4 AGOSTO 2018 d TRIMESTRALE
N.30 OTTOBRE 2018 d € 6,90
SOLDATI E BATTAGLIE NEI SECOLI
UNIFORMI
Sped. in A. P. - D.L. 353/03 art. 1, comma 1 NE/VR
Il tartan nelle pipes & drums band dei reggimenti scozzesi
I GENERALI CHE NON HANNO PERSO MAI
INVINCIBILI DA ALESSANDRO MAGNO A SCIPIONE L’AFRICANO, DA SCANDERBEG A MARLBOROUGH, FINO A ŽUKOV, ECCO COME UN CONDOTTIERO DIVENTA INVICTUS
GUERRA AEREA
UNITÀ D’ÉLITE
Con l’Operazione Black Buck i britannici attaccarono le Falkland partendo dalle coste inglesi
Gli uomini del 187° Reggimento paracadutisti Folgore, da El Alamein all’Afghanistan
WARS
SOMMARIO
Gli invincibili
Questi condottieri hanno scritto la Storia, si sono scontrati con i generali più grandi e con gli eserciti migliori, dall’antichità ai grandi conflitti del XX secolo. Alcuni di loro hanno dato un nome alle guerre o sono diventati eroi nazionali, altri hanno creato imperi o ne hanno distrutti altri, ma tutti hanno inciso in maniera indelebile nelle vicende belliche del pianeta. Qui cerchiamo di capire se è vero che questi generali non hanno mai perso e perché si possono definire “invincibili”.
4 RAID MISSION IMPOSSIBLE
L’Operazione Black Buck era un’impresa impossibile: bombardieri che partivano dalle coste inglesi per attaccare le Falkland.
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PRIMO PIANO
INVINCIBILI
Come si può definire un comandante mai vinto? Invictus è chi ha saputo padroneggiare l’arte della guerra in tutti i suoi aspetti strategici e tattici. Ecco chi erano i generali vincenti e perché. XV SECOLO A.C. EGITTO
THUTMOSE III
Sovrano dalle mire ambiziose, era un grande teorico dell’arte militare e un comandante amato dalle sue truppe.
A.C. ISSO 22 333 ALESSANDRO MAGNO
Tattiche geniali, ambizione senza limiti, esercito e falange macedone ereditati dal padre. Poteva essere fermato solo da se stesso.
A.C. ILIPA 28 206 SCIPIONE L’AFRICANO
WARS I NOSTRI ESPERTI GIORGIO ALBERTINI
Milanese, 48 anni, laureato in Storia medievale, illustratore professionista per case editrici e riviste (giorgioalbertini.com).
GASTONE BRECCIA
Livornese, 54 anni, bizantinista e storico militare, ha pubblicato saggi sull’arte della guerra, sulla guerriglia e sulla missione ISAF in Afghanistan.
FRANCESCO CHIONNA
Ufficiale incursore della Marina Militare, si è congedato col grado di contrammiraglio dopo aver comandato COMSUBIN.
RAFFAELE D’AMATO
Piemontese, 51 anni, studioso di storia militare romana e professore di storia e archeologia antica e medievale alla Fatih University di Istanbul.
ANDREA FREDIANI
Romano, 53 anni, medievista, ha scritto vari saggi di storia militare e romanzi storici di successo (andreafrediani.it).
FABIO RIGGI
Romano, 43 anni, si occupa di tematiche militari a livello professionale. Ha collaborato con riviste militari specializzate.
Aveva assistito alla disfatta di Roma, ma riuscì a chiudere la partita con Annibale e Cartagine.
YARMUK 36 636 KHALID IBN AL-WALID
Fu il condottiero che portò avanti l’espansione islamica nel Medio Oriente affrontando l’Impero romano e quello persiano.
ALBANIA 40 1444 SCANDERBEG
Giorgio Castriota fu l’anima della rivolta albanese contro i Turchi: per un quarto di secolo impedì loro di prendersi il Paese delle aquile.
BLENHEIM 46 1704 MARLBOROUGH
John Churchill teneva sotto controllo ogni aspetto delle sue campagne e applicò questa visione globale nell’Europa del ’700.
NOVI 52 1799 SUVOROV
Il maresciallo russo che affrontò i Turchi e i francesi non le mandava a dire, nemmeno al suo zar. E pagò per questo.
TRAFALGAR 58 1805 NELSON
L’ammiraglio inglese infilò una serie incredibile di vittorie navali contro i francesi, salvando le isole britanniche dall’invasione.
MOSCA 64 1941-1942 ŽUKOV
Il maresciallo sovietico fu al fianco di Stalin, dal quale fu poi estromesso. Ma senza di lui l’Urss avrebbe retto all’urto dei panzer?
72 UNIFORMOLOGIA ARRIVA LA BANDA!
Ecco come i reggimenti scozzesi marciano al ritmo di cornamuse e tamburi delle pipes & drums band.
WARS SCUOLA DI GUERRA
RUBRICHE PAG. 10
ARMI CELEBRI
PAG. 12
LIVING HISTORY
PAG. 71
SOLDATINI
RECENSIONI
D’ÉLITE 76 UNITÀ IL 187° REGGIMENTO PARACADUTISTI FOLGORE
Sempre in prima linea, dalle sabbie infuocate di El Alamein nel 1942 fino all’Afghanistan e agli scenari operativi dei giorni nostri.
PAG. 70 PAG. 82
IN COPERTINA
In copertina, Alessandro Magno (Radu Oltean).
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RAID
Il rifornimento in volo
Oggi come allora, l’operazione di rifornimento in volo è effettuata con due sistemi principali: il probe and drogue e il flight boom. Col primo metodo, l’aereo cisterna rilascia un tubo con all’estremità un cestello a imbuto, il drogue, mentre l’aereo che deve ricevere il carburante cerca d’inserire una sonda, detta probe, all’interno dell’imbuto. Una volta agganciati, inizia il rifornimento, ma mentre il rifornitore vola livellato (ovvero, con l’aereo in equilibrio longitudinale), la difficoltà di centrare il drogue con il suo probe è devoluta al pilota. Nel sistema flight boom, il rifornitore dispone di un’asta situata posteriormente, il boom, che viene manovrata da un operatore per intercettare il probe dell’aereo da rifornire; in questo caso l’aereo ricevente vola livellato mentre è il boom operator che ha l’onere di centrare il probe.
L’OPERAZIONE BLACK BUCK ERA UN’IMPRESA IMPOSSIBILE: BOMBARDIERI CHE PARTIVANO DALLE COSTE INGLESI PER ATTACCARE GLI ARGENTINI NELLE ISOLE FALKLAND. IN MEZZO C’ERA L’OCEANO ATLANTICO
MISSION IMPOSSIBLE N
ella base RAF di Weddington c’è un vecchio aereo dismesso, uno dei tanti gate guardian ; niente di strano se non si trattasse del Vulcan XM607, protagonista di un’incredibile impresa aeronautica. È il 1982 quando il mondo viene scosso dalla notizia di un conflitto in piena regola tra Argentina e Gran Bretagna per il possesso di due isole sconosciute, poste nel bel mezzo del Sud Atlantico. Un contenzioso che va avanti da decenni, ma RAF Royal Air, Force letteralmente Forza Aerea Reale cioè l’Aeronautica Britannica. Gate guardian Aerei dismessi posti all’entrata delle basi a ricordo della storia del reparto di volo.
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che la giunta militare argentina, il governo dittatoriale presieduto dal generale Leopoldo Galtieri, ordinando l’invasione dell’arcipelago, ha trasformato in un conflitto che la premier britannica Margaret Thatcher non intende rifuggire. Gli argentini sono convinti che la Gran Bretagna non riesca a proiettare un contingente militare dall’altra parte del globo e riprendere l’arcipelago, ma quando è in gioco il prestigio della corona inglese nulla è impossibile. L’impero colpisce ancora. Facendo eco al film della serie Guerre Stellari appena distribuito, il settimanale americano Newsweek rilancia la notizia della reazione britannica titolando: “L’impero colpisce ancora”. Non a caso, dato che la
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ALAMY/IPA
AVVENTUROSI
Aerocisterne Victor riforniscono in volo (col sistema drogue and probe) un aereo Vulcan da attacco nucleare. Furono usati dai britannici nell’Operazione Black Buck (1982), l’attacco a lunga distanza lanciato contro le isole Falkland per colpire Port Stanley.
PRIMO PIANO
COME SI PUÒ DEFINIRE UN COMANDANTE MAI VINTO? INVICTUS È CHI HA SAPUTO PADRONEGGIARE L’ARTE DELLA GUERRA IN TUTTI I SUOI ASPETTI STRATEGICI E TATTICI, MANOVRANDO ESERCITI CON ABILITÀ E GUIDANDO TRUPPE CON CORAGGIO SUL CAMPO DI BATTAGLIA, CON LUNGIMIRANZA E TENACIA, SEMPRE UN PASSO AVANTI AI SUOI AVVERSARI. ECCO CHI ERANO I GENERALI VINCENTI, E PERCHÉ
INVIN “H
o solo il tempo di pregarti di presentare i miei ossequi alla regina e farle sapere che la sua armata ha ottenuto una gloriosa vittoria. M. Tallard e altri due generali sono nella mia carrozza, e io sto inseguendo quel che resta dell’esercito nemico”. Così John Churchill, duca di Marlborough (1650-1722), scriveva alla moglie pregandola di comunicare alla regina Anna d’Inghilterra la notizia della vittoria, davvero gloriosa, che le sue truppe avevano conquistato il 13 agosto 1704 presso il villaggio bavarese di Blindheim (consegnato alla storia nella versione anglicizzata di Blenheim, v. a pag. 46). L’esercito del duca di 14
Marlborough e il contingente imperiale guidato dal suo alleato Eugenio di Savoia (1663-1736) avevano lasciato sul terreno quasi 13.000 uomini tra morti e feriti. Ma nel campo opposto la sconfitta aveva assunto proporzioni stupefacenti: l’armata franco-bavarese era stata praticamente annientata, con poco meno di 40.000 uomini tra morti, feriti e prigionieri. Nel bottino catturato dalle truppe inglesi e imperiali si contarono più di 100 cannoni, 129 stendardi di fanteria e 110 di cavalleria, 5.400 carri e carrozze, più di 7.000 tra cavalli e muli... Negli annali della storia militare raramente troviamo fianco a fianco due generali così abili, sia nel campo della strategia
CIBILI che della tattica, capaci di collaborare lealmente anche perché amici di vecchia data: non stupisce che la battaglia di Blenheim si sia risolta con la completa disfatta del loro avversario, il pur valoroso duca di Tallard. L’arte della vittoria. Ma qual è il peso reale dell’individuo in guerra? Quanto un condottiero può condizionare le operazioni di un’organizzazione complessa come un esercito? L’arte militare è una strana mescolanza di coraggio fisico e morale, intuito, capacità di pianificazione, ascendente sugli uomini, conoscenza del nemico e del territorio, e molto altro ancora: nel corso dei secoli pochi comandanti hanno dimostrato di
possedere queste qualità in misura tale da influire in maniera decisiva sugli eventi bellici, e pochissimi tra loro sono stati tanto abili e fortunati da passare alla Storia come “invincibili”. Più forti della sorte. Annibale, Napoleone Bonaparte, Federico di Prussia, persino Cesare… la fortuna ha quasi sempre voltato le spalle, almeno una volta, anche ai più meritatamente celebri tra i grandi capitani. Non basta padroneggiare l’arte della guerra in tutti i suoi aspetti: perché virtù e fortuna, come sa bene chiunque si occupi di cose militari, sono entrambe necessarie per conquistare la vittoria. Si dice che Napoleone, quando doveva promuove15
MICHA BAR AM
ISRAELIANI
Moshe Dayan con Ariel Sharon (ferito) sul Canale di Suez, il 28 ottobre 1973, dove i due generali israeliani hanno respinto l’attacco dell’esercito egiziano nella Guerra del Kippur. Dayan, che in soli sei giorni mise in ginocchio, nel 1967, Egitto, Siria e Giordania, è uno degli esempi di comandante invictus.
INVINCIBILI 333 A.C. ISSO
IL RE DI MACEDONIA
Alessandro Magno (356-323 a.C.) nell’arco di poco più di un decennio di carriera militare infilò una vittoria dietro l’altra in Europa e in Asia, in un raggio d’azione che andava dalla Grecia al Pakistan, conquistando un impero.
RADU OLTEAN
LE VITTORIE Quattro furono le sue battaglie campali più famose: Granico, Isso e Gaugamela contro i Persiani, l’Idaspe contro il rajah indiano Poro. Ma furono importanti anche gli assedi di Mileto, Alicarnasso, Tiro, Gaza, Sangala e Multan. I NEMICI Da subordinato del padre Filippo II, affrontò la coalizione dei Greci a Cheronea; da sovrano, i popoli traci (Triballi, Geti, Illiri, Taulantini), nelle campagne a nord e a est della Macedonia, i Tebani, i Persiani e i popoli soggetti dall’Asia Minore all’Indu Kush, gli Sciti e i Massageti, e infine i popoli indiani (Aspasi, Assaceni, Pauravi, Aratti, Catei, Malli).
ALESSA
SEMPRE IN TESTA
Alessandro Magno carica con al fianco gli hetairoi, i suoi compagni: il sovrano e la cavalleria erano solitamente schierati sul fianco destro, pronti a sferrare il colpo decisivo durante la battaglia.
LE TATTICHE GENIALI, L’INESAURIBILE SETE DI CONQUISTA, L’ESERCITO E LA FALANGE MACEDONE EREDITATI DAL PADRE NE FECERO UN CONDOTTIERO CHE POTEVA ESSERE FERMATO DA UN SOLO NEMICO: SE STESSO
NDRO L’AMBIZIONE DI UN IMPERO
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INVINCIBILI 1805 TRAFALGAR
NELSON OSANDO LA SUA INCREDIBILE SERIE DI VITTORIE NAVALI CONTRO I FRANCESI SALVÒ LE ISOLE BRITANNICHE DALL’INVASIONE
SEMPRE
BRIDGEMAN/MONDADORI PORTFOLIO
VITTORIE E FERITE
La battaglia del Nilo (agosto 1798) e un ritratto di Nelson: l’ammiraglio aveva perso l’occhio destro nelle operazioni di sbarco per la presa della Corsica nel 1794 e il braccio destro a Tenerife, dopo la battaglia di Capo San Vincenzo, febbraio 1797.
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N
ALAMY/IPA
ella linea di fila di 15 navi sotto il comando dell’ammiraglio Jervis, il Captain, un vascello da 74 cannoni comandato dal capitano di vascello Nelson, è la tredicesima il mattino del 14 febbraio 1797, al largo di Capo San Vincenzo, in Portogallo. Gli inglesi devono intercettare la flotta spagnola, agli ordini dell’ammiraglio Cordova, che sta navigando verso nord per ricongiungersi con quella francese e appoggiare il piano napoleonico di invasione dell’Inghilterra. La squadra inglese ha navigato in formazione molto ordinata nel corso di tutta la notte e all’alba, quando le vedette avvistano la flotta spagnola, forte di 27 unità ma separata in due gruppi in formazione approssimativa, può incolonnarsi molto rapidamente per il combattimento. Jervis, incurante della disparità delle forze, ha infatti segnalato di aumentare la vela per attaccare immediatamente, in linea di fila unica, il gruppo di navi sottovento incuneandosi tra le due compagini spagnole. La Royal Navy. La tattica navale inglese era tra le più evolute, tuttavia non poteva prescindere dall’ingaggiare il nemico in rigorosa linea di fila, e possibilmente sopravento. In ogni caso, anche se non fossero bastati i dettami del manuale di combattimento tattico della Royal Navy, l’ordine che il comandante della squadra navale inglese aveva fatto alzare sull’albero maestro non lasciava spazio a interpretazioni. Tutto poteva immaginare dunque Jervis tranne che, proprio nel momento in cui stava per iniziare l’azione a fuoco, Nelson sul L’A MMIRAGLIO Captain rompesse la formazione per punAncora adesso sinonimo di tare, da solo e rimontando il vento, contro ineguagliabile perizia marinaresca e navale, acume tattico e spirito guerresco, il grosso della forza nemica che stava preHoratio Nelson (1758-1805) deve la cipitosamente manovrando sul lato opposua fama alla serie di vittorie navali che sto per riordinarsi per la battaglia. accompagnarono ininterrottamente la Nelson temeva che con il vento favorevosua straordinaria carriera. le gli spagnoli avrebbero avuto il tempo di LE BATTAGLIE Sulla colonna di ricomporsi e contro-manovrare per attacNelson, a Trafalgar Square (Londra), sono immortalate le sue 4 storiche care di poppa, facendo prevalere la propria vittorie: Capo San Vincenzo (1797), superiorità numerica. Così si era portato Abukir o battaglia del Nilo (1798), d’iniziativa all’attacco delle navi spagnole Copenaghen (1801), e quella che diede più vicine, ingaggiando da solo una mezil nome alla piazza: proprio a Trafalgar, za dozzina di vascelli avversari, tra i quali nel 1805, l’ammiraglio perse la vita battendo la flotta di Napoleone. il San Nicolas da 80 cannoni, il San José da 112 cannoni e la torreggiante Santissima I NEMICI Nell’Atlantico come nel Mediterraneo, affrontò corsari liguri, Trinidad, considerata la nave più potente insorti giacobini della Repubblica dell’epoca. Sulla sua scia Jervis, intuita la napoletana, flotte spagnole, danesi, bontà dell’idea, aveva mandato la Excellent svedesi e gli eterni nemici, gli ammiragli di Cuthbert Collingwood. di Bonaparte. Le squadre navali ai suoi La resa spagnola. Dopo un furioso ordini non furono mai sconfitte. scambio di artiglieria, Nelson abborda il San Nicolas guidando personalmente l’arrembaggio all’arma bianca. Nella confusione generale da lui provocata, il San José rimane impigliato con le sartie al San Nicolas: sullo slancio del primo arrembaggio, Nelson assalta e conquista anche quel vascello. Nel frattempo la squadra inglese, separatasi in due colonne, manovra per stringere in una morsa gli spagnoli. Cordova è costretto a disimpegnarsi e a rifugiarsi a Cadice. Solo 4 vascelli spagnoli rimangono in mano inglese, ma i risultati materiali di questa vittoria sono niente di fronte alle conseguenze psicologiche e strategiche: la sconfitta spagnola fa mancare il sostegno ai piani di invasione napoleonici e la marina inglese rispolvera la consapevolezza della propria superiorità in mare. Ma, soprattutto, un oscuro ufficiale della Royal Navy si 59
UNITÀ D'ÉLITE
DINO FRACCHIA
IL 187° REGGIMENTO PARACADUTISTI
FOLGORE SEMPRE IN PRIMA LINEA, DALLE SABBIE INUOCATE DI
A
ggrappati alla sabbia, alla roccia, a ogni piega del terreno bruciato dal sole: non c’è altro modo di descrivere le posizioni difensive tenute dai battaglioni della Divisione Folgore al margine settentrionale della depressione di Qattara, nel deserto egiziano, nell’autunno del 1942. Le forze italo-germaniche del generale Rommel, dopo essersi logorate nel vano tentativo di raggiungere Alessandria, attendono l’ormai prossimo scatenarsi dell’offensiva nemica: finalmente, alle 21:40 del 23 ottobre, l’artiglieria dell’VIII Armata britannica apre il fuoco con circa 2.500 pezzi di medio e grosso calibro, dando inizio a quella che sarà ricordata come la battaglia di El Alamein. Morte di un reggimento. I paracadutisti del 187° Reggimento assistevano “quasi ammirati allo spettacolo che dimostrava una potenza mai vista prima in Africa Settentrionale. All’alba venne stesa una densa nube di fumogeni che poi, 76
diradatisi, svelò un mare di carri armati e blindati davanti alle nostre linee, a perdita d’occhio” (R. Migliavacca, Battaglia di El Alamein. La Folgore). Le parole sono del capitano Pietro Santini, del 31° Guastatori. La Folgore è attaccata dalla 44a Divisione britannica e dalla 1a Brigata della Francia Libera, appoggiate dalla 7a Divisione corazzata, i leggendari Desert Rats, i Topi del deserto: sembra impossibile, ma 4.000 paracadutisti a corto di armi anticarro e artiglieria riescono a fermarli. Il 187° Reggimento, che con tre battaglioni (II, IV e IX) tiene la sinistra del settore della Folgore, nella zona di El Munassib, resiste oltre ogni aspettativa e oltre ogni logica. Si lascia che i carri armati nemici avanzino fino all’interno del perimetro difensivo dei capisaldi, dove finiscono sotto il tiro dei pochi pezzi da 47/32 disponibili, per essere poi attaccati con mine e bombe incendiarie, o persino a mani nude da uomini che si arrampicano sugli scafi e forzano i por-
SUL CAMPO
"Come folgore dal cielo, come nembo di tempesta" Il motto della Divisione paracadutisti "Folgore"
FOTOTECA GILARDI
Paracadutisti del 187° Reggimento Folgore in addestramento. A destra, cartolina di propaganda dedicata ai parà italiani impegnati sul fronte nordafricano. Per i fatti d’arme di El Alamein, nel 1942, venne conferita alla bandiera del 187º Reggimento la medaglia d’oro al valor militare.
EL ALAMEIN ALLE OPERAZIONI IN AFGHANISTAN telli per scagliare granate all’interno. È una lotta selvaggia e disperata che si risolve in un chiaro successo difensivo, perché dopo cinque giorni di attacchi la Folgore tiene ancora la linea. I paracadutisti del 187° si contano: i vuoti tra le file sono paurosi, gli uomini ormai al limite della resistenza fisica e a corto di munizioni, ma il deserto tra le posizioni italiane e quelle inglesi è cosparso di relitti di carri a dozzine. I cadaveri sono centinaia. La quiete che scende sul campo di battaglia per la Folgore ha il sapore della vittoria. Ma la resistenza dei paracadutisti italiani è solo un episodio della grande battaglia: il generale Montgomery, comandante dell’VIII Armata, decide di concentrare le sue forze migliori più a nord, e i britannici riescono a sfondare il settore centrale del fronte. La sera del 2 novembre anche il 187° Reggimento riceve l’ordine di ritirata che inizia nel cuore della notte, senza automezzi, trascinando a braccia i cannoni anticarro ancora efficienti e tutte le armi e le munizio-
ni che è possibile trasportare. Sono momenti drammatici: il comandante della base logistica, capitano Beltrami, scrive al capo di Stato Maggiore della divisione che “all’ultimo momento, alle spalle degli uomini della base Folgore salterà in aria la polveriera ed il pozzo, nostro lavoro, segno distintivo della base. Ultimo momento significa, per me, il bianco degli occhi degli inglesi. Il personale che non può camminare lo lascio ai materiali, con l’ordine di non fare resistenza” (da un documento conservato nell’Archivio storico dell’Esercito). È l’inizio della fine. Il colonnello Luigi Camosso, comandante del 187°, si muove a piedi coi suoi uomini; i battaglioni devono combattere senza sosta contro unità corazzate leggere che li sopravanzano per tagliarne la ritirata. All’alba del 6 novembre il Reggimento è indietro rispetto all’artiglieria e alla colonna motorizzata: alla sua retroguardia, i resti del IV Battaglione – un centinaio di uomini appena – sono raggiunti, circondati e annientati. Poche ore 77