Focus Storia Wars 22

Page 1

N°22

d€

6,90

IN REGALO

SOLDATI E BATTAGLIE NEI SECOLI

IL MEGA-POSTER DI TUTTE LE GRANDI BATTAGLIE COMBATTUTE IN ITALIA

GUERRE IN ITALIA UNIFORMOLOGIA I conquistadores e i guerrieri nativi americani

BISMARCK

La nave ammiraglia del Terzo Reich e il lungo inseguimento per affondarla

CACCIA

Dagli Spitfire ai Mig, dai Focke agli Zero, come “decolla” la guerra aerea

Sped. in A. P. - D.L. 353/03 art. 1, comma 1 NE/VR

MILLENNI DI COMBATTIMENTI E SCONTRI CAMPALI PER CONQUISTARE LA PENISOLA


WARS

SOMMARIO

L’Italia, una preda assai ghiotta

Dalla Battaglia degli altipiani del 1916 a quella di Siracusa del 213 a.C., dallo scontro di Alalia, nello stretto di Bonifacio, anno 540 a.C., a quello di Curzola, mare Adriatico, tra veneziani e genovesi nel 1298. Da Nord a Sud, da Ovest a Est abbiamo contato la bellezza di 120 battaglie importanti, combattute in 26 secoli nel nostro Paese, o nei mari confinanti, per conquistare la Penisola, difenderla da invasori, oppure assicurare a un esercito il passaggio attraverso lo Stivale. Ve le raccontiamo nelle pagine di Wars, e le elenchiamo tutte nel poster allegato a questo numero del giornale. Una mappa esclusiva, che mette in luce, a colpo d’occhio, i nodi strategici contesi per millenni sul suolo italiano. Buona lettura. Jacopo Loredan d direttore GIORGIO ALBERTINI

GASTONE BRECCIA

Livornese, 52 anni, bizantinista e storico militare, ha pubblicato saggi sull’arte della guerra, sulla guerriglia e sulla missione ISAF in Afghanistan. Piemontese, 51 anni, studioso di storia militare romana e professore di storia e archeologia antica e medievale alla Fatih University di Istanbul.

ANDREA FREDIANI

Romano, 50 anni, medievista, ha scritto vari saggi di storia militare e romanzi storici di successo (andreafrediani.it).

RECENSIONI

IN COPERTINA

AFFONDATE LA BISMARCK!

Maggio 1941, l’epica caccia alla più potente corazzata del mondo.

10 APPROFONDIMENTI DRONI IN GUERRA

Che cosa sono, chi li “guida”, i vantaggi e i rischi nel loro impiego.

14

PRIMO PIANO

ITALIA, LA MAGNIFICA PREDA

Le grandi battaglie d’Italia, un Paese da sempre nel mirino degli eserciti invasori.

16

SIRACUSA 415-413 A.C.

LA RESA DEI CONTI

Sparta e Atene, le due città rivali, si combattono a casa nostra.

18

METAURO 207 A.C.

CORSA PER LA VITTORIA

La marcia che consente a Roma di battere il fratello di Annibale. 552 24 TAGINA CACCIAMO QUESTI BARBARI!

I Goti spadroneggiano in Italia da 40 anni, ma i bizantini...

1237 - BENEVENTO 1266 28 CORTENUOVA L’AQUILA IMPERIALE

La lotta tra guelfi e ghibellini nelle guerre di Federico II e Manfredi.

1495 36 FORNOVO TUTTI CONTRO UNO

1706 42 TORINO UNA SITUAZIONE ESPLOSIVA

Eugenio di Savoia e Pietro Micca, gli eroi dell’assedio.

1747 46 ASSIETTA VITTORIA IN QUOTA

Pochi contro tanti, l’esercito piemontese contro i franco-spagnoli.

1800 48 MARENGO LA FORTUNA DI NAPOLEONE

Bonaparte nella Seconda campagna d’Italia, dalle Alpi al Piemonte.

RAFFAELE D’AMATO

LIVING HISTORY

GUERRA NAVALE

Con la calata di Carlo VIII finisce l’indipendenza degli Stati italiani.

Milanese, 46 anni, laureato in Storia medievale, illustratore professionista per case editrici e riviste (giorgioalbertini.com).

WARS

4

RUBRICHE PAG. 81

PAG. 82

Un cavaliere romano (Arcangel) e, in secondo piano, un tank americano M4 Sherman (Getty Images) sulle strade italiane durante la battaglia di Montecassino (1944).

1860 54 CASTELFIDARDO UNITA, FINALMENTE!

Nel Risorgimento, l’ultimo scontro fra Borbone e Savoia.

1915 58 PIAVE NON PASSA LO STRANIERO!

Per l’Austria la battaglia del Solstizio doveva chiudere la guerra.

1944 64 RIMINI ATTACCO ALLA LINEA GOTICA

Gli Alleati risalgono lo Stivale battendosi contro i tedeschi.

AEREA 68 GUERRA FIGHTER COMMAND

L’evoluzione dei caccia, seconda puntata, dal 1939 alla Corea.

74 UNIFORMOLOGIA CONQUISTADORES...

...e guerrieri nativi americani nelle colonie del XVI secolo. S

3



GUERRA NAVALE

MAGGIO 1941

L’EPICA CACCIA ALLA PIÙ POTENTE CORAZZATA DEL MONDO

AFFONDATE LA

BISMARCK! La corazzata tedesca Bismarck, distrutta dagli Alleati il 27 maggio 1941. Con la gemella Tirpitz, fu la più potente nave da battaglia costruita dalla Marina di Hitler, la Kriegsmarine, dopo le 3 corazzate “tascabili” destinate alla guerra corsara, e a 2 corazzate veloci classe Scharnorst. Le due potenti unità, da oltre 50.000 ton., violavano i limiti imposti dai trattati navali del 1922 e 1936 sulla regolamentazione del riarmo tedesco.

RUE DES ARCHIVES / AGF

UN GIGANTE NELL’ATLANTICO


IWM VIA GETTY IMAGES

I raid delle grandi navi tedesche si erano rivelati fino ad allora pieni di luci e ombre: da un lato, con le sue poche unità l’ammiraglio Erich Raeder obbligava la Royal Navy (dal giugno 1940 impegnata anche in Mediterraneo contro l’Italia) a fare i salti mortali per scortare adeguatamente i convogli senza indebolire la squadra da battaglia. Dall’altro, in quanto a tonnellaggio affondato, i più economici U-boote erano imbattibili. Raeder però era deciso a insistere con la sua “strategia della dispersione”, soprattutto dopo il successo ottenuto dall’ammiraglio Günther Lütjens all’inizio del 1941, quando con due corazzate veloci aveva affondato in Atlantico 22 mercantili, beffando l’Ammiragliato britannico e scompaginandone i preziosi convogli. Con l’Operazione Rheinübung egli intendeva impiegare la Bismarck, scortata dal potente incrociatore Prinz Eugen, in un’azione ancora più devastante, affidandone il comando nuovamente a Lütjens, che oscillava però tra l’esultanza per i recenti successi e un crescente scetticismo. Come sottolinea lo storico inglese B.B. Schofield, Lütjens «disse chiaro e tondo che si sarebbe ottenuto un effetto ben maggiore se l’azione fosse stata ritardata fino al momento in cui […] la Tirpitz fosse stata pronta a navigare. Riteneva inoltre che la comparsa in AtlanTirpitz Fu varata poche settimane dopo la gemella, il 1° aprile 1939, e quando la Bismarck prese il mare per la sua prima e ultima missione, stava effettuando le prove in acqua.

I PROTAGONISTI

La squadra da battaglia inglese in azione, con l’incrociatore britannico HMS Hood che spara con le artiglierie principali (1940). In alto a sinistra, Adolf Hitler a bordo della Bismarck con l’ammiraglio Lütjens (1941). A destra, il premier britannico Winston Churchill visita la corazzata HMS King George V con il comandante in capo della Home Fleet, l’ammiraglio John Tovey (1942).

5

POPPERFOTO/GETTY IMAGES

SZ PHOTO / AGF

A

mburgo, 14 febbraio 1939. È il giorno di San Valentino e nella grande città marittima tedesca Adolf Hitler ha appuntamento con una donna. Ma non è un incontro galante quello che attende il Führer della Germania nazista. Dorothea von Loewenfeld è un’austera signora di mezza età, ben diversa dalle bionde e atletiche giovani che solleticano il dittatore: in effetti, è la nipote di Otto von Bismarck, il grande cancelliere del XIX secolo. Perché in quel giorno d’inverno, ad Amburgo, si sta per varare una nave da battaglia che porta il nome del fondatore del Secondo Reich, e incarna le ambizioni di potenza del Terzo. L’Operazione Rheinübung. La Seconda guerra mondiale sorprese impreparata la Kriegsmarine (v. riquadro alla pag. successiva). Allo scoppio del conflitto, la Bismarck aveva appena iniziato l’allestimento. La nave fu consegnata il 24 agosto del 1940, quando sembrava prossima l’invasione della Gran Bretagna. Tuttavia, occorsero mesi perché la corazzata fosse messa a punto e l’equipaggio addestrato, senza contare che i collaudi misero in luce alcuni difetti; problemi normali per realizzazioni così complesse, ma uno di questi difetti, relativo alla difficoltà di manovrare con le sole eliche in caso di avaria al timone, era destinato ad avere un impatto letale. Nel marzo 1941 la corazzata era operativa e si trasferì dal Baltico a Kiel, dove fu approntata per un’eventuale missione in Atlantico.


LE GRANDI BATTAGLIE D’ITALIA

ROMA SCONFISSE ASDRUBALE, IL FRATELLO DI

207 A.C. METAURO

CORSA PER

T

18

GLI ELEFANTI

RADU OLTEAN

utti conoscono la fine della storia: Scipione l’Africano portò la guerra in Africa e inflisse ad Annibale, da 17 anni invitto in Italia, la sconfitta decisiva a Zama. Ma non tutti sanno che il condottiero romano fu la vera nemesi di quello punico fin dalla sua comparsa sulla scena, determinando già un quinquennio prima dell’episodio conclusivo l’inizio della sua fine. Accadde in Spagna, dove padre e zio di Scipione (rispettivamente, Publio Cornelio Scipione il Vecchio e Gneo Cornelio Scipione, i comandanti inviati in Spagna allo scoppio della Seconda guerra punica, 219-218 a.C.) erano caduti combattendo contro i fratelli di Annibale, i generali Magone e Asdrubale. Fu lui a sostituirli, a furor di popolo, nonostante la giovanissima età; e a far pagare ai due comandanti cartaginesi ciò che avevano fatto ai suoi congiunti. Al punto che Asdrubale, all’ennesima sconfitta, dovette scappare dalla Spagna nel 208 a.C. e puntare sull’Italia, con l’intenzione di unirsi al più celebre fratello. Una prospettiva orribile per i Romani, che proprio in quell’anno avevano perso anche il loro più prestigioso condottiero del momento, Marco Claudio Marcello, caduto in un’imboscata.

Ricostruzione della battaglia del Metauro (22 giugno 207 a.C.); sullo sfondo, gli elefanti da guerra punici, che pare fossero condotti da guidatori indiani. Asdrubale li aveva catturati anche a cento alla volta nelle battute di caccia sulle montagne dell’Atlante, in Africa. Venivano addestrati alla zuffa

e al macello, al fine di scompigliare o sfondare le linee nemiche, ma accadeva non di rado che nella confusione colpissero anche gli amici. In battaglia li si riusciva a spaventare con l’ausilio di torce o con una pioggia di catrame e zolfo bollenti, altrimenti li si azzoppava tagliando loro i legamenti.


ANNIBALE, GRAZIE A UN’IMPRESA ATLETICA E MILITARE

LA VITTORIA


LE GRANDI BATTAGLIE D’ITALIA

NEL 1796 IL GIOVANE GENERALE ERA ENTRATO IN ITALIA CON UN’ARMATA STRACCIONA E VI SI ERA LAUREATO CONDOTTIERO. CI TORNÒ VALICANDO I MONTI 4 ANNI DOPO, DA PRIMO CONSOLE, E PER UN PELO NON PERSE TUTTO

INTERPHOTO/ALINARI

1800 MARENGO

I

48

SUL PASSO

L’armata di Napoleone sul Colle del Gran San Bernardo, il 20 maggio 1800. Sopra, Il primo console varcando le Alpi, di David.

RMN/ALINARI

l colpo di Stato del 18 Brumaio (ovvero, il 9 novembre 1799) aveva regalato a Napoleone, ad appena trent’anni, la dittatura come primo console, mettendolo in condizione di perseguire i suoi ambiziosi progetti senza le limitazioni che gli aveva imposto il Direttorio. E tra i suoi piani più impellenti c’era il regolamento dei conti con la coalizione che premeva sulla Francia rivoluzionaria. Dopo il fallimento delle trattative di pace, il condottiero puntava a riconquistare i territori della Repubblica Cisalpina, che l’Austria aveva aggiunto con la forza al Veneto, ricevuto grazie agli accordi sottoscritti nel Trattato di Campoformio. Quattro anni prima, nel 1796, il motivo che aveva spinto Napoleone a promuovere e condurre la prima campagna sul territorio italiano era stata la necessità di colpire l’Austria dove la riteneva più debole, ovvero in Italia, sottraendole la Pianura Padana. E a quello scopo, la strategia del giovane Bonaparte aveva avuto come primo obiettivo il Piemonte, che nei suoi piani doveva essere staccato dall’alleanza col nemico. Adesso, nella seconda campagna, a muoverlo era invece una questione di sopravvivenza, quella delle posizioni transalpine nella Penisola. E in pericolo c’era Genova, assediata dagli austriaci.


LA FORTUNA DI

NAPOLEONE

L’

armata di riserva partì da Martigny il 15 maggio per andare a soccorrere Genova e il fidato Massena (v. riquadro a pag. 50). Procedette suddivisa in cinque colonne, che marciavano a distanza di un giorno l’una dall’altra per coprire i 40 chilometri che le separavano da Aosta. Ogni soldato aveva razioni per nove giorni e 40 cartucce, ma la vera difficoltà era costituita dal trasporto dei cannoni, perché si diceva che la parte più ripida dell’ascesa fosse impraticabile per i veicoli a ruote più pesanti. Andrea Massena (1758-1817), generale noto per le sue abilità tattiche quanto per i suoi saccheggi. In Italia era stato decisivo nella battaglia di Rivoli (1797). Dopo il colpo di Stato del 18 Brumaio aveva assunto il comando dell’Armata d’Italia per finire poi assediato da Melas (l’austriaco che comandava l’armata d’Italia asburgica) a Genova. Napoleone lo considerava il suo miglior stratega.

Marmont, il comandante dell’artiglieria, escogitò i sistemi più bizzarri per permettere ai suoi cannoni di superare la neve ancora alta sul Gran San Bernardo: da tronchi d’albero scavati a mo’ di abbeveratoi, entro i quali venivano posti pezzi da 8 libbre e mortai, a slitte e rulli, sui cui i pezzi, una volta smontati, venivano trasportati a sezioni, e perfino barelle, sollevate da un decina di uomini ciascuna, per portare gli affusti dei pezzi da 8 libbre. Assegnò inoltre a ogni cannone un centinaio di uomini, che impiegarono due giorni per superare il valico, e ricorse all’espediente di far sparare in anticipo per provocare valanghe prima del passaggio dell’esercito. Inoltre, l’armata marciava sempre di mattina, prima che la neve si allentasse, e i carri venivano mandati avanti solo dopo essere stati svuotati,

BONAPARTE ATTRAVERSA LE ALPI

Il quadro di JacquesLouis David è un’invenzione, perché in realtà Napoleone passò le Alpi col bel tempo, a cavallo di un mulo tenuto per le briglie da una guida. David inscenò il mito del condottiero che domina – oltre alle armate – la natura selvaggia, rispondendo al desiderio di Bonaparte che voleva apparire “calmo su un cavallo focoso”. Il pittore non poté rifarsi al vero modello, ma dovette usare suo figlio abbarbicato su una scala, in modo da riprodurne la postura. D’altra parte, secondo Napoleone: “Nessuno chiede se i ritratti dei grandi sono somiglianti. Basta che sulla tela viva il loro genio.” La divisa, invece, era quella usata dal primo console a Marengo. Del quadro esistono ben cinque versioni.


LE GRANDI BATTAGLIE D’ITALIA

1918 PIAVE

LA BATTAGLIA DEL SOLSTIZIO DOVEVA DARCI

NON PASSA

A

58

SUL PIAVE

Austriaci attraversano una zona acquitrinosa sul Piave. Durante la battaglia le abbondanti piogge ne gonfiarono le acque, aumentando le difficoltà del nemico nell’alimentare le sue teste di ponte. INTERFOTO/ALINARI

ll’inizio del 1918 la Prima guerra mondiale entrava nelle fasi finali. Mentre sul fronte occidentale la Germania cercava di cogliere un successo decisivo lanciando la sua “offensiva di primavera”, la monarchia asburgica pianificava il colpo di grazia per l’Italia. Dopo il rovescio subito a Caporetto (oggi Slovenia), l’esercito italiano era riuscito a portare a termine una difficile ritirata e a organizzare una linea difensiva: simile a un grande arco, questo fronte si appoggiava al fiume Piave a est e al massiccio del Grappa a nord, mentre verso ovest proseguiva attraverso l’Altopiano dei 7 comuni (Asiago). Il piano austroungarico era basato su tre distinte operazioni: a ovest il Gruppo di armate Conrad con la 10a Armata doveva eseguire sul passo del Tonale (Trento) un diversivo, l’Operazione Lawine (valanga); intanto, sull’altopiano veneto e sul Grappa l’11a Armata avrebbe compiuto lo sforzo principale – come si definisce in gergo l’azione più importante – denominato Operazione Radetzky, ovvero un massiccio attacco verso la pianura in direzione di Vicenza e Castelfranco, destinato a prendere alle spalle tutto lo schieramento italiano sul Piave. Infine, il Gruppo di armate Boroević (la 5a e la 6a Armata) avrebbe dovuto attuare lo sforzo sussidiario, l’Operazione Albrecht, per infrangere le difese italiane sul Montello e lungo il Piave, conquistare Treviso e dilagare nella pianura verso Padova e Venezia.

I

l 15 giugno 1999 un gruppo di ufficiali italiani dell’8° Reggimento artiglieria da campagna “Pasubio” era impegnato in una esercitazione NATO in Ungheria. Tra quegli ufficiali c’ero anch’io. Avevamo appena onorato con un brindisi la tradizionale festa della nostra artiglieria, coincidente con la data dell’inizio della battaglia del Solstizio. Nessuno di noi aveva pensato al fatto curioso che in quel momento ci trovavamo nella terra dei vecchi nemici. A un tratto, e con grande sorpresa di tutti, un anziano colonnello ungherese tra gli ospiti prese la parola per dire: «Mio nonno partecipò alla battaglia che voi oggi ricordate e fu ferito dalle schegge di una vostra granata. Io ricordo che lui diceva sempre di aver imparato ad avere rispetto per tre cose nella sua vita: mia nonna, il vino e l’artiglieria italiana». L’artiglieria. L’ora fatale per le sorti della Prima guerra mondiale scoccò nella notte tra il 14 e il 15 giugno: a partire dalle 23:00, sugli altipiani, le vampe di centinaia di pezzi illuminarono a giorno il versante del fronte su cui operava la 6a Armata italiana del generale Montuori. Questi, dietro grande insisten-


IL COLPO DI GRAZIA. E INVECE FU IL RISCATTO ITALIANO

LO STRANIERO!

La lezione di Caporetto

L’ za del suo comandante dell’artiglieria, il generale Roberto Segre, aveva autorizzato ad aprire il fuoco in anticipo sull’attacco nemico. L’effetto sulle truppe austro-ungariche all’ala destra dell’11a Armata fu devastante: radunate sulle zone di attesa per l’attacco, furono bersagliate da un diluvio di fuoco, tanto da spezzarne l’impeto prima ancora di iniziare l’assalto. Ma nonostante tutto, protetti in qualche modo da una fitta nebbia, alle prime ore del mattino i reparti austriaci partirono e investirono ugualmente le linee italiane, cogliendo in alcuni punti alcuni successi locali. Ma già alla sera del primo giorno, in questa zona lo slancio degli attaccanti poteva dirsi esaurito. Era stato raggiunto qualche risultato sulle cime del Col del Rosso, di monte Valbella e Col d’Echele, i cosiddetti Tre monti (Asiago, Vicenza), ma era un ben misero bottino. Sul massiccio del Grappa (Vicenza), difeso dalla 4a Armata del generale Giardino, l’artiglieria italiana non aveva aperto il fuoco in anticipo, ma anche con batterie schierate in postazioni in caverne scavate nelle viscere della montagna, alle 3:00 aveva reagito subito vivacemente al fuo-

esercito italiano era uscito dalla crisi dell’autunno 1917 grazie al suo nuovo capo di Stato maggiore, Armando Diaz, che oltre a ricostituire molte unità aveva posto particolare cura nel migliorare le condizioni di vita dei soldati e risollevarne lo spirito combattivo. Lo sforzo bellico e industriale senza precedenti aveva ripianato le ingenti perdite; a beneficiarne era stata soprattutto l’artiglieria, elemento decisivo della battaglia che si preparava. Spie in azione. Il 13 giugno la 10a Armata austro-ungarica fece scattare l’Operazione Lawine, facilmente contenuta. La sorpresa realizzata dagli austro-tedeschi a Caporetto era stata una delle lezioni più dure, ben compresa dai comandi italiani: questa volta in nessun caso si voleva essere colti

impreparati. A tal fine era stato riorganizzato il servizio informazioni di tutte le armate e, fra tutti, quello della 1a Armata, diretto dal colonnello Tullio Marchetti, rivelatosi estremamente efficiente. Questi iniziarono a raccogliere preziose informazioni dai numerosi disertori che falcidiavano i ranghi nemici, complice la crisi dei viveri che si faceva sempre più pesante in seno all’esercito austroungarico; informazioni confermate anche da una stazione di intercettazione telefonica sul Grappa che, con un’attività da considerare come l’antesignana della moderna COMINT , ascoltava le comunicazioni degli avversari. Si riuscì così a stabilire che l’offensiva austriaca era fissata per il 15 giugno, alle 3:00 del mattino. La difesa si sarebbe fatta trovare pronta.

Comint COMmunication INTelligence. È quel complesso di attività rivolte a ricavare dati tecnici e informazioni dalla monitorizzazione e dall’esame dei sistemi di comunicazione avversari.


LE GRANDI BATTAGLIE D’ITALIA

1944 RIMINI

D

urante la Seconda guerra mondiale la Campagna d’Italia iniziò con lo sbarco alleato in Sicilia del 10 luglio 1943. L’invasione del suo territorio determinò di lì a poco l’uscita dell’Italia dal conflitto, ufficializzata e resa pubblica l’8 settembre. Subito dopo, gli Alleati lanciarono il 9 settembre 1943 l’Operazione Avalanche, sbarcando a Salerno, e conquistando Napoli il 1° ottobre dopo duri combattimenti. Proseguendo nella loro risalita verso nord, gli anglo-americani fissarono Roma come nuovo importante obiettivo, ma le forze tedesche dello Heeresgruppe C (Gruppo di armate C) del feldmaresciallo Albert Kesselring, riuscirono per più di sei mesi a frustrarne tutti i tentativi di avanzata verso la città eterna sfruttando la linea difensiva denominata “Gustav”, che correva dal mar Tirreno all’Adriatico, ed era imperniata sulla posizione chiave di Cassino. Soltanto dopo una serie di feroci battaglie combattute nell’area di Montecassino, e un tentativo di aggiramento anfibio della Linea Gustav – effettuato il 22 gennaio 1944 con lo sbarco ad AnzioNettuno, ma che si risolse in un sanguinoso scacco – gli Alleati riuscirono a conquistare Roma il 4 giugno. Ma la guerra era destinata a proseguire, con gli angloamericani che continuavano la faticosa risalita della Penisola. 64

I TEDESCHI IN FUGA, MA SEMPRE MICIDIALI, RESERO LA RISALITA DELLO STIVALE UNA GUERRA INFINITA

ATTACCO ALLALINEA GOTICA


re di agosto superarono il fiume Metauro, occupando Pesaro e Urbino. Il 30 agosto, a Tavullia, i canadesi della 5a Divisione corazzata superarono con un’azione di sorpresa la prima linea difensiva tedesca ( Linea verde ), ma il successo non venne sfruttato adeguatamente e nel loro incerto avanzare gli anglo-canadesi dovettero fermarsi di fronte alla Linea verde n. 2, sull’allineamento Coriano-S. Savino-Croce. Soltanto dopo quasi due settimane di feroci combattimenti in questa zona collinare, gli alleati riuscirono a superare queste difese, ma il LXXVI Corpo tedesco, dopo aver effettuato un’azione di contrasto e ritardo, ripiegò su una ulteriore linea a difesa di Rimini: la Linea gialla, o Rimini-Stellung. Anche stavolta l’attacco iniziato il 18 settembre contro queste posizioni si tradusse in una serie di violente battaglie e Rimini fu alla fine occupata il 21 settembre. A quel punto, l’inizio di intense piogge e il protrarsi dell’accanita difesa tedesca portarono a un arresto dell’offensiva in direzione di Ravenna, che venne conquistata solo nei primi giorni di dicembre. d Fabio Riggi

RUE DES ARCHIVES/TALLANDIER/MONDADORI PORTFOLIO

SCALA

Linea verde In ossequio al principio di difesa in profondità, in Romagna la Linea gotica era organizzata su più linee difensive in successione.

I DUE RIVALI

In alto, il feldmaresciallo tedesco Kesselring. Sopra, il generale britannico Leese (a sinistra). Foto grande: un camion americano attraversa il Rio Maggiore vicino a Porretta (Bologna).

65

GETTY IMAGES

N

ell’estate 1944 il XV gruppo di armate alleato schierava la 5a Armata americana, agli ordini del generale Mark Clark, dal Tirreno all’Appennino tosco-emiliano, e l’8a Armata britannica del generale Oliver Leese nel settore adriatico. Nei piani del vertice politico-militare britannico la valenza strategica di uno sfondamento nell’Italia Settentrionale era basata sulla possibile penetrazione lungo la direttrice strategica passante per il varco di Lubiana, in modo da raggiungere prima possibile i territori dell’Europa Orientale. Dal canto loro, gli americani erano molto riluttanti all’idea di impiegare altre risorse in Italia. Il piano alleato per l’offensiva contro la Linea gotica venne completato alla fine del giugno 1944: consisteva inizialmente in un massiccio attacco principale sugli Appennini a nord di Firenze, in direzione di Bologna e degli accessi alla Pianura Padana. Ma su insistenza del generale Leese questa pianificazione subì una radicale modifica all’inizio di agosto, prevedendo un attacco di equivalente importanza lungo la direttrice adriatica, avente l’obiettivo di raggiungere Rimini e Ravenna. Sulla riviera romagnola. Assunse così il nome in codice di Operazione Olive. Canadesi e polacchi, in azione lungo la costa protetti sul fianco sinistro dai corpi britannici, sul fini-


GUERRA AEREA L’EVOLUZIONE DEI CACCIA II

I GIOIELLI DELLA REGINA

FIGH COM TER M

AND

TR A L N E I C A SE C O IELI S NDA G I CO U ER R M A B EN T R AN AT TON MONDI O SI PA O IN AZ I LE GR A ALE E L A ON S SA D N C ALL’E E I KA M DI BAT T OREA AGL I K AZ LI C A IE , E, AL JE T

68

THE GRANGER COLLECTION/ALINARI

Una pattuglia di Spitfire Mk XII in formazione (1944).


GETTY IMAGES

ULLSTEIN BILD/GETTY IMAGES

L’INSEGUIMENTO

PORTFOLIO/B

RIDGEMAN

Sopra da sinistra, sul Canale della Manica, un Focke-Wulf Fw 190 della Luftwaffe insegue lo Spitfire (1942); alla battaglia d’Inghilterra, il caccia inglese inquadra nel mirino il bombardiere tedesco He 111 (1940). Sotto, il meccanico di bordo di un bombardiere tedesco in volo sull’Inghilterra segnala la presenza di uno Spitfire (dalla copertina del magazine Signal, 1941).

MONDADORI

A

lla fine della Seconda guerra mondiale si cercò di tracciare un bilancio delle perdite di uomini e mezzi, per scoprire che il Giappone, solo nel Pacifico, aveva perso 22.271 aerei, mentre gli Alleati nello stesso teatro avevano sacrificato più di 27.000 velivoli (R. de Belot, La guerre aéronavale du Pacifique, 1948). Queste cifre fanno intuire il peso conquistato dall’aviazione militare durante il conflitto, che aveva visto gli anglo-americani imporsi sotto il lato quantitativo, mentre ai tedeschi era spettato il primato tecnico. Era stata infatti la Luftwaffe a far debuttare in azione i primi caccia a reazione. Fu però solo con la guerra di Corea che gli aviogetti si misurarono tra loro per la prima volta. Nel Pacifico. All’alba del 24 giugno 1944 dall’isola di Iwo Jima decollarono 80 caccia giapponesi Mitsubishi A6M Reisen (i famigerati “Zero”) per intercettare 100 caccia americani Grumman F6F Hellcat alzatisi da portaerei dell’US Navy. Uno Zero era pilotato dall’asso Saburo Sakai, che tornava in azione dopo due anni dal ferimento nella battaglia di Guadalcanal. I giapponesi s’inerpicarono a 4.000 metri di quota, divisi metà sopra uno strato di nuvole metà sotto per sorprendere gli americani. Sakai era nel gruppo sotto le nubi e fu stupito dagli Hellcat, che non aveva mai visto. Da dicembre 1941 ad agosto 1942, prima d’esser ferito, aveva affrontato i caccia americani della generazione precedente, i Curtiss P-40 dell’Esercito e i Grumman F4F Wildcat della Marina, più lenti e goffi. Anche lo Zero, operativo dal 1940, era stato aggiornato, toccava ora 580 km/h, ma l’Hellcat faceva 605 km/h ed era corazzato, mentre i nipponici rigettavano il peso delle blindature. La bravura di Sakai poté colmare il divario tecnico. Centrò un Hellcat, ma altri guizzavano via dal mirino, troppo veloci. Alcuni lo inseguivano, lui virò e ne abbatté uno. Altri 15 caccia lo circondarono, ma lo Zero piroettava schivando i colpi. Raccontò Sakai: “Nessuno dei nemici sparava nel punto dove sarei stato nell’istante successivo al suo attacco”. Raffiche di mitragliatrici Browning calibro 12,7 mm si perdevano nelle acrobazie del giapponese. Sono rimaste agli annali le frasi che il pilota pronunciò mentre virava con disperata maestria: “Leva tutta a sinistra. Eccone un altro! Tira tutto! Mare e orizzonte ruotano velocemente. Scarta! Un altro! Questo era vicino!”. I nemici mollarono rientrando alla portaerei.


UNIFORMOLOGIA

CONQUIS

ECCO GLI EQUIPAGGIAMENTI E LE VARIOPINTE TENUTE CON LE QUALI SI AFFRONTARONO SPAGNOLI E INDIGENI NELLE AMERICHE DEL XVI SECOLO

L’illustrazione rappresenta un cavaliere schierato negli anni ’80 del XVI secolo sulla frontiera settentrionale della Nuova Spagna. L’esigenza protettiva di questi cavalieri e delle loro cavalcature era tutta verso le frecce degli indiani chichimechi, che opponevano una strenua resistenza contro gli occupanti spagnoli. Sopra una cotta di maglia e un bracciale metallico si indossava una protezione trapuntata in cotone, uguale per il cavaliere e per la sua cavalcatura. Anche le braghe erano trapuntate e coperte in parte da alti stivali. Il capo era difeso da un elmo in uso all’epoca, un morione tondo.

G. ALBERTINI (14)

CAVALIERE SPAGNOLO ALLA FRONTIERA CHICHIMECA 1570-85


TADORES e guerrieri nativi

AMERICANI Q

GUERRIERO TUPINAMBA

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Cinquecento i portoghesi e i francesi si combatterono per il possesso di territori sulla costa brasiliana. Entrambe le parti usarono come ausiliari i guerrieri delle tribù locali: Tupi e Tupinamba. Questi uomini, estremamente bellicosi tra di loro, indossavano l’enduap, un ornamento in piume di nandù (grandi uccelli simili agli struzzi) infisse in una palla di gomma. Le loro armi principali erano le mazze in legno e i grandi archi in legno a sezione pianoconvessa, tirati da una corda in fibra di palma e utilizzati con frecce dalle punte di osso.

uando all’inizio del XVI secolo la definizione di un nuovo territorio mai esplorato e neanche mai immaginato diede coscienza alle monarchie e agli imprenditori commerciali europei delle infinite nuove potenzialità di guadagno e di conquista, si scatenò una corsa per accaparrarsi territorio e beni del nuovo continente, l’America. In poche parole si raggiunse il Nuovo Mondo per fare fortuna, per diventare ricchi. La chiave principale di questa tensione fu la superiorità militare tecnica e tattica degli europei. I protagonisti di questa avventura geografico-militare li definiamo proprio con il termine generico spagnolo che ne esplicita la rapacità di conquistatori: conquistadores. In un primo momento a questi uomini era bastato strappare i bottini agli indigeni che incontravano durante le missioni di scoperta. Soprattutto l’oro rappresentava la preda più ambita. Successivamente, con la scoperta delle grandi civiltà continentali, come Aztechi e Incas, si innescò un sistema coloniale che prima di allora mai l’umanità aveva conosciuto. Pietra contro metalli. A questo grande slancio di conquista parteciparono soprattutto le monarchie che si affacciavano alle mode europee fino a quando non si capì che le condizioni ambientali dell’America, soprattutto nelle sue aree equatoriali, imponevano un adeguamento. I soldati e gli eserciti nelle Americhe abbandonarono quindi le grandi armature che si usavano ancora nel vecchio continente per un abbigliamento più leggero, che permettesse di muoversi con agilità. Anche le armi arcaiche dei nativi americani, soprattutto la totale mancanza di metalli pesanti, influirono nell’abbandono di un sistema di difesa esagerato e inutile di fronte a frecce, bastoni e pugnali di ossidiana. Ai conquistadores furono sufficienti archibugi e cavalli per mandare in rotta gli eserciti indigeni ma, più ancora, bastarono i batteri e i virus portati dall’Europa per spazzare via civiltà complesse e millenarie. d Giorgio Albertini

75


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.