Focus Storia Wars 20

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N°20

d€

6,90

SOLDATI E BATTAGLIE NEI SECOLI UNIFORMOLOGIA Le divise settecentesche delle monarchie europee

• Greci • Punici • Catalani • Svizzeri • Lanzichenecchi • Indiani • Scozzesi • Belgi • Contractors

MERCENARI

L’ARCO LUNGO

A Crécy e Azincourt il longbow inglese batté la cavalleria pesante francese

KOBANÊ

Viaggio tra le macerie della città che i curdi hanno strappato all’assedio dell’Isis

Sped. in A. P. - D.L. 353/03 art. 1, comma 1 NE/VR

IL LORO LAVORO È COMBATTERE



WARS

SOMMARIO

Mercenari, dal soldo al contractor

Una volta erano tali per tradizione, per necessità, oppure perché reduci da una guerra perduta. In cambio del soldo – integrato dall’eventuale bottino – mettevano le loro capacità professionali (e una considerevole dote di fedeltà) al servizio di chi li pagava. Oggi si sono evoluti: si chiamano contractors e svolgono un ruolo di appoggio, e a volte anche di rimpiazzo, degli eserciti regolari soprattutto nelle aree più difficili, dove per ragioni di opportunità politica certi Paesi vogliono intervenire senza mostrare bandiera. I mercenari, dall’Anabasi all’Afghanistan, hanno scritto spesso pagine belliche memorabili: leggiamole insieme. Jacopo Loredan d direttore

WARS I NOSTRI ESPERTI GIORGIO ALBERTINI

GASTONE BRECCIA

Livornese, 52 anni, bizantinista e storico militare, ha pubblicato saggi sull’arte della guerra, sulla guerriglia e sulla missione ISAF in Afghanistan.

ANDREA FREDIANI

Romano, 52 anni, medievista, ha scritto vari saggi di storia militare e romanzi storici di successo (andreafrediani.it).

FABIO RIGGI

Romano, 43 anni, è un ufficiale dell’esercito. Ha frequentato l’Accademia militare e ha collaborato con riviste militari specializzate.

RUBRICHE

LIVING HISTORY

PAG. 17

RECENSIONI

PAG. 82

SOLDATINI

Viaggio al confine tra Siria e Turchia, fra le macerie della città assediata dall’Isis e poi liberata dai miliziani curdi.

10 UNIFORMOLOGIA LA GUERRA DI SUCCESSIONE SPAGNOLA In battaglia come a un balletto, gli eserciti del Settecento versavano il loro tributo di sangue in uniformi ricche di ori e decori.

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PRIMO PIANO

MERCENARI

Un committente, un contratto, una missione con le sue regole di ingaggio per un mestiere antico che non conosce crisi: fare la guerra. A.C. CUNASSA 22 401 AL SERVIZIO DEL NEMICO Nell’Anabasi, la marcia dei diecimila Greci assoldati dai Persiani. A.C. CARTAGINE 28 240 IL TRADIMENTO SI PAGA Amilcare Barca sedò nel sangue la rivolta dei suoi mercenari. GRECIA 32 1311 FESTA DI SANGUE La Gran compagnia catalana e la presa del ducato di Atene. NANCY 36 1477 I GUERRIERI DELLE ALPI

Milanese, 46 anni, laureato in Storia medievale, illustratore professionista per case editrici e riviste (giorgioalbertini.com).

WARS

4 REPORTAGE TRA LE ROVINE DI KOBANÊ

PAG. 69

Un contractor in Afghanistan imbraccia un Kalashnikov AK47 (Arcangel). Dietro, il gruppo di reenactor del Circolo culturale “La Cinquedea” di Finale Emilia (www.lacinquedea.com ) rievoca le Bande Nere di Giovanni de’ Medici (foto di Camillo Balossini).

I quadrati svizzeri e le picche nelle Guerre borgognone. ROMA 42 1527 ATTACCO AL VATICANO Il sacco dell’Urbe a opera dei mercenari del nord, i lanzichenecchi. BREITENFELD 48 1631 GLI INVINCIBILI SCOZZESI Gli highlanders del colonnello Mackay alla Guerra dei trent’anni. INDIA 52 1761 COMBATTENTI NUDI Gli yogi sannyasi al soldo di chiunque, dai musulmani agli inglesi. CONGO 56 1964 IL VOLO DELL’OCA SELVAGGIA Il mercenario Bob Denard e i parà belgi al salvataggio di Stanleyville. IRAQ 62 2007 CONTRACTORS, IL BUSINESS DELLA GUERRA Si chiamano private military companies e sono i nuovi eserciti.

70 RICOSTRUZIONI ARCIERI CONTRO CAVALIERI La fanteria può affrontare una carica di cavalleria pesante? La risposta sta nell’analisi della battaglia di Crécy, dove l’arco lungo.. AL FRONTE 76 GENERALI RITIRARSI PER VINCERE Il feldmaresciallo tedesco Erich von Manstein nel 1943 a Kharkov, per un magistrale “colpo di incontro”. S

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ALLEATI

UNIFORMOLOGIA

IL ’700 SEGNÒ UN CAMBIO DI ROTTA NELLE ARMI COME NELLE DIVISE, CONTRADDISTINTE DALL’ELEGANZA BAROCCA

LA GUERRA DI

SUCCESSIONE SPAGNOLA GRENADIER 1ST FOOT GUARDS

Granatiere inglese del 1° Reggimento di fanteria della Guardia. Fondato nel 1665 e tuttora attivo con il nome di Grenadier Guards, combatté durante la Guerra di successione spagnola agli ordini diretti del primo duca di Marlborough. I granatieri furono tra le specialità più importanti nel nuovo modo di affrontare le battaglie. Con il capo coperto da una mitra ricamata e armati di sfere di metallo piene di polvere da sparo, svolsero una funzione determinante nell’attaccare palizzate e contrafforti.

ROYAL ARTILLERY

Artigliere del Regio reggimento di artiglieria britannica. Fu durante questa guerra che la corona inglese decise di istituire due compagnie regolari di artiglieria campale mentre prima di allora i treni di artiglieria venivano formati solo in occasione di conflitti. Determinante nell’assedio delle piazzeforti l’artiglieria venne sempre più affiancata ai reggimenti di fanteria per aumentare il volume di fuoco dei moschetti.

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ro, appunto) lasciava il posto definitivo alle armi da fuoco, alle granate e ai cannoni. Si era ormai consapevoli che non c’era nessuna armatura che poteva fermare il fuoco di un moschetto e allora si preferiva andare incontro alla morte con abiti moderni dall’eleganza barocca. Nastri, calze di seta, giustacuore e cappelli a tricorno facevano parte delle divise, uniformi per ogni unità secondo i loro relativi compiti e specialità. Soprattutto, le ampie marsine prendevano i colori nazionali che sarebbero rimasti tali fino alle soglie dell’età contemporanea: rosso per gli inglesi, bianco per gli austriaci, blu per i prussiani e così via. d Giorgio Albertini

MOSCHETTIERE DEL RE

Fante francese del Reggimento moschettieri del re. Il corpo, facente parte della maison militaire du roi de France, era stato costituito nel 1622 da Luigi XIII sostituendo gli archibugi allora in uso nella fanteria con i più moderni e potenti moschetti. Poco dopo divenne un reparto di cavalleria leggera adibita a ruolo di guardia del corpo. Benché fuori moda, i moschettieri indossavano ancora la desueta sopraveste blu con la croce bianca fiammeggiante bordata di bande argentate, tante quante il grado conferiva.

CARABINIERE REALE

Membro del Reggimento carabinieri reali, nuova specialità che il Re Sole crea armando con una carabina i due migliori tiratori di ogni compagnia delle sue guardie e dei suoi reggimenti di cavalleria. Si forma così il Corpo reale dei carabinieri, destinato a diventare un’arma di prestigio, ben equipaggiata e ben pagata, che combatte a fianco del re. A differenza delle altre specialità di cavalleria, i carabinieri erano dotati di baionetta, così da poter combattere anche a piedi.

FRANCO-SPAGNOLI

ponesse una sorta di impero mondiale come quello di Carlo V un paio secoli prima. Dunque l’Inghilterra (che da lì a poco sarebbe divenuta Gran Bretagna), i Paesi Bassi, l’Austria, la Prussia, il Ducato di Savoia, il Portogallo e alcuni Stati tedeschi come Hannover, Brandeburgo e Sassonia si unirono in una grande alleanza contro Francia e Spagna. Presero le parti di Luigi e di suo nipote l’elettore di Colonia e di Baviera e il Ducato di Mantova. Conflitto moderno. La Guerra di successione spagnola segnava un cambio di rotta verso un tipo di conflitto moderno, dove il ferro di picche, corazze e morioni del secolo precedente (il secolo di fer-

G. ALBERTINI (16)

I

l Settecento, il secolo dei lumi e della ragione, si apre con un abbondante decennio di guerra quasi mondiale, un ballo sanguinario di fanterie e cavallerie che al suono dei cannoni si massacreranno per i campi d’Europa, del Nord e del Sud America, almeno 400.000 morti sacrificati per decidere gli equilibri dinastici delle monarchie europee. Nel novembre del 1700, quando il re di Spagna Carlo II moriva e gli subentrava il duca di Borbone Filippo V, nipote del “Re Sole” Luigi XIV, tutte le grandi e piccole potenze europee erano fieramente disposte a versare il sangue dei propri sudditi per evitare un asse Madrid-Parigi che ripro-


MERCENARI 240 A.C. CARTAGINE

LA RIVOLTA DEL MERCENARIATO COSTRINSE LA CITTÀ PUNICA A COMBATTERE QUELLI CHE PRIMA AVEVA ASSOLDATO PER MUOVERE GUERRA A ROMA

IL TRADIMENTO

SI PAGA

Che cosa succede quando il soldato prezzolato si ribella? Ebbero modo di scoprirlo a Cartagine, che si ritrovò un esercito di mercenari arrabbiati alle porte. Amilcare Barca li sconfisse condannandoli a un supplizio spettacolare. E così mostrò la rivincita del padrone sui “cottimisti” della guerra che per un attimo si erano emancipati.

I FRA I RIBELLI

Cavaliere numida con giavellotto e scudo rotondo, parte del mercenariato assoldato da Cartagine.

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l primo problema nella gestione di una grande massa di mercenari è di carattere logistico. Muovere, gestire, sfamare e soprattutto pagare migliaia di uomini in armi è il nodo centrale che fa la differenza tra la sconfitta e la vittoria. Tutto questo a Cartagine lo si sapeva bene. Quando, nel IX secolo a.C., la capitale punica fu fondata dagli abitanti transfughi di Tiro, nasceva come la città della speranza, dove costruire e prosperare lontano dalla continua minaccia della potenza assira. Si trattava di una città mercantile dove la navigazione e il commercio erano le attività dominanti e la guerra era solo una parentesi a volte necessaria per difendere uno scalo o per aprire nuovi mercati. La guerra, quando si doveva fare, doveva possibilmente essere breve, qualunque esito avesse, così da non sottrarre troppe risorse alle occupazioni principali dei suoi cittadini. Le armate cartaginesi, inizialmente composte solo dagli abitanti di origine fenicia, a partire dal VI secolo a.C. cominciarono a reclutare considerevoli contingenti di alleati e mercenari che permettessero la realizzazione di una politica di maggiore espansione imperialistica. Con l’allargamento degli interessi economici punici questa caratteristica si fece via via più esclusiva, così da investire pressoché tutti i popoli del Mediterraneo centro-occidentale. Agli alleati della prima ora Libici, Iberici e Sardi si univano i mercenari: Mauri, Numidi, Africani, Celtiberi, Lusitani, Balearici, Celti, Liguri, Etruschi, Campani, Corsi, Apuli, Lucani, Bretii, Siculi e Greci. Questa massa eterogenea non veniva uniformata, non si cercava l’integrazione, tutt’altro; ognuno conservava le proprie caratteristiche regionali e i propri ufficiali subalterni, in un’esplosione di diversità da lasciare a bocca aperta anche il più smaliziato teorico del melting pot. Quando un esercito è vincente tutto funziona, il bottino per i soldati è assicurato, la loro paga anche e la loro fedeltà non so-


no messe in discussione. I guai cominciano con la sconfitta. La conclusione della Prima guerra romano-punica, avvenuta nel 241 a.C., gettò Cartagine in una crisi profonda. La città perdeva il ruolo di potenza dominante nel Mediterraneo occidentale a favore della emergente Roma. Quasi rassegnata alla perdita dei territori in Sicilia, la classe dirigente punica concentrò i suoi sforzi nell’allargare il dominio nel Nordafrica. Si trattava quindi di fare ritornare in patria e “licenziare” le migliaia di mercenari che avevano prestato servizio in quella guerra sfortunata. Mandati a casa. La responsabilità di far rientrare le 20.000 unità dell’esercito punico ricadde su un generale anziano, Giscone. Questi assolse con saggezza al suo compito, riportando nella capitale i mercenari scaglionati in piccoli gruppi, così da poter permettere al senato di saldare i conti e licenziare i militari, liberi di tornare nei loro Paesi, senza ammassare grosse unità in armi nella metropoli. Ma la sconfitta aveva prosciugato le casse e il governo lasciò che i mercenari si affollassero in città sperando di convincerli ad accettare una riduzione sul soldo pattuito. Il tempo passava e gli animi si surriscaldavano, così i mercenari rivendicarono oltre la paga anche il risarcimento per i cavalli perduti in guerra e le quote di cereali in arretrato. Per non far degenerare questa situazione potenzialmente esplosiva, il senato promise a ciascuno uno statere d’oro se l’esercito si fosse ritirato in attesa del saldo a Sicca, l’attuale Le-Kef, a 200 km a sud-ovest. Una fiumana di gente che in quella località si trasferì con tutto il seguito di donne, bambini, bestiame e bagagli tipici di un esercito dell’antichità, ponendovi un campo fortificato. Dire campo è riduttivo, dobbiamo infatti pensare a una vera cittadina con strade, botteghe, capanne e mura. Si cominciò con il saldare gli arretrati, ma quando le pretese crebbero si arrivò alla definitiva frattura. Così l’armata ribelle tornò indietro e si accampò a 20 km dal-

JOSÉ CABRERA (2)

LESSING/CONTRASTO

IL CONDOTTIERO

A destra, Amilcare Barca (padre di Annibale), il generale punico che domò la rivolta dei mercenari nel III sec. a.C. A sinistra, corazza di Ksour Essef. Le corazze ellenistiche “a tre dischi” di manifattura campana erano apprezzate dagli ufficiali cartaginesi. Con i cinturoni in bronzo furono la cifra che tra IV e II sec. a.C. contraddistinse la strumentazione difensiva del guerriero italico appartenente alle etnie osco-sannitiche.


MERCENARI 1527 ROMA

IL SACCO DELL’URBE FU L’EPISODIO CRUCIALE DELLE “HORRENDE GUERRE DE ITALIA” E INDELEBILE FU L’AFFRONTO DEL MERCENARIATO TEDESCO ALLE MURA LEONINE

ATTACCO AL

DEAGOSTINI/SCALA

VATICANO Economica e facile da fabbricare, la picca portò un enorme contributo alla guerra moderna, ribaltando i rapporti di forza tra fanteria e cavalleria. Dopo gli svizzeri, a usarla furono mercenari che per irruenza seminavano il terrore fra le file nemiche, grazie anche all’abbigliamento sgargiante e spavaldo, quelle bande di lanzichenecchi fondate nel 1486 dall’imperatore Massimiliano I d’Austria.

“I

l 6 maggio abbiamo preso d’assalto Roma, ucciso seimila uomini, saccheggiato le case, portato via quello che trovavamo nelle chiese e dappertutto, e finalmente incendiato una buona parte della città. Strana vita davvero! Abbiamo lacerato, distrutto gli atti dei copisti, i registri, le lettere, i documenti della Curia […]. Il papa ha dovuto firmare la convenzione di resa che gli ha letto il segretario. Tutti si lamentavano miseramente; piangevano molto. Siamo tutti ricchi”. In queste poche, asciutte righe di un lanzichenecco, il cavaliere Schertlin, si racchiude l’essenza del sacco più truculento della storia di Roma. Non a opera delle feroci orde barbariche di Brenno, Alarico e Genserico, che l’avevano violata secoli prima, ma delle truppe mercenarie dei lanzichenecchi, supportate in modo fin troppo zelante dai soldati regolari spagnoli. Mercenari 42

tedeschi luterani, cristiani anch’essi, capaci di una profanazione che neppure i Saraceni, sette secoli prima, avevano perpetrato: entrarono nelle basiliche prendendo le teste delle salme, conservate in sacchetti preziosi, per giocarci a pallone per le strade, o dando una spietata caccia alle reliquie, asportando croci cesellate, ostensori e perfino bolle papali, usate al posto della paglia nelle scuderie per asini e cavalli. Il Vaticano conserva testimonianza dello spirito antipapista che animava i luterani, come i graffiti nelle stanze di Raffaello. Le cappelle di San Pietro furono usate come stalle e gli altari come pedana per le esecuzioni. La calata degli alemanni. Ma perché questa ferocia contro Roma? E com’erano arrivati fin qui? I fanti assoldati dall’imperatore Carlo V d’Asburgo in migliaia erano calati dal nord, da Trento, nell’autunno del 1526 per fare guerra a mezza Italia, superando le impervie strade di montagna e le armate della Lega santa, avevano marciato nel fango sotto piogge incessanti, inarrestabili anche di fronte ai migliori campioni del papa, come quel Giovanni dalle Bande Nere che contro di loro avrebbe perso la vita, mossi da due imperativi: il soldo e la vendetta contro il papa e la Chiesa di Roma. E nel marzo 1527, a mollo, accampati nelle pianure emiliane tra Parma e Piacenza, con i capelli e le barbe lunghe nido di pidocchi, i lanzi chiede-


AL MIGLIOR OFFERENTE

LEEMAGE/MONDADORI PORTFOLIO

Da corpo imperiale, i lanzichenecchi si misero presto in proprio. Ecco una riproduzione ottocentesca del loro costume tipico.


MERCENARI 1631 BREITENFELD

ERANO NATI PER COMBATTERE, I SOLDATI DI MACKAY: PARTECIPARONO ALLA GUERRA DEI TRENT’ANNI AL FIANCO DI DANESI E SVEDESI CONTRO LE TRUPPE IMPERIALI

GLI INVINCIBILI ALINARI

SCOZZESI

Moschettiere inglese delle truppe di Hamilton.

ALLEATI

A sinistra, Gustavo Adolfo di Svezia alla battaglia di Breitenfeld (Lipsia), episodio della Guerra dei trent’anni. Qui il re, detto “Leone del Nord”, si avvalse dei mercenari scozzesi per andare in aiuto del Grande Elettore di Sassonia, che stava per essere sopraffatto dalle forze imperiali e cattoliche.

Compagnie di mercenari assoldati da colonnelli-impresari che curavano il loro benessere per farli fruttare al meglio. Erano questi i reggimenti scozzesi (e non solo) di Mackay e Monro, impresari della guerra che si muovevano per l’Europa mettendosi al servizio delle monarchie del continente, eternamente in lotta.

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ti nati che, avendo ben poco da perdere, risposero volentieri all’appello dei colonnelli-impresari pronti a tentare la fortuna nelle guerre europee. Uno dei primi avventurieri a ottenere il permesso di arruolare truppe fu sir Donald Mackay: la storia del suo reggimento, formato nel 1626, è senza dubbio uno dei capitoli più gloriosi della secolare epopea delle truppe mercenarie. Colonnelli-impresari. Sir Donald ebbe da re Carlo I facoltà di armare fino a 6.000 uomini per metterli al servizio del re di Danimarca Cristiano IV, allora impegnato nella prima fase della Guerra dei

Picchiere del reggimento scozzese di Mackay e Monro. OSPREY

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uando re Giacomo VI di Scozia divenne anche sovrano d’Inghilterra, il 24 marzo del 1603, si aprì un lungo periodo di pace nella storia dei due regni. Molti giovani scozzesi, figli cadetti di famiglie piuttosto male in arnese, si trovarono nella condizione di dover emigrare, o di trovare comunque un impiego lontano dalle proprie fattorie: erano uomini robusti, addestrati all’uso delle armi fin da adolescenti, induriti dal clima e dalle difficili condizioni di vita della loro patria, specie nella più povera regione settentrionale delle Highlands. Combatten-


I Moschettiere del reggimento scozzese di Alexander Hamilton.

l “vecchio invincibile reggimento”: così i nemici cominciarono a chiamare gli scozzesi di Mackay in quei mesi terribili. Il segreto della loro efficienza stava da un lato nell’omogeneità del reparto, dall’altro nella perfetta integrazione tra picche e moschetti, frutto del continuo addestramento. Soldati e ufficiali si conoscevano bene; spesso erano imparentati tra loro, e questo creava un legame di fiducia reciproca e un

desiderio di emulazione che li rendeva formidabili in battaglia. La scelta degli uomini da assegnare alle due specialità fondamentali era accurata, e le manovre tattiche ripetute fino a diventare una seconda natura. Highlanders picchieri. A Breitenfeld i moschettieri della brigata scozzese impiegarono per la prima volta una nuova disciplina di fuoco, per interi plotoni, tremendamente efficace; nessuno sapeva usare co-

me gli scozzesi le lunghe picche da urto, dal tardo Medioevo arma tradizionale degli highlanders. Ma più di tutto valeva l’orgoglio di essere considerati una forza di élite: era l’inizio della leggenda che sarebbe durata nei secoli, perché l’Invincible old regiment venne sciolto e incorporato nei Royal Scots, il cui prestigio era tale da avere la precedenza su tutti gli altri reggimenti di linea dell’esercito britannico.

Stralsunda, la città baltica assediata dalle truppe di Wallenstein nel 1628, ricevette il soccorso dei danesi appoggiati anche da un reggimento scozzese.

Recluta redshank (il guerriero delle Highlands) con gonnellino a disegno tartan.

trent’anni contro l’Impero asburgico. In realtà, il 10 ottobre 1626, fecero vela dalla Gran Bretagna verso la foce dell’Elba solo 15 compagnie scozzesi, per un totale di circa 3.000 effettivi: ogni compagnia contava infatti dai 150 ai 300 uomini, 4 su 10 armati di picche, il resto di moschetti a miccia. Non è facile immaginare quali fossero le condizioni di servizio nell’Europa del XVII secolo: gli uomini – specie i picchieri, scelti tra i più robusti, visto che dovevano maneggiare un’arma lunga 14 piedi (oltre 4 metri) – dovevano costantemente esercitarsi. La tattica della fanteria del XVII secolo, infatti, era basata sulla strettissima cooperazione tra picchieri e moschettieri: i primi erano essenziali per difendere le compagnie appiedate dagli Guerra dei trent’anni Serie di campagne che insanguinarono l’Europa tra il 1618 e il 1648. Iniziò come conflitto religioso fra cattolici e protestanti sulle terre del Sacro romano impero, dove vide schierarsi contro le forze cattoliche imperiali i principi tedeschi, i Paesi Bassi, i regni danese e svedese e altri ancora. Si concluse, infine, con la lotta per l’egemonia tra la Francia e gli Asburgo. Robert Monro (1601-1680) Appartenente al clan dei Munro di Rosshire, si arruolò nel 1626 nel reggimento di Mackay; passato al servizio di Gustavo Adolfo di Svezia, fu tra i suoi più fidati e abili ufficiali. Ha lasciato un memoriale di grande valore storico (Monro. His Expedition with the worthy scots called Mackays) che rappresenta una delle testimonianze più interessanti sulla guerra in Europa nel XVII secolo.

attacchi della cavalleria nemica. Ma c’erano altri problemi: i servizi logistici erano rudimentali, quelli sanitari quasi inesistenti, la paga irregolare, le prospettive di vita quantomeno scoraggianti. Colonnelli-impresari. Si combatteva prima di tutto per la speranza di un colpo fortunato (il bottino dopo il saccheggio di una città nemica, per esempio), e poi per l’onore e la gloria da spendere una volta tornati in patria: per chi proveniva da una società relativamente arretrata come quella scozzese i valori legati alla sfera militare erano ancora fondamentali per mantenere uno status sociale di rilievo. In un mondo tanto rude il colonnello-impresario aveva un ruolo di primo piano, visto che era il solo a trattare direttamente con sovrani e grandi condottieri per il bene dei suoi uomini: come scrive Robert Monro nelle sue memorie, “essenziale tra i doveri di un colonnello è prendersi cura per tempo di tutto ciò che possa essere necessario al benessere di chi si trova sotto il suo comando. La generosità e l’attenzione nel prevedere ciò di cui possa aver bisogno il suo reggimento non sono spese invano, ma sono destinate a ripagarlo tre volte tanto”. d Gastone Breccia

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MARY EVANS/ALINARI

The invincible old regiment


MERCENARI 1964 CONGO

LA CRISI CONGOLESE FECE RISCOPRIRE AL MONDO L’ESISTENZA DEL MERCENARIATO, DA ALLORA PRESENZA INGOMBRANTE IN OGNI CONFLITTO AFRICANO O MEDIORENTALE

IL VOLO DELL’OCA SELVAGGIA


DATA DI NASCITA: 1929. ORIGINI: nato a Bruges (Belgio), trasferitosi in Congo nel 1947, entra a far parte dei reparti Paracommando. COMPITI: diventa famoso per aver capeggiato la ribellione dei mercenari contro il regime congolese nel 1967. Dopo una serie di fulminei attacchi si ritira verso Bukavu, dove resiste strenuamente prima di ritirarsi oltreconfine. STORIA: nel 1962 è in Katanga dove forma un gruppo di mercenari che diventerà famoso come Battaglione Leopard. Nel 1964 partecipa alle operazioni contro i ribelli Simba. Nel 1968, tornato in Belgio, viene accusato di omicidio, ma espatria in Brasile, dove resta fino alla morte, avvenuta nel 1988.

ALAMY STOCK PHOTO

Jean Schramme

La storia africana del secondo dopoguerra coincide spesso con l’epopea del mercenariato. L’esempio emblematico è il Congo, ex colonia del Belgio, dove i mercenari hanno rivestito un ruolo fondamentale nella guerra civile scoppiata all’indomani dell’indipendenza, dichiarata il 30 giugno 1960.

L Mike “Mad” Hoare

DATA DI NASCITA: 1919. ORIGINI: nasce in India, vive inizialmente tra Irlanda e Inghilterra, dove studia. Porta sempre con sè un passaporto irlandese per indicare le sue origini. COMPITI: comandante del Commando Group 5, è protagonista dell’avanzata per la liberazione di Stanleyville (1964), in Congo, impresa che lo rende famoso. STORIA: durante la Seconda guerra mondiale è ufficiale di fanteria nel reggimento britannico London Irish Rifles. Nel 1947 si trasferisce in Sudafrica, nel 1961 inizia la sua carriera di mercenario nel Katanga. Dopo il Congo è a capo di un fallito colpo di Stato alle Seychelles (1981). Condannato al carcere, nel 1985 viene rilasciato al rientro in Sudafrica.

Mike Hoare con uno dei suoi mercenari che imbraccia il fucile FAL durante l’evacuazione di ostaggi civili dopo il massacro di Stanleyville.

THE LIFE PICTURE COLLECTION/GETTY IMAGES

VERSO LA SALVEZZA

a sera del 22 novembre 1964 la lunga colonna motorizzata si inoltra nella fitta boscaglia come un serpente. Le tenebre stanno calando su questo lembo di terra africana e nessuno si avventurerebbe di notte in una zona infestata dai ribelli Simba. Già, nessuno si calerebbe mai nell’inferno che scoppia all’improvviso: la foresta buia viene dilaniata in un attimo da decine di vampe giallastre, dagli ordini urlati in tutte le lingue e dal crepitio assordante di armi automatiche. Imboscata! Nessuno vorrebbe essere qui, tranne un gruppo di uomini risoluti che hanno fatto del mestiere delle armi una scelta di vita. Molti sono sudafricani e rhodesiani: loro l’Africa ce l’hanno nel sangue. Ma altri vengono da lontano, dall’Europa, e sono greci, spagnoli, francesi, belgi, italiani. La società occidentale dei primi anni ’60 potrebbe offrire loro la prospettiva di una vita tranquilla: un ufficio con scrivania, una bella casetta, una macchina comprata a rate. No, grazie. L’azione, l’amore per la sfida hanno prevalso e scelto per loro, che ora sono qui, in Congo, a imbracciare un fucile per andare all’assalto. Portano avanti un racconto vecchio come la guerra stessa, la storia di chi combatte dietro compenso per una causa altrui. Sono mercenari. La secessione del Katanga. Nell’estate 1964 il Congo, ex colonia belga, è ormai in preda a una guerra civile che dura da più di quattro anni, iniziata subito dopo la dichiarazione di indipendenza. I ribelli, detti “Simba”, occupano quasi metà del Paese e la situazione militare è critica. Il primo ministro, Moise Tschombe, nominato dopo essere stato in precedenza leader della regione secessionista del Katanga (tipico esempio dei tanti capovolgimenti di fronte dei conflitti africani), deve cercare di ribaltare una situazione disperata. Per farlo non esita a rivolgersi ai soldati di professione che hanno già servito per lui durante la ribellione katanghese. Tra loro, quello che diventerà uno dei più famosi comandanti mercenari: il britannico di origini irlandesi Mike “Mad” Hoare. 57


GENERALI AL FRONTE

FU STALINGRADO A FAR CADERE I TEDESCHI? SE COSÌ FOSSE, COME MAI NEL MARZO 1943 VINCEVANO CONTRO I RUSSI A KHARKOV? LA BATTAGLIA CAPOLAVORO DEL FELDMARESCIALLO VON MANSTEIN RACCONTA COME QUALCHE VOLTA BISOGNA...

RITIRARSI PER VINCERE L

a battaglia di Stalingrado è stata spesso ritenuta decisiva per le sorti della Seconda guerra mondiale. Nell’immaginario collettivo il grande scontro sulle rive del Volga è considerato un disastro da cui la Wehrmacht non si riprese mai. La realtà dei fatti è assai più complessa. Le perdite subite dai tedeschi a seguito della resa della 6a Armata, rimasta accerchiata tra le rovine di quella città, furono certamente ingenti, ma a ben vedere quella sconfitta ebbe effetti più morali che materiali. Per la prima volta, infatti, l’esercito tedesco aveva subito una disfatta di grandi proporzioni e il mito della sua invincibilità era stato infranto. Ma dopo la resa delle ultime sacche di resistenza germaniche a Stalingrado, le operazioni offensive dell’Armata Rossa su tutto il settore meridionale del fronte continuarono. Questi attacchi si svilupparono con un vigore tale da dimostrare che le conseguenze di questa battaglia avrebbero potuto essere davvero decisive per le sorti della guerra sul fronte orientale, se non fosse stato per il sangue freddo e le grandi capacità tattiche di un comandante tedesco: Erich von Manstein. L’argine alla marea rossa. A gennaio 1943 i sovietici erano in piena offensiva. Mentre la 6a Armata tedesca, ormai isolata, resisteva ancora disperatamente, i russi erano già molto oltre la città di Stalingrado e attaccavano senza tregua. Un tentativo di aprire un corridoio per soccorrere le truppe assediate, condotto nella seconda metà di dicembre dalla 4a Armata corazzata del generale Hoth, era fallito. In questa fase appa76

re evidente come la posta in gioco fosse molto più grande del possesso di Stalingrado o del salvataggio delle truppe che vi si trovavano circondate. Infatti il piano, formulato sotto la spinta dello stesso Stalin, era quello di chiudere in una morsa mortale tutto il fronte sud tedesco: si trattava di qualcosa come tre gruppi di armate, con alcune tra le migliori divisioni corazzate e motorizzate. Un colpo che avrebbe avuto conseguenze incalcolabili per l’intero corso della guerra. A questo scopo i sovietici schieravano, da nord a sud, non meno di 4 Fronti : quello di Voronez, composto da 4 armate di fanteria (38a, 21a, 40a, 69a e 64a) e una corazzata (la 3a), quello del Sud-Ovest, con 3 armate di fanteria (6a, più due della guardia 1a e 3a) una corazzata (la 5a) e un Gruppo mobile (Gruppo Popov), quello del Don, (in fase di riorganizzazione dopo aver eliminato la sacca di Stalingrado), e quello del Sud, con 5 armate di fanteria (51a, 28a, 44a, 2a della guardia e 5a d’assalto). La loro spinta puntava a recidere alla base il grande arco che si era determinato con le avanzate germaniche dell’estate 1942. Queste offensive aveFronti Nella terminologia organica dell’esercito sovietico il “Fronte” stava a indicare l’equivalente occidentale del “Gruppo di armate”. Era una “Grande unità” che comprendeva un numero variabile di armate in grado di condurre operazioni offensive o difensive su vasta scala. Era chiamato con una indicazione geografica o con il nome di una regione della propria area di operazione. L’Armata Rossa ha mantenuto la sua organizzazione basata sui Fronti anche durante tutta la Guerra fredda. Guardie Le unità sovietiche assumevano il titolo onorifico “della guardia” dopo essersi distinte in combattimento ed erano considerate a tutti gli effetti come forze scelte, una tradizione che si è perpetuata fino; diverse formazioni dell’esercito russo hanno tuttora questa denominazione.


Lo stratega NOME Erich von Manstein (1887-1973). ORIGINI Rappresenta uno dei tipici prodotti dell’aristocrazia militare prussiana. Nato in una famiglia di antiche tradizioni militari, studiò a Strasburgo e subito dopo entrò nell’esercito. Nel 1906 fu assegnato al prestigioso 3° Reggimento guardie. Durante la Prima guerra mondiale divenne ufficiale di Stato Maggiore presso unità schierate sui fronti orientale e occidentale.

I PROTAGONISTI

SZ PHOTO / AGF

BPK / SCALA

Il feldmaresciallo Erich von Manstein, comandante del Gruppo di armate del Don, nel 1942. A sinistra, Panzer e fanteria tedeschi in movimento nella steppa innevata.

COMPITI È riconosciuto come il miglior generale tedesco del secondo conflitto mondiale, brillante e dotato di una profonda comprensione dei problemi operativi. Nel 1939, quando era capo di Stato Maggiore del Gruppo di armate A, elaborò il piano basato su una penetrazione di forze corazzate attraverso le Ardenne che successivamente portò alla vittoriosa invasione della Francia nella primavera 1940. Sul fronte russo, nel luglio 1942, fu l’artefice della conquista di Sebastopoli, a seguito della quale venne promosso feldmaresciallo. Nel febbraio-marzo 1943 condusse magistralmente una controffensiva contro i sovietici reduci dalla vittoria di Stalingrado, culminata con la riconquista di Kharkov. STORIA Dopo l’incarico di capo di Stato Maggiore del Gruppo di armate A, durante la campagna di Francia divenne comandante del 38° Corpo d’armata. All’avvio dell’invasione della Russia, nel giugno 1941, era alla testa del 56° Corpo d’armata, con il quale realizzò una spettacolare avanzata per la conquista dei ponti di Dvinsk. A settembre fu nominato comandante dell’11a Armata con il compito di occupare la Crimea. Quale comandante del Gruppo di armate del Don, condusse le operazioni nella terza battaglia di Kharkov. Successivamente fu impegnato nel ripiegamento dal Dniepr al Dniestr. Nel marzo 1944, a seguito dei continui contrasti con Adolf Hitler, venne sostituito.

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