo di li a poco. E anche per la vendetta. Girò sui tacchi e lasciò il dock a passo deciso, aveva una meta ben precisa, ma prima doveva fare un piccola tappa appena fuori del portellone di ingresso. “Sergente” disse con un tono così calmo da stupire perfino se stesso “Sì signore” rispose il graduato alzandosi in piedi. L’espressione che vide sul volto del capitano di vascello, al di la del vetro della guardiola, gli fece passare ogni voglia di assumere atteggiamenti di disapprovazione. “Fino all’altro ieri era ormeggiata in secca una nave, la Maria Goretti. Vorrebbe essere così gentile da dirmi quando ha lasciato la stazione e per quale motivo?” Normalmente quelle informazioni non venivano date senza una motivazione specifica, tuttavia l’atteggiamento dell’ufficiale che aveva davanti, sebbene calmo e pacato, era pervaso di un’autorità tale, che lo indusse a dare senza discutere, le informazioni richieste, consultando il terminale nel quale venivano scrupolosamente annotati tutti i dati delle navi in transito in quel settore. Gli bastarono pochi istanti per visualizzare le informazioni. “La Maria Goretti è salpata il giorno 24 agosto 2196 alle ore 12:45, la motivazione: un’esercitazione di volo per testare i nuovi equipaggiamenti.” Forse una speranza, forse la Goretti era solo nei paraggi della stazione.


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“In che settore viene svolta questa esercitazione?” chiese con una punta di speranza che non osava sentire davvero. “Mmh… ah, ecco, Marte, signore” Mancina incassò il colpo senza battere ciglio, in fin dei conti se lo aspettava, ma la conferma che Cunetto era riuscito a fregarlo bruciava comunque. La sua missione era finita, ma erano finite anche le carriere di Cunetto e Fiore, su questo non c’erano dubbi. Avrebbe massacrato quei due, li avrebbe perseguiti in tutti i modi possibili, li avrebbe mandati sotto corte marziale e per farlo avrebbe mosso tutte le conoscenze che aveva, e riscosso tutti i favori che aveva accumulato in sette anni di carriera politica, li avrebbe rovinati e avrebbe pisciato sui loro cadaveri. Il sergente vedendo l’espressione dell’ufficiale ritenne opportuno rimanere in silenzio e perfettamente immobile, quell’ufficiale lo inquietava profondamente e l’espressione del suo volto sembrava quella di un cielo plumbeo prima di un uragano. “Sergente…” chiese ancora Mancina con un tono di voce che fece scendere la temperatura di dieci gradi. Il sergente deglutì prima di riuscire a biascicare un “Sì signore?” “Da chi sono firmati gli ordini relativi alla concessione del permesso per l’esercitazione?” Le mani del sergente letteralmente volarono sulla tastiera, prima avesse fornito le informazioni, prima quella specie di mastino se ne sarebbe andato. Nel giro di un paio di secondi le informazioni apparvero, stava per aprire bocca per comunicarle il più in fretta possibile, ma la voce gli morì in gola, mentre sentiva un rivolo di sudore freddo corrergli lungo la schiena. “Sergente…” sibilò Mancina Deglutì di nuovo e senza riuscire a guardare negli occhi il suo interlocutore riuscì a biascicare il nome che era apparso sul monitor aspettandosi l’uragano. “Bene, grazie sergente” disse invece il capitano avviandosi verso il veicolo col quale era giunto e lasciando l’area. Il sergente, un veterano di Marte, si lasciò cadere sulla sedia emettendo un sospiro di sollievo così forte da poter competere con il sibilo di una pentola pressione. “Se fossi il bersaglio di quella iena” disse rivolto al soldato di guardia con lui nella garitta, tergendo le perline di sudore che gli si erano formate sulla fronte “Inizierei a trovare molto attraenti le lune di Plutone e mi ci nasconderei il più velocemente possibile” “Che è successo” chiese il soldato


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“Guarda il nome di chi ha autorizzato l’esercitazione” gli rispose il sergente indicando il monitor “Cazzo…!” sibilò il soldato dopo averlo visto. *** Mancina guidò con calma, il percorso era relativamente lungo e il tempo per percorrerlo gli sarebbe servito per riordinare le idee, coltivare con cura la propria rabbia e preparare una strategia. Sapeva che avrebbe certamente trovato la persona che aveva firmato gli ordini proprio nel posto dove stava andando. Non c’era fretta. Non voleva essere avventato e rovinare tutto in preda ad un attacco d’ira, voleva portare il proprio attacco in modo calcolato, micidiale. Si concesse una tappa nel suo ufficio, dove se tutto fosse andato per il verso giusto, quel pomeriggio avrebbe dovuto ricevere Don Cosmi e posare una pietra importante per il futuro della propria carriera. Mentre prendeva quello di cui necessitava pensò che forse sarebbe stato ancora possibile farlo, forse. Se avesse giocato bene le sue carte, avrebbe posato più di una pietra. Un bravo politico sapeva cogliere le occasioni favorevoli anche in mezzo ad un tempesta, anzi un vero e proprio uragano. Collegò una video cartella al proprio terminale personale e scaricò quello che gli serviva; l’equivalente di un ordigno nucleare, innescato e pronto ad esplodere sopra i vertici della marina, e il detonatore era saldamente nelle sue mani. Se lo avesse dovuto premere dipendeva dalla buona volontà di quelli a cui stava andando a far visita. Percorse l’ultimo tratto verso la sua meta a piedi con un lieve sorriso sulle labbra, tanto che chi lo incrociava avrebbe potuto pensare che quel capitano così azzimato, avesse appena ricevuto una licenza premio di quattro mesi. Raggiunse la sua destinazione al sesto livello della stazione, una piccola area che si affacciava su quello che convenzionalmente veniva definito il lato sud della stazione. Dichiarò la propria identità al piantone, non un semplice militare, ma un caporale degli incursori di marina, il quale non si fece per nulla intimidire, né dall’espressione di Mancina né dalle sue credenziali. Effettuò le verifiche necessarie e comunicò con calma la sua richiesta di essere ricevuto. Sempre con calma attese la risposta invitandolo, gentilmente, a sedersi su di una delle poltrone dell’ingresso, cosa che


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Mancina altrettanto gentilmente declinò. Preferiva rimanere in piedi mentre aspettava di essere introdotto nell’ufficio dell’ammiraglio di divisione Colatelli. Finalmente, dopo circa cinque minuti di attesa il caporale gli fece cenno che poteva accomodarsi. Varcata una porta pneumatica, trovò nella stanza adiacente un altro incursore della marina che senza proferire una parola gli fece cenno di seguirlo. Niente saluti, niente formalità. Solo efficienza. Attraversò diversi corridoi fino ad arrivare davanti ad una doppia porta a lato della quale era posto un pulsante che l’incursore premette, e quando si accese una luce verde si scostò di lato per permettere a Mancina di entrare. Non era ancora nell’ufficio dell’ammiraglio, ma in una stanza in cui una segretaria con i gradi di tenente di vascello gli porse il saluto. “L’ammiraglio è occupato, e mi ha chiesto di comunicarle che la riceverà non appena si sarà liberato” gli disse indicandogli una morbida poltrona in pelle sulla quale sedersi. Mancina si limitò ad un secco cenno di assenso col capo, e senza dire una parola si sedette sulla poltrona. Sentì nuovamente la rabbia crescere dentro di sé, e ancora una volta la dominò. Sapeva che quell’anticamera era un tattica per metterlo a disagio e farlo sentire in una posizione di inferiorità, non aveva scalato i vertici politici della marina senza conoscere questi piccoli trucchetti, ma in quel momento non aveva altre alternative se non stare al gioco. Cercò quindi di rimanere calmo e freddo, senza lasciarsi innervosire dai patetici trucchi di un dilettante come Colatelli. Comunque anche lui era sulla lista di chi l’avrebbe pagata, e questo compensava l’attesa e l’umiliazione a cui veniva sottoposto con quell’anticamera impostagli come se fosse un ufficiale qualunque, e non il responsabile dell’ufficio politico della marina. Attese pazientemente, continuando a tenere sotto controllo la propria rabbia e contemporaneamente coltivandola, per gustarne i frutti una volta maturi. Dolci per lui. Amarissimi per altri. *** Oltre la porta l'ammiraglio di squadra Colatelli era seduto all’ampio tavolo da riunione del suo ufficio.


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“Credi che sia ora di farlo entrare?” chiese alla persona che sedeva con lui al medesimo tavolo. L’altro sorseggiò il proprio liquore, un cognac dell’84 invecchiato dodici anni, in una zona nel sud della Francia che conservava ancora ampie zone di verde. Scosse la testa. Entrambi avevano attinto alla bottiglia un paio di volte. Dopo il primo scambio di battute cordiali erano rimasti in silenzio, nessuno dei due aveva sentito la necessità di parlare, sorseggiando il liquore in una amichevole calma. L’uomo con Colatelli centellinò il proprio cognac, poi posò lentamente il bicchiere di cristallo sul tavolo e ruppe il silenzio. “No. Lasciamolo aspettare ancora un po’, voglio che la rabbia gli monti dentro, in questo modo sarà più facilmente controllabile” “Sei sicuro? E’ un animale politico e conoscerà certo questi trucchetti” “E’ un animale politico, ma un animale ancora inesperto e troppo ambizioso per aver imparato la virtù della pazienza, e poi ha troppo in ballo per permettersi di fare lo stronzo. Inoltre probabilmente, avrà già intuito che io sono qui.” “Cosa vuoi dire?” “Che non è stupido, sicuramente avrà visto la firma nel permesso per l'esercitazione della Goretti, e avrà tratto le sue conclusioni, quindi non si aspetterà di avere a che fare solo con te e di poterti spaventare. Lasciamolo bollire nel suo brodo il più a lungo possibile, inoltre so che alle sedici ha un appuntamento nel suo ufficio con Don Cosmi, il segretario particolare del cardinale. Sicuramente vorrà trovare un accordo di collaborazione reciproca con lui, per entrare nelle grazie del cardinale, le conoscenze politiche di quell’uomo sono ben note e lui mira ad un aggancio in più per la sua carriera.” “Cosa suggerisci?” “Semplice facciamoglielo saltare, e intanto facciamoci un altro bicchiere di questo ottimo cognac. Come te lo sei procurato?” “Contrabbando. Ho saccheggiato le scorte personali del capo di stato maggiore del COI” disse Colatelli con tutta la naturalezza del mondo, ed entrambi risero di cuore a quella battuta. Nell’anticamera intanto, Mancina iniziò a sudare. Senza accorgersene iniziò a muovere nervosamente il ginocchio destro, mentre faticava sempre più a tenere sotto controllo la rabbia.


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Guardò l’orologio per l’ennesima volta: le 15:45 ormai il suo appuntamento con Don Cosmi lo poteva considerare saltato. Si chiese se avrebbe potuto recuperarlo in un altro momento. Comunque doveva contattarlo. Sarebbe stato molto controproducente se gli avesse dato buca senza avvisarlo prima. Ormai era tutto il pomeriggio che aveva abbandonato a se stesso il cardinale, anche se si era tenuto in contatto tramite il proprio palmare con uno dei suoi assistenti, il quale gli aveva comunicato che il cardinale si era ritirato negli alloggi a lui riservati per schiacciare un pisolino. Don Cosmi era con lui? No, era rimasto nella stanza del cardinale una mezz’ora poi se n’era andato. Il cardinale aveva chiesto di lui un paio di volte, ma gli era stato detto che era stato trattenuto da inderogabili impegni con lo stato maggiore della base. Grazie a Dio nessun accenno alla benedizione della Goretti, forse il vino della mensa ufficiali gli aveva annebbiato il cervello quel tanto da fargliela dimenticare. Un piccolo favore da parte della sorte per il quale essere grati. Restava Don Cosmi. “Tenente, vorrebbe essere così gentile da mettermi in contatto con l’assistente personale del cardinale Pompini, Don Cosmi? Lo troverà negli alloggi destinati al seguito del cardinale. E se volesse indicarmi un apparecchio sul quale girarmi la comunicazione. Grazie” La segretaria gli indicò un apparecchio su di una scrivania in una stanzetta adiacente, al quale pochi istanti dopo, gli passò la comunicazione con Don Cosmi. Nel video apparve la faccia affusolata e pallida dell’assistente del cardinale. “Capitano. Che succede?” “Don Cosmi, purtroppo devo rimandare il nostro appuntamento. Sono in questo momento nell’ufficio del comandante della stazione, per organizzare al meglio i trasporto di sua eminenza e purtroppo la questione sta andando un po’ per le lunghe. Un sacco di dettagli da sistemare, lei capisce vero?” mentì Mancina. “Certo capitano, spero non ci siano problemi per la missione di sua eminenza. Mi ha appena espresso la sua gioia per questo viaggio e il suo desiderio di partire” “No. Assolutamente nessun problema padre. Solo motivi tecnici e dettagli dell’ultimo minuto da concordare per un attracco privilegiato alla stazione Ares di Marte” Mancina sperava che dall’ologramma del suo volto, che in quel momento appariva a Don Cosmi, non trasparisse l’ansia che provava.


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“Volevo solo avvisarla che purtroppo sono trattenuto, e fissare un nuovo orario per il nostro meeting. Per lei le ventuno e trenta, dopo la cena potrebbe essere un orario accettabile? Al posto di un tè pomeridiano che le avevo promesso, le potrò offrire un ottimo brandy” “Certamente capitano, allora ci vedremo a cena e poi nel suo ufficio. Sicuro che non ci siano problemi? La vedo un po’ turbato” “Assolutamente, come le dicevo prima non sono abituato ai cibi raffinati, e quelle ostriche sono state un po’ ostiche. Se mi passa il gioco di parole” mentì ancora cercando di sorridere. La battuta era fiacca, ma sembrò funzionare e quel piccolo moto di spirito rassicurò il segretario. “Molto bene capitano. Allora a stasera” si congedò Cosmi sorridendo. “A stasera padre” salutò chiudendo la comunicazione. Chiuse gli occhi e con entrambe le mani si appoggiò alla scrivania. Trasse alcuni profondi respiri e sentì una furia cieca montargli dentro. Cercò, per l’ennesima volta di controllarla. Farsi prendere dall’ira avrebbe giocato a suo sfavore nell’incontro con Colatelli, ma ci riuscì solo in parte. Tornando nell’anticamera la sentì di nuovo montare dentro, incontrollabile. Quasi. “Tenente” ringhiò rivolto alla segretaria dell’ammiraglio “Esigo di essere ricevuto subito dall’ammiraglio è una questione della massima importanza, e l’avverto…” sibilò “…se non mi fa entrare immediatamente ci saranno ripercussioni che lei non può nemmeno immaginare” Non riuscì a controllare il tono e l’ultima frase gli uscì quasi urlata, facendogli perdere il vantaggio di un atteggiamento calmo e controllato. Il tenente di vascello che fungeva da segretaria, comunque non si scompose, guardo dritto negli occhi Mancina senza battere ciglio. “Un istante” disse con tono pacato che sottolineava ancora di più la perdita di controllo di Mancina. Premette un pulsante della scrivania, sulla quale dopo qualche istante si accese una luce verde. “L’ammiraglio la può ricevere. Prego si accomodi” disse indicando la porta chiusa dell’ufficio. Mancina le lanciò un ultimo sguardo truce, poi si girò di scatto e si avviò verso l’ufficio dell’ammiraglio. La porta non era di quelle comuni automatiche dotate di fotocellula, ma una di quelle in stile antico con ancora le maniglie. Mancina non lo sapeva e per poco non ci sbatté contro, cosa che lo fece infuriare ancora di più. Con un gesto secco girò la maniglia ed entrò nell’ufficio, dove appena varcata la soglia si trovò davanti alla persona che si aspettava di trovare in compagnia di Colatelli.


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Seduto alla scrivania con Colatelli sedeva l’ammiraglio Capace, capo di stato maggiore del COI. I due rimasero a fissarsi negli occhi per qualche istante, poi Mancina lentamente, molto lentamente, si portò la mano alla fronte per porgere il saluto ai due ufficiali. “Buon giorno capitano” lo salutò cordialmente Capace “Ammiraglio, è un piacere vederla” mentì nuovamente Mancina, sorridendo e avvicinandosi ad una sedia davanti alla scrivania, alla quale Colatelli non accennava ad invitarlo a sedere. Quindi suo malgrado, fu costretto a rimanere in piedi come un qualunque marinaio a rapporto dal proprio comandante. Un'altra situazione di chiaro svantaggio nei confronti dei due alti ufficiali. Poco male, forse non aveva sottovalutato Colatelli come politico, ma Capace era veramente capace pensò facendo involontariamente un altro piccolo gioco di parole. “Allora capitano cosa la porta qui?” intervenne il comandante della base. Comunque, la soddisfazione per la corretta intuizione sulla presenza del Capo di Stato Maggiore su Monte Bianco, gli diede ancora più sicurezza facendogli dare l’enfasi necessaria alle proprie parole. “Sono qui per comunicare che nave Maria Goretti, che avrebbe dovuto trasferire il cardinal Pompini su Marte, ha lasciato la base disobbedendo ad un ordine diretto che avevo dato. Non mi sembra il caso di ricordarvi l’importanza politica di questa missione, e anche che questa missione era… è sotto il mio diretto comando e slegata da qualunque gerarchia della marina” “In parole povere sta dicendo che lei non risponde a nessuno, cioè che è lei il capo supremo e responsabile di questa missione, cioè che persino io devo obbedire ai suoi ordini. Dico bene?” gli chiese Capace “I miei ordini arrivano direttamente dal ministero della difesa, e io devo rispondere delle mie decisioni solo al ministro” “E’ un sì” “Sì signore” A quella affermazione Capace e Colatelli si scambiarono uno sguardo. Mancina interpretando quel gesto come una resa prese coraggio, e incalzò i due col reale motivo della sua visita. “Esigo pertanto che la Goretti sia immediatamente richiamata a questa stazione, che il contrammiraglio Cunetto e il tenente di vascello Fiore, siano arrestati per disobbedienza agli ordini avviando un procedimento disciplinare nei loro confronti”


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Sostenne gli sguardi dei due ufficiali superiori, praticamente il gotha della marina, senza battere ciglio. Li aveva in pugno. Nella video cartella che aveva con sé, aveva scaricato tutta la corrispondenza con il ministero della difesa, incluso il documento firmato dal ministro in persona in cui si conferivano al capitano di vascello Giovanni Mancina, pieni poteri relativi alla missione concernente la visita del cardinale Pompini e il suo seguito su Marte. Praticamente era scritto che lui aveva carta bianca e che poteva agire, nell’ambito di quella missione, come meglio riteneva al di fuori delle gerarchie militari. Era nero su bianco, inoppugnabile, inattaccabile, limpido come acqua di sorgente. “Signori ho qui la documentazione che mi autorizza a prendere questa iniziativa” disse allungando la cartella direttamente a Capace, ignorando ostentatamente il comandante della stazione. Una scortesia palese, che Colatelli incassò senza battere ciglio, anzi, si appoggiò allo schienale della sua poltrona incrociando le mani dietro la testa. Capace non degnò nemmeno di uno sguardo la cartella, che rimase sospesa a mezz’aria, imbarazzante come una mano tesa che non viene stretta. Passarono parecchi secondi, durante i quali il capo di stato maggiore del COI si limitò a fissare Mancina dritto negli occhi senza proferire una parola, e continuando a ignorare ostentatamente la cartella. A quel punto per un attimo la sicurezza di Mancina vacillò, aveva mosso accuse pesantissime contro un alto ufficiale dello stato maggiore, e quei due non proferivano parola. Rivolse allora la cartella a Colatelli. “Signore qui ci sono i documenti relativi alla mia missine diplomatica” Colatelli si allungò sulla sedia e prese la cartella dalle sue mani. Nessuno lo aveva ancora invitato a sedersi. Non si aspettava più che lo avrebbero fatto. Poco male, li teneva per le palle anche stando in piedi. Guardò Colatelli aspettandosi che si sarebbe messo a leggere attentamente i fogli digitali che erano contenuti nella cartella. Invece l’ammiraglio non la degnò neppure di uno sguardo. La fece passare lentamente sopra il piano della scrivania fino ad un cestino per i rifiuti posto al fianco di essa, dove ostentatamente ve la fece cadere dentro. Mancina rimase senza fiato, gli occhi sgranati. Non riusciva a credere a ciò che aveva appena visto. Il primo pensiero che gli venne in mente fu: colpo di stato! I vertici dell’esercito avevano soppiantato il governo legittimo e avevano preso il potere, nient’altro poteva giustificare uno sfregio così sfacciato alle direttive di un ministero di un governo in carica.


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“Signore…” riuscì a sussurrare con gli occhi sgranati e la mente che non riusciva a formulare nessun pensiero coerente. Rimase in silenzio per qualche secondo, poi deglutì cercando di riprendere il controllo di sé. Sentiva la testa girare, e un senso di nausea che di sicuro non era dovuto a nessuna ostrica non digerita, gli sconquassò lo stomaco. “Signore” riprovò con voce più ferma “Non capisco che cosa stia facendo e nemmeno cosa stia succedendo. Lei ha deliberatamente, con quel gesto, ignorato ordini diretti del ministero ed io esigo una spiegazione o mi vedrò costretto a fare rapporto al ministro in persona” li minacciò prendendo forza dalla sensazione di potere che quelle parole implicavano. Non era più tanto sicuro di tenerli per le palle, e quel gesto così sconsiderato di Colatelli lo aveva profondamente sconcertato. Fu Capace a rompere il silenzio. Colatelli si era di nuovo appoggiato allo schienale della poltrona intrecciando nuovamente le mani dietro la testa, come se tutta quella faccenda lo annoiasse a morte. Quella sensazione inebriante di pochi istanti prima svanì, c’era qualcosa di tremendamente sbagliato nel comportamento di quei due. “Gliela do io la spiegazione capitano” disse Capace a voce bassa. “La spiegazione è che lei è un cretino di una stupidità sconcertante. Ecco qual è la spiegazione” “Cosa?” “A capito benissimo Mancina, ma glielo ripeto. Lei un cretino” Era tutto sbagliato. Non doveva andare in quel modo. Sentì il terreno franargli sotto i piedi, era evidente che Capace e Colatelli sapevano cose che lui ignorava. Nient’altro poteva giustificare un simile comportamento, ma non avrebbe abbassato la testa andandosene con la coda tra le gambe. “Signore le sue parole sono estremamente offensive e inopportune per un alto ufficiale come lei, quindi esigo le sue scuse” “Altrimenti che fa? Mi sfida a duello?” lo schernì Capace. Colatelli ridacchiava. Quella situazione, per Mancina aveva ormai svoltato nel surreale, forse era uno scherzo di qualche genere, perché la realtà appariva troppo assurda. “Ammiraglio” disse cercando di usare un tono conciliante e quanto più ragionevole possibile “Le assicuro che la visita del cardinale alla nostra base su Marte è veramente importante, lo è per il governo, lo è per il Vaticano, per i nostri ragazzi impegnati su quel pianeta, e lo è anche per la marina, glielo assicuro” affermò mantenendo sempre il tono pacato di chi è disposto a scendere ad un compromesso pur di sa salvare una situazione al di sopra delle parti “Quello che voglio farvi intendere, è che il comandante Fiore ha


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disobbedito ad un ordine preciso di un suo superiore e che, sono convinto purtroppo, Cunetto sia stato l’istigatore di questa disobbedienza” “Non c’è stata nessuna disobbedienza capitano. Io stesso ho autorizzato l’esercitazione della Goretti” disse Capace con il tono di chi cerca di spiegare una cosa elementare ad un bambino con difficoltà di apprendimento. Mancina incassò, e stavolta senza essere invitato a farlo si sedette, anzi si lasciò cadere sulla sedia vuota di fronte alla scrivania, ‘fanculo l’etichetta, se la situazione aveva preso la via del surreale tanto valeva cavalcarla senza remore. “Lo so” disse “Ho visto l’ordine firmato, e sono sicuro che lei sia stato tratto in inganno quanto me, dal comportamento scorretto del capitano Fiore e del contrammiraglio Cunetto” Sia Capace che Colatelli sorvolarono sulla piccola infrazione all’etichetta commessa da Mancina. Piccolo gesto di pietà verso la vittima prima di finirla. Era chiaro che il capitano era praticamente sconvolto. “Non c’è stato nessun inganno capitano, e nessuna trasgressione degli ordini” Mancina alzò di scatto la testa stentando a credere a quello che sentiva. “Signore i miei ordini alla Goretti erano chiarissimi e registrati, e se l’ammiraglio volesse essere così gentile...” disse calcando l’ultima parola “da rendermi la mia cartella, glielo potrò dimostrare” affermò allungando una mano verso Colatelli, il quale rimase però immobile. “Esatto i suoi ordini erano perfettamente chiari, e per sua informazione li ho già visionati” lo informò Capace, e proseguì prendendo a sua volta una cartella dalla scrivania e accendendola. “I suoi ordini vietavano alla Goretti di lasciare la stazione per qualunque missione…” disse facendo una pausa. Mancina rimase in sospeso, aspettando il seguito che giunse come un colpo al basso ventre “Missione capitano, missione... ma la Goretti non è in missione. E’ semplicemente partita per un’esercitazione. I suoi ordini non facevano cenno ad esercitazioni, pertanto non può averli trasgrediti” era una forzatura e tutti lo sapevano, compreso Mancina il quale si alzò in piedi ergendosi in tutta la sua statura. “Ammiraglio” disse con voce ferma “Con tutto il rispetto, questa è una presa in giro, e lei lo sa benissimo. Lei ha coscientemente contribuito al fallimento di una missione diplomatica della massima importanza, e ciò, anche con tutta la mia buona volontà non potrà passare sotto silenzio. Mi vedo pertanto costretto a fare rapporto al ministero come è mio preciso dovere,


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sottolineando la condotta assai poco ortodossa sia sua che dell’ammiraglio Colatelli...” disse indicando con un dito il comandante della base, ma senza staccare gli occhi da Capace “...oltre a denunciare la disobbedienza agli ordini di Cunetto e Fiore” Concluse. Li guardò dritto negli occhi senza battere ciglio sfidandoli a mettere in dubbio la sua autorità. Silenzio. “Ora se mi volete scusare, devo riferire a sua eminenza perché non potrà avere luogo la sua visita su Marte e scrivere un rapporto” disse salutando. Capace si alzò, era alto un metro e novantacinque e si mise di fronte a Mancina sovrastandolo. Ex incursore della marina, a quasi sessant’anni aveva ancora un fisico atletico e possente che manteneva in costante esercizio. Incrociò le braccia e Mancina poté vedere lo stemma degli incursori tatuato sull’avambraccio del Capo di Stato Maggiore. Una spada incrociata ad un’ancora e la scritta “arditi incursori” circondata da due rami d’alloro incrociati. Istintivamente fece un passo indietro e senza volerlo alzò di qualche centimetro le mani come per difendersi da un’aggressione. La figura di Capace non era solo imponente, in quel momento era anche pericolosamente minacciosa. “Adesso mi stia a sentire capitano. La visita del cardinale è comunque saltata Goretti o no” disse “Se ancora non lo sa la nostra base avanzata Garibaldi è in questo momento sottoposta ad un massiccio attacco dei ribelli, e strenuamente difesa da una manciata di bersaglieri. I pochi riamasti sani, grazie al ritardo nell’invio dei medicinali, e sicuramente cadrà da un momento all’altro. Altre truppe di ribelli intanto, approfittando della mancanza di personale per i pattugliamenti l’hanno già aggirata e si dirigono a tutta velocità verso il settore orientale di Valles Marineris, che come lei certo sa, è stato affidato all’Italia” Mancina rimase senza fiato, ma Capace proseguì, implacabile “Siamo in guerra, capitano. Anche se il governo si rifiuta di ammetterlo. Quella che è un’operazione di peace keeping si è trasformata in una vera e propria guerra non dichiarata. Già lamentiamo vittime tra le nostre forze e vuole sapere perché questo è successo?” Silenzio. “Bè, glielo dico io. E’ successo perché per portare un eminente rappresentante del Vaticano in gita, si è dovuta rimandare in modo fatale, una spedizione di medicinali e attrezzature necessarie a curare quella malattia così vergognosa e imbarazzante, di quel tanto che è bastato a quasi azzerare le nostre forze in campo, e consentire ai ribelli di poter attaccare indisturbati”


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Capace prese fiato, mentre Mancina che iniziava a capire dove stava andando a parare il Capo di Stato Maggiore, si accasciò per la seconda volta sulla sedia. “E lei sa perché questo è potuto accadere?” Si certo lo sapeva, ma non ebbe il coraggio né di rispondere né di sostenere lo sguardo di Capace che continuò imperterrito. “E’ successo perché un capitano di vascello responsabile dell’ufficio politico della marina, troppo preso dalla sua carriera politica, ha ritenuto di secondaria importanza la spedizione di quel materiale, che avrebbe potuto evitare tutto questo, solo per fare bella figura con un cardinale con importanti agganci politici che sarebbero potuti tornare utili al suddetto capitano” Ancora silenzio. “Ora, se lei vuole procedere con le sue denunce da corte marziale e i suoi rapporti al ministero, io non glielo impedirò, ma sappia che anch’io avrò dei rapporti da fare” Mancina era accasciato su se stesso, seduto con i gomiti appoggiati sulle ginocchia, la testa bassa. Tentò un’ultima debole difesa. “Io non potevo immaginarlo, ho visto i rapporti del servizio informazioni e non dicevano nulla al riguardo di un attacco, Sassi…” “Sassi è già saltato come un tappo di champagne” intervenne Colatelli che era rimasto in silenzio per tutto il tempo “E se lei ha visto i rapporti del servizio informazioni, ha sicuramente visto anche i rapporti del personale dell’esercito sul posto, i quali vedendo il deteriorarsi della situazione sostenevano che un attacco era molto probabile, ma lei ha deciso di ignorarli, prestando fede a quelli meno allarmistici e approssimativi di Sassi. Come vede anche noi abbiamo i nostri documenti” “Lei è in un mare di merda Mancina, ma evidentemente il suo ombrello di protezioni politiche è più robusto di quello di Sassi” Mancina alzò la testa con una luce di speranza che gli brillava negli occhi. “Esatto Mancina. Lei ne uscirà pulito. Non so quali favori abbia fatto agli attuali governanti, o cosa sappia su di loro perché la proteggano in questo modo, ma per me lei sarebbe già sotto corte marziale, altro che Fiore o Cunetto” Lui lo sapeva, sapeva che da quel punto di vista era in una botte di ferro, ma il colpo inferto alle sue speranze di una carriera politica, era stato duro, e forse non si sarebbero mai riprese. La visita e la protezione del cardinale erano un gran colpo e adesso quell’opportunità gli si sgretolava tra le dita.


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“Comunque” proseguì Capace, sputando le parole “Quelli come lei cadono sempre in piedi e sua eminenza potrà comunque fare la sua gita, solo che avrà un cambio di destinazione” A queste parole il volto Mancina si sollevò pieno di aspettativa, cosa che provocò un moto di disgusto sia a Capace che a Colatelli. Mancina non se ne accorse neppure, nuove prospettive si aprivano davanti a lui e forse la sua carriera poteva ancora ricevere quella spinta a cui tanto agognava. Sodati morti? Guerre? Cos’erano se non uno degli strumenti della politica; e lui non era forse un politico? Le opportunità! Ecco cosa veramente contava, le opportunità da afferrare al volo. E ora gliene si presentava una nuova di zecca. “Quale destinazione?” chiese. E poi “Signore” Capace lo guardò come se stesse osservando un ragno peloso. “La visita del cardinale passerà dalla stazione Ares, dove hanno cominciato ad arrivare i nostri feriti e gli infetti dell’attacco terroristico. Il cardinale, così sono gli ordini, e anche questi vengono dall’alto, dovrà visitare solo i feriti e dovrà essere tenuto all’oscuro e alla larga dai casi infetti. Poi scenderà sul pianeta in una zona che al momento dell’arrivo verrà ritenuta sicura. Comunque questi sono gli ordini” concluse il Capace porgendo a Mancina una nuova video cartella. “Resta il problema del trasporto, signore” disse Mancina riprendendo in tempo record il suo tono da efficiente burocrate. “Il cardinale partirà dopodomani con la Pietro Micca che ha finito i lavori di aggiornamento” “Molto bene c’è altro signore?” “Sì, solo una cosa capitano” disse Capace avvicinandosi ancora a pochi centimetri dalla faccia di Mancina, il quale stavolta, resistette all’impulso di arretrare. “Se lei osa ancora minacciare qualcuno del mio staff, a me non importa quanto lei sia paraculato; lei si troverà senza nemmeno accorgersene a scrostare merda con le unghie dai cessi del più remoto degli avamposti del sistema solare. Perché lei, una volta finita questa missione diplomatica sarà di nuovo sottoposto alla gerarchia della marina e quindi sotto di me. E io avrò il potere di accartocciarla come un pezzo di carta, chiaro? Farò in modo di smerdarla così tanto, che qualunque degli agganci politici che lei attualmente ha, la mollerà come una scoreggia. Quindi stia attento a come si muove in futuro, perché questa volta l’ha scampata, ma le assicuro che non ci riuscirà due volte”


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Mancina sostenne lo sguardo di Capace pensando che quell’uomo con i galloni da ammiraglio, non poteva nemmeno immaginare dove arrivassero i suoi agganci e quanto saldamente fossero agganciati. E tre. Il terzo gioco di parole della giornata, pensò. “Sissignore” si limitò comunque a dire. “Può andare al suo incontro con Don Cosmi ora” lo congedò Capace dando sfoggio ancora una volta delle sue potenzialità, che Mancina si ripromise di non sottovalutare in futuro. Fece il saluto e uscì eretto come il più probo degli uomini, chiudendosi un po’ troppo forte la porta alle spalle. Rimasti soli Capace si rivolse di nuovo a Colatelli. “Beviamoci ancora un po’ di quel tuo cognac di contrabbando, ho un sapore disgustoso in bocca” propose.

^ N.S.M. Maria Goretti – in viaggio verso Marte. 29 agosto 2196 – 11:45 Lo spazio scorreva nero e gelido intorno alla Maria Goretti mentre proseguiva sulla sua rotta verso Marte, al suo interno invece, il reattore nucleare provvedeva a mantenere l’ambiente piacevolmente riscaldato, consentiva il ricambio di ossigeno e provvedeva a fornire l'energia elettrica necessaria al processo di ionizzazione delle particelle di gas xeno, che venivano poi espulse per generare la spinta propulsiva della nave. Non che ce ne fosse bisogno in quel momento, visto che la nave aveva già raggiunto la velocità massima, ed espellerne altre non sarebbe servito a nulla. La velocità di emissione degli ioni infatti, sarebbe stata identica alla velocità della nave, annullandone l’effetto propulsivo, in quel momento, quindi, procedeva per inerzia. Nello spazio, infatti grazie alla prima legge della dinamica un corpo in quiete o in moto continua nel suo stato di quiete o di moto, fintantoché una forza esterna non intervenga a modificarlo e, come è noto, non essendoci nello spazio nessun attrito, un corpo continuerà nel suo stato di moto senza necessitare di ulteriori spinte. I motori sarebbero serviti per piccole spinte in caso di cambio di rotta, oppure in modo più massiccio per frenare la nave in prossimità della meta.


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Bordin gongolava, in sala macchine i motori, i nuovissimi Isotta Fraschini AV 1025 I capaci di spingere la nave ad una velocità di un milione e duecentomila km/ora, gli davano una sensazione quasi di estasi. Il lieve ronzio prodotto dai motori, anche se non attivi, era una specie di sinfonia per le orecchie di un tecnico come lui. Se ne stava comodamente seduto al pannello di controllo macchine e sistemi, tenendo sotto controllo i vari schermi che gli fornivano una diagnostica in tempo reale di tutti i sistemi propulsivi della nave e delle condizioni del reattore. I suoi due assistenti non erano di turno, e lui aveva la sala macchine con le sue sinfonie elettroniche tutta per sé. Aveva le gambe confortevolmente allungate sotto il pannello di controllo, mentre in una mano teneva una grossa tazza fumante dalla quale, ogni tanto, sorseggiava un caffè corretto con un po’ di grappa veneta prodotta dalle distillerie di suo padre. Ad essere sinceri forse, era la grappa ad essere corretta col caffè, ma per uno come lui, cresciuto fin da piccolo a latte e distillati, quella che aveva in mano era poco più di una bibita. Veneto da innumerevoli generazioni Bordin era nato a Mestre, e fin da piccolo era sempre stato affascinato da due cose… bé veramente tre, ma quelle che gli avevano plasmato la vita erano due: motori e navi spaziali. Era sulla Goretti da dieci anni, e non si ricordava nemmeno più il motivo per cui c’era finito, ma da allora non aveva fatto altro che mettere pezze ed effettuare riparazioni al sistema propulsivo, praticamente ogni giorno che quella nave aveva trascorso nel del Sistema Solare. Era arrivato persino a pensare che quella nave avesse addosso una sorta di maledizione, perché qualunque cosa, anche nuova venisse installata, immancabilmente molto prima della fine della sua vita utile, iniziava a mal funzionare. Il fatto strano era che le cose non proprio si rompevano, semplicemente o smettevano di funzionare o funzionavano male, o in certi casi estremi funzionavano in modo diverso da come avrebbero dovuto. Le sue riparazioni di fortuna avevano, più di una volta, letteralmente salvato la nave e l’equipaggio da una brutta e precoce fine. Il direttore di macchina Bordin era una di quelle persone dotate di una innato intuito nel comprendere il funzionamento delle cose, e di una incredibile genialità nel trovare un’alternativa alla loro progettazione iniziale.


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Non aveva mai fatto richiesta di trasferimento, probabilmente quella continua sfida nel tenere insieme quei macchinari, era quello che in realtà gli dava più soddisfazione di qualunque altro incarico. Qualcuno che lo avesse conosciuto bene (come i suoi due assistenti) avrebbe asserito con assoluta certezza, che quella per i nuovi motori era sicuramente un’infatuazione passeggera, e che nel giro di pochissimo Bordin avrebbe iniziato ad annoiarsi di tutta quella perfezione. Bestemmiatore fantasioso e di talento, chiunque lavorava con lui avrebbe giurato che non c’era nulla che gli desse più soddisfazione di percuotere, con una massiccia chiave inglese, un qualunque apparato elettronico o meccanico. Dalle una bella botta a quella troia, era la panacea che direttore di macchina Bordin utilizzava per qualunque tipo di malfunzionamento. E aveva sempre funzionato. Bè, quasi. Comunque in quel momento non c’era nessun bisogno né di pezze né di botte inferte con chiavi inglesi più o meno grosse, la nave andava che era una meraviglia. Bordin continuò a sorseggiare la sua grappa corretta caffè e a tenere sotto controllo i vari monitor, ce n’erano una mezza dozzina, più alcuni secondari installati direttamente sulle varie apparecchiature elettroniche della sala macchine. La situazione era così tranquilla che la sua mente prese a vagare in varie direzioni senza filo logico, un torpore simile a quello che avvolge la mente prima del sonno vero e proprio. C’era un ché di rilassante nel ronzio regolare del reattore, che dolcemente lo stava cullando. Le tenue luci di servizio verdi, che illuminavano fiocamente la sala macchine non facevano altro che accentuare quella sensazione di pace e tranquillità, e Bordin si sentì poco per volta scivolare dal torpore al sonno. Alla fine cedette, complice anche la grappa. Il mento si adagiò lentamente sul petto, e un lieve russare iniziò a disturbare la melodia monotonica del reattore. *** In plancia, dalla parte opposta della nave, Amedeo stava seduto alla sua poltrona di comando.


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Tutto era stranamente tranquillo, perfino il suo stato d’animo, che la fuga dalla stazione avrebbe dovuto sconvolgere, invece si manteneva incredibilmente sul sereno stabile. Forse era la consapevolezza di aver fatto una scelta giusta (e irrevocabile), o forse il godimento di aver messo al suo posto Fumagalli. Non lo sapeva. Sapeva solo che si sentiva sereno, per quanto incredibile potesse essere. Cunetto lo aveva rassicurato, dicendogli che aveva parlato con il capo di stato maggiore del COI, il quale aveva appoggiato la fuga della Goretti e promesso che avrebbe provveduto a sistemare le cose con Mancina e la missione del cardinale. Informazioni decisamente rassicuranti. Sì, forse poteva essere anche questo che contribuiva a rasserenare il suo stato d’animo, o quantomeno non era da escludere. Il suo turno in plancia stava per finire, e di lì a poco sarebbe stato sostituito da Fumagalli. Lentamente come era successo a Bordin, anche la sua mente prese a vagare, e senza accorgersene iniziò a pensare a Valeria. Il suo rapporto con quella ragazza era sempre filato liscio, non sapeva se potevano definirsi amici, le gli offriva sesso, lui la pagava. Poteva esserci comunque amicizia in questo? Tuttavia, pensò, il loro rapporto non si poteva ridurre ad un mero mercimonio, spesso dopo aver fatto sesso restavano ore a parlare, nudi sdraiati sul letto. Più di una volta si era anche fermato a mangiare nel suo alloggio, cene o pranzi, addirittura colazioni, dopo averlo accolto a dormire nel suo letto, invece di invitarlo ad andarsene finita la prestazione che lei offriva. In fondo la sua professione non era quella della prostituta, fornire sesso a pagamento era solo un modo per arrotondare, e poi c’erano sempre quei trattamenti di riguardo che lei gli riservava, marijuana, sconti e piccoli gesti d’affetto. Una volta lei gli aveva fatto un regalo: un piccolo pendaglio d’oro a forma di ancora, che lui aveva inserito nella catenella insieme alla medaglietta di San Cristoforo, il protettore dei viaggiatori, che gli aveva regalato sua nonna e che ancora portava al collo. A volte addirittura non aveva voluto essere pagata! Si chiese se quello era un trattamento che riservato solo a lui, oppure anche agli altri suoi fidanzati.


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Quel pensiero lo turbò, non sapeva se era gelosia, non voleva che lo fosse, ma pensare che anche altri, potessero godere di quel trattamento che gli piaceva considerare speciale, lo infastidiva. Scacciò il pensiero di Valeria dalla mente, cercando di concentrasi sul suo pannello, ma come un pallone gonfio spinto sott’acqua, il volto di Valeria riaffiorò nei suoi pensieri. Pensò all’ultima volta che era stato da lei, ormai cos’erano passati? Quasi dodici giorni? Dodici giorni in cui erano successe un sacco di cose. Troppe per i suoi gusti. E adesso si ritrovava in quel momento di calma con la mente serena, a pensare proprio a lei e chiedersi che ne avrebbe pensato di ciò che aveva fatto. Un brivido gli corse lungo la schiena. La parola innamorato gli era apparsa nel cervello come una luce stroboscopia, solo un lampeggio, ma intenso. Si scosse sobbalzando sulla poltrona tanto che Denti, si girò verso di lui con aria interrogativa. Con un cenno della testa lo rassicurò che non era stato nulla, e Denti tornò a dedicarsi ai suoi schermi verdastri. A quel punto la sua mente era tornata lucida, e il torpore che lo aveva colto sparì del tutto. La plancia gli riapparve nitida e chiara, e tornò a percepire anche tutti i sommessi suoni elettronici dei vari strumenti. Il suo rapporto con Valeria andava bene così com’era, pensò deciso con la forza della lucidità, e per scacciare il pensiero definitivamente chiese un rapporto a Denti. “Solo un paio di rilevamenti di navi mercantili” rispose il tecnico. A quel punto Amedeo sentì lo sbuffo delle porte stagne alle sue spalle, segno che qualcuno era entrato in plancia. Dopo un paio di secondi al suo fianco si materializzò Fumagalli, perfetto come sempre nel vestire e nel comportarsi. “Sottotenente Fumagalli pronto per il suo turno in plancia, signore” “Bene tenente la nave è sua” disse Amedeo alzandosi dalla poltrona e stiracchiandosi i muscoli, cosa che attirò l’occhiata di rimprovero del suo secondo. “Il secondo prende il comando, sono le 18:00 del 29 agosto 2196” recitò Fumagalli, pronunciando la formula di rito a beneficio del giornale di bordo. Amedeo dette un’ultima occhiata alla plancia, dopo di ché uscì, ma prima che le porte si chiudessero completamente sentì la voce perfettamente scandita del suo primo ufficiale dichiarare che il comandante lasciava la plancia.


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Aveva sei ore di riposo prima del suo prossimo turno. La sua prima mossa, per riempire il suo tempo libero sarebbe stata mangiare qualcosa nel quadrato ufficiali. Nel frattempo in sala macchine prendevano servizio i comuni di seconda Rimetti e Contini. Bordin, grazie ad un suo orologio interno regolato ormai su decine di migliaia di turni, si era svegliato dal suo torpore dieci minuti prima che i suoi due macchinisti prendessero servizio, trovandolo perfettamente efficiente alla sua consolle di controllo. Appena aveva riaperto gli occhi il suo sguardo era caduto sullo schermo delle griglie di accelerazione dei gas ionizzati e per un istante gli era parso di vedere lampeggiare una piccola spia di allarme. Fu solo un istante, ma la sua mente già si era messa a valutarne le possibili cause. Utilizzò i dieci minuti prima dell'arrivo dei suoi uomini per verificare personalmente la fonte di quel rapido e quasi impercettibile bip. Non era nemmeno sicuro di averlo visto veramente, ma un altro dogma della sua filosofia era: meglio verificare. Sempre Iniziò con una veloce diagnostica dei flussi del gas xeno, tramite il computer dedicato, il quale, però non rilevò nessuna anomalia. Procedette quindi ad un controllo manuale, simulando il flusso di gas nel settore delle griglie e controllandole fisicamente. Chiave inglese in mano pronta all’uso. Controllò ogni centimetro quadrato di quell’intrico metallico, senza che la sua ispezione rivelasse alcunché, ma malgrado ciò. mentre richiudeva il pannello e disattivava la simulazione, si fece un appunto mentale di tenere sotto controllo quella parte del motore. La monotonia dovuta al perfetto funzionamento dei nuovi motori stava già venendogli a noia. Sentiva che stava per venire travolto dalla frenesia di quella che amava definire caccia al guasto, e se quella spia avesse lampeggiato di nuovo, non avrebbe più smesso di cercare finché non avesse individuato e riparato ogni eventuale anomalia. Ancora non poteva sapere quanto quella sua frenesia si sarebbe saziata di lì a poche ore. ***


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Amedeo raggiunse il quadrato ufficiali, a quell’ora avrebbe trovato sicuramente qualcosa nello scaldavivande, appena preparato da Carolfi, il cuoco di bordo. Aveva fame come sempre a quell’ora, odiava avere il turno che partiva da mezzogiorno, quello era l’orario in cui una persona normale si siede a tavola, non quello in cui si inizia a lavorare. Le sei del pomeriggio per giunta, era un orario fastidioso per sedersi a tavola. Pazienza. Tanti anni di marina e ancora il suo organismo non si era abituato ai turni. O saltava l’orario del pranzo, oppure era di turno quando il suo intestino esigeva di fare il proprio lavoro. Signore che vita! Ormai aveva perso qualunque speranza che la cosa potesse cambiare, e si era rassegnato alle miserie della vita con una sorta di stoica sopportazione. Entrò nel quadrato, e nello scaldavivande trovò alcune porzioni di bucatini all’amatriciana e delle cotolette alla milanese, sul tavolino a fianco prese un quartino di rosso non meglio identificato, forse lambrusco dell’Emilia. Il quadrato in quel momento era vuoto, quindi si sedette al tavolo comune da solo, aspettandosi comunque da un momento all’altro, di vedere comparire qualcuno dei graduati non di turno, con cui fare quattro chiacchere, magari addirittura il dottore. La porta infatti si aprì, ma invece di un membro dell’equipaggio entrò il contrammiraglio Cunetto. Amedeo balzò in piedi per porgergli il saluto, ma l’ammiraglio lo fermò con un gesto della mano, facendogli cenno di rimanere comodo. Amedeo si limitò quindi, ad un informale buongiorno contraccambiato dall’alto ufficiale. Anche Cunetto si servì dallo scaldavivande e una volta riempitosi il vassoio andò a sedersi di fronte ad Amedeo. Per qualche minuto regnò un silenzio imbarazzato, interrotto solo dal rumore delle posate contro i piatti, in cui nessuno dei due pareva riuscire a trovare un argomento con cui avviare una conversazione. Amedeo si sentiva in difficoltà ad aver a che fare con un ufficiale di cosi alto grado, non sapeva cosa dire e soprattutto come dirla. Cunetto da parte sua sembrava cercare le parole giuste per rompere il ghiaccio. Non trovandole, rimase in silenzio attaccando la sua porzione di pastasciutta. Solo dopo qualche forchettata masticata con gusto, Cunetto trovò l’ispirazione per rompere il silenzio. “Non trova rilassante poter stare in compagnia di qualcuno con cui non ci si sente in obbligo di dover parlare?” disse con un sorriso, mentre contraddiceva sé stesso.


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Amedeo che era tutto tranne che rilassato, deglutì il boccone di bucatini mezzo masticato e si affrettò a rispondere. “Assolutamente signore” “Solo che lei non mi sembra rilassato per niente comandante. La metto forse in imbarazzo?” “No signore” rispose con tanta veemenza, da apparire palesemente falso anche alle sue orecchie. Cunetto rise, cercando di tenere chiusa la bocca per non sputare la pasta che si era appena messo in bocca, riuscì a controllarsi e si aiutò a mandar giù il boccone con un sorso di vino. “Si rilassi comandante, si ricordi che siamo complici nella nostra fuga, quindi quando siamo soli possiamo fare a meno delle formalità” “Grazie signore” “Bene, come le ho detto, appena salpati ho parlato con Capace che ci darà tutto il suo sostegno, quindi fossi in lei starei tranquillo in merito alla nostra piccola scappatella” “Bene signore, mi sento sollevato. Non nascondo però che ho provato un po’ di apprensione” “Più che apprensione io la definirei fifa blu. E fa bene ad averne Mancina non è un avversario da sottovalutare. Inoltre, quando ha accettato la mia proposta non aveva certo l’aria serena” “Bè è vero, ma quando ho dato l’ordine di partenza, mi sono sentito molto bene, devo ammettere, quasi sereno, una sensazione che sta durando da quando siamo partiti” “Il gusto del proibito” ironizzò Cunetto “No comandante, lei si sente bene perché sa di stare facendo la cosa giusta” fece una pausa “ E di questo le sono veramente grato” Amedeo sentì nuovamente l’imbarazzo prendere il sopravvento. Non era certo avvezzo a ricevere complimenti dai suoi superiori, quindi cercò di cambiare argomento. “La sua sistemazione è adeguata signore?” “Più che adeguata e anche per questo la devo ringraziare, non era necessario cedermi la sua cabina, ma ne sono contento. Alla mia età e dopo tanti anni di scrivania dormire su una branda mi avrebbe probabilmente ucciso. Per quanto riguarda i miei assistenti sono adeguatamente sistemati nelle cabine dei suoi ufficiali, che hanno gentilmente accettato di dividerle per questo viaggio” “Dovere signore” “Già. E lei comandante dove si è ritagliato la sua cuccia?”


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“Mi sono sistemato nella cabina del dottore, dietro l’infermeria” Cunetto rimase in silenzio come se stesse meditando su qualcosa, lasciando vagare lo sguardo nel quadrato senza guardare nulla in particolare. Il silenzio si protrasse, mentre il disagio di Amedeo saliva, e per placarlo si versò nuovamente un po’ di vino nel bicchiere ancora quasi pieno. Alla fine fu ancora una volta Cunetto a rompere il silenzio. “Sono appunto appena uscito dalla vostra infermeria dove ho parlato con Beretta. Grazie alla visita del cardinale ora avete un’infermeria di prim’ordine” Amedeo sentì un formicolio ai testicoli, a quell’ora di solito, l’ufficiale medico era ancora sobrio, ma non si poteva mai dire, più volte lo aveva visto in condizioni non proprio perfette anche ad orari impensabili. Pregò che quella sera non fosse stata una di quelle occasioni. “Già il dottore mi è sembrato contento anche a me. Non che ci serva tutto quel ben di Dio, ma fa piacere sapere che c’è” “Si, credo che avesse già iniziato a festeggiare” Oddio! E adesso cosa avrebbe dovuto dire? Un ufficiale medico che beve come una spugna in servizio è già grave, ma un comandante che lo sa e non prende provvedimenti forse era ancora peggio. Ecco la serenità ritrovata che faceva ciao ciao con la manina. “Non si preoccupi comandante, non ho intenzione di scrivere rapporti per le condizioni di Beretta, la mia stima per lui è troppo alta” “Grazie signore” disse Amedeo senza osare guardarlo negli occhi. “Non c’è di che” poi dopo un attimo di silenzio “Non mi fa la domanda, comandante?” “No” Cunetto inarcò il sopracciglio stupito. “Dalla reazione che ha avuto quando ho riconosciuto Beretta, mi pareva che lei non conoscesse la sua storia. Forse mi sbagliavo. Scusi comandante ho peccato di presunzione con le mie deduzioni, vedo che lei è al già corrente di tutto” “No” rispose “Non so nulla del passato del dottore. Era già sulla Goretti quando mi è stato affidato il comando” “Non sa nulla quindi? E non vuole sapere?” “No. All’inizio sì, anche perché non lo conoscevo, ma ha sempre evitato il discorso, dal che ho dedotto che non gli faceva piacere parlarne, quindi se non sarà lui a dirmelo… no non lo voglio sapere, anche perché credo che sia una storia che debba essere sentita di prima mano e riferita spontaneamente”


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Cunetto lo guardò con rispetto, vedendo qualcosa di più di un ufficiale con la carriera bloccata su di una nave universalmente considerata un rottame. “Lei è una brava persona comandante” disse alla fine. “Può darsi” si limitò a rispondere. In quel momento entrarono i due assistenti di Cunetto insieme ad Aschieri e Vicoli e quella conversazione stranamente intima, venne interrotta deviando su argomenti più banali. *** Fumagalli adorava i propri turni, sedere sulla poltrona del comandante anche se si trattava di una carretta come la Goretti, era una sensazione esaltante. E come ogni volta che la provava, si chiese quando avrebbe finalmente potuto realizzare quel sogno, magari su di una fregata, in fondo era ancora giovane, non osava sognare troppo forte, ma un giorno chissà: un incrociatore, e poi, ma sogniamolo piano piano… una portaerei. Magari proprio la Pietro Micca. Nel suo sogno ad occhi aperti si vedeva con le stellette da ammiraglio, uno stuolo di uomini e mezzi pronti a scattare ad ogni suo ordine. Disciplina, efficienza e azione, erano i suoi dogmi, non come su questa specie di nave corsara, con un equipaggio composto da fannulloni indisciplinati. Forse se si fosse ingraziato Cunetto… magari chissà? Aveva già compilato una nuova domanda di trasferimento e, se ce ne fosse stata l’occasione, avrebbe voluto consegnarla direttamente al contrammiraglio, se l’avesse inoltrata lui, forse sarebbe finalmente stata accettata. Chissà… la Pietro Micca, azioni ardite, medaglie, riconoscimenti… Quanti chissà… sospirò dentro di sé. “Signore” La voce di Colengo, il timoniere lo riportò alla realtà. “Si?” “Signore stiamo per raggiungere il punto di cambio di rotta” “Bene. Avvisate la sale macchine di tenersi pronti. I motori ionici pronti per la manovra di virata” “Sì signore. Sala macchine da plancia, pronti alla virata, motori attivati e pronti” “Plancia da sala macchine” rispose la voce di Bordin “Motori attivati e pronti. Al vostro comando” “Ricevuto sala macchine, al nostro comando… tra trenta secondi” Sul display di Colengo il conteggio del conto alla rovescia per la virata procedeva scandendo ogni secondo.


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A dieci secondi il timoniere iniziò il conteggio ad alta voce. Bordin era seduto alla propria consolle, mentre i suoi due aiutanti erano seduti a quelle secondarie di monitoraggio dei sistemi ausiliari dei motori. Spettava a lui accendere e sul suo display i secondi venivano scanditi esattamente come sul display di Colengo. Appena i suoi due aiutanti erano entrati in servizio, aveva iniziato con il loro aiuto una diagnostica generale dei motori, dei sistemi di supporto e sussidiari, quel breve lampeggio di una spia di allarme continuava a tormentarlo. Tuttavia qualunque test eseguito non aveva dato nessun risultato anomalo. Ora a venti secondi dall’accensione una specie di ansia l’aveva preso, per un attimo pensò di comunicare un guasto e di sospendere le operazioni di virata, ma su quali basi? Una sensazione? Un bip di un spia che, dopo tutti i controlli possibili effettuati non aveva avuto nessun riscontro? E che non era nemmeno sicuro di aver visto veramente? Fiore era un bravo ragazzo pensò, tuttavia abortire una manovra di virata non era una cosa da prendere alla leggera, avrebbe dovuto essere riconfigurata tutta la rotta con ritardi inevitabili e un consumo ulteriore di carburante a quello previsto. Non c’era nulla che non andasse ripeté a se stesso, i motori erano nuovi e in perfette condizioni, gli anodi per la ionizzazione degli atomi di xeno non erano ancora minimamente intaccati, andava tutto bene. Eppure… c’era quella vocina così piccola che continuava a sussurrargli qualcosa che lui non riusciva ad afferrare. Dieci secondi, la voce di Colengo iniziò a scandire il conteggio alla rovescia. Decise di ignorarla, la ragione diceva che tutto funzionava. Meno cinque, il display scandiva i secondi all’unisono con la voce del timoniere in plancia. Era la spia del flusso dello xeno che si era accesa, ma controllando non erano riusciti a trovare nulla di anomalo, motori, serbatoi sistemi secondari, tutto sembrava funzionare perfettamente. “…tre, due, uno, accensione!” esclamò la voce di Colengo. Bordin osservò sul display l’icona di accensione computerizzata passare dal grigio di motore spento al verde dell’accensione. Nello stesso istante si accese nuovamente la spia di allarme. Il rumore dell’esplosione all’interno della piccola sala macchine fu assordante. Bordin fu scaraventato a terra dopo essere stato letteralmente sollevato dal suo sedile, cadde pesantemente battendo la testa e il mondo intorno a lui divenne nero.


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Un forte sibilo gli trapanava le orecchie come il fischio di una sirena, mentre alla abituale luce bianca che illuminava l’ambiente, si aggiungeva quella rossa intermittente di allarme. Bordin cercò di rialzarsi il più rapidamente possibile, bisognava bloccare il flusso di gas e controllare i danni. La testa gli pulsava e gli pareva che tutta la sala macchine avesse preso a girare su sé stessa. Fumo, quasi sicuramente gas, aveva invaso l’ambiente limitando la visuale a un paio di metri. Il monitor ora era costellato di luci rosse di allarme e si avvertiva un rollio e un beccheggio anomali e molto accentuati. Sicuramente erano i razzi di manovra che automaticamente cercavano di compensare l’assetto della nave, pensò, ma le correzioni parevano troppe e troppo frequenti, segno che la nave poteva essere fuori controllo. Bordin fece la sua diagnosi in pochi istanti, senza bisogno di controllare nessun monitor: mare di merda con forte moto ondoso. Uno o più serbatoi di propellente erano esplosi, forse per una pressione troppo elevata o per un malfunzionamento di una valvola che si era improvvisamente chiusa quando non avrebbe dovuto, impedendo allo xeno di raggiungere la camera di ionizzazione. Valutò la situazione in grave. Fortunatamente pareva non esserci nessuna falla nello scafo. Nello stesso instante anche in plancia si accesero numerose luci rosse lampeggianti, mentre la sirena di allarme era entrata in azione diffondendo in tutta la nave il suo strepito intermittente. Fumagalli rimase completamente disorientato, durante il corso all’accademia aveva effettuato più di una esercitazione, sempre con ottime valutazioni, ma in quel momento la sua mente si era come bloccata, colta completamente alla sprovvista, non riusciva ad assimilare gli eventi che si susseguivano ad una velocità troppo elevata. Non c’erano istruttori che lo avrebbero valutato dall’esterno di una cabina di esercitazione in realtà virtuale, dalla quale sarebbe uscito per tornare in aula, lì c’era solo la realtà e tutte le sue imprevedibili conseguenze che non si potevano azzerare con una semplice pressione su di un tasto con la scritta reset. Perse secondi preziosi, poi fortunatamente il suo cervello fece una specie di scatto e il mondo intorno a lui tornò ad essere nitido, sebbene colorato di rosso e molto rumoroso. “Rapporto danni e situazione” urlò per sovrastare l’urlo della sirena. “Siamo fuori rotta!” urlò Colengo


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“Sia più preciso, prego” “Quaranta gradi sull’asse, quindici punto due sulla verticale e la nave sta subendo una forte rotazione sull’asse” Fumagalli lanciò uno sguardo fuori dei grossi finestrini della plancia vedendo le stelle che scorrevano velocissime e in diagonale lungo i finestrini. “Sala macchine in avaria, Bordin riferisce di danni gravi ai serbatoi di xeno” intervenne Denti. “Feriti?” urlò Fumagalli. In quel momento si aprirono le porte e Amedeo entrò in plancia. “Rapporto tenente. Spegnere l’allarme” disse e l’urlo delle sirene cessò improvvisamente, facendo piombare la plancia nel silenzio. “Stiamo verificando signore, sembra che sia esploso uno dei serbatoi di xeno” “Ci sono feriti?” “Non lo sappiamo ancora” “Allora si informi. Quaglia…” disse rivolto all’addetto alle comunicazione “Avvisare il dottore, possibili feriti in sala macchine” La voce di Amedeo era calma e controllata gli ordini venivano dati in rapida successione, espressi chiaramente e subito eseguiti. Suo malgrado Fumagalli provò una sorta di riluttante ammirazione per il comandante, ma scacciò quella sensazione, sostituendola subito con l’invidia e disappunto, anche se irrazionale, di non poter gestire personalmente quell’emergenza, che avrebbe potuto metterlo in buona luce con Cunetto. “Fanti di marina a disposizione per evacuazione di eventuali feriti” continuava intanto Amedeo scandendo bene le parole ed usando un tono calmo ed efficiente “Zanetta e Faga a disposizione di Bordin per le riparazioni. Allora ci sono feriti?” disse tornando a rivolgersi a Fumagalli. “Non riusciamo a comunicare con la sala macchine” “Io scendo, la nave è sua tenente. Voglio un aggiornamento costante sulle correzioni di rotta necessarie per la nostra destinazione e il relativo consumo di carburante” “Sissignore” rispose Fumagalli, ma Amedeo era già uscito dalla plancia diretto alla sala macchine. Percorse correndo il corridoio verso le scale metalliche che lo avrebbero portato al ponte inferiore dove incrociò Beretta pronto con la sua attrezzatura medica portatile per le emergenze. Non si dissero nulla, ma proseguirono insieme verso la sala macchine.


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Lungo il percorso quasi andarono a sbattere contro Cunetto che veniva verso di loro. “Posso essere utile?” disse ansimando per la corsa e seguito dai suoi assistenti. “Seguiteci!” urlò loro Amedeo già proiettato verso il ponte inferiore. Attraversarono di corsa tutto il corridoio sospeso che attraversava la stiva. Correvano avvolti nel bagliore rosso delle luci di allarme fino ad arrivare alla porta stagna, che dava accesso alla parte posteriore della nave dove c'erano il locale macchine e la stanza del reattore. Davanti alla porta trovarono i cinque fanti di marina presenti sulla nave, compreso il loro sergente e Zanetta, l’addetto alle manutenzioni col suo aiutante in attesa di ordini. *** Bordin barcollando e muovendosi a tentoni in mezzo a quella nebbia, riuscì finalmente a raggiungere la sua postazione, guidato dalla voce di Fumagalli che usciva dagli altoparlanti e che chiedeva a gran voce un rapporto sulla situazione. La situazione è che siamo nella merda pensò. La prima cosa che fece, anche prima di rispondere fu quella di fermare i motori. Ignorò la voce di Fumagalli, quello che poteva fare l’aveva fatto, ora non c’era tempo per fare rapporti, doveva scoprire come stavano i suoi uomini e soprattutto in che condizioni era il suo reparto. Avanzò quasi alla cieca nella direzione in cui si doveva trovare Contini, ma in mezzo a quella nebbia sarebbe stato un vero colpo di fortuna riuscire a trovarlo, poi l’esplosione probabilmente l’aveva scagliato chissà dove, come era successo a lui. Si diresse quindi verso le valvole di controllo del flusso di xeno per chiuderle o quantomeno ridurre la fuoriuscita di gas all’interno del locale. Finalmente raggiunse il monitor di controllo secondario e digitò i comandi per la chiusura delle valvole, il sibilo diminuì di intensità, ma non cessò del tutto, così come la visibilità non migliorò di molto. Lanciò una rapida diagnostica di tutto il sistema, ma alcuni sensori e terminali risultarono fuori uso. Non restava che un’ispezione visiva di tutti gli apparati, e per quello aveva bisogno dell’aiuto dei suoi uomini. Prese ad urlare i nomi dei suoi aiutanti a squarciagola, muovendosi attraverso il locale macchine, ma anche su quel fronte non ebbe migliore fortuna.


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Procedette quindi più con l’aiuto delle mani che della vista verso la posizione di Contini, continuando a chiamarli entrambi. Poi sul pavimento ad un paio di metri dal blocco centrale dei motori intravide una sagoma a terra che poteva essere un corpo. Vi si avvicinò velocemente e chinandosi riconobbe Contini esanime a terra. Lo afferrò ad una spalla rimettendolo in posizione supina e scuotendolo delicatamente, mentre continuava a pronunciare il suo nome a voce sufficientemente alta per sovrastare il sibilo del gas. Il giovane sussultò aprendo gli occhi e scuotendo la testa, riprese conoscenza. “Cos’è successo capo?” chiese tenendosi la testa tra le mani. “Sono esplosi i serbatoio di xeno” urlò Bordin aiutandolo ad alzarsi. “Dov’è Michele?” chiese ancora il marinaio, riferendosi al suo collega ancora invisibile in mezzo alla nebbia creata dal gas. “Non lo so. Adesso lo cerco. Tu intanto chiudi le valvole di transizione dei serbatoi intatti” gli ordinò Bordin alzandosi e mettendosi in cerca del suo secondo aiutante. *** Beretta si precipitò alla consolle di apertura del portello d’accesso la locale macchine per premere il pulsante di apertura, ma Amedeo, senza troppi complimenti gli prese la mano allontanandola dalla consolle. “Che fa comandante?” gli chiese il dottore stupito dal quel gesto, ma ricordandosi di rivolgersi al suo comandante senza dargli del tu. “Non sappiamo se il locale è pressurizzato” gli disse senza nemmeno guardarlo “Ma la luce è verde”obiettò il dottore” indicandogli il display. “C’è stata un’esplosione e i sistemi di rilevazione potrebbero essere fuori uso, oppure esserci solo una piccola incrinatura nello scafo che i sensori non rilevano ma che aprendo il portello potrebbe definitivamente squarciarsi” e poi premendo il pulsante dell’interfono “Fumagalli, la situazione nel locale macchine?” “Il locale è in sicurezza e pressurizzato, signore” “Bordin?” “Ancora nulla, signore” Avuta la conferma Amedeo premette lui stesso il pulsante di apertura, e appena ci fu spazio a sufficienza si precipitò nel locale macchine seguito a ruota da Beretta.


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Varcata la soglia si ritrovarono immersi in una nebbia tale che nemmeno la Val Padana al suo meglio avrebbe mai potuto produrre: non si vedeva nulla. “Bordin!” urlò, ma il rumore prodotto dal sibilo del gas unito all’urlo della sirena dall’allarme era troppo forte. Scese la scaletta metallica per arrivare al livello del locale macchine, sempre con Beretta alle calcagna. Subito dietro veniva Cunetto. Arrivato al pavimento esitò un attimo per orientarsi. La postazione del direttore di macchina era alla sua sinistra. Si rivolse a Zanetta arrivato con il suo assistente. “Biagio controlli lo scafo, di sicuro è integro, ma verifichi che non ci siano pericoli immediati” poi ordinò ai fanti di marina di sparpagliarsi in cerca dei macchinisti. Dati gli ordini si inoltrò nella nebbia seguito da Beretta e Cunetto. La luce rossa dell’allarme, il gas che saturava l’ambiente e l’urlo della sirena davano al locale un’atmosfera caoticamente infernale. Avanzarono continuando ad urlare, poi dopo qualche istante letteralmente inciamparono in Bordin. Il direttore di macchina stava venendo verso si loro e si ritrovarono faccia faccia. “Bordin…” urlò Amedeo per farsi sentire sopra il frastuono “… quali danni ci sono?” “Sono saltati uno o più serbatoi, signore! Ancora non lo so, abbiamo chiuso le valvole, ma ci deve essere un’altra perdita che non riusciamo ad isolare” “Ci sono feriti?” intervenne Beretta “Si dottore. Rimetti è a terra e non riesco a svegliarlo, Contini sta bene, sta chiudendo le valvole di transizione” “Dove si trova Rimetti?” urlò ancora il dottore “Da questa parte, dottore” Amedeo nonostante il caos intorno a lui si accorse che Bordin era scosso, si muoveva a scatti e le mani gli tremavano visibilmente. Da professionista qual’era, aveva fatto tutto quello che nei primi istanti di un’emergenza andava fatto per limitare i danni, ma intuì che c’era qualcosa che preoccupava seriamente il suo direttore di macchina. Amedeo cominciò a preoccuparsi non solo per Rimetti, ma per tutta la nave. “Qual è la situazione Bordin?” chiese mentre il veneto li portava a tentoni dove giaceva Rimetti. “Non lo so ancora comandante, ma qualunque sia, è grave” “D’accordo Bordin, adesso vediamo di fare un punto della situazione. Per prima cosa spenga questa sirena e ripristini l’illuminazione. Zanetta e i suoi


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stanno controllando lo stato dello scafo, poi saranno a sua disposizione per le riparazioni. Vada ora” urlò Intanto Beretta si era chinato sul corpo di Rimetti affiancato da Cunetto. Il macchinista era immobile, totalmente privo di sensi. Amedeo si rifiutò di prendere in considerazione ipotesi peggiori. “Come andiamo qui dottore?” “Male. Ci sono altri feriti?” “No” rispose Amedeo fissando il membro del suo equipaggio steso a terra immobile. “Che ne pensa dottore?” chiese Cunetto. Intanto Bordin aveva spento la sirena di allarme e ora si poteva parlare ad un tono di voce quasi normale sufficiente a sovrastare il sibilo del gas. “TBI grave” diagnosticò Beretta indicando così un trauma cranico serio “Proviamo a risvegliarlo” Cunetto sbottonò al camicia di Rimetti e prese a pizzicare violentemente un capezzolo del macchinista. Rimetti apri gli occhi, e un fiotto di vomito gli uscì dalla bocca inzaccherando i due medici, i quali non gli prestarono la minima attenzione. Beretta, anzi, si abbassò sul volto del ferito e gli puntò il fascio di luce di una piccola pila tascabile negli occhi. “Midriasi della pupilla destra.” Comunicò a Cunetto, poi con un tono di voce tranquillizzante si rivolse a Rimetti “Michele, prova a muovere le gambe o le braccia?” “Ci provo” biascicò con voce impastata, ma nessuno degli arti si mosse di un millimetro, poi un altro getto di vomito gli uscì dalla bocca. Subito dopo perse nuovamente conoscenza. “Non c’è sangue, E’ una lesione chiusa, dobbiamo fare immediatamente una tomografia assiale e probabilmente dovremo operare” diagnosticò l’ufficiale medico della Goretti. “Posso assisterla?” chiese Cunetto. Amedeo rimase a bocca aperta a quella richiesta fatta dal capo dei servizi sanitari della marina al suo ufficiale medico. Evidentemente Beretta non aveva ancora finito di stupirlo. “Certo” poi rivolto verso Amedeo “Mi servono i fanti di marina con una barella, dobbiamo portarlo in infermeria immediatamente” “Si dottore” scattò Amedeo e chiamò un paio di fanti, i quali avevano, in quei casi di emergenza sempre un paio di barelle a cucchiaio smontabili nella loro dotazione. Messo un collare cervicale a Rimetti, lo issarono sulla barella e lo immobilizzarono con le cinghie fissate ai lati.


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Beretta e Cunetto, seguiti dai due assistenti del contrammiraglio uscirono dal locale macchine con due fanti di marina che trasportavano Rimetti. Amedeo rimase nel locale macchine, raggiungendo Bordin nella zona dei serbatoi dello xeno. Il sibilo era praticamente cessato, mentre la nebbia veniva risucchiata dagli aspiratori posti sul soffitto che erano stati attivati in un qualche momento durante tutto il quel trambusto. “Allora Bordin, abbiamo una stima dei danni?” “Abbiamo perso due serbatoi su quattro e tutto il carburante che c’era dentro, inoltre l’esplosione ha danneggiato uno dei motori, non so ancora di preciso quale sia l’entità del danno, ma è nella camera del plasma, forse un anodo. Spero” “Di cosa ha bisogno?” “Zanetta e il suo assistente per le riparazioni e i fanti di marina per i lavori pesanti, ma prima devo fare una verifica più approfondita per poterle fare un rapporto preciso” “Bene io sarò in plancia, se ha bisogno mi chiami e mi faccia un rapporto appena possibile” “Si siòr, e…” esitò il direttore di macchina “Si Bordin?” “Come sta Michele?” “Non lo so Cesare, ma sembrava grave, appena avrò notizie lei sarà il primo a saperlo” “Grazie comandante” “Ci mancherebbe” Lasciò la sala macchine e si diresse in plancia dove trovò Fumagalli seduto sulla poltrona del Capo Reparto Operazioni nella piccola rientranza a lato del locale. Se Fumagalli non aveva approfittato della sua assenza per poter stare seduto sulla poltrona del comandante, allora la situazione doveva essere veramente grave. “Rapporto tenente” Fumagalli alzò gli occhi dai monitor di tracciatura di rotta e da quelli di controllo generale dei sistemi di navigazione. Appariva teso e pallido, segni che non rassicurarono Amedeo. “Signore posso parlarle in privato” “Certo” rispose entrando nella piccola stanza e chiudendo la porta pressurizzata dietro di sé. La sala Operazioni era sufficiente per tre uomini, e era il regno di Fumagalli in qualità di ufficiale di rotta. Inoltre ricopriva anche il ruolo di Capo


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Reparto Operazioni e sistemi d’arma assistito da i due tecnici addetti alle armi. “Mi dica Tenente” “Signore, abbiamo perso troppo carburante siamo fuori rotta di ventuno gradi sull’asse orizzontale e in seguito al forte beccheggio seguito all’esplosione, di uno punto tre sull’asse longitudinale. Mancheremo completamente Marte e finiremo nella fascia di asteroidi, se non effettuiamo al più presto una correzione di rotta. Inoltre la nave sta ruotando su sé stessa in modo incontrollabile anche se lentamente, ho dovuto disattivare i razzi di manovra per risparmiare carburante prima che potessimo fermare del tutto la rotazione.” “Il carburante residuo non basta per manovrare? Quali sono le letture?” “Abbiamo perso due serbatoi, l’uno e il due, il tre e al quaranta percento e il quattro al venti, purtroppo abbiamo perso i due ancora pieni, possiamo manovrare una sola volta e avere la spinta, per ora, ma non abbiamo carburante sufficiente per effettuare l’operazione di frenata, sperando in ogni caso di riuscire a rimetterci in asse” Amedeo si rabbuiò, aveva capito perfettamente la situazione. La nave dopo la prima accensione si era messa nella rotta prestabilita e raggiunta la velocità massima consentita dai motori, aveva proseguito in linea retta verso il punto di cambio di rotta mantenendo una velocità costante grazie alla prima legge della dinamica. Altra faccenda era effettuare un cambio di rotta. Una nave spaziale, per definizione, non viaggia, come un aereo, in un’atmosfera che possiede una certa densità, ma nello spazio dove non c’è alcuna forma di attrito. Un aereo, infatti, agendo sugli alettoni sfrutta la densità dell’aria per cambiare direzione, nello spazio è tutta un’altra storia. Anche se un’astronave avesse gli alettoni non servirebbero a nulla, poiché su di essi non agirebbe nessuna forza; serve pertanto espellere materiale ad alta velocità anche solo per cambiare l'assetto della nave. Nello spazio occorre cambiare il verso della nave allo scopo di poter orientare i motori principali nella direzione corretta, per darle una nuova spinta nella direzione giusta. La spinta necessaria si ottiene espellendo carburante nella direzione opposta a quella verso la quale ci si vuole dirigere. E non è finita. In prossimità della destinazione bisogna fermare la nave annullandone la spinta, e per farlo in un ambiente in cui non c’è alcun tipo di attrito, l’unico modo è espellere qualcosa di solido nella direzione opposta a quella in cui si sta dirigendo la nave, quindi ancora carburante, e se questo


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non c’è… bé tutti sanno che lo spazio è infinito, ma non vuoto, fermarsi sbattendo contro qualcosa di solido e grosso è una tecnica che viene sconsigliata in tutti i corsi di navigazione spaziale. “Mi aggiorni sulla situazione attuale” ordinò Amedeo Fumagalli digitò su alcuni tasti del tavolo da carteggio al centro della stanza operazioni, ed una proiezione tridimensionale si materializzò sul tavolo stesso, riproducendo la parte del sistema solare nel quale si trovava la Goretti. Una linea verde che partiva dalla Terra, indicava la rotta che la nave avrebbe dovuto seguire. Una linea rossa, invece, che ad un certo punto spuntava da quella originaria, indicava l'attuale rotta errata della Goretti, rappresentata da un puntino luminoso bianco dal quale un’ulteriore linea gialla indicava la proiezione della rotta che in quel momento stava seguendo la nave. La linea gialla terminava in mezzo alla fascia di asteroidi tra Marte e Giove. Di fianco all’indicatore della nave c’erano alcune cifre verdi che indicavano il carburante a disposizione della nave, e altre cifre azzurre che invece, indicavano quello necessario al cambiamento di rotta, alla spinta e alle operazioni di arresto. Una ulteriore serie di cifre gialle, indicava quanto carburante mancava per le operazioni necessarie, e quest’ultima continuava lentamente ma inesorabilmente ad aumentare. Amedeo la indicò. “Temo ci sia ancora una perdita che Bordin non è riuscito ad isolare” rispose Fumagalli a quella domanda sottintesa. Di li a poco quelle cifre gialle, che in condizioni normali sarebbero state verdi, sarebbero diventate rosse quando alla fine, il carburante non sarebbe stato più sufficiente nemmeno per manovrare. L’ultima serie di cifre, di colore bianco, scandiva il tempo residuo a disposizione per poter effettuare la manovra di correzione di rotta: 04:31:23. Amedeo premette il tasto dell’interfono. “Macchine da Plancia” Ci vollero un paio di minuti prima che la voce affannata di Bordin uscisse dall’altoparlante. “Qui macchine” “Bordin ha un quadro della situazione?” “Quasi signore, abbiamo preso i serbatoio uno e due e tutto il gas che c’era dentro, il motore di dritta è danneggiato, la pressione del gas ha fatto saltare l’anodo della camera del plasma e le griglie. Praticamente il motore di dritta


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è andato, inoltre il giunto cardanico degli ugelli di quello di babordo è bloccato” “Può ripararli?” “Ci posso provare ma ci vorrà tempo e non posso farlo subito” “Perché?” “I ragazzi di Zanetta hanno trovato un’incrinatura nello scafo, quindi devono riparare prima quella e poi possiamo iniziare a lavorare ai motori” “Bordin abbiamo più o meno quattro ore per rimetterci in pista” Silenzio “Bordin ha sentito, mi riceve?” “Si siòr, e le dico che non è possibile” “Scendo e vediamo di farcela” chiudo Poi si rivolse a Fumagalli: “Mandi un segnale di emergenza alla flotta, segnalando la nostra posizione costantemente, e mi tenga aggiornato sulla situazione del carburante in base alla nostra posizione. Io scendo nel locale macchine” “Sì signore” rispose Fumagalli, ma Amedeo era già oltre la porta. Nuovamente si avviò di corsa verso la sala macchine, e a circa metà strada del corridoio sospeso della stiva, dove questo si intersecava perpendicolarmente con uno gemello, venne fermato da Esposito. “Dottò, che succede?” “Non ho tempo ora Esposito” rispose senza smettere di correre. Esposito rimase fermo per qualche istante all’incrocio dei due corridoi, indeciso sul da farsi, se correre dietro al suo comandante, oppure rassegnarsi a non avere alcuna risposta. Poi dopo qualche istante di riflessione tornò alla sua postazione dove lo attendeva il suo aiutante Luca Marchini: un bergamasco grosso come un armadio a quattro ante più specchiera, alto come un palo della luce e con un cervello inversamente proporzionale alla sua stazza. “Cosa succede capo?” gli chiese appena Esposito entrò nel suo bugigattolo che aveva l’ardire di chiamare ufficio. “Non lo so, Luca, ma credo che le cose non vadano per niente bene” “E che facciamo, capo?” Esposito rimase in silenzio per qualche istante poi alzando lo sguardo verso Marchini: “Vieni con me” gli disse. ***


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Amedeo intanto era arrivato alla sale macchine, il sibilo del gas era cessato e la nebbia quasi del tutto sparita. Alla sua destra poteva vedere i due serbatoi esplosi, uno presentava un enorme squarcio dovuto alla pressione del gas. Aveva il bordi ripiegati verso l’esterno, mentre il secondo si era evidentemente spaccato a causa dei pezzi del primo che lo avevano colpito alla velocità di un proiettile di artiglieria. Era un miracolo che lo scafo non fosse pesantemente danneggiato. Raggiunse Bordin che stava parlando in quel momento con Zanetta. Bene, aveva bisogno di entrambi. “Comandante” lo salutò Zanetta facendo il saluto “Comodo, qual è la situazione?” “Come sta Michele?” intervenne Bordin chiedendo del suo aiutante. “Non lo so, ma le assicuro che è in ottime mani e se la caverà” disse sperando di non raccontare cazzate. “Allora la situazione?” rivolgendosi a Zanetta che indossava una tuta spaziale alla quale mancava solo il casco. “C’è una paratia incrinata e i giunti rischiano di saltare da un momento all’altro, abbiamo messo qualcosa per tenerli insieme, ma non è certo una riparazione adeguata. Serve solo qualche minuto per poterci organizzare e far evacuare il personale dalla sala macchine” “Non si può” “Cosa vuole dire?” chiese Zanetta, mentre Bordin lo guardava preoccupato. “Significa che non abbiamo tempo, abbiamo quattro ore per rimetterci in grado di manovrare e correggere la rotta, altrimenti il carburante residuo non ci basterà, c’è una perdita che non siamo riusciti ad isolare e che ci sta mangiando il carburante residuo” “Ma, comandante…” proruppe Zanetta “Dobbiamo fermare la nave, depressurizzare la sala macchine e procedere alle riparazioni delle paratie, il che significa che dobbiamo lavorare anche all’esterno dello scafo” “Ed è quello che faremo, solo che contemporaneamente dobbiamo procedere alla riparazione del motore” A quel punto intervenne Bordin: “Ma c’è il rischio che la paratia salti…” iniziò a ribattere, ma si interruppe capendo dove voleva andare a parare Amedeo. “Vedo che ha capito Bordin” “Si ma vorrei che ci fosse un’alternativa” “Di cosa state parlando?” li interruppe Zanetta


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Amedeo lo guardò, gli stava per chiedere di fare qualcosa di veramente rischioso, a lui e al suo assistente, quindi esitò un istante prima di esporre il suo piano. “Procederemo alle riparazioni allo scafo, ma senza fermare la nave. Vede Zanetta, non abbiamo il carburante sufficiente, depressurizzeremo la sala macchine e Bordin lavorerà a gravità zero con la tuta. Non c’è altra soluzione” Zanetta rimase per un attimo basito, incapace di credere a quello che gli stava dicendo il suo comandante. Uscire da una nave che viaggiava a un milione e duecentomila chilometri all’ora ruotando su sé stessa per lavorare sul suo scafo, non era solo rischioso, rasentava il suicidio. “Me lo sta ordinando comandante?” chiese “Si, Zanetta è un ordine. Vorrei che ci fosse un’altra soluzione, ma non c’è” “Non potemmo aspettare i soccorsi?” “No, abbiamo il carburante sufficiente per una correzione di rotta e per una spinta se riusciamo a fermare la perdita in tempo, ma non abbastanza per fermarci, andremmo avanti fino a sbattere contro qualcosa, che è un brutto modo per fermarsi” “Ne convengo” “Bordin, come dicevo, c’è un’altra perdita che va individuata e riparata e più perdiamo tempo a parlare, meno ce ne rimane per metterci in salvo, quindi diamoci da fare, signori. Mettiamoci le tute e depressurizziamo” ordinò, poi si mise in contatto con Fumagalli “Signore?” rispose il comandante in seconda *** In infermeria Rimetti era stato adagiato su di un ripiano che poteva fungere sia da tavolo operatorio che per la diagnostica, mentre Cunetto aveva provveduto personalmente ad iniettare nelle vene del paziente il mezzo di contrasto organo-iodato per la differenziazione delle strutture di densità simile; Beretta era ai comandi remoti del tomografo. Appena effettuata l’iniezione Cunetto si allontanò e l’ufficiale medico della Goretti diede il via all’operazione. Il tomografo consisteva in una sottile lastra trasparente di materiale plastico flessibile, che partendo da un lato del lettino avvolse Rimetti come in un tunnel emettendo un fascio di raggi X, e in questo caso, visto che l’area offesa era circoscritta e già individuata, la scansione si limitò alla sola testa del paziente.


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Il computer elaborò le immagini rilevate dai raggi, e sullo schermo olografico apparve una rappresentazione tridimensionale del cranio di Rimetti, con evidenziata la zona offesa in rosso. “C’è un affossamento, come sospettavo con una emorragia intraparenchimale” “Già, e il cranio e a pezzi, bisogna aprire” aggiunse Cunetto “Fortunatamente non ci sono rotture tra la duramadre e la membrana aracnoide, almeno non avremo complicazioni dovute a qualche infezione” “Ritiene opportuno somministrargli dei farmaci anticonvulsivi?” “Non ora, non abbiamo tempo, sediamo e basta” Pochi minuti dopo il cranio del macchinista era rasato e un lembo di pelle semicircolare era stato sollevato mettendo a nudo l’osso sottostante che in quel caso era sfondato e in parte sbriciolato. Cunetto provvide a misurare l’ICP, cioè la pressione intra-cranica usando una sottile sonda che inserì fino a raggiungere il livello subaracnoidale, mentre Beretta ne inseriva l’altra estremità ad un computer, che misurò immediatamente la pressione all’interno del cranio creata dal rigonfiamento dei tessuti conseguente il trauma. “ICP alta” diagnosticò Beretta “Provvedo alla ventricolostomia” Sebbene la situazione fosse evidentemente grave i medici parlavano con calma, comportandosi e muovendosi in perfetta armonia, come se avessero passato anni a lavorare insieme. Entrambi traevano sicurezza dall’efficienza dell’altro, oltre che nelle proprie collaudate capacità. Beretta, al massimo della concentrazione, lavorava con gli occhi appoggiati ad un visore, che gli consentiva di avere un immagine ingrandita a piacere della sezione di cranio in cui dovevano intervenire i bracci del medi-robot, che avrebbero provveduto, grazie agli input forniti dal medico, ad asportare i frammenti d’osso registrandone la posizione originaria in modo da poterli ricomporre e risaldare una volta terminato l’intervento. Ad un altro schermo Cunetto seguiva tutta l’operazione tenendo sottocontrollo i parametri vitali del paziente. Finito di togliere i frammenti d’osso, venne rimossa l’emorragia allentando così la pressione sul cervello. Il passaggio successivo fu la riparazione dei vasi sanguigni danneggiati, che venne effettuata con l’immissione nella zona lesionata di nano macchine che presero a rigenerare i tessuti delle pareti dei vasi danneggiati.


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Completata l’operazione, le nano macchine semplicemente si dissolsero in un liquido fosforescente che venne facilmente aspirato attraverso un piccolo tubo di gomma. Quando Cunetto al suo monitor diede l’ok, Beretta procedette all’operazione di ricomposizione del cranio. La parte più semplice, in quanto il computer aveva registrato le coordinate di ogni singolo frammento d’osso e ora procedeva in automatico a ricomporre la calotta cranica, irrorandola di un composto che avrebbe saldato velocemente fra di loro i frammenti ossei. Eseguita la sutura del cuoio capelluto l’operazione fu terminata. Beretta staccò gli occhi dal visore e trasse un sospiro di sollievo. “Ben fatto dottore” si complimentò Cunetto “Grazie ammiraglio, lei è un assistente prezioso se mi consente dirlo” “Glielo consento e la ringrazio del complimento” Beretta si appoggiò al piano su cui era fissato il computer guardandosi intorno, poi parlando senza guardare in faccia Cunetto disse quello che gli era passato per la testa. “Sa, se non fosse stato per il fatto che avremmo dovuto trasportare il cardinale su Marte, non avremmo avuto tutta questa attrezzatura a disposizione” Cunetto lo guardò capendo l’amarezza del collega e preferendo rimanere in silenzio. “Senza lo avrei dovuto operare con il bisturi laser e rimuovere manualmente i frammenti d’osso. Secondo lei che possibilità avrebbe avuto di sopravvivere?” L’ammiraglio distolse lo sguardo e rispose con un silenzio eloquente, in fondo Beretta stava parlando più a se stesso che a lui. “Bè in fondo non è ancora detto che sopravviva” esclamò Beretta sospirando. “Che terapia intende seguire? Osservazione e farmaci anticonvulsivi e antibiotici?” Disse Cunetto cogliendo l’occasione di sviare il discorso dalle amare riflessioni del dottore. “Teniamolo sotto controllo per ora. Quello che temo di più è un possibile allargamento post-traumatico dei ventricoli cerebrali. Comunque procediamo con gli anticonvulsivi, gli antibiotici e anticoagulanti per prevenire dei trombi nella zona danneggiata. Quando avrà ripreso conoscenza valuteremo le terapie da seguire a lungo termine. Fra ventiquattro ore gli faremo una risonanza magnetica e una tomografia a emissione di fotoni, per farci un’idea più chiara del danno”


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“Consiglierei l’uso di barbiturici per tenere sotto controllo la pressione intracranica” “Certo, solo che ne siamo sprovvisti, quindi non ci resta che il mannitolo al 10% in via endovenosa visto che l’emorragia si è arrestata. Del resto non possiamo fare altro, la provvidenza non ha pensato a tutto nonostante il suo rappresentante” disse sorridendo sarcasticamente “Ma comunque grazie a Dio, quello lo abbiamo” “Dirò ad uno dei mie assistenti di provvedere ” “Grazie Ammiraglio” “Oggi solo dottore” replicò Cunetto con lo stesso sorriso allungando una mano che Beretta accettò con una stretta decisa. “Credo che anche lei sia stato un dono della provvidenza, per il nostro paziente” Cunetto si schernì facendo spallucce. “Andiamo a bere qualcosa?” propose Beretta. “Offro io” aggiunse l’ammiraglio *** Nel locale macchine cinque uomini in tuta spaziale, saldamente ancorati con cime di sicurezza aspettavano che l’ambiente venisse depressurizzato. Zanetta e Faga intanto, si trovavano nella camera di equilibrio, in attesa di uscire all’esterno per procedere alle riparazioni dello scafo. Il capo manutentore sudava all’interno della sua tuta, e goccioline di sudore, che sfuggivano alla fascia elastica di spugna che aveva intorno al capo, gli irritavano gli occhi. Nell’interfono sentiva Faga, il suo aiutante di ventidue anni nativo della Versiglia respirare velocemente, rischiando così di consumare troppo in fretta la riserva di ossigeno della tuta. “Calma Adelmo, controlla il respiro” gli disse sforzandosi a sua volta di seguire il proprio consiglio. “Si capo, ma me la sto facendo sotto” “Non ti conviene, ricordati che indossi una tuta spaziale” cercò di scherzare, e Faga sembrò apprezzare il tentativo di stemperare la tensione, sforzandosi di calmare i nervi e tenere sotto controllo la respirazione. “Dieci secondi all’apertura, controllare la tenuta dei ganci di sicurezza” annunciò la voce di Fumagalli nell’interfono. Dalla plancia, il comandante in seconda controllava l’apertura dei portelli.


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Entrambi udirono il sibilo dell’ossigeno che veniva risucchiato dalla camera di equilibrio, bilanciando così la pressione con quella dello spazio esterno, mentre il sistema di gravità artificiale all’interno della camera di equilibro veniva escluso. Si attivarono le scarpe magnetiche ancorandoli alla superficie metallica del pavimento. Solo il grande contenitore in cui era riposta l’attrezzatura necessaria alle riparazioni, che in presenza di gravità sarebbe pesato quasi una tonnellata, prese a fluttuare a mezz’aria. Poi il portellone iniziò ad aprirsi sul vuoto dello spazio. Entrambi si tennero spasmodicamente aggrappati con una mano alla fune di sicurezza, mentre con l’altra afferrarono la cassa degli attrezzi. Nel rettangolo del portellone apparve il nero dello spazio, mentre la lenta rotazione residua della nave faceva sembrare che migliaia di stelle ruotassero loro intorno, creandogli un lieve senso di nausea. Le scarpe magnetiche fecero presa sullo scafo disattivandosi solo quando il tallone si sollevava dal plantare, in modo da consentire il distacco della suola dalla superficie metallica dello scafo, altrimenti impossibile. Iniziarono a procedere verso l’esterno, facendo estremamente attenzione ad alzare il piede solo dopo essere sicuri che l’altro fosse ben ancorato allo scafo. Perdere il contatto con la nave significava rischiare di finire, senza speranza, a vagare per sempre nello spazio. Lentamente, cercando sempre di tenere sotto controllo la respirazione, i due procedettero verso la zona danneggiata. Sfortunatamente questa era parecchio distante dal portello di uscita, e a quell’andatura lenta e difficoltosa impiegarono più di mezz’ora. Lo scafo era vistosamente distorto per l’urto delle parti dei serbatoi sparate alla velocità di un proiettile, tanto che Zanetta rimase stupito che non si fosse squarciato, uccidendo tutti quelli che si trovavano in sala macchine per la repentina decompressione dell’ambiente. Un miracolo. Mentalmente pregò per un altro miracolo: quello di far rientrare sani e salvi lui e il suo assistente. Appoggiarono la cassa e ne magnetizzarono il fondo poi ancorandosi con una doppia cima di sicurezza allo scafo iniziarono il lavoro. All’interno della nave intanto, anche la sala macchine era stata depressurizzata e Bordin iniziò la sua parte di lavoro, mentre Amedeo si era assunto l’incarico di individuare la perdita in uno dei due serbatoi superstiti che, come gli aveva comunicato Fumagalli, era il numero tre. I serbatoi di xeno erano grossi contenitori in acciaio di forma cubica, misuravano circa tre metri per lato, la Goretti ne aveva quattro ed erano tutti


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disposti contro la parete di fondo del locale macchine. Almeno i due rimasti, gli altri sembravano delle scatolette di tonno esplose dall’interno. Una ragnatela di tubi partiva da questi per propagarsi verso i due motori principali e ai vari ugelli dei razzi di manovra posizionati sui sei lati della nave, e che consentivano alla nave di cambiare posizione nello spazio. Lavorare in assenza di gravità, non era una delle operazioni più agevoli, tuttavia permetteva di non sentire su di sé il peso della tuta e di potersi girare a piacimento in ogni posizione utile rispetto al punto su cui si stava lavorando. Amedeo ne approfittò per infilarsi, più o meno agevolmente, in mezzo alle varie tubature che avvolgevano i serbatoi. Non fu un’impresa facile, se era vero che l’assenza di gravità consentiva di non sentire il peso della tuta – che pesava circa quaranta chili – era anche vero che la tuta stessa era assai ingombrante, e per potersi infilare in spazi ristretti non era l’ideale. Comunque dopo varie contorsioni, urti e bestemmie, riuscì ad arrivare a contatto con la superficie del del serbatoio da ispezionare. Le superfici erano lisce, l’intero serbatoio sembrava ricavato da un unico blocco d’acciaio modellato in forma cubica con gli angli arrotondati. Amedeo iniziò a lavorare in modo metodico, creandosi mentalmente una griglia per dividere in settori ogni lato del serbatoio. La perdita era senz’altro piccola, ma la pressione all’interno del serbatoio spingeva fuori una notevole quantità di gas. Azionò il visore termico per individuare la falla e procedette ad ispezionare il primo lato del serbatoio. Finì di controllare il lato frontale senza trovare nulla, una parte della sua mente sentiva il tempo e il carburante scorrere via inesorabilmente, portando la nave verso il punto di non ritorno. Si sforzò di tenere sotto controllo l’ansia e procedette metodicamente ad ispezionare il secondo lato del serbatoio, quello rivolto verso il serbatoio esploso. Si fermò un istante per darsi del cretino, aveva perso un quarto d'ora di preziosissimo tempo e ancora più prezioso carburante per ispezionare un lato, che sicuramente in seguito all’esplosione di un serbatoio adiacente sarebbe stato colpito solo di striscio e quindi quasi sicuramente non danneggiato. Maledisse la sua stupidità per non avere ispezionato prima il lato esposto all’esplosione, e ricominciò da capo, sperando che la perdita fosse nella prima parte di griglia che stava per ispezionare.


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Arrivato a metà ebbe conferma di una delle leggi di Murphy: quando cerchi qualcosa, quello che cerchi è sempre dalla parte opposta a dove hai iniziato a cercare. Si impose nuovamente di tenere sotto controllo l’ansia che continuava a tormentarlo, respirando lentamente ed in modo regolare, quando a vanificare il suoi tentativi intervenne la voce di Fumagalli. “Comandante abbiamo un peggioramento della situazione, la perdita si deve essere allargata, la quantità di xeno nel serbatoio tre sta calando più in fretta” “Quanto ci resta?” “Ora ci restano due ore e sei minuti. Dopo non avremo più carburante sufficiente né per manovrare né per avere un minimo di spinta” “Grazie tenente, continui a tenere d’occhio quelle cifre. Risposte da Ares?” “Sì signore, è stata allertata una nave cisterna pronta ad intercettarci per effettuare un rifornimento in volo a distanza utile per la manovra di arresto” “Grazie tenente, chiudo” Ricominciò la sua ispezione. La perdita doveva essere per forza su quel lato, e se si era ingrandita allora poteva ampliare le zone della sua griglia per di procedere più in fretta, ma arrivato all’ultima sezione da ispezionare, preparandosi a confermare e sottoscrivere la legge sopraccitata, non trovò nulla. Era sicuro di non aver tralasciato nemmeno un centimetro quadrato della superficie di quel lato, e il lato opposto era fisicamente impossibile che fosse stato danneggiato, la base del serbatoio era saldamente ancorata ad un ripiano di acciaio, mentre il lato posteriore era appoggiato alla paratia del locale macchine. Allora dove cazzo era quella maledetta perdita? Un dubbio atroce. Si avvicinò al lato posteriore del serbatoio e si accorse che tra questo e la paratia c’erano almeno dieci centimetri spazio vuoto. La forza dell’esplosione aveva spostato il serbatoio dal suo appoggio, danneggiando così uno dei giunti dei condotti del carburante. La legge di Murphy nella sua massima espressione: quello che cerchi è sempre e comunque nel posto peggiore da raggiungere, soprattutto se hai poco tempo per farlo. Ecco perché la perdita non si vedeva: si stava propagando sotto la base del serbatoio e filtrava attraverso le griglie sottostanti disperdendosi nell’ambiente.


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Amedeo si guardò introno, cercando disperatamente di pensare velocemente. Vide Bordin che insieme a Contini che lavoravano freneticamente attorno al motore danneggiato. “Tenente quanto ci resta” chiese a Fumagalli in plancia. “Un’ora e trentasette minuti” “Bordin!” chiamò “Si siòr” rispose il direttore di macchina senza nemmeno alzare la testa dal motore. “Venga qui” Bordin prima di muoversi terminò l’operazione che stava effettuando, poi dandosi una spinta con i piedi, si diresse fluttuando verso Amedeo che lo afferrò al volo facendolo atterrare vicino a lui. “Mi dica, siòr” “Non sono riuscito a trovare la perdita Bordin. Il serbatoio in sé non è danneggiato, ma se guarda contro la paratia vedrà che l’esplosione lo ha spostato” Bordin si spostò per guardare il lato posteriore del cubo d’acciaio. Rimase un attimo in silenzio, poi Amedeo sentì nell’interfono un’imprecazione sibilata tra i denti. “Io credo che lo spostamento abbia incrinato un giunto del connettore del carburante. E’ d’accordo?” disse Amedeo, sperando che il suo direttore di macchina lo contraddicesse. “E’ sicuro che la perdita non sia sulla superficie?” “Sicurissimo” Bordin rifletté qualche istante, poi lapidario: “Allora non c’è altra spiegazione” “Che ne pensa, Bordin?” “Penso che siamo nella merda, siòr. Di sicuro non si può riparare perché dovremmo spostare l’intero serbatoio, e anche in assenza di gravità impiegheremmo delle ore, per non parlare del fatto che dovremmo disconnettere tutte le tubazioni” “Non c’è modo di trasferire il carburante residuo di questo serbatoio nell’altro?” “No, non c’è nessuna procedura prevista per questo” Le parole di Bordin suonavano come una condanna, con il solo carburante del serbatoio quattro non avrebbero potuto combinare nulla; serviva anche quello residuo del tre per avere qualche speranza. Amedeo imprecò, maledicendo Murphy.


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“Aspetti” esclamò Bordin riaccendendo nel cuore di Amedeo un barlume di speranza. Sapeva che se qualcosa si poteva fare, il suo direttore di macchina l’avrebbe escogitata. Bordin si diresse verso uno dei fanti di marina che stavano facendo il lavoro di assistenza all’interno della sala macchine, portando attrezzi e rimuovendo parti pesanti per consentire a lui e Contini di lavorare più speditamente. Nella cuffia del suo casco Amedeo sentì Bordin parlare con il fante che si chiamava Giovanni Pigazzani, un robusto ragazzo fiorentino. “Giovanni” disse Bordin “Mi avevi detto che prima di arruolarti lavoravi con tuo zio che faceva l’idraulico, è vero?” “Si” rispose il fante. “Allora ho un lavoro per te, muoviti e vieni con me” Bordin fluttuò nuovamente verso Amedeo, con Pigazzani che lo seguiva dappresso. “Giovanni qui…” disse rivolgendosi ad Amedeo ed indicando il fante “…faceva l’idraulico con suo zio, ora gli farò vedere su quali tubi dovrà lavorare e faremo una deviazione. Insomma un bypass. Salderemo un’estremità di un tubo flessibile sul connettore che porta il gas dal serbatoio tre ai motori e l’altra sul raccordo di rifornimento del serbatoio quattro” Spiegò Bordin indicando a Pigazzani punti in cui avrebbe dovuto effettuare le saldature necessarie per il bypass “Poi pomperemo il gas residuo nel serbatoio sano. Praticamente un lavoro di idraulica che il nostro Giovanni, qui è perfettamente in grado di fare. Vero Giovanni?” “Direi di si, lo facevo spesso con mio zio, anche se quelli su cui lavoravo erano tubi dell’acqua e non di carburante” “E’ lo stesso, chiudi la valvola a monte della saldatura...” tagliò corto Bordin “e inizia a darti da fare” lo esortò indicandogli dove poteva trovare il tubo flessibile e l’attrezzatura per saldare. “E fatti aiutare dal tuo collega” gli urlò dietro, sebbene urlare non fosse necessario per via delle radio incorporate nei caschi. Pigazzani comunque alzò una mano in segno di ricevuto continuando a volare verso il deposito degli attrezzi. “Quanto ci vorrà?” chiese Amedeo “Se è un bravo idraulico non più di un’ora” “Cazzo, proprio al pelo” imprecò Amedeo, ma rivolto alla schiena del suo direttore, poiché questo si era già precipitato a terminare le operazioni di riparazione sul motore danneggiato. “Già” gli rispose comunque la voce di Bordin attraverso le cuffie del casco. Forse ce l’avrebbero fatta. Forse.


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“Zanetta come procediamo lì fuori?” chiese al responsabile delle manutenzioni “Abbiamo sistemato la parte più danneggiata, ma la zona compromessa dall’esplosione è più ampia di quanto immaginassi signore. Mezz’ora” “Bene sergente, ma dovete accelerare i tempi abbiamo solo un’ora, poi dovremmo effettuare il cambio di rotta. Considerate il tempo necessario a rientrare” “Faremo il possibile comandante” “Non chiedo altro sergente” Si forse ce l’avrebbero fatta. Intanto Pigazzani si era messo la lavoro sul collettore del carburante aiutato da Curuddu, l’altro fante di marina. Il saldatore illuminava la zona intorno al serbatoio di una luce bianca e intensa che disegnava ombre tremolanti sulle pareti e sul soffitto della sala macchine. Una luce di speranza, pensò Amedeo, stupendosi di quel pensiero irrazionale. Tutto pareva procedere bene, con un po’ di fortuna se la sarebbero cavata. I fanti di marina erano impegnati a mettere a punto il raccordo, quindi restava vacante il lavoro di facchinaggio. Senza esitare chiese a Bordin cosa poteva fare, e ricevute le istruzioni si mise a fluttuare avanti e indietro nel locale, portando attrezzature o assicurando il materiale di vario genere che fluttuava libero nella sala macchine dopo la disattivazione della gravità artificiale, e che al momento della sua riattivazione avrebbe potuto creare danni ricadendo in modo incontrollato sulle apparecchiature elettroniche. All’esterno, intanto, Zanetta e Faga continuavano a lavorare il più velocemente possibile, ostacolati dalle doppie cime di sicurezza, una che partiva dal portello della camera di equilibrio, e una aggiuntiva che avevano fissato allo scafo. Vicino al punto dell’esplosione lo scafo era deformato, e le giunture in alcuni punti si erano indebolite, quindi i due procedevano saldando dei rivetti di acciaio nei punti in cui erano visibili i danni maggiori. Lavoravano senza parlare, uno posando i rivetti che venivano fissati allo scafo con piccoli arpioni d’acciaio sparati con una pistola a gas, l’altro saldandoli allo scafo lungo il loro perimetro. Un’operazione che andava eseguita rivetto per rivetto, su tutta la superficie danneggiata, che Zanetta aveva valutato in circa un centinaio di metri quadrati.


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Un lavoro lungo, visto che i rivetti che avevano a disposizione misuravano mezzo metro per lato. Ai due manutentori sarebbero poi serviti circa quaranta minuti per tornare al portello di accesso, e i trenta muniti che gli aveva concesso il comandante stavano passando rapidamente. Avevano iniziato dalla parte centrale della zona danneggiata procedendo poi a spirale verso l’esterno. In quel momento si trovavano a circa cinque, sei metri di distanza dal centro della spirale e i trenta minuti erano scaduti. Restava una buona parte dell’area a rischio ancora scoperta, ma non potevano farci nulla, il tempo era contro di loro. Zanetta perse qualche minuto ad ispezionare la zona ancora da finire per valutare se c’era qualche punto critico. Perse poi altro tempo a fissare alcuni rivetti in punti particolarmente sospetti, fissandoli e saldandoli il più velocemente possibile, ma quando ebbe terminato il tempo a loro disposizione era già scaduto da un quarto d’ora. Non potevano fare altro, a meno di non restare fuori dallo scafo al momento della manovra di virata, il che significava letteralmente suicidarsi. No grazie. “Adelmo raccogli tutto e andiamocene da qui” Faga aveva continuato a lavorare fissando rivetti e saldandoli senza sosta, per cercare di allargare il più possibile quella specie di pezza metallica, mentre il suo superiore faceva la sua ispezione e riparava le parti strettamente necessarie. Non se lo fece riparte due volte, spense il saldatore e lo ficcò nella cassa insieme alla pistola pneumatica, mentre Zanetta gettava nello spazio quello che non era strettamente utile. Non c’era tempo per essere ordinati. Chiusero la cassa assicurandone la chiusura tramite ganci a combinazione, poi Zanetta disattivò la magnetizzazione del fondo rendendola nuovamente priva di peso. Entrambi sganciarono le cime di sicurezza supplementari, e cercando di usare tutta la cautela possibile, consentita dalla fretta, si incamminarono verso la camera di equilibrio. La cima di sicurezza si riavvolgeva man mano che si avvicinavano al portellone e la cassa tra di loro ondeggiava senza peso, l’avrebbero posata su di un trans-pallet a levitazione magnetica non appena giunti a destinazione. Procedevano più spediti che all’andata prendendosi qualche rischio, lo scafo della Goretti non era perfettamente liscio, ma presentava varie irregolarità,


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dovute ad antenne, sensori e sporgenze posizionate un po’ ovunque lungo la superficie dello scafo e alle quali potevano aggrapparsi. Fondamentalmente la Goretti era composta da un grosso parallelepipedo lungo settanta metri, largo trenta e alto altrettanto. Ad una estremità era attaccata la struttura che ospitava il ponte comando, i quartieri dell’equipaggio, l’infermeria, eccetera, il parallelepipedo era la grossa stiva della nave attraversata dai due corridoi sospesi perpendicolari tra loro, e all’estremità poppiera della stiva, c’era la sala macchine. Una struttura a forma di piramide tronca con il lato piccolo rivolto verso la stiva, e collegata ad essa da robuste travi in titanio intrecciate tra loro, in mezzo alle quali passava un corridoio che la metteva in comunicazione con quello sospeso della stiva, ancora oltre il locale macchine c’erano gli ugelli dei motori ionici. Il portellone della camera d'equilibrio si trovava nella parte superiore della parete di babordo della stiva. Cento metri, compresa la lunghezza del corridoio esterno tra la stiva e la sala macchine, da percorrere in venti minuti prima di potersi mettere al sicuro all’interno della nave. Percorsero il lato della sala macchine, poi camminarono lungo i dieci metri del corridoio esterno fino all'angolo formato con la parte posteriore della stiva, infine gli altri dodici metri che li separavano dalla parete di babordo della stiva. Un altro cambio di prospettiva ad angolo retto, e poterono vedere le cime di sicurezza partire dalla loro vita e allungarsi obliquamente verso il portello della camera di equilibrio, circondato per tutto il suo perimetro di luci intermittenti gialle. Zanetta non voleva pensare che stava camminando sulla superficie di un oggetto sospeso nel vuoto e lanciato ad una velocità di un milione e duecentomila chilometri orari, quindi si concentrò sui propri passi: appoggio del piede destro, distacco del tallone del piede sinistro per disattivare la magnetizzazione, alzata e appoggio, e così via passo dopo passo. Ogni passo copriva circa mezzo metro quindi centoquaranta passi per arrivare, anzi di più visto che procedevano obliquamente lungo la parete, quanti sarebbero stati in più? Calcolò una trentina, allora centosettanta passi. Contò i secondi spesi per ogni movimento: tre, quindi circa un metro ogni sei secondi, dieci metri al minuto tenendo conto dell’inclinazione del loro percorso calcolò più o meno dieci minuti, ne rimanevano circa cinque di margine.


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Sentiva nelle cuffie della tuta Faga che ansimava per lo sforzo, camminare con le tute non era mai agevole, farlo cercando di fare in fretta era veramente faticoso. “Calma Adelmo abbiamo margine” “Sì signore” ansimò il giovane marinaio. Zanetta teneva la cassa con la mano destra e ad un certo punto sentì che Faga gliela strattonava, forse aveva rallentato troppo il passo, avevano margine d’accordo, ma non tanto da prendersela comoda, anche se, in verità, l’andatura non gli sembrava diminuita. Guardò Faga e lo vide guardarlo perplesso a sua volta. Forse un gesto involontario della mano… Un altro passo, un altro mezzo metro compiuto. Poi senti un altro strattone. “Adelmo smettila di strattonare la cassa” Faga girò il volto verso il sergente, e le luci interne del casco gli illuminavano la parte visibile del viso, sul quale, Zanetta vide la stessa perplessità di prima nello sguardo del giovane. “Veramente sergente, pensavo fosse lei a strattonare la cassa” “Io? Ma cosa…” rimase un attimo perplesso. Aveva quindici anni di esperienza nello spazio alle spalle, e improvvisamente sbiancò dentro il casco, mentre sentì un brivido di terrore gli percorse la schiena. “Appoggia la cassa!” disse concitatamente a Faga. Una volta appoggiata e assicurata si chinò ad esaminarne il lato rivolto verso la direzione che stavano seguendo. Il suo timore trovò conferma: c’erano due piccoli fori, grossi come una moneta nel fianco della cassa. Micrometeoriti! pensò terrorizzato. *** Amedeo aiutò Bordin a fissare nella sua sede l’ultimo pannello del motore, mentre Contini, con un avvitatore ne fissava i bulloni. Il sudore gli colava dalla fronte inzuppandogli la fascia di spugna che aveva intorno al capo, aveva caldo e tutti i muscoli indolenziti dallo sforzo di lavorare all’interno della tuta. “Finito” disse finalmente Bordin. Amedeo guardò il timer che aveva fissato sulla manica destra della tuta. Segnava -16:31:02, sorrise. “Ottimo lavoro Bordin. Addirittura in anticipo”


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“Grazie comandante, ma non sono molto sicuro dell’anodo, l’esplosione lo ha parzialmente danneggiato e il surriscaldamento potrebbe farlo degenerare rapidamente” “Bè” sospiro Amedeo “ Di più non possiamo fare. In quel momento la voce di Pigazzani si fece sentire nelle cuffie “Raccordo effettuato. Cominciamo il trasferimento del carburante” “Quanto ci vorrà?” chiese Amedeo “Un paio di minuti, signore” “Ottimo!” esclamò, e poi “Fumagalli ripristini pressione e gravità all’interno del locale macchine, grazie. Fra un paio di minuti si tenga pronto per la correzione di rotta” “Bene comandante, ma Zanetta non è ancora rientrato” c’era una leggera nota di preoccupazione nella voce del comandante in seconda. “Come mai?” “Non lo so signore” “Zanetta! Dove diavolo è?” La voce di Amedeo era una via di mezzo tra l’irritazione e la preoccupazione. *** Zanetta alzò lo sguardo verso Faga, le luci del casco gli illuminavano il viso e il suo aiutante poté vedere lo sgomento dipingersi sul suo volto. “Sergente…” riuscì a dire “Adelmo” disse nell’interfono cercando di restare calmo “Togliamoci di qui! Chinati, per l’amor di Dio!” “Che succede sergente?” “Micrometeoriti! Lascia perdere la cassa, dobbiamo metterci al riparo” In quel momento nelle cuffie arrivò la voce di Amedeo. “Zanetta! Dove diavolo è?” “Signore… Micrometeoriti… ci stiamo… mettendo al riparo. Torniamo verso poppa” ansimò mentre cercava di muoversi tenendosi il più basso possibile. Amedeo sentì distintamente, sia la paura – non il panico – nella voce del suo capo manutentore, sia l’affanno dovuto allo sforzo di muoversi velocemente sulla fiancata della nave. Fortunatamente avevano compiuto solo pochi passi oltre l’angolo, ed entrambi riuscirono a mettersi al coperto dal quelle micidiali traiettorie. “Zanetta! Zanetta! Mi sente? State bene? Risponda!”


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Silenzio, solo il pesante ansimare per qualche istante, poi la risposta concitata e affannata come di uno che avesse trattenuto il respiro per due minuti. “Siamo…al… riparo…Stiamo bene…” “D’accordo Zanetta rimanga dov’è” Intanto nella sala macchine era tornata la gravità, e gli ugelli posti nel soffitto iniziarono a inondare il locale di ossigeno. Amedeo non aspettò, si diresse il più velocemente possibile consentitogli dai quaranta chili della tuta spaziale che ora gli gravavano addosso, verso l’uscita. Prima di togliersi il casco si rivolse a Bordin. “Si tenga pronto per la manovra da subito Bordin, appena Zanetta sarà al sicuro manovriamo. Ha capito?” “Si siòr” Finalmente dopo un paio di minuti che gli parvero un’intera era geologica, la pressione si pareggiò con quella del resto della nave consentendogli di uscire. Si tolse il casco e iniziò ad aprire le chiusure della tuta non appena giunto di fronte al portello stagno della sala macchine, dove la lasciò una volta sfilata. Corse poi verso la plancia dove aveva già avvertito Fumagalli della situazione e richiedendogli una scannerizzazione a corto raggio per valutare l’estensione della fascia di micrometeoriti, ordinando anche di rafforzare immediatamente i deflettori di navigazione. Riattraversò di corsa tutta la lunghezza della nave, ed entrò in plancia con un fiatone che non aveva nulla da invidiare a quello di Zanetta. Senza dire una parola – non aveva sufficiente fiato per farlo – si mise alle spalle di Fumagalli seduto ad una postazione del centro operativo, dove un’immagine tridimensionale dello spazio circostante mostrava visivamente ciò che i sensori stavano rilevando. “E’ uno sciame piuttosto ampio signore” “Quanto tempo ci vorrà per attraversalo?” ansimò Amedeo lanciando un’occhiata alle cifre luminose che scandivano il tempo rimasto a disposizione della Goretti: -00:06:11. “Quattro minuti, signore. Facciamo muovere Zanetta con la protezione degli scudi?” “Negativo tenente, il deflettore non ha uno spessore sufficiente per coprire l’altezza di un uomo, dovrebbe saperlo” disse usando tutto il fiato che era riuscito a racimolare. “Io intendevo di dirgli di strisciare sul fianco della nave al di sotto della copertura del campo di gravitoni. Signore” rispose Fumagalli risentito per


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quella piccola sottolineatura. “Devono muoversi o non avranno il tempo di rientrare. Amedeo esitò un attimo, poi premendo il pulsante di comunicazione si mise in contatto con Zanetta. “Sergente, mi ascolti. Non abbiamo tempo per tenervi lì fino a che non usciamo dallo sciame di micrometeoriti, quindi dovete avanzare strisciando al di sotto del campo deflettore” Un attimo di esitazione, mentre i secondi scorrevano inesorabili, poi la voce di Zanetta. “Non avremo la possibilità di tenerci ancorati allo scafo con le scarpe, questo lo sa vero comandante?” “Si lo so, ma vi ordino di muovervi ugualmente” replicò Amedeo senza esitare e con voce ferma, sebbene dentro di sé si sentisse devastato dalla portata di quella decisione. Un lungo momento di silenzio che parve infinito, poi la voce del capo manutentore: “D’accordo ci stiamo muovendo” “Bene attraversare lo sciame richiederà non più di quattro minuti, appena cessato il pericolo potrete procedere normalmente, ma fate in fretta!” Alle sue spalle era apparso Beretta. Amedeo lo guardò, sperando assurdamente che gli dicesse che aveva preso la decisione giusta, ma ovviamente, l’ufficiale medico si limitò a rimanere in silenzio. “Comandante non ce la faranno a percorrere i settanta metri che li separano dalla camera di equilibrio in poco più di cinque minuti” “Lo so tenente. Ma possiamo farli entrare dal portello di carico, si trova a metà dello scafo, questo dimezza la distanza da percorrere” Poi premette di nuovo il pulsante di comunicazione, stavolta rivolgendosi alla stiva. “Stiva da plancia” “Qui stiva dottò” rispose immediatamente Esposito. “Esposito deve aprire il portellone di carico, faccia uscire tutti e si chiuda all’interno del suo ufficio, da lì aprirà il portellone quando glielo ordinerò” “Come?” “Faccia come le ho detto Pasquale!” “Sì signore!” Poi di nuovo a Zanetta “Sergente, mi sente?” “Sì signore” la voce affannata e distorta dalla paura.


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“Apriremo il portellone di carico della stiva, entrerete da lì, una volta all’interno vi libererete della cime di sicurezza, non ci potrà essere nessuno a prendervi quindi dovrete fare tutto da soli. Ha capito?” “D’accordo comandante” ora c'era più rassegnazione che paura nella voce di Zanetta. “Mi spiace Biagio, ma non ci sono alternative” Come tutta risposta Amedeo ebbe solo il suono del respiro affannoso del sergente. “Io raggiungo la stiva potrebbe esserci bisogno di me” disse Beretta allontanandosi senza attendere la conferma di Amedeo, che comunque non avrebbe esitato a concederla. “Aspetti che la stiva sia nuovamente pressurizzata prima di entrare!” gli urlò dietro. Zanetta e Faga procedevano lentamente, cioè il più velocemente possibile, con una mano si tenevano spasmodicamente alla cima di sicurezza, mentre con l’altra si davano piccole spinte in avanti, oppure la usavano per aggrapparsi a qualche protuberanza quando si accorgevano di sollevarsi troppo dallo scafo. Zanetta era terrorizzato, Faga era invece pericolosamente vicino al panico, lo sentiva gemere all’interno del proprio casco, ma non osava girare la testa per guardarlo per paura di fare un movimento troppo brusco e finire oltre la protezione dello scudo. Non osava nemmeno parlare. Ora non lo preoccupava morire soffocato nel suo scafandro abbandonato nel vuoto, perché se avesse oltrepassato lo scudo del campo deflettore, sarebbe stato crivellato dallo sciame di micrometeoriti. Bè meglio, nel caso andasse tutto in vacca sarebbe perlomeno stata una morte rapida. All’improvviso udì un grido. Istintivamente si girò verso Faga vedendolo sollevarsi dallo scafo, mentre le sue mani si muovevano affannosamente in cerca di una presa. Il ragazzo continuava a urlare, e mentre le braccia mulinavano nel vuoto in cerca di un appiglio che non poteva raggiungere, il suo corpo si allontanava sempre più dalla nave. Ancora pochi centimetri e sarebbe uscito dalla protezione dello campo deflettore. Nonostante la paura Zanetta allungò una mano, cercando disperatamente con l’altra qualche irregolarità dello scafo a cui appigliarsi.


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“Afferra la mia mano!” urlò, ma Faga era in preda al panico e continuava freneticamente a mulinare le braccia allontanandosi sempre di più, finché lo zaino con l’attrezzatura di sopravvivenza della tuta oltrepassò la protezione. Zanetta vide serie di piccoli fori comparire immediatamente nel contenitore di ossigeno e una nuvoletta uscire dalla parte danneggiata. L’ossigeno sotto pressione, uscendo, iniziò a spostare ulteriormente il corpo di Faga, ma fortunatamente l’angolazione con cui era stato colpito lo spinse un po’ indietro e soprattutto verso il basso. Il sergente colse l’occasione al volo; cercò di valutare rapidamente i movimenti convulsi delle braccia del suo aiutante, e quando uno di essi si trovò a portata, fece scattare il suo braccio destro afferrando il ragazzo per un polso e tirandolo verso il basso. Fortunatamente con la mano sinistra aveva trovato un appiglio in una piccola antenna che sporgeva dallo scafo. Faga continuava ad urlare, peggiorando così il consumo di ossigeno, la cui quantità si era già di parecchio ridotta dopo le operazioni di riparazione. “Smettila Adelmo! Risparmia l’ossigeno, sei al sicuro, ti tengo!” continuava a ripetergli, ma il giovane era ormai completamente in preda al panico e fuori controllo. Zanetta continuava a tenersi alla nave con la mano sinistra e con la destra serrava in una morsa ferrea il polso di Faga. “Comandante” chiamò “Qui il comandante, che succede?” “Faga ha il contenitore d’ossigeno danneggiato, è in preda al panico e incapace di muoversi” “Zanetta lo deve portare dentro immediatamente o non ce la faremo a cambiare rotta, mi ha capito?” rispose Amedeo che aveva avvertito nel tono del capo manutentore l’insorgere dei primi segnali di panico. “E’ un ordine” aggiunse in secco, sperando che la disciplina facesse breccia nella nebbia di paura. “Sissignore” Si costrinse a prendere due respiri profondi per calmarsi, poi diede fondo a tutto il suo coraggio e lasciò la presa con la mano sinistra per darsi una piccola spinta verso il portellone di carico che si stava aprendo. Tutto l’ossigeno della stiva venne espulso dal cambiamento di pressione in una enorme nuvola bianca che immediatamente si disperse nello spazio facendo avvertire a tutto l'equipaggio il nuovo spostamento laterale della nave.


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Il computer di rotta di Fumagalli ricalcolò in tempo reale la nuova correzione di rotta necessaria. Il conto alla rovescia saltò un trentina di secondi, rosicando ancora di più il poco tempo che avevano a disposizione. Il tenente aggiornò Amedeo che si limitò a ricevere la notizia con un grugnito, non c’era nulla che si potesse fare in proposito. Aprire il portellone era stata una scelta consapevole e necessaria, così come l’accettazione delle conseguenze. Semplicemente non c’era il tempo di pareggiare la stiva né di indossare una tuta per poter andare ad afferrare i suoi due uomini appena ne avessero raggiunto l'entrata. A Zanetta intanto, mancavano ancora una ventina di metri e le urla di Faga erano cessate sostituite da un pietoso rantolare per la mancanza di ossigeno. Si rese conto che se non avessero iniziato a camminare per aumentare la velocità il ragazzo non ne sarebbe uscito vivo. “Comandante quanto manca per uscire dallo sciame” chiese Amedeo guardò il suo secondo, il quale scosse la testa. “Siamo nella coda dello sciame, ma mancano ancora trenta secondi” gli sussurrò Fumagalli. Imprecò sottovoce prima di rispondere serrando i pugni per la rabbia impotente. “Ancora trenta secondi” “Adelmo non ce la farà ad aspettare così tanto” sentiva ormai il giovane boccheggiare per la carenza di ossigeno, di lì a poco avrebbe iniziato a contorcersi in cerca d’aria. Il tempo era scaduto. Così afferrò più saldamente che poteva il corpo del suo assistente e si alzò in piedi, premendo le suole magnetiche sullo scafo. Iniziò a camminare a passi regolari, il più velocemente possibile. Si concentrò esclusivamente sui propri passi, appoggiare, alzare, appoggiare, alzare, uno per volta, mezzo metro ogni passo, venti metri quaranta passi. Faga aveva iniziato a contorcersi, non lo voleva guardare, non voleva guardare nemmeno quanto mancasse al portellone, stringeva i denti e contava. Quando arrivò a ventinove il ragazzo aveva smesso di muoversi accasciandosi, senza peso contro di lui, a trentacinque vide sotto di sé il portellone aperto. Si sentiva lucido e stranamente calmo, afferrò con entrambe le mani Faga e lo lanciò all’interno della stiva, poi lo seguì. Appena dentro cercò un appoggio sicuro, poi liberò entrambi dalle cime di sicurezza e le scaraventò fuori.


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Esposito aveva seguito tutta la vicenda rimanendo in ascolto all’interfono, fino a quando non aveva visto i due entrare dal portellone. Appena le cime uscirono dalla stiva premette il pulsante di chiusura calandoci sopra la mano a palmo aperto, e contemporaneamente urlava alla plancia di inondare nuovamente di ossigeno la stiva. Dalla plancia Amedeo e Fumagalli aspettavano spasmodicamente che la luce della spia del portellone di carico passasse dal rosso, portellone aperto, al verde della avvenuta chiusura. A lato avevano il monitor che riportava il quantitativo di carburante rimasto e il conteggio alla rovescia del tempo limite in cui effettuare l’accensione dei motori. - 00.00.35 Oltre la porta della stiva Beretta aspettava un’altra luce verde, quella che gli avrebbe consentito di precipitarsi all’interno dopo la pressurizzazione del locale. Cunetto lo aveva raggiunto, anche lui con una borsa per il pronto intervento. “I miei assistenti stanno attrezzando l’infermeria per il trattamento dei casi di ipossia” disse quasi sottovoce. Beretta si limitò ad annuire, senza distogliere lo sguardo dall’indicatore di pressurizzazione ancora dannatamente rosso. Tutti aspettavano col cuore in gola, in plancia non volava una mosca, mentre nel locale macchine Bordin aveva il dito sospeso a mezz’aria sopra il pulsante dell’accensione motori. I secondi venivano scanditi con assurda velocità, mentre il tempo sembrava fermo. Ora il display segnava 00.00.09 Ancora luce rossa. Amedeo iniziò senza accorgersene a trattenere il fiato, gli ultimi secondi scorrevano, arrivò lo zero e passò trasformando le cifre da verdi a rosse. Fumagalli sotto di lui imprecò fra i denti. Ora il tempo pareva scorrere velocissimo, quando il display segnò più dieci secondi Fumagalli non riuscì a trattenersi. “Signore dobbiamo accendere, ora!” urlò guardando Amedeo. Amedeo rimase in silenzio un altro paio di secondi sentiva tutti gli sguardi degli uomini in plancia puntati su di lui. Poi con voce calma. “Non lascerò fuori due dei miei uomini, accenderemo quando il portellone sarà chiuso” il tono era pacato come di uno che avesse tutto sotto controllo, ma dentro di sé si sentiva esplodere.


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A più quindici secondi la luce diventò finalmente verde, mentre nell’interfono la voce di Esposito urlava che erano dentro in sicurezza col portellone chiuso. Non lo lasciarono nemmeno finire. “Bordin! Ora!” urlò Amedeo tralasciando la procedura per comunicare tra i vari locali della nave “Ora!” Bordin abbassò il dito toccando con tale forza lo schermo da spostarlo dalla sua sede. Per un attimo fu quasi certo che il motore appena riparato non partisse, ma un’occhiata in quella direzione lo rassicurò. Una tranquillizzante luce azzurra prodotta dalla ionizzazione dello xeno gli disse che erano partiti e che le operazioni di virata erano in corso. Una ventina di razzi si accesero annullando la rotazione residua e spostando la Goretti dalla sua rotta attuale, cercando di direzionarla nuovamente verso Marte. Il verde scattò anche davanti al portellone della stiva e sia Beretta che Cunetto si precipitarono dentro. Corsero velocissimi a dispetto della loro età e del peso delle attrezzature che si portavano appresso, raggiungendo in pochi secondi Zanetta che con mani tremanti cercava freneticamente di togliere il casco a Faga. I due dottori afferrata la situazione al volo, allontanarono senza tante cerimonie il sergente e con mani esperte e non intralciate dai guanti rimossero il casco. Non cera respirazione e Beretta procedette ad effettuare la respirazione artificiale. “Non c’è polso” disse Cunetto dopo aver sfilato il guanto della tuta a Faga. Dopo qualche secondo in cui non ottenne alcun risultato con gesti veloci e precisi procedette ad intubarlo. “Defibrillatore” disse Beretta mentre, preparava la grossa siringa di adrenalina da iniettare direttamente nel cuore. Zanetta era seduto a terra sfinito e completamente provato dall’esperienza vissuta. Fissava con occhio spento i movimenti dei due dottori, capiva dai gesti veloci ed efficienti che la situazione era grave. Aveva trascinato Adelmo fino all’interno della nave sforzandosi di non pensare a quello che gli stava succedendo, cercando di non considerarlo altro che un fardello, lo aveva sostenuto finché il ripristino della gravità non glielo aveva fatto crollare addosso. Solo in quel momento riprese a considerarlo una persona e non semplicemente un peso da trasportare, allora lo aveva girato supino e aveva cercato, Dio quanto aveva provato, a sganciare quelle maledette chiusure


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che bloccavano il casco di Faga, ma gli pareva che le mani non obbedissero più al suo cervello. Lui che era abituato a lavorare con le mani, riparando qualunque cosa ci fosse su quella nave, con quelle dita che erano sempre agili e veloci come il vento, ora lo avevano tradito nella più banale delle operazioni. Sentiva che Adelmo stava morendo e che era colpa sua perché non riusciva a togliergli il casco, poi improvvisamente, era stato spinto via da mani rudi. Ed ora c’erano i dottori, addirittura il comandante in capo del servizio sanitario della marina, a prendersi cura di quel ragazzo. Mormorò una preghiera a Dio perché Adelmo se la cavasse. Sospirò, cercando di riprendere il controllo di sé. Cercò di togliersi il casco, ma le sue mani erano ancora in preda ad un tremore incontrollabile, la presa sulle cerniere continuava a sfuggirgli e improvvisamente si sentì pervadere da un profondo senso di frustrazione. Continuò comunque ostinatamente ad armeggiare invano con gli agganci che tenevano il casco fissato alla tuta. Sentì le lacrime della frustrazione bagnarli le guance, quando una figura indistinta si piegò su di lui allontanandogli gentilmente le mani che ancora tremavano posandogliele in grembo. Sentì il casco che gli veniva tolto, e alzando lo sguardo vide Esposito che lo appoggiava a terra. Vide anche che il piccolo napoletano gli stava parlando, ma non riusciva a cogliere le parole. Si sentiva come all’interno di una bolla piena d’acqua che attutiva tutti i suoni intorno a lui. Poi Esposito si chinò e gli infilò un braccio intorno alla vita aiutandolo ad alzarsi. Solo quando fu in piedi e vide Cunetto con l’attrezzatura per la defibrillazione che il mondo gli piombò addosso come un pugno allo stomaco. “No” disse cercando di divincolarsi dalla stretta di Esposito, ma il napoletano non cedette e lo costrinse a girarsi. “Vieni Biagio, vedrai che se la caverà. Quei due hanno già resuscitato Rimetti. Vedrai, Adelmo se la caverà alla grande” ma Zanetta opponeva resistenza voleva vedere; voleva sapere se avevano vinto i suoi sforzi o la sua inettitudine. Doveva sapere se il suo assistente se la sarebbe cavata, ma la presa di quel piccolo napoletano era sorprendentemente forte. “Vieni via Biagio” continuava a ripetere con tono gentile Esposito cercando di allontanarlo “Qui non servi a niente ora, quei due sanno il fatto loro, non ti preoccupare” e forse il tono pacato o la consapevolezza di essere al sicuro, all’improvviso si sentì stanchissimo e si lasciò condurre da Esposito fuori dalla stiva, camminando pesantemente ancora all'interno della tuta spaziale.


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In plancia Amedeo e Fumagalli osservavano lo schermo tridimensionale sul tavolo da carteggio. Il puntino bianco, che rappresentava la Goretti, prese a muoversi sulla sottile linea verde che indicava la rotta esatta verso la stazione Ares in orbita intorno a Marte. Entrambi trattenevano il fiato, i quindici secondi di ritardo nell’accensione potevano aver portato ad un errore di rotta che avrebbe potuto avere effetti disastrosi, soprattutto perché ora la Goretti era completamente priva di carburante, anche per poter effettuare la minima correzione. Il puntino bianco iniziò a muoversi lungo la linea verde, ma entrambi non osarono ancora sperare di avercela fatta, a malapena si arrischiavano a respirare. Il movimento era stato minimo, seppure, a quanto pareva nella direzione giusta. Le cifre indicavano che la Goretti per ora, era sul corridoio esatto per la propria destinazione, ma quei quindici secondi gravavano ancora come una spada di Damocle sulla nave, troppi per poter sperare che non ci fossero deviazioni e troppo pochi perché tale deviazione risultasse evidente subito. “Ingrandisca tenente” ordinò Amedeo parlando sottovoce, quasi che un rumore troppo forte potesse spostare l’indicatore della nave dal tracciato indicato sullo schermo olografico. Fumagalli agì sulla tastiera e la zona del sistema solare rappresentato sullo schermo si ingrandì, tagliando fuori Marte ed ampliando quella porzione di spazio dove si trovava la Goretti. Si ingrandì anche la linea verde, non più sottilissima, ma ben marcata sullo schermo e la Goretti da puntino luminoso prese la forma di un cursore a forma di freccia la cui punta era orientata nella direzione di Marte. Almeno per ora. Passarono trenta secondi e la nave era ancora sulla linea. Ad un minuto di distanza dall’accensione il vertice del cursore da perfettamente al centro della linea verde iniziò a spostarsi verso destra. Ancora all’interno, ma decisamente non al centro. Amedeo imprecò sottovoce. Le cifre che indicavano la posizione della nave in relazione alla propria destinazione passarono da verdi a rosse, e una linea altrettanto rossa che partiva dall’indicatore della Goretti si staccò da quella verde uscendo dalla rotta prevista. Amedeo e Fumagalli si accasciarono contro lo schienale delle poltrone. “Cazzo!” sussurrò Amedeo “Deriviamo” Fumagalli si girò a guardarlo come se la colpa fosse sua, come in effetti era, in quanto unico responsabile della condotta della nave.


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“Tenente voglio un calcolo relativo alla deviazione dalla rotta, quanto siamo fuori e quanto carburante serve per una correzione, ogni quindici minuti. Chiami in plancia Zanetta e Bordin” “Sissignore” sibilò Fumagalli procedendo a convocare gli uomini. Evidentemente il ritardo accumulato nell’accensione, aveva fatto esaurire il carburante prima che la spinta inerziale fosse stata del tutto annullata; ora quella spinta residua stava facendo derivare la Goretti fuori dalla rotta corretta, in una traiettoria che si apriva come una forbice dal corridoio che l’avrebbe fatta arrivare a destinazione. In plancia l’atmosfera era tesa, ogni membro dell’equipaggio presente lanciava alternativamente occhiate preoccupate al proprio vicino, al comandante e al comandante in seconda. Ovviamente nulla di quanto stava succedendo era sfuggito loro e sapevano che la situazione era preoccupante. Bordin arrivò dopo qualche minuto e si presentò a rapporto da Amedeo confermando il buon funzionamento, anche se non ottimale, dei motori di spinta. Di Zanetta nessuna traccia e ancora una volta il tempo era cruciale. “Plancia da infermeria” scandirono gli altoparlanti. “Qui Plancia” rispose Fumagalli “Il sergente Zanetta non può presentarsi a rapporto. E’ attualmente in infermeria in stato di shock insieme al suo aiutante Faga ricoverato per ipossia” “Come sta Faga dottore?” intervenne Amedeo “Si sta riprendendo. Lo terremo sotto osservazione per un po’ di tempo, ma per ora deve assolutamente riposare” “Bene dottore, ma Zanetta mi serve qui subito” “Le ripeto che Zanetta non può…” “Non mi interessa dottore! Lo imbottisca di stimolanti o di quello che vuole, se necessario, ma me lo mandi qui immediatamente” “Sì signore” Dopo qualche minuto Amedeo, Fumagalli, Bordin e Zanetta erano riuniti nella ready room per impostare una strategia utile ad uscire da quella situazione. Prima di iniziare Amedeo si informò da Bordin delle condizioni di Rimetti. “Il dottore, anzi i dottori, dicono che probabilmente se la caverà” “Sono molto contento, Bordin” disse Amedeo prendendosi in appunto mentale di informarsi personalmente non appena l’emergenza fosse finita. “Bene signori, siamo fuori rotta di zero punto due gradi, in questo modo mancheremo la stazione Ares procedendo verso l’esterno del sistema solare


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ad una velocità di circa un milione di chilometri orari senza una molecola di carburante per poter effettuare la benché minima manovra. Suggerimenti?” Intorno al tavolo calò il silenzio, ognuno impegnato con le proprie conoscenze tecniche a trovare una soluzione. Dopo un paio di muniti di questo silenzio Amedeo calcò al mano. “Signori il tempo stringe più aspettiamo più usciamo di rotta e, come sapete più carburante ci servirà per rimediare” “Non possiamo semplicemente aspettare la nave rifornimento?” intervenne Bordin “No, ora che ci raggiunga saremo probabilmente già all’interno della fascia di asteroidi” gli rispose Amedeo. “Probabilmente, non sicuramente. La marina ha anche navi molto veloci, direi che vale pena di tentare visto che non abbiamo alternative” disse Fumagalli. Amedeo osservò uno per uno i membri del suo equipaggio seduti intorno a quel tavolo, Zanetta rimaneva in silenzio lo sguardo fisso davanti a sé, Bordin lo guardava in attesa di ordini, mentre Fumagalli lo fissava sfidandolo a trovare una soluzione migliore di quella da lui proposta. Non ci riuscì. “Allora avvisiamo la nave cisterna, e speriamo che sia veramente veloce come lei dice tenente” si arrese. In quel momento entrò nella piccola stanza il contrammiraglio Cunetto. Fumagalli come sempre anticipò tutti, dando l’ordine di attenti scattando in piedi e porgendo il saluto all’ufficiale superiore, gli altri si alzarono più lentamente, ma ognuno rese omaggio all’ufficiale dello stato maggiore. “Comodi signori” esordì Cunetto “Mi pare che ci sia nuovamente una situazione di emergenza nella nostra missione, è vero?” “Signore” parlò Amedeo in quanto comandante della nave “Il ritardo nell’accensione ci ha fatto derivare di zero punto due gradi, in questo modo mancheremo completamente Marte e non abbiamo più una sola molecola di gas xeno per effettuare qualsiasi manovra” “E quindi?” incalzò l’ammiraglio “Signore stiamo valutando di comunicare al comando di flotta la nostra situazione e chiedere un nuovo rendez-vous con la nave cisterna in modo da poterci rifornire e fare nuovamente rotta su Marte, anche se temo, sarà difficile, siamo troppo lontani. L’unica speranza è che la nave cisterna sia veramente molto veloce”


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Cunetto rimase qualche secondo in silenzio senza guardare nessuno in particolare, i gomiti appoggiati sul piccolo tavolo e il mento appoggiato sulle mani intrecciate. Nessuno parlò aspettando che l’alto ufficiale raccogliesse le idee. Dopo qualche secondo parlò. “Signori. Non starò qui a farvi discorsi vaghi e retorici sul senso del dovere e della necessità di soccorrere i propri commilitoni in difficoltà. Siete tutti veterani e non c'è bisogno che io stia qui a spiegarvi nulla. Nondimeno abbiamo intrapreso insieme questa missione con uno scopo, che era quello di far arrivare il prima possibile gli aiuti necessari ai nostri ragazzi su Marte. Aiuti senza i quali la nostra missione sul quel pianeta verrebbe gravemente compromessa. Pertanto vi invito a fare tutto il possibile affinché questa nave arrivi il prima possibile alla stazione Ares” Alle parole dell’ammiraglio seguì qualche istante di silenzio, e come doveroso fu ancora una volta Amedeo a rompere il silenzio. “Signore, purtroppo ci troviamo nell’impossibilità di manovrare, senza carburante non possiamo fare nulla. Temo che la soluzione della nave cisterna sia l’unica percorribile, sperando che ci raggiunga prima di finire nella fascia di asteroidi” Cunetto fissò negli occhi Amedeo per qualche istante, poi annuì in silenzio, evidentemente rassegnato a veder fallire il proprio piano di portare soccorso alla base Garibaldi. Non solo, vedeva anche la sua carriera prendere la stessa deriva che in quel momento stava portando la nave al probabile annientamento. Appena giunti a destinazione (se mai se la fossero cavata) avrebbe presentato all’ammiraglio Capace le proprie dimissioni. Aveva puntato tutto sul successo della sua iniziativa assai poco ortodossa, ed era stato consapevole fin dall’inizio che il fallimento avrebbe avuto conseguenze gravi e inevitabili. Aveva perso; tuttavia era sereno, sapeva di aver agito nel migliore dei modi, almeno secondo coscienza. Se se la fossero cavata, sperava solo di evitare un processo. Non accusava, in cuor suo né il comandante Fiore né l’equipaggio di quella nave che per una sua iniziativa, quantomeno discutibile in termini di procedure militari, aveva già pagato parecchio. Due uomini in infermeria, uno strappato praticamente a forza dalle cure del dottore e il rischio concreto di schiantare la nave contro un asteroide, tra Marte e Giove, lo testimoniavano. Sapeva che nella vita a volte si doveva scommettere tutto e che bisognava mettere in conto di perdere accettando la sconfitta. Beretta era su quella nave a testimoniare questa verità.


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“Naturalmente spetta a lei la decisione finale ed io, naturalmente, mi atterrò ad essa, qualunque sia, essendo lei il comandante di questa nave. Per quanto mi riguarda, se può servire a qualcosa dirlo, sia lei che il suo equipaggio avete fatto tutto quello che era umanamente possibile per seguirmi in questa missione e di questo vi sono comunque grato” “Grazie ammiraglio” disse Amedeo provando un profondo rammarico per non poter accontentare quell’uomo, che in quei pochi giorni aveva avuto modo apprezzare per la sua umiltà, dimostrata nel mettersi al fianco del suo ufficiale medico prodigandosi nel curare Rimetti e Faga. “Forse un modo ci potrebbe essere” intervenne Zanetta catalizzando all’istante l’attenzione di tutti. “Vedete quando io e Adelmo siamo rientrati dal portellone e stavo cercando di toglierli il casco, non so perché, ma una parte della mia mente si è soffermata sul fatto che quella luce bianca, che abbiamo in tutti i locali, mi abbagliasse impedendomi di vedere bene i ganci del casco di Adelmo” Silenzio. Poi Amedeo ebbe la sua illuminazione. “Ma certo! Sono lampade allo xeno! Quante ne avremo su tutta la nave? Almeno un migliaio, e quanto xeno potranno contenere un migliaio di lampade?” “Bè parecchio…” rispose Bordin pensoso “Tenente quanto carburante ci serve, diciamo fra circa due ore?” “Non so, devo controllare” “Vada allora” disse Amedeo alzandosi a sua volta. “Zanetta se ho capito bene lei vuole estrarre lo xeno delle lampade e pomparlo nei serbatoi, giusto?” “Sì signore, la mia idea è quella, il problema è come estrarlo” a quel punto intervenne Bordin, non a caso considerato, dall’equipaggio della Goretti, un genio nell’arte di arrangiarsi con quello che c’era a disposizione. Il più delle volte molto poco. “Possiamo pomparlo fuori con un compressore, ma anche qui il problema è come bucare l’involucro senza disperdere il gas” Cunetto sembrava smarrito, ma si era fatto contagiare dall’entusiasmo di tutti e anche lui si era alzato in piedi. Certo, estrarre il gas dalle lampade poteva rappresentare il classico sassolino che rischiava di bloccare l’intero ingranaggio, ma si era fatto l’idea che intorno a quel tavolo c’erano delle menti pratiche da non sottovalutare. Amedeo al pari degli altri si stava scervellando su come ovviare a quell’inconveniente, quando gli venne in mente la notte in cui aveva creduto che qualcuno si fosse introdotto illegalmente sulla Goretti, e più


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precisamente gli venne in mente lo scontro che aveva avuto con il dottore il quale aveva in mano un bisturi laser che intendeva usare come arma. Un laser avrebbe perforato l’involucro in plastica delle lampade? Espose rapidamente la propria idea a Zanetta e Bordin, i quali, con suo grande sollievo gli confermavano che sì, si poteva fare. In quel momento rientrò Fumagalli comunicando che sei metri cubi di gas sarebbero stati sufficienti in una proiezione a due ore da quel momento. “Voglio tutto il personale disponibile compreso il personale in plancia a smontare tutte le lampade allo xeno della nave, per vederci attiveremo le luci rosse di allarme. Zanetta distribuisca gli attrezzi necessari a tutti. Bordin appronti i compressori e si faccia dare dal dottore tutti i bisturi laser di cui può fare a meno. Fumagalli a lei il comando della nave, si metta in comunicazione con Ares e li metta al corrente della situazione richiedendo l’invio della nave cisterna. Le coordinate per il rendez-vous gliele comunicheremo non appena avremo un quadro più chiaro della situazione. Probabilmente mal che vada riusciremo a rallentare abbastanza per farci raggiungere prime della fascia di asteroidi. Forza signori diamoci da fare!” disse precipitandosi lui stesso a mettere in pratica la sua esortazione. Cunetto ormai completamente preso dall’attività frenetica che in pochi istanti aveva contagiato tutti, mise nuovamente se stesso e i suoi due assistenti a disposizione. Amedeo lo mandò insieme a Zanetta chiedendogli anche, se possibile, di tenerlo d’occhio, consapevole di aver strappato il proprio capo manutentore da una necessaria degenza in infermeria. Cunetto lo rassicurò velocemente e sparì nei meandri della nave dimentico ancora del proprio grado. La nave fu letteralmente invasa da un'attività frenetica, tutti, nessuno escluso, a parte ovviamente i ricoverati, il dottore e Fumagalli in plancia, si davano da fare per smontare le lampade ovunque esse si trovassero, mentre i fanti di marina, incluso il loro comandante, il sergente Malatesta, correvano come pazzi. Muniti di carretti facevano la spola tra le squadre che smontavano le lampade e la sala macchine, dove Bordin, nel frattempo aveva modificato i compressori, installando alla estremità del tubo di gomma una ventosa, nella quale aveva inserito i bisturi laser per perforare l’involucro di plastica delle lampade e contemporaneamente risucchiarne il prezioso contenuto. Fumagalli sedeva solo in plancia, ogni uomo in grado di tenere in mano un cacciavite era stato utilizzato per raccogliere tutto lo xeno che si trovava sulla nave, e a parte il ronzio dei computers e l’onnipresente rumore di fondo del reattore, all’interno della plancia regnava il silenzio più totale.


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Tutti erano impegnati tranne lui. E forse il dottore che sicuramente era steso ubriaco su un lettino in infermeria. Aveva già avvisato la stazione Ares della loro situazione, richiedendo l’intervento della nave cisterna alla quale avrebbe poi comunicato le coordinate per il rifornimento in volo. Ora aveva per sé tutto quel silenzio e molte cose su cui riflettere. Ancora una volta era stato messo da parte. E’ vero, era nel posto che più gli piaceva e dove veramente si sentiva a proprio agio, ma che senso aveva sedere sulla poltrona del comandante se non c’era nessuno a cui dare ordini? Si sentiva come un bambino lasciato nello studio del padre con l’ordine di non toccare nulla. Sentì ancora il solito astio nei confronti di quella nave e del suo equipaggio in particolar modo del suo comandante – salire di nuovo, come un doloroso reflusso di acidità di stomaco. L’indicatore del carburante nel serbatoio tre aveva iniziato a salire, dallo zero percento in cui si trovava poco prima, ora segnava un uno per cento, ancora pochissimo, ma con la foga febbrile con cui tutti si stavano dando da fare, non dubitava che sarebbero riusciti a racimolare abbastanza gas da correggere la rotta. Ancora una volta Fiore ne sarebbe uscito bene, con addirittura la gratitudine del contrammiraglio. E cosa se ne sarebbe fatto Fiore di quella opportunità? Niente, ecco cosa. L’avrebbe sprecata da quel menefreghista che era. Non ci sarebbe stato nessun vantaggio né per Fiore né per l’equipaggio né, in particolare, per il comandante in seconda. Tutto sarebbe continuato come prima, seguendo la medesima sfibrante e inutile routine: andare e venire da posti infami trasportando piccoli pezzi di ricambio, rifiuti, rottami inutilizzabili della marina, dell’esercito e delle forze armate tutte! La Goretti: il camion della nettezza urbana dello spazio. Poco più che spazzini, ecco ciò che era l’equipaggio di quella nave infame. Mancina, quello sì che era un ufficiale, attento alle forme, ai protocolli e soprattutto a non lasciarsi sfuggire le opportunità che gli capitavano, ma anzi sfruttandole al massimo, con un ufficiale così, lo possibilità potevano essere infinite. Non aveva avuto modo di parlarci direttamente, ma il tono del messaggio che il capitano di vascello aveva inviato, dando i propri ordini era inequivocabilmente quello di una persona potente e capace, che sapeva il fatto suo, uno di quegli ufficiali grazie ai quali un semplice sottotenente, se seriamente intenzionato a fare il bene della marina, avrebbe potuto progredire rapidamente nella propria carriera.


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In fin dei conti cosa stavano facendo lì? Sperduti in mezzo al sistema solare mettendo l’ennesima pezza a quella carretta? Di sicuro Mancina non aveva preso bene quella loro gita, autorizzata solo grazie ad un sotterfugio, e di sicuro sarebbe stato assolutamente grato a chiunque gli avesse fornito un appiglio per poter attuare la propria vendetta. No, si corresse Fumagalli, vendetta non era il termine giusto, quello corretto era: giustizia. La giustizia che viene applicata a chiunque trasgredisca gli ordini diretti dei superiori e a chiunque pensi che la marina sia un semplice mezzo per portare a compimento le proprie missioni personali in barba alle procedure, ai regolamenti e agli ordini. In sostanza, lui, poteva affermare che Cunetto aveva sequestrato la nave per i propri fini. Non sapeva cosa si fossero detti il contrammiraglio e Fiore nel quadrato ufficiali prima della partenza, ma di sicuro Cunetto aveva convinto Fiore a trasgredire gli ordini e a salpare dalla piattaforma dell’ascensore spaziale. Cosa avrebbe detto Mancina se un onesto e disciplinato sottotenente gli avesse parlato dei suoi sospetti? Grazie, ecco cosa avrebbe detto. Un grazie che sarebbe potuto essere espresso con un agognato trasferimento. Fumagalli si accorse che i palmi delle sue mani erano sudati e il cuore aveva accelerato i battiti. Cosa sarebbe successo se la missione illegale di Cunetto fosse fallita? Avrebbe potuto farlo accadere? E come senza essere scoperto? Davanti a lui c’era la postazione delle comunicazione sub-spaziali con la quale avrebbe potuto mettersi in contatto con Mancina. Tutto stava nello scoprire dove il capitano Mancina si trovava in quel momento. Si precipitò alla tastiera per avere le informazioni relative agli spostamenti della flotta. Gli era venuta un’intuizione e se fosse stata corretta, avrebbe potuto mettere in pratica il suo piano. Non aveva intenzione di sabotare nulla, ovviamente, danneggiare una nave della marina, perfino quella carcassa galleggiante nello spazio, lo faceva inorridire, ma in fin dei conti era sufficiente che la Goretti arrivasse alla stazione Ares dopo il cardinale, e se quello che pensava corrispondeva al vero, allora era a cavallo. Digitò rapidamente alcuni tasti e nello schermo della consolle per le comunicazioni apparve il menù del data base riservato sulla dislocazione di tutti i mezzi della marina. Inserì nella casella di ricerca il nome della nave che cercava: Pietro Micca, la nave dei suoi sogni. Durante la loro permanenza alla stazione Monte Bianco, non era passato giorno senza che lui andasse al cantiere navale dove erano in corso le modifiche di ammodernamento a cui il gioiello della Marina era sottoposto, per implementarne ulteriormente i sistemi d'arma e le attrezzature elettroniche. Un vero gioiello. Si era intrattenuto spesso con uno


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degli ufficiali di quel magnifico vascello, un sottotenente che era stato suo compagno di corso in accademia, il quale, oltre a spiegargli tutte le modifiche apportate con dovizia di particolari, lo aveva guidato in un indimenticabile giro all’interno della nave, con visita approfondita al ponte comando. Gli aveva anche detto che probabilmente sarebbero riusciti a lasciare la piattaforma con parecchi giorni di anticipo. Una eventualità così rara che era rimasta impressa nella mente di Fumagalli, e che in quel momento gli stava tornando parecchio utile. Sullo schermo apparve la schermata relativa alla Pietro Micca. Andò nella sotto schermata nella quale veniva indicata la missione prioritaria della nave, anche se, quello che stava cercando si trovava, probabilmente nella sezione delle missioni secondarie. Agì nuovamente sulla tastiera trovando finalmente quello che stava cercando: la conferma alla sua intuizione. In una piccola casella c’erano le due lettere che cercava: MD, ossia Missione Diplomatica. Il cardinal Pompini era sulla Pietro Micca e dove c’era Pompini c’era sicuramente anche Mancina. Tornò alla schermata principale col cuore che gli batteva freneticamente nel petto e andò alla sezione ETA (Extimated Time of Arrival) della nave. Vide che l’arrivo presunto della Pietro Micca alla stazione Ares era previsto per il sette settembre. Si alzò di scatto, e quasi correndo andò al tavolo da carteggio, dove richiamò i dati relativi alla nuova ipotetica rotta della Goretti, aggiornata in tempo reale con le nuove correzioni che si rendevano necessarie ad ogni istante che passava, e ordinò al computer di calcolare l’ETA per la stazione Ares: cinque settembre fu la risposta che gli lampeggiò davanti agli occhi. Bene, in questo modo la sua azione sarebbe stata determinante per creare il ritardo necessario a far giungere per prima la Pietro Micca. Era ora di fare una chiamata sub spaziale al capitano di vascello Mancina. Aprì il portellone della plancia assicurandosi che non ci fosse nessuno nei paraggi. Vide che tutte le lampade erano state rimosse e il corridoio era invaso dalla luce rossa delle lampade di allarme. Nessuno. Sentì solo in lontananza, alcuni rumori e delle voci provenire dai ponti inferiori dove probabilmente una squadra era intenta a smontare le lampade allo xeno. Richiuse le porte e per un attimo pensò di bloccarle, scartando però subito l’idea, se fosse arrivato qualcuno e le avesse trovate bloccate non avrebbe saputo come giustificare la cosa.


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Verificato di essere veramente solo e libero di agire, si diresse verso la postazione delle comunicazioni. Il cuore gli batteva all’impazzata; quello era il momento più pericoloso, se qualcuno fosse entrato in quell’istante non avrebbe saputo fornire alcuna giustificazione per trovarsi alla consolle comunicazioni. Disattivò il sistema di registrazione delle trasmissioni e orientando le antenne verso il più vicino ponte radio aprì un canale con la Pietro Micca. Dopo qualche secondo di attesa sentì la voce dell’operatore radio dell’altra nave che gli chiedeva di identificarsi. “NSM Maria Goretti identificazione A1317, sottotenente Filippo Fumagalli, comandante in seconda.” Le conversazioni sub spaziali consentivano di parlare a distanze di milioni di chilometri, ma nonostante si fosse trovato il modo far viaggiare le onde radio ad una velocità di gran lunga superiore a quella della luce, comunicare a circa cento milioni di chilometri di distanza richiedeva in ogni caso qualche secondo di attesa fra una postazione all’altra. “Ricevuto Goretti. Procedete” “Si… hem… richiedo di essere messo in comunicazione col capitano di vascello Mancina” ecco era il momento della verità se il capitano si trovava a bordo, come aveva previsto sarebbe stato a cavallo, se invece aveva preso una cantonata sarebbe finito in guai seri. La conversazione, infatti sarebbe stata registrata dalla Pietro Micca sebbene sulla Goretti tale funzione fosse disattivata. Come avrebbe giustificato quella chiamata e la disattivazione unilaterale della registrazione? In quel momento di attesa si pentì di aver messo in moto tutto questo, ma ormai era in ballo doveva solo sperare che l’orchestra suonasse il pezzo giusto per poter ballare come voleva lui. Poi finalmente giunse la risposta. “Un attimo Goretti, vi metto in comunicazione col capitano Mancina.” E adesso? Cosa gli avrebbe detto. Si rese conto che c’era un rischio reale che il capitano lo scaricasse o non volesse nemmeno parlare con lui. I minuti successivi furono carichi di ansia per il sottotenente Fumagalli. Mancina invece, si trovava comodamente seduto nella cabina che gli era stata riservata sulla Pietro Micca, una cabina spaziosa e dotata di tutti i confort: un’ampia scrivania con installato un computer olografico di ultima generazione, servizi privati e un vero letto al posto delle cuccette che di solito venivano usate sulle navi militari, e considerate lo standard del comfort marinaresco. Se non fosse stato per la vernice dozzinale sulle pareti avrebbe potuto pensare di trovarsi su di una nave da crociera e non su di una delle migliori navi da guerra della marina militare italiana.


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In quel momento stava consultando al computer il programma delle visite organizzate per il cardinale, sia sulla stazione Ares che su Marte. La situazione sul pianeta al momento, era in continua evoluzione e a seconda dei progressi dei ribelli il programma subiva continui cambiamenti, dovuti essenzialmente a ragioni di sicurezza, ma anche in base alle cose che era possibile mostrare e quelle che era meglio mantenere riservate. Per esempio, il settore sulla stazione Ares dove erano stati ricoverati gli infetti del campo Garibaldi, che continuavano a venire evacuati dalla base sotto assedio, era una di quelle zone che ufficialmente non esistevano nemmeno. Stava consultando un rapporto sulle zone ritenute sicure intorno a Valles Marineris, quando il cicalino dell’interfono fece sentire la sua voce. Senza distogliere gli occhi dal rapporto premette il pulsante sulla scrivania che apriva la comunicazione. “Mancina” disse distrattamente mentre continuava a leggere. “Signore abbiamo una comunicazione sub spazio dalla Maria Goretti id. A1317” disse la voce dell’operatore. Mancina smise di leggere il rapporto portando tutta la sua attenzione a quella comunicazione. Cosa volevano dalla Goretti? Dubitava fortemente che fossero le scuse di Cunetto. “Mi metta in comunicazione” disse preparandosi alla scocciatura delle pause tra i dialoghi. Poi ebbe un’intuizione “Disattivi la registrazione” ordinò all’addetto alle comunicazioni. “Sì signore” Attese qualche istante poi una voce sconosciuta uscì dal piccolo altoparlante inserito nella scrivania. “Signore, sono il sottotenente di vascello Fumagalli, comandante in seconda della Maria Goretti” si presentò la voce “Cosa desidera comandante?” “Bè… ecco signore, vorrei parlarle della nostra presunta esercitazione, grazie alla quale abbiamo abbandonato la stazione Monte Bianco” disse Fumagalli calcando l’accento sulla parola presunta. A questo punto l’attenzione di Mancina era stata catalizzata, rapidamente mosse le dita sulla tastiera del computer richiamando dal database centrale della marina la scheda di Fumagalli. “E cosa mi vuole dire?” disse per prendersi un po’ di tempo intanto che i dati venivano visualizzati sullo schermo. “Bè signore non credo che questa esercitazione sia effettivamente tale, anzi credo che la nave sia stata… hem… diciamo sequestrata dal contrammiraglio Cunetto con la complicità del comandante Fiore”


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Finalmente la scheda di Fumagalli apparve sullo schermo accompagnata dalla fotografia tridimensionale del comandante in seconda della Goretti. Ciò che colpì Mancina fu l’impressionante quantità di richieste di trasferimento presentate (e respinte) dal sottotenente. Tutto il suo curriculum all’accademia era a dir poco esemplare, tanto che Mancina si chiese come un elemento simile fosse finito su quella carretta. “Lei sta muovendo accuse molto gravi al suo diretto superiore comandante, una condotta assai poco ortodossa, volendo usare un eufemismo. E perché poi, lo sta dicendo proprio a me?” disse Mancina sfruttando i secondi di pausa per continuare a leggere il dossier. “Bè, signore me ne rendo conto, ma credo siano state violate diverse procedure della marina, che alla fine hanno portato a conseguenze piuttosto gravi. Inoltre credevo che le avrebbe fatto piacere sapere come si sono svolti gli avvenimenti che le hanno creato, immagino, parecchi problemi con la sua missione diplomatica” Adesso l’attenzione di Mancina era al massimo, anche se dal tono della sua voce sembrava stesse sostenendo una conversazione alquanto oziosa. “E quali sarebbero queste conseguenze comandante?” “Abbiamo avuto un incidente di cui si lamentano feriti, signore” “Cosa è successo di preciso comandante?” Fumagalli allora si mise a spiegare gli eventi accaduti sulla Goretti dal momento in cui aveva lasciato la piattaforma Monte Bianco fino alle riparazioni ancora in corso per rimediare all’uscita di rotta. “Lei sta registrando questa trasmissione?” chiese Mancina “No signore, ma sulla Pietro Micca lo staranno facendo senz’altro” “Di questo non si deve preoccupare. Lei cosa propone comandante?” “Ecco signore, mi chiedevo cosa succederebbe se la Goretti arrivasse alla stazione Ares col suo prezioso carico dopo la Pietro Micca” Succederebbe che Cunetto sarebbe il primo uomo a lasciare il proprio posto ad una velocità superiore a quella della luce pensò Mancina, afferrando al volo le conseguenze implicite di quella conversazione. “Cosa farà la Goretti appena risolto il problema del carburante?” “Abbiamo un rendez-vous con la nave cisterna Trento a distanza di sicurezza dalla stazione Ares, in modo da rifornirci di carburante per poter effettuare le operazioni di frenata” “Un’operazione difficile, immagino” rifletté Mancina a voce alta gettando l’amo. “Certo signore, soprattutto perché non possiamo fermarci per effettuare tale operazione, come invece richiede la procedura standard di questa manovra”


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“Sarà lei a comunicare alla Trento le coordinate spaziali per il rendez-vous, non appena sarete in grado di correggere la rotta immagino?” disse Mancina illuminato da un’altra intuizione. “Sì signore” “Cosa succederebbe se la Trento non si trovasse nel punto esatto per il rifornimento” “Bè, il rifornimento non potrebbe avere luogo e la Trento sarebbe costretta ad inseguirci” “Ritengo che un piccolo errore di calcolo sia del tutto plausibile quando ci sono tante variabili in gioco, vero comandante?” “Signore, i calcoli vengono effettuati dai computers” “Suvvia comandante! I computers fanno quello che gli uomini dicono loro di fare, sono macchine prive di intelligenza, agiscono in base ai dati inseriti dalla mano dell’uomo. Non mi dica che un ufficiale in gamba come lei non è in grado di aggirare questo ostacolo” Mancina intanto, aveva letto nel curriculum di Fumagalli, che questi si era classificato primo e col massimo dei voti nel corso di ingegneria informatica dell’accademia. “Ma signore… io pensavo” “Lei non pensi comandante, questo lo lasci fare a me. Lei agisca.” Era ora di attaccare all’amo anche l’esca “Vedo che lei ha fatto richiesta per un trasferimento” “Sì signore” “Qui sulla Pietro Micca c’è sempre posto per ufficiali zelanti che capiscono che le esigenze della marina vengono prima dei desideri personali di qualche ufficiale troppo intraprendente, per quanto buone siano le sue intenzioni. Non è d’accordo comandante?” Fumagalli era stordito da quella conversazione, la parola comandante che Mancina continuava a ripetere, aveva su di lui l’effetto di un afrodisiaco, e inoltre aveva ottenuto quello che voleva. La promessa di un trasferimento; e proprio sulla nave che più amava della marina! I battiti del suo cuore si calmarono, e una profonda determinazione lo pervase convincendolo ulteriormente della necessità di ciò che stava per fare. “Sì signore, certo!” rispose con voce ferma ingoiando esca, amo, lenza e anche la canna. Mancina sorrise. Non solo si sarebbe vendicato di Cunetto, Fiore e Capace, ma avrebbe anche dimostrato che le sue rimostranze per la condotta della Goretti erano fondate, e che la sua missione era stata coscientemente compromessa dall’incapacità di giudizio di alcuni alti ufficiali.


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“Bene comandante” disse con un tono di cameratesca complicità “Allora lei agisca nel suo campo e io agirò nel mio” “Sì signore” “Ah comandante, se trova un attimo di tempo inizi a preparare i bagagli” rincarò ancora Mancina “Grazie signore” rispose Fumagalli con l’entusiasmo di un bambino a cui era stato promesso un assegno in bianco in un negozio di giocattoli. Sia ringraziato il Signore per aver creato idioti come questi, pensò Mancina, tornando alla programmazione della visita del cardinale con un animo che rasentava la serenità assoluta. *** La luce rossa, diffusa dalle lampade di allarme accompagnava il lavoro dell’equipaggio della Goretti, avanzando di pari passo col procedere dello smontaggio di quelle allo xeno. Una sorta di marea rossa che un locale dopo l’altro stava invadendo la nave. Amedeo lavorava sodo di avvitatore in squadra con l’addetto alle comunicazioni Quaglia e con il radarista Dallatorre, mentre ad intervalli più o meno regolari passavano i fanti di marina incaricati di fare la spola tra le squadre e il locale macchine. Lanciando un occhiata all’orologio, si accorse che ormai erano quasi passate le due ore di tempo che si erano dati come limite massimo per raccogliere quanto più gas possibile. Si chiese a che punto fossero arrivati, man mano che la forbice tra la rotta corretta e quella che stavano percorrendo si allargava, maggiore era la quantità di carburante necessario per la correzione di rotta, poiché la virata avrebbe avuto un angolo, di volta in volta più acuto da dover compensare. Scacciò quel pensiero tornando a lavorare sulle viti che fissavano una lampada del corridoio sospeso. Fumagalli stava tenendo sotto controllo in tempo reale i dati costantemente aggiornati tra le due posizioni relative alla nave e alla stazione Ares. Quando la quantità di carburante sarebbe stata sufficiente per la manovra glielo avrebbe comunicato. Sperava solo che ciò avvenisse nei prossimi dieci minuti, perché tanto, valutava, ci sarebbe voluto per finire di smontare tutte le lampade e far cadere la nave in quella penombra rossastra creata dalle luci di allarme. Passarono i fanti di marina a torso nudo, madidi di sudore per non essersi fermati un istante dal primo carico che avevano portato a Bordin, anche se,


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man mano che il lavoro procedeva dalla prua verso la poppa della nave la strada da percorrere diventava sempre più breve. Amedeo non sapeva effettivamente quante lampade ci fossero sulla sua nave, forse Zanetta ne conosceva esattamente l’ammontare, ma lui e la sua squadra calcolava ne avessero smontate circa un centinaio. Fece un rapido calcolo a mente. Fortunatamente erano di forma quadrata e misuravano trenta centimetri di lato con un’altezza di dieci, quindi ogni lampada conteneva circa 0,009 metri cubi di gas, se ne avevano smontate cento dovevano aver racimolato circa un metro cubo di gas, se anche le altre squadre avevano fatto altrettanto, otto squadre poco più di sette metri cubi, quindi il gas recuperato sarebbe stato più che sufficiente per effettuare la manovra. Sempre che lo racimolassero entro le due ore prefissate... “Comandante da plancia” la voce di Fumagalli uscì dagli altoparlanti dolce come il canto delle sirene. I fanti di marina si fermarono ansimando, aspettandosi anche loro l’annuncio così tanto atteso. “Qui il comandante” “Signore abbiamo raggiunto il quantitativo necessario alla manovra” Amedeo vide i fanti e gli altri due della sua squadra, prorompere in esclamazioni di gioia, mentre anche sul suo volto si allargava un ampio sorriso di trionfo. Ce l’avevano fatta! “Bene tenente, chiami tutti gli uomini ai posti di manovra” disse Amedeo praticamente ridendo per il sollievo “Tutti ai loro posti e pronti per la virata. Subito dopo suonò la chiamata ai propri posti, mentre lui e i suoi compagni di squadra, entrambi di servizio in plancia percorrevano gli ultimi metri che li separavano dai loro posti sul ponte di comando. Entrò in plancia e notò che stranamente Fumagalli non aveva atteso l’ultimo istante prima di alzarsi dalla poltrona del comandante che amava tanto, ma lo trovò già seduto alla sua postazione. Non importava, in quel momento avrebbe sopportato tutte le strane manie di Fumagalli col sorriso sulle labbra, tanta era l’euforia per essere riusciti a rimettere in pista la cara vecchia Goretti. Non appena tutti gli uomini furono ai loro posti Amedeo diede l’ordine di accensione. In quel momento gli venne un dubbio: e se il gas xeno contenuto nelle lampade non fosse stato compatibile con i motori? Scosse la testa e allontanò all’istante quel pensiero pernicioso. Sopportò l’accelerazione con


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sollievo, in quanto indicava che i motori si stavano bevendo tranquillamente il gas delle lampade. Rimetti intanto era stato posto in una vasca piena di liquido adatto ad annullare gli effetti dell'accelerazione sulle parti lesionate. Non appena vide sul display l’indicazione dell’avvenuto cambio di rotta sentì l’accelerazione scemare, si alzò dalla poltrona di comando e si affiancò nuovamente a Fumagalli al tavolo da carteggio acceso e rappresentante in tre dimensioni, la nuova rotta della Goretti. Ancora una volta rimasero col fiato sospeso. In plancia nessuno osava fiatare, quasi che ogni singola variazione a quel delicato equilibrio potesse comprometterlo irreparabilmente. Amedeo non staccava gli occhi dal cursore a forma di freccia, spostarsi lungo la linea verde della rotta. Passò un minuto poi due e le cifre rimasero verdi. Erano finalmente sulla rotta per la stazione Ares e stavolta niente li avrebbe deviati. Diede l’annuncio all’equipaggio e in ogni locale in cui c’era qualcuno ci furono manifestazioni di esultanza per lo scampato pericolo. Solo il dottore prestò ascolto con un solo orecchio, emergendo per un breve istante dalla nebbia prodotta dai fumi dell’alcol, che non si era fatto mancare dopo essersi assicurato che le condizioni sia di Rimetti che di Faga fossero stabili e i due in stato di riposo. Una volta effettuate tutte le operazioni necessarie al mantenimento in rotta della nave, Amedeo si rivolse al suo comandante in seconda. “Tenente, comunichi le coordinate per il rendez-vous con la Trento per il rifornimento e il nostro ETA” “Ehm… sì signore” rispose Fumagalli Amedeo rimase un po’ perplesso dalla lieve esitazione del suo secondo, di solito così secco nel dare conferma agli ordini, ma l’euforia era tale che archiviò la cosa come una conseguenza della tensione sopportata da tutti in quelle lunghe ore di emergenza. Che Fumagalli fosse teso era certo, ma non per le motivazioni che pensava lui, la tensione era dovuta per quello che si stava accingendo a fare. Si mise alla tastiera per inserire i dati relativi al calcolo per le coordinate del rendez-vous con la Trento, i dati sullo schermo gli indicavano la rotta, la velocità, le coordinate relative alla posizione della nave aggiornate in tempo reale, e il punto di non ritorno oltre il quale sarebbe stato impossibile frenare la nave in tempo utile. Attivando la procedura apposita il computer avrebbe acquisito tali dati, e automaticamente calcolato il punto ottimale di rendez-vous.


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Fumagalli aveva passato il resto del tempo, dopo la conversazione con Mancina, a sviluppare un piccolo software che avrebbe agito sull’ultimo decimale di una delle coordinate relative alla posizione della nave, alterando tale cifra di un punto. In questo modo la Goretti si sarebbe trovata fuori rotta di quanto bastava per mancare sia l’appuntamento con la Trento, sia la stazione Ares evitando così la collisione, inevitabile vista la mancanza di carburante per l’operazione di frenata. La Trento avrebbe dovuto inseguirla perdendo così tempo sufficiente per far giungere per prima su Ares la Pietro Micca. Praticamente era un virus che una volta eseguita l’operazione che stava per compiere, si sarebbe automaticamente cancellato senza lasciare traccia. Naturalmente la Trento avrebbe avuto indicazioni teoricamente corrette dalla Goretti, ma si sarebbe trovata nella posizione sbagliata, seppur di poche centinaia di chilometri, ma sufficienti a far fallire l’operazione di rifornimento. Fumagalli si accorse che gli sudavano le mani mentre avviava la procedura, aveva il respiro corto e lo stomaco gli pareva che si fosse attorcigliato su se stesso. Cercò di riprendersi prima che qualcuno in plancia si accorgesse del suo estremo nervosismo, fece un respiro profondo cercando di calmarsi, ma tutto fu vanificato dalla voce di Fiore. “Tenente tutto bene?” preso com’era dal piccolo sabotaggio (a fin di bene per la marina, continuava a ripetersi) non aveva sentito il comandante avvicinarsi alla sua postazione al tavolo da carteggio. Involontariamente sussultò rendendo palese il suo stato d’animo, sentì il panico prendergli le gambe rendendogliele molli, la voce gli vennne meno impedendogli di spiccicare parola. Nella sua mente un mucchio di frasi si accavallarono fra loro e nel suo sforzo di dire qualcosa, gli uscì un balbettio indistinto e incomprensibile. “Fumagalli, calma” gli disse Amedeo sorridendo “Capisco che abbiamo avuto momenti di difficoltà, ma ora abbiamo risolto tutto e siamo finalmente diretti verso la nostra destinazione” a quelle parole Fumagalli capì che i timori di sospetti nei suoi confronti erano infondati, addirittura quel babbeo di Fiore cercava di consolarlo e a quel punto ritrovò il controllo di sé. “Mi scusi comandante, temo sia stata la tensione” “Non si preoccupi tenente, ne siamo stati sottoposti tutti, non è certo stato un viaggio consueto per questa nave. Stavolta le emozioni non sono davvero mancate” “Assolutamente signore”


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“Sono i dati relativi alle coordinate per il rendez-vous?” chiese Amedeo indicando lo schermo con il tasto lampeggiante per l’invio dei dati. “Sì signore” disse Fumagalli sentendo la tensione sfiorargli nuovamente lo stomaco. “Bè allora inviamoli” disse Amedeo sorridendo Fumagalli con un leggero tremito della mano premette il tasto di invio dati. “Dati inseriti e inviati” disse Fumagalli trattenendo un sospiro. Sulla Trento, partita dalla stazione Ares dove era di supporto alla squadra navale italiana, l’ufficiale di rotta ricevette, dopo diversi secondi, i dati relativi al rendez-vous dalla Goretti, e inserì nel nav-computer le coordinate ricevute alle quali la nave cisterna si sarebbe dovuta trovare al momento indicato.

^ N.S.M. Maria Goretti – in viaggio verso Marte. 30 agosto 2196 – 19:55 Nel quadrato ufficiali la tavola era stata imbandita con la tovaglia bianca e il servizio delle grandi occasioni in dotazione alla nave (Piatti di semplice porcellana bianca e posate in acciaio al posto dei piatti di plastica e dei vassoi da mensa di uso quotidiano). Il tutto perfettamente disposto in previsione della cena decisa da Amedeo per festeggiare l’ormai imminente conclusione di quella strana e travagliata missione. Stessa cosa nella mensa del personale dove i quattro tavoli da sei posti erano apparecchiati per le grandi occasioni, tipo Natale. Alla cena nel quadrato ufficiali erano naturalmente stati invitati Cunetto e suoi assistenti, gli ufficiali della Goretti e i graduati di grado più elevato. Alle venti, orario fissato per l’inizio del convivio, un tavolo a buffet era stato allestito e posto all’estremità più lontana del quadrato, dietro il quale un fante di marina (sorteggiato fra l'equipaggio) in uniforme bianca, fungeva da cameriere per gli aperitivi. Dopo pochi minuti i primi invitati si presentarono nel quadrato. Entrò per primo Esposito in alta uniforme, seguito dal sergente dei fanti di marina Malatesta e via via tutti gli altri graduati ed un unico ufficiale: Beretta che senza indugiare un istante si recò al tavolo buffet.


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“Che passa oggi il convento Ettore?” chiese rivolgendosi in modo del tutto informale al fante di marina, osservando attentamente il bicchiere pieno di una bevanda azzurrina non meglio identificata che già aveva in mano, e sul bordo del quale era stato posta una fetta di pompelmo. Ignorò completamente i crostoni ai gamberetti predisposti su piatti da portata ovali e gli altrettanto invitanti crostoni al pistacchio, mentre alcuni vasetti contenenti ravanelli rossi erano disposti tutt’intorno ai bicchieri già riempiti. “Quello che ha in mano blumarin si chiama, dottore” rispose con un sorriso il fante con un forte accendo sardo. Il dottore lo assaggiò prima cautamente, poi dopo averne valutato il sapore, si versò l’intero contenuto in gola senza nemmeno prendersi la briga di respirare, emettendo, svuotato il contenuto, un profondo sospiro di piacere posando il bicchiere praticamente asciutto sul tavolo e facendo schioccare la lingua. “Ottimo!” esclamò prendendone un altro e riservandogli la stessa sorte “ho sempre adorato il gin con il blue curacao” biascicò mentre si masticava la fetta di pompelmo buccia compresa. Amedeo, intanto, stava dando le ultime aggiustatine alla sua uniforme di tenente di vascello, si sentiva piacevolmente sereno, si rimirò ad un piccolo specchio senza cornice, la massima concessione alla vanità presente nella cabina che condivideva col dottore, e quello che vide gli piacque. Un trentacinquenne relativamente in forma, che faceva la sua bella figura nella sua divisa da sera estiva, la giacca bianca con le mostrine dorate e pantaloni neri. Il dottore era già uscito, lasciandolo solo a finire di prepararsi e in quel momento di incredibile calma e serenità, mischiate ad una lieve euforia dovuta all’avvenimento mondano, certamente più unico che raro nella storia di quella nave, si ritrovò nuovamente ed inaspettatamente a pensare a Valeria. Si chiese come si sarebbe sentito se lei, in un bell’abito da sera lo avesse accompagnato ad una cena di gala della marina. Immaginò se stesso in alta uniforme con al fianco la splendida figura di lei, fare il loro ingresso al circolo ufficiali della marina, magari a Roma. Guardandosi allo specchio si accorse che stava sorridendo, allora rise di sé stesso per l’assurdità di quella fantasticheria romantica, anche se quel pensiero gli trasmise, se possibile, una ulteriore sensazione di un appagamento che non riusciva a definire.


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Indugiò ancora qualche istante per assicurarsi che Fumagalli arrivasse prima di lui, non voleva certo toglierli la soddisfazione di annunciare l’ingresso del comandante e ordinare l’attenti. Cunetto sarebbe ovviamente arrivato per ultimo, quindi avrebbe avuto addirittura due occasioni per ordinare l’attenti: una vera seratissima per il comandante in seconda della Goretti. Diede un’ultima occhiata alla divisa, indugiando sui due binari e il giro di bitta dorati sulle spalline nere e sul paramano, e come sempre non sentì nessuna necessità di unire i due binari nel doppio binario del capitano di corvetta. Per l’ambizione bisognava rivolgersi al suo secondo, a lui andava bene esattamente così com’era. Finalmente decise di uscire e di recarsi nel quadrato ufficiali. Vi trovò già quasi tutti, tranne ovviamente Cunetto e i suoi assistenti, e Fumagalli poté dar sfogo alla sua grande passione per gli ordini facendo scattare tutti sull’attenti. Scambiò alcune battute con i graduati e poi si diresse verso il tavolo da buffet dove il dottore aveva già messo in fila un numero discreto di cadaveri ad alta gradazione alcolica. “Comandante” salutò comunque con voce ferma. “Dottore, che ne dice della nostra piccola serata di gala?” chiese Amedeo accennando con la testa a tutto l’insieme della serata, e involontariamente riandando con la mente alla sua fantasticheria su Valeria e gli abiti da sera. “Grande pensata comandante. Se in queste occasioni si servono questi deliziosi aperitivi, credo che dovremmo farlo molto più spesso” rispose Beretta che in pubblico si rivolgeva al proprio comandante in termini ufficiali. Solo in privato si prendeva la libertà (peraltro concessa volentieri) di dargli del tu. “Non è una cattiva idea” confermò sorridendo Amedeo mentre sorseggiava il blumarin che aveva preso dal tavolo del buffet. “Già, basta solo trovare il modo, ogni tanto, di quasi ammazzare un paio dei nostri o rischiare di morire tutti nelle profondità dello spazio” “Non sia così acido, in fin dei conti ce la siamo cavata più che bene. A proposito come stanno i ricoverati?” “Faga l’ho dimesso, si è ripreso benissimo senza danni al cervello, se mai se ne possa notare la differenza nel cervello di un diciannovenne. Rimetti lo stiamo tenendo in coma farmacologico, fino a quando non potremo ricoverarlo al reparto di neurochirurgia a Ares. Ma non sono preoccupato, le sue condizioni sono stabili e di sicuro se la caverà. A parte il mal di testa ovviamente”


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“Molto bene” In quel momento la voce stentorea di Fumagalli, permeata da un sottile compiacimento, ordinò nuovamente l’attenti annunciando l’ingresso di Cunetto. Amedeo sospettò che il suo secondo si appostasse in agguato, per poter essere il primo ad annunciare l’ingresso di un ufficiale superiore. Cunetto fece il suo ingresso nel quadrato, non era in alta uniforme in quanto la sua missione non prevedeva eventi mondani, ma ad Amedeo parve che Fumagalli letteralmente sbavasse nel vedere le spalline dorate con la stelletta e il paramano con la greca e il giro di bitta del grado di contrammiraglio. Da parte sua Amedeo si maledisse per aver imposto agli ufficiali e graduati di indossare le divise da sera, non aveva pensato che così facendo avrebbe potuto mettere in imbarazzo il contrammiraglio, che invece indossava una semplice uniforme di servizio color kaki, come i suoi due assistenti. “Ahi!” disse il dottore stavolta con la voce già impastata visto che era già al suo sesto cocktail “Credo che abbiamo commesso una gaffe” disse cogliendo al volo il disagio di Amedeo. “Non me lo dica” rispose afferrando un bicchiere di aperitivo per andare a porgerlo al loro ospite. “Contrammiraglio, benvenuto alla nostra piccola festicciola” disse cercando di mascherare l’imbarazzo. “Grazie comandante, ma purtroppo temo che il nostro abbigliamento non sia in linea con la serata” “Le chiedo scusa signore, temo che ci siamo fatti prendere la mano, ma una cena con ufficiali di stato maggiore credo, sia la prima volta che si svolga su questa nave fin dal suo varo” “Non si preoccupi. A dire il vero mi trovo molto più a mio agio in uniforme di servizio che con quella da cerimonia” disse Cunetto sorridendo e accettando il bicchiere di aperitivo che Amedeo gli stava offrendo. Poi fortunatamente la serata prese, per restare in termini marinareschi, l’abbrivio, i vari capannelli di conversazione si sciolsero e tutti si sedettero intorno alla tavolata. Naturalmente a Cunetto era stato riservato il posto d’onore a capotavola, con alla sua destra Amedeo in quanto comandante della nave, mentre alla sua sinistra sedeva Beretta, l’ufficiale più alto in grado dopo il comandante. Due comuni, anch'essi estratti a sorte e riconvertiti per quell’occasione in camerieri, servirono gli antipasti: crostoni ai peperoni tartufati, un delizioso strudel ai funghi porcini e vassoi traboccanti di Vol-au-vent anch’essi al


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tartufo, il tutto accompagnato da un ottimo vino rosso delle Langhe piemontesi. Seguirono i primi: bucatini alla marinara con polpa di granchio e gamberetti, e due immensi vassoi di gnocchi al pesce con vongole e cappe asiatiche. “Non immaginavo che la vostra nave fosse così ben rifornita. D’ora in avanti non mi lamenterò più di quello che si mangia nelle mense delle navi” osservò Cunetto mentre sorseggiava un ottimo bianco di Menfi, un vino siciliano servito freddo. “A dire il vero, ammiraglio…” disse Amedeo con la voce leggermente impastata dal vino “ …da domani potrà tranquillamente ricominciare a lamentarsi. Vede queste non sono le scorte effettive della Goretti, ma quelle che il cuoco al seguito del cardinale aveva fatto imbarcare. Poi avendo dovuto lasciare così di fretta la stazione orbitante… bé, non c’è stato davvero il tempo di scaricarle per renderle al legittimo proprietario, quindi… mia madre mi ha insegnato che sprecare il cibo è peccato” Cunetto rise di gusto nel sentire di quel piccolo gesto illegale, e alzando il bicchiere brindò alla saggezza della madre di Amedeo. Il pranzo procedeva e le conversazioni intorno alla tavolata erano al loro apice, ma Amedeo iniziò a preoccuparsi per il dottore, che non aveva praticamente smesso di bere vino da quando si erano seduti a tavola. Arrivati ai secondi, calamari ripieni e gamberi all’imperiale, aveva la testa che gli ciondolava vistosamente, con grande imbarazzo di Fumagalli, che seduto al suo fianco faceva di tutto per pungolarlo senza farsi vedere dal contrammiraglio. Amedeo da parte sua cercava di sostenere una conversazione serrata, in modo da evitare un imbarazzante figura al dottore, se questi avesse dovuto aprire bocca. Arrivati ai dessert, una splendida catalana alle mandorle e uno squisito budino ai lamponi, il frutto preferito di Amedeo, la testa del dottore crollò definitivamente sul suo petto e un leggero russare seguì a quel cedimento. A quel punto divenne impossibile ignorare il fatto che il dottore fosse ubriaco fradicio, e Amedeo fece un cenno a uno dei camerieri, pregandolo di portare il dottore nella sua cabina. “Chiedo scusa ammiraglio” si giustificò Amedeo rivolto a Cunetto “Non si preoccupi. E’ un grand’uomo, ed è solo un peccato vederlo in queste condizioni” “Credo che dovrebbe essere congedato senza indugio, reca imbarazzo a se stesso e alla marina” intervenne Fumagalli guadagnandosi un’occhiata gelida da parte di Amedeo, ma fu Cunetto a rispondere al sottotenente.


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“Uomini come lui sono sempre preziosi, e per me è stato un privilegio e un onore lavorare al suo fianco in questa missione” disse Cunetto guardandolo dritto negli occhi e sfidandolo a controbattere. Lo sguardo di Cunetto era duro e Fumagalli fu abbastanza intelligente da capire al volo che non era il caso di insistere. “Chiedo scusa ammiraglio” disse con un tono che non aveva nulla di contrito. Quello scambio di battute fu seguito da qualche istante di silenzio imbarazzato, almeno in quella parte della tavolata, poiché gli altri commensali continuavano a parlare allegramente scambiandosi aneddoti sulle missioni svolte. Perfino i due assistenti di Cunetto, due giovani neolaureati, ma ottimi ricercatori, si erano rivelati particolarmente loquaci, ed erano stati presi in simpatia da tutti i presenti. Il momento di imbarazzo fu comunque di breve durata. Il sottufficiale addetto alle comunicazioni, che era stato lasciato di guardia in plancia, fece il suo ingresso nel quadrato ufficiali dirigendosi direttamente verso Amedeo. “Si Dotti, che c’è?” Il sottufficiale si chinò verso Amedeo, comunicandogli il motivo della sua intrusione. “Signore c’è una comunicazione prioritaria da parte dell’ammiraglio Capace per lei per il contrammiraglio Cunetto” “Una comunicazione prioritaria?” esclamò sorpreso Amedeo. Nessuna comunicazione prioritaria era mai arrivata alla Goretti, ma evidentemente quella era la missione delle prime volte. Amedeo e Cunetto si scambiarono un’occhiata preoccupata, mentre entrambi si alzavano per seguire il sottufficiale verso la postazione di trasmissione, lasciando perplessi i commensali e furioso Fumagalli che anche questa volta era stato tagliato fuori. I due rimasero in silenzio finché non raggiunsero la postazione in plancia. “Proceda Dotti” ordinò Amedeo, e il sottufficiale agì su alcuni tasti luminosi dello schermo facendo apparire il volto tridimensionale del capo di stato maggiore. “Franco” esordi l’ammiraglio rivolgendosi a Cunetto “Vedo che con te c’è anche il comandante Fiore, bene” “Signore” salutò Amedeo “Siete soli?” chiese Capace. La voce tesa che si adattava perfettamente all’espressione del suo viso. “No, signore. Qui con noi c’è il nostro addetto alle comunicazioni” disse Amedeo.


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“Allora le chiedo di farlo uscire” Amedeo non ebbe bisogno di dire nulla, bastò uno sguardo in cui erano comprese le scuse per quell’allontanamento, e Dotti lasciò immediatamente la plancia. “Non ho buone notizie purtroppo” disse Capace facendo rabbrividire Amedeo, che subito pensò a provvedimenti disciplinari tremendi per la sua partenza più o meno autorizzata dalla stazione Monte Bianco, ma l’ammiraglio proseguì fugando i suoi timori e, al tempo stesso, comunicando notizie talmente gravi al cui confronto il destino della sua carriera sembrava insignificante. “Signori alle diciassette e trentasei di oggi…” fece una pausa per deglutire “…il Campo Garibaldi è caduto in mano ai ribelli” seguì qualche istante di silenzio in cui entrambi cercarono di assorbire la notizia. “Quante vittime?“ chiese Cunetto “Almeno una cinquantina, ma siamo riusciti ad evacuare la maggior parte dei malati. I morti facevano parte di quel che rimaneva del contingente ancora in grado di potersi difendere” “Dove sono ora i malati?” “Li abbiamo dovuti portare su Ares e…. Franco, sembra che il contagio si stia diffondendo anche nella base, anche se per ora limitato solo al settore italiano” “Santo cielo! Avete allertato anche le altre forze NATO?” “No, abbiamo il divieto, da parte del governo, di divulgare la notizia e di continuare a fare di tutto perché non trapeli” “Ma è una cosa da pazzi!” “Lo so, ma il governo non vuole uno scandalo a livello internazionale e ci ha sganciato la patata bollente di trovare una soluzione. Per ora la versione ufficiale è che siamo stati attaccati e sopraffatti da forze soverchianti” “Mio Dio…” mormorò Cunetto. Amedeo rimaneva in silenzio, non osava aprire bocca, la situazione era enormemente al di fuori della sua portata, e in quel momento fu contento di essere solo una specie di tassista. “Franco…” riprese Capace “… è inutile che ti dica che conseguenze ci saranno se la malattia si diffondesse su tutta la base. Se perdiamo Ares perdiamo Marte e saremmo costretti ad abbandonare tutto il personale di terra e i coloni ancora fedeli alla Terra al loro destino. Sarebbe la guerra interplanetaria, una forma di guerra mai vista prima. L’unica speranza è far arrivare i tuoi medicinali e le attrezzature ad Ares” proseguì Capace cercando di mantenere la calma “Che ne è di Ponzi e Gandolfi?”


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“Gandolfi è caduto abbattuto col trasporto che lo stava evacuando, Ponzi è su Ares” “Stiamo arrivando, sei già a conoscenza del nostro ritardo?” “Si e proprio non ci voleva, ho letto il rapporto e mi compiaccio con il comandante Fiore e il suo equipaggio per aver risolto la situazione, se avessimo aspettato che vi venisse a prendere una nave appoggio, la situazione avrebbe rischiato di essere irrimediabilmente compromessa” “Grazie ammiraglio” rispose Amedeo imbarazzatissimo. “Bene signori vi aspettano su Ares il prima possibile avete un dock d’attracco riservato già da ora, e la priorità nelle operazioni di scarico. Buona fortuna signori, chiudo” la comunicazione si interruppe e lo schermo divenne nero. “Dovremo avvisare anche gli altri” disse Amedeo “Non ora comandante. Non roviniamogli la cena, e comunque non c’è nulla che possiamo fare in questo momento, se non guastargli la festa che come lei mi ha detto, è la prima su questa nave da tempo immemorabile. Quindi rientriamo e beviamoci un altro bicchiere di quell’ottimo bianco alla salute del cardinal Pompini” Il contrammiraglio si voltò avviandosi verso il quadrato, ma Amedeo rimase un attimo fermo fissando lo spazio davanti alla nave dai grandi finestrini della pancia. Anche lui, come Mancina qualche giorno prima, rimase impressionato da quell’immenso spazio, come se lo vedesse per la prima volta. Solo che a lui in quel momento gli pareva freddo e ostile. Si chiese quale fosse lo scopo di quella assurda guerra per lo spazio vitale su di un piccolo pianeta come Marte, di fronte a quella immensità che aveva davanti. Probabilmente il dottore avrebbe una avuto una risposta sagace a quella domanda, si disse, ma il dottore non era lì e forse la risposta l’aveva già trovata in un bicchiere pieno di liquore. Rimase ancora qualche istante a fissare quel nero infinito punteggiato da miliardi di stelle, poi si riscosse e seguì Cunetto nel quadrato ufficiali. La cena finì ben oltre la mezzanotte, e Amedeo si ritirò nella cabina che divideva col dottore dopo aver fatto un giro di controllo in plancia. Quando entrò fu accolto dal profondo russare dell’ufficiale medico, mentre l’aria era impregnata di odore di alcol e vomito che proveniva dal piccolo bagno della cabina. Guardò il dottore, i marinai lo avevano spogliato, evidentemente per evitare che si sporcasse la divisa, e poi lo avevano sistemato sulla sua cuccetta dove ora giaceva supino russando come un trattore smarmittato.


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Si rassegnò a passare una notte insonne, togliendosi la divisa e riponendola con cura in un stipo dell’armadio che il dottore aveva diviso con lui per quella missione. Si spogliò e si distese sulla cuccetta. Si concentrò sulle notizie appena ricevute e si chiese come sarebbe cambiata la sua vita se, come temeva Cunetto, la situazione fosse sfuggita di mano. Lui non si sentiva un soldato nel vero senso del termine, era entrato in marina solo perché non gli andava di passare la sua vita, come era successo a molti suoi amici, bloccato per sempre nella sua città a fare un lavoro alienante. Bè, voleva vedere il mondo, come si diceva una volta, e adesso probabilmente, il mondo gliele avrebbe fatte vedere di tutti i colori. Si chiese anche, mentre i pensieri entravano in quella zona d’ombra che precede il sonno diventando un po’ eterei, quando avrebbe avuto la possibilità di rivedere Valeria, e con il suo volto che gli fluttuava indistinto nella mente, si addormentò. *** Altrove sulla nave, qualcuno non dormiva affatto. Esposito aveva lasciato la cena completamente soddisfatto, era tantissimo tempo, anzi forse mai in vita sua, che non mangiava così bene. A differenza di tutti però, si era tenuto molto controllato per quanto riguardava il vino, non voleva sentirsi troppo intontito per il suo programmino del dopo cena. Invece di raggiungere la sua piccola cabina, nel ponte inferiore della nave, proseguì silenziosamente verso il suo regno, ora buio e silenzioso. La stiva. Senza le lampade allo xeno che illuminavano tutto di luce bianca, la stiva era completamente immersa nella penombra intervallata dalle larghe pozze di luce rossa provocate dalle luci di allarme che Zanetta era riuscito a far rimanere costantemente accese. Raggiunse il suo piccolo ufficio e da un cassetto estrasse la video cartella che gli era stata consegnata al momento dell’imbarco dei container del contrammiraglio. C’era qualcosa che lo aveva colpito fin da subito, una cosa così assurda da non potere non suscitare la sua curiosità. La sua capacità di cogliere le occasioni per arrotondare il suo stipendio, il suo sesto senso se vogliamo, si era immediatamente acceso, proprio come le luci di allarme della nave. Nei giorni precedenti non aveva avuto tempo di approfondire la cosa, con tutto quello che era successo non c’era stato nemmeno il tempo di respirare,


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ma una guardatina insieme a Luca era riuscito comunque a darla anche se non così approfondita come avrebbe voluto. Poi era arrivato l’ordine di aprire il portellone e aveva dovuto abbandonare la sua piccola ispezioncina. Ma ora, nel cuore della notte (o meglio, quella che l’orologio regolato sull’ora di Roma indicava come notte) e dopo una festa in cui tutti avevano esagerato con il vino, avrebbe avuto tutto il tempo a disposizione per soddisfare la sua curiosità. Accese la cartella e richiamò la pagina virtuale della bolletta di carico. Osservò attentamente i dati riportati. Sembrava tutto normale, ma quello che aveva acceso la sua curiosità – e forse quella di chiunque altro l’avesse letta – era la parte in cui si riportava la descrizione del carico: palline da golf; n° 240.000. C’era poi un altro particolare, che a molti sarebbe sfuggito, che aveva accentuato i suoi sospetti, ossia la provenienza, in sé non aveva niente di strano perché indicava il deposito navale di La Spezia, ma era la piccola dicitura a fianco che non quadrava con la natura del carico. La casella portava un indicazione che non aveva mai visto: D.M.S. Celio. Che voleva fare il Dipartimento di Sanità della Marina con più di duecentomila palline da golf su Marte? Un mega torneo? Molto improbabile. Ripose la cartelletta nel cassetto e uscendo dal suo cubicolo, un spazio ricavato da un pezzo di container riadattato, si inoltrò nei meandri rossastri della stiva. Raggiunse lo scomparto in cui era alloggiati i container e rimase qualche istante a fissarli, poi si avvicinò con decisione ad uno di essi. Osservò attentamente la piccola tastiera numerica posta a lato della serratura elettronica, sulla quale andava digitato il codice che ne avrebbe sboccato la chiusura. Subito sotto ad essa c'era l’apposita bocchetta in cui andava inserita una tesserina magnetica identificativa. Suo nipote Mimmo di dodici anni, il figlio di sua sorella Filomena, era un provetto informatico. Da quando a sei anni gli avevano regalato il primo computer ci si era immediatamente appassionato, iniziando ad esplorare quel mondo fatto di uno e di zero, come una nave da ricerca nelle profondità del sistema solare. Esposito si era accorto di questa sua dote un giorno in cui fu chiamato al posto dei genitori, in quel momento assenti, proprio dall’insegnate di informatica del piccolo Mimmo. Il ragazzino aveva violato il database della scuola, correggendo i propri voti e portandoli al massimo della valutazione.


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Un peccato di ingenuità da parte del ragazzino, che se avesse volato più basso con le proprie valutazioni, probabilmente non sarebbe mai stato scoperto. Esposito non disse niente a sua sorella e suo cognato, ma incoraggiò comunque il ragazzo a proseguire sulla strada della conoscenza informatica, dietro la promessa solenne di Mimmo, di non ripetere mai più ciò che aveva fatto . Un incoraggiamento che aveva dato i suoi frutti, soprattutto in quel momento quando Esposito inserì una piccola tessera magnetica, fornitagli da Mimmo ora sedicenne, nella apposita bocchetta. La scheda abilmente modificata da quel piccolo genio, decifrò in pochi istanti il codice, facendo accendere la piccola luce verde di accesso consentito e sbloccando le serrature del container. Un gioco da ragazzi per il piccolo Mimmo, una vera comodità per zio Pasquale, che doveva mantenere una famiglia di dodici persone. La saracinesca si sollevò silenziosamente, scorrendo sotto il soffitto del container, rivelando ad Esposito il proprio contenuto. Il container era pieno di contenitori di plastica, sui quali erano stampato il logo stilizzato di un omino che giocava a golf. Perplesso e non affatto convinto, prese uno degli scatoloni estraendo dalla tasca posteriore un taglierino, e con un rapido movimento tagliò il nastro adesivo che ne teneva chiusi i lembi superiori. Ciò che c'era all'interno, come del resto si aspettava, era tutt’altro rispetto a quanto riportato nella bolletta di carico. Rimase qualche istante a fissarne il contenuto, assorto nel valutare svariate possibilità, poi prese dell’altro nastro adesivo e richiuse il contenitore rimettendolo al suo posto. Pochi attimi dopo la saracinesca era di nuovo abbassata, il container sigillato e la memoria del computer senza alcuna traccia della manomissione di Esposito. A quel punto, vista ormai l’ora tarda e la sua curiosità soddisfatta, si diresse verso la sua cabina, dove prima di addormentarsi continuò a pensare a come piazzare due container pieni zeppi di preservativi.


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^ N.S.M. Maria Goretti – Punto di rendez-vous con la nave cisterna Trento. 04 settembre 2196 – 05:31 Amedeo era in plancia dalle quattro del mattino, finalmente erano quasi giunti a destinazione, l’ultimo ostacolo da superare sarebbe stato il rifornimento in volo con la Trento. Un’operazione non facile con due navi che procedevano affiancate a un milione e centomila chilometri orari di velocità. Normalmente tale manovra veniva effettuata a navi ferme o in alcuni casi a velocità ben inferiori, ma la Goretti non poteva rallentare, poiché non aveva il carburante per poterlo fare. Tuttavia era confortato dal fatto che la maggior parte del lavoro sarebbe stato svolto dai computers delle due navi, e che i ragazzi della Trento erano tutt’altro che novellini. Ogni singola postazione in plancia era occupata: dalla centrale operativa dove sedeva Fumagalli, alla postazione delle comunicazioni occupata da Quaglia. Bordin in sala macchine, era allerta e pronto ad aprire la bocchetta che avrebbe dovuto ricevere la sonda della Trento, attraverso la quale sarebbe stato pompato il gas per nei serbatoi superstiti. Da quando era stata resa nota la notizia della caduta di Campo Garibaldi l’atmosfera all’interno della nave si era come rarefatta, nessuno pareva volersi soffermare sulle implicazioni di quell’avvenimento, così i membri dell’equipaggio parlavano di tutt’altro come se ignorando l’accaduto le cose si sarebbero sistemate da sole. Solo quattro persone sulla nave erano a conoscenza dell’aumentata importanza della missione in atto: Amedeo e Cunetto che avevano ricevuto la comunicazione, Beretta che l’aveva accolta aprendo una bottiglia di cognac e chiudendosi in infermeria, e Fumagalli che ne era stato informato sia da Amedeo che dallo stesso contrammiraglio. Nonostante la reazione di Beretta, comunque prevedibile, il più sconvolto era apparso Fumagalli. Una reazione strana, pensò Amedeo, da parte di un militarista convinto avido d’azioni guerresche. Allo stato attuale delle cose, con la proibizione del governo di rendere pubblica la cosa perfino agli alleati, l’unico sistema di scongiurare un contagio di massa su Ares era l’arrivo dei medicinali e delle attrezzature mediche di supporto che stavano trasportando.


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Come aveva detto Capace la caduta di Ares poteva significare la perdita dell’intero pianeta. Il tempo passava e Amedeo chiese l’ennesimo aggiornamento su velocità e distanza del luogo di rendez-vous “Velocità uno punto zero sette, costanti” rispose Fumagalli, che col passare del tempo pareva incupirsi sempre più. Amedeo continuava a chiedersi il motivo dello stato d'animo del suo secondo,, visto che una guerra, per uno come Fumagalli, avrebbe potuto rappresentare un’occasione unica per farsi strada nelle gerarchie della marina, e soprattutto avere maggiori possibilità di ottenere un trasferimento su di una vera unità da battaglia. Naturalmente non poteva chiederglielo apertamente, quindi aveva esposto le sue perplessità al dottore, il quale aveva supposto che il giovane comandante in seconda doveva aver scoperto che un conto è desiderare qualcosa, un altro è vedersela esaudita. “Dio realizza i desideri di chi vuol punire” aveva affermato. Uno dei sofismi preferiti del dottore. Tuttavia quel giorno il comandante in seconda della Goretti era particolarmente teso, più di cattivo umore di quanto non lo fosse solitamente. Amedeo gettò un’occhiata nella sua direzione e lo vide chino sul tavolo da carteggio nella sala operativa, mentre si rosicchiava nervosamente le unghie di una mano. Non ricordava di averlo mai visto in quello stato, ma del resto nessuno di loro si era trovato ad affrontare una situazione simile, anche se, tutto sommato, la reazione di Fumagalli gli parve un po’ esagerata. In fin dei conti sebbene eseguita ad alta velocità la manovra, seppur delicata, non presentava eccessive difficoltà. Non per i computers quanto meno, sebbene molte cose avrebbero potuto andare storte le probabilità che ciò accadesse erano scarse. “Signore” intervenne Quaglia interrompendo le riflessioni di Amedeo “La Trento comunica che ci ha sui suoi schermi radar” “Bene. Dia il ricevuto e che procediamo secondo il programma. Dia conferma che siamo operativi e pronti per il rifornimento” “Sì signore” “Confermo contatto con la Trento Signore” intervenne Dallatorre, l’addetto radar. Amedeo provò un senso di piacere nell’aver individuato, con i nuovi strumenti, la Trento praticamente contemporaneamente. Ringraziò mentalmente il cardinale, grazie al quale erano stati sostituiti gli antiquati e


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obsoleti strumenti in dotazione alla sua nave, e che avrebbero individuato la Trento con un ritardo veramente imbarazzante. Si girò verso Fumagalli convinto di riscontrare la stessa soddisfazione che provava lui, ma il suo secondo non rispose allo sguardo compiaciuto del suo comandante, anzi gli apparve ancora più nervoso e cupo, notò che continuava a rosicchiarsi le unghie e rispondeva alle richieste di dati con lo sguardo caparbiamente fisso sul tavolo da carteggio. “Problemi tenente?” gli chiese sempre più perplesso per il suo atteggiamento. Visto che una volta tanto la Goretti si comportava egregiamente si aspettava un minimo di soddisfazione anche da parte Fumagalli, sempre contrariato per la scarsa affidabilità della nave. Invece nulla, anzi pareva che quell’efficienza addirittura lo infastidisse. “Nessun problema, signore” fu la secca risposta, data senza nemmeno alzare lo sguardo dal monitor. “Bene…” esitò scrutando il volto del suo secondo, dal quale traspariva inspiegabilmente il più profondo disappunto “… facciamo un check delle procedure” Nel frattempo sulla Trento si stavano a loro volta preparando per la complicata operazione di rifornimento. “Come si chiama la nave che dobbiamo rifornire?” chiese il comandante per la terza volta, cercando di richiamare alla mente gli ordini che aveva ricevuto “Hem…” il secondo richiamò a video gli ordini ricevuti “… Ah ecco, è la Maria Goretti, signore” “Maria Goretti?… mai sentita. Ma che nave è? Siamo sicuri che esista?” “Bè, signore sul database della marina c’è. E’ una nave da trasporto…” lesse il secondo sullo schermo del monitor “…classe Gorgona, il comandante è il tenente di vascello Fiore, la nave è in servizio dal ’49” leggendo la data il secondo pensò di aver letto male, ma poi accorgendosi che i dati sotto i suoi occhi erano proprio quelli, si lasciò sfuggire un fischio sommesso. “Dal ’49?” ripeté il comandante assolutamente sconcertato “Santo cielo, è più vecchia della maggior parte del personale della marina. Mi chiedo se hanno la bocchetta adeguata alla nostra sonda” “Sì signore, la scheda dice che sono state apportate modifiche dieci anni fa, per la rimodernizzazione dei sistemi” “Dieci anni fa avrebbero dovuto smantellarla” sentenziò il comandante della Trento suscitando qualche risatina in plancia. “Mi domando chi sia questo comandante Fiore? E da chi sia composto il suo equipaggio”


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“Credo che non brillino di professionalità, signore, tant’è che il loro secondo mi ha dovuto mandare due volte le coordinate per il rendez-vous, perché la prima volta, così mi ha detto, c’era stato un errore del computer” disse il secondo ammiccando verso proprio comandante con un mezzo sorriso sulle labbra. Nessuno infatti, poteva credere che un computer potesse sbagliare i calcoli effettuati, se i dati inseriti erano corretti. Un errore grossolano che lui non aveva e non avrebbe mai commesso. “Dilettanti o no, speriamo che sappiano come procedere alla manovra di rifornimento. La loro rotta?” “Corretta signore, dritti come un fuso. Il lavoro grosso spetterà a noi” “Come sempre” commentò il comandante “Bene, procediamo. Impostare rotta e velocità di affiancamento, teniamo presente che quella nave dimenticata da Dio e dagli uomini, è pur sempre una nave della marina” disse “anche se si stenta a crederlo” aggiunse sottovoce. Il computer della Trento avvalendosi delle strumentazioni di rilevazione e dei radar, portò la nave cisterna su di una rotta e ad una velocità tali da intercettare la Goretti, incapace di manovrare, e affiancarla sul lato di dritta. Il contatto avvenne esattamente alle coordinate stabilite e dalle cisterne di gas della Trento uscì la sonda, guidata da un operatore che procedeva a vista e che comunicava alla plancia per le piccole correzioni di assetto necessarie al perfetto allineamento tra le due navi. La sonda compiuto quel breve tragitto, si andò ad inserire perfettamente nella bocchetta di rifornimento della Goretti. Riempire i due serbatoi superstiti richiese circa un quarto d’ora, dopo di ché la sonda venne ritratta e scambiati i saluti di rito, le due navi si separarono con la Goretti finalmente in grado di manovrare. Il giorno dopo, con un giorno di ritardo sulla data prevista alla partenza dalla stazione Monte Bianco, la Goretti attraccò al dock a lei riservato sulla stazione orbitante Ares. Marte era un immensa sfera verde rossastra sotto di loro. “Nave ormeggiata e in sicurezza” comunicò Fumagalli con la voce piatta e priva di qualunque emozione, che lo aveva contraddistinto negli ultimi giorni di viaggio. Amedeo si chiese per l’ennesima volta cosa fosse successo al suo secondo, ma fargli domande dirette sarebbe stato troppo indiscreto e inopportuno visto che comunque Fumagalli continuava a svolgere i suoi compiti con l’abituale competenza.


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“Bene, avvisi Esposito che può iniziare le operazioni di scarico quanto prima. Io scendo nella stiva. Appena possibile mi raggiunga, intanto la nave è sua” “Il secondo prende il controllo” recitò con voce svogliata Fumagalli, e Amedeo si chiese nuovamente se non fosse il caso di chiedere al dottore di controllare lo stato di salute fisica, ma più che altro mentale del suo secondo, temendo un caso di depressione spaziale. Fattasi un’annotazione al riguardo archiviò per il momento il problema scendendo nella stiva, dove sapeva che avrebbe trovato Cunetto, intento ad accertasi che il suo materiale fosse immediatamente scaricato e reso disponibile per il colonnello Ponzi. Non più su Marte, purtroppo, ma nella zona in quarantena del settore italiano. Le operazioni di scarico si svolsero velocissime, in quanto il personale della stazione era stato avvertito dell’arrivo della Goretti e della priorità del suo carico. Non ci vollero più di venti minuti per portare sulle banchine, e caricare sui mezzi di trasporto, i vari container contenenti i materiali e le attrezzature. Non rimanevano che i saluti. Amedeo si girò verso la stiva cercando Fumagalli, ma del sottotenente non c’era traccia. Anche questo gli parve strano, conoscendo l’adorazione che aveva per le alte cariche della marina, pensava che non si sarebbe perso per nulla al mondo l’opportunità di accomiatarsi addirittura da un ufficiale dello stato maggiore. Cunetto intanto si stava avvicinando a lui con la mano tesa. “Ci siamo comandante. Volevo ringraziarla per tutto, e in particolare per aver accettato di svolgere questa strana esercitazione” disse Cunetto sorridendo e alludendo al modo alquanto discutibile con cui avevano lasciato la stazione Monte Bianco. Solo un discutibile escamotage e la protezione del Capo di Stato Maggiore del COI, aveva permesso alla Goretti di salpare. “E’ stato un piacere, signore” disse Amedeo accettando la mano che gli veniva offerta e stringendola con vigore. Poi abbandonando quei saluti assai poco formali, si congedò dal contrammiraglio eseguendo il saluto, al quale questi rispose con il medesimo vigore con cui gli aveva stretto la mano prima di girarsi per andare a raggiungere i suoi assistenti già pronti su di un mezzo elettrico che li avrebbe velocemente portati alla zona di quarantena, dove avrebbero iniziato immediatamente il loro lavoro. Prima che il mezzo sparisse nei meandri della stazione, il contrammiraglio si girò verso di lui: “Mi saluti il dottor Beretta” urlò per sovrastare il rumore


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del dock, molto più ampio di quello di Monte Bianco “E se rimarrete qualche giorno ad Ares per le riparazioni, gli dica che sarei onorato di averlo al mio fianco all’ospedale militare!” “Riferirò!” rispose Amedeo. Poi rientrò nel ventre ancora illuminato di rosso della sua nave, chiedendosi cosa avesse trattenuto Fumagalli.

^ Stazione Orbitante U.S.A. (N.A.T.O.) “Ares” - Orbita geostazionaria Marte – settore italiano. 07 settembre 2196 – 09:30 I lavori sulla Goretti stavano precedendo con i tempi propri di un arsenale della marina. Lenti, tendenti al lentissimo. Amedeo aveva passato quasi ogni ora, dopo il loro arrivo, presso gli uffici dell’arsenale a perorare le riparazioni necessarie alla sua nave per poter ripartire. Naturalmente tutti i suoi sforzi si erano scontrati contro il muro difensivo della burocrazia, inoltre il suo secondo non gli era certo di aiuto sprofondato com’era, in una sorta di apatia che, temeva Amedeo, avrebbe potuto sfociare in una depressione vera e propria. Succedeva, qualche volta, a chi passava parecchio tempo nello spazio, che la mancanza di sole, luci perennemente artificiali, spazi stretti (almeno sulla Goretti), contribuissero a far cadere diversi individui in quella che veniva definita depressione spaziale. Si era ripromesso di parlarne al dottore, ma questi aveva accettato l’invito del contrammiraglio, e appena ripresosi da uno dei suoi ricorrenti malori si era recato all’ospedale militare e non si era più rivisto. Comunque Fumagalli, che di solito si occupava con solerzia di queste faccende ottenendo spesso risultati concreti, ora si limitava a compilare meccanicamente i molteplici, e sovrabbondanti moduli, per l’ottenimento di mano d’opera e pezzi di ricambio necessari alle riparazioni. Aveva cercato qualche volta di fare breccia nel muro di apatia del suo secondo, ma questi alle sue domande più o meno dirette aveva sempre reagito, o cambiando argomento, oppure assicurandolo che non c’era niente che non andasse. Più di così non sapeva che fare, se non ordinargli espressamente di sottoporsi ad una visita medica e psicologica, cosa che per il momento non aveva alcuna intenzione di fare.


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Pertanto non gli restava che destreggiarsi da solo tra le molteplici trappole amministrative del misterioso mondo delle riparazioni e dei pezzi di ricambio, un mondo ostile e impervio, popolato da crudeli e sadiche creature che gli antropologi avevano classificato col nome di burocrati. Così, mentre Amedeo lottava strenuamente una battaglia impari nei meandri incomprensibili della burocrazia, il suo responsabile di carico Pasquale Esposito, a sua volta, si muoveva in altri meandri meno visibili, ma a lui più congegnali e il cui meccanismo gli era perfettamente noto. Naturalmente tutte le attrezzature mediche portate da Cunetto erano andate con assoluta priorità nell’ospedale militare, ma il resto del carico, quello che Esposito trovava assai più interessante, doveva transitare per forza nel deposito merci della marina, un ambiente che stava al piccolo napoletano come un un pollaio ad una volpe. Il secondo giorno di permanenza sulla stazione, Esposito decise che era giunto il momento di andare a dare un’occhiata dove erano stati immagazzinati i container contenenti i preservativi. Seguito da suo aiutante Luca, si inoltrò all’interno della stazione, in direzione del deposito e delle meraviglie che conteneva. Naturalmente l’accesso alla zona del magazzino ero consentita solo agli addetti ai lavori, ma una tessera di ispettore generale falsificata ad arte, sortì lo stesso effetto della parola magica pronunciata da Aladino davanti alla porta del covo dei quaranta ladroni. Una volta dentro non restava che cercare la persona giusta. “Che facciamo adesso, capo” chiese Luca guardandosi intorno con aria smarrita. Si trovavano in un ampio spazio, all’interno del quale erano accatastate letteralmente montagne di materiale: casse, contenitori di plastica, container, il tutto circondato da un’attività febbrile di trans-pallet e muletti elettrici. “Adesso vediamo di capire dove andare. Iamme uagliò!” disse dirigendosi verso quello che poteva essere un ufficio e facendo cenno a Luca di seguirlo. L'ufficio, come infatti si rivelò essere, era una struttura bassa, ricavata dalla fusione tra loro di alcuni container, priva di finestre e con solo una porta d’ingresso in plastica che Esposito aprì senza tante cerimonie. Se l’aspetto esteriore dava l’idea del raffazzonato, l’interno di certo non tradiva le aspettative di chi entrava per la prima volta. Una serie variegata di tavoli che andavano da quello da cucina, a quello che pareva essere un banco di scuola, fungevano da scrivania a una mezza dozzina di marinai comuni, intenti a immettere dati in computer che avrebbero fatto sembrare quelli della Goretti delle meraviglie di modernità,


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e stampare bollette e documenti su video cartelle che di sicuro avevano visto giorni migliori. In sostanza sembrava regnare il caos più totale. Il volto di Esposito si aprì in un sorriso che avrebbe suscitato l'invidia a uno squalo. Si sentiva letteralmente estasiato da quella situazione, che di sicuro gli avrebbe enormemente facilitato il compito. Il caos degli uffici approvvigionamenti era il suo pane e la sua fortuna, uno stagno ribollente in cui lui era il pesce più grosso, veloce e vorace. Non dubitò neppure per un istante che in quel luogo sarebbe sorto un nuovo e proficuo sodalizio d’ affari. Si avvicinò alla scrivania più vicina mostrando nuovamente il tesserino ad un comune semi sommerso da cartelle da inserire nel computer. Il poveraccio si muoveva ritmicamente inserendo l’innesto delle cartelle al suo terminale e digitando sulla tastiera i comandi necessari per il download dei dati, per poi, una volta terminata l'operazione, collegare una nuova cartella e ricominciare da capo, e così via apparentemente all’infinito. “Buongiorno” salutò educatamente Esposito. Alle sue spalle la figura imponente di Marchini torreggiava, gettando un’ombra sulla scrivania. L’impiegato alzò lo sguardo dal suo lavoro, due occhi cerchiati di rosso e profondamente incassati di chi svolge un lavoro incredibilmente alienante lo fissarono stupefatti. “Buongiorno” rispose lo schiavo con un filo di voce. “Cercavo il maresciallo capo Conti” disse Esposito mostrando la tessera che il comune non si prese nemmeno la briga di guardare. “Lo troverà oltre quella porta, ma prima si faccia annunciare dal sergente, laggiù” disse indicando un militare seduto ad una sedia con il ripiano per prendere appunti. Il sergente in questione era piazzato davanti ad una porta dello stesso colore squallido delle pareti, e che probabilmente dava in un altro ambiente ricavato dallo spazio residuo dei container. Il sergente era l’unico che pareva non avesse nulla da fare. “Grazie” salutò Esposito incamminandosi in quella direzione, seguito come un’ombra da Luca. “Buongiorno” ripeté, stavolta al sergente, sorridendo amabilmente. Il sergente che pareva avere le facoltà cognitive di un bue, alzò lentamente gli occhi da un video game tascabile, in cui un uomo nudo perfettamente riprodotto in 3d rincorreva varie ragazze acquisendo punti ogni volta che ne afferrava una, e aggiungendone altri extra, a seconda della difficoltà delle posizioni che assumeva nel coito virtuale. Il sergente mise in pausa rimanendo a fissare stolidamente Esposito.


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“Buongiorno” ripeté questi con la pazienza di un insegnate di sostegno “Sono il primo maresciallo luogotenente Astorre” disse presentando nuovamente il tesserino anche questa volta assolutamente ignorato, anche se un certo effetto dovette ottenerlo, perché il sottufficiale si alzò dalla sua sedia e bussò educatamente alla porta, aprendola dopo averne ottenuto il permesso da una voce chioccia proveniente dall'altro lato. “C’è l’ispettore che stava aspettando” comunicò il sergente, come se Esposito fosse atteso, cosa che comunque doveva essere, visti gli accordi che aveva preso prima di arrivare. “Fallo entrare” disse la voce dall’interno. Il sergente spalancò la porta permettendo così ad Esposito di entrare, ma quando Marchini fece per seguirlo si mise in mezzo. “Tu no” disse, i due quasi si equivalevano per stazza e mole, anche se Marchini era qualche centimetro più alto e più largo di spalle. Luca si irrigidì, fronteggiando faccia a faccia il sergente. “Tranquillo Luca” lo trattenne Esposito appoggiandogli una mano sul petto. Marchini rimase immobile, continuando a fissare in cagnesco il sergente che non si era spostato di un millimetro. “Aspettami qua” gli ordinò, e solo quando lo vide appoggiarsi apparentemente tranquillo alla parete dell’ufficio entrò chiudendosi la porta alle spalle. L’interno dell’ufficio di Conti era arredato in modo spartano, alcuni armadi in metallo dipinti del classico grigio deprimente da ufficio, una scrivania (vera) e un paio di sedie, anch’esse di metallo e anch’esse grigie, poste di fronte ad essa. Alla scrivania sedeva un capo di prima classe, che non appena Esposito varcò la soglia si appoggiò pesantemente allo schienale della sua poltrona da ufficio, unico componente dell’arredo di un certo lusso, la quale scricchiolò in modo allarmante sotto il peso del suo occupante. Conti era grosso, ma non nel senso muscolare del termine, era proprio grosso come persona, aveva un culo così largo che trasbordava oltre lati della poltrona, mentre sui fianchi le maniglie dell’amore straripavano oltre i braccioli, i quali, pareva lo tenessero implacabilmente prigioniero al loro interno. La faccia era la rappresentazione umana della luna piena, due labbra carnose e grosse sotto ad un naso quasi camuso, e due occhi piccoli sprofondati nelle guance talmente grasse che quasi li coprivano del tutto.


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Una balena spiaggiata su di una sedia d’ufficio. Conti stava evidentemente facendo colazione, infatti un grosso vassoio ricolmo di brioches e dolci di ogni tipo, si accompagnava ad un’immensa tazza di cioccolato al latte. Naturalmente il primo capo avrebbe dovuto alzarsi e salutare, visto che Esposito esibiva col suo camuffamento i tre binari bordati di rosso con la stelletta da primo maresciallo luogotenente, due gradi in più rispetto al colosso seduto alla scrivania, ma Esposito non era certo un fanatico della disciplina, e senza dire una parola si accomodò ad una delle due sedie libere. Conti che non gli aveva staccato gli occhi di dosso da quando era entrato, continuò a fissarlo senza dire una parola. Per qualche istante entrambi rimasero in silenzio guardandosi a vicenda. Esposito con un sorriso beffardo sulle labbra, Conti con l’aria perplessa ed ebete di chi non capisce cosa stia succedendo. Fu Conti a parlare per primo, una sola parola, insolente e inquisitoria. “Allora?” chiese sputacchiando qualche briciola di brioches dalla bocca. “Dovrei farti rapporto per non aver salutato un superiore” disse Esposito con noncuranza “Vedo che la disciplina in questo posto lascia molto a desiderare” “Vaffanculo” rispose il capo ed il piccolo napoletano scoppiò a ridere. La balena invece rimase seria. “E già, proprio mancanza di disciplina e rispetto per i superiori, ma per tua fortuna io non sono uno culo e camicia col regolamento” “Insomma che cazzo vuoi?” “Quello che voglio lo vedremo. Ti dovrebbe aver contattato un certo Giovanni…” “Giovanni è una testa di cazzo” “Su questo siamo d’accordo, ma avendoti comunque contattato sarai quindi informato sulla merce che ho a disposizione” “Della merce di Giovanni non me ne frega niente, quindi se mi vuoi scusare…” disse indicando in modo eloquente il vassoio della colazione. “Si, si, certo, mangia pure” disse Esposito ignorando beatamente il sottinteso “Non è della merce di Giovanni che ti volevo parlare” “Ah si? e di quale merce allora?” “Altra merce” “Senti ciccio…” disse il capo spingendo la sua mole verso Esposito “…non mi frega un cazzo né di te né di quel coglione di Giovanni e soprattutto della sue merce di merda. Chiaro? Quindi alza il tuo culo ossuto da quella sedia e sparisci”


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Come tutta risposta Esposito rise di nuovo, sporgendosi a sua volta verso il capo, e come se niente fosse agguantò una delle brioches e si mise placidamente a mangiarla. Gli occhi di Conti si spalancarono, mentre la faccia da luna piena divenne rossa, una vena prese a pulsargli sulla tempia, il fiato corto, mentre lo sguardo stralunato andava dal vassoio a Esposito, che continuava tranquillamente ad addentare la brioche con un ampio sorriso stampato in faccia. “Ma che cazzo…?” riuscì a farfugliare. “Allora non mi ascolti” fece sornione Esposito “Ti ho detto che ho della merce mia da trattare” “E io ti ripeto che non me ne frega una sega!” sibilò con gli occhietti maligni che si erano minacciosamente ristretti ad una fessura. “Tch…tch… vedo che oltre alla disciplina in questo posto siete anche a corto di educazione” osservò il falso maresciallo scuotendo platealmente la testa. “Io ti faccio sfondare quel cranio pieno di merda a calci!” sbraitò Conti cercando faticosamente di alzarsi dalla sua poltrona. “Calma Pietro, altrimenti il tuo cuoricino rischia di farsi venire un infarto” La situazione per Conti era così paradossale che finì per sedersi. La sua voce tornò normale. “Senti, penso che ora sia meglio che tu te ne vada” ansimò Conti cercando di ritrovare il controllo di sé. “Calma Pietro, sono qui per affari” “Ti ho già detto che non voglio fare affari con quella mezza sega di Giovanni, né tanto meno con un suo inutile tirapiedi!” Ora Esposito si raddrizzò sulla sedia, il suo atteggiamento strafottente e guascone era scomparso. “Primo: io non sono il tirapiedi di nessuno, caro il mio ciccione. Secondo: i miei affari non riguardano, se non rarissime volte, mezze seghe come Giovanni. Terzo: la merce che ti propongo è mia, e se vuoi qualche garanzia o informazione su di me forse potresti stare a sentire i miei di tirapiedi. Credo che tu li conosca, sono quelli che ti pagano lo stipendio, e non intendo quello della marina” “Mi prendi per stupido?” sibilò Conti. Esposito si sporse in avanti, allungandogli una piccola cartelletta tascabile sulla quale era visibile un codice.


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Il volto di Conti parve disfarsi, la bocca semiaperta, sul cui labbro inferiore erano rimaste attaccate alcune briciole, prese a tremare, mentre gli occhi gli si erano spalancati per lo stupore. “Ah…!” fu l’unico suono sfiatato che riuscì ad emettere. “Bene” riprese Esposito nuovamente col sorriso sulle labbra “Ora che siamo diventati amici, vogliamo parlare di affari?” “Certo… “ farfugliò Conti “…Certo, posso farti portare del caffè?” “Una tazzuriella 'e caffè non si rifiuta mai” sorrise il piccolo napoletano. Conti premette un pulsante sotto la scrivania, ed un paio di minuti dopo il sergente di guardia alla porta entrò con un vassoio sul quale c’erano due tazze di caffè fumanti, di porcellana, non di plastica, e una zuccheriera che sembrava d’argento. “Vedo che il caos regna sovrano nel tuo deposito, caro Pietro” osservò Esposito, gettando uno sguardo attraverso la porta che si stava lentamente chiudendo alle spalle del sergente, mentre sorseggiava la bevanda dalla tazzina. Una miscela arabica di qualità superiore. “Il caos ha un grosso pregio: rende liberi. Se capisci cosa intendo” “Lo capisco perfettamente e ne apprezzo tutte le sfumature” “Allora di cosa vuoi parlare? Quali affari mi vuoi proporre?” “Si da il caso che io e i miei soci sappiamo che una nave ha trasportato su questo remoto angolo di cielo, un paio di container che contengono del materiale sicuramente interessante, e che come è prassi normale, sono stati stoccati nel tuo efficiente magazzino. Ora, i container sono contrassegnati con il codice dell'arsenale di La Spezia, ma…” si interruppe facendo una pausa ad effetto allargando le braccia “…sulla bolla troverai la dicitura: palle da golf” “Palle da golf? Chi è così cretino da mandare palle da golf su Marte? Comunque ho capito a quali container ti riferisci e mi dispiace dirtelo, ma quei container sono verboten. Ci sono ordini precisi dai piani alti di tenerli separati da resto del materiale, e renderli disponibili solo su richiesta dell’ufficio del comandante della base” “Sono convinto che un uomo in gamba come te riuscirà senz’altro ad aggirare questo semplice ostacolo” “Ma cosa contengono quei container?” “Preservativi. Un’intera montagna di ottimi preservativi. Ritardanti per lui stimolanti per lei” recitò Esposito sorridendo. “Preservativi? E tu hai messo su tutto questo casino per una partita di semplici preservativi?” “Già”


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“Scusa ma non ti seguo” “Infatti tu non mi devi seguire. Ti devi dare da fare” *** La stazione orbitante Ares era un immensa struttura circolare di sei chilometri di diametro, metà della quale era occupata dalle forze americane, mentre l’altra metà divisa in spicchi, o settori, delimitati dalle banchine di approdo, erano assegnati alle altre forze alleate presenti su Marte. All’Italia era stato assegnato un settore dotato, come tutti gli altri, di due banchine doppie sovrapposte, che potevano ospitare otto grandi navi, quattro per banchina, oppure sedici di piccole o medie dimensioni. La stazione appariva a chi la vedeva dall’esterno, come una struttura formata da due coni molto schiacciati sovrapposti l’uno all’altro per la superficie più ampia da cui si diramavano a raggiera le banchine di approdo delle navi. La Pietro Micca terminò la sua manovra di frenata infilandosi agilmente in mezzo al traffico presente attorno alla stazione, composto per lo più da piccole navi planetarie che facevano la spola tra Ares e Marte, e le altre navi militari e civili provenienti da tutto il sistema solare. L’incrociatore italiano scivolò lentamente verso la banchina di attracco assegnatali dal controllo traffico centrale, con qualche ugello di manovra che ogni tanto emetteva un getto di gas per i piccoli aggiustamenti di assetto necessari all’attracco. Mancina osservava la scena da uno dei finestroni del ponte comando, osservando l’attività frenetica che si svolgeva attorno alla stazione. Al suo fianco il cardinal Pompini osservava altrettanto stupefatto quell’immensa opera dell’uomo fluttuare nello spazio al di sopra di Marte. Sotto la stazione la superficie del pianeta riluceva verde rossastra nelle parti non nascoste dalle coltri bianche di nubi. Il grande oceano settentrionale, il Vastitas Borealis appariva di un profondo blu cobalto. “Uno spettacolo assolutamente magnifico” disse il cardinale con un filo di voce, prima che il pianeta venisse interamente nascosto dalla mole della stazione. Alcune navi erano ormeggiate alle banchine, un paio di incrociatori, due o tre cargo planetari, che parevano infinitamente piccoli a contatto con la massa della stazione, e ad una delle banchine c’era una nave che Mancina faticò a riconoscere al primo sguardo. Faticò perché quella nave non sarebbe dovuta essere lì, almeno non ancora.


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La Maria Goretti era ancorata alla banchina contrassegnata da un immenso numero tre bianco dipinto sulla parete, esattamente quella, al cui lato opposto si stava avvicinando la Pietro Micca. Una grossa macchia più scura era visibile nella parte posteriore dello scafo, dove Zanetta aveva effettuato le saldature dei rivetti di rinforzo. Una visione che dava l’idea di una pezza sul sedere di un pezzente. Perfetta metafora sulla natura di quella carretta, pensò Mancina serrando la mascella. “Uno spettacolo veramente insolito e inaspettato” convenne a denti stretti, rispondendo un po’ tardivamente all’affermazione del cardinale. Pompini si voltò a guardarlo con un sorriso, non poteva cogliere il sottinteso del responsabile politico della marina. All’interno della banchina, intanto, Amedeo insieme al direttore di macchina Bordin stava sovrintendendo alla consegna di due nuovi serbatoi per lo xeno, in sostituzione di quelli esplosi. Non aveva ancora capito come, ma grazie anche all’aiuto di Fumagalli – un aiuto assai svogliato – era riuscito ad ottenerne la consegna, ed ora un grosso montacarichi li stava scaricando da un altrettanto imponente mezzo elettrico da trasporto. “Salve Bordin come procediamo?” lo salutò Amedeo notando che il suo direttore di macchina teneva tra le mani un oggetto metallico di discreto dimensioni. “Salve siòr, sarei venuto a cercarla fra qualche minuto” disse sollevando l'oggetto che aveva in mano per mostrarlo ad Amedeo, il quale riconobbe una valvola di ritegno, sebbene deformata. “Come mai?” chiese Amedeo la cui curiosità era stata stuzzicata dal tono corrucciato di Bordin “Ecco... comandante... lei sa che a me non piace non capire il motivo delle cose, specialmente se riguardano il mal funzionamento di quello che mi è di competenza...” “Si, lo so perfettamente” “Bè, ho esaminato le parti che sono riamaste coinvolte nell'esplosione, e... insomma ci sono alcune cose che non mi tornano, siòr” “In che senso?” “Ecco... la mia prima ipotesi è stata che questa valvola fosse difettosa...” disse sollevandola “ma poi, io... ecco... credo che sia stata manomessa” “Cosa glielo fa pensare?” chiese Amedeo con il pensiero dei terroristi gli si riaffacciava alla mente.


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“Che il suo difetto non può essere casuale, insomma ciò che ho riscontrato esaminandola assomiglia più ad una modifica che ad un difetto di fabbricazione” “Ne è sicuro?” domandò, sebbene la sua considerazione per le capacità del suo direttore di macchina era indiscussa. “Non da giurarlo, siòr” “D'accordo Bordin, non ne faccia parola con nessuno” gli ordinò, pensando se era il caso di inserire quel dettaglio nel rapporto che avrebbe scritto. “Sissignore” In quel momento sopraggiunse Fumagalli e i due accantonarono l'argomento. “Almeno questi son arrivati, siòr” disse Bordin osservando il montacarichi depositare il secondo serbatoio su di un pianale mobile che lo avrebbe portato all’interno della sala macchine. “Già e se si degnassero di consegnare anche i pezzi di ricambio per il motore, saremmo a cavallo. Abbiamo notizie di quei pezzi, tenente?” chiese rivolgendosi a Fumagalli che seguiva l’operazione di carico con lo stesso interesse di un astemio ad una fiera vinicola. “No” Amedeo scambiò uno sguardo con Bordin che si limitò a fare spallucce. Fumagalli continuava ad osservare con sguardo spento le operazioni di scarico dei serbatoi. “Allora sarà bene sollecitarle. Non crede tenente?” “Sì signore” “Tenente…” iniziò Amedeo con l’intenzione di convocare il suo secondo nella propria cabina, per ordinargli finalmente di sottoporsi ad una visita medica, quando un gran trambusto distrasse la sua attenzione. Dall’altra parte della banchina, a un centinaio di metri da loro, le autorità del settore italiano erano in attesa dell’arrivo della Pietro Micca. Le luci di avvenuto attracco si erano accese, e il picchetto d’onore si dispose su linee perfette per omaggiare il cardinale con le loro divise da parata. Un tappeto rosso andava dal grande portellone di accesso della banchina, fino ad un mezzo militare tirato perfettamente a lucido e recante sui parafanghi anteriori, le bandierine della Città del Vaticano e quella Repubblica Italiana. Bordin, Amedeo e Fumagalli si girarono a guardare, tutti e tre con sentimenti diversi: il primo con la curiosità che si riserva agli eventi inusuali, il secondo con un certo distacco, il terzo con angoscia. Finalmente il portellone si aprì e nella stazione spaziale internazionale (se per internazionale si intende americana) fece il suo ingresso in pompa


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magna il cardinal Pompini con tutto il suo seguito, mentre loro tre assistevano in silenzio alla scena dalla loro parte della banchina. Il primo ad varcare il portellone e mettere piede sul tappeto rosso fu proprio il cardinale, accolto dal comandante del settore italiano e dai più alti ufficiali di marina ed esercito presenti sulla stazione. Il cardinale procedette poi lungo il tappeto benedicendo tutto ciò che gli capitava a tiro, paratie e casse di ventilazione comprese, e insieme al seguito del cardinale, Amedeo riconobbe il volto di Mancina in alta uniforme intento a parlare con il segretario particolare del cardinale. La processione di alte cariche vaticane e militari procedette lungo tutto il percorso stabilito, fino a giungere alle vetture predisposte per il trasporto degli ospiti e tutti gli ufficiali. Improvvisamente Mancina si girò verso la Goretti e il suo sguardo si incrociò con quello di Amedeo. Per un istante il responsabile politico della marina rimase immobile, lo sguardo fisso, gli occhi ridotti a due fessure, la mascella contratta e i pugni serrati. Amedeo sostenne il suo sguardo, intuiva cosa stesse pensando il responsabile politico della marina e si augurò che la protezione di Cunetto potesse bastare contro quella furia a stento trattenuta. Lo scambio di sguardi durò almeno una decina di secondi, poi Mancina lasciò il seguito del cardinale e a grandi passi si diresse verso i tre della Goretti. I metri che li separavano erano un centinaio, quindi il tempo per coprire quella distanza era relativamente poco, ma ad Amedeo parve che il capitano letteralmente si materializzasse all’improvviso di fronte a lui, come se quella distanza fosse stata coperta con un solo impossibile balzo. Amedeo e i suoi scattarono sull’attenti porgendo il saluto dovuto ad un ufficiale superiore, e al quale Mancina rispose con gesto convulso. “Tenente Fiore, finalmente la incontro di persona” disse Mancina pronunciando il suo nome come fosse una bestemmia e mancando apertamente di rivolgersi a lui con la qualifica di comandante che gli spettava di diritto. “Signore” rispose cauto Amedeo “Vedo che siete riusciti ad arrivare sani e salvi nonostante le vostre pericolose avventure” sibilò “E addirittura prima della Pietro Micca” disse, stavolta guardando in tralice Fumagalli, il quale abbassò lo sguardo e arretrando istintivamente di un mezzo passo. “Sì signore…” rispose Amedeo con voce ferma. Non aveva nessuna intenzione di farsi intimidire davanti ai suoi uomini e davanti alla sua nave “…nonostante tutto abbiamo portato a termine la nostra miss… la nostra esercitazione” rispose, maledicendosi per quel piccolo lapsus.


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“Ah, ma davvero? Ma non le avevo tassativamente ordinato di non lasciare per nessun motivo la stazione Monte Bianco? Lei ha coscientemente disobbedito ad un ordine diretto tenente! Ma non si preoccupi, non appena sistemato il cardinale nei suoi alloggi provvederò personalmente a fare in modo che si istituisca un procedimento disciplinare nei suoi confronti. Un procedimento che, le assicuro, la porterà davanti ad una corte marziale” “Lei faccia quello che vuole capitano, ma io non ho disobbedito a nessun ordine” “Ha anche il coraggio di negare? Lei e il suo degno compare Cunetto avete messo a repentaglio un’importante missione diplomatica, che solo per puro caso e grazie al mio indefesso impegno e dedizione sono riuscito a portare a termine, grazie alla disponibilità di una vera nave della marina e di un vero comandate della marina” disse indicando con il pollice alle sue spalle, in direzione della Pietro Micca. “Le ripeto che non ho disobbedito a nessun ordine” insistette Amedeo senza arretrare di un millimetro “Se poi mi vuole mettere di fronte ad una corte marziale lo faccia pure, ma io ho un'autorizzazione firmata dal Capo di Stato Maggiore del COI che mi autorizzava a lasciare Monte Bianco” Il volto di Mancina pareva fosse ad un soffio da un’esplosione, rosso cupo, le labbra talmente contratte da diventare quasi invisibili, mentre una vena gli pulsava violentemente sulla fronte. Poteva sopportare di essere trattato con sufficienza dagli ammiragli e dal capo di stato maggiore, ma vedere quell’insignificante tenentucolo osare tenergli testa, lo faceva impazzire di rabbia. Sia Bordin che Fumagalli arretrarono. Amedeo rimase esattamente dov’era, saldo e con gli occhi fissi in quelli del colore dell’acciaio di Mancina. “Tenente, le assicuro che questa storia non finirà certo qui, la corte marziale ci sarà, su questo ci può giurare, e la faccenda potrà finire solo con la sua espulsione con disonore dalla marina. Sua e di tutti i suoi complici” disse girando lo sguardo per un istante in direzione di Bordin per poi soffermarsi più a lungo su Fumagalli, che dava l’impressione di voler piangere. “Non la passerete liscia…” esitò come se cercasse parole abbastanza cariche di disprezzo, da buttare come fango in faccia a Fiore “…maledetti pirati!” fu il meglio che riuscì a fare, è poi senza nemmeno riprendere fiato: “E ora togliete dalle palle questa schifosa carretta che chiamate nave, e tornate a fare gli spazzini quali siete” sbottò. “Capitano” ora la voce di Amedeo era bassa come il rombo di un tuono in lontananza che preannuncia tempesta “Come comandante della Maria Goretti, nave della Marina Militare Italiana, esigo e pretendo le sue scuse. A


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me personalmente e al mio equipaggio per il suo comportamento oltremodo irrispettoso, nei confronti del mio equipaggio, della mia nave e miei” gli occhi marroni di Amedeo erano fissi in quelli d’acciaio di Mancina, lo sguardo fermo e la mascella contratta. La catastrofe era prossima. Bordin trovò la forza di fare un passo avanti con l’intenzione di prendere il suo comandante per un braccio e trascinarlo via, lontano da quell’uragano che pareva stesse per scatenarsi. Poi, quando l'esplosione pareva inevitabile, un guardiamarina trafelato apparve a fianco di Mancina, al quale si rivolse con voce affannata interrompendo quello spietato duello di sguardi. “Signore il cardinale chiede se può raggiungerlo sulla sua vettura. Stanno aspettando solo lei per dare inizio alla visita. Signore” disse come se tutta la frase fosse composta da una sola parola. Mancina non rispose continuando a tenere lo sguardo su Amedeo che a sua volta non cedeva di un millimetro. Un capitano di vascello in alta uniforme da una parte, un semplice tenente di vascello in divisa da lavoro dall’altra. Uno scontro decisamente impari. “Non mi faccia ridere con le sue ridicole richieste di scuse Fiore” disse infine il responsabile politico voltandosi per andarsene. Amedeo rimase a fissare ancora per qualche istante la schiena del capitano che si allontanava verso la vettura del cardinale, poi emise un profondo sospiro e rivolgendosi ai suoi con tono leggero disse: “Bè, è stato gentile a venire ad auguraci buon viaggio” Bordin rise di gusto, Fumagalli invece no. Entrambi poi, passato quel momento di tensione, si diressero verso i pianali mobili, per provvedere alla installazione dei nuovi serbatoi. Amedeo rimase solo a fissare la colonna del cardinale che entrava all’interno della stazione. “Bè almeno non hai abbassato lo sguardo per primo” disse una voce alle sue spalle. Si girò con ancora un mezzo sorriso sulle labbra. “Salve dottore, tutto bene all’ospedale?” “Potrebbe andare meglio, ma quello che abbiamo portato sembra stia facendo effetto, tanto che almeno una dozzina di casi verranno dimessi nei prossimi giorni” “Mi fa piacere. E Rimetti come sta?” “Rimetti si riprenderà, non ha subito danni al cervello, ma avrà bisogno di rimanere qualche tempo sotto osservazione e fortunatamente qui hanno un ottimo centro di neurochirurgia. Non potrà partire con noi comunque, qualunque sia la nostra data di partenza, ma ce lo restituiranno al più presto come nuovo”


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“Anche questo mi fa molto piacere” Entrambi rimasero qualche istante in silenzio osservando la colonna dei mezzi che si allontanava inghiottita nei meandri della stazione. “Ha sentito tutto?”chiese Amedeo “Si, e a quanto pare giungo a proposito” “Cosa intende” “Intendo che Cunetto mi ha mandato a informarti che la tua condotta in questa faccenda è già stata considerata perfettamente legittima. Credo che si sia sentito con il capo di stato maggiore della marina, spalleggiato da Capace probabilmente. E' chiaro che avevano previsto una scenata da parte di quello stronzo, e quindi sono qui a dirti di non preoccuparti” “La cosa mi fa molto piacere. Crede che dovrei insistere con la richiesta di scuse?” “No. E’ una faccenda sporca avere a che fare con scarafaggi come quello, quindi dopo averli toccati prima ci si lava le mani meglio è. E... un'altra cosa” “Sì?” “Ho fatto alcune riflessioni , su ciò sulla nostra missione e ciò che ci è accaduto” “Che tipo di riflessioni?” “Non trovi strano che noi si debba compiere una missione per porre rimedio ad un attacco terroristico, trasportare un'importante figura politica del Vaticano, il responsabile del servizio sanitario della marina e...” guardò Amedeo lasciando in sospeso la frase. “E...?” lo esortò quest'ultimo. “E che dei motori nuovi appena installati rischino di far saltare tutta la nave?” “A parlato con Bordin?” “Bordin? No. Perché che ha detto?” “Sospetta che alcune valvole siano state manomesse di proposito e che abbiano causato l'esplosione del serbatoio” disse sentendo, come sempre, si potersi fidare della discrezione di quell'uomo, e anche nella speranza che gli desse anche un consiglio su come agire. Il dottore rimase in silenzio qualche istante a riflettere osservando distrattamente il personale che iniziava a sbaraccare la scenografia eretta per dare il benvenuto al cardinale. “Io credo che tu debba comunque accennare alla cosa nel tuo rapporto, ma fallo in toni molto edulcorati, non credo che il governo apprezzerebbe un


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comandante che urla al sabotaggio. Soprattutto in questo clima politico. Sei d'accordo?” “D’accordissimo. Tornerà all’ospedale ora?” chiese Amedeo contento che il dottore fosse giunto alle sue stesse conclusioni. ”No, come ti dicevo la situazione è sotto controllo. Cunetto mi ha ringraziato, bla bla bla, e mi ha messo in libertà. Bravissima persona e ottimo medico,” “Che ne dice di un aperitivo prima di pranzo? Anche qui la situazione è finalmente sotto controllo anche se non credo che per oggi progredirà di molto” “Assolutamente si! Tu offri il pranzo io l’aperitivo” “Come no!”

^ Aeroporto Centocelle. Sede Comando operativo di vertice Interforze (COI) – Aeroporto Centocelle Roma. 11 settembre 2196 – 15:45 Dopo la caduta inaspettata e improvvisa di Campo Garibaldi Capace aveva ripreso possesso del suo ufficio nel vecchio aeroporto Francesco Baracca, sede del COI, dove decine di rapporti e di aggiornamenti si accumulavano sulla sua scrivania, mentre le sue scorte di rimedi chimici per mal di testa e acidità di stomaco, si andavano esaurendo in modo inversamente proporzionale. In quel momento stava leggendo un rapporto appena giunto in cui si riferiva che le forze ribelli erano avanzate di ulteriori cento chilometri verso Valles Marineris e le sue numerose città. Da una parte il governo insisteva per risolvere autonomamente la crisi, definendola temporanea e perfettamente sotto controllo, dall’altra le forze alleate, Stati Uniti in testa spingevano per inviare rinforzi per fermare l’offensiva ribelle che minacciava il cuore del pianeta. Capace si domandava dove i ribelli avessero ottenuto tutti quei mezzi e materiali per sferrare un’offensiva di una tale intensità e portata. Sassi, le cui protezioni politiche avevano impedito che venisse cacciato a calci dalle forze armate, era stato reintegrato come capo del servizio informazioni della marina, ma a quell’interrogativo brancolava nel buio.


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Stavolta Capace non si sentiva di biasimarlo, in quanto, almeno da quanto ne sapeva lui, perfino gli americani brancolavano nello stesso buio di Sassi. In quel momento, comunque, i soldati italiani stavano facendo sforzi sovrumani per cercare di contenere l’offensiva nel loro settore, ostacolati anche dal fatto che il governo si rifiutava di concedere rinforzi, sempre in virtù delle dichiarazioni del presidente del consiglio che la situazione era perfettamente sotto controllo. Sotto controllo un cazzo! Pensò Capace reprimendo un moto di rabbia che gli procurò un ennesimo riflusso di acido. Allungò in un gesto ormai meccanico la mano verso il cassetto dove teneva le pillole antiacido e quasi automaticamente ne inghiottì una, quando il cicalino dell’interfono si fece sentire. “Sì?” rispose stancamente, aspettandosi altre inevitabili cattive notizie. “Il contrammiraglio Cunetto, signore” urlò Pisano. Capace allontanò di scatto la testa, e le orecchie dall’altoparlante del cicalino, e per l’ennesima volta ricordò al giovane guardiamarina che nonostante l’età non era sordo. Sul monitor apparve il viso stanco di Cunetto, che in quel momento si trovava su Ares. “Ciao Franco. Ti prego dammi buone notizie” lo saluto Capace Il volto tridimensionale dell’ufficiale medico sorrise prima di parlare. “D’accordo” disse “L’epidemia è sotto controllo e abbiamo trovato un vaccino in grado di neutralizzare gli effetti del contagio” “Grazie Dio!” esclamò Capace “Bè Paolo, veramente mi aspettavo che ringraziassi me e i medici che hanno lavorato duro per neutralizzare questo attacco” rispose Cunetto sempre sorridendo. “Certo Franco, siete stati grandi” “Grazie a nome di tutto il mio staff” disse l’ufficiale medico. Capace rimase qualche istante in silenzio, prolungando così il tempo di attesa nella comunicazione. Chiuse gli occhi sospirando lentamente, poi passandosi le mani sul viso pose a Cunetto la domanda che lo tormentava da quando quella vicenda era iniziata. “Avete scoperto da dove ha avuto origine il contagio?” “Sì, dal lubrificante per armi” “Cosa?” “Dal lubrificante per le armi” ripeté Cunetto “Per essere precisi da quello utilizzato per le mitragliere dei carri Puma. Ponzi e Gandolfi alla fine hanno ristretto il campo delle possibili fonti di infezione confrontando i dati dei primi casi di contagio verificatisi, scoprendo che la percentuale di contagio


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tra gli armieri era straordinariamente alta, da lì scoprirne la fonte c’è voluto poco. Gli armieri si sono infettati per contatto utilizzando questo lubrificante, poi per via degli incontrollabili stimoli sessuali dovuti all’alterazione della produzione di testosterone, il contagio si è propagato per via sessuale; prima alle loro partner abituali le quali, a loro volta, hanno contribuito a diffondere l’epidemia. Un perverso effetto domino” “Santo cielo!” “Geniale vero?” disse amaramente Cunetto “Micidiale direi, ma come c’è arrivato il virus nel lubrificante?” “Ancora non lo sappiamo. Sono valide tutte le ipotesi. I carabinieri ipotizzano che possa essere stato immesso nei contenitori all’interno del magazzino del campo, oppure, e questa è l’ipotesi più preoccupante, è che il sabotaggio possa essere avvenuto già all’interno dei nostri arsenali sulla Terra, presupponendo così che ci siano agenti ribelli infiltrati, o addirittura nelle ditte private che hanno appalti con le forze armate. Come ti dicevo le ipotesi sono molteplici e le indagini ancora all’inizio, è prematuro formulare ipotesi valide” “Avvierò immediatamente un’indagine interna. I servizi segreti sono stati avvisati?” “Certo, ma non mi aspetterei grandi risultati con quell’incapace di Sassi nuovamente al comando” “Hai saputo del suo reintegro allora? Per ora non abbiamo scelta, ma come capo di stato maggiore posso comunque affidare l’indagine agli investigatori dell’Arma, ce ne sono parecchi veramente in gamba. Se ci sono quinte colonne ribelli sulla Terra le scoveremo” “Spero che tu possa avere successo, per il bene di tutti noi” gli augurò Cunetto da trecentosettanta milioni di chilometri. “E per il resto procede tutto secondo i piani? La distribuzione del materiale… particolare, sta avvenendo regolarmente?” chiese Capace cambiando argomento. Cunetto esitò qualche secondo, provocando un nuovo accenno di acidità nello stomaco, ormai probabilmente quasi completamente corroso, dell’ammiraglio. “Che c’è Franco?” lo incalzò “Bè, qui la cosa è strana…” “Cosa intendi?” “Ecco avevamo spedito i container contenenti i preservativi in forma anonima, se ne era occupato l’arsenale di La Spezia in collaborazione con il Celio…” fece una pausa per raccogliere le idee “Mi sono fatto dare i


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documenti relativi alle note di spedizione del materiale, e ho scoperto che il contenuto dei container era stato indicato come palline da golf…” “Palline da golf?” esclamò Capace, stupito dalla fantasia dei magazzinieri di La Spezia. “Esatto” confermò Cunetto “E quando li abbiamo aperti, per dare inizio alla distribuzione tramite gli uffici degli ufficiali medici in forza ai vari reparti, abbiamo avuto una sorpresa” “Che tipo di sorpresa?” “Bè, all’interno dei container abbiamo trovato più o meno duecentomila palline da golf” “Cosa?!” esclamò nuovamente Capace allungando istintivamente la mano verso il tubetto di antiacidi. “Calma. Come ti dicevo la situazione è sotto controllo. Abbiamo un sacco di palline da golf, ma sembra che i preservativi, nonostante l’entrata in vigore della legge contro i contraccettivi, non manchino” lo tranquillizzò Cunetto “Com’è possibile? Mercato nero?” chiese il capo di stato maggiore, la cui mano si era allontanata, anche se di poco dalle pillole “Certo, a parte che è la reazione naturale e prevedibile ad ogni forma di proibizionismo e ad una legge tanto assurda, sembra che i nostri preservativi siano arrivati agli utilizzatori finali comunque, sebbene a prezzi esorbitanti e tramite altri canali. I carabinieri stanno, naturalmente indagando, ma credo non sappiano che pesci pigliare, i documenti sono tutti in regola e i container che abbiamo portato con la Goretti, quando li abbiamo aperti avevano i sigilli intatti e i codici di apertura non erano stati violati. Inoltre il capo magazziniere che li ha presi in custodia, appena sbarcati li a messi, come da ordini, in una zona isolata e sotto sorveglianza e giura che da lì non si sono mossi, comunque se dovessero esserci degli sviluppi ti farò sapere, ora credo che andrò a dormire per una settimana” “Tienimi aggiornato e… Franco…” “Sì?” “Non disfare i bagagli” “Siamo a questo punto?” chiese Cunetto che aveva colto il sottinteso “Non ancora, ma c’è il rischio che potremmo arrivarci presto” “Dormirò con un occhio solo allora” “E’ meglio” disse Capace chiudendo la comunicazione e riprendendo a leggere un ennesimo rapporto, quando il cicalino si fece nuovamente sentire. “Sì?” disse, allontanandosi preventivamente per evitare la bordata sonora di Pisano, il quale, invece con una specie di sussurro gli comunicò che il


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segretario generale della difesa lo aveva convocato nel suo ufficio per una riunione dei vertici del COI. Capace, prima di alzarsi dalla poltrona, inghiottì simultaneamente una pillola di antiacido e una contro il mal di testa. Era un uomo che preferiva prevenire.

^ Sede Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare – Forte Braschi, Roma. 11 settembre 2196 – 22:50 L'ufficio era in penombra, e dalle finestre che davano sul giardino interno entrava solo la luce di qualche lampione, all'interno invece, solo il computer e una piccola lampada da scrivania diffondevano una debole luce soffusa nell'ambiente lussuosamente arredato. Il responsabile del servizio informazioni della marina stava finendo di leggere un rapporto riservato, consegnatoli personalmente dall'uomo seduto all'altro capo della scrivania. Il suo volto rimaneva nascosto nell'ombra, tanto che nemmeno Sassi riusciva a vederlo bene in faccia, sebbene sapesse perfettamente chi era. Finito di leggere ruotò la poltrona girevole verso il suo ospite. Ciò che aveva letto era il rapporto della squadra di manutenzione di Ares, che aveva provveduto a riparare i danni alla Maria Goretti. C'era un a parola, in quel rapporto che l'aveva fatto rabbrividire Sassi: sabotaggio. Dal rapporto si evinceva che una o più valvole dei motori installati sulla Goretti a Monte Bianco erano state manomesse; l'ingegnere a capo della squadra di manutenzione non aveva dubbi, c'erano voluti parecchi giorni e le attrezzature più sofisticate per giungere a tale conclusione, ma i dati erano incontrovertibili. Qualcuno aveva cercato di distruggere la Goretti e tutto ciò che si trovava al suo interno. “Ha finito di leggere, capitano?” chiese la figura all'altro capo della scrivania “Si, è sconcertante” “A di poco. Qualche ipotesi?”


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“Bè, l'attacco poteva essere rivolto sia al cardinale che alle attrezzature imbarcate sulla nave” “O ad entrambi” “Certo” Ci fu un attimo di silenzio in cui l'uomo in ombra scrutò intensamente il capo dell'intelligence della marina, poi dopo un lungo sospiro, ma con voce decisa disse ciò che era venuto a dire. “Questo rapporto non esiste, capitano. Non esiste per nessuno all'infuori di me, lei e altre poche persone al corrente dei fatti. Nessun attacco alla sicurezza del cardinale è mai avvenuto, né ad alcuna delle nostre navi” “Signore, mi sta chiedendo di insabbiare il fatto?” “Quello che vogliamo dal suo dipartimento è un attento esame e controllo delle informazioni. Ogni rapporto dovrà essere perfettamente in linea con la politica e le dichiarazioni del governo. Non possiamo permetterci che l'opinione pubblica capisca cosa stia realmente accadendo. Ogni rapporto dovrà essere controllato ed eventualmente corretto in tal senso. E Sassi...” “Sì signore?” “Non parli mai più di insabbiamenti” “Signore” replicò Sassi intimorito, e quanto mai ansioso di collaborare “C'è il rapporto del comandante Fiore, in cui afferma che il suo direttore di macchina è giunto alle stesse conclusioni, anche se si parla di manomissione e non esplicitamente di sabotaggio” “Fiore non conta nulla, e il suo rapporto dovrà essere...” esitò cercando la parole adatte “allineato alla versione ufficiale. Le ripeto, nessuno deve sapere” disse l'uomo alzandosi dalla sedia e guadagnando l'uscita. Sassi si era rispettosamente alzato in piedi accompagnando il suo ospite alla porta. I loro passi non producevano alcun rumore sulla spessa moquette dell'ufficio. Metafora di un silenzio generato da troppi segreti. “Ma...” tentò di ribattere Sassi. “Niente ma, capitano. Si ricordi perché lei è ancora qui. Noi l'abbiamo salvata, ma con la stessa facilità possiamo anche distruggerla. Non si dimentichi mai di chi tira le fila. Lei farà tutto quello che le diciamo di fare, oppure...” terminò lasciando la frase carica di sottintesi. “E' tutto chiaro?” concluse l'uomo voltandosi verso Sassi un attimo prima di uscire dall'ufficio. Nel corridoio quasi buio due uomini in giacca e cravatta, piazzati ai lati della porta lo stavano aspettando. “Certo signor ministro” si limitò a rispondere Sassi.


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^ Stazione Orbitante U.S.A. (N.A.T.O.) “Ares” - Orbita geostazionaria Marte – settore italiano. 12 settembre 2196 – 17:45 Fumagalli era seduto da ore su di una piccola poltroncina davanti alla porta dell’ufficio del responsabile politico della marina. Si era fatto annunciare alle quattordici e trenta e ora, quasi alle diciotto, era ancora in attesa. Alle mani non aveva praticamente più le unghie a furia di rosicchiarle, e le dita avevano preso a pulsargli atrocemente per il dolore causato dalla carne viva scoperta. Sudava. Sudava parecchio, e sotto le ascelle aveva due larghe chiazze che si allargavano sempre più; sospettava anche di puzzare parecchio. Più di una volta aveva preso in considerazione l’idea di recarsi ai servizi più vicini per darsi una veloce rinfrescata, ma non osava lasciare la piccola anticamera per paura che Mancina potesse andarsene senza che lui lo vedesse. Aveva un disperato bisogno di parlargli. L’orologio sulla parete scattò segnando le diciotto, e la segretaria iniziò a prepararsi per andarsene; spense il computer, sistemò gli oggetti di cancelleria sulla scrivania, e si alzò per prendere il cappello d’ordinanza sull’attaccapanni a muro. Era evidente che la sua presenza, piazzato li davanti a lei per tutto il pomeriggio a rosicchiare unghie, sudare e puzzare l'aveva alquanto infastidita. “Senta, scusi…” balbettò alzandosi dalla poltroncina “Non potrebbe sentire se il capitano può ricevermi? La mia nave partirà fra poco e allora non avrò più occasione di parlargli” supplicò facendo attenzione a tenersi a debita distanza, in modo che l’odore di sudore non la infastidisse mal disponendola ancora di più. Lei lo guardò dall’alto al basso, con dipinto in faccia e ben visibile, tutto il disgusto che provava per quella patetica figura balbettante in cui si era trasformato il sottotenente Fumagalli. “Provo a sentire” disse lei appoggiando il cappello sulla scrivania e premendo il pulsante dell’interfono. “C’è qui ancora il sottotenente Fumagalli” disse. Una serie di parole a volume troppo basse per essere comprese, poi lei annuì. “Può entrare” disse semplicemente prendendo il cappello e avviandosi verso l’uscita senza salutare, ignorandolo ostentatamente come se questi fosse improvvisamente diventato invisibile.


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Fumagalli si avvicinò con le gambe malferme alla porta dell’ufficio di Mancina, prese un respiro profondo e con mano tremante premette il pulsante della serratura che fece scorrere la porta all’interno della parete. Entrò sapendo che l’uomo che stava oltre quella soglia avrebbe potuto rappresentare per la sua carriera, la linea di demarcazione fra il disastro e la speranza di redenzione. Appena entrato si mise sull’attenti porgendo un saluto impeccabile al capitano di vascello e responsabile politico della marina Giovanni Mancina, il quale però, rimase assorto nella lettura di una sottilissima video cartella non più spessa di un foglio di carta, ma rigida come plastica. Ultima generazione, il massimo del gadget elettronico. Il tempo si dilatò, Fumagalli rimase immobile, la mano rigida alla fronte, mentre Mancina continuava ad ignorarlo. Passarono due minuti, il braccio iniziò a fargli male, i muscoli della schiena contratti. Un lieve fastidio alle reni che minacciava di diventare un vero dolore in pochi secondi. Mancina continuava a leggere. Un altro minuto le reni iniziarono a protestare, il braccio a tremare, la chiazza di sudore sotto l’ascella alzata era arrivata alla cintola, ma non osava nemmeno respirare troppo forte. Un altro minuto di agonia, e le reni non protestarono più, si limitavano ad urlare. Poi Mancina alzò gli occhi verso di lui per un istante prima di tornare a rivolgere la sua attenzione alla cartelletta. Un altro minuto, Fumagalli iniziò a vacillare. Mancina appoggiò la cartelletta sulla scrivania, lentamente. “Sottotenente…” disse ricambiando il saluto con un gesto vago, come se si fosse accorto solo in quel momento della sua presenza. “Signore, grazie per avermi ricevuto” “Si figuri” sorrise il politico come se non avesse saputo che il suo interlocutore era seduto davanti al suo ufficio da quasi quattro ore. “Sono qui per spiegarle..” iniziò Fumagalli prima di essere interrotto dalla mano alzata di Mancina. “Lei mi ha deluso sottotenente, le avevo affidato, vogliamo dire.. una missione? E lei ha fallito nel portarla a termine” Scosse la testa come se fosse più dispiaciuto, che deluso. Sospirando prese un’altra sottilissima cartelletta ultima generazione. “Vede? Qui c’è il suo ordine di trasferimento sulla Pietro Micca…” disse indicando la cartelletta che aveva in mano “… ma su quella nave, purtroppo per lei, servono ufficiali affidabili. Affidabili caro sottotenente…” calcò sul sotto di tenente “… e lei non si è dimostrato


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tale. Ne conviene, vero?” la voce pacata non tradiva nessuna emozione se non quella finta, preconfezionata, della compassione. “Sì signore... ma lasci che le spieghi…” ancora la mano alzata di Mancina ad interromperlo “Non mi deve spiegare nulla sottotenente, i fatti parlano da soli. Lei mi ha deluso. Le era stata data la possibilità di fare un grosso favore alla marina e ha mancato in questo, ma soprattutto, lei aveva la possibilità di fare un grosso favore a me…” pausa “…e un favore a me, le assicuro, è come un deposito in banca, si può contare sugli interessi, ma se il deposito non viene fatto... allora mi pare logico che non ci siano nemmeno interessi? Giusto?” Tentò nuovamente di parlare. Ancora la mano alzata di Mancina, una barriera di granito alle parole di scusa che si era preparato e una voragine senza fondo sotto i piedi, dentro alla quale si sentiva sempre più sprofondare. Una strada a senso unico verso l’inferno, rappresentato dall’assegnazione permanente alla Goretti. Meglio la morte. “Ed ora, sebbene a malincuore, mi vedo costretto a cancellare quest’ordine. Mi spiace perché lei mi pareva un ufficiale promettente, ma evidentemente mi sbagliavo” disse appoggiando la cartelletta sulla scrivania. Le sue dita si mossero verso il tasto di formattazione. “No!” urlò Fumagalli trovando la voce e un varco dove infilarla. “No?” chiese Mancina piantandogli gli occhi addosso, il dito sempre sospeso a mezz’aria, a pochi centimetri dal tasto di formattazione “E perché no?” “Io sono un ufficiale affidabile! Le circostanze mi sono state contro, avevo preparato tutto e sarebbe andato tutto come avevamo concordato…” disse senza nemmeno prendere fiato nell’impeto della disperazione “…ma poi ho saputo di Campo Garibaldi e delle implicazioni della sua caduta, per questo ho ritrasmesso le coordinate esatte alla Trento, non c’era modo… io…” “Io?” lo incalzò Mancina il tono compassionevole leggermente incrinato da una sfumatura di durezza. “Io ho agito per il bene della marina” concluse Fumagalli con un sospiro. Mancina rimase in silenzio gli occhi puntati su quel sottotenente sudato, puzzolente e disperato. Totalmente in suo potere. Un’arma nelle sue mani? No, solo uno strumento da poter utilizzare al momento opportuno per saldare i conti in sospeso. Aveva saputo che non ci sarebbero stati provvedimenti disciplinari contro Fiore o Cunetto, ma c’erano altre vie per ottenere giustizia. Se non quella della marina quanto meno la sua.


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“Per il bene della marina…” mormorò Mancina come se volesse trovare un significato profondo in cinque parole. Giunse le mani, polpastrelli uniti, sguardo dritto negli occhi di Fumagalli, volto inespressivo, un’altra lunga pausa, poi la sentenza. Il tono compassionevole svanito rapido come la condensa del respiro in gennaio. “Non cancellerò il suo ordine di trasferimento. Lo terrò in sospeso. La sua lealtà nei miei confronti, e quindi alla marina, è venuta a mancare in un momento decisivo. Le ho chiesto un favore che avrei ricambiato con gli interessi. Ora sarò io a fare un favore a lei non cancellando quest’ordine, ora sarà lei a dovermi ripagare il favore che le sto facendo. Mi ripagherà con gli interessi, perché io depositerò il mio credito presso di lei e vorrò vederlo ripagato, proprio come un deposito bancario. Sono stato chiaro?” “Sì signore, cosa vuole che faccia?” disse Fumagalli. Un naufrago aggrappato ad un pagliuzza galleggiante, che nutre la speranza di sopravvivere alla tempesta. “Osservi e annoti, raccolga informazioni sul comandante Fiore, sui suoi rapporti con Cunetto. Tutto quanto c’è di marcio, e sono sicuro che ce ne sia, su quella miserabile nave. Accumuli informazioni, in qualunque luogo, in qualunque momento su tutto e tutti quelli con cui avrà a che fare, comuni, capitani, ammiragli. Tutti.” “Le dovrò fare un rapporto periodico?” “No. Sarò io a decidere quando riscuotere il mio credito, e se allora ci saranno quegli interessi che mi aspetto dal mio investimento, allora quest’ordine verrà inoltrato e lei salirà sulla Pietro Micca come ufficiale effettivo e non come semplice visitatore, accompagnato dal suo vecchio compagno di corso come ha fatto su Monte Bianco. Ci siamo intesi?” “Sì signore” “Bene. Può andare” disse congedandolo. Fumagalli si girò rigido come da regolamento. Fece per aprire la porta quando la voce di Mancina lo fermò di nuovo. “Ah… sottotenente…” disse Mancina tornato a consultare un’ennesima sottilissima cartelletta “Sì signore” voltandosi verso il suo nuovo padrone. “No si dimentichi, lei è in debito con me, e un’altra cosa…” “Sì signore?” “Si faccia una doccia, che puzza da far vomitare” umiliazione aggiunta all’umiliazione. “Sì signore” la voce di un bambino punito dai genitori, si girò, varcò la porta e se ne andò. In silenzio.


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Stazione Orbitante U.S.A. (N.A.T.O.) “Ares” - Orbita geostazionaria Marte 12 settembre 2196 – 12:15 – settore italiano Comandante Fiore in capitaneria! Comandante Fiore in capitaneria! L’altoparlante della base trovò Amedeo all’interno della mensa ufficiali della base: tortellini al ragù e qualche fettina di roast beef con patate lesse, più un quartino di un non meglio identificato rosso di Romagna. Come spesso gli accadeva, quando era alla mensa ufficiali stava mangiando da solo, gli unici due altri ufficiali presenti sulla Goretti erano il dottore, Fumagalli e i due guardiamarina. Il primo irreperibile, il secondo restio a sedere allo stesso tavolo con lui, quei due giovani chissà dove. Quindi il più delle volte, aveva come unica compagnia se stesso e lo schermo di un televisore immancabilmente posizionato su di una delle pareti della mensa ufficiali e sintonizzato su un telegiornale. Dedicò qualche secondo a chiedersi se quello che stava mangiando era il menù riservato agli ufficiali, cosa si stava servendo nella mensa del personale comune? Concluse che valeva la pena far carriera solo per evitare di scoprirlo. Alzò lo sguardo allo schermo del televisore, dove le immagini arrivavano con diversi secondi di ritardo rispetto al momento in cui venivano inviate, ma per chi le vedeva rappresentavano il tempo reale. Un mezzobusto stava mentendo, probabilmente in modo consapevole, assicurando la nazione italiana che su Marte la situazione era sotto controllo e attualmente tranquilla. Notizia che personalmente, trovò un po’ in contrasto con il riferimento, anche se rapido ed annacquato, relativo ad alcune accidentali perdite tra i bersaglieri di guarnigione a Campo Garibaldi. Nessuna immagine delle bare, ma molte immagini di militari italiani, che frequentavano i bar di Marte, sorridenti e allegri come normali turisti in vacanza in un posto così esotico come solo il pianeta rosso poteva essere. Altre immagini di militari che si esercitavano nelle piazze d’armi e l’immancabile intervista al presidente del consiglio, che assicurava la nazione su come tutto andasse meravigliosamente bene. Non era certo l’atmosfera che aveva trovato sulla stazione da quando era arrivato. Le espressioni tese sui volti degli ufficiali superiori che aveva avuto occasione di vedere, soprattutto lì alla mensa. Pasti consumati frettolosamente e borbottii concitati raccontavano una storia completamente diversa e di certo molto meno rassicurante.


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Il dottore avrebbe sicuramente asserito che quelli non erano segnali confortanti. Comandante Fiore in capitaneria! Comandante Fiore in capitaneria! Cazzo! Ora il telegiornale stava trasmettendo le immagini del cardinal Pompini in visita alle truppe sorridenti e doverosamente devote. Cambio di immagini sulla Santa Messa officiata dal cardinale in persona, alla presenza delle più alte cariche militari del settore italiano. Tutto bene! Ecco a voi il campo estivo dei ragazzi italiani in vacanza su Marte! Ma mentre andava tutto bene i ribelli che stavano facendo? Questo, il nostro inviato speciale sul posto al seguito del vice segretario della CEI proprio non lo diceva. Tutto bene. Comandante Fiore in capitaneria! Comandante Fiore in capitaneria! Eccheccazzo! Arrivo! Amedeo si alzò voltando le spalle al cacciaballe prezzolato sullo schermo, vuotò il vassoio nell’apposito contenitore e si avviò verso la capitaneria. Probabilmente si trattava degli ordini e del piano di volo. Pensò di prendere un mezzo per raggiungere la sua destinazione, ma poi si risolse a farsi il tragitto a piedi. Poteva anche darsi che un po’ di moto lo aiutasse a digerire il pranzo della mensa. Forse. Come si aspettava ricevette una cartelletta (non sottilissima) contenente i nuovi ordini per la Goretti, i lavori erano stati miracolosamente portati a termine, e cosa ancora più incredibile, Fumagalli era tornato ad essere il solito pignolo rompicoglioni. In fondo gli andava bene così, era sempre meglio che avere una specie di zombie che si aggirava per la nave. Meglio avere sempre a che fare con le cose che si conoscono, piuttosto che con quelle che non sai come gestire. Diceva sempre sua nonna. Tutto a posto. Tutto normale. Tutto bene. Digitò il proprio codice sul tastierino della cartelletta per poter visualizzarne il contenuto: tutto bene anche su quel fronte, anzi benissimo, tanto per non ripetersi troppo. Destinazione Nuova Napoli e… la sua mente gli sfuggì per un attimo, Nuova Napoli significava Valeria. Cercò di convincersi che il suo rinvigorito buon umore non dipendesse da quello, ma dalla fine di quella strana missione e per il ritorno ad una rassicurante routine. Non ci riuscì molto bene, ma in fondo chi se ne frega? L’importante era levare le tende da Marte e portare sé stesso, la sua nave e il


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suo equipaggio il più lontano possibile da quella gabbia di matti pronta ad esplodere. Arrivò alla Goretti che quasi fischiettava. La nave era pressoché deserta, quasi tutto l’equipaggio era in franchigia. Ovviamente Fumagalli era presente – Amedeo si chiese se quel ragazzo avesse una vita propria – pronto ed efficiente, che gli fece un rapido rapporto sulle condizioni della nave porgendogli una immancabile lista di punizioni, che aveva allegramente distribuito a tutti quelli dell’equipaggio che gli erano capitati a tiro. Lista che Amedeo prese senza nemmeno leggerla, l’avrebbe cancellata più tardi. Ah le belle, vecchie, solite cose sempre uguali. “Tenente” disse invece dopo aver ascoltato il meccanico rapporto del suo secondo “Tutti gli uomini a bordo, si salpa fra dodici ore. Attivare le procedure di partenza. Ecco gli ordini e il piano di volo” porgendo la cartelletta con gli ordini a Fumagalli. “Sì signore…e...” “Che c’è tenente?” “E’ mio dovere informarla che l’ufficiale medico è nuovamente irreperibile, in spregio alle più elementari norme di comportamento di un ufficiale” “Il dottore non è irreperibile” disse Amedeo sospirando, le solite vecchie cose a volte rischiavano di diventare in brevissimo tempo una vera rottura di palle “sarà assolutamente a bordo al momento della partenza” “Se si riesce a tirarlo fuori dalla bettola in cui si sarà cacciato ad ubriacarsi” “Tenente. Il dottore è in franchigia come tutto il resto dell’equipaggio e in franchigia uno può comportarsi come meglio crede. Non credo di dover essere io a spiegarglielo” “Con tutto il rispetto signore, ma l’ufficiale medico di questa nave getta sulla stessa, col suo comportamento dissoluto, imbarazzo e disonore” “Tenente questa discussione e chiusa, chiaro?” “Sissignore” a denti stretti “Bene. Proceda a convocare l’equipaggio per la partenza” Amedeo si lasciò alle spalle Fumagalli e si diresse verso il portello di entrata della nave dove stava di guardia un fante di marina, l’unico in quel momento presente dei cinque imbarcati sulla Goretti. “Boschi…” disse parlando piano per non farsi sentire da Fumagalli “… bisogna rintracciare il dottore, ci pensa lei?” “Certo signore. Hem.. qualche suggerimento?” “Provi nel settore francese” “Sì signore”


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Amedeo guardò per un attimo il fante avviarsi verso l’interno della base, poi si girò verso il sottotenente cercando di sostenere il suo sguardo, ma stavolta non poté evitare di abbassarlo per primo. Per un attimo Amedeo colse un lampo negli occhi del suo secondo che non era il solito disprezzo, ma qualcosa di più profondo, forse stavolta vero odio. Ma fu solo un istante, poi Fumagalli girò il volto verso l’aiutante di Esposito iniziando ad abbaiargli ordini per la sistemazione del carico (pezzi di ricambio difettosi) che di lì a poco sarebbe arrivato per essere caricato e stivato sulla nave Si chiese ancora una volta cosa avesse tanto depresso il suo secondo nei giorni precedenti, e cosa fosse successo nella giornata in cui si era assentato, tornando completamente diverso da come se ne era andato. Si fece un appunto mentale di parlarne col dottore. Appena questi si fosse ripreso, ovviamente.

^ Base Lunare “Nuova Napoli” emisfero meridionale della Luna. 27 settembre 2196 – 16:07 La Luna, in tutto il suo splendore argentato e con la terra su di uno sfondo nero punteggiato di miliardi di stelle, era quello che finalmente Amedeo vedeva dai finestrini della plancia. Un viaggio relativamente breve con i nuovi motori e molto confortevole nella sua nuova cabina ristrutturata in previsione della sistemazione del cardinale, un viaggio altresì gustoso, in quanto il cuoco della Goretti, aveva avuto ancora a disposizione parecchie scorte di cibo imbarcate sempre per il suddetto cardinale. Quasi una crociera, senza nessun intoppo. Motori e sistemi perfettamente funzionanti. Attraccarono alla stazione orbitante della luna senza nemmeno dover aspettare troppo, e svolte le operazioni necessarie successive all’attracco, Amedeo mise l’equipaggio, e soprattutto se stesso, in libertà. Lo aspettavano quattro giorni di permanenza su Nuova Napoli in attesa di nuovi ordini. Uscì fuori dal portello della plancia percorrendo insieme al dottore e al suo secondo, il barcarizzo pressurizzato che collegava la Goretti alla stazione, sbucando nella vasta zona della banchina di carico, dove videro Bordin,


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circondato da alcuni tecnici della base, che si agitava come un matto urlando a squarciagola. Amedeo e Beretta si scambiarono un’occhiata perplessa, Fumagalli si tenne in disparte, lo sguardo altrove come di chi finge di non conoscere le persone con le quali si sta accompagnando, poi il direttore di macchina li vide e a grandi falcate li raggiunse. La faccia paonazza e il fiato corto” “Siòr” quasi urlò in faccia ad Amedeo “Siòr se volen pigliar tutto! Se volen tòre su i motori nuovi, ostrega!” “Calma Bordin, e in italiano per favore” Il direttore di macchina prese un profondo respiro, cercando con scarso successo di calmarsi” “Siòr… sono venuti non appena abbiamo attraccato, con un bell’ordine scritto, che dise che si devono tòre su i motori nuovi; e tutti i sistemi che sono stati installati sulla nave” Nel frattempo quello che pareva esser il capo dei tecnici si era avvicinato a sua volta, cartelletta in mano e aria paziente. “D’accordo calma Bordin, probabilmente c’è un errore” “Nessun errore signore” intervenne il tecnico “Sergente Cucchi, signore” si presentò “Ci è stato ordinato di smontare tutti i nuovi apparati sulla Goretti e ripristinare i vecchi, che ci sono arrivati qualche giorno fa da Monte Bianco” “E chi è che l’ha ordinato?” chiese Amedeo Il tecnico consultò la cartelletta richiamando la pagina in cui c’erano le firme di chi aveva emanato gli ordini. “Ecco qua” disse leggendo “Ordine dell’arsenale centrale della marina: capitano di corvetta Rossi, l’ordine è partito da Marte firmato... dal capitano di vascello Giovanni Mancina, Ares 15 settembre 2196” Amedeo prese la cartelletta dalle mani del tecnico, ma quello che lesse confermò solo le parole del sergente. “Sergente io protesto formalmente per questo sopruso” “Capisco comandante, ma i nostri ordini sono chiari, dobbiamo procedere con assoluta celerità. I vostri motori e i sistemi servono per domani su Monte Bianco. Mi spiace signore” disse Zucchi riprendendosi la cartelletta. Era chiaro che non si poteva fare niente. Era la piccola e meschina vendetta di Mancina. Avrebbe fatto un reclamo scritto, ma dubitava che avrebbe sortito qualche effetto. Non restava che rassegnarsi. Le vecchie solite cose si erano riprese tutto. A volte, pensò Amedeo contraddicendo se stesso, qualcosa di nuovo non sarebbe poi stato così male. Sospirò. “D’accordo sergente proceda pure” disse rispondendo al saluto del tecnico che si girò e corse a dare istruzioni ai suoi uomini.


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“Bordin, Fumagalli. Voi rimanete qui e accertatevi che non portino via una vite in più di quelle che ci hanno installato” “Sì siòr” “Sì signore” Poi si avviò verso il centro comando della stazione intenzionato a fare tutto il casino possibile, anche se sicuramente inutile. “Non avrai certo pensato che quel coglione te l’avrebbe fatta passare liscia, vero?” gli chiese il dottore che lo aveva raggiunto. “Certo che no, ma questo mi sembra veramente meschino” “E’ un politico in carriera e tu gli hai pestato i piedi. Certo che è un meschino, come ti ho detto è un politico. A proposito della domanda che mi hai fatto qualche giorno fa sugli sbalzi di umore di Fumagalli…” “Sì?” “Credo che ti dovrai guardare le spalle dal tuo secondo” Amedeo si fermò girandosi a guardare in faccia il dottore. Aveva il massimo rispetto per la mente acuta e analitica del suo ufficiale medico, ma quello che gli stava dicendo stavolta gli riusciva difficile da credere. Il giovane sottotenente di vascello lo disprezzava certo, ma tramargli alle spalle lo riteneva troppo fuori dal suo modo di essere e soprattutto di agire. Troppo ufficiale e gentiluomo per tramare nell’ombra e colpire alle spalle. Tuttavia l’esperienza gli aveva insegnato a dare sempre credito alle riflessioni di Beretta. “Che intende?” gli chiese. “Ho riflettuto su quello che mi hai detto, e credo che la giornata di assenza di Fumagalli sia stata dedicata a prendere contatto con il nostro nuovo simpatico amico” “Quale simpatico amico” “Mancina!” sbuffò il dottore, infastidito dal fatto che Amedeo non avesse colto la sua ironia. “Pensaci bene. Fumagalli se ne sta via un giorno intero, è mai successo? Se ne va depresso e torna arzillo come un vecchietto che pensa di scoparsi una ventenne. Ora cosa sta più a cuore di tutto per il nostro Filippo?” “La carriera” “Esatto! Noi abbiamo quasi sputtanato la missione di uno degli ufficiali più potenti della marina con la nostra iniziativa non proprio ortodossa, d’accordo?” Amedeo annuì “Ora Fumagalli assiste alla sfuriata di Mancina nei nostri confronti, lui compreso. E cosa c’è di peggio per un carrierista, di imbattersi nell’ira di un uomo potente come Mancina?” continuò Beretta.


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“Forse morire” “Già, ma solo forse. Il tuo secondo se ne va un giorno intero e torna con l’umore quasi alle stelle cosa ne deduci?” “Che la sua carriera ora, non è più così in pericolo” “Esatto, inizi a capire?” Amedeo annuì lentamente e il dottore continuò con la sua analisi. “Chi altri se non Mancina potrebbe avere rassicurato e confortato il nostro Filippo?” ogni pezzo del ragionamento del dottore iniziava prendere posto nella mente di Amedeo “E cosa di meglio per Mancina avere una quinta colonna, o meglio un osservatore fidato su di una nave un po’… come dire… una nave già con una brutta nomea, e notoriamente poco avvezza alla disciplina sulla quale si vuole vendicare?” “Cazzo…” riuscì a mormorare Amedeo. “Bravo” disse il dottore con il volto serio “Fossi in te starei bene attento alle mie spalle” “Cosa propone?” “Per ora di goderci i quattro giorni di riposo, io con i miei discutibili passatempi e tu con i tuoi. Altrettanto discutibili, ma almeno molto più affascinanti dei miei” “Cosa intende dottore?” “Io nulla, solo che se la vuoi rivedere al più presto c’è una navetta che parte per Nuova Napoli fra un quarto d’ora. Credo che il reclamo, che comunque non servirà a niente, tu possa farlo anche in un altro momento” A volte era sorprendente come quell’uomo riuscisse a leggere nel suo animo così facilmente. Quasi sempre ubriaco e sarcastico, ma sempre così incredibilmente lucido e analitico. Ancora una volta la domanda di cosa fosse stato il dottore prima della Goretti gli balenò in mente e ancora una volta la ignorò. Decise di seguire il consiglio. Lo salutò e raggiunse di corsa la navetta, lasciandolo ai suoi programmi probabilmente ad alta gradazione alcolica. Per il comprensorio alloggi personale “San Giacomo” le diciotto e trenta erano l’ora di punta. Gli operai che rientravano dai loro turni formavano masse umane in movimento. Bus tubolari ricolmi di gente stanca e ansiosa di tornare nei loro piccoli alloggi a riposarsi prima di iniziare un nuovo turno di lavoro. Amedeo arrivò finalmente alla struttura dove viveva Valeria. Lungo il tragitto si era fermato in un negozio di generi di lusso, dove le aveva comprato un piccolo mazzo di fiori.


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Pochi fiori colorati importati dalla Terra e pagati un occhio della testa. Non sapeva perché l’avesse fatto, ma lo aveva fatto lo stesso, seguendo un impulso improvviso e pensando che fosse la cosa giusta da fare. Salendo con l’ascensore al piano di Valeria tuttavia, la sua convinzione iniziò a vacillare, e si chiese cosa gli fosse venuto in mente per fare una cosa così estemporanea. Cosa avrebbe potuto pensare Valeria di quel gesto? Probabilmente gli avrebbe riso in faccia, oppure lo avrebbe male interpretato e lo avrebbe mandato via. Valeria era una ragazza estremamente indipendente. Cosa avrebbe significato per lei quel regalo? Un mazzetto così striminzito per giunta. E poi non l’aveva nemmeno avvertita che sarebbe andato da lei. Con che diritto si presentava a casa sua, aspettandosi che lei lo accogliesse come se fosse sempre a sua disposizione non appena sbarcava sulla Luna? E se poi non fosse stata sola? Lei aveva molti fidanzati, come gli aveva detto più di una volta; e se in quel momento fosse stata con uno di loro? Iniziò a sudare. Perché non aveva pensato a tutte queste cose prima di agire come uno ragazzino? L’ascensore lo stava soffocando, ma quanto ci metteva ad arrivare al piano? No, avrebbe premuto il pulsante di discesa e sarebbe tornato all’alloggio ufficiali, dove l’avrebbe chiamata per vedere se era libera e sarebbe tornato il giorno dopo. Poi le porte si aprirono. Rimase qualche istante impalato, incerto su cosa fare lacerato tra il desiderio di rivederla e la paura di essere respinto, poi le porte iniziarono a richiudersi. Seguendo un altro impulso irrazionale allungò una mano e le fermò prima che si chiudessero del tutto. Uscì dall’ascensore, ancora seguendo quell’impulso che prendeva a cazzotti la ragione, e con le gambe che pareva si muovessero da sole giunse alla porta dell’alloggio. Cercando di non pensare a nulla, scacciando le visioni di lei che gli diceva di tornare un altro giorno perché era in compagnia, lei che gli rideva in faccia per il suo gesto, lei che gli chiedeva con quale diritto, lui potesse pensare di farle simili regali... premette il campanello. Niente di tutto ciò, la porta si aprì e oltre la soglia c’era solo il sorriso di Valeria che lo invitava ad entrare. Entrò col suo ridicolo mazzolino in mano. Quattro giorni! Pensò sorridendo a sua volta.



RINGRAZIAMENTI

Quando un autore scrive un romanzo, non è a conoscenza di tutte le nozioni e informazioni necessarie a dare profondità e plausibilità a ciò che sta scrivendo, pertanto si deve appoggiare a persone che possono aiutarlo in questo; persone che si rendono disponibili a condividere il loro sapere con lui. Non solo, bisogna appoggiarsi anche a persone che siano disposte a sacrificare parte del loro tempo a leggere e controllare ciò che si è scritto. Per questo voglio ringraziare per prima mia moglie Filomena che si è presa la briga di leggere tutta la prima stesura del libro, correggendo i refusi e dando un senso alla punteggiatura. Voglio ringraziare i miei amici Paolo Porcari e Cristiano Iemmi che si sono entusiasticamente offerti di fare da cavie come lettori una volta terminato il lavoro, dimostrandomi il loro sincero (spero) apprezzamento. Per ciò che riguarda specificatamente la Marina Italiana, invece, devo ringraziare i ragazzi della sezione Marina del forum “Aerei Militari”, in particolar modo il Sottotenente di Vascello Bruno Pacini, che con la sua pazienza e i suoi suggerimenti mi ha disincagliato più di una volta dalle secche in cui era finita la narrazione, pertanto le cose corrette che ho scritto sono merito loro, gli errori e le imprecisioni sono solo miei. Grazie a tutti. Luca Barezzi



UN AIUTO A COLPI DI PENNA &

IL CLUB DEI LETTORI Grazie! TI RINGRAZIAMO PER AVERE ACQUISTATO QUESTO LIBRO, con il quale hai contribuito ad aumentare il fondo di “UN AIUTO A COLPI DI PENNA”, che a fine anno sarà devoluto a scopo benefico a favore di ASSOCIAZIONE DYNAMO CAMP ONLUS terapia ricreativa per bambini con patologie gravi e croniche (www.dynamocamp.org) Vota! INOLTRE, SE VOTERAI ONLINE QUESTO LIBRO parteciperai gratuitamente al concorso IL CLUB DEI LETTORI (www.clubdeilettori.serviziculturali.org) Soddisfatto o “Sostituito” Se la lettura di questo libro non ti avrà soddisfatto, potrai sostituirlo con un altro libro che potrai scegliere dal nostro vastissimo catalogo. (informazioni su www.ilclubdeilettori.com)

Le iniziative sono promosse da: => Zerounoundici Edizioni (www.0111edizioni.com) => ASSOCIAZIONE SERVIZI CULTURALI, che promuove la letteratura italiana emergente ed esordiente (www.serviziculturali.org)



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