Focusstoria novembre 2015a

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Storia SCOPRIRE IL PASSATO, CAPIRE IL PRESENTE

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n°109

DALLE SS A ROMMEL, PERSONE, VERITA E FALSI MITI

SIMBOLI

Le peripezie di un cantiere lungo sei secoli: il Duomo di Milano

In Britannia

NAZISMO

Oltre i valli di Adriano e Antonino ce n’era un terzo

DIETRO LE QUINTE DEL TERZO REICH

Marignano La Battaglia dei Giganti, 500 anni dopo

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FELICE ORSINI

IL BOMBAROLO CHE TENTÒ DI UCCIDERE NAPOLEONE III: CHI C’ERA CON LUI?

ANTICHI RIMEDI

CENERE DI BECCO E ALTRI MODI CURIOSI PER FARSI PASSARE LA SBRONZA

SEDIE E DIVANI

L’EVOLUZIONE DELLA SEDIA, DALLA PREISTORIA AL DESIGN


109 novembre 2015

focusstoria.it

Storia Manifestazione nazista per le strade di Berlino nel 1933.

U

Jacopo Loredan direttore

RUBRICHE 4 LA PAGINA DEI LETTORI

6 NOVITÀ & SCOPERTE

8 TRAPASSATI ALLA STORIA

9 CURIOSARIO

10 MICROSTORIA 82 DOMANDE & RISPOSTE 84 PITTORACCONTI 86 SCIENZA E SCIENZIATI 87 AGENDA 114 FLASHBACK

IN PIÙ...

12 IlPERSONAGGIO veneziano che ci lasciò la pelle

Marcantonio Bragadin nel 1571 difese Cipro dagli ottomani. Sconfitto, fu scorticato vivo.

AKG/MONDADORI PORTFOLIO

n Paese, una nazione e un popolo plasmati dall’ideologia. Donne adoranti e fanatiche, bambini in camicia bruna, uomini con svastica al braccio e stivaloni neri. Raduni, sfilate nibelungiche. Ma anche, come si conviene nella tradizione tedesca, una macchina statale impeccabile (e ce ne voleva per farla funzionare, considerate le intromissioni del Partito), un’industria d’avanguardia e plotoni di scienziati tra i migliori del mondo. Ingrediente principe di questo cocktail velenoso, la visione depravata di Adolf Hitler che, tra proclami sulla superiorità ariana, crimini antisemiti e avventure belliche, nel giro di soli 12 anni avrebbe portato il dittatore al suicidio e gli alfieri della croce uncinata davanti ai giudici di Norimberga, non senza aver prima insanguinato il mondo. Com’è stato possibile tutto ciò? Che genere di follia ha travolto milioni di persone nella Germania tra le due guerre? Le risposte in questo viaggio tra i risvolti meno conosciuti della “normalità” nazista.

CI TROVI ANCHE SU:

NAZISMO SEGRETO

COSTUME 18 Dimmi come

ti siedi

Cinquemila anni di sedie e poltrone.

26

20 IlARCHEOLOGIA primo vallo

I custodi del Reich Le Allgemeine-Ss, la “spina dorsale” dello Stato nazista.

Gli affari sono affari

32

I colossi tedeschi e le grandi industrie straniere che sostennero il regime.

38 Hitler privato

Le immagini dagli album fotografici a colori, tra amici e gerarchi.

44

Avanti marsch! La Gioventù hitleriana allevò un’intera generazione nel culto del Führer.

50 8 falsi (e veri) miti nazisti

Se ne dicono tante sul nazismo. Ma qualche mistero c’è davvero.

52

La scienza in divisa Nel Terzo Reich molti scienziati si piegarono all’ideologia nazista.

56

L’inganno di Terezín Una fortezza del ’700 trasformata in lager. Che diventò un “ghetto ideale”.

62

Quelle brave ragazze Storie di ordinaria crudeltà dietro alla facciata del “nazismo in rosa”.

70

Rommel, la volpe in trappola Il grande generale costretto a suicidarsi quando entrò in dissidio con Hitler.

76

Il regime alla sbarra A Norimberga si giudicarono i responsabili della macchina della morte. In copertina: Adolf Hitler e un’adunata oceanica in Germania. AKG/MONDADORI PORTFOLIO. ELABORAZIONE P. GHISALBERTI

Le ultime scoperte su una terza frontiera romana in Britannia, il Gask Ridge, in Scozia.

ARCHITETTURA 88 Nella fabbrica

del Duomo

Una costruzione che a Milano durò 6 secoli.

QUOTIDIANA 94 VITA La sbronza

si curava così

Dall’occhio di pecora alla cenere di becco di rondine, i rimedi del passato.

D’ITALIA 96 IlSTORIE bombarolo

Nel 1858 il romagnolo Felice Orsini tenta di uccidere Napoleone III a Parigi.

102 IlANTICHITÀ gineceo greco Come vivevano le donne nell’ “harem” delle case elleniche.

TEMI 104 II nGRANDI guerra

per l’Italia

5 secoli fa la Battaglia dei giganti, un sanguinoso conflitto per spartirsi il nostro Paese. 3


curiosario A cura di Giuliana Rotondi

La Nazionale di Pozzo

I

V.SIRIANNI

l 29 giugno del 1933 Primo Carnera mandò al tappeto l’australiano Bill Sharkey e conquistò così il titolo mondiale dei pesi massimi. I successi ottenuti sul ring del Madison Square Garden di New York fecero montare la testa a Benito Mussolini, che si convinse di poter trasferire anche sui campi di calcio la gloria ottenuta nei match di pugilato. Sul tema fioccarono ardite interpretazioni. Il tenente Vittorio Pozzo, commissario tecnico della Nazionale (a destra, nella caricatura) si spinse a dire che il terreno di gioco era da considerarsi una metafora del campo di battaglia. “Ci parlava della patria e della famiglia e ci faceva cantare La canzone del Piave”, ricorderanno in seguito i giocatori della Nazionale che, saliti per il ritiro all’albergo L’Alpino – sul Lago Maggiore a Stresa –, iniziarono la preparazione per il Mondiale del 1934. Con un solo obbiettivo richiesto in modo tassativo: “Vincere!”. A qualsiasi costo. Per il duce. Fiera e gagliarda, la squadra italiana diede a tutti la soddisfazione sperata e si fece onore diventando per l’opinione pubblica, ossia per la propaganda, la cosiddetta “Nazionale del duce”. Non senza strascichi di polemiche. Dal 1934 in poi, infatti, la squadra italiana sarebbe stata accolta all’estero tra i fischi e le contestazioni, alimentate da antifascisti fuoriusciti. Eppure, tra i giocatori azzurri solo due erano dichiaratamente fascisti e iscritti al partito: Eraldo Monzeglio e Attilio Ferraris (detto Ferraris IV). Monzeglio era anche un habitué di Villa Torlonia, la residenza dei Mussolini a Roma, nonché amico dei figli del duce, Vittorio e Bruno, di cui fu istruttore di calcio e tennis.

Pranzi da capogiro

Le antiche carote viola

C

L

enare (o pranzare) con Nerone doveva essere un onore così grande da far girare la testa, letteralmente. Sì, perché all’interno la “casa dorata” dell’imperatore, la Domus Aurea, aveva una sala da pranzo girevole. I racconti che lo storico Svetonio riporta e altre fonti antiche in cui la coe­natio rotunda è menzionata erano così incredibili da essere ritenuti una leggenda fino agli scavi del 2009.

Girotondo. Le testimonianze archeologiche sembrerebbero invece confermare: la sala, secondo le ultime ricostruzioni, ruotava imitando il movimento degli astri e del Sole, aveva il pavimento poggiato sull’acqua e si affacciava su un panorama mozzafiato. Il soffitto era dipinto a stelle e nascondeva pannelli che a un certo punto dispensavano petali di rosa e profumo sui commensali. (m. l.)

e carote non sono sempre state arancioni, come le conosciamo oggi. L’ortaggio era in origine, per sua natura, di un altro colore, tra il porpora e il viola. Così era al tempo di Egizi, Greci e Romani, che lo utilizzavano (non solo in cucina) per le sue proprietà benefiche. Testimonianze storiche dimostrano poi che ne esistevano varietà gialle o bianche, mai arancioni. Almeno fino al XVI-XVII secolo.

Appetibili. La trasformazione, che ha portato anche un cambiamento nel gusto, divenuto più dolce e delicato, è avvenuta nei campi olandesi. I coltivatori, attraverso incroci e selezioni, riuscirono a cambiare il colore in quello che oggi vediamo sui banchi dei mercati. Si dice che scelsero l’arancione in onore della dinastia degli Orange, che guidò l’Olanda nella guerra contro gli spagnoli. (m. l.) 9


PERSONAGGI

IL VENEZIANO

che ci lasciò la pelle Scontro di potenze

LEEMAGE

Battaglia tra la flotta veneziana e quella ottomana al largo di Cipro, nel 1570-71: in palio c’era il possesso dell’isola. A destra, busto di Marcantonio Bragadin (1523-1571).


REALY EASY STAR

L

REALY EASY STAR

Marcantonio Bragadin nel 1571 difese Cipro dagli ottomani. Sconfitto, fu scorticato vivo. Ancora oggi non si sa perché

o hanno ingabbiato, torturato, spellato vivo, sbeffeggiato, poi ne hanno imbottito la pelle di paglia mandandola in giro per Famagosta a dorso d’asino. Ma sul perché gli ottomani di Lala Mustafa Pascià abbiano massacrato e oltraggiato in quel modo Marcantonio Bragadin, il 15 agosto 1571, vale ciò che negli Anni ’50 il giornalista Tommaso Besozzi scrisse in un celebre reportage dedicato alla fine di Salvatore Giuliano: “Di sicuro c’è solo che è morto”. «Non sappiamo ancora, e forse non sapremo mai, cosa accadde davvero, e soprattutto perché», scrive Alessandro Barbero nel suo saggio Lepanto (Laterza). La tragica storia dell’uccisione del “rettore” (un alto grado di comando) veneziano della fortezza di Famagosta, sull’isola di Cipro, è diventata la pietra di paragone della crudeltà ottomana nei confronti dei cristiani; mentre Lala Mustafa Pascià rappresenta nell’immaginario degli europei suoi contemporanei la quintessenza del turco traditore e infido. E due mesi più tardi, il 7 ottobre, nella battaglia di Lepanto, i veneziani per vendicare il massacro di Famagosta non faranno prigionieri: “de’ turchi gavemo fato becària” (becària sta per macelleria), scrisse il patrizio veneziano Girolamo Diedo in una relazione al bàilo (l’ambasciatore) a Costantinopoli. L’isola contesa. Il contesto storico è abbastanza noto: gli ottomani volevano sottrarre l’isola di Cipro ai veneziani che la controllavano direttamente da poco meno di un secolo. Per la precisione dal 1489, anno in cui la regina Caterina Corner, vedova di Giacomo II Lusignano, aveva abdicato in favore della Serenissima (vedi riquadro nella pagina successiva). Il primo contingente musulmano era sbarcato il 3 luglio 1570. I veneziani non avevano osato giocarsi il tutto per tutto: attaccare subito i turchi avrebbe significato, in caso di sconfitta, vedersi annientato l’esercito. Ma se avessero vinto, l’isola sarebbe stata salva. Invece avevano preferito chiudersi nelle fortezze, aspettando i rinforzi da Venezia. La capitale, Nicosia, era caduta in mano turca dopo un assedio di 44 giorni. Presa anche Kyrenia, ai turchi rimase l’osso più duro: la fortezza di Famagosta. Le mura erano “firmate” dal più celebre architetto militare cinquecentesco: Girolamo Sammicheli. A difenderle, Venezia aveva mandato un uomo tutto d’un pezzo, Marcantonio Bragadin, e l’abilissimo 13


PRIMO PIANO

REICH I CUSTODI DEL

SÜDDEUTSCHE ZEITUNG/ AGF

Camerati in birreria Allgemeine-Ss (riconoscibili per la divisa nera) in una birreria in occasione dell’adunata del partito nazista a Norimberga, nel 1937. 26


La “spina dorsale” dello Stato nazista erano le Allgemeine-Ss: l’élite del partito che teneva le redini di una società interamente militarizzata

N

I PIÙ FEDELI

C. GIANNOPOULOS

ei vecchi film di Hollywood sono sempre cattivissimi e assetati di sangue. E il loro compito è sempre lo stesso: uccidere senza pietà i nemici del Reich, dagli ebrei in giù. Stiamo parlando delle Ss (Schutzstaffel, “Squadre di protezione”), l’élite del partito nazista. Ma non tutte le Ss erano uguali. Ce n’erano infatti di tre tipi. Quelle che si vedono nei film di guerra di solito sono le Verfügungstruppe (“Truppe a disposizione”), che a cominciare dal 1940 si chiamarono Waffen-Ss (“Ss combattenti”) e furono destinate alla prima linea. C’erano poi le Ss-Totenkopfverbände, le unità “Teste di morto”, incaricate di sorvegliare i campi di concentramento. E infine c’erano loro, le Allgemeine-Ss, le “Squadre di protezione generica”. Il cinema ha spesso rappresentato le WaffenSs come maschera dei peggiori abomini, raffigurandole spesso con uniformi nere. Un errore: le unità combattenti vestivano divise di colore grigio o mimetiche. Le uniformi nere, invece, erano appunto quelle delle Allgemeine-Ss. Che non giravano armate e non davano tanto nell’occhio, eppure erano la spina dorsale della società militarizzata del Terzo Reich. I lunghi coltelli. Le Ss nacquero nel 1925 come guardia personale di Adolf Hitler. Non deve dunque stupire che i loro capi avessero in mano le redini dello Stato. Ma quelle redini se le dovettero conquistare sul campo. A far loro concorrenza c’erano infatti le Sa (­Sturmabteilung, “Squadra d’assalto”): erano gli squadristi in camicia bruna della prima ora, più legati alle origini operaiste del partito di Hitler, che si definiva “nazionalsocialista dei lavoratori”. Le Ss, a differenza delle Sa, erano legate al Führer da un giuramento di fedeltà assoluta. E infatti furono le Ss a liquidare le Sa nella Notte dei lunghi coltelli del 29-30 giugno 1934. Un cruento passaggio di potere che in Germania è noto come “Röhm-Putsch”, dal nome del carismatico comandante delle Sa, costretto a suicidarsi dopo aver visto arrestare e uccidere i vertici della sua organizzazione.

Ufficiale delle Allgemeine-Ss, con la tipica divisa nera; le Ss combattenti avevano invece quella grigia o mimetica. Nonostante il nome (allgemeine in tedesco vuol dire “generico”), erano ufficiali come questo a controllare ogni aspetto, anche civile, della società sotto il nazismo.


ARCHITETTURA

NELLA

Una costruzione durata 6 secoli. Voluta da un duca visionario, finanziata dai milanesi e tormentata da mille imprevisti e ripensamenti

FABBRICA DEL

DUOMO

La fine e l’inizio Il Duomo di Milano nel XIX secolo, dopo il completamento della facciata e con la Madonnina, innalzata nel 1774 a 108,5 metri d’altezza. A sinistra, la targa in marmo nell’interno della cattedrale che ricorda l’inizio della costruzione.

GETTY IMAGES

88

bito il Consiglio della Fabbrica ebbe una maggioranza laica, perché, fatto insolito, il committente della cattedrale non era soltanto l’arcivescovo; c’erano anche il principe e la cittadinanza. Come spiega Clara Moschini nel libro Il cantiere del Duomo di Milano (Silvana editoriale), nel XV secolo dentro il Consiglio operavano, oltre al vicario generale e ai canonici della diocesi, il vicario di provvigione, 3-4 giureconsulti e 12 eminenti cittadini, 2 per ogni Porta della città. Si trattava di mercanti, artigiani, banchieri, scelti tra le famiglie più prestigiose per assicurare alla Fabbrica prestazioni professionali. E gratui­ te. Ma anche per garantire la gestione di un cantiere immenso con le modalità di un’impresa moderna. Ogni settimana venivano poi eletti sei “ebdomadari”, che avevano il compito di controllare giorno e notte ogni lavoro, tutti i materiali e le forniture, in nome della cittadinanza milanese. Il cantiere. E ce n’era da organizzare e da controllare. I primi anni se ne andarono per scavare le fondamenta, profonde 7 metri, costruire l’abside, le due sacrestie e il primo pilone. A ridosso dell’abside prima, e poi a lato della chiesetta del camposanto, c’era la “cassina”, il cantiere che ospitava maestri scalpellini, fabbri, falegnami, carpentieri e architetti. Il DuoDEA/GETTY IMAGES

C

orre l’anno 1386. A Milano è partito da poco il cantiere per una nuova cattedrale, su iniziativa dell’arcivescovo Antonio da Saluzzo. L’antica basilica di Santa Maria Maggiore ormai è fatiscente e si vuole costruire una chiesa in cotto, come nella tradizione del romanico lombardo. Ma Gian Galeazzo Visconti, il nuovo signore di Milano e cugino dell’Arcivescovo, sogna ben altro per la sua città. Ambiziosissimo, aspira a diventare duca (ci riuscirà nel 1395) e vuole gareggiare con le maggiori corti d’Europa. La nuova cattedrale deve perciò essere “una basilica che superasse in grandiosità e magnificenza quante se ne trovavano costrutte a’ suoi tempi, non solo in Italia ma ben anche fuori”, come racconta lo storico dell’arte Ambrogio Nava nel 1854. Cioè tutta di marmo e ricca di decorazioni e trafori, come le grandi chiese gotiche d’Oltralpe. Nasce la Fabbrica. Preso dalle sue ambizioni, fu dunque Gian Galeazzo a cambiare la storia del Duomo di Milano. Una svolta che ha anche una data di nascita: il 18 ottobre 1387, quando il duca decretò la costituzione della Veneranda Fabbrica di Milano, istituzione responsabile della costruzione dal punto di vista architettonico, economico e amministrativo. Da su-



BRIDGEMANIMAGES/MONDADORI PORTFOLIO

flashback

“Coltiviamo tonnellate di patate dolci”, dice la didascalia su questa foto scattata nel 1909 in Minnesota (Usa). Si tratta però di un fotomontaggio, uno dei molti realizzati a inizio Novecento con soggetti simili: pesci da record, cetrioli giganti, fragole da trasportare con vagoni merci. Vero invece che la patata, coltivata in America da 5mila anni, è ancora oggi un’importante voce dell’agricoltura Usa. 114


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