Sons of lesser gods

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NON EDIZIONI CHIP 65C02

SONS OF LESSER GODS Release (v2.0) in Copyleft(BY-ND-NC) Chip 65C02 15/03/2020


✔ Note Legalesi. Il webmaster 6502 & Terminetor Magnetico ha costruito una serie di racconti distopici ambientati nel 2050, che narrano lo stesso evento, con variegati punti di vista: WWIII e Guerre Puniche II. L’obiettivo del racconto é intrattenere & far riflettere il lettore. In nessun caso sono collegate le persone, enti, organizzazioni e quant'altro citato direttamente od indirettamente nel testo. È importante tenere presente che ogni riferimento esplicito od implicito a fatti o persone, enti, organizzazioni, eventi, circostanze future o presenti o passate, che taluni lettori possono riconoscere od associare è del tutto casuale ed immaginario. L'ebook.pdf è no-profit, l’autore non persegue nessuno scopo di lucro o profitto diffondendo online il materiale assemblato. Il volume è liberamente stampabile in tutto od in parte, è inoltre distribuibile senza alcuna limitazione legale, purché non ne sia alterato il suo contenuto e sia citato il nome dell’autore, rispettando le condizioni di Copyleft(by-nc-nd) A tale proposito ricordo che questo documento non è un sito d'informazione e nemmeno un risultato di un prodotto editoriale, l'ebook in PDF non contiene immagini di qualità, per cui la resa grafica dovrebbe essere alquanto limitata, invocando il diritto di citazione. L’ebook dovrebbe essere facilmente stampabile ed intuitivamente rilegabile o spillabile in un vero libro già correttamente impaginato. Le immagini non dovrebbero essere coperte da copyright, le ho trovate con google.images e le ho lasciate in RGB e convertite in bianco e nero a 96dpi per complicare la stampa. E’ possibile che altre foto reperite con google.images io le abbia sintetizzate artificialmente mantenendo l’RGB per gli scopi letterari, oppure degradate in scala di grigio. In ogni caso le fotografie restano di proprietà dei loro legittimi proprietari bla, bla, bla... Non è "garantita al limone" la resa grafica ed il processo di stampa di cui ogni utente ne assume la piena responsabilità. Il webmaster non si assume la responsabilità della completezza dell’informazioni pubblicate, dei problemi, danni di ogni genere che eventualmente possono derivare dall'uso proprio od improprio di tale file, dalla stampa, dall'interazione e/o download di quanto disponibile online. Tutti i marchi, loghi, organizzazioni citati direttamente od indirettamente sono di proprietà dei loro legittimi proprietari bla, bla, bla... tutelati a norma di legge dal diritto nazionale/internazionale, bla, bla, bla... legalmente registrati ecc... sì insomma dai!, non dite che non avete capito!.

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Indice Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo

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La battaglia di Fort Polignac ….……………………………………………..………..Pag.7 La battaglia di Capo Fe to …………………………………………………….………….Pag.24 L’asse dio di Surgut ………………………………………………………….………….… Pag.41 L’acce rchiamento di Surgut …………………………………………………………….Pag.57 La battaglia pe r Surgut ……………………………………….………………..…..… Pag.64

Breve Prefazione Le credenze greche narrano che Marte fosse il dio della guerra, tuttavia a parere di altri popoli con altre mitologie, in ogni confronto violento, c'erano sempre anche molti altri dei minori, che osservavano, premiavano o punivano, gli sciagurati umani che si combattevano, spesso per motivi stupidi. "Sons of a lesser gods" alias "Figli di dei minori" è un nuovo ebook di Climate Fiction, incentrato come gli altri ebook, sulle climate change war. L’ansiogeno testo, narra le memorie di 5 testimoni del 2050, i quali raccontano di 3 battaglie di minore importanza, che ebbero a deflagrare durante WWIII e GUERRE PUNICHE II. Tutte le memorie, sono state intercettate dal backseat dell'rF4 Phantom II di Blackjack, per cui è ovvio che le suggestioni musicali che scandiscono l’incipit del testo, siano in inglese, dato che risentono dell'apparato hardware del velivolo. Tutti i racconti, possono essere “esplorati” all’interno del software della B.I.ARMA2/ARMA3 previa programmazione dei contesti tattici. La battaglia di Fort Polignac Il primo breve racconto, è centrato sul tenente Vincent Renault della LEGIONE STRANIERA, questi dipingerà un piccolo affresco della battaglia per Fort Polignac, Algeria, Nord Africa nel 2050. Il racconto, ha come incipit il testo e la suggestione audio di Blue Side of the Mountain by The SteelDrivers. Il colore blu in ambito militare è solitamente associato a truppe amiche o Defenders, mentre il colore rosso è correlato a truppe nemiche o Aggressors. E’ dentro una galleria scavata nella roccia e ricoperta di detriti, simile ad una montagna, che il tenente Renault era di guardia. Molti decenni prima della detonazione di GUERRE PUNICHE II, la Francia ebbe a smantellare le centrali nucleari a fissione che erano palesemente obsolete. I materiali pericolosi, quanto i rifiuti nucleari radioattivi, furono immagazzinati in una gigantesca galleria scavata nella roccia, in pieno deserto del Sahara. L'Algeria, ebbe ad affittare alla Francia in un contratto di 1000 anni, una vasta area del deserto del Sahara. L’area designata a deposito di scorie

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e materiali radioattivi, fu quella delle vicinanze di Fort Polignac alias Illizi, in cui furono stivati in una galleria artificiale, un’enormità di rifiuti radioattivi francesi. La cittadella di Illizi fu abbandonata, tutta l'area fu interdetta per ragioni di sicurezza, per un raggio di 500km e denominata DEAD ZONE. Nessuno poteva entrare in quest’area, pena l’imposizione di forza letale, distribuita dai militi francesi che erano di guardia, supportati dal sostegno aereo e tattico, dell’Esercito Algerino. Sostavano per contratto, nel 2050 nella cittadina fantasma di Fort Polignac, il drappello del tenente Renault, il quale era in servizio nella DEAD ZONE, per vigilare sul deposito di rifiuti radioattivi. La sua missione, nell'area di Fort Polignac avrebbe dovuto essere solo di 3 mesi, poi un nuovo contingente l’avrebbe dovuto rilevare, ma ovviamente le cose non andarono proprio così. Dalla testimonianza del tenente Renault, s'inferisce che la battaglia per Fort Polignac ebbe ad accadere, poco tempo dopo la Levata di Chartago, quando le GUERRE PUNICHE II erano già detonate nelle Yellow Buffer Zones, e pochi giorni dopo la detonazione di WWIII in Siberia.

La Battaglia per Surgut Ritroveremo in questo testo, le memorie del tenente De Zhao, 2°plotone, III°compagnia, I°battaglione, II°reggimento, 180°Divisione di fanteria meccanizzata, della IX°Legione del fronte dell’Est, dell'Esercito Imperiale della Repubblica Popolare Gengiskana. Il tenente De Zhao, trascinerà il lettore sul campo di battaglia di Surgut, nel Bassopiano Siberiano Centrale, nella WWIII di Siberia 2050. Il racconto è il SEQUEL di “Operazione Yangtze-Kiang” ha per incipit il testo e la soundtrack Xian – Chinese battle music. L’Accerchiamento di Surgut Lo stesso identico evento, l'assedio a Surgut, sarà raccontato dal punto di vista del sergente Elizaveta Ivanov, prima compagnia, 297th brigata missili di difesa aerea, dell’esercito della Repubblica Zarina: la storia ha come incipit sonora, il pezzo Ursine Volpine f.t. Annaca –Wicked Game per cui,

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questo racconto è da considerarsi il SEQUEL di "Lets light it up". L’Assedio di Surgut L'assedio a Surgut, sarà anche raccontato dal punto di vista del tenente James Gastovskj del I°plotone, compagnia B, I°Brigata dell'11st USE Cavalry; la sua storia ha come suggestione sonora, il pezzo Black by Kari Kimmel per cui, questo racconto è da considerarsi il SEQUEL di "Battle for Kalinka".

La Battaglia di Capo Feto Ultimo testimone, non meno importante degli altri, è il tenente Giovanni Rossi dell'Esercito della Repubblica Federale Italiana, che ci racconterà la Battaglia per la Spiaggia di Capo Feto in Sicilia, nel Mediterraneo Centrale durante le GUERRE PUNICHE II. L'incipit della sua storia, è la suggestione musicale di Evil Ways by Blues Saraceno Vi sono molte Guerre Puniche II: per cause endemiche e/o per diversione strategica, le memorie di tale complesso evento, scaturiscono da tanti testimoni, i quali le narrano in modo differente, a seconda di quale Universo Pessimista od Atteso, provengano le loro testimonianze!. •

Nell'Universo Atteso la Repubblica Italiana sotto lo stress esterno delle Guerre Puniche II, si frantumò in tre parti, finendo anche devastata da una guerra civile. Nell'Universo Pessimista, la Repubblica Italiana si dissolse, per shock finanziario e valutario, le istituzioni italiane scomparvero in un Nuovo Medioevo, vari anni prima della detonazione delle Guerre Puniche II. La penisola italica, nelle Guerre Puniche II fu infatti una colonia succube a Chartago, quanto una realtà ostile ad Euroma.

La peculiarità delle memorie del tenente Giovanni Rossi, è che il suo racconto è relativo ad un interstizio irrazionale, posto a metà strada tra l'universo atteso e l'universo pessimista. Per questa ragione, la storia che ci narrerà il tenente Giovanni Rossi è molto interessante, essendo una novità assoluta!.

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Nel contesto storico da cui proviene il tenente Giovanni Rossi, la Repubblica Italiana s'era scissa pacificamente in due stati, spartendosi l'enorme debito pubblico italiano. C’era la Repubblica Federale d'Italia (ossia il centro nord della penisola italica) con valuta Euro, poi c’era la Repubblica Democratica Italiana (un pezzo del centro italia, con il sud della penisola ed alcune isole) dotate di Lira borbonica, la cui moneta finì per essere subito iper-inflazionata, pari alla cartastraccia. Il tenente Rossi ci racconta che non correva buon sangue tra le due entità politiche, che una volta erano unite in un’unica nazione!. Dopo un breve preambolo, con cui il tenente Rossi illustrerà come la penisola italica era finita in questo "cul de sac", il militare del corpo dei bersaglieri, trasporterà il lettore nell'inferno della Battaglia della Spiaggia di Capo Feto in Sicilia, nel Mediterraneo Centrale durante le GUERRE PUNICHE II. Auguro a tutti, un’angosciante lettura! Chip65C02

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Blue Side of the Mountain by The SteelDrivers Theres a place in a piney hollow That no one but me can find Some Choctaw built it in the hillside Stone by s tone in a simpler time Its a holy place my daddy s howed me Back before this land was mine On the blue side of the mountain Where the sun don't ever s hine So deep and dark like a hurtin' down in my heart Maybe s omeday they'll s how me s ome kind of sign On the blue side of the mountain Where the sun don't ever s hine I m goin' back to a world of shadow Gotta find s ome peace 'for I los e my mind On the blue side of the mountain Where the sun don't ever s hine So deep and dark like a hurtin' down in my heart Maybe s omeday they'll s how me s ome kind of sign On the blue side of the mountain Where the sun don't ever s hine Where the sun don't ever s hine

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Capitolo 1: La Battaglia di Fort Polignac

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Il basso e tarchiato tenente Vincent Renault, il gigantesco sergente maggiore Olivier Abanda, il giovanissimo magro ed ossuto caporale Bernard Chevalier, osservavano il tablet, che mostrava a video i dati registrati dal proprio drone tattico, che era stato lanciato 4 ore fa, alle 5:00 di mattina. A SudEst c’erano 4 carri armati T72, 4 trasporti truppa BMP-2, 4 camion militari, di cui 2 erano enormi cisterne, probabilmente di carburante ed acqua. Il convoglio militare era composto a parere del plug-in d’I.A. da circa 70 ostili subsahariani. Gli ostili, erano tutti militari regolari, con mimetiche verdi, elmetti, fucili AK47, mitragliatrici PKM, fucili di precisione Dragunov, lanciamissili anticarro RPG7. Il distaccamento era in sosta, in formazione a quadrilatero stretto. I militi nemici, stavano stendendo dei teli mimet ici chiari, per coprire carri armat i e blindat i, creando delle zone d’ombra al centro del quadrilatero, per la truppa. Sembravano truppe ben addestrate e ben equipaggiate, non erano i tradizionali nomadi e disperati, dotati di AK47, nascosti da turbanti colorati, che in groppa a cammelli, s’avvicinavano alla DEAD ZONE, nel vano tentativo di razziare il deposito di scorie nucleari francese. Questi ostili, erano militari, sapevano il fatto loro: avevano viaggiato nel deserto durante la notte, l’oscurità aveva coperto la loro scia di polvere, poi alle prime luci del giorno, s’erano accampati con una metico losa prudenza militare. Nessuno dei sensori posti nel raggio di 500km aveva dato l’allarme, circa il convoglio nemico!.


-Che cosa vorranno?- chiese il giovanissimo ed inesperto Bernard Chevalier, che era bianco come un lenzuolo, con il vo lto ricoperto di una spessa crema solare ad alt issimo livello di protezione. -Bernard, sicuramente non sono venuti a rubarti le tue raccolte di fumetti, sui Fantastici Quattro- rispose con tono preoccupato, il possente sergente di colore Olivier Abanda, che nel frattempo fece tamburellare sul cofano del 4x4 VBL, il proprio dito indice, sopra la grossa mappa di carta, che era stata stesa sul cofano del mezzo. -Sì!, Olivier hai ragione- annuì il tenente Renault, che poi aggiunse –i bastardi sono a solo 15 km dal nostro deposito di scorie nucleari-Signore, non credo che i paesi sub-sahariani abbiano il know-how per farsi un’atomica tattica- disse il sergente Olivier Abanda, che poi aggiunse –Ma chi può dirlo? Forse sono aiutati da varie nazioni in Asia? Oppure è una missione su commissione, per un paese Asiatico?-Tutto è possibile- risposte il tenente Renault – Anche se nessuno, gli avesse commissionato il furto di materiali radioattivi dal nostro deposito, gli ostili potrebbero voler costruire una bomba sporca!. Non è un ordigno potente come un’atomica tattica, ma è sempre una brutta rogna!-Tenente, cosa facciamo?- chiese il caporale Chevalier che nel frattempo stava riponendo il drone, nella custodia di plastica. -Il nostro maledetto lavoro!. Questi ostili, sono già dentro di 485km, nella DEAD ZONE- disse il sergente maggiore Abanda, che con tono secco e laconico, folgorò con gli occhi, lo sguardo un po’ disorientato, del giovane Chevalier. -Sergente- esordì il caporale Chevalier –non mi fraintenda, non è che io abbia paura, ma noi siamo in 20, loro almeno in 70, noi abbiamo solo 3 VBL 4x4, ed i mezzi non hanno armi anticarro, ma solo mitragliatrici in calibro .50 Abbiamo un solo carro armato Leclerc, mentre loro hanno 4 carri armati T72 oltre a 4 BMP2 con cannoncini ed 8 missili anticarro AT5-.

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-Caporale Chevalier, hai provato a ricontattare il comando a Parigi, via Satellite? Il ponte radio in Alta Frequenza, con il comando dell’Esercito Algerino, funziona?- chiese con tono imperioso e sibilante, il tenente Renault, che stroncò i commenti del giovane Chevalier. -No, signore. La parabola non traccia alcun satellite, sembrano tutti spariti dalle proprie orbite!. Gli Algerini, non rispondono alle nostre chiamate radio. Ho provato e riprovato, facendo numerosi test di comunicazione, mentre aspettavo il rientro automatico del nostro drone. Forse, gli Algerini hanno problemi di comunicazione, proprio come i nostri, che sono a Parigi- rispose il caporale Chevalier. Il tenente Renault storse impercettibilmente le labbra, contrasse la mascella, poi il suo dito indice ed il pollice accarezzarono le narici del naso. Il militare era sempre solito fare così, quando rifletteva profondamente sul da farsi. Il sergente maggiore Abanda, intervenne sarcastico, rivolgendosi alla giovane recluta –Oppure, gli Algerini hanno altro da fare, piuttosto che stare alla radio, a rispondere alle nostre richieste di supporto aereo tattico!.-Lo penso anche io- esordì il tenente Renault, che annuì muovendo la testa, poi aggiunse – Dobbiamo cavarcela con quello che abbiamo!. I nemici sono tanti, sono molto vicini al nostro deposito!. I nostri sensori di prossimità per qualche ragione, non hanno funzionato, oppure sono stati jammati o distrutti o sabotati. Noi, non possiamo perdere tempo prezioso, implorando supporto aereo tattico o d’artiglieria, agli Algerini.-Signore- chiese il possente sergente maggiore Abanda –pensa ad attaccarli dopo il tramonto? Oppure, medita un attacco diurno?-L’epoca del tiro al piccione è finita!. I carri armati T72 sono vetusti, ma molto robusti, hanno visori notturni. Noi non abbiamo vantaggi tattici rilevanti, come quando avevamo a che fare, con gli sbandati delle truppe cammellate, che erano armati solo di AK47- rispose il tenente Renault.

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Dopo qualche secondo di silenzio, il tenente Renault aggiunse – caporale Bernard, prendi la radio in alta frequenza, trasmetti sul canale criptato, dai l’allarme generale al nostro accampamento di fort Polignac, con un SMS. Che tirino fuori dalla naftalina i 7 missili Javelin anti-tank. Voglio il carro armato Leclerc, quanto i 2 VBL, pronti al combattimento tra mezz’ora. Poi i nostri devono raggiungerci dove siamo. Digli d’andare piano, che alzino quanta meno polvere possibile. Sono appena le 9:00 di mattina, c’è tempo per scegliere l’ora del nostro attacco. Poi voglio che l’addetto alle telecomunicazioni, prenda il nostro camion da trasporto truppa, e fili via!. Deve raggiungere il comando ad Algeri. Deve riferire di persona, portando il messaggio che a noi servono munizioni anticarro, artiglieria, rinforzi, ed abbiamo urgente bisogno d’appoggio aereo tattico!-. -Signore, che cosa ha in mente?- chiese il sergente Abanda. -Io, con 6 fucilieri, armati con 7 Javelin, c’addentreremo a piedi, in colonna, nel Sahara. Andremo diretti verso l’accampamento ostile, poi giunti a distanza di tiro dei Javelin, c’apriremo in linea, quindi attaccheremo il nemico sul fianco sinistro. Faremo subito fuori 7 degli 8 mezzi pesanti nemici. Dopo il nostro attacco, il carro armato Leclerc darà subito la carica, ingaggiando frontalmente, l’ultimo BMP nemico. Poi continuerà a sparare cannonate, senza risparmiare colpi, martellando l’accampamento nemico. Questo, darà alla mia formazione, del fuoco di copertura. Contestualmente, dal fianco destro, Olivier sarai al comando dei VBL, t’avvicinerai rapidamente ed attaccherai i nemici con le mitragliatrici in calibro .50 Noi tutti, convergeremo sull’accampamento nemico, non faremo prigionieri, gli ammazzeremo tutti quanti!. Le armi leggere ancora funzionanti, le requisiremo, quindi ripiegheremo presso Fort Polignac, dove ci leccheremo le ferite. Spero che non ci siano altre forze nemiche in giro, nel Sahara. Spero, che non ci sia nessun attacco aereo nemico su Fort Polignac. Entro breve tempo, spero che gli Algerini ci spediscano con elicotteri, rimpiazzi e supplies- disse il tenente Renault, mentre muoveva nervosamente le mani sopra la mappa, gesticolando e mimando le direz ioni di manovra e fuoco.

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-Signore, sono oltre 1500km da Fort Polignac ad Algeri. Al tecnico delle telecomunicazioni, a bordo del camion, sempre che non abbia imprevisti, gli occorreranno circa 18 ore, solo per far conoscere agli Algerini le nostre richieste d’aiuto. Poi, le truppe Algerine dovranno muovere verso Fort Polignac portandoci rinforzi e munizioni. Se tutto andrà bene, avremo un back up dopo 36 ore circa. 36 ore possono essere tante, abbiamo un solo carro armato e non abbiamo difese antiaeree da impegnare, in caso d’attacchi aerei nemici oppure d’elicotteri da battaglia nemici. Signore, potremmo non avere riserve, da gettare in battaglia, se intorno a noi ci fossero altre forze nemiche!- disse il sergente maggiore Abanda, mentre muoveva nervosamente il proprio dito, intorno alla mappa cartacea. -Merda, sì!, potrebbe davvero diventare una brutta rogna!. Hai ragione Olivier.- disse con tono laconico il tenente Renault –Il fatto è che non voglio che i 4 T72 e 4 BMP2 nemici, s’aprano a ventaglio, ed inizino a manovrare contro di noi. E’ una maledetta piana deserta, dove non c’è concealment. Dispongo di un solo carro armato. Le jeep VBL 4x4 non hanno missili anticarro a bordo. Abbiamo solo 7 Javelin da portare a spalla e dispiegare come armi anticarro. Se lascio il tempo, ed il modo, ai nemici di manovrare, noi sicuramente finiremmo sopraffatti. Il nemico muoverà al calare della sera, potrebbero persino avere supporto aereo tattico, con elicotteri Mil-mi 24 da battaglia. Dopo tutto, la valutazione dell’I.A. è che siano truppe regolari. Io voglio attaccare la fanteria nemica, prima che loro attacchino noi, forse anche con un attacco nemico integrato. Dividi ed impera!. Io li voglio attaccare, alle 14 del pomeriggio, quando il sole nel Sahara picchierà come un incudine, che stordisce la mente ed i corpi, generando pesante sonnolenza. Le lamiere dei blindati e dei carri armati, bruceranno come forni crematori!. Nessuno di questi stronzi, sarà a bordo dei blindati e dei mezzi corazzati, a girare le torrette e guardare l’orizzonte dai telemetri. I T74 non hanno aria condizionata!.

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I nemici saranno tutti assopiti dal caldo, storditi dalla calura sahariana, i pochi che saranno di guardia, probabilmente saranno poco attenti e dotati solo di binocoli. Dopo tutto, i nemici hanno viaggiato tutta la notte, i dati del drone indicano che i nemici si sono accampati, con tende mimetiche e drappeggi chiari. Stanno cercando di riposarsi, sicuramente meditano di recuperare le forze, per essere lucidi e poi muovere contro Fort Polignac, in serata, oppure nella notte!.-

Il sergente maggiore Abanda ascoltò con attenzione, annuì, poi commentò –Un attacco diurno, a sorpresa, celato dalla calura del deserto sahariano. Signore, lei conta di sfruttare il vantaggio tattico, che i nostri sono già acclimatati al pesante clima del Sahara, mentre i nemici si saranno avventurati nel deserto, forse solo da pochi giorni…-Sì- rispose il tenente Renault che annuì, aggiungendo –I carri armati T72 hanno una gittata di 2.1km con il loro pezzo principale. Le mitragliatrici di bordo sono PKM ed hanno una gittata di 1km circa. I BMP2 hanno un cannoncino 2A42 da 2.5km di gittata, ed hanno missili anticarro AT5 hanno 4km di gittata. I nostri 7 missili Javelin hanno una gittata di 2.5km. Il nostro Leclerc ha il pezzo principale da 120mm con una portata di 4km, a Fort Polignac abbiamo buone scorte di munizionamento per il Leclerc. I missili Javelin sono a guida infrarossa, fire and forget, mentre i carri armati T72 e BMP2 nel deserto, alle 14 saranno roventi come tizzoni d’inferno, facili obiettivi, nonostante il contesto rovente del Sahara.-Signore, quindi noi abbiamo da fare solo una marcia forzata nel deserto, di 10km portandosi appresso i missili anticarro Javelin?!-

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chiese con tono preoccupato il caporale Chevalier, che con le mani tremanti, cercava di serrare la chiusura ermet ica del contenitore del drone, che pareva proprio non volersi chiudere.

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-No, Chevalier sono 12.6km di marcia forzata nel Sahara e poi dovremo anche costruire 7 piccole buche!- rispose il tenente Renault, che sorrise, contraendo la mascella. Dopo una piccola pausa, il militare francese continuò dicendo –Vedi Chevalier, i nemici sono fermi a 15km con 4 tank T72 e 4 BMP2. Noi, dobbiamo arrivare ad una distanza minima di 2.4km dagli obiettivi, per essere sicuri che i nostri 7 missili Javelin anticarro, vadano tutti a segno, sui bersagli corazzati. Il Leclerc sosterà occultato a 15km, ed entrerà in azione solo dopo che la maggioranza dei blindati e tank, saranno stati distrutti o danneggiati, dal nostro attacco con i missili Javelin. Poiché nel deserto il Leclerc non supera i 55km/h, serviranno (15-4)/50km/h*60=13 minuti circa, al nostro carro armato Leclerc, per essere operativo contro i nemici. Suppongo, che dopo il nostro attacco, resteranno ai nemici nel migliore dei casi, almeno un BMP2 e forse qualche altro mezzo corazzato, che però sarà sicuramente gravemente danneggiato. Ci vorrà, poi qualche minuto per mettere in moto i mezzi blindati nemici, poi questi inizieranno una manovra ed un contro-attacco, dispiegando anche i 36 fucilieri della fanteria nemica. Quindi, mentre noi aspetteremo che il nostro carro armato Leclerc venga a soccorrerci, per 13 forse 15 minuti, noi dovremo occultarci dentro delle buche. Per questo, prima di lanciare l’attacco contro il nemico, dovremo anche costruire 7 piccole buche nel deserto, in cui rifugiarci, dopo che avremo lanciato i 7 Javelin.-


Il caporale Chevalier ripose il drone, dentro al VBL, il milite s’allontanò dal Sergente maggiore e dal Tenente, per armeggiare con la radio di bordo. -Signore, se da qualche parte ci sono altre forze nemiche? Oppure se dovesse pioverci in testa, stanotte, un attacco aereo oppure un’incursione d’elicotteri da battaglia nemici?- chiese il sergente maggiore Abanda, mentre allungò la mano destra, per togliersi il sudore che gli colava sul co llo. -Merda!, non voglio proprio pensarci…- rispose a mezza bocca il tenente Renault, che contrasse la mascella e poi aggiunse –Olivier, noi non abbiamo niente, per tutelarci da attacchi aerei oppure elicotteri da battaglia nemici. I protocolli d’intesa tra Francia ed Algeria, stabiliscono che sarebbe stata l’Algeria a fornire la protezione aerea e/o del supporto aereo tattico. Se Fort Polignac nella notte, subisse un contro-attacco con un raid aereo, oppure con elicotteri da battaglia nemici, è probabile che perderemmo sia il carro armato Leclerc, quanto tutti i 4x4 VBL. Avremmo probabilmente, parecchi morti e tanti feriti gravi. I sopravvissuti sarebbero pochi, sarebbero appiedati, ed inchiodati in Fort Polignac, senza possibilità di manovra o di fuga o di difesa!. Speriamo solo che nella notte non ci piova un contro-attacco nemico, speriamo che le truppe Algerine ci raggiungano presto._____________________ Due fucilieri morti, due feriti gravi che poi erano deceduti per le ferite subite: due VBL danneggiati, di cui uno colpito da RPG in modo irrimediabile. Questo, era il costo pagato dai francesi per annientare le truppe sub-sahariane, che s’erano addentrate nella DEAD ZONE, per attaccare Fort Polignac.

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Il carro armato Leclerc trascinò il VBL danneggiato sino alla base, fu smontato per estrarne rapidamente tutti i pezzi (pneumatici e sportelli) che servirono per riparare l’altro VBL. Il veicolo quasi distrutto, fu camuffato alla meglio, per nascondere alla vista i suoi danni irreparabili: il mezzo fu parcheggiato in piena vista, davant i all’accampamento militare, sotto una tenda mimetica. Tutto quello che c’era d’importante nella base francese, fu spostato e nascosto dentro le molte case abbandonate di Fort Polignac, poi i militari francesi si prepararono al combattimento, seguendo le direttive del tenente Renault.

Era mattina presto, quando il cupo rumore di una formazione di tre elicotteri sub-sahariani (due Mil-mi 24, un Mil-mi 8) s’avvicinarono rapidi e minacciosi, a Fort Polignac, provenendo da Sud-SudEst. I due Mil-mi 24 volavano bassi e veloci, uno aveva una traiettoria di senso orario su Fort Polignac, l’altro in senso antiorario: i due elicotteri da battaglia a quote leggermente diverse, attaccarono con razzi anticarro e mitragliatrici pesanti, l’accampamento francese. In pochi attimi esplose il VBL e le tende, tutto finiì divorato da alte fiamme incendiarie, ed un cupo fumo nero s’alzo lento nel cielo azzurro, privo di nuvole. Il terzo elicottero Mil-mi 8 volava invece assai più lento, in senso antiorario, sopra Fort Polignac, mantenendo una quota molto più elevata dei Mil-mi 24. Dopo aver attaccato l’accampamento francese, i due Mil-mi 24 presero a sparare a caso sulle case della cittadella di Fort Polignac:

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qualche razzo incendiario, lunghe raffiche di mitragliatrici pesanti, martellarono la silente cittadella. I tre elicotteri svolazzarono per un quarto d’ora sopra il centro abitato, danneggiando gravemente più o meno un terzo degli edifici, ma non ottennero nessuna reazione nemica: la cittadella sembrava deserta ed abbandonata.

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Un Mil-mi 24 ed il Mil-mi 8 atterrarono a SudOvest, poco vicino dai roghi dell’accampamento francese, il terzo Mil-mi 24 continuò a svolazzare a bassa quota, in senso orario sopra la cittadella, palesando rumorosamente la sua minacciosa presenza. Il tenente Renault, attese che dai due elicotteri nemici fosse sbarcata la fanteria: erano 32 fucilieri, erano tutti militari rego lari, pienamente equipaggiat i, indossavano una mimetica verde chiara; il militare francese diede l’ordine d’attacco al proprio carro armato Leclerc.


Questo era stato sotterrato in una buca posta a SudEst, vicino a Fort Polignac: la buca, era stata coperta con una rete mimetica ed un leggero velo di sabbia. I segni dei cingolati del carro armato, erano stati tutti metico losamente cancellati dai 16 fucilieri francesi, che avevano faticato non poco, per mimet izzare la loro migliore chance di difesa!. Il carro armato Leclerc uscì fuori rapido e veloce dalla buca di sabbia, con uno slancio baldanzoso: fu proprio come se il carro armato Leclerc, fosse sbucato fuori dal nulla!. Il carro armato Leclerc procedendo a 50 km/h sparò subito una cannonata HEAT, centrando in pieno il Mil-mi 24 che era in sosta temporanea a terra. Il Mil-mi 24 infatti, aveva le pale dei rotori che giravano ancora vorticosamente, mentre il Mil-mi 8 aveva le pale che erano quasi ferme, indizio prezioso che i motori del Mil-mi 8 erano stati incautamente spenti. Contestualmente, la mitragliatrice coassiale da 12.7 mm del Leclerc sparò raffiche interminabili sui 32 fucilieri nemici. Di questi, 8 fucilieri con le armi spianate, avanzavano in rastrellamento in formazione a V (la fanteria sbarcata dal Mil-mi 24) sulle rovine fiammeggiant i della base francese. Gli altri 24 fucilieri (quelli sbarcati dal Mil-mi 8) erano invece poco distanti dal proprio mezzo; tutti erano raggruppati in semi-cerchio, a difesa del proprio elicottero e furono beccati in pieno dalle raffiche della mitragliatrice 12.7 mm del Leclerc.

Il carro armato Leclerc riuscì a sparare un’altra bordata, centrò anche il secondo elicottero Mil-mi 8, che esplose in una bolla di fuoco, spaccandosi in tre tronconi. Quasi un attimo dopo, il carro armato Leclerc finì centrato brutalmente da una tempesta di fuoco di razzi anticarro, sputati dal secondo Mil-mi 24, che ronzando

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sopra Fort Polignac, diede subito il supporto aereo tattico, ai propri commilitoni. Dal carro armato Leclerc non uscì nessuno: esplose in una bolla di fuoco, mentre la torretta saltò per aria, poi cadde pesantemente di lato, mentre delle fiamme rosse come l’inferno, divorarono le nere lamiere metalliche. Il Mil-mi 24 scatenò la sua ira feroce, iniz iò a sparare con tutte le proprie mitragliatrici, lanciò numerosi razzi sopra vari edifici di Fort Polignac. Dopo cinque minuti di fuoco nemico, a cui i militari francesi non opposero alcuna res istenza, seguirono altri dieci minuti di minacciosi ronzii del Mil-mi 24 sopra Fort Polignac, infine l’elicottero sub-sahariano decise d’atterrare vicino ai rottami fumanti dei propri ex_commilitoni. Non c’era stata mai alcuna reazione francese agli attacchi del Mil-mi 24; i francesi non avevano MANPAD o mitragliatrici anti-aeree e l’unica cosa che potevano fare, era nascondersi e subire il bombardamento nemico. Ma questo i sub-sahadiani non potevano saperlo!. A terra, distante circa 200 mt da Fort Polignac, c’erano 8 fucilieri sub-sahariani che erano schierat i in linea, mentre altri 4 fucilieri erano a terra, presumibilmente gravemente ferit i, per l’attacco del carro armato francese. I restanti 20 ostili sub-sahariani erano tutti morti!. Era evidente, che i sub-sahariani necessitassero di un’evacuazione: il tenente Renault sorrise in silenzio, mentre guardava dal mirino del proprio fucile, stando in piedi in mezzo ad una stanza buia, con la picco la finestrella senza infissi, che era aperta, dando sulla piana di Fort Polignac. L’ultimo Mil-mi 24 finalmente atterrò, ma non spense i propri motori, le sue pale ruotavano vorticose, alzando un’utile cortina di sabbia!. Il pilota, oppure era l’armiere di bordo, scese a discutere con un fante sub-sahariano. Era evidente, di cosa stessero discutendo: il tenente Renault lo immaginò benissimo. 12 fanti erano un eccesso di peso, l’elicottero Mil-mi 24 ne avrebbe potuti

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trasportare solo 8. L’elicotterista infatti si mise rapidamente ad armeggiare con una pesante cassetta degli attrezzi, intorno alle razziere del Mil-mi 24. Il militare vo leva scaricare la zavorra, per guadagnare peso utile, ed imbarcare tutti i 12 fanti sub-sahariani. -Signore, l’abbiamo giocata bene!- disse a bassa voce, il possente sergente maggiore Olivier Abanda, rivo lgendosi al tenente Renault. Il tenente annuì in silenzio, prese il microfono della radio portatile e sibilò –Non possiamo permettere che quel merdoso Mil-mi 24 decolli via. Farà rapporto della situazione trovata a Fort Polignac. Loro torneranno con un attacco massiccio in forze, noi non potremo fermarli. Inchiodiamoli adesso!. All’attacco!, all’Attacco!- sibilò il tenente Renault alla radio. I restanti due VBL uscirono fuori da nord di fort Polignac, sfondando un paio di case di fango, in cui erano stati nascosti. I due 4x4 erano dei blindat i veloci, mossero uno in senso orario, l’altro in senso anti-orario. Il loro scopo era quello di fare il giro della cittadella di Fort Polignac, per convergere a tenaglia a Sud-SudOvest, dove sostava l’elicottero nemico, attorniato dalla propria fanteria. Le mitragliatrici in calibro .50 non avrebbero potuto permeare la corazza della cabina del Mil-mi 24, ma sicuramente avrebbero fatto uno sfacelo, delle due turbine dell’elicottero e della fanteria!. Quattro militari francesi al comando del sergente maggiore Abanda, sbucarono fuori in formazione a V, dalla porta Ovest di Fort Polignac. I quattro militari, correvano come dei pazzi furiosi, come se fossero stati rincorsi da mille diavoli dell’inferno!. I militari francesi, dovevano convergere sul Mil-mi 24 e sulla restante fanteria sub-sahariana, co lpendoli dal fianco sinistro, avvicinandosi in silenzio, restando occultati dal greve fumo nero, delle carcasse nemiche che ancora bruciavano. Il grosso di quello che rimaneva del plotone francese, era composto da 8 fucilieri, al comando del tenente Renault; l’unità corse disposti in linea, i soldati erano mo lto distanziati tra loro, puntarono diretti

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sul nemico!. All’improvviso pallottole nemiche iniziarono a fischiare intorno agli otto militari. -Sparate ragazzi!, qualsiasi cosa succeda intorno a voi, sparate! Non fermatevi!. Continuate a sparare!, avanziamo sul nemico! Teniamo duro!, tra un po’ convergeranno i nostri sui fianchi del nemico!- urlò il tenente Renault, con un tono di voce che sembrava incrinarsi, sotto il crescente numero di proiettili che miagolavano intorno alla formazione francese!. Gli 8 militari smisero di correre: a passo sicuro, i militari francesi sprezzanti del pericolo ed incuranti del crescente fuoco nemico che sembrava diventare sempre più accurato, rispondevano violentemente al fuoco, ingaggiando la fanteria nemica frontalmente, avanzando contestualmente da una posizione svantaggiosa e completamente allo scoperto!. Un’azione coraggiosa e stupida, ma assai utile a creare anche una diversione!. Il copilota del Mil-mi 24 armeggiava animosamente con una cassetta degli attrezzi, intorno alla razziera di destra dell’elicottero, l’armiere all’improvviso si voltò, quando udì gli 8 fucilieri subsahariani che sparavano brevi raffiche, contro la linea di militari francesi che avanzavano in linea, allo scoperto, con un attacco diretto frontale. Poi, l’elicotterista notò una nube di polvere alla sua destra, che gli scatenò il panico: il militare sub-sahariano lasciò cadere tutte le chiavi metalliche che impugnava, provò a precipitarsi dentro l’elicottero, passando dal retro del portellone che era aperto, ma una raffica di mitragliatrice in calibro .50 lo falciò, spaccandolo letteralmente in due!. Quasi contestualmente, un RPG7 colpì in pieno il VBL, il mezzo blindato francese esplose in una palla di fuoco!. Dopo pochi attimi, il secondo VBL spuntò fuori all’improvviso, da dietro il cupo fumo nero dei rottami degli elicotteri, vomitò

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un’interminabile raffica di mitragliatrice in calibro .50 contro la turbina sinistra del Mil-mi 24, la quale fece una enorme fiammata, poi del vistoso fumo nero iniziò ad uscire, mentre la velocità delle pale dell’elicottero, ridussero immediatamente la loro velocità!. Il VBL poi svoltò alla sua sinistra, coraggiosamente si fermò in coda al Mil-mi 24, la mitragliatrice in calibro .50 vomitò un’interminabile raffica di fuoco dentro l’elicottero, sparando contro la paratia posteriore della cabina di pilotaggio. Questa coraggiosa azione, però costò la vita all’addetto della mitragliatrice esterna, quanto l’integrità dell’intero parabrezza anteriore del VBL. Una granaglia biancastra oscurò la vista del pilota, i colpi mortali di un mitragliatore PKM di un fuciliere sub sahariano, costrinsero il mezzo francese ad allontanarsi rapidamente in retromarcia. L’unità del tenente Renault avanzava in linea, avevano iniziato l’attacco frontale con 8 fucilieri, ma dopo poco tempo erano rimasti solo in quattro, i militari francesi che ancora continuavano ad avanzare e sparare vio lentemente contro i nemici!. Gli altri quattro fucilieri frances i erano morti od agonizzanti a terra, sparsi erraticamente ad una ventina di metri!. La fanteria sub-sahariana quando aveva iniziato il conflitto era in 8 fucilieri, adesso ne restavano solo 5. All’improvviso, da dietro i rottami fumanti degli elicotteri subsahariani, sbucò il manipolo di fanteria francese comandato dal sergente maggiore Abanda, il quale attaccò alle spalle la fanteria sub sahariana con tre fucilieri. Il quarto fuciliere francese invece, s’intrufolò sparando dentro l’elicottero Mil-Mi 24 poi lanciò dentro la cabina di pilotaggio due granate esplosive!. Mo lto sangue rossastro, si spiaccicò dopo due botti sordi, sui vetri del Mil-mi 24, ed il rumore della turbina n°1 che era ancora attiva, coprì l’urlo disumano che riecheggiò dalla cabina di pilotaggio. Il fuciliere francese corse fuori dall’elicottero, e dopo pochi secondi l’elicottero esplose, in una palla di fuoco, stroncandosi in due!. La linea di fanteria dei subsahariani aveva smesso di sparare: erano tutti cadaveri o feriti a morte, mentre il manipolo del tenente

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Renault, smise di sparare, ma continuò ad avanzare con passo deciso verso il loro obiettivo. S’avvicinò titubante da sud, anche il VBL francese: il guidatore del veicolo, teneva la testa fuori dal finestrino, perché il parabrezza frontale era un coacervo indistinto di vetri spappolati, che interdivano completamente la visibilità. Il tenente Renault zoppicava, mentre i due fucilieri che erano sopravvissuti, erano miraco losamente illesi. Tutti e tre i militari erano silenziosi, le mascelle serrate, erano aggrappati ai propri fucili, per cercare di controllare l’inarrestabile tremito delle loro mani. Invece i quattro fucilieri guidat i dal sergente Abanda, rastrellarono: i cadaveri ed i moribondi sub-sahariani si beccarono tutti, due colpi al busto ed uno in testa. Poi i militari francesi accatastavano armi e munizioni nemiche, per caricarle sul VBL. Il caporale Chevalier, giaceva cento cinquanta metri più indietro: era agonizzante, immerso in una pozza di sangue, sarebbe morto di lì a poco.

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Evil Ways by Blues Saraceno Its been s o long Long hard days They dont s ay Gods change my ways Change my ways Thos e evil ways So I s et out Cross that way Strike them down To make them pay Change their ways Their evil ways But I can’t hide Ooooooo And I won't hide Oooooo Yeah! My Evil Ways I found out The hate grow cold The god ris e up Damn my s oul Caus e I ain't change Change my ways I ain't change So I won't hide Ooooo I won't hide Oooooo I can't hide Yeah! Ooooooo I can't hide HEY! My evil ways Well I can't hide Ooooo And I won't hide Ooooo yeah! Well I can't hide Ooooo ouh! Caus e I can't hide My evil ways

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Capitolo 2: La Battaglia di Capo Feto

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Il tenente Giovanni Rossi era a bordo della Landing Platform Dock Uss San Antonio, perché anche la Repubblica Federale Italiana aveva inviato un piccolo contingente militare, consistente in un manipolo di 4 carri leggeri Dardo, con 24 fucilieri armat i in Beretta ARX200/Beretta 92FS. Tali forze sarebbero state impiegate nell’operazione anti-pirateria nello stretto di Sicilia, mentre i marines curavano l’evaquazione della base MUOS. Ai margini del grande ponte poppiero, il tenente Rossi, appoggiato al parapetto, scambiava quattro parole con il tenente Sawyer dei marines. -Com’è stato possibile?- chiese il tenente Sawyer, in un italiano corretto, ma dall’accento e dal tono improbabile, mentre sorseggiava una lattina di Pepsi -Non lo so, però è accaduto!- rispose il tenente Rossi ridendo.


I due osservavano il pad tattico, che Rossi aveva in mano, il dispositivo mostrava la cartina polit ica della penisola italiana, dopo la secessione. -Ci sono varie aree, che un tempo noi italiani chiamavamo Regioni, con il tempo però, queste comunità hanno chiesto la secessione, dopo un referendum popolare. Si sono proclamati indipendenti, ed hanno chiesto l’annessione alla Francia, Svizzera, Austria- disse Rossi. -E la Repubblica Federale Italiana o la Repubblica Democratica Italiana, non hanno fatto niente per bloccare tali aree secessioniste?- disse incredulo il tenente Sawyer, mentre accartocciava la sua lattina vuota di Pepsi. -L’isola della Sardegna s’è tirata fuori dal pantano della Repubblica Democratica Italiana, la RDI era troppo debole militarmente per opporsi. Le altre aree, formalmente sono state vendute dalla Repubblica Federale Italiana agli stati nazionali vicini, per abbattere la quota parte di Debito Pubblico, che era in testa alla RFI, dopo la secessione. Le popolazioni di varie aree, erano stanche di restare nella RFI, quindi il governo ed il parlamento a Milano, invece d’opporsi alle richieste locali rischiando una guerra civile, il governo/parlamento della RFI colsero l’occasione per vendere pezzi di territorio nazionale, a Francia, a Svizzera, ed Austria, abbattendo così rapidamente il proprio debito pubblico- rispose il tenente Rossi. -Quindi la RFI è sempre nell’Eurolandia?!- chiese Sawyer -Sì, per adesso pare di sì, ma considerando cosa è successo vari anni fà, mai dire mai!- rispose sorridendo sarcastico, il bersagliere. -La Repubblica Democratica Italiana con la moneta dello scudo borbonico, ha fatto poca strada, la sua moneta è diventata cartastraccia, adesso vivono di baratto e pirateria!. Per questa ragione, le aree meridionali della penisola italica, sono diventate succubi del nord Africa, partorendo anche il fenomeno della pirateria nello stretto di Sicilia?- chiese il tenente Sawyer, mentre si grattava l’imberbe e rasata guancia sinistra, con la mano destra.

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-Sawyer, non è esattamente così, ma ci sei andato molto vicinorispose Rossi, che poi aggiunse –La RDI passò dall’Euro alla Lira, questa finì subito inflazionata e cartastraccia. Il governo della RDI era in Napoli, mentre il Parlamento era a Palermo e Bari. La RDI introdusse lo “scudo borbonico pesante”, che avrebbe dovuto arginare l’iperinflazione. Non servì a niente!, perché ormai dominava il baratto, la società s’era divisa naturalmente in caste, con la presenza dei servi della gleba!. Per non finire al buio, senza energia elettrica, la Repubblica Democratica Italiana firmò con il NordEst Africa un trattato d’alleanza, con il quale il NordEst Africa vendeva gas metano e modeste quantità di petrolio. In cambio, il NordEst Africa importava formaggi, carne, frutta, verdura e soprattutto il diritto di migrazione. E’ così che è iniziato tutto!. La RDI è uno stato fallito, proprio come gli pseudo Stati in Somalialand. La RDI è succube di Chartago, ed accetta che sbarchino centinaia di migliaia di migranti economici, sul proprio territorio!. Da migranti economici, poi queste popolazioni divennero falangisti subsahariani, in qualche modo, le mafie locali e le mafie subsahariane finirono per equipaggiare, quasi tutti i subsahariani con armi leggere ed armi da taglio!. Queste forze paramilitari, prima dilagarono nella RDI seminando il terrore, ma il governo della RDI non s’oppose. E’ nostra opinione, anzi che furono usate per annientare gli oppositori politici della RDI. Nemmeno il Vaticano in Roma s’oppose, anzi benedisse la presenza straniera, chiedendo al popolo del sud Italia di porgere l’altra guancia, nella gloria di Cristo!. Poi scomunicò tutto il nord Italia, perché questo aveva costruito un muro di cemento e filo spinato, e la RFI respingeva migranti economici, quanto le falangi cartaginesi. A noi, dell’Intelligence della RFI, risulta che ci furono varie zone nella RDI in cui scoppiarono flashpoint e resistenze locali. Queste aree volevano chiedere la secessione dalla RDI, ma furono tutte sedate con feroci pulizie etniche. Ci fu una sistematica sostituzione etnica degli italiani, pianificata e programmata dal parlamento e governo della RDI. La quota parte dei paramilitari che non rimasero stanziali per sostituzione etnica, s’infiltrarono verso nord, andando ad attaccare i confini della Repubblica Federale Italiana.

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La RFI protestò diplomaticamente con la RDI, ma la RDI a parte emettere leggi che nessuno rispettava, non prese provvedimenti. Inoltre quotidianamente, i cittadini della RDI con barche e barchini, s’ammassavano in quantità, lungo i confini della RFI. In molti, salpavano verso nord, in modo disperato, facendo una navigazione litoranea, per poi chiedere asilo politico presso RFI, Francia od Austria. In un primo momento, queste persone furono accolte, poi iniziarono i respingimenti assistiti. La RFI, Francia, Austria non potevano accollarsi l’intera migrazione, della popolazione della RDI. Anche perché, un crescente flusso di miliziani subsahariani equipaggiati con armi leggere, pretendevano, con la forza, d’installarsi sul territorio della RFI-Ma la gente della RDI non erano italiani, come quelli della RFI?chiese il tenente Sawyer, che aveva gli occhi stralunati come un pesce palla. -Non più!- rispose ridendo il tenente Rossi, con un velato accento veneto –La Repubblica Parlamentare Italiana ebbe a scindersi ed estinguersi, dalle sue ceneri vari anni fà, nacque la Repubblica Federale Italiana e la Repubblica Democratica Italiana. I due nuovi stati, si divisero al 50% l’enorme debito pubblico della Repubblica Parlamentare Italiana, che all’epoca ammontava a circa 2600 miliardi di Euro!. Roma non fu più la capitale, vi rimase solo Stato Vaticano che de facto riconquistò il potere temporale sulla città. La RFI pose la capitale a Milano, la RDI invece dichiarò che il governo ed i ministeri si sarebbero insediati a Napoli, mentre le due camere del parlamento della RDI furono collocate una Palermo e l’altra a Bari!.-Praticamente, un divorzio consensuale!- esordì ridendo il tenente Sawyer. -Sì- rispose ridendo il tenente Rossi, che aggiunse –Più o meno, nella penisola italica, accadde quello che decenni prima era successo alla Cecoslavacchia, che ebbe a trasfigurarsi in Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca-

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-Oggi, i pirati, che attaccano e saccheggiano le navi, che navigano nel canale di Sicilia, chi diavolo sono?- chiese il tenente Sawyer, mentre s’accendeva una sigaretta. -A noi dell’Intelligence nella RFI, risulta che siano nordest africani, quanto clan mafiocamorroidi della Repubblica Democratica Italiana. Il governo ed i parlamenti della RDI fanno grandi proclami, varano continuamente milioni di leggi e decreti, che però nessuno rispetta e/o segue. Tutto resta lettera morta!. La RDI non s’oppone ai pirati, anzi è interesse della RDI saccheggiare ed incassare riscatti, per alimentare il mercato nero, che è oltre il 90% del pil della RDI. Nessuno conta più il Pil, nella RDI, domina il baratto ed una società divisa in caste, con la presenza dei servi della gleba!- disse laconicamente il tenente Rossi. -E’ un vero casino medioevale!- disse il tenente Sawyer, mentre si grattava la testa, poi aggiunse –Rossi, ma quando dovrai sbarcare a Capo Feto, come pensi che la popolazione locale accolga, il tuo contingente della Repubblica Federale Italiana? E la Chiesa Cattolica da Roma, che fa?!-Spero bene!- rispose Rossi mentre contrasse la mascella –anche se temo, che una volta a terra, sarà un caos tremendo!. La Chiesa Cattolica è ostile alla RFI, infatti l’ha scomunicata!. Chiesa Cattolica nella RDI promuove la politica pacifista, del porgi l’altra guancia ed accoglienza infinita. Teologicamente, sarebbe proprio la massima aspirazione a cui ogni buon cattolico dovrebbe tendere: morire nella gioia del martirio, porgendo l’altra guancia!. De facto, il Pontificato di Chiesa Cattolica perora la sostituzione etnica degli italiani, un sistematico suicidio di massa!. Stanno sbarcando milioni di subsahariani, nel Sud Italia, non se ne conosce i veri intenti politici e/o militari. Il governo della RFI è preoccupato, la RDI sta diventando un infame stato collaborazionista, con gli invasori subsahariani!. Molti sospettano, che la RDI sia anche mandante di vari scontri armati, che si sono verificati a nord!-Le regole d’ingaggio della missione ONU sono chiare!, dicono di sparare se attaccati dai pirati- rispose il tenente Sawyer.

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-Non è così semplice!- disse il tenente Rossi, che storcendo la bocca, aggiunse –C’è la possibilità di sparare e difendersi, ma solo dai pirati. Nella RDI con la perdita dell’uso della moneta ed il baratto, lo stato di diritto s’è dissolto. Vige la legge del più forte. I clan mafiocamorroidi che prima avevano il controllo del territorio, non ebbero più bisogno dei referenti politici, i clan mafiocamorroidi si candidarono alle elezioni della RDI. Quindi si fecero eleggere con la forza e la violenza. Così i clan mafiocamorrodi, divennero soggetti politici. Caporalato e killers dei clan mafio-camorrodi, furono trasformate in forze dell’ordine private della RDI. Esercito, Marina, Aviazione che erano della RDI furono sciolte, e vendute alla RFI per moneta pregiata, che fu dilapidata rapidamente in spese correnti. La RDI era politicamente pacifista, le forze dell’ordine gradualmente sparirono, sostituite dalla polizia privata del Caporalato, che oggi è l’unica forza dotata d’armi leggere, che impone la volontà dei capi clan, che spesso sono anche soggetti politici. La migrazione dalle città alle campagne fu enorme, la gente era in cerca di un tozzo di pane per vivere. Quelli che non s’adattavano alla nuova piramide sociale, scappavano o finivano ammazzati. La maggioranza della popolazione finì per cedere tutti i diritti civili, accettando uno stato di schiavitù di servo della gleba, pur di sopravvivere. Il possesso e controllo del territorio dei clan mafiocamorrodi, si trasformò in diritto di proprietà. La Repubblica Democratica Italiana è de facto uno stato fantoccio: è una realtà governata dai clan mafiocamorrodi. Tra questo eterogeneo coacervo d’illegalità, che è salita al potere, ci sono anche i clan dei pirati, che fanno parte del parlamento della Repubblica Democratica Italiana!. Ed hanno il loro business, quanto i loro porci interessi!-Qual’è il contesto, della cittadina di Mazara del Vallo?- chiese il tenente Sawyer, mentre gettava in mare, la sigaretta che era bruciata oltre la metà.

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-Un deserto economico e sociale: la pesca è stata abbandonata per carenza di carburante, inoltre il Mediterraneo è andato spopolandosi di pesci, a causa delle navi fattoria Cinesi e Giapponesi e battelli africani, che hanno saccheggiato il Mediterraneo, incuranti delle richieste UE di fare soste per la riproduzione del pesce. L’acidificazione dei mari, ha poi fatto il resto sulla fauna ed ambiente marino. L’agricoltura è stata abbandonata, per carenza d’acqua dolce, il turismo s’è dissolto come neve al sole, da quando la Carbon Tax nel mondo ha cercato di ridurre l’emissioni di gas serra, colpendo viaggi aerei e crociere. Le 50mila persone, sono in larga parte migrate, lasciando una cittadina spettrale e quasi vuota. Trombe marine e Medicane, hanno poi danneggiato le coste, distruggendo le infrastrutture rimaste, assieme alla risalita del livello del mare di circa 90 cm- disse il tenente Rossi, leggendo il rapporto sul suo pad. __________________________ -Lei ci deve aiutare!- esordì il curato del villaggio, le laconiche parole, riecheggiarono nel silenzio di una fresca mattinata prossima all’alba, come un lapidario rintocco di campane funebri. -Io non vi devo niente!. Io, ho i miei ordini!- rispose secco, il tenente Rossi. -Se non c’aiuta lei, nessuno aiuterà il quartiere di Capo Feto, un intero palazzo si trasformerà in un mattatoio, i pirati subsahariani, si sono installati con la forza, stanno violentando ed ammazzando tutti i miei parrocchiani, le autorità locali non fanno niente!- disse il curato del villaggio. -In quanti sono? Che armamento hanno, questi pirati?- chiese il tenente Rossi. -Sono una ventina, hanno fucili, pistole, coltelli, spade, archi e frecce- disse il curato, che poi aggiunse –Ma io, non sono un militare, non so bene, che tipo d’armi abbiano. Ma voi, ci dovete aiutare!-

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Il tenente Rossi salì sul carro Dardo, si mise a confabulare a bassa voce, con il capocarro, dopo un paio di minuti si vo ltò e chiese al curato –Padre Salvatore, lei non vuole trascinare i miei uomini, in una trappola, facendoli ammazzare tutti?-No!, figliolo, sono venuto ad implorare il vostro aiuto!, perché se non aiutate la popolazione voi, nessun’altro lo farà- rispose il curato. -Ci sono forze di sicurezza della Repubblica Democratica Italiana o milizie private, nella zona?- chiese il tenente Rossi. -No!, nessuno!- rispose il curato, con lo sguardo basso. -Non ci credo!- rispose secco il capocarro del Dardo n°1, che continuava a scuotere la testa, rivo lgendosi al giovane tenente Rossi. -Sì, c’è qualche clan- esordì padre Salvatore, che poi aggiunse con un filo di voce – hanno la propria milizia privata, che non si cura di proteggere i servi della gleba. Sono dall’altra parte della città, verso l’entroterra, il clan locale non ha interesse a ciò che accade nei quartieri abbandonati, vicino al porto.- rispose il curato. -Vuol dire, che a Mazara del Vallo, le milizie sub sahariane hanno conquistato la zona del porto?. Oppure, mi sta dicendo, che le milizie locali hanno condiviso il controllo del territorio, con i nuovi arrivati?- chiese il tenente Rossi. -Mazara del Vallo non esiste più da vari anni, ora si chiama solo Borgo Capo Feto, è una cittadina in rovina e semi abbandonata. Un gruppo di servi della gleba, sopravvive di stenti, perché non può fuggire altrove. Io non lo so, cosa hanno deciso, i pirati subsahariani in combutta con le bande delle milizie locali- rispose il curato, che teneva sempre lo sguardo basso. -Tenente non si fidi, ci ha mentito!- disse il capo carro del carro Dardo 1. -No!, non ci ha mentito!. Io mi fido. Quello che ci ha raccontato padre Salvatore, è coerente con i rapporti che ho avuto dal

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comando, sul contesto del Borgo di Capo Feto alias ex Mazara del Vallo. I nostri obiettivi, sono d’annientare tutti i pirati sub-sahariani, evitando sbarchi a Capo Feto. I Marines stanno evaquando il MUOS, noi possiamo annientare i pirati sub-sahariani sia quando sono in procinto di sbarcare, sia quelli che sono già sbarcati. Un drappello nemico alle nostre spalle, è una seria minaccia!. Dobbiamo eliminarlo, oppure quando arriveranno gli sciami cartaginesi, saremo presi tra due fuochi!- disse il tenente Rossi.

-Non lo so, io non credo a quanto dice il prete. E’ meglio non dividere le nostre forze!. Tenente, noi non sappiamo con certezza, quanti sono gli ostili nel villaggio di Capo Feto!- rispose titubante il capocarro, che continuava a scuotere la testa, rivolgendosi al giovane tenente Rossi. -Ho deciso!. Adesso, sono le 5:10 del mattino. Mando il carro Dardo n°4, ed i suoi 6 fucilieri d’equipaggio, al comando del sergente Bianchi. Lei, padre Salvatore, provvederà a far da guida, indicherà il tragitto più breve e sicuro, dentro la periferia di capo Feto, per raggiungere l’obiettivo nemico. Il sergente Bianchi, sarà in comando del distaccamento del Dardo 4 e valuterà il contesto tattico. A suo insindacabile giudizio, il sergente Bianchi deciderà:

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1-se sarà il caso d’attaccare ed entrare nel palazzo, ammazzando tutti i pirati, cercando di fare meno vittime possibili, tra i civili presenti nella struttura, oppure 2-ripiegare senza ingaggiare il nemico. 3-non possiamo fornire assistenza medica alla popolazione locale. 4-non possiamo fare prigionieri, non voglio sentire stronzate sulla convenzione di Ginevra, non siamo venuti per regalare margheritine!. Non ho mezzi e uomini sufficienti, per ingaggiare nemici e controllare dei prigionieri. 5-Quando il palazzo occupato dai pirati sub-sahariani, sarà stato ripulito, il sergente Bianchi rientrerà alla spiaggia di Capo Feto. Gli sbarchi cartaginesi sono previsti per le 10 di mattina. Il sergente Bianchi, rientrerà alla spiaggia di Capo Feto in ogni caso alle 9:00 oppure, prima delle 9:00. 6-Autorizzo il sergente Bianchi a rientrare in formazione, sia che abbia compiuto la sua missione, sia che non abbia compiuto la sua missione, specie se a suo giudizio, l’avamposto nemico sia ritenuto non conquistabile, usando solo i suoi 6 fucilieri, ed il Dardo n°4. Ha qualcosa da obiettare, padre Salvatore?- chiese con tono imperioso, il tenente Rossi. -No!, mi rimetto alle vostre cose militari!- rispose il curato, con la testa china e lo sguardo basso, ed un filo di voce. ___________________________ Il contatto radio con Dardo n°4 s’interruppe alle 6:02 e dalla spiaggia di Capo Feto il tenente Bianchi, udì un enorme esplosione, ed un funesto fumo nero, salì cupo, tra le case della periferia interna del porto, nel borgo di Capo Feto. Il sergente maggiore del carro Dardo n°1 tirò un grosso moccolo, quindi s’infilò dentro la torretta del suo carro, senza rivolgere più la parola al Tenente Bianchi.

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I restanti 18 fucilieri, si guardavano in silenzio, con la mascella serrata, osservavano il fumo nero, ed il furente crepitio d’armi da fuoco, che riecheggiava dal borgo del villaggio, che un tempo era Mazara del Vallo. Non erano pirati sub-sahariani, ma erano falangisti cartaginesi, non erano in 20 ma in più di cinquanta, ed erano sparsi dentro tutte le case della periferia del borgo di Capo Feto. Il violentissimo conflitto a fuoco, era durato pochissimo, da ogni finestra e porta, erano usciti falangisti cartaginesi con AK47, Dragunov, mitragliatori PKM e lanciamissili RPG7, in pochi minuti avevano annientato tutta l’unità del sergente Bianchi. A terra giaceva il sergente Bianchi, crivellato di colpi alla schiena e sul busto, la mano destra era ridotta una poltiglia, il ginocchio ed il piede sinistro erano quasi amputati, a causa di schegge di granate ed esplosioni di RPG7. -Maledetta merda!, lei padre Salvatore ci ha tradito!. Ci ha portato, dritti in una trappola!. Ma perché l’ha fatto?!. Noi stavamo aiutando i suoi poveri parrocchiani, che erano oppressi dalle milizie cartaginesi!- chiese, il sergente Bianchi, mentre con la mano sinistra, cercava la fondina della sua pistola Beretta 92FS. -Figliolo, i cartaginesi portano carburante, con cui facciamo funzionare piccoli impianti di desalinizzazione, con cui possiamo sostenere dei piccoli orti, per un’economia di sussistenza. Se non v’avessi condotto quì, i cartaginesi hanno minacciato di scannare tutti i miei parrocchiani!. Mi sono offerto come martire, ma non mi hanno voluto, mi hanno costretto a darvi informazioni incomplete. I miei parrocchiani, sono tutti servi della gleba, le milizie della Repubblica Democratica Italiana non si curano del loro destino!. Non ti devi disperare figliolo, io ti benedico, sei morto nella gioia del martirio!. Il tuo sacrificio come quello d’Isacco e di Cristo, è un dono supremo offerto a Dio. Però, non ti dovevi difendere sparando con il tuo fucile!. Dovevi porgere l’altra guancia e morire, nella gioia del martirio. Il tuo dono supremo, è servito a lenire le piaghe dei

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cartaginesi, quanto quelle dei servi della gleba siciliani!- disse padre Salvatore, che fece il segno della croce, sulla fronte del militare. - Bastardo!, lei è un collaborazionista di merda!.- disse il sergente Bianchi, che era riuscito a prendere la pistola dalla fondina, ed aveva l’intenzione di sparare con la mano non dominante, al prete cattolico. Un deciso colpo di macete, amputò il braccio sinistro del milite: poi gambe, e torso, furono macellat i con violent issimi altri colpi di macete, da quattro falangisti sub-sahariani. Furono pochi, strazianti, gli urli disperati del povero sergente Bianchi, il cui corpo fu ridotto rapidamente, in un ammasso informe di carne e sangue e stracci verdastri. Poi gli fu versato sopra della benzina, quindi gli fu dato fuoco. -Buon lavoro, padre Salvatore!- rise il capo cartaginese, sfoggiando un sorriso bianchissimo a 48 carat i, poi aggiunse –In quanti sono, sulla spiaggia di Capo Feto, i bastardi capitalisti bianchi del nord italia?-Adesso sono in 18, ed hanno ancora 3 carri- ripose padre Salvatore, con lo sguardo basso, che s’aggrappava con le mani al rosario, tenendo la testa e lo sguardo basso. –Adesso, che voi avete quello che volete, lasciate i miei parrocchiani!- disse padre Salvatore. -Sicuro!, non ci sono problemi!- rispose ridendo, il falangista chartaginese. _____________________ Erano quasi le 10 di mattina, dalla Uss San Antonio avevano dato comunicazione via radio, che uno sciame di 7 motobarche chartaginesi, si stavano approssimando alla spiaggia di Capo Feto. All’improvviso, una colonna di circa 200 persone, sbucò fuori dal Borgo di Capo Feto, cantando l’Ave Maria!. Il tenente Rossi si voltò alla sua sinistra, per osservare dal binocolo, la ressa di persone che stavano avvicinandosi alla spiaggia di Capo Feto.

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Stranamente, non c’erano uomini maturi o giovani, nei superstiti del Borgo di Capo Feto, solo donne, anziani e dei bambini. Erano tutti rossi in viso, piangevano, tanti pregavano e cantavano, erano stati raggruppati in processione. In cima alla co lonna c’era padre Salvatore, che marciava sicuro, con gli occhi chiusi, aggrappato ad una grossa croce, al cui vertice c’era una teca con l’estensione di un’ostia consacrata. Ai fianchi della processione, ma anche all’interno della processione, il tenente Rossi ebbe a riconoscere un numero enorme di falangisti cartagines i, tutti armati con AK47, Dragunov, mitragliatri PKM, lanciamissili RPG7. La maledetta processione del cazzo, aveva scelto una tempistica perfetta, per venire a rompere il cazzo ai bersaglieri della RFI, sulla spiaggia di Capo Feto. Nel frattempo, 7 barchini chartagines i si stavano avvicinando alla spiaggia, tra breve, le due formazioni sarebbero potute convergere sull’unità del tenente Rossi. I tre APC Dardo erano disposti a V, ed in linea, c’erano pochi metri più avant i ai Dardo, accucciat i tra sabbia ed aridi sterpi, i suoi 14 fucilieri. Solo 4 fucilieri erano in retrovia, come riserva, in linea, per coprire le spalle. -Adesso, che cazzo facciamo, tenente Rossi?- esordì il capocarro del Dardo n°1, che con un sorriso sarcastico, sbucò fuori all’improvviso dalla torretta dell’APC, parlando alla radio.

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-Maledizione!- sibilò il tenente Rossi, che non rispose alla domanda del capocarro del Dardo n°1. -Tenente, Tenente!, ad ore 9, nella processione dal paese, ci sono falangisti cartaginesi!. Vedo distintamente una marea di AK47, PKM, Dragunov ed anche tanti RPG7- urlò, con gli occhi fuori dalle orbite, il caporale Bedon, che comandava il drappello dei 4 fanti, che erano dislocati in retrovia, a 20 metri, alle spalle dei 3 APC 38 Dardo. -Tenente!, quelli del villaggio di Capo Feto sono scudi umani, oppure nel peggiore dei casi sono tutti collaborazionisti di merda. Forse, nascondono bombe molotov sotto i vestiti!. I cartaginesi, sono armati sino ai denti!. Cazzo, Tenente!, non credo che vogliano battezzarci con l’acqua santa!- urlò il capocarro del Dardo n°1, mentre fece ruotare la torretta del suo veicolo, cambiando la direzione del pezzo principale, dalla spiaggia alla processione. -Tenente!, Tenente!, Vedo la formazione di battelli cartaginesi, sono ad ore 12, approderanno tra 5 minuti!. Chiedo il permesso, d’aprire il fuoco con il pezzo principale, appena i cartaginesi saranno a tiro!disse per radio, il capocarro del Dardo n°2 -Dardo n°2 e 3, vi ordino d’aprire il fuoco sullo sciame cartaginese appena i battelli saranno a tiro!. Fanteria in linea, trattenete il fuoco, ingaggiate il nemico a colpo singolo, solo se questo raggiungerà la spiaggia a nuoto, dopo i colpi dei Dardo 2 e 3- disse il tenente Rossi per radio. -Fuciliere Rizzuto, sganciati dalla retrovia, seguimi in linea per copertura e back-up!- urlò il tenente Rossi. Poi il militare si voltò a guardare il capocarro del Dardo n°1 che lo stava osservando con occhi di bragia, da quanta adrenalina aveva in corpo, talchè il tenente Rossi gli disse –Se incomincio a sparare, coprimi con il pezzo principale. Non ti curare d’evitare danni collaterali, perché le milizie cartaginesi non si porranno di questi problemi!-


Il tenente Rossi ed il fuciliere Rizzuto corsero per una ventina di metri, per avvicinarsi alla processione che stava per entrare nella spiaggia, i due militari s’inginocchiarono e puntarono i propri fucili ARX 200. Il tenente Bianchi disse –Rizzuto, trattieni il fuoco!. Inizia sparare se ci sparano addosso, oppure dopo che io ho iniziato a sparare!-. Il fucilere annuì, restò in silenzio, rannicchiato tra la sabbia e la sterpaglia, nervosamente aggrappato al suo fucile Beretta ARX 200. Il tenente Bianchi si sgancìò, corse per qualche altra diecina di metri in avanti, verso la processione, poi s’inginocchiò e puntò il proprio fucile, verso la ressa di gente, che camminava velocemente. Tolse la sicura, erano ormai a meno di 50 metri circa, dalla sua posizione. -C’è un’operazione militare in corso, con truppe della Repubblica Federale Italiana, contro pirati cartaginesi!. La spiaggia di Capo Feto, non è un posto per fare una processione!. Cittadini della Repubblica Democratica Italiana, andate via!. Cittadini del Borgo di Capo Feto, ritiratevi!. Oppure, sarò costretto ad aprire il fuoco contro di voi!- urlò il tenente Bianchi, con un tono di voce che s’andava rapidamente incrinando. -Pace!, Pace!, Pace, Tenente Bianchi!, lei ed i suoi uomini, abbracciate la gioia di Dio!- urlò il prete don Salvatore, con voce tonante, mentre agitava per aria, la grossa croce che teneva in mano!. -Questa è zona di guerra!, c’è un’operazione militare in corso!. Cittadini del Borgo di Capo Feto, ritiratevi!. Oppure sarò costretto ad aprire il fuoco!- urlò nuovamente il tenente Bianchi. -Capitalisti di merda, gettate tutte le armi, ed arrendetevi!- urlò il capo dei miliziani cartaginesi, che poi aggiunse – Altrimenti, noi ammazziamo tutti questi italiani di merda!-

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Brevi raffiche del cannoncino da 25mm del Dardo 2 e 3 interruppero la discussione, lacerando il sottofondo dei canti disperati, della processione, che continuava ad avanzare!. All’orizzonte, dopo qualche secondo, alcuni barchini cartaginesi esplosero oppure s’incendiarono. Istantaneamente, i cartagines i che erano nascosti tra la processione, s’allargarono a ventaglio, iniziarono a sparare lunghe raffiche, con le proprie armi. I miliziani invece che erano mescolati dentro alla processione, presero a sparare piccole raffiche, ammazzando a sangue freddo, donne e bambini, mentre la folla in preda al panico, prese a gridare con strazianti urla di terrore. La folla provò a fuggire via, cercarono di correre e sparpagliarsi per la spiaggia, andando verso i 3 carri armat i Dardo, in cerca di una disperata protezione. Grida feroci, urla strazianti, fuoco di mitragliatori, pallottole che fischiavano per aria, brevi raffiche di cannoncino da 25mm, esplosioni di RPG7, iniziarono a mescolarsi, in un vento di guerra indistinguibile, po i tutto divenne furente come una tempesta, che sferzò tutta la spiaggia di Capo Feto!.

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Black by Kari Kimmel When everything turns to black You don't know where to go You need s omething To j ustify your s oul Silence is broken Confidence is gone Everything you're holding on to Falls All the people s elling truths On every corner now The wait until the fear Has knocked you down All the rules are changing now You're living in sin Everything around you is caving in All you're holding on to Slipping like water through your hands And you sing La la la la La la la la La la la la Ya you s ing La la la la La la la la La la la la Far off in the distance Somewhere you can't s ee Allegiances have formed your destiny Oppos ition all around Feeding off your s oul Trying hard to s wallow up you whole And the demons all around you waiting For you to s ell your s oul They're s inging La la la la La la la la La la la la They're s inging La la la la La la la la La la la la Oh la la la la la Oh la la la la la They're s inging La la la la La la la la La la la la They're s inging La la la la La la la la La la la la

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Capitolo 3: L’Assedio di Surgut Sono il tenente James Gastovskj, in questo ebook giace una parte delle mie memorie. Ricordo piuttosto nitidamente, l’inverno del 2050, non saprei dire il giorno esatto o l’ora, perché non me lo ricordo. Mi ricordo però, che ero nella taiga intorno a Surgut, osservavo nascosto tra gli alberi, con il mio mirino laser, l'ambiente circostante, in attesa di movimenti nemici, che a mio parere, sembravano tardare a palesarsi.

All'improvviso, qualcosa nell'aria, qualcosa di piccolo, qualcosa di malefico e silenzioso, qualcosa di maledettamente difficile a vedersi ad occhio nudo, attirò la mia attenzione, grazie alla presenza delle sofisticate lenti del mio monocolo. Non avevo tanta voglia di parlare, iniziai però a canticchiare, sotto voce:"Far off in the distance, Somewhere you can't see, Allegiances have formed your destiny, Opposition all around..." per tenermi sollevato il morale. Avevo capito, cos’avevo di fronte!. _____________________ Dieci giorni prima, il generale in persona dell’11st USE Cavalry m’assegnò la missione, chiamandomi per telefono:”Figliolo, è un dannato lavoro di merda, quello che l’affido!. Forse potrebbe anche

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creparci, in questa dannata Siberia!. Tenente Gastovskj, dovrà sgrugnarsi contro gli incursori gengiskani che manovrano da Nord verso Sud. I gialli, cercano di chiudere l’accerchiamento su OmskNovisibirsk. La spedisco in ferrovia a Surgut, con i suoi APC Bradley ed Humvee. In rinforzo, le ho dato anche un paio di M113 con pezzi da 120mm. Dispone anche di un po’ di missili anti-tank Javelin, MANPAD, mine anticarro, esplosivo C4 in ampia quantità. Surgut è un fottuto centro abitato, in mezzo al nulla, nel Bassopiano Siberiano. La cittadina è popolata da russi amichevoli, che l’aiuteranno. Surgut è lungo l’Ob, è uno snodo importante, perché ha anche l’aeroporto e la linea ferroviaria!. Tra 20 giorni le manderò dei BlackHawk, una compagnia in rinforzo, un po’ d’artiglieria da campagna. La promuoverò capitano, se lei sarà sempre vivo!. Per adesso, non ho altro per consolidare Surgut. I suoi ordini, tenente Gastovsky sono semplici: tenga Surgut ad ogni costo!. Figliolo, che Dio, la benedica!”. ___________________ Nove giorni fà, quando scesi dal treno, alla stazione di Surgut, c’erano solo due militari zarini ad attendere l’arrivo del mio contingente: erano due spetnaz, li riconobbi dalla mimetica, avevano dei nomi scritti con caratteri cirillici, sul lato sinistro dell’uniforme. Gagarin I. era il primo dei due militari zarini, non mi rivolse la parola, dai gradi che indossava, doveva essere un tenente. Nemmeno mi salutò militarmente, diede un’occhiata gelida al mio plotone, squadrandolo dalla testa ai piedi. Già, il mio plotone: i miei soldati, erano tutti giovani, sbarbati e dalla faccia pulita, un po’ disorientati, con uno sguardo triste. Silenziosi e disciplinati, si misero rapidamente in riga, restando sul riposo. Beh!, si vedeva da un chilometro, che i miei effettivi erano tutte reclute, appena sfornate dal centro d’addestramento dell’11st USE Cavalry. Il secondo spetnaz era in fondo alla stazione, raggiunse di

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buon passo il primo militare, mentre diede una rapida occhiata ai miei blindati ed equipaggiamenti, caricat i sopra al mio convoglio ferroviario. Il secondo militare, si rivolse al tenente Gagarin, disse rapidamente brevi fras i in russo, poi Gagarin si vo ltò verso di me, e mi disse – Che cosa vorreste fare, voi europei, quì in Siberia, con questa manciata di reclute, e con qualche vecchio blindato di fabbricazione americana?-Collaborare con le forze zarine, per tenere Surgut!- risposi, poi gli porsi la lista di carico, dei miei mezzi, ed aggiunsi –I mezzi sono stati rimodernati, non hanno difetti, sono affidabili e perfettamente funzionanti. Abbiamo tantissimo C4, ed anche un manipolo d’ottimi artificieri. Sono dei veri esperti, in demolizioni controllate, inoltre abbiamo tantissimi missili anti-carro Javelin ed anche dei vecchi TOW, oltre ad un vagone colmo di MANPAD Stinger-Non ci sono truppe speciali, i suoi elementi sono reclute, non dureranno un giorno, quì in Siberia, in uno scontro contro i gengiskani!- disse in un inglese corretto, ma dall’accento zarino, e con tono secco e lapidario. -I miei fucilieri, sono perfettamente addestrati come fanteria di montagna, noi siamo la crema dell’11st USE Cavalry. Tra 20 giorni, arriveranno con elicotteri Black Hawk, una compagnia in rinforzo, avremo anche delle unità d’artiglieria da campagna!.- risposi con un tono aspro e duro. Lo spetnaz mi rise in faccia, un largo sorriso sarcastico si stampò nel suo volto, poi mi disse -Tra quattro o cinque giorni, la linea ferroviaria ad Ovest di Surgut sarà in mano ai gengiskani. Non arriveranno mai altri rinforzi per Surgut. Il comprensorio di Surgut sarà sotto assedio!- poi aggiunse –Voi americani, travestiti da soldati europei, fareste bene a studiare un modo per filare via, prima di rimanere intrappolati in Siberia!. Che cosa ci fate quì?. Gli USA non sono in guerra!-.

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-Come militare statunitense, ero arruolato come tenente nel’US 7th Air Cavalry. Poi, ho accettato il trasferimento nell’11st USE Cavalry per le mie origini. I miei ordini sono chiari: difendere Surgut.risposi, mentre cercavo il mio zippo e le mie sigarette, dentro il mio giaccone mimetico. -Gastovkj, un americano, arruolato nell’USE Cavalry, spedito a Surgut, per combattere i gengiskani?!- mi chiese incuriosito, il tenente Gagarin. -Tenente Gagarin, sappia che io sono ancora un cittadino statunitense, di padre polacco e madre italiana. Da 15 giorni, ho preso la cittadinanza polacca, poi ho accettato d’essere trasferito nell’11st USE Cavalry- risposi con una punta d’orgoglio, mentre estrassi una sigaretta dal pacchetto delle mie Lucky Strike. -Voi americani, non avete un piano di ripiegamento?- chiese lo spetnaz, guardandomi in volto, con un’espressione dura e gelida. Io scossi la testa, in segno di diniego, poi svogliatamente m’accesi una sigaretta, quindi aggiunsi –Siamo venuti per restare!Il volto dello spetnaz era privo d’espressione, glaciale come un iceberg, lesse per una seconda volta la mia nota di carico, che mostrava in dettaglio tutto il mio equipaggiamento. Il militare divenne all’improvviso scuro e serio, contrasse la mascella nervosamente, scrutò nuovamente il mio plotone, quindi disse– Se voi Europei, siete venuti per restare a Surgut, allora anche tutti i miei Spetnaz, resteranno con voi, quì a Surgut-. Finalmente ci scambiammo il saluto militare, il tenente Ivan Gagarin si qualificò, come uno spetnaz del II°raggruppamento dislocato ad Ekaterimburg, aveva al suo seguito 15 spetnaz, e s’era già sgrugnato parecchie volte, con i gengiskani; aveva già perso il 50% del suo plotone, ossia tutta la metà dei suoi amici. -Suo bis-nonno, era il russo che andò in orbita nel 1960?- chiesi, cercando di sdrammatizzare i gelidi convenevo li.

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-No!- sorrise lievemente il militare – è solo un banale caso d’omonimia!- rispose Gagarin. ________________________ A difesa di Surgut c’era un maggiore dell’Armata Zarina, se ne stava rintanato in un modesto ed anonimo palazzo, lontano da ogni possibile obiettivo militare. Il palazzo anonimo era distante dall’aeroporto, era lontano dalla stazione ferroviaria, quanto dalla grande centrale elettrica. Tutto il mio plotone, fu spedito all’aeroporto di Surgut, con il compito d’assistere una batteria di missili S300 e Pantisir, che proteggeva tutta la città, contro gli attacchi aerei e missilistici gengiskani. Il maggiore zarino disse che l’assedio di Surgut a suo parere, sarebbe durato pochissimo. Le difese zarine erano scarse, i gengiskani erano ben equipaggiati, con una perfetta conoscenza tattica e strategica del territorio, erano da tempo una valanga inarrestabile in Siberia. In estate ed autunno, i gengiskani avevano finto d’essere impantanat i in S iberia. In inverno, invece i gengiskani avevano scatenato un’inattesa imponente offensiva verso Ovest, puntavano su Surgut. Tirando le somme, a parere del maggiore zarino, era giusto che io come militare dell’USE Cavalry, decidessi in piena autonomia, come e dove sarei morto, per la difesa di Surgut. Se fosse caduta la difesa anti-aerea zarina, sarebbe caduta Surgut. Tutti, in un modo o nell’altro, saremmo prima o poi, rimasti quì a Surgut. Il maggiore zarino, mi diede una mappa plastificata, era molto dettagliata e descriveva tutto il mio settore: era un’enorme area a 180°gradi intorno all’aeroporto di Surgut, di cui io avrei dovuto garantirne la difesa. Ricordo, che gli dissi che io non avevo forze sufficienti per espletare il mio compito in rapporto all’area che mi era stata assegnata. Il maggiore mi rise in faccia, disse che tutti a Surgut non avevano forze sufficient i, per fare quello che doveva essere fatto, però tutti non si lagnavano e s’adattavano con quello che avevano!. La

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situazione a Surgut era disperata, molto peggio di quanto credesse il comando dell’USE Cavalry, che m’aveva spedito quì. Forse era carenza di comunicazioni, oppure gli zarini avevano taciuto parecchie informazioni, temendo che l’USE Cavalry non avrebbe spedito truppe in contesti disperati e perdenti. _________________ All’aeroporto conobbi il sergente Elizaveta Ivanov, era stata appena promossa a tenente; era lei l’ufficiale in comando della batteria anti-aerea, che gestiva il comando Radar, da cui dipendevano 5 grossi camion sparsi sui lati dell’aeroporto, con i grossi missili antiaerei SAM-S300 oltre a numerosi Pantisir per la difesa a breve raggio.

Il tenente Gagarin, m’accompagnò all’aeroporto con una classica jeep russa, mi disse parlando lungo il tragitto, che sul fronte siberiano, i passaggi di carriera nell’esercito zarino erano molto rapidi, perché in guerra, l’aspettativa di vita era breve. Non c’erano rinforzi e/o rimpiazzi, spediti da Mosca per tappare le perdite, per cui quasi tutti i repart i militari erano a circa la metà degli effettivi, a causa delle perdite. Gagarin, disse che era assai improbabile che i gengiskani nuclearizzassero Surgut, con un attacco nucleare strategico o tattico. Alle truppe gengiskane serviva Surgut, inoltre i gengiskani stavano avanzando verso Ovest: non sarebbe stato saggio, occupare e/o transitare in aree contaminate, dato che poi i gengiskani avrebbero avuto una valanga interminabile di morti tra

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le loro truppe. Anche un’esplosione atomica in aria, avrebbe in ogni caso prodotto del letale fall-out, che avrebbe contaminato la città!. Il caso o forse il destino, volle che Elizaveta fosse identica alla mia ex-moglie, tranne per il fatto che Elizaveta era più bassa ed aveva i capelli neri, mentre la mia ex-moglie era bionda e più alta. Forse è per questo, che Elizaveta mi piacque subito, appena la vidi. Per me fu un colpo di fulmine, per lei non saprei dire. 48

La puttana di mia moglie invece, m’aveva lasciato per un altro, perché a causa del mio lavoro, lei diceva che io ero sempre fuori di casa. La stronza, con il suo spietato avvocato, riuscì a portarmi via la mia casa e la mia auto. Decisi d’andare in Europa, per combattere nella WWIII. Accettai il gioco delle cittadinanze europee, che erano regalate a tutti gli americani d’origine europea. Era un maledetto trucco burocratico, per rimpinguare le fila dei militari europei. -Tenente Ivanov, questo è il tenente Gastovskj. È un polacco, dell’11th USE Cavalry. E’ venuto a Surgut, per proteggere la tua batteria di missili S300 e Pantisir, dai gengiskani!- disse laconico il tenente Gagarin, quando mi presentò ad Elizaveta. Elizaveta era molto carina, nonostante indossasse una mimetica verdastra. Elizaveta se ne stava seduta in alto, su una grossa poltrona, dentro la cabina di comando, del suo grosso camion. Un terzo delle postazioni nel camion erano vuote, ed il pesante portellone metallico era aperto. Elizaveta mi squadrò da capo ai piedi, con i suoi occhi azzurri, poi sorrise ed involontariamente le vidi per la prima volta i suoi due graziosi dentini a coniglietta, poi Elizaveta esordì ridendo divert ita -Il mondo è in fiamme, ed il tenente Gastovskj, è venuto a Surgut, per proteggermi?!-Sì!, tenente Ivanov, sono venuto a salvarle la vita- risposi sorridendo.


-Tenente Gastovkj, non aveva proprio altro da fare?!- mi rispose Elizaveta, che in un attimo, mutò la sua espressione in modo cupo e triste, che la resero ancora più bella!. -E’ un militare del 7th US Air Cavalry- disse il tenente Gagarin, poi dopo una breve pausa aggiunse –E’ venuto a Surgut, per restare.poi mi diede una grossa pacca sulle spalle e s’eclissò in silenzio. -Ah!, un americano del 7th Air Cavalry!- disse Elizaveta, con gli occhi tristi, mentre cercava d’esibire un falso sorriso forzato – adesso si spiega, il perché della sua stupida decisione!.Io sorrisi e le dissi che poteva stare tranquilla, non ero così stupido tanto quanto il generale Custer. Elizaveta mi fece salire sul camion, osservammo una grossa mappa, mentre lei rapidamente mi fece il riassunto della situazione in Surgut. All’aeroporto di Surgut c’erano appena 8 aerei Yak130 per il supporto aereo tattico, 6 elicotteri Mil-mi24. Erano tutti mezzi per il supporto aereo tattico, oppure per il trasporto truppa. Una volta al giorno, all’aeroporto di Surgut atterravano dei trasporti aerei zarini, che coraggiosamente scaricavano qualche tank T72/polar bear e tanto carburante, perché la centrale elettrica di Surgut era già stata attaccata e distrutta dai gengiskani, con un attacco missilistico massivo, per la difesa a breve raggio dei Pantisir. Presto i trasporti aerei si sarebbero interrotti, a causa della manovra d’accerchiamento gengiskana che probabilmente era in atto. Le chiesi come faceva a sapere questa informazione, lei rispose che i velivoli zarini da trasporto che tornavano a Surgut, erano sempre meno, di quelli che decollavano da Surgut. La batteria di missili S300 che era comandata da Elizaveta, proteggeva la città dai missili nucleari tattici e strategici, quanto dagli attacchi aerei nemici. Nell’aeroporto, c’erano a sostegno della lotta anti-aerea, vari pezzi d’artiglieria da 105, nonché vari lanciamissili a breve raggio

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Pantisir, e numerosi Shilka. Con le loro mitragliatrici a t iro rapido a controllo numerico, gli Shilka proteggevano tutte le antenne radar del sistema S300, contro gli attacchi di droni e missili anti-radar nemici, provenienti dalla bassissima quota.

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I sistemi zarini S300 erano in parte inefficaci nella bassissima quota, a causa del forte jamming elettromagnetico gengiskano. Ma i Pantisir erano stati rafforzati ed erano una difesa mo lto efficace, tanto quanto gli Shilka, che assicuravano la terza fascia di difesa, da un attacco dall’aria.

Tuttavia la media quota, quanto l’alta quota, erano costantemente spazzate dai segnali radar zarini S300. Erano gli zarini, che a Surgut ancora dominavano lo spazio aereo, per un intorno di 50km di raggio. I grandi silos metallici comandati da Elizaveta, erano capaci di sterilizzare a 25km di distanza, tutti gli attacchi dall’aria,


sia missilistici quanto aerei. Il mio plotone, doveva solo garantire un’ampia cintura di sicurezza, contro tutti gli attacchi nemici, espletati con azioni di terra. Attacchi corazzati e/o meccanizzati, oppure infiltrazioni di forze speciali. Se il modulo di comando, oppure le antenne radar, fossero state danneggiate o distrutte, i missili terra-aria S300 non sarebbero state capaci d’abbattere le minacce nemiche, perché le antenne radar del sistema S300 illuminavano sia i bersagli nemici, quanto 51 pilotavano i missili zarini, contro i target nemici. La postazione radar mobile S300 era la chiave della difesa tattica e strategica di Surgut, assieme ai s istemi Pantisir. Ma allo stesso modo, erano anche l’anello debole da difendere, perché la fanteria zarina ed alleata scarseggiava!. Chiesi se un missile IRBM a testata nucleare gengiskano, oppure dei missili da crociera nemici con testata atomica tattica, avrebbero potuto distruggere l’aeroporto di Surgut, vaporizzando tutta la difesa aerea integrata, in un colpo solo. Elizaveta mi disse che il sistema S300 avrebbe potuto abbattere tutte le minacce, incluse quelle atomiche, entro un massimo di 25km di distanza, ed un minimo di 5km. Tutta l’elettronica degli S300 era schermata da impulsi EMP, quindi solo azioni tattiche di terra, avrebbero potuto disabilitare la difesa anti-aerea ed anti-missilistica. Non vi voglio raccontare, su come le circostanze mi permisero di conquistare l’amore di Elizaveta per 2 giorni e mezzo, dei 10 giorni che rimasi dell’assedio di Surgut. Però, vi posso dire che in fondo al mio cuore, io ero venuto in Europa per combattere, perché avevo poca voglia di vivere. Ma quando giunsi a Surgut, il bel sorriso triste di Elizaveta, fu per me come un caldo raggio di Sole, per il mio cuore gelato. Lei, mi ridiede quel folle ottimismo di una storia d’amore, che obiettivamente in Siberia 2050, dentro l’assedio di Surgut, non avrebbe mai potuto finire bene!.


_____________________ Quel giorno ero nella taiga, intorno a Surgut, i miei fucilieri che erano sopravvissuti a quei 10 giorni di violentissimi scontri, erano sparsi in taiga, nascosti tra la neve e gli alberi. Imbarbariti dal freddo e dalla guerra, non si facevano molte illusioni sul loro destino, ma erano silenziosi e diligenti, sapevano controllare la loro paura, tanto da apparire determinati. 52

Io con il mio mirino laser, osservavo l'ambiente circostante, in attesa di movimenti nemici, che sembravano tardare a palesarsi. Avevamo respinto sino a quel giorno, tutti gli attacchi gengiskani, anche se c’era stato un pesante costo da pagare!. Tutti, sapevamo che non avremmo potuto reggere ancora molto a lungo, però continuavamo a co mbattere, perché non c’era altro da fare.

All'improvviso, qualcosa nell'aria, qualcosa di piccolo, qualcosa di malefico e silenzioso, qualcosa di maledettamente difficile a vedersi ad occhio nudo, attirò la mia attenzione, grazie alla presenza delle sofisticate lenti del mio monocolo. Non avevo molta voglia di parlare, questa volta avevo una bruttissima sensazione, che mi diceva che la guerra avrebbe probabilmente stroncato la mia storia con Elizaveta. In realtà, l’avevo sempre saputo: la storia tra me ed Elizaveta era una cosa che non avrebbe mai potuto durare, però vi confesso che


era maledettamente bello illudersi, che il nostro amore sarebbe potuto durare per sempre. Iniziai a canticchiare, sotto voce:"Far off in the distance, Somewhere you can't see, Allegiances have formed your destiny, Opposition all around..." per tenermi sollevato il morale. Una densa nuvola di piccoli droni, stava volando verso l’aeroporto di Surgut. Appena sopra le cime degli alberi, veloci come proiettili, c’era molto poco che noi potevamo fare, contro quei maledetti piccoli oggetti. Erano troppo piccoli, erano troppo veloci, per essere abbattuti con fucili e mitragliatrici. C’era solo da sperare che gli Shilka zarini, avessero potuto bloccarne la minaccia!. Dopo vari minuti, Elizaveta mi contattò per radio: lo sciame dei mini droni gengiskani, avevano permeato le difese degli Shilka, le antenne dei sistemi radar S300 erano state danneggiate. La difesa aerea di Surgut era stata disabilitata!. Si profilava in arrivo, un pesante attacco aereo e missilistico, già due degli 8 aerei Yak130 per il supporto aereo tattico alle nostre forze di terra, erano stati abbattuti. Quello che rimaneva del mio plotone, era in posizione troppo avanzata, ed era disperso nella taiga, gli ordini dal comando di Surgut per la mia unità, erano di ritirarsi e raggrupparsi tra gli alberi a sud, nei pressi dell’aeroporto!. Stavo rientrando di corsa, con quello che rimaneva del mio plotone, ridotto ad un terzo dei suoi effettivi, quando il tenente Gagarin mi contattò per radio. Una serie di missili da crociera gengiskani, avevano colpito in pieno l’aeroporto di Surgut: tutto quanto era stato ridotto in cenere!. Avevo udito le esplosioni, ma in fondo al cuore, speravo stupidamente che l’attacco avesse colpito la stazione ferroviaria, oppure il grosso ponte di Surgut. Sentii un vuoto allo stomaco, mi sentii mancare le gambe, quando la vidi.

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Elizaveta era riversa per terra, era fumante e mezza bruciata, le mancava una gamba ed un braccio, c’erano mo lte schegge che avevano tappezzato di grosse macchie scure, la sua schiena che trasudava sangue nero. Pensavo fosse già morta, ma invece era ancora viva!. L’infermiere del mio plotone le diede una rapidissima occhiata, poi le fece un’iniezione di morfina. La mia Elizaveta tossiva e sputava sangue come una fontana, aveva mezzo volto ustionato, non c’era niente che io potessi fare, per evitarle la morte. L’infermiere mi guardò negli occhi, guardando, l’infermiere disse ad alta poi così grave, come sembra!- poi feriti che erano sparsi per la dell’aeroporto di Surgut.

sapeva che Elizaveta ci stava voce –Il tenente Ivanov, non è si voltò, corse a cercare altri fumante e devastata pista

Molti blindati Shilka bruciavano come delle torce, rilasciando del denso fumo nero; c’erano cadaveri o resti umani un po’ ovunque si volgeva lo sguardo!. Se l’inferno esisteva, una filiale dell’inferno aveva aperto le proprie porte all’aeroporto di Surgut!. Elizaveta mi guardava con i suoi grandi occhi azzurri, che sembravano sperduti, come quelli di una bambina al primo giorno di scuola. Ero inginocchiato e la stringevo tra le mie braccia, cercando di non piangere. Le tenevo l’unica mano che ancora aveva, era debole e si stava spengendo la mia Elizaveta. Sapevo che probabilmente avevo poco tempo, non avrei potuto dirle tutte le cose che avrei voluto dirle. Baciai Elizaveta, poi le sussurrai –Amore, l’infermiere ha detto che non sei molto grave!Elizaveta storse leggermente la bocca, poi con un sussurro flebile, mi disse –James, ho deciso che mi voglio innamorare di te-

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-Ti giuro, che io quando sono venuto a Surgut per combattere, non ho mai pensato d’incontrare una persona come te!- le dissi. Elizaveta accennò un sorriso, raggranellò quel poco d’energia che ancora aveva, mi strinse forte la mano, poi con un filo di voce disse –Non ho mai immaginato, di perdere una persona come te- poi gli occhi di Elizaveta divennero vuoti ed immobili, il volto della mia Elizaveta si trasformò in una fredda bambola di pezza. 55

Le mia Elizaveta se n’era andata, me l’avevano ammazzata i gengiskani!. Il sangue nelle vene, iniziò a ribollirmi co me un vulcano che stava per esplodere!. -Tenente Gastovkj, in quanti siete ancora nel suo plotone?-. Era la voce tonante del tenente Gagarin che udìì a malapena, mentre lo vidi inginocchiato in terra, a dieci metri da me, aggrappato al suo fucile d’assalto. Il tenente Gagarin, era poco distante da un Pantisir, ancora in fiamme. Io non gli risposi, non avevo voglia di parlare, una bomba d’adrenalina si stava trasformando in una furia cieca e distruttiva, che mi stava ottenebrando la mente: l’unica cosa che volevo, era ammazzare quanti più gengiskani possibile!. M’alzai d’istinto, raccolsi da un cadavere di un militare zarino, un RPG7 e mi caricai in spalla 3 grosse testate HEAT per RPG7. -Maledizione!, tenente Gastovkj, in quanti siete rimasti del suo plotone?- urlò il tenente Gagarin, mentre era ancora inginocchiato su una gamba, poco distante dal camion in fiamme, e con lo sguardo osservava i bordi della foresta. -Circa in 11, incluso io- risposi mentre tornai indietro verso il cadavere di Elizaveta, poi le strappai la dogtag dal collo. -Surgut è andata, tenente Gastovskj mi segua con i suoi 10 fucilieri, noi abbiamo una possibilità di fuga dalla sacca di Surgut!disse il tenente Gagarin con voce imperiosa.


-Oggi, voglio ammazzare gengiskani!- risposi, mentre innestai una testata HEAT nel lanciatore RPG7. -Una brigata di carri armati, un battaglione di fanteria, ed elicotteri da battaglia stanno dilagando per Surgut. Presto raggiungeranno l’aeroporto per rastrellare le rovine e le strutture. Surgut è caduta!. Però a NordOvest, se ci sbrighiamo, ci sono due sottomarini tascabili zarini, che possono trasportare non più di 30 persone. Avete combattuto bene a Surgut voi europei, adesso è il momento 56 di ripiegare!. Tenente Gastovskj, non si faccia trasportare dall’ira. Pensi ai suoi 10 fucilieri. Tenente Gastovsky, potrà vendicare la morte del tenente Ivanov, un’altra volta!. La guerra è lunga!. Adesso chiami l’adunata. Abbiamo poco tempo, per filare via!- disse il tenente Gagarin, con un tono di voce calmo ed accondiscendente. Forse fu la voce calma ed accondiscendente del tenente Gagarin, forse il pensiero dei miei soldati, forse l’addestramento e l’esperienza che avevo avuto, riuscirono a sedare l’ira della mia mente. Chiamai l’adunata, poi seguimmo i quattro spetnaz che ci guidarono verso il fiume Ob ghiacciato, dove un piccolo sottomarino tascabile ci stava aspettando!. Ma questa, è un’altra storia…


Wicked Game – Ursine Vulpine f.t. Annaca The world was on fire and no one could s ave me but you It's s trange what desire will make foolis h people do I never dreamed that I 'd meet s omebody like you And I never dreamed that I 'd los e s omebody like you No, I don't wanna fall in love No, I don't wanna fall in love With you What a wicked game to play To make me feel this way What a wicked thing to do To let me dream of you What a wicked thing to s ay You never felt this way What a wicked thing to do To make me dream of you No, I don't No, I don't No, I don't No, I don't With you

wanna fall in wanna fall in wanna fall in wanna fall in

love love love love

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Capitolo 4: L’Accerchiamento di Surgut Erano già stati stesi in poco tempo, 9 dei dieci sottilissimi cavi lunghi 5km, che innestati in picco li apparati elettronici, da collocare sopra un albero, questi aggeggi zarini svolgevano il ruolo di radar passivi quanto di jammers del segnale satellitare BeiDou3+. In questo modo, a dire del comando zarino, si sarebbe interdetto ogni attacco missilistico gengiskano a bassa quota. Anche il fuoco nemico dell’artiglieria, quanto il supporto aereo tattico e le rotte degli elicotteri d’attacco, in quest’area sarebbero stati inaccurati. I gengiskani non avevano dei missili anti-radar efficaci, inoltre i sistemi missilistici Pantisir e gli Shilka, potevano garantire la protezione dei potenti ma vulnerabili radar, dei sistemi S300, i quali erano perennemente accesi, per imporre la propria difesa aerea con i missili S300. Elizaveta aveva voluto fare una sortita in piena notte, non voleva mandare nessun’altro, perché doveva ottimizzare la disposizione ed i segnali dei dispositivi di jamming. Era stata scortata da uno spetnaz, il loro obiettivo era di stendere quel maledetto decimo cavo. Io non sapevo niente, nessuno m’aveva avvertito. Le sue nove sortite, erano sempre riuscite senza incappare in problemi; ma questa volta non andò proprio così. Gagarin si precipitò nella mia posizione, mi raccontò che lo spetnaz che scortava il tenente Ivanov non se l’era sentita d’ammazzare la donna.

Lo spetnaz disse in modo laconico, via radio che con un’invasione di gengiskani che dilagavano in Siberia, ammazzare esperti zarini di

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guerra elettronica e difesa aerea, non era a suo avviso la cosa giusta da fare. Il soldato aveva vio lato i propri ordini, però avrebbe ingaggiato i gengiskani, si sarebbe sacrificato, per permettere alla donna di provare a fuggire. Il coraggioso militare, chiedeva per radio, che qualcuno andasse in soccorso ad Elizaveta, per aiutarla a rientrare a Surgut, prima che la donna si fosse stata costretta ad uccidersi, per evitare di farsi catturare viva dai gengiskani. Elizaveta lasciò per terra borraccia, caricatori ed il proprio fucile AK74, oltre al voluminoso equipaggiamento elettronico, si voltò e prese a correre, in silenzio, zigzagando tra gli alberi, contando solo sulla propria pistola d’ordinanza con quattro caricatori, per la difesa personale di prossimità. Lo spetnaz mise una granata dentro la sporta dell’equipaggiamento elettronico e preparò una booby traps, poi il militare gattonò in silenzio, vicino ad un albero, puntò il proprio mitragliatore PKM contro i gengiskani che avanzavano guardinghi, in una formaz ione a cuneo, erano a circa 400 mt. Per radio, sentii crepitii d’armi da fuoco, urla strazianti, esplosioni di granate, numerose colpi d’armi automatiche, poi all’improvviso dalla radio ci fu solo del rumore di fondo: la battaglia durò un paio di minuti, forse tre. Io ero già nella taiga, correvo come un pazzo, ero solo perché non volevo sacrificare nessuno del mio plotone, per una missione che probabilmente sarebbe stata suicida. Quando dissi a Gagarin che io sarei andato da solo, a scortare il tenente Elizaveta Ivanov, per rientrare in sicurezza dentro le linee di difesa di Surgut, Gagarin mi guardò con uno sguardo incredulo. La taiga era innevata, il cielo era plumbeo, le basse nuvole erano cariche di neve, presto avrebbero ovattato tutto il pasaggio con un nuovo denso e morbido, strato di gelida neve. Correre nella neve era cosa pesante, ma per qualche ragione non sentivo la fat ica. M’ero portato solo il mio fucile, la pistola d’ordinanza, vari caricatori, una sola granata a frammentazione, ed un solo

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fumogeno, oltre alla mia piccola radio portatile. Volevo essere il più leggero possibile, avendo leggerezza ed agilità di movimento, in questo pesante terreno innevato. Lo spetnaz che aveva rallentato i gentiskani, se pur ingaggiando il nemico per soli 3 minuti, aveva fatto un ottimo lavoro!. Il plotone dei militari gengiskani avevano subito pesanti perdite nel violento scontro a fuoco. I sopravvissuti del plotone che ancora continuavano la ricogniz ione, per saggiare le difese nemiche, adesso procedevano lenti, titubanti e timorosi, mentre Elizaveta correva disperata a perdifiato, zigzagando tra gli alberi e la neve alta, riuscendo a guadagnare terreno. Elizaveta mi co mparve all’improvviso, dentro l’ottica del mio mirino: la sua figura antropomorfa era quella di una mimetica zarina, si materializzò da dietro un albero, sulla mia sinistra ad un centinaio di metri da me. Io lanciai un incauto fischio, lei si voltò verso di me, poi corse in linea retta, raggiungendomi.

- Tenente Gastovskj, lei è quì?- esordì Elizaveta con il fiato corto, mentre appoggiò le mani sulle ginocchia, per cercare di recuperare le forze. -Zitta!- le risposi brusco, poi la spinsi a terra, vicino ad un’albero, quindi feci fuoco con il mio fucile: beccai in pieno un gengiskano che era a circa 200 metri. L’altro gengiskano, si nascose prontamente dietro un albero, mentre un terzo si buttò nella neve, dietro a dei tronchi.

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Quello che avevo beccato era un machine gunner dotato di un perico loso PKM, gli altri due avevano solo dei normali fucili d’assalto, non avevo visto cecchini!. -Elizaveta!, se torniamo a Surgut, mi devi una cena!. Per adesso, non fermarti, striscia in silenzio verso Surgut. Io cercherò di beccare i due gengiskani che t’inseguono!-. La donna fu sorpresa ed incredula, annuì in silenzio, poi silenziosamente prese a strisciare nella neve, verso Ovest. Io strisciai rapido verso sinistra, sentii un leggero ronzio nell’aria che s’avvicinava. Mi sollevai lentamente da terra, alzandomi in ginocchio su una gamba, avendo cura di restare al coperto dietro ad un grosso albero, cercai di capire cosa diavo lo fosse quel maledetto ronzio. Un drone tattico gengiskano fermo a mezz’aria, ruotava lentamente di 180°gradi su se stesso: era una sorta di dragunov volante!. Il drone nemico, stava evidentemente cercando un bersaglio da abbattere. Puntai il drone con il mio fucile d’assalto, gli scaricai contro vari burst. L’aggeggio incassò i miei colpi, barco llò nell’aria, poi cadde rovinosamente nella neve. Vari burst di fucile d’assalto piovvero vicino a me, io però riuscii a gettarmi a terra, tornai rapido strisciando nella mia posizione primaria, per dare maggiore protezione alla rit irata silenziosa di Elizaveta. Elizaveta nel frattempo, continuava a strisciare nella neve, non perdeva tempo a voltarsi per sapere cosa stesse succedendo alle sue spalle. Elizaveta s’allontanava silenziosamente e lentamente, ma con velocità costante!. Aveva un bel culo Elizaveta, anche se la mimet ica militare non era il vestito opportuno, per esaltare delle forme femminili. Mi sollevai pericolosamente in piedi, per dare la sbirciata della papera. Potei vedere in un attimo, che uno dei due gengiskani era in ginocchio dietro un albero caduto: il militare nemico stava

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armeggiando con un vistoso telecomando, tentava d’allungare un’antenna radio, forse per contattare un secondo drone tattico nemico?!. Non persi tempo a pormi dubbi, gli scaricai contro una serie di burst, beccandolo al busto, mentre l’uomo cadde a terra. Spuntò fuori all’improvviso dalla neve, dietro ad un tronco innevato, il terzo militare gengiskano. Il fuciliere nemico prese a spararmi contro, ma l’albero dietro cui ero nascosto, riuscì ad assorbire i suoi colpi. Il rateo dei co lpi che mi piovevano contro si ridusse!. Il gengiskano m’ingaggiava a colpo singolo, udii vari proiettili che fischiarono proprio intorno a me, in modo più accurato. Probabilmente, lo stronzo stava avanzando a piedi, sparava a colpo singolo, prima o poi m’avrebbe beccato, oppure avrebbe dovuto ricaricare il suo fucile. Oppure m’avrebbe ammazzato, lanciandomi una granata a frammentazione, quando sarebbe arrivato a tiro!. Mi feci coraggio, m’affacciai da un lato dell’albero e sprezzante del perico lo feci fuoco d’istinto. Il gengiskano era fermo in ginocchio semi nascosto da un albero, era intento a caricare il suo fucile, gli centrai la gamba destra, l’uomo cadde come nella neve, urlando. Poi gli lanciai contro la mia unica granata a frammentazione. Dopo un’esplosione sorda, molti schizzi di sangue s’appiccicarono sui bianchi tronchi circostanti. La taiga cadde in un denso silenzio, mentre cadevano grossi fiocchi di neve. Lanciai il mio fumogeno bianco, poi mi misi a strisciare rapidamente verso Elizaveta, seguendo la sua traccia tra la neve.

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Il tenente Gagarin ci venne incontro, con altri due spetnaz, quando eravamo a circa duecento metri dalle linee di difesa di Surgut. Lo spetnaz rastrellò in avanti per circa trecento metri, avrebbe voluto recuperare l’equipaggiamento elettronico che il tenente Ivanov era stato costretto ad abbandonare, ma Elizaveta raccontò che lo spetnaz che la scortava, aveva distrutto l’apparato. ___________________________ 63

Quando fummo all’ora di cena, mi presentai nel camion di comando HQ degli S300, dove Elizaveta stava istruendo un operatore su cosa fare, per massimizzare il jamming alle telecomunicaz ioni satellitari gengiskane. -Che cosa vuole?!- mi chiese Elizaveta. -Ho due razioni da campo, sono ricette francesi, è il miglior succedaneo che ho, di un elegante ristorante francese. Tenente Ivanov, le vorrei offrire la cena!- risposi accennando un largo sorriso. -Detesto le lumache, quanto lo Champagne!- mi rispose con tono serioso e secco, Elizaveta. -Anche io- risposi ridendo. La donna sorrise, ci pensò un attimo, poi scese con un salto dal grosso camion, e disse –Ok!, perché no!, dopo tutto mi ha salvato la vita!Mentre camminavamo per raggiungere il terminal dell’aeroporto, Elizaveta mi disse -Tenente Gastovskj, non ho capito se lei è temerario, oppure è un pazzo furioso?!Per la terza volta della mia vita, da quando ero arrivato a Surgut, sorrisi di nuovo: le dissi che per saperlo, si doveva vivere la leggenda dell’11th USE Cavalry. Il resto, ve lo lascio immaginare.


Xian chinese battle music No text https://youtu.be/QcPf4yKSe38

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Capitolo 5: La Battaglia per Surgut

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Fuori dalla città di Strezevoj fu radunato il primo battaglione del II°Reggimento della 180 Divisione di fanteria Meccanizzata dell’Esercito Imperiale della Repubblica Popolare Gengiskana, appartenente alla IX°Legione (co mposta da 5 divis ioni) del fronte dell'Ovest. Le truppe schierate in met icoloso ordine, erano sull'attenti, in religioso silenzio, per ascoltare gli ordini. Fu lo stesso generale di divisione, che parlò direttamente alle proprie truppe, disse che era vitale mettere al corrente ciascun soldato, su cosa stava succedendo: in questo modo, ogni singolo fante avrebbe compiuto il suo sacro dovere sino in fondo, essendo conscio dell'importanza della missione, cui gli era stata affidata. La X°Legione stava ult imando l'accerchiamento della grande sacca zarina, dispiegandosi nel bassopiano Siberiano: avrebbe guardato il fianco sinistro alla IX° ed alla XI°Legione, le quali dovevano affondare sino agli Urali. Gli Zarini erano sordi, muti, ciechi, scarsi di numero, male equipaggiati, sostenuti da un alleato debole e vecchio come l’Europa. Le forze zarino-europee manovravano in modo stupido: erano arroccate per lo più, lungo l’asse trasiberiano Omsk↔Novisibirsk,


per cui le condizioni di vittoria per il popolo gengiskano erano facili da raggiungere!. Entro la primavera prossima, l'onore del conseguimento della sacra vittoria sarebbe spettato a 2 Legioni: la XI°Legione, la IX°Legione del fronte dell'Ovest. Queste forze, avrebbero dovuto dilagare nell’area preuralica di Serov↔Celiabinsk, prima della fine della futura primavera. Contestualmente, ci sarebbe stata anche una saldatura con le forze Imperiali dell'impero Sumerico, che erano in movimento da Sud verso Nord-Ovest. Nel profondo alto Nord, le impavide divisioni degli incursori gengiskani, la S ian, la Taiyuan, la Chung King, la Tsingtao avrebbero varcato l'Ob!. Queste forze a nord, avrebbero protetto il fianco destro, all’az ione cinetica della IX° e XI°Legione. Il più grande onore, spettava alla IX°Legione, il suo obiettivo era il centro pre-uralico: l'area di conquistare e consolidare Serov, Nizni-Tagil, Kamensk-Ur, Celjabinsk. Se i coraggiosi incursori gengiskani erano dilagati in Alta S iberia, sconfiggendo mille diffico ltà, allora il possente Esercito Imperiale della Repubblica Gengiskana non poteva essere da meno! Il sacro compito dell’Esercito Imperiale della Repubblica Popolare Gengiskana, doveva essere solo quello di condurre alla vittoria il popolo gengiskano!. La 180°Divisione di fanteria Meccanizzata dell’Esercito Imperiale della Repubblica Popolare Gengiskana, era stata scelta per avere l'onore di conquistare Surgut!. Nell'azione cinetica d'avvo lgimento di Surgut, sarebbe stato proprio il primo battaglione, la punta di sfondamento. Gli altri battaglioni della divisione, avrebbero eseguito una manovra avvolgente strangolando dai lati, la città di Surgut.

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Gli ordini erano semplici: Attaccare!, Attaccare!, Attaccare!, come una folgore divina che spazzava via le deboli ed incapaci difese zarine ed europee!. I dettagli operativi, sarebbero stati specificati a ciascun ufficiale, che poi avrebbe co municato il da farsi a ciascun soldato!. Un boato enorme d'approvazione, salì dal battaglione che salutò con il proprio urlo di battaglia, la missione che gli era stata assegnata!.

Giunsero rapidi, con delle email sui tablet di ciascun ufficiale, gli obiettivi da raggiungere. Al tenente De Zhao, alla guida del suo secondo plotone, III compagnia, primo battaglione, II Reggimento, della 180 Divisione, spettò l'onere di una ricognizione avanzata, per aprire la strada alla ricognizione in forze che il primo battaglione avrebbe fatto muovendo su Surgut. C'erano nella disponibilità del tenente De Zhao, del fuoco d'artiglieria, forze corazzate e rinforzi di fanteria meccanizzata, supporto aereo tattico, oltre alla protezione dell'Aviazione Imperiale Popolare Gengiskana, che avrebbe garantito la dominanza aerea, durante l'azione cinetica su Surgut. Era un vero e proprio attacco integrato, con tutte le forze gengiskane impiegate a manovrare contro Surgut!. ________________________________

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Il tenente De Zhao era diventato molto amico del sergente maggiore Bao Li, in quanto le unità combattevano assieme sin Dall’inizio della guerra. I comandanti gengiskani, tendevano a non rompere i rapporti di fiducia ed amicizia, che s’erano creati tra la fanteria e gli equipaggi dei mezzi corazzati, perchè le azioni cinet iche erano valutate più coraggiose ed efficaci!. Quella fredda mattina invernale, il plotone del tenente De Zhao era stato mandato in una perlustrazione in forze, sui punti di resistenza nemici attorno a SudOvest di Surgut. La reazione zarina e delle forze europee non si fece attendere!. -Sono sotto intenso fuoco nemico!- urlò con la mascella contratta, il tenente De Zhao alla radio, mentre era sdraiato nella neve. -Chiedo fuoco d’efficacia sugli obiettivi indicati, in griglia AB4 inoltre, richiedo il sostegno dei mezzi corazzati e del supporto aereo tattico, per poter continuare l’avanzata!Il comando di brigata dette immediatamente l’assenso alle richieste del tenente De Zhao: rapidamente la formaz ione di TRE tank Type_99 comandati dal sergente Bao Li raggiunsero la loro posizione, poi presero ad aprire il fuoco, contro gli obiettivi che erano stati loro assegnati.

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Iniziò a piovere una feroce grandinata di co lpi d'artiglieria zarina, che dilaniarono ogni cosa: neve, terra, fanteria. In breve tempo, tutti i quattro tank Type_99 andarono distrutti, trasformandosi in enormi torce infuocate, a causa dei missili anticarro Javelin, sparati dai fanti del plotone del tenente Gastovskj. Tutto il plotone di De Zhao finĂŹ rapidamente annientato. Sul campo di battaglia, giunsero vari elicotteri da battaglia gengiskani: quattro Mil-mi 24, seguiti da quattro elicotteri Wz10 che attaccarono le postazioni di mitragliatrici, mortaio, artiglieria da campo, zarine, che erano camuffate nella neve. Non era quasi del tutto terminata questa reazione cinet ica gengiskana, che sul campo di battaglia piombarono come falchi predatori, tre Yak-130 zarini, che ingaggiarono in combattimento gli elicotteri gengiskani. I veloci e manovrabili Yak130, fecero rapidamente sfacelo dei lenti elicotteri da battaglia gengiskani, sparando loro razzi anticarro!. Alcuni fanti gengiskani erano tuttavia dotati di MANPAD e riuscirono ad abbattere alcuni aerei zarini. Due Yak130 zarini furono distrutti, mentre 4 Mil-mi 24 assieme a 3 Wz10 gengiskani, furono persi in combattimento dai gengiskani!. L’unico Yak130 zarino, ed un solo Wz10 che erano sopravvissuti allo scontro, si ritrassero rapidamente, lasciando i rottami dei mezzi dei propri commilitoni, in fiamme sul campo di battaglia!. Lo scontro bellico iniziale, non era terminato: nel cielo in alta quota, infervorava un'altra vio lenta battaglia!. La forza aerea gengiskana non riuscĂŹ a permeare le difese antimissile zarine, vari S300 arpionarono quattro caccia Su27plus ed un paio di caccia bombardieri J10 che esplosero in alta quota.

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Rottami incendiat i, cadevano dall’alta quota, quasi fossero dei fuochi d’artificio!. All’improvviso, quasi come si fossero materializzati dal niente, sfrecciarono a bassa quota, provenienti da direz ioni diverse, quattro caccia Su27plus che tentarono una penetrazione profonda verso Surgut, per distruggere con i propri missili HARM-antiradar, le postazioni zarine di difesa aera S300 che erano a Surgut. Il jamming dei cavi che il tenente Ivanov aveva precedentemente steso nella taiga, contribuirono a far fallire la missione SEAD gengiskana!. I sistemi missilistici Pantisir a breve raggio, annientarono due Su27plus gengiskani che s'erano avvicinati troppo impavidamente all'aeroporto di Surgut. Gli Shilka ed i Pantisir zarini, distrussero anche i pochi missili HARM-antiradar che erano stati sparati dai gengiskani, in quanto i sistemi elettronici dei missili HARM gengiskani, non riuscirono ad agganciare i radar degli impianti S300 a causa del jamming. Alla fine del primo rapido e vio lento scontro, solo due dei cinque Su27plus gengiskani inviat i in missione SEAD, tornarono indietro. Il primo duro scontro, contro i gengiskani era stato vinto dagli zarini e dagli europei. Ma la battaglia per Surgut non era finita!. I gengiskani erano tantissimi, perfettamente equipaggiati, fortemente motivati, mentre le forze di difesa di Surgut erano poche e scarsamente equipaggiate: nel primo scontro, le forze di difesa di Surgut s’erano ridotte già di un 30%. L'assedio per Surgut, non sarebbe stato lungo!

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Dopo 48 ore di scontri continui, la 180 Divisione di Fanteria alzò la bandiera dell’Imperiale Repubblica Popolare di Gengiskania, presso l’aeroporto di Surgut, la cui pista di decollo fu riparata in meno di un giorno!.


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