Miti Boliviani

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L'origine dell’Illimani, Mururata e Sajama

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na leggenda aimará parla dei due titani figli del dio Wiracocha: Illimani, lo splendido e Mururata, il matto.

Un giorno, il giovane Mururata, volendo emulare la gioia, la forza e il coraggio del sereno Illimani, che era il figlio prediletto di Wiracocha, colui che era amato e degno di rispetto, lo sfidò con un urlo che si diffuse nello spazio infinito, facendo cadere monti, provocando cataclismi e terremoti così forti che anche lo stesso Wayra Tata (Dio del vento in aimará) non osava intromettersi. Illimani cercò di essere persuasivo, ma l'euforia di Mururata, divorato dall'invidia, ebbe la meglio e, senza ulteriori indugi, si preparò per la lotta. Wiracocha, che osservava la scena, chiamò Illimani e, consegnandogli un proiettile d'oro, gli raccomandò:

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-Arma la tua khorawa (fionda in aimará) con questo uesto proiettile, mio caro figliolo Illimani, e scaglialo sulla testa di Mururata. Ma fallo presto, prima che sorga la luce del nostro padre Inti (Sole) sulla terra. Proprio quando il giovane Mururata si stava preparando per iniziare la lotta, sentì arrivare re un proiettile così grande e veloce che non ebbe il tempo di spostarsi di lato. L'impatto avvenne in pieno viso e, come se si sgretolasse una parte di mondo, la sua testa volò verso terre lontane mentre il suo corpo decapitato di Mururata precipitò per terra t accanto ad Illimani. Una na voce, un uragano infuriato, gridava: Sarjam! Sarjam!- che in lingua aimará significa: Vattene! Vattene! Questo è l'origine dii tre delle montagne più alte dell’America: dell l’Illimani che sorge imponente vicino alla città di La Paz, il Mururata della cima piatta e l’immenso vulcano Sajama. 3


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La genesi del mondo

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ei tempi in cui su questa terra regnava sempre la notte, si dice

che nella provincia chiamata Collasuyo, uscì da una laguna un Signore chiamato Con Ticci Viracocha. Egli portò con sé alcune persone ed insieme si recarono in un luogo oggi chiamato Tiwanacu. Appena arrivarono lì si narra che nel cielo sorse il sole e divenne giorno. Con Ticci Viracocha ha ordinò poi al sole di seguire il corso del fiume che scorreva lì vicino e quando il sole sparì dietro all’orizzonte e scese la sera, egli creò la luna e le stelle. La leggenda racconta che Con Ticci Viracocha in tempi ancora più remoti fosse uscito un’altra un’a volta dalla laguna per creare il cielo e la terra lasciando però tutto nell’oscurità. Egli creò anche delle genti che impararono a vivere in quell’oscurità. Un giorno però il principe che governava quelle genti 4


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fece un grave torto a Viracocha: egli infatti era un uomo malvagio che si approfittava con cattiveria di molte persone innocenti tra cui donne e bambini. Viracocha allora, come castigo trasformò tutti in pietra e la terra rimase così deserta e oscura ancora per molto tempo. Ecco che quando Viracocha, decise di uscire dalla laguna per la seconda volta, condusse le persone che aveva creato proprio là dove sorgeva l’antica città popolata da statue di pietra. Egli indicò loro tutte le statue chiamandole per nome, anche quelle che si trovavano all’interno delle caverne e nei posti meno visibili e spiegò loro dove poterne trovare altre. Egli con tono solenne pronunciò la frase :-Uscite e popolate questa terra che è deserta perché così ha ordinato Con Ticci Viracocha, che ha fatto il mondo. Le statue pian piano tornarono a vivere, ad essere uomini in carne ed ossa! Viracocha incaricò tutte queste genti di partire e di andare nella direzione in cui sorge il sole per incontrare altre genti e popolare il Mondo.

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La creazione del lago Titicaca

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i narra che nel vasto altipiano c’era una città così ricca e potente che i suoi abitanti credevano che tutti dovessero ssero dimostrare sottomissione a loro. Un giorno arrivarono degli indigeni poveri e malandati. La popolazione della città si rifiutò di accoglierli e chiese a loro di andarsene. Questi profetizzarono allora la distruzione del centro abitato con terremoti, fuoco e acqua.

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Gli abitanti si burlarono dei nuovi arrivati e li condannarono a morte; però i sacerdoti della città erano molto preoccupati per la profezia degli indigeni ed alcuni di loro abbandonarono la grande città e si stabilirono in un tempio sulla collina vicina. Gli abitanti si burlarono anche di questi sacerdoti. Poco dopo arrivò una grande nuvola illuminata da una potente luce di color rosso che attraversò il cielo e la terra. Poi venne un lampo enorme e si sentì un forte tuono, la terra tremò e si aprì inghiottendo uno ad uno i grandi edifici fici fino quando non ve ne rimase più. I canali di irrigazione furono distrutti ed i fiumi strariparono inondando il poco che rimaneva della città. Le acque erano ovunque e da quel giorno si formò un grande lago su quella che era una città grande e potente. Così si creò il lago Titicaca. Solo i sacerdoti della collina furono risparmiati in quanto né il terremoto ne l'acqua riuscirono a rovesciare il tempio. Quel luogo si trasformò in un posto sacro, l’Isola del Sole. Oggi, il Lago Titicaca è il lago d'acqua qua dolce più grande del Sud America e quello navigabile più alto del mondo, situato nell’Altipiano Altipiano tra Perù e Bolivia, a quattromila metri sopra il livello del mare.

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Manco Kapac e Mama Okllu

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icino al lago Titicaca c’era una regione in cui gli uomini vivevano come animali selvatici. Le loro case erano grotte, e non riconoscevano nessuna legge, né giustizia, né dei. Un giorno, il dio sole, Inti, decise che doveva educare questi uomini. Chiamò a sè Manco Kapac, suo figlio e Mama Okllu, sua figlia e chiese loro di scendere nella terra per creare un impero. Dovevano istruire il suo popolo nelle arti della coltivazione e la raccolta; insegnare a rispettare l'altro e adorare il loro dio creatore, Inti. Egli disse ai suoi figli che il luogo per fondare la capitale dell’ impero sarebbe stato indicato da un bastone d'oro che sarebbe affondato senza difficoltà nella terra proprio nel posto giusto. 8


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Il giorno dopo, i fratelli, riccamente vestiti, scesero sul lago Titicaca. Uomini e donne rimasero abbagliati da quella visione e si convinsero che i due giovani erano esseri soprannaturali per cui molti di loro decisero di seguirli, pur tenendosi un pò a distanza per timore. I fratelli iniziarono così il loro lungo viaggio verso nord. Attraversarono l'esteso altipiano e le valli circostanti ma non arrivavano al luogo predestinato. Erano trascorsi vari giorni di instancabile pellegrinaggio e avevano quasi esaurito anche le loro scorte di viveri. Un giorno, all'alba, Manco Kapac fu informato dalla sorella che le loro provviste ormai erano finite. - Non disperarti- la pregò - sò che nostro Padre Sole non ci abbandonerà. Al tramonto i fratelli arrivarono ai piedi di un monte. Inti, padre Sole, si stava allungando in un fascio di luce brillante, raccogliendo i suoi raggi che scivolavano sui pendii fino ad unirsi in un'unica linea sull’orizzonte. Alzando le braccia, li benedisse e, indicando la dolce gola rocciosa nella quale sarebbe scomparso, parlò ai suoi figli.

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- Figli miei, presto troverete riposo e conoscerete la pace della dimora. Andate, ma prima raccogliete il cibo che troverete in questo luogo, e consideratelo un regalo. Passarono alcuni istanti, Inti aveva già raccolto il suo manto di luce benedetta quando dalla gola rocciosa scese dolcemente una cascata dorata di mais. Pochi giorni dopo i due fratelli e la gente che li seguiva arrivarono in una valle bella e fertile. Quando si sedettero a contemplare il paesaggio, il bastone d'oro affondò senza difficoltà nella terra. Questo era il segnale che aspettavano. Essi costruirono lì la capitale dell'impero, Cuzco: l'ombelico del mondo. Manco Kapac insegnò agli uomini a coltivare e raccogliere. Mama Okllu spiegò alle donne come filare e tessere la lana di lama e crearono così l'Impero del Sole. Per molto tempo i discendenti di Manco Kapac governarono l'Impero. 10


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La Kantuta

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olto tempo fa il territorio dell’altipiano era diviso tra due sovrani ricchi e potenti, nati sotto la protezione di due stelle diverse, ma ugualmente fulgide: Illampu governava con polso fermo le aride terre del nord ed Illimani dominava le terre del sud, le fertili valli delle Yungas, dalle quali riceveva cacao, coca e una gran varietĂ vari di frutti diversi. Entrambi avevano dei figli giovanissimi: Astro stro Rosso era figlio di Illampu, e Raggio d'Oro era figlio di Illimani. Illampu, invidioso, decise di distruggere Illimani, e gli dichiarò guerra; da parte sua, Illimani, incollerito, decise che l'arroganza del suo vicino meritava una lezione. La battaglia tra i due eserciti nemici fu aspra e crudele: vi furono innumerevoli vittime, e anche i due sovrani furono feriti e vennero trasportati moribondi nelle loro capitali; malgrado i tentativi di Astro

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Rosso e Raggio d’Oro Oro di far riconoscere ai rispettivi padri l’enorme errore di aver portato alla guerra i loro popoli soltanto per invidia e per orgoglio personali, i due vecchi re, anche in fin di vita, non solo non usarono parole di vicendevole perdono, ma in più costrinsero costrin i figli a giurare di vendicare l'umiliazione subita e la morte del padre. E fu così che i due eserciti si scontrarono nuovamente e ci furono ancora moltissimi morti e i feriti; si cessò di combattere solo quando i due giovanissimi principi,, si ritrovarono, in contemporanea, a ferirsi a vicenda mortalmente, uno con la freccia e l'altro con la fionda. Loro, a differenza di Illampu e Illimani, si fecero portare uno vicino all'altro, pronunciarono parole di generoso e reciproco perdono e si abbracciarono. 12


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In quel momento sorse la Madre Terra, la Pachamama, Pachamama che disse:Punirò l'orgoglio dei vostri genitori! Illampu e Illimani precipitarono vertiginosamente sulla terra e, incuneandosi nelle rocce, divennero due grandi montagne delle Ande. -In quanto a voi- aggiunse la Pachamama, - figli innocenti, diventerete simbolo di un popolo che vivrà qui in futuro e che porterà nella sua bandiera i colori rosso e giallo delle vostre stelle, uniti al verde, simbolo della speranza di una pace duratura. Illampu e Illimani iniziarono a piangere le loro colpe con l'eterno disgelo delle loro nevi e le acque prodotte fecondarono la terra che custodiva la tomba dei due principi riconciliati. Così le acque delle due montagne compirono il miracolo della vita: sopra la leggendaria tomba crebbe una nuova pianta con rami ritorti che sembravano abbracciarsi, la Kantuta. A primavera, la pianta si coprì di calici di colore rosso e giallo, i colori dei due giovani,, che, con il verde delle foglie, formarono un bel tricolore. Oggi l’emblema della Bolivia è la Kantuta ed i suoi colori rosso, giallo e verde sono quelli della bandiera nazionale.

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Kjana-Chuyma e la pianta di coca

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uando arrivarono i conquistatori spagnoli crudeli e sanguinari

le città vennero distrutte ed i tesori sacri depredati. Gli indigeni indifesi e disarmati, invano invocavano la protezione delle loro divinità. Nessuno, né in cielo né in terra, ebbe compassione di loro. Un vecchio sacerdote di nome Kjana-Chuyma che era al servizio del Tempio del Sole, nel lago Titicaca, era riuscito a fuggire prima dell'arrivo dei “conquistadores” portando via i tesori sacri del Grande Tempio e si era nascosto sulla riva orientale del lago. Ogni giorno controllava se si avvicinavano i soldati del conquistatore. Quando li vide arrivare e buttò tutte le ricchezze nel profondo del lago. Gli spagnoli lo catturarono e torturarono man non 14


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disse dove aveva nascosto i tesori. Alla fine lo lasciarono lascia in agonia ed andarono a cercare il tesoro da un’altra parte. Quella notte, lo sfortunato Kjana-Chuyma sognò che il dio del sole gli diceva:-Figlio mio, la tua devozione al dovere di custodire i miei oggetti sacri merita una ricompensa. Chiedi quello che vuoi, io sono disposto a concederlo. -Che altro posso chiedere che non sia la redenzione della mia razza e l'annientamento dei nostri invasori?- disse il vecchio. -Figlio -rispose il Sole- quello che mi chiedi è impossibile. La mia forza non può fare nulla contro questi intrusi. Anch’io devo fuggire e rifugiarmi nel mistero del tempo. Poco dopo un gruppo di abitanti si rifugiò sulla riva dove KjanaChuyma stava lottando contro la morte e si misero a piangere lamentando la sorte del sacerdote. Fu allora lui che si ricordò di nuovo della promessa del dio.

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Pensò di chiedere un bene durevole: di lasciare come sua eredità qualcosa che non fosse né oro né ricchezza e che l’uomo bianco non potesse in alcun modo depredare, insomma qualcosa di segreto ed efficace per i giorni di miseria e di sofferenza del suo popolo. Quella notte implorò al Sole di venire a sentire la sua ultima richiesta. Pochi istanti dopo un impulso misterioso lo sollevò dal suo letto e lo portò via fino alla cima di una collina. All'improvviso una voce disse: -Figlio ho ascoltato la tua preghiera. Vuoi lasciare un dono ai tuoi fratelli tristi che sia loro di conforto nei momenti di sofferenza e che allevi le loro fatiche? -Sì, sì. Voglio avere qualcosa che ci permetta di resistere alla schiavitù che ci attende. -Bene, - disse la voce- guardati intorno vedi quella piccola pianta di foglie verdi e ovali? L’ho fatta germogliare per i tuoi fratelli. Può fare il miracolo di allontanare la tristezza e la fatica. Sarà un talismano prezioso e amaro. Dì ai tuoi fratelli che devono essiccare le foglie e masticarle. Il succo sarà il miglior farmaco per il grande dolore delle loro anime.

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Più tardi Kjana-Chuyma chiamò tutti e disse: -Morirò, orirò, ma il nostro amato dio ci concede cibo e conforto con questa pianta. Nella dura fatica che impone la tirannia, masticate le foglie e otterrete una nuova forza per il lavoro. Nei momenti in cui il vostro spirito vorrà fingere gioia invece di malinconia usate le foglie che allevieranno il dolore. Una manciata di queste foglie gettate al vento vi svelerà il segreto del vostro destino. E quando l’uomo bianco vorrà fare la stessa cosa l'opposto accadrà; il succo che per voi è forza di vita, per i vostri padroni sarà vizio disgustoso; mentre per voi sarà quasi cibo spirituale per loro diventerà causa di follia. Dopo, il vecchio Chuyma Kjana morì. Fu sepolto tra i cespugli delle piante verdi e misteriose donate dal dio Sole. Proprio in quell’occasione i presenti si accorsero di quanto aveva detto e raccogliendo una manciata di foglie ovali cominciarono a masticare e mentre inghiottivano il succo amaro notarono che il dolore schiacciante lentamente si addormentava. Era nata la pianta di coca. 17


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La luna e il giaguaro n un villaggio guaranì abitava una coppia con una giovane figlia molto bella, Inomu. Nessuno si era accorto degli sguardi d'amore che la giovane Inomu aveva per Tatu Tupa, il dio armadillo.

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Un giorno un pavone selvatico cominciò a cantare una strana canzone che diceva: -Inomu aspetta due bambini, Inomu aspetta due bambini! Sconvolti dalla notizia, tutti cominciarono a sparlare della bella Inomu, che aveva disonorato la famiglia e violato le consuetudini del suo popolo. I genitori della ragazza, pieni di vergogna decisero a malincuore di cacciarla dal villaggio. Inomu, espulsa dal luogo in cui aveva sempre vissuto e disperata per quella umiliazione, piangeva sconsolata in mezzo alla selva, sperando che qualcuno avesse pietà di lei. Fu proprio allora che uno dei figli che aveva in grembo, cominciò a chiederle:-Mamma, mamma, perché piangi?

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Inomu cercò allora di spiegare quanto era successo ai suoi figli: i bimbi cercarono di consolarla e si impegnarono ad indicarle la strada che portava a casa del loro padre, il dio Armadillo, alla condizione che lei avesse raccolto tutti i fiori incontrati lungo o il suo cammino. Così, carica di fiori, Inomu s'incamminò nella selva. Ad un certo punto però, stanca, iniziò a lamentarsi con loro, dicendo: -Ma non vi dà pena sacrificare ancora di più vostra madre, caricandola con tanti fiori? I bambini allora si arrabbiarono con la madre e smisero di parlarle. Fu così che Inomu sbagliò strada finendo nella tana di una famiglia di giaguari. Questi la divorarono subito, risparmiando però i due gemelli, che vennero allevati da una vecchia giaguara. Quando i gemelli crebbero, vendicarono la morte della loro madre uccidendo tutti i giaguari, eccetto uno di loro che corse a nascondersi sotto il mantello di un'anziana, Yasi, la Luna, che sedeva sulla collina. 19


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Quando i ragazzi arrivarono lì, Yasi mentì assicurando che non stava nascondendo nessuno. Non appena però i due si allontanarono, si mise a gridare: -Aiuto, aiuto! il giaguaro mi sta divorando! I gemelli ritornarono subito da lei, ma trovarono l’anziana che rideva, prendendosi gioco di loro. Lo stesso scherzo si ripeté una seconda ed una terza volta. Stanchi, alla fine, i gemelli le dissero:Inutilmente chiederai soccorso quando il giaguaro ti divorerà davvero, perché nessuno verrà in tuo aiuto. I guaranì credono infatti che quando la luna scompare (si eclissa), è perché il giaguaro la sta divorando. Per spaventarlo, i figli primogeniti devono allora gridare a pieni polmoni e l'intera popolazione provocherà dei rumori spaventosi in modo tale da spaventare far scappare il giaguaro. La macchia che si osserva nella luna secondo loro è la figura di un giaguaro accovacciato dentro il mantello di Yasi, la Luna. 20


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L’armadillo musico n quirquincho (armadillo) non sapeva eva emettere suoni di alcun genere. E’ forse anche per questo che nella sua vita aveva sempre dimostrato una passione sfrenata per la musica e per il canto.

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Passava molte ore vicino ad una roccia, perché lì il vento soffiava forte e cantava eternamente. E, nelle notti di pioggia, si trascinava fino allo stagno, dove le rane offrivano il loro concerto. Un giorno ascoltò un canto divino, ancora più armonioso dei suoni prodotti dal vento e di quello delle rane: alcuni canarini gialli come il sole, cinguettavano allegramente. Era una cosa così stupefacente e paradisiaca per lui che, li seguì per molte leghe.

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Nel frattempo si era fatta notte, quando all’improvviso sbucò dalla terra una figura di donna, che gli si pose davanti e gli chiese perché fosse triste. Inizialmente un po’ timoroso, finì per svelarle quello che era sempre stato il suo più grande desiderio: imparare a cantare, come il vento, come le rane o, meglio ancora, come quei canarini che quello stesso giorno aveva inseguito fino al limite delle sue forze. La donna non era che la Pachamama, la Madre Terra, che, commossa da quel racconto e decisa ad accontentare il quirquincho, gli fece la sua proposta: -Ho la possibilità e il potere di farti produrre suoni melodiosi, ma da te voglio in cambio qualcosa, qualcosa di molto prezioso: la tua vita! Il quirquincho, senza esitare, rispose: -Che me ne faccio della mia vecchia vita, se non posso cantare? Prenditela, te la dono volentieri per ottenere in cambio quello che più ho desiderato da sempre! La Pachamama prese tra le sue braccia il vecchio animale e, nascondendolo tra le sue vesti svolazzanti, se lo portò con sé nella notte. 22


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All’alba del giorno seguente un uomo passò assò e sulla stradina di montagna che stava percorrendo vide un oggetto ggetto strano: strano sul davanti, cinque corde doppie di budello di llama ama e il retro ricoperto da peli di quirquincho. Se lo girò e rigirò in mano per un bel po’di tempo, finché fece schioccare una delle corde, che produsse un suono meraviglioso; ne toccò un’altra ra e poi un’altra ancora e una dolce armonia si diffuse rapidamente in tutto l’altopiano. Il vento cessò di alitare, le rane nello stagno ammutolirono e, piene di vergogna, smisero di gracidare. I canarini, invece, accorsero per vedere da dove provenisse quel uel suono così puro e armonioso e accompagnarono col loro canto il quirquincho che, trasformato dalla Pachamama in uno splendido strumento musicale, il charango, non smise mai più di fare musica! Il charango è uno degli strumenti musicali folkloristici ci dell’Altipiano che originariamente si realizzava con il guscio di armadillo.

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Il signore Hilario e la Pachamama

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a Pachamama è la Madre Terra, che benedice, produce e genera; una divinità benigna agricola concepita come la madre che nutre, protegge e sostiene gli esseri umani. Le tradizioni indigene descrivono la Pachamama come una donna di bassa statura, piedi grandi e cappello. o. Madre delle colline e degli uomini. Tutta la natura costituisce il suo tempio e gli altari sono chiamati “Apacheta”: tumuli di pietra ai lati della strada. La leggenda dice che la Pachamama è accompagnata da un corteo composto da Pujllay (signore del carnevale), arnevale), Llajtay (Dio degli uccelli) e Ñusta (fanciulla dell’impero inca). Coloro che la venerano sepelliscono vicino alla loro casa una pentola di terracotta con cibi cotti, coca, alcool, vino, sigari e “ chicha” che è una bevanda bevand derivata principalmente dalla fermentazionedel mais e di altri cereali. cereali

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Quello stesso giorno devono utilizzare lacci bianchi e neri, fatti di lana di lama, nei polsi, caviglie e al collo per evitare la punizione di Pachamama. Il signor Hilario e suo figlio di solito cacciavano vigogne, alpaca e guanachi. Ne uccidevano in quantità tità maggiore di quella di cui avevano bisogno. Così l’eccedente veniva venduto in paese. Ma si sa che la Pachamama non consente che i suoi animali vengano cacciati senza una reale necessità e soprattutto non tollera che le madri del branco vengano uccise. Hilario ignorava queste voci e continuava a cacciare. Un giorno, però, la Pachamama gli diede un avvertimento: fece rimbombare la terra provocando delle frane. Hilario e suo figlio riuscirono a mettersi in salvo, ma il mulo che era con loro si intestardì e non volle essere preso, quindi cadde da una rupe e morì. La Pachamama aveva così riscosso il suo primo pagamento. Dopo il crollo, il silenzio regnò sulla terra. Gli abitanti del paese, spaventati, fecero delle offerte alla Madre Terra per placare la sua ira. Sacrificarono anche un lama.

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Il signor or Hilario, tuttavia, continuò a cacciare, ma né suo figlio né la gente del paese lo seguirono. Un giorno quando Hilario rientrò a casa non trovò più il figlio che nel frattempo era uscito a richiamare le capre. Lo cercò fino all’imbrunire senza successo. Riprese le ricerche il giorno dopo, ma ritrovò soltanto le capre. Del figlio non v’erano tracce. Trascorsero i giorni e i mesi e un giorno, all’alba, alcuni mulattieri che scendevano in paese videro in lontananza il figlio di Hilario che cavalcava su un guanaco guidando il branco. Indossava delle pelli. Scomparve subito nella nebbia insieme agli animali. li. La Pachamama aveva riscosso un altro debito. I mulattieri raccontarono ciò che avevano visto a Hilario che iniziò a fare offerte alla Madre Terra. Fu tale la forza delle sue richieste e così profondo il suo pentimento che la Pachamama lo benedì con l’arrivo rrivo di un altro figlio. Hilario insegnò al piccolo il rispetto per gli animali e la terra. 26


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La miniera di Potosí e Supay

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ualpa, viaggiava in prossimità della miniera di Potosí. Avvenne che smarrì in quei paraggi un lama e mentre lo cercava scese la notte; raccolse della legna e accese un fuoco. Quando il nuovo giorno iniziò a schiarire, Hualpa si preparò per continuare a cercare le tracce del suo lama. All'improvviso però si rese conto che il fuoco aveva formato sul terreno una grande lastra luccicante di argento fuso, minerale presente in gran quantità in quella zona. Hualpa alla fine trovò il suo lama e ritornò a casa portando con sé la lastra di prezioso materiale e per molto tempo conservò il segreto di quella ricca miniera. Ma i conquistatori spagnoli lo spiarono e lo inseguirono arrivando infine a scoprire il segreto. Il “Cerro Rico” , Sumaj Orcko in lingua locale, di Potosí fu ricco e tristemente famoso in tutto il mondo da quel momento. La città si traformò in “Villa Imperiale” ed arrivò una valanga di cavalieri, soldati, religiosi e avventurieri.

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Miti Boliviani C’era argento ovunque, persino i ferri di cavallo erano d'argento.

Si dice che si sarebbe potuto costruire un ponte d’ argento puro dalla vetta del Cerro Rico fino alla porta del palazzo del re di Spagna. Però tutta quella ricchezza era legata allo sfruttamento della popolazione locale e portò alla morte di migliaia di persone. §§§§§§§§§§§§§§§§§§§ Da secoli, dentro la miniera esistono delle credenze: dato che i minatori ri credono nell'esistenza di un Dio nel regno dei cieli, secondo la medesima logica deve esisterne anche un’altro nelle viscere della terra, che abiti in un luogo caldo e orribile. Supay ay o El Tio, è un essere che abita nelle gallerie delle miniere, è padrone del minerale e del destino di chi ci entra. Non è buono ma neanche cattivo, è generoso ed egoista a suo piacimento. Dicono che sia piccolo, quasi un nano molto robusto, ha gli occhi occh rossi che brillano nel buio come quelli di un gatto e le corna che usa per scavare alla ricerca di minerali. Si veste come un minatore ed i suoi strumenti (casco, scarpe, martello) sono d’oro. A volte può assumere l'aspetto di un uomo comune unendosi agli altri lavoratori; può anche diventare un cane, una rana o un serpente. 28


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Quando i minatori entrano in miniera gli fanno un'offerta sperando di ricevere la sua protezione. Le sue statue si trovano nelle gallerie e davanti ad esse viene versato dell’alcol, ol, nella sua bocca vengono inserite delle sigarette accese e tutt'intorno vengono lasciate delle foglie di coca. Alcuni minatori che hanno goduto della sua simpatia grazie alle offerte che gli hanno fatto, sono stati avverti dei pericoli con un suo fischio ed hanno potuto cosÏ salvarsi la vita.

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Iqiqu e Awqa

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ell’altipiano viveva un aimará chiamato Iqiqu, era di bassa statura, umile, dal cuore buono, di carattere allegro e festaiolo. Tutta la gente del villaggio gli voleva bene.

La sua bontà era tale che, ovunque andasse, portava armonia all’esistenza, sapeva coltivare buoni rapporti. Per altro verso sapeva dare consigli utili e la sua sola presenza garantiva giorni felici a tutti. Si diceva che fosse uno sciamano dotato di poteri particolari come spostare pietre enormi, seccare fiumi, aprire montagne. Grazie alla sua presenza il suo popolo godette di una vera età dell’oro, segnata da un periodo di abbondanza e grande prosperità. Ma il Signore del male, Awqa, fu preso da invidia, quindi con il suo esercito di demoni soggiogò le menti più deboli creando una vera e propria rivolta interna. Il dubbio si insinuò nella mente delle genti e la paura prese il posto della 30


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certezza. ertezza. Awqa era intenzionato ad eliminare Iqiqu a tutti i costi, ma questi, avvertito dai suoi spiriti ancestrali, fuggì prima di venire catturato. Valicò le più aspre regioni delle Ande, attraversò fiumi e foreste. Si nascose cose in altre terre, cercando di non coinvolgere troppo le popolazioni che lo circondavano perché non diventassero vittime di Awqa. Un giorno, entrò in un’assemblea. Awqa, che conosceva le debolezze del suo nemico, entrò all’improvviso e Iqiku,, per evitare una strage, preferì consegnarsi al maligno. Awqa diede ordine di torturarlo e di smembrarlo. Testa, braccia, gambe, tronco vennero sepolti in posti diversi per evitare che il suo corpo venisse ricomposto. Questo avrebbe comportato il ritorno ad una nuova Età dell’Oro e la sua sconfitta sarebbe segnata definitivamente. La leggenda dice che con il tempo, le varie parti del corpo di questo uomo divinizzato, si riuniranno e già molte parti sono in cammino verso « Wiñay Marca », la città eterna. Iqiqu passò alla storia col nome di Ekeko e si trasformò nello spirito dell’abbondanza e della prosperità. 31


Miti Boliviani varietá della sua natura e dei La Bolivia non é solo magica per l'incredibile suoi paesaggi, ma anche per la ricchezza della diversità della sua gente. Della magia boliviana fanno parte anche le ricche tradizioni e costumi che sono nel vissuto quotidiano. Multietnica e pluriculturale, si tratta di uno dei pochi paesi del Sudamerica dove la maggioranza della popolazione é indigena. Nel febbraio 2009 ha adottato una Costituzione che parla di uno stato composto da 36 nazioni dei popoli indigeni, cioè vuol dire che coesistono diverse culture ed anche differenti combinazioni tra di loro includendo religioni e tradizioni. Il progetto MITI BOLIVIANI, dell’Associazione l’Associazione Culturale Due Mondi, si propone raccogliere alcuni miti e leggende. Storie di tempi lontani, dove si spiega l'origine del mondo e degli animali, insieme a creature fantastiche e leggendarie. ntri estivi della provincia di Raccontate durante l’estate del 2011 in alcuni centri Pordenone queste fiabe, come lo dimostrano i disegni dei bambini, sono servite a conoscere meglio questi popoli della Bolivia, le sue tradizioni ed usanze, ma anche a guardare in modo diverso la natura che ci circonda ed il significato di alcuni suoi aspetti. Dobbiamo ringraziare a chi ci ha aiutato a raccogliere le leggende e ha tradurle: Antonio Ferronato dell’Associazione Braccia Aperte di Treviso, Pinuccia Schopf Fadda del Centro Socio-culturale culturale "Casa dei Boliviani" di Bergamo, Federica Dal Mas di Pordenone, José Luis Mamani Quispe dell’Università Salesiana di La Paz, Mario de la Vega, imperterrito viaggiatore e Mauro Giacomini, emigrato friulano a Potosí, Il presidente Con il contributo di: Walter Mattiussi

Cooperativa Sociale Itaca 32 Testo scaricabile da www. issuu.com/2mondi


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