Scritti giovanili di Benito Mussolini sul Primo Maggio

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Scritti giovanili di Benito Mussolini sul Primo Maggio


PRIMO MAGGIO 1908 Lavoratori! Al ritorno della data augurale, il proletariato di tutti i paesi abbandona ancora una volta i campi e le officine dove le sue braccia e il suo cervello — con fatica assidua — fecondano la ricchezza altrui. Colla sospensione della quotidiana attività il proletariato intende raccogliersi a esaminare il cammino percorso, le conquiste fatte, i progressi compiuti nella propria organizzazione di classe — intende mostrare alla borghesia e ai suoi difensori salariati che il socialismo diviene e sarà — vuol significare infine ai governi che alimentano sogni di guerre fratricide che gli oppressi non hanno patria, ma si considerano invece — come nel luminoso concetto degli stoici antichi — cittadini dell’Universo. Non festa dunque o almeno non festa nel significato volgare della parola. Il Primo Maggio non può dimenticare le sue origini. Nacque in un'ora di lutto. Alle forche repubblicane penzolavano gli impiccati di Chicago. E nei primissimi tempi l’approssimarsi di questo giorno riempiva di un sacro terrore le classi borghesi. Oggi non più. La celebrazione del Primo Maggio ha assunto e va assumendo un carattere sempre più ideale — è divenuta un simbolo. Ma questa nuova forma della sua bellezza non deve degenerare in una innocua, vuota, puramente coreografica manifestazione. Raccolti nelle loro assemblee i proletari, i socialisti affaccino alla discussione i gravi problemi dell’ora che volge, elevino la loro protesta contro il militarismo dissanguatore e i tentativi di ripristinare all’alba del XX Secolo la barbarie dei ciarlatani neri e nella visione dell’Umanità liberata infine dalla triplice catena della servitù economica, della tirannia politica, della superstizione religiosa, trovino le forze per superare lo scetticismo dei prudenti amici del popolo, lo scherno degli avversari, le persecuzioni dei governi. Solo in questo modo il Primo Maggio non sarà un giorno come gli altri. Viva il Socialismo! LA LIMA Da La Lima, N. 17, 1 maggio 1908, XVI (a, 270) //////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////// [PRIMO MAGGIO 1909] Lavoratori di tutto il mondo unitevi! Lavoratori, compagni! Venti anni sono ormai passati da quando la classe operaia americana tentò, con uno sciopero generale, la conquista delle otto ore di lavoro. La borghesia dopo al primo tremito di paura, si abbandonò, come sempre, alla repressione sanguinosa e quattro operai furono impiccati a Chicago. Venti anni sono passati da questi avvenimenti che diedero origine al 1° maggio. Venti anni! Periodo di tempo lungo nella vita degli individui, brevissimo nella storia dei popoli. Eppure quante lotte, quante alterne vicende, quanti sacrifici e quante conquiste! È per misurare il cammino percorso, per celebrare le vittorie, ricordare i caduti, per attingere nuovo vigore, per risollevare le nostre speranze in una visione di una umanità redenta da ogni iniquità di classe che noi, o compagni, o lavoratori, v’invitiamo a solennizzare il 1° maggio. Astenetevi completamente dal lavoro! Restino, al 1° maggio, deserti i cantieri, silenziose le officine, chiusi i negozi. S’interrompa la quotidiana opera diretta a produrre la ricchezza pei borghesi, la miseria e la fame per voi, o lavoratori. Nelle città, nelle campagne sospendete per un giorno quel lavoro, che per voi, come nella sentenza divina, è un’acerba condanna. Quando sfilerete in corteo per le vie della città, raccolti sotto le bandiere rosse, al canto degli inni proletari, abbiano i parassiti del corpo sociale e tutti quanti vi disprezzano e vi temono, la chiara nozione che allorquando il proletariato si ferma anche per un giorno solo — è tutta la magnifica, vertiginosa attività dell’alveare umano che subisce


un arresto, è l’infinita catena degli interessi che sembra spezzarsi, mentre tutti gli uomini che rappresentano e difendono il ciarpame ideologico, morale, politico dell’attuale società si nascondono o s’inchinano come gnomi al comparir di un gigante. Compagni! Il Partito Socialista Trentino non vi offre, non può offrirvi, a somiglianza di altri paesi, una piattaforma speciale per ¡1 1° maggio. Non vi sollecitiamo di protestare contro l’una o l'altra delle innumerevoli forme dell’oppressione borghese. Non vogliamo che il glorioso significato del 1° maggio anneghi nel pantano di una delle solite manifestazioni politiche di ordine locale o nazionale. Il 1° maggio torni qual fu agli inizi : La Pasqua di resurrezione del proletariato, il simbolo che riassume le nostre più care speranze, e la nostra fede inconcussa nell’ideale socialista. Il 1° maggio vuol dire che contro allo sciovinismo nazionalista dalle bieche mire guerrafondaie, il proletariato oppone l’internazionale del lavoro, del pensiero; vuol dire che al disopra delle frontiere malgrado gli eserciti permanenti che sintetizzano oggi l’idea borghese di patria il proletariato raccoglie il precetto evangelico dimenticato dai cristiani : « Gli uomini sono tutti fratelli ! ». Nel 1° maggio è l’anima del proletariato di tutto il mondo che esprime simultaneamente la grave aspirazione verso il benessere, verso la luce, verso l’armonia. Nel 1° maggio è la forza dei produttori che si afferma contro al sistema capitalistico in cui la ricchezza premia l'ozio e la miseria punisce il lavoro, nel 1° maggio è la fede dell’ideale socialista che si eleva pura al disopra delle ideologie dei partiti borghesi invecchiati e corrotti dallo scetticismo e dalla negazione, al disopra di ogni mercantilismo chiesastico e profano. Questo fu .il significato del 1° maggio — nei primi anni in cui viva era la memoria dei quattro martiri che conobbero le forche della borghesia repubblicana, e questo significato non deve degenerare sino a convertire il 1° maggio in una manifestazione di parata, coreografica e vuota, senza contenuto interiore e senza carattere rivoluzionario. Compagni! Lavoratori! Il miglior modo di festeggiare il 1° maggio è l’astensione dal lavoro. Raccogliete il nostro invito. Viva l’Internazionale del Lavoro! Viva il Socialismo! La commissione esecutiva del Partito socialista trentino Da L'Avvenire del Lavoratore, N. 17, 1 maggio 1909, V . //////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////// PRIMO MAGGIO DEGENERE Non credano i compagni che questo articolo giunga in ritardo. Solo oggi è possibile di dare un giudizio sul carattere che la manifestazione del primo maggio ha assunto e va assumendo. Ho letto diligentemente tutti i giornali, prima e dopo la data. Mi sono convinto che i socialisti devono sopprimere la festa del primo maggio, o ricondurla al suo primo significato. Non molti anni fa, il primo maggio, era affare esclusivamente di operai, di socialisti, di rivoluzionari. La borghesia assisteva con una certa apprensione all’esperimento dello sciopero generale, che gettava grandi masse di popolo nelle piazze e nelle strade della città. I governi prendevano delle misure straordinarie per garantire l’ordine, l’opinione pubblica, la sintesi cioè di tutte le piccole viltà, di una determinata epoca storica, sospingeva l’autorità all'impiego dei mezzi della reazione contro gli agitatori. Il primo maggio le vie della città erano deserte e silenziose, gli animi trepidanti, le relazioni sociali turbate. Verso sera il passo cadenzato dei pattuglioni di guardie rompeva la solitudine della città scarsamente illuminata. Era con un profondo sospiro di sollievo che la piccola borghesia salutava l’alba del due maggio. Oggi non più. Cominciano i giornali socialisti a voler dare alla festa proletaria il carattere di manifestazione pacifica, seria e sopratutto ordinata. Nessuno alla lanterna! gridano i rifo-integro-


politicanti della italiana Confederazione generale del Lavoro e tutti gli organetti minori di concerto a rassicurare la classe abbiente che gli operai sono sempre delle brave bestie da soma, che cercano l’accordo, l’armonia, la cooperazione e.... la frusta. Poi l’altra stampa. Tutti i giornali che si dirigono ai ricchi, ai forti, ai dominatori, dedicano l’articolo di fondo o di quinta colonna alla pasqua operaia: dai liberali tipo Vita, ai democratici campione Secolo, dai socialisti tipo Giustizia, ai cattolici marca Osservatore Romano. Il sindaco di Firenze pubblica un manifesto gonfio di rettorica e di frasi poetiche rubacchiate al Satana di Carducci e all’ Adelchi di Manzoni. *** Molte amministrazioni comunali sorte dai « blocchi », auspice il sacrosantissimo triangolo massonico, espongono la bandiera, suonano le campane, fanno vacanza nelle scuole. Nel Belgio il primo maggio è stato dichiarato festa nazionale, così come la nascita di un re o la commemorazione di una vittoria. I cattolici hanno rinunciato al loro 16 di maggio per associarsi al primo maggio socialistoide, visto che ogni pericolo è scomparso, e la rivoluzione sociale si annuncia come un idillio che non disturberà gli ozi, le meditazioni, le orgie, e, non dimentichiamolo, le laboriose digestioni dei parassiti maschi e femmine. E gli operai « festeggiano » veramente il primo maggio. La parte più noiosa del programma è precisamente la conferenza commemorativa. Un'ora di mal dissimulati sbadigli. Poi viene l’allegretto, cioè il corteo, la passeggiata all’aperto, la danza al fresco, la lotteria, i quadri plastici, e si finisce nella birreria, nella taverna, a versare il balsamo refrigerante sulla gola riarsa dalla polvere e dal canto. In un paese di questo mondo, la Camera del Lavoro ha fatto celebrare una messa cantata al primo maggio per attirare sugli operai le benedizioni del papa e del buon dio. Questa Camera del Lavoro obbligherà un altro anno tutti i suoi membri ad una confessione generale con relativa comunione e al versamento di una intera giornata di lavoro pro anime del purgatorio. Non ridete,o lettori. V’è dell’altro. Un’associazione monarchica di Roma ha festeggiato il primo maggio non dimenticando d’inviare il solito telegramma al re. Noi ci avviciniamo ad un primo maggio che costituirà la più grande ironia della storia: fra qualche anno sarà un plotone di guardie che aprirà il corteo proletario, e nei comizi il rappresentante della legge reciterà un discorso d’adesione. Oh che bella festa allora! Che bella festa! Questa irresistibile degenerazione del primo maggio pone i socialisti di fronte a un problema di facile soluzione : O è possibile di ricondurre il primo maggio alle origini e conferirgli l’antico carattere e significato rivoluzionario e allora dirigiamo in questo senso i nostri sforzi e la nostra propaganda, o è fatale che il primo maggio sia consacrato quale festa dai calendari ufficiali della borghesia e allora sopprimiamolo noi — con animo deciso — in modo che non ci tocchi la suprema vergogna. Torneremo a festeggiare il primo maggio, quando avremo demolito la società attuale. Sarà allora non il primo maggio degli schiavi, ma il primo maggio degli uomini liberi. Da L’Avvenire del Lavoratore, N. 19, 13 maggio 1909, V. ////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////// LA CONFERENZA DEL COMP. MUSSOLINI ALLA CAMERA DEL LAVORO La Commissione esecutiva del partito Socialista trentino aveva affidato al compagno Mussolini la solennizzazione del primo Maggio. E certo nessuno avrebbe potuto farlo con parola più convinta, più calda, più degna di quel che non abbia fatto il nostro ardente compagno. Circa duecento cinquanta operai — troppo pochi! — si accalcavano sabato mattina nella sala maggiore della Camera del Lavoro quando alle 9,30 il Mussolini cominciò a parlare. Deplorate innanzi tutto le condizioni nostre, per le quali il primo maggio non ha certo sospeso qui gran che della vita e del lavoro, e la troppo esigua schiera dei convenuti; affermato esser la Camera


del Lavoro la naturale sede di una degna commemorazione, rappresentando le Camere del Lavoro i primi nuclei di quella società socialista, verso cui ci conduce quella via, della quale ogni primo maggio dovrebbe rappresentare una tappa, egli passa a spiegare il significato di questa, che egli afferma non essere una festa, ma un rito; uno sciopero generale simboleggiante quello per cui si dovrebbe arrivare alla vittoria del socialismo. E in che consista questa vittoria e i modi della battaglia egli viene a dire nel corso della sua spiegazione, compendiata in tre punti. La affermazione del primo, maggio indica innanzi tutto affermazione del nostro fondamentale postulato di abolizione della proprietà privata, e più esattamente del padronato. Indica poi l'internazionalità della società a cui tendiamo, con conseguente lotta contro il militarismo. È infine una promessa di un nostro miglioramento individuale, che ci renda capaci e degni della vittoria e della conquista. Alla conferenza, che, come ogni altra del Mussolini, non solo fu eloquente e di forma sobria ed elettissima, ma rifletté tutta la sua fede, tutta la speranza, tutto l’ardore del suo spirito colto e meditativo, ingenuo e fiero, se, ripetiamo, a tal conferenza avesse potuto assistere in massa la gioventù nostra studiosa, quanto bene di più — oltre al molto ch’essa ha fatto fra gli operai — avrebbe operato! Quante fedi suscitate fra gli incerti, quanti fecondi pensieri seminati, quanti accoliti chiamati, quanti capaci condottieri maturati!... Perché mentre alle conferenze socialiste del Regno, fra gli attoniti e spesso dolorosi visi degli operai, noi vediamo mescolarsi frequente gli occhi ardenti dei giovani studiosi, qui nessuna corrente viene dalla classe borghese a fraternizzare, a rinvigorire e a esserne a sua volta anche più rinvigorita, in questo stupendo sbocciare della vita dell’avvenire? Ah, caro Mussolini! Siamo.... in Austria! Con ogni probabilità, Ernesto Ambrosi. Da Il Popolo, n.2716, 1 giugno1909 //////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////// PRIMO MAGGIO 1910 Compagni! Lavoratori! Un giorno di sosta nell’opera quotidiana intesa a produrre la ricchezza per gli altri e la miseria per voi, un giorno di raccoglimento e di affermazioni ideali, è quello che vi chiediamo nella ricorrenza della fatidica data. Oggi per tutto il mondo dei sofferenti, oltre le frontiere e gli oceani, passa lo stesso brivido di ribellione — oggi milioni di anime doloranti s’allietano nella visione di un'Umanità senza schiavi, né Signori — oggi milioni di mani si levano verso il sole col gesto eroico di chi si attende e si prepara alle nuove decisive battaglie. Per un giorno la fatica assidua e bestiale è interrotta — per un giorno è sospesa l’enorme attività dell’alveare umano. Dai porti alle miniere, dalle officine ai campi i lavoratori incrociano le braccia. E tutta la società capitalistica — in tutte le sue istituzioni — trema per questa pausa breve. Ciò prova, o lavoratori, la vostra importanza nella civiltà contemporanea; ciò prova che da voi, solo da voi, scaturiscono il movimento, la ricchezza, la vita. Non curvate dunque le fronti che si chinarono già a tutte le tirannidi dalla economica alla religiosa. Non più rassegnazione, ma lotta — non più rinunce, ma conquista! Associatevi anche voi, o lavoratori della Romagna, alla celebrazione del Primo Maggio. Associatevi al Partito Socialista e reclamate con esso il diritto per tutti i cittadini di partecipare alla vita politica della nazione, diritto che trova la sua immediata espressione nel suffragio universale. Associatevi al Partito Socialista e protestate contro la mala politica corruttrice del governo e contro le insidie della democrazia bloccarda. Ma al disopra di queste che sono agitazioni d'attualità ed esprimono i bisogni dell’ora presente in Italia, o lavoratori di Romagna, dichiarate ancora una volta la vostra piena fiducia nella lotta di


classe; riaffermate che meta vostra è 1’« espropriazione » della borghesia; promettete di resistere a lusinghe o imposizioni di politicanti che volessero spingervi a guerre fratricide. Rinnovate oggi — alto e solenne — il patto della vostra solidarietà cogli sfruttati di tutto il mondo. Compagni! Avanguardie della Rivoluzione, spiegate al vento le vostre bandiere, innalzate l’inno dell’Internazionale. La preistoria del genere umano sta per finire. E le pagine bianche della nuova istoria attendono il segno incancellabile delle nostre vittorie. Lottate e il socialismo sarà. IL COMITATO FEDERALE Da La Lotta di Classe, N. 17, 30 aprile 1910, I (a, 479). //////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////// SENZA ETICHETTE! Il Primo Maggio etichettato non entra nei nostri gusti, nelle nostre abitudini: è fuori dalla nostra mentalità. Il Primo Maggio è il Primo Maggio. Non lo si può colorire a tinte policromiche. Non può essere un anno divorzista, un altr’anno anti-protezionista, un terzo anno suffragista e via dicendo. È tutte queste e molte altre cose insieme, ma, specificatamente, nessuna di esse. È un simbolo e il simbolo non porta etichette. È il simbolo della rivendicazione integrale del proletariato. E' una festa, ma non nel significato corrente: è una sosta, ma senza bivacco. Un Primo Maggio ridotto al servizio di speciali questioni politiche di un determinato momento, è un Primo Maggio svalorizzato, meccanico, abitudinale. Non è questo che noi vogliamo. Per ciò, non porteremo alla tribuna il suffragio universale, le pensioni operaie, l’indennità ai deputati, il caro viveri e altra merce dello stesso carico. Noi parleremo di una cosa sola.... della rivoluzione sociale. C’intenda chi può e vuole. Noi attraversiamo un periodo di praticismo e di tecnicismo che ci soffoca. Non si vuol sentir più parlare d’ideali remoti. La parola è alle cifre, ai mastri, ai bilanci. Dovunque si grida: praticità, tecnicità, gradualità. Andiamo verso a un’umanità meccanica e meccanizzata, raziocinante sino all’esasperazione, sino all’eliminazione dei valori sentimentali che pure hanno avuto tanta importanza nella storia. Ebbene, al Primo Maggio noi apriamo una parentesi di poesia, di luce, di fede nel grigio uniforme degli altri trecentosessantaquattro giorni dell’anno. Noi indichiamo la meta ai viatori che l'avevan perduta di vista, assorbiti ed esauriti nello sforzo della conquista immediata. Noi tracciamo, nello spazio e nel tempo, la grande linea del- l’Umanità progrediente verso nuove e migliori forme di vita. Noi vogliamo che il Primo Maggio dia — coll’efficacia del simbolo — il senso eroico della vita a coloro che soffrono. Questo significa il Primo Maggio. Non rimpicciolitelo dunque, o politicastri di diverso colore. E voi lavoratori, raccoglietevi, meditate e formulate alto e sincero il proposito di continuare la vostra battaglia liberatrice. Da La Lotta di Classe, N. 69, 1 maggio 1911, II (b, 119). //////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////// PRIMO MAGGIO Gli avvenimenti dell’ora storica che l’Italia attraversa, riconducono il nostro Primo Maggio alla sua grande, primitiva, simbolica significazione. Da molti anni infatti e da varie parti si cercava di definire, di formulare, di etichettare il Primo Maggio : certe necessità di azione e di conquista immediata, la trattazione di determinati problemi politici d’indole prettamente nazionale avevano scolorato il Primo Maggio riducendolo a una specie


d’innocuo comiziare in data fissa; avevano ostracizzato il simbolo che è sentimentale, non raziocinante; universale, non particolarista; trascendente, non contingente. Oggi, ritorna un Primo Maggio che non rassomiglia ai più vicini precedenti : è un Primo Maggio di guerra, è il Primo Maggio vermiglio delle nostre irrequiete giovinezze aspettanti. Perde quindi tutti i suoi appariscenti caratteri di festività. Quando vibra nell’aria il singhiozzo di migliaia di madri che aspettano e aspetteranno invano il ritorno dei figli caduti nella guerra libica, chi osa elevare inni di gioia? Il popolo d’Italia è in lutto: ai grandi dolori s’addice quel silenzio tragico che è la lezione dei re. Il Primo Maggio del 1912 ci trova in una situazione che può grado grado, per successive formazioni, diventare rivoluzionaria. La guerra presenta sempre delle grandi incognite. La storia è piena di punti interrogativi. C’è ormai diffuso in tutte le classi del popolo italiano un senso vivo di sfiducia nel governo e nella monarchia. I popoli delusi e traditi sono i popoli che insorgono. Quando nel ’70 la Francia si vide tradita dai suoi reggitori e delusa nelle sue speranze di « disperdere con un soffio l’armata prussiana », come pretendeva il ministro Olivier nella sua criminosa fatuità, ebbe uno scatto d’indignazione e il 4 settembre seppellì la dinastia dell’ultimo Bona- parte. Ora l’Italia ufficiale s’avvia al disastro. Son ben sette mesi che la Libia desertica inghiotte uomini e milioni. Tutta la rettorica briaca dei nazionalisti non sa più nascondere la tristissima realtà : le fabbriche si chiudono; la , lista dei fallimenti assume proporzioni chilometriche; il pane aumenta di prezzo; gli affari ristagnano; la circolazione del denaro diviene ogni giorno più faticosa; nella campagna mancano le braccia valide; i richiamati — stanchi ed esasperati — si abbandonano a « pronunciamenti » sintomatici e ammonitori. Chi può negare gravità alla crisi che travaglia la nazione italiana? E chi può prevederne la soluzione? I partiti d'avanguardia devono quindi vigilare. La dichiarazione di guerra ci trovò impreparati e lo sciopero generale del settembre scorso fu inutile ed insincero. Ma se domani imperizia di generali o follia di governanti rinnovassero il massacro e l’onta di Abba Garima, che il popolo d’Italia sia pronto e sappia rapidamente eliminare dalla vita civile i responsabili : uomini e sistemi. Rinnoviamo al Primo Maggio i nostri decisi propositi di battaglia, la nostra aperta professione di fede internazionalistica: gridiamo alto e forte — e non c’importa di scandalizzare i rugiadosi patriotti dell’ultima ora — che i proletari arabi e turchi sono nostri fratelli, mentre nemici nostri irriconciliabili sono i borghesi tanto turchi, quanto italiani, senza distinzioni cavillose o ipocriti riguardi. In alto le bandiere, o socialisti! Unite il vostro al palpito di milioni di lavoratori di tutti i continenti e di tutte le razze che oggi abbandonano l’aspra fatica per raccogliersi insieme nella sosta di un giorno, sosta breve nel tempo e grande nella speranza! Domani riusciremo anche noi a incidere il segno della nostra volontà sulle pagine bianche della storia : vivremo anche noi una grande ora. C’è qualche cosa che tramonta e qualche cosa che sorge : Dai vapori del sogno esce il Pensiero, La divina Utopia madre del Vero! Da La Lotta di Classe, N. 118, 27 aprile 1912, III (a, 484). //////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////// IL CONGRESSO DI ANCONA La data fatidica consacrata da oltre vent’anni alla festa del lavoro, ci sorprende all’indomani dell’avvenimento più importante della nostra vita di Partito e noi crediamo di non celebrare indegnamente il Primo Maggio occupandoci appunto del congresso d’Ancona. La stampa socialista e anche quella borghese preannunciando che quello di Ancona sarebbe stato un congresso « diverso » dai precedenti, non si sono affatto ingannati. Verità banale, del resto. Una


cosa, per quanto sembri, non è mai — in senso assoluto — la copia esatta dell’altra. Un quid di differenziazione è rintracciabile sempre. Il congresso d’Ancona si presentava, dunque, diverso dagli altri ed è stato, in realtà, profondamente, intimamente, diverso da tutti gli altri, non già perché sia passato inosservato, come s’illudeva, nel suo pietoso desiderio, quel melanconico Saraceno, che sulle colonne della melanconica-massonica Vita si industria, da qualche tempo, nelle funzioni e attributi del forcaiolo perfetto ; non già perché sia stato privo d’interesse, di passione, di movimento ; ma il congresso è stato « diverso » da tutti gli altri per una serie di ragioni che la stampa borghese non scopre, per voluta inintelligenza, e se scopre non dice.... Anzitutto molti giovani, e molti lavoratori « autentici », tra i milleduecento congressisti convenuti ad Ancona. E tra questi giovani, taluni si sono rivelati menti solide e coscienze sicure. Il Partito li ha notati e conta su di loro. Questa giovinezza che affolla le assisi del Partito — mentre molta altra attende fuori dei quadri ufficiali la sua ora — è un lieto sintomo della rinnovazione che si compie perennemente nelle nostre file. È certo che la forte rappresentanza dell’elemento giovanile ha contribuito a rendere l’atmosfera del congresso più vibrante di entusiasmo e di fraternità. Un’altra nota ha squillato robusta : quella dell’internazionalismo. Il principio dell’internazionalismo socialista è stato riaffermato con una precisione e una franchezza, che confinavano colla brutalità. Era necessario ma era — soprattutto — « sentito » . Il congresso non ha solo ovazionato freneticamente gli oratori delle altre nazioni, ma anche le semplici adesioni telegrafiche dei socialisti di tutta l’Europa : da quelli di Salonicco a quelli di Stoccolma, dagli spagnuoli ai finlandesi, dai francesi ai russi, agli inglesi; provocarono manifestazioni di entusiasmo, il cui significato non può essere dubbio. Terzo elemento di differenziazione. La fine delle tendenze. Il congresso ha controfirmato l’atto di decesso da noi steso parecchie settimane fa. Però intendiamoci : le tendenze morte sono quelle — non sembri una freddura l’affermazione — che avevan perduto ormai ogni ragione di vita. Ma le tendenze nel senso di correnti d’idee antagonistiche ci sono e ci saranno sempre. Quando non ci saranno più il socialismo perirà. Esistono ancora un riformismo e un rivoluzionarismo, ma non sono più «quelli» di prima. Presentano nuovi aspetti, una nuova fisionomia. Il discorso Modigliani, ad esempio, è già il sintomo, se si vuole usare la terminologia, il segno di una nuova tendenza, cioè di una nuova corrente d’idee : nel discorso Modigliani c’è il problema di domani e un problema ponderoso e delicato ad un tempo, che porrà forse, come su altre questioni, riformisti contro riformisti, rivoluzionari contro rivoluzionari. Insomma « le tendenze » tradizionali attorno alle quali si battagliava aspramente negli altri congressi, hanno perduto la loro rigidità schematica, ma s’incrociano, s’intersecano le une colle altre, le esistenti e le nasciture, provocando una serie di casi, di situazioni, di soluzioni impensate e sino a ieri impensabili. Domani, a processo compiuto e chiarito, riformismo e rivoluzionarismo si troveranno ancora di fronte, ma saranno — per necessità di cose — cambiati nella faccia e nell’anima. *** La questione massonica è quella che ha appassionato di più il congresso. Ed è stata finalmente risolta. Risolta con coraggio, con audacia e con sincerità, checché possano pensare e scrivere in contrario gli avversari neri, rossi e grigi del socialismo italiano. Ah ecco : se il congresso non la finiva una buona volta, ci avrebbero accusati di ridicolo, d’impotenza e di.... complicità col Grande Oriente ; il congresso dice una parola chiara, solenne, inequivocabile e gli avversari ritornano a salmodiare l’abusata, tediante e sufficientemente idiota litania dell’inquisizione e del domenicanismo socialista. Ma la nostra linea di condotta non può essere minimamente influenzata dal pensiero degli avversari di ieri e.... di oggi. Se noi vogliamo trovare le origini lontane e profonde del deliberato antimassonico di Ancona, mal ci soccorrerà nella nostra ricerca la facile coltura boulevardiera dei romanzi a 95 centesimi, edizioni Ollendorf, che si spacciano, con fortuna, nelle stazioni balneari della riviera di Ponente.... È — prima di tutto — lo stato d’animo della nuova generazione che, imbevuta di tutt’altra coltura che non quella in voga venti anni fa, considera la vita come un cimento da sostenere alla luce del sole, al di fuori della solidarietà non sempre confessabile e spesso ripugnante delle Logge. E nei rapporti di Partito, la deliberazione d’Ancona significa che si è compiuto od è vicino a compimento il


processo per cui il socialismo italiano diventa sempre più proletario e sempre meno popolo; sempre più classe, e sempre meno democrazia. Ecco, in sintesi, la significazione del voto di Ancona. Il Partito ha fatto quello che doveva fare, senza esitazioni e senza rimpianti. Le conseguenze pratiche c’interessano meno di quanto non sembri ai giornali borghesi che vanno ora alla caccia del pettegolezzo inutile e stupido. Noi abbiamo affermato una incompatibilità : era nel nostro diritto ; abbiamo posto un dilemma : era ancora nel nostro diritto. I socialisti massoni hanno la scelta : e quelli che sceglieranno la Loggia, dimostreranno che essi erano e sono più « massoni » che socialisti. Il Partito ha fatto appello alla lealtà dei compagni : era ancora una volta nel suo pieno diritto ed è stato generoso. Può darsi che qualcuno si giovi del, segreto massonico per mentire e turlupinare la buona fede dei compagni, ma tale contegno sarà semplice- mente ignobile. Ad ogni modo, noi non abbiamo preoccupazioni di sorta. Ci sarà crisi in talune località ? Esodo di uomini ? I danni saranno sempre e di gran lunga inferiori ai benefici del deliberato di Ancona. Ricordate l’uscita dei « destri » dopo il congresso di Reggio Emilia ? Secondo gli avversari il nostro Partito sarebbe morto. Eravamo ventottomila. Ci siamo trovati due anni dopo ad Ancona in cinquantamila. I massonici se ne vanno ? Al prossimo congresso ci conteremo in centomila. Falangi di giovani e di proletari che l’equivoco massonico teneva lungi da noi, verranno a sostituire i perduti. Questa è la nostra sicura fiducia, questo l’ardente voto, che lanciamo oggi ai socialisti e ai proletari d’Italia. Viva il socialismo ! Da Avanti !, N. 120, 1 maggio 1914, XVIII //////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////// «VIE OUVRIÈRE» Nel fascicolo doppio di aprile della rivista del sindacalismo operaio francese c’è un interessantissimo articolo di Pierre Monatte sulla storia del 1° maggio. Egli si occupa del 1° maggio in Inghilterra, negli Stati Uniti e in Francia. È uno studio analitico, esauriente e documentale. I tragici avvenimenti di Chicago sono ricostruiti con abbondanza di particolari. La storia del Monatte è la storia della lotta « per la conquista delle otto ore », risultato che la classe operaia italiana ed europea è ancora ben lungi dall’aver realizzato. Rivendicazione antica, che ha almeno 80 anni di vita. Sin dal 1833, in un catechismo dedicato ai lavoratori, Roberto Owen sosteneva con questi argomenti la necessità della giornata di otto ore. « 1. Perché è la più lunga durata di lavoro che la specie umana — tenendo conto del vigore medio e accordando ai deboli come ai forti il diritto all’esistenza possa sostenere, restando sana, intelligente e felice. « 2. Perché le scoperte moderne della chimica e della meccanica sopprimono la necessità di domandare sforzi fisici più lunghi. « 3. Perché otto ore di lavoro e una buona organizzazione di lavoro possono creare sovrabbondanza di ricchezza per tutti. « 4. Perché nessuno ha il diritto di esigere dai suoi simili un lavoro più lungo di quello che — in generale — è necessario alla Società, semplicemente allo scopo di arricchirsi facendo dei poveri. « 5. Perché il vero interesse di ciascuno è che tutti gli esseri umani siano sani, intelligenti, contenti e ricchi ».

Da Utopia, N. 9-10, 15-31 luglio 1914, II (/). //////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////// PER LA STORIA DEL SOCIALISMO ITALIANO


DEDICATO AI COMIZIANTI D’OGGI Nella recente riunione della Direzione del Partito Socialista Italiano si è votato un ordine del giorno col quale la nostra necessaria ed imminente guerra contro l’Austria e la Germania viene definita una « guerra d’aggressione ». Contro questa guerra sono invitati a protestare i lavoratori italiani, oggi, primo maggio. Che l’appello sia raccolto, è dubbio : le masse cominciano a sentire di essere state turlupinate. Le manovre dilatorie della Direzione devono avere aperto gli occhi anche a quelli che li tengono deliberatamente chiusi. Nemmeno la indecente trovata di qualificare « guerra d’aggressione » una « guerra di difesa » gioverà a vivificare i sentimenti anti-bellici del proletariato. Tanto più che la Direzione del Partito ha detto — scientemente — il falso. Quando io corro in difesa di un aggredito, devo necessariamente prendermela coll’aggressore. Ciò è lapalissiano. Chi sono gli aggressori? Gli Imperi Centrali. Questo è un dato di fatto acquisito alla storia. È lecito sperare, che per quanto sudekumizzati, i dirigenti del Partito non vorranno sposare la tesi di certi scrittori tedeschi, secondo i quali la colpa della conflagrazione europea ricade sul.... Belgio. Comunque, non è inopportuno « documentare » che quando la guerra scoppiò, il Partito Socialista e il Proletariato italiano furono unanimi nell’attribuire la responsabilità all’Austria-Ungheria e alla Germania. I proletari che si raccoglieranno oggi attorno agli sconclusionati sostenitori della neutralità pacifondaia, sono pregati di leggere questa documentazione irrefragabile e decisiva, che ha una certa importanza per la storia del socialismo italiano. Luglio 1914. — Dopo l’assassinio di Serajevo giungono di tempo in tempo voci sorde di guerra dai Balcani. L’atmosfera politica internazionale è pesante, immobile. C’è l’impressione che qualche cosa stia per arrivare. La coscienza pubblica è attraversata da inquietudini oscure. Al 13 luglio, commentando una lettera del redattore-capo all' Avanti !, Eugenio Guarino, io scrivevo: «.... L'assassinio di Serajevo ha fortemente compromesso le relazioni austro-serbe.... Il pericolo esiste e col pericolo balcanico quello europeo. Si è evitata, con qualche difficoltà, una conflagrazione europea all’epoca delle due guerre balcaniche, ma domani assai probabilmente il conflitto non sarebbe limitato. « La Russia continua i suoi paurosi e formidabili armamenti e in Austria lo stato d’animo delle sfere militari è inquietante.... Una nuova guerra nei Balcani può significare la guerra europea.... ». Mentre in Italia l'opinione pubblica è preoccupata per la minaccia di un altro sciopero di ferrovieri, in Francia i socialisti discutono — adunati in congresso straordinario — dello sciopero generale contro la guerra. Edoardo Vaillant si dichiara favorevole allo sciopero generale. Similmente Jaurès. Ma Guesde è fieramente avverso. Oggi, fanno un certo senso queste dichiarazioni di Vaillant. « Coloro che hanno veduto il 1870, quelli che videro Parigi schiacciata moralmente e materialmente, quasi deserta, ridotta alla miseria, non permetteranno mai che si riveda un simile spettacolo, che sia di nuovo compiuta una simile opera di distruzione. Un’altra guerra che sarebbe più terribile ancora? Mai! Votiamo dunque la proposta dello sciopero generale, per la salute dell’umanità, per la pace contro la guerra! »

Ma dall’altra riva del Reno, tale linguaggio non veniva compreso. I tedeschi che presentivano la guerra, sorridevano delle ingenuità dei genossen francesi e ci speculavano sopra per rendere più facile la vittoria al loro Kaiser. Al 23 luglio, il cielo è solcato da un primo lampo. I parigini, che convergevano tutta la loro attenzione sul processo contro Madame Caillaux, avvertono la minaccia. E' un brusco risveglio. Ca y est. La « nota » austro-ungarica è un chiaro, squillante preludio di guerra. L’Avanti! in data 25 luglio così commentava: « La presentazione della nota austro-ungarica alla Serbia è, in questo momento, il fatto più importante della politica internazionale. Il " passo ” del Governo della monarchia danubiana, è, in realtà, l’inizio del pericoloso duello fra la Serbia e l’Austria. A nessuno sfugge la gravità della nota. Essa ha un palese carattere d’imposizione. Tanto che è legittimo chiederci se ci troviamo in presenza di una nota diplomatica o di un vero e proprio ultimatum. «La nota finisce fissando un termine per una risposta "Il Governo austro-ungarico attende risposta dal Governo serbo al più tardi entro sabato 25 del mese corrente alle ore 6 di sera Anche la brevità del tempo concesso alla Serbia per rispondere, dà alla nota tutto il carattere di un ultimatum....


« La situazione è oltremodo critica. Tutto ci fa ritenere che la Serbia non accetterà le ingiunzioni austriache.... D’altra parte le pretese dell’Austria sono eccessive nella forma e nella sostanza e accettandole -sic et simpliciter- la Serbia menomerebbe la sua indipendenza e il suo prestigio ». Al 26 luglio, il dramma cominciato un mese prima, precipita verso l’epilogo. L’Europa vive ore d’angoscia suprema. Ma nessun dubbio è ormai possibile. L’Austria vuole la guerra. È evidente. È preordinato. L'Avanti! prospetta in una nota direzionale la situazione in questi termini : «.... è la guerra. Le responsabilità della catastrofe sono già fissate. Esse ricadono in massima parte sull’Austria. « La nota consegnata alla Serbia era un ultimatum. Ognuna delle ingiunzioni in essa contenute era, dice la consorella Arbeiter Zeitung, una '' negazione dell’indipendenza della Serbia ”. Quella nota, prosegue l'Arbeiter Zeitung, non ha precedenti nella storia del nostro tempo. Il partito militare austriaco voleva la guerra, ecco la realtà ». L'Arbeiter Zeitung, che giudicava e condannava così esplicitamente l’atto dell’Austria, pubblicava due settimane dopo un articolo sciovinista intitolato Il giorno della nazione tedesca nel quale veniva esaltata la guerra. Ipocrisie teutoniche! L’Avanti! non si stancava di denunciare dinanzi al proletariato il procedere inaudito dell'AustriaUngheria. Udite in quali termini accesi e vibranti si esprimeva Francesco Ciccotti. Udite, voi, che accusate l’Italia di aggredire.... l’Austria-Ungheria! Francesco Ciccotti scriveva: « Il governo di Vienna ha intrapreso contro la Serbia un’azione di banditismo internazionale.... Quei pazzi criminali di Vienna hanno accostato una miccia accesa alla mina.... Ebbene se quei signori dovranno pure trovare degli alleati nella selvaggia soperchieria, nella medioevale incursione brigantesca contro la Serbia, li troveranno nel ceto dei banditi. In Italia, no assolutamente!... Noi siamo per essere percossi dagli orrori del nuovo immane fratricidio e siamo ancora in preda allo sbalordimento per l'atto di brutalità inaudita che lo suscita. Chi avrebbe mai pensato 48 ore fa che sul seggiolone della cancelleria austriaca si sarebbe insediato lo spettro di Metternich ancora una volta e che, dopo 60 anni dalle forche di Belfiore, sarebbe risorto il profilo di Kraus sulle sponde del Danubio ad agitare il capestro contro gli ultimi assertori del diritto nazionale? « La Germania — facendo l’atto di neutralità di Mefistofele nel giudizio di Faust e Valentino — minaccia chiunque voglia parteggiare per il debole oppresso e tutela colla sua spada affilata l’aggressione del sopraffattore.... ».

Non sentite, in questa prosa del Ciccotti, un soffio di patriottismo e di irredentismo? L’atto d’accusa dei socialisti italiani si estende anche alla Germania. Anche la Germania è complice dell’Austria. Il Kaiser è degno compare di Francesco Giuseppe, e tutti e due sono degni dell’esecrazione universale. Né meno esplicito del linguaggio dell ’Avanti!, era l’ordine del giorno che fu votato al 28 luglio in una riunione plenaria fra Direzione del Partito e Gruppo Parlamentare. Ecco il brano più significativo : « .... Ammoniscono che nessun patto segreto di coronati potrebbe trascinare il proletariato italiano ad impugnare le armi al servizio dell'alleata per sopraffare un popolo libero ».

Francesco Ciccotti in una nota romana del 29 luglio ribadiva l’accusa contro l’Austria: « .... Non è più lecito dubitare ora di quello che a Belgrado si disse sin dal primo giorno della crisi attuale: l’Austria vuole la guerra ad ogni costo; l’attentato di Serajevo non è che un pretesto senza il quale ne avrebbe cercato e trovato un altro non meno ridicolo. Pretesto ridicolo, ma anche ignobile. In sostanza il militarismo austriaco ha iniziato la sua fruttuosa speculazione guerrafondaia su due feretri e, mentre lacrimava su di essi, pensava a sfruttarli.... ».

È noto che in quel periodo di tempo, il pensiero e l’atteggiamento della Confederazione Generale del Lavoro collimavano perfettamente con quelli del Partito Socialista. Non v’era l’ombra di dissidio nella valutazione degli avvenimenti e delle responsabilità. Il giudizio era unanime. Tutto il proletariato italiano stigmatizzava il procedere degli Imperi Centrali e si accingeva a spezzare — anche colla rivolta — i legami della Triplice Alleanza, se lo avessero costretto a marciare contro la


Francia. L’Unione Sindacale Italiana aggiungeva la sua voce al coro generale. Nel manifesto del 30 luglio, era detto quanto segue: « .... L’Austria pretende ancora di continuare anche oggi la funzione già compiuta nel secolo scorso di negatrice violenta dell’indeprecabile necessità che spinge i popoli a raggrupparsi logicamente a seconda delle razze, delle tradizioni e delle lingue, ripetendo nei Balcani quello che ha fatto in Italia fino al 1866. Vi è dunque una triplice ragione per insorgere contro l’enorme crimine che sta per compiersi : la nostra avversione di classe contro tutte le guerre fra le nazioni, il fatto che si tratta di una aggressione premeditata e vile di un forte contro un debole, il carattere fondamentalmente reazionario dell'aggressione. « Non sappiamo se coloro i quali parlano in nome della patria ed hanno ancora sulle carni le lividure lasciate pur ieri dal bastone austriaco, avranno la suprema impudenza di volerci spingere alla guerra per appoggiare il nuovo brigantaggio-absburghese.... ».

*** E la impressionante documentazione potrebbe continuare,... Gli avvenimenti successivi hanno convalidato quel primo giudizio. L’invasione del Belgio nella prima decade di agosto, rivelò al mondo il piano dei tedeschi e col piano, la loro sistematica e scientifica barbarie. Nello svolgimento ulteriore della guerra, la nazione della Kultur ha suscitato contro di sé l’ira e l'odio di tutto il mondo civile. Il nome « tedesco » è ormai infamato tra le genti. Passerà molto tempo, prima che l’Europa dimentichi lo strazio del Belgio compiuto dagli eserciti del Kaiser. Orbene, i socialisti italiani sono giunti a un grado così umiliante di cinismo e di degenerazione, che non fanno più distinzioni fra aggredito e aggressore. Per essi l’Austria vale la Serbia, e la Germania il Belgio. Tale infamia dovrebbe essere consacrata oggi — primo maggio — nel nome di una putrefatta Internazionale nella quale non crede più nessuno, nemmeno quel povero diavolo italo-giapponese di Oddino Morgari che va girovagando l’Europa per ricevere delle pedate. L’Internazionale è morta, perché, oggi, di Internazionali, ce ne sono almeno due. Quella dei popoli che aggredirono, quella dei popoli che si difendono. Finché l’equilibrio non sia tornato, finché giustizia non sia fatta, l’Internazionale non può essere che una stupidissima fola. E anche dopo, i tedeschi dovranno essere tenuti in quarantena, prima di essere accolti di nuovo nel consorzio delle genti civili! Primo maggio di guerra, dev’essere quello del 1915! Chi non intende questa assoluta necessità è lontano dallo spirito del socialismo. Da II Popolo d’Italia, N. 12 0, 1 maggio 1915, II. MUSSOLINI

Progetto realizzato da: ASSOCIAZIONE CULTURALE MANIPOLO D'AVANGUARDIA BERGAMO


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