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EDIT
vito emilio filì
Che fera… INUTILE STARE A TRADURRE DAL DIALETTO IL TITOLO. SI CAPISCE COSA VUOL DIRE E, SOPRATTUTTO, A COSA SI RIFERISCE Inaugurata in pompa magna qualche annetto fa, già in ritardo rispetto ad altre, la Fiera di Bergamo, voluta un po’ da tutti, enti pubblici, associazioni di categoria ecc. per promuovere l’economia del territorio, ha svolto il suo ruolo di vetrina con discreto successo per qualche stagione, non molte a dire il vero. Purtroppo, il declino di molte attività fieristiche, in larga parte dovuta alle possibilità che offre la rete, ha coinvolto anche quella di Bergamo, che negli ultimi anni ha visto i bilanci in rosso ma che di contro, continua va a veder aumentare lo stipendio di chi la dirige. Già questo deve aver fatto saltare la mosca al naso al nostro Sindaco manager il quale, rappresentante del Comune nel CdA di Promoberg, società che gestisce la Fiera, non ha perso tempo quando è venuto a galla un giro poco chiaro di rimborsi. Un esposto in Procura, le cimici messe per intercettare telefonate e i discorsi negli uffici della Fiera dalle Fiamme Gialle, che vengono scoperte e fatte rimuovere (sig!) proprio dallo stesso sospettato finito in seguito agli arresti domiciliari. Evidentemente qualcuno aveva già però ascoltato abbastanza sui comportamenti scorretti che pare siano venuti alla luce mettendo nei guai sia il direttore Stefano Cristini, sia il Segretario Generale, Luigi Trigona. Il primo accusato di essersi intascato rimborsi per trasferte e altre spese a nome di dipendenti del tutto ignari della manfrina. Il secondo di aver in qualche modo cercato di mettere a tacere il tutto per evitare lo scandalo, da cui è stato lui stesso travolto. Purtroppo “rimborsopoli” si annida ovunque ed è uno dei sistemi utilizzati per dare più soldi “fuori busta” ai dipendenti, in quanto i rimborsi spese diventano entrate non tassate per chi li percepisce e abbattono i ricavi delle aziende che li erogano. Nelle aziende private, ai manager di una certa levatura si offre sempre, oltre allo stipendio, un pacchetto retributivo comprensivo di una serie di benefit, scaricati dalle aziende come costi e percepiti esentasse dai suddetti top manager. Che questo avvenga in una amministrazione pubblica è decisamente molto più preoccupante e fa emergere la protervia di chi non molla mai la poltrona, neppure quando è costretto a chiudere gli occhi di fronte a chi gli fa la cresta sulla spesa sotto il naso, sempre che ciò non fosse, magari tacitamente, “pattuito” nel pacchetto retributivo. Si preferisce cercare di insabbiare il tutto per non provocare nell’opinione pubblica il giusto sgomento nei confronti di un ente che, oltre ad avere i conti in rosso, si presta al magna magna.
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Per raggiunti limiti di età è stata mandata in pensione in Messico anche l’ultima catena di montaggio rimasta al mondo del mitico Maggiolino Volkswagen voluto da Hitler per motorizzare la Germania nazista e arrivato sino ai giorni nostri. Rimarrà per sempre un simbolo di anticonformismo di geniale design e un esempio di semplice, funzionale e robustissima meccanica.
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Nato 25 anni fa, il Centro Medico Valseriana Polispecialistico di Vertova rappresenta la più importante realtà di struttura privata e convenzionata, di servizi diagnostici medicichirurgici in Val Seriana. La nostra ambizione è quella di migliorare la salute delle persone, utilizzando le tecnologie più innovative e collaborando con i migliori medici specialisti della provincia di Bergamo. La nostra struttura offre prestazioni sanitarie specialistiche, mediche, chirurgiche, cliniche, strumentali e di prevenzione (check-up). Accogliamo ogni giorno i nostri pazienti impegnandoci con cortesia e professionalità durante tutto il loro iter terapeutico diagnostico e riabilitativo, in quanto la loro salute è il nostro obiettivo finale. AL SERVIZIO DELLA TUA SALUTE. DA 25 ANNI ACCANTO ALLA GENTE CON PASSIONE E IMPEGNO.
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La promozione della salute delle do la promozione della salute di tutta la lità – e quindi dell’efficacia ed equità solo: è un vero paradigma del livello di un Paese. Le donne, il loro mondo veri “indicatori del benessere” di u chi se ne prende cura? Più di tutti “medico della donna”, colui che se n di seguirla in tutte le fasi della vita durante la gravidanza, il parto, la me alcuni casi, addirittura, è l’unico me periodicamente: per questo motivo salvaguardarne la salute non solo d anche generale per garantirle il ben co, riproduttivo e mentale. Tra gli am tro Medico Valseriana c’è anche que Algeri, specialista in Ginecologia e O presidi di Piario e Seriate. Dott. Algeri quali sono i servizi a posti dall’ambulatorio di Gineco Medico Valeriana? “Tutta la diagnostica a livello di Ost percorso in gravidanza che contem nove mesi, il servizio di ecografia os ca) ed il servizio di diagnosi prenata Per quest’ultimo aspetto molte c passato, non è così? “Esattamente. La diagnostica prenat ed in particolare dell’Ostetricia graz le anomalie cromosomiche più freq drome di Down), 18 (Sindrome di Ed microdelezioni (perdita di microsco e alterazioni del numero di cromo sesso del nascituro. Comprende esami invasivi come l’a esami genomici non invasivi grazie a gliate altamente affidabili sull’assetto un’attendibilità superiore al 99,2%. R
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CAPITANI DI SVENTURA
La fine di giugno è stata caratterizzata dall’attracco forzato a Lampedusa della Sea Watch, una nave di un’ONG tedesca che batte bandiera olandese. Nonostante i divieti imposti dal nuovo Decreto Sicurezza, la capitana rasta Carola Rackete (tedesca pure lei), dopo aver stazionato in mare davanti all’Italia per un paio di settimane, ha deciso, sotto la luce dei riflettori mediatici, di consegnarci a tutti i costi una quarantina di migranti. Perché non sia andata a Tunisi, in Egitto, a Malta, in Grecia, in Francia, in Spagna, in Olanda, o addirittura in Germania, resta un mistero della fede. Immediatamente alcuni Parlamentari della sinistra italiana sono saliti a bordo, per perorare la causa dei buonisti e per rilasciare interviste marinare da strappare le lacrime. Se per il ridere o per il piangere, decidetelo voi. Di sicuro, in questo caso si è confusa la solidarietà umana con il permessivismo ideologico, la legge vigente con la disobbedienza civile, l’accoglienza regolamentata con lo svacco del “entrate pure tutti”. Negli ultimi anni le navi delle ONG hanno fatto da taxi del mare, scaricando in Italia centinaia di migliaia di fuggiaschi, che scappavano dai loro paesi per i più disparati motivi, alcuni anche illegittimi. Così controlli scarsi e mantenimento gratuito con costi pubblici da 5 miliardi all’anno, hanno spinto molti disperati a pagare migliaia di euro per venire da noi in coppa ai barconi. Una specie di falso eldorado che ha illuso i più. Ma siamo riusciti ad importare anche parecchi mafiosi nigeriani e tanti spacciatori magrebini, con le conseguenze sociali di oggi che sono sotto gli occhi di tutti. Poi, non è vero che le ONG abbiano evitato i morti in mare: nel solo 2016, tra l’Italia e la Libia, purtroppo annegarono 4.581 persone, proprio quando a 12 miglia dalle coste di Tripoli navigavano 12 navi umanitarie. L’accoglienza seria è invece una cosa diversa, perché i flussi migratori incontrollati, come la storia insegna, sono in grado di devastare intere civiltà e di frantumare tradizioni locali millenarie. Forse è questo il vero motivo per cui a qualcuno giova portare milioni di africani in Europa? Ma torniamo alla capitana di ventura, la paladina della sinistra, Carola. La sua appare come una mera operazione politica atta ad inchiappettare il governo giallo-verde. Ora qualcuno la paragona ad un’eroina, che va persino contro i nostri militari pur di salvare dei poveri naufraghi. La Rackete in realtà ha commesso dei reati gravi, che la sinistra oggi impugna come disobbedienza civile autorizzata. I paragoni con le deportazioni naziste e con i blocchi navali fascisti si sprecano.
Bene, sappiate che se andassimo a Sumatra a prendere dei rari rinoceronti nani per salvarli dall’estinzione (missione naturalistica encomiabile) e li portassimo senza permessi su una barca in Australia, verremmo immediatamente arrestati e condannati per importazione illegale di specie protetta. Cosa voglio dire con questa esagerazione? Che al mondo non puoi fare quello che ti pare in barba alle leggi, ai confini, alle dogane e ai regolamenti nazionali, soprattutto senza prima concordare le tue azioni, anche umanitarie, con la comunità internazionale. Perché senza autorizzazioni e senza leggi vige l’anarchia, anche in mare. Altrimenti potremmo giustificare i salvifici negrieri del settecento, che andavano in Africa a prelevare dei poveretti locali per renderli schiavi evoluti negli Stati Uniti.
E guardate che non è un concetto assurdo, perché lo schiavismo è stato parte integrante di quasi tutte le culture dell’antichità, incluse quelle africane, e questa pratica era considerata assolutamente normale fino a poco tempo fa. Quindi dobbiamo freddamente domandarci se ciò che vogliono fare le ONG, stia bene anche a tutti i popoli democratici dei paesi europei che subiscono le loro azioni. Perché la coscienza non la si può lavare con il buonismo tout court a senso unico e con i soldi a perdere dello Stato sovrano. Lasciar entrare per anni migranti senza controlli e senza saper cosa fargli fare dopo, ha portato a delle conseguenze e a degli strascichi sui territori ospitanti? Oppure è andato tutto bene così? E la maggioranza degli italiani è d’accordo con l’atteggiamento demagogico della ribelle Carola Rackete, o no? La risposta la troverete sicuramente nelle scottanti urne delle prossime elezioni democraticamente indette. Di conseguenza la minoranza, qualunque essa sia, se ne faccia una rispettosa ragione. Le speculazioni lasciamole ai tanti capitani di sventura. Anche su Twitter: @Fuochidipaglia
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U N I O N E D I S AV O I R - FA I R E E T E C N O L O G I A AVA N Z ATA . S C O P R I I L N U O V O B R A N D D S S U D S A U T O M O B I L E S . I T - DS 3 CROSSBACK Pure Tech 155 Automatica. CONSUMO SU PERCORSO MISTO (l/100 km) 6,1 - 6,7. EMISSIONI DI CO₂ SU PERCORSO MISTO (g/km): 139 – 153. I valori indicativi relativi al consumo di carburante ed alle emissioni di CO₂ dei modelli di veicoli sono stati rilevati dal Costruttore in base al metodo di omologazione WLTP (Regolamento UE 2017/1151). Eventuali equipaggiamenti aggiuntivi possono modificare i predetti valori. L’immagine è inserita a titolo informativo.
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dialogo e relazione
IL DIALOGO COSTRUTTIVO E WELFARE COMUNITARIO GLI INGREDIENTI DELLA MISSION DI MARCELLA MESSINA, NUOVO ASSESSORE ALLE POLITICHE SOCIALI DEL COMUNE DI BERGAMO Romina Liuzza - Fotografie Paolo Biava
Non è soltanto bella e brillante Marcella Messina, la neo assessora alle Politiche Sociali di Bergamo. Dietro i suoi occhioni verdi azzurri e il suo look raffinato, quello che fa parlare di lei è il suo mandato all’interno della nuova giunta comunale. Ci aveva provato sei anni fa, candidandosi però alle Regionali come capogruppo per la lista Sinistra Ecologia e Libertà. Classe 1980, bergamasca doc, mamma di Lorenzo avuto sei anni e mezzo fa dal coniuge Alberto Vergalli, che in questi due mandati riveste il ruolo di consigliere di Giorgio Gori a Palazzo Frizzoni. Un curriculum di tutto rispetto il suo che è contraddistinto da quella sete di non fermarsi mai. Dopo il dottorato di ricerca in Epistemologia, e l’incarico come Presidente della cooperativa per cui lavorava. Vi è un altro piccolo aspetto caratterizzante la mission: il fatto che è anche una psicopedagogista. Perché ha scelto di schierarsi con Gori e accettare di entrare nella sua squadra? “Credo che alcuni elementi di visione siano caratterizzanti rispetto a questo sindaco, che ha una capacità di vedere oltre, e questa qualità l’ho vista in poche persone nella mia vita. Abbiamo già dialogato e non ho mai avuto la percezione che mi venissero messi dei paletti. Il fatto di avere una persona che è capace di stare nella complessità e di vedere questa visione ci vorrebbe per sempre, perché tale modo di vedere è fondamentale”. Le è stato affidato un assessorato con una mission molto delicata, ma pane per i suoi denti. È questa la ragione del suo sì? “Credo che ci sia una parola d’ordine che è un po’ il mandato che sento dentro. È il tema del bene comune. È un argomento che viene un po’ strumentalizzato e credo invece, che sia da recuperare in senso originale del termine. Il fatto che la nostra città è fatta da una molteplicità di soggetti che insieme possono costruire un welfare, inteso come delle politiche sociali vicine a chi abita la città. Si parla di prossimità, di comunità e credo che questo sia stata l’esigenza a raccogliere questa sfida”.
MARCELLA MESSINA NUOVO ASSESSORE ALLE POLITICHE SOCIALI DEL COMUNE DI BERGAMO
Non era più soddisfatta del percorso professionale che aveva svolto prima del mandato o ha voluto veramente dare una svolta al suo essere professionista, vedendo ulteriormente accrescere, invece, il suo essere professionista? “Io sono per il non rimanere fissi e immobili perché il progetto di vita è quell’insieme di esperienze che ti permettono di crescere, di coltivare un futuro in termini di competenze, del fatto che questo tipo di competenza è un’esperienza per me, fortemente formativa”. Che cosa rappresenta per lei essere diventata un assessore? “È un salto di qualità. Si tratta di andare ad interpretare un ruolo tecnico in una dimensione politica, su un oggetto particolare che sono le politiche di welfare”. Il sogno per il suo assessorato? “È rappresentato dal fatto di ripensare alle politiche sociali della nostra città all’insegna della continuità e dell’innovazione”. Dopo la sua nomina, si è sentita subito di incontrare tutti gli operatori delle varie sfere del suo assessorato. Perché questa necessità? “Ho ritenuto necessario incontrarli affinché ci sia una conoscenza e una condivisione delle linee programmatiche che sono i miei obiettivi. L’assetto organizzativo verrà migliorato insieme per potenziare alcuni elementi di intreccio tra alcune aree. La persona porta un bisogno e può essere al tempo stesso anche una risorsa. Ascoltando cioè le persone, come famiglie con disabilità, queste sono interlocutori preziosi perché portano la criticità, ma anche un pensiero creativo che il comune deve raccogliere come sfida”. Qual’è il tema che le sta maggiormente a cuore? “Gli anziani e la non autosufficienza”. Ha già qualche idea futura su come potenziare questi due ambiti? “Attraverso l’intensificazione degli interventi a domicilio per gli anziani, attivando forma di mutualità diverse e quindi facendo leva sui giovani, i vicini di casa, le reti sociali, perché la risposta non deve essere data solo da chi lo fa di lavoro, ma anche attraverso questa collaborazione”. Un aspetto su cui bisogna lavorare subito? “Il tema dei minori, il potenziamento del lavoro di prevenzione sul disagio minorile; è necessario lavorare in un’ottica preventiva per evitare il disagio. Altra cosa è invece, intervenire sugli anziani, perché dobbiamo fare in modo che accolgano l’aiuto che gli si vuole dare. Ed in fine, la messa in rete del tema della disabilità sui minori”.
Sul delicato tema della disabilità, come intende procedere? “A me interessa tenere vicino le associazioni e costruire integrazione e fare cioè in modo che l’associazionismo delle famiglie con disabilità sia un protagonista all’interno dei servizi del comune e dei servizi innovativi del comune. Credo che le risposte arrivino proprio da chi vive questo tipo di situazioni”. C’è bisogno di potenziare anche le varie forme di housing? “Assolutamente sì. Quello al femminile che riguarda le madri con bambino, il tema delle famiglie affidatarie e il tema dell’housing a domicilio per gli anziani non autosufficienti che devono implementare la domotica a domicilio. Sempre di più, le richieste che ci chiedono gli anziani è di non abbandonare la loro casa. Ciò richiede che anche le abitazioni vengano rese accessibili per quelle situazioni ad hoc”. Che ruolo e significato assumono la responsabilità e la mutuabilità per la concezione che lei ha del suo assessorato? “Sono un tema cruciale. La mutuabilità tra le persone è uno strumento per le politiche di welfare. Più noi apriamo la prospettiva di welfare e non la confiniamo, più riusciamo a costruire benessere per tutti. Potenziando ad esempio il tema dell’Alzheimer, attivando la comunità, attraverso il modello dell’Alzheimer community friendly che richiedere un lavoro sinergico anche con il quartiere”. In chiusura, se le chiedessi una parola d’ordine che accomuna le varie sfere del suo assessorato? “Cura e relazione. Cura perché è una parola che viene utilizzata e delegata al concetto socio sanitario, ma è anche un concetto che deve essere recuperato e inteso anche sotto il profilo sociale. La fase in cui si costruisce la rete, relazioni, interventi di cura, diventano una possibilità importante per il comune per curare e tenere in vita i progetti di vita delle persone. L’obiettivo è lavorare sui progetti di vita”. Il servizio minori e famiglie ha in carico 1550 minori e 950 nuclei famigliari sulla città di Bergamo. 1000 sono, invece, gli anziani in carico al servizio del Comune. Cosa c’è dietro a questi numeri? “Stiamo rispondendo grazie al lavoro fatto in precedenza. Noi dobbiamo capire che lavorando in un’ottica di prevenzione e di cura e mettendo in rete i molteplici progetti che sono in essere, riusciamo anche a costruire benessere e fare in modo che alcune situazioni vengano contenute ed orientate nei giusti servizi. Il dialogo è fondamentale”.
A cura del Direttore Sanitario Doryan Medicina Estetica Dr. Gianluca Doria
EPILAZIONE MEDICA CON LASER L’EPILAZIONE LASER ELIMINA I PELI SUPERFLUI SU VISO E CORPO: È UNA PROCEDURA SICURA CHE PUÒ ESSERE EFFETTUATA SU TUTTE LE REGIONI DEL CORPO PER ELIMINARE I PELI SUPERFLUI IN MODO DEFINITIVO
Quando si parla di epilazione una premessa è d’obbligo: un conto è quella medica, un altro quella estetica. I laser elettromedicali, infatti, sono ad uso esclusivo del personale medico, quelli elettromeccanici che propongono i centri estetici, invece, sono laser depotenziati che hanno un’efficacia estremamente ridotta dal momento che possono essere utilizzati anche da personale non qualificato. Un luogo comune, poi, da sfatare quando si parla di laser epilazione è quello inerente il numero di sedute a cui sottoporsi: non esiste, infatti, un’epilazione definitiva in un unico trattamento (come spesso viene reclamizzato) perché ognuno di noi, avendo una produzione ormonale costante, produce abitualmente un certo numero di follicoli, sia pur sempre di meno dopo la pubertà e con il progredire dell’età. È bene definire la laser epilazione medica come epilazione stabile ovvero, dopo un ciclo compreso tra 5 e 6 sedute, è possibile ottenere una riduzione del numero di follicoli per zona del 90%. In seguito è consigliabile un mantenimento dei risultati conseguiti facendo ricorso ad una seduta ogni anno per i primi due anni e, in seguito, ogni 2/3 anni. Quali sono le aree normalmente trattate con questo laser? “Utilizzando un laser d’ultima generazione (il Light Sheer Desire Laser Diodo), prodotto da un’azienda leader a livello internazionale come la Lumenis, trattiamo di tutto - ci ha
spiegato il Dott. Gianluca Doria, titolare di Doryan Medicina Estetica: dalle ascelle all’inguine, dagli arti superiori a quelli inferiori, dalla schiena al viso includendo anche la definizione della barba degli uomini”. Come funziona questo laser? “Il laser va a colpire un target e il target di questo laser, in base alla sua lunghezza d’onda di 800 nanometri, è il pigmento scuro. Per intenderci il laser va a colpire il pigmento presente nel centro germinativo del follicolo trafiggendo anche le cellule staminali e ciò impedisce o riduce significativamente la ricrescita dei peli nella zona trattata”. Perché occorrono 5/6 sedute e non una per conseguire il risultato sperato? “Perché ognuno di noi, in ciascuna area del corpo, ha dei follicoli in replicazione, quindi follicoli espressi mediamente nella misura del 20/30%: durante ogni seduta si va a colpire solo quelli in replicazione che sono quelli pigmentati. Gli altri, invece, il laser non li può vedere e quindi è fondamentale distanziare le prime 3 sedute di un mese l’una dall’altra per permettere l’espressione dei follicoli dormienti e le ultime 2/3 sedute programmarle a distanza di due mesi l’una dall’altra”. Ci sono delle accortezze a cui prestare attenzione prima e dopo questo trattamento? “L’unica cosa fondamentale a cui prestare attenzione, essendo il laser un po’ fotosensibilizzante, è evitare di esporsi al sole tre settimane prima e tre settimane dopo il trattamento”.
In collaborazione con Doryan Medicina Estetica - Dott. Gianluca Doria Via Mazzini, 4 - Bergamo - Tel. 035 0039228 - www.doryanclinic.com - info@doryanclinic.com
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V.E.Filì - Fotografie Paolo Biava
Cosa vuol dire fare il prete oggi? “Fare il sacerdote oggi è difficile, tanto quanto fare il padre o la madre. Però, rispetto al passato, oggi dobbiamo saper cogliere una nuova bellissima sfida: tornare all’essenziale. Il prete “classico”, quello che abbiamo in mente, aveva tanta gente intorno senza grandi sforzi. Le persone si recavano spontaneamente da lui, anche per il fatto che, la sua, era l’unica “proposta” presente sul territorio. Oltre alle funzioni religiose, si occupava di sport, di assistenza, faceva cultura e non esisteva concorrenza. Però la mancanza di concorrenza, ha svilito il “prodotto”, mi si passi il termine, così adesso troviamo le chiese vuote e ci siamo accorti che probabilmente non davamo la giusta importanza al nostro “prodotto”, che vendevamo e presentavamo male. Adesso, si è arrivati al punto che la gente sceglie la Parrocchia dove andare, con il prete che preferisce, perché cerca una proposta di qualità e rinfaccia alla Chiesa di non averne. Le prediche, le conosciamo, sono noiose - ci dicono - dateci qualcosa di senso. La gente chiede alla Chiesa un investimento nella qualità dei contenuti. Il mio vecchio parroco un tipo geniale, diceva sempre che i preti dovrebbero guardare di più la televisione in quanto lì dicono cose false come se fossero vere, mentre noi diciamo cose vere come se fossero false. In questo momento in cui i preti sono pochi, bisogna ripensare a tante sovrastrutture e tornare ad una proposta di qualità nel messaggio, delegando e ridando spazio ai laici per quello che può competere loro. Il prete deve tornare a fare il prete”.
Mons. Giulio Dellavite
dio crede in noi più di quanto noi si creda in lui
Lo incontro spesso, potrei dire che dove succede qualcosa a Bergamo, che sia un convegno, un evento culturale, una ricorrenza, lui è presente, simpatico, disinvolto, gioviale. Credo ami stare in mezzo alla gente e, se così non è, dissimula molto bene. So della sua profonda cultura, a scuola era certo il primo della classe anche se non lo dice, ha lavorato a Roma come Segretario del Cardinale Re che lo ha indotto ad un dottorato di ricerca sull’applicazione delle moderne teorie di management al governo della Chiesa. Nato a Romano di Lombardia, ordinato sacerdote nel ‘96, dopo la missione in Vaticano, il Vescovo Beschi, insediatosi a Bergamo, lo ha voluto accanto a sè per organizzare le gestione della Diocesi più ricca al mondo.
Sempre meno giovani decidono di diventare sacerdoti... “È vero, ma ci sono anche sempre meno giovani che si sposano. Per un giovane oggi la scelta definiva è uno scoglio. La crisi delle vocazioni è una crisi di scelta tipica di questa generazione nello sposarsi e nel fare figli come nell’intraprendere qualsiasi cosa. Non ci si sposa più, nè in Chiesa, nè in Comune. C’è una allarmante tendenza alla non assunzione di responsabilità… Bisogna però parlare anche di percentuali e c’è un dato curioso: la percentuale di nati maschi che scelgono il sacerdozio non è molto differente da cinquant’anni fa, solo che in Italia oggi ne nascono molti meno... Ma c’è anche un altro fattore ed è la concorrenza delle proposte: i ragazzi di oggi sono presi da mille impegni. Fino a pochi anni fa in Lombardia c’erano ancora tante vocazioni, rispetto al centro e al sud, perché qui funzionavano molto bene gli oratori e finché hanno tenuto ci sono state le vocazioni: i ragazzi incontravano i preti, conoscevano da vicino la Chiesa e così poteva nascere il desiderio di entrare in Seminario. Oggi, specie in città, nessun genitore si fida di mandare il proprio figlio all’oratorio da solo anche perché ci sono per lui tanti altri impegni. Da ragazzo, finiti i compiti a casa, mi recavo ogni giorno all’oratorio anche perché non c’era altro. Adesso il tempo per l’oratorio non c’è più, i ragazzi rincasano alle sei di sera, la scuola finisce alle quattro e mezza poi c’è lo sport, la musica... i video games e i social ed è già ora di cena. Non c’è più tempo per andare all’oratorio e oggi i genitori non sognano certo che il loro, magari unico, figlio maschio diventi prete… Se oggi un ragazzo ha un minimo di intenzione trova i maggiori ostacoli proprio in casa con i genitori”. Come affronta la Chiesa questo cambiamento? “Anche i giovani che diventano preti sono figli di questa generazione, incerta, fragile, debole. Anche il Seminario non può più essere il luogo dove ti iscrivi a teologia e dopo sei anni diventi prete. Bisogna costruire percorsi personalizzati per ogni ragazzo con esperienze educative diverse: accanto a un sacerdote, oppure lo si invia ad assistere una comunità di diversamente abili, così come valoriale è anche fare esperienza del mondo del lavoro. Sono aspetti di una formazione umana che prima si dava per scontata in quanto era il bagaglio dato dalle famiglie che adesso non c’è più. Un giovane che arriva in Seminario deve frequentare sei anni di Università ma il cammino curriculare può diventare molto più lungo. Rispetto al passato la Chiesa preferisce avere meno preti ma meglio formati: non sono pochi i giovani che chiedono di diventarlo e poi invece, in dialogo con i formatori, scelgono altro. La Chiesa deve saper scegliere, anche se di nuove vocazioni ce ne sarebbe un gran bisogno. Non può bastare il solo desiderio del singolo o il dire “è un bravo ragazzo”. Deve assolutamente prevalere una selezione che non sia spinta dal bisogno. Credo che tanti disastri successi nella Chiesa abbiano alla loro origine anche un discernimento buonista”. Lei passa per essere un prete manager. Cosa vuol dire nella Chiesa di oggi? “Questo viene dalla pubblicazione recente di un libro “Se ne ride chi abita i cieli”, edito da Mondadori. Un incontro-scontro tra un manager e un abate. Racchiude un po’ la mia esperienza. Nel 2000 sono stato mandato a Roma a studiare Diritto e sono entrato in servizio presso la Santa Sede come segretario del Cardinale Re. Fu lui a chiedermi di fare il dottorato di ricerca, applicando le teorie del management al governo della Chiesa. Era un’idea nuova, sicuramente da elaborare.
GIULIO DELLAVITE È NATO NEL 1971 A ROMANO DI LOMBARDIA), HA COMPIUTO LA SUA FORMAZIONE E GLI STUDI TEOLOGICI NEL SEMINARIO VESCOVILE DI BERGAMO, DOVE È STATO ORDINATO SACERDOTE NEL 1996. ATTUALMENTE È IL EGRETARIO GENERALE DELLA CURIA DI BERGAMO
Mons. Giulio Dellavite
Significava capire in profondità il rapporto tra autorità e autorevolezza. Li è nata la mia “specializzazione” sviluppata poi presso la Santa Sede per dieci anni. Quando Mons. Beschi divenne Vescovo di Bergamo mi chiese di tornare alla Diocesi per applicare quelle esperienze fatte a Roma, soprattutto per gli aspetti istituzionali e organizzativi, invece ci sono altri che si occupano dello spazio amministrativo ed economico. Anche noi preti viviamo quella fatica tutta bergamasca a fare rete: ognuno cura benissimo le sue cose ma solo le sue. In tal modo si rischiano doppioni e, peggio ancora, di non mettere in vetrina le belle cose che realizziamo che potrebbero contagiare in bene”. Ma la modestia e la riservatezza, nella cultura del bergamasco, potrebbero essere indotti proprio dalla loro religiosità... “Può darsi. Quando si parla del carattere della gente di Bergamo e si dice “sota la sender, brasca”. È vero: sotto sotto la brace c’è, ma è coperta. Mons. Beschi si è posto l’obiettivo di mettere in rete e dare evidenza alla presenza della Chiesa che a Bergamo rischia di rimanere sempre il fantasma sul colle”. Non è un compito semplice... “Per niente, anche considerando il “peso” della Diocesi di Bergamo, dato da una grande ricchezza che, nel corso di mille vicende storiche, le ha consentito di avere una struttura unica, gestita attraverso diverse società in differenti campi, che fanno tutte capo alla Diocesi. Brescia, invece, ha avuto una storia diversa che ha visto figure laicali, tra cui ricordo il ragionier Montini papà di papa Paolo VI, o poi il notaio Camadini, che sono stati protagonisti della nascita di istituzioni di ispirazione cristiana sul territorio, legati ma non dipendenti alla Diocesi. Una fra tutte l’Editrice La Scuola”. Non esistono indicazioni generali della Santa Sede per tutto questo? “No, sono decisioni autonome di ogni Diocesi. E non dobbiamo correre il rischio di fare riferimento a Bergamo e Brescia le quali, rispetto al resto dell’Italia, sono extraterrestri. Sono stato di recente a Spoleto per presentare il mio libro. Era presente l’Arcivescovo di Spoleto, presidente della Conferenza Episcopale della sua regione. Abbiamo parlato di numeri e lui, mettendo insieme le sue otto Diocesi, non riusciva ad avere i numeri di Bergamo. Siamo davvero su un altro pianeta”. Per avere un maggiore controllo in attività sensibili? “È stata una scelta organizzativa e i motivi non li conosco. Non c’ero e non posso sapere. Il problema è che siamo una realtà che rischia di apparire molto ricca, perché si conoscono i possedimenti, poi però non si mette in risalto come si utilizzano quei patrimoni. Credo che Bergamo possa vantare alcuni record nell’occuparsi del prossimo. A cominciare dal fondo famiglia-casa e il fondo famiglia-lavoro, che riguardano le famiglie dei bergamaschi e valgono una quindicina di milioni. In occasione dell’arrivo delle spoglie di Papa Giovanni, non abbiamo fatto un monumento per l’eccezionale evento, ma abbiamo aperto Casa Amoris Laetitia, una sorta di hospice pediatrico, servizio prezioso che pochi oggi offrono. Solo la Caritas diocesana, nella bergamasca, ha un bilancio sociale annuo di svariati milioni di euro di interventi con circa 350 sportelli aperti da volontari che intervengono sulle tante fragilità”. Forse la Caritas riesce meglio a mettersi in evidenza... “Sì è vero. Senza parlare di tante altre attività che a volte sfuggono e invece costituiscono un investimento concreto delle parrocchie sul territorio. Ad esempio in questo periodo ci sono i CRE (Centri ricreativi estivi) che coinvolgono più di 100.000 bambini con una media di costo ora per la famiglia di un euro. Questi bambini giocano, hanno a disposizione materiali didattici, hanno gli assistenti, partecipano a gite, ricevono il pranzo e la merenda. Ci sono poi i costi che non si vedono come le coperture assicurative, il mantenimento delle strutture, la formazione degli animatori. Questo è un servizio vero e proprio e non certo per guadagnarci, anzi!”. Forse la comunicazione della diocesi non è all’altezza di quello che realizza... “C’è sempre una certa ritrosia nel mettersi in mostra. E quanto vale oggi per la Chiesa il vecchio detto “fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce”.
Parlando di cambiamenti nel futuro della Chiesa, un giorno anche i preti potranno sposarsi? “Far sposare i preti? Non so quanti si sposerebbero: il celibato non è una condizione dogmatica da accettare, ma è una scelta personale di stile di vita.
altre attività, come il ballo, il gioco, ecc., che sono il segno a volte di un’adolescenza di ritorno nella terza età. I parroci sono preoccupati: non ci sarà ricambio generazionale. Qualcuno si affaccia ancora, ma solo quando può, quando riesce, per un dato evento ma difficilmente con continuità”.
Perché son più furbi? Risatina. “Per aumentare il numero di vocazioni e risolvere i problemi secondo me sarebbe la mossa peggiore”.
Meno preti, meno gente in Chiesa, meno volontari... Come pensate di porre rimedio a tutto ciò? “A Bergamo il Vescovo ha voluto una vera rivoluzione con la creazione delle Comunità Ecclesiali Territoriali, le CET. Fino a settembre scorso i gruppi di parrocchie erano 18 e gestiti come vicariati. Il Vicario radunava i Parroci e insieme decidevano le cose da fare. Adesso ci sono 13 CET, dove c’è sempre un Vicario che si rivolge a cinque ambiti tematici su cui operare, famiglia, lavoro, tradizione, fragilità e sociopolitica, rappresentati ognuno da un laico che si relaziona con un’equipe di collaboratori i quali vedono e studiano le proposte di quell’area sui cinque temi. Questo permette di avere una struttura laicale “a prova di prete”. Con la responsabilizzazione di queste figure su i vari temi, il prete ha una funzione squisitamente pastorale e si inserisce in una maturazione del territorio che già c’è e ci sarà dopo di lui. È il laico che è chiamato ad essere credente, credibile, creduto. È richiesto il passaggio dall’essere cristiani per convenzione all’esserlo per convinzione, anche se si è in pochi”.
Verrebbe considerato un cedimento? “Non tanto un cedimento... Provo a semplificare restando su un puro livello organizzativo, come provocazione, senza entrare nella dimensione teologica o pastorale. Dal momento in cui il sacerdote ha ancora un prestigio sociale, in crisi ma ce l’ha, uno stipendio, sono solo mille euro al mese ma ci sono, gli girano in mano diversi soldi per offerte, senza che nessuno chieda lo scontrino. Deve lavorare un’ora al giorno per dire messa e poi ha molti altri impegni ma nessuno controlla se sia davvero in visita dagli ammalati, dai bambini bisognosi… Quanti lazzaroni vorrebbero fare i preti se ci potesse anche sposare? Il celibato interpella invece a un oltre…”. I preti protestanti ed ortodossi però si sposano... “Hanno avuto una maturazione diversa sulla figura del prete più centrata solo sull’aspetto rituale celebrativo, mentre tutti gli aspetti di formazione, assistenza, organizzazione, preparazione, animazione culturale o ricreativa sono responsabilità dei laici. Ma sono pronti i nostri laici ad avere una comunità così? Basta pensare anche solo al volontariato: è sempre più raro nelle parrocchie perché la gente va in pensione a 75 anni e sono diminuiti i pensionati giovani, quelli che avevano tempo. Oggi i nonni hanno a casa i nipotini da accudire per risparmiare sulla retta dell’asilo e quelli che hanno tempo, dopo i nipotini, hanno diverse
Un nuovo modo di essere Chiesa? “Non è più tempo di portare la gente in Chiesa, ma di portare la Chiesa alla gente: ma questo è un compito laicale. È un ribaltamento copernicano. Il futuro ci chiede un ritorno alle origini. Spesso la gente si affaccia in chiesa per una religiosità della candelina, che sfiora la superstizione o la magia, nel prendere un biglietto alla lotteria dei miracoli, soprattutto se si ha bisogno. Diversi partecipano a una messa solo in circostanze particolari della vita: battesimi, matrimoni, funerali.
Oggi un prete è chiamato a cogliere questi istanti di incontro come opportunità per tornare a riproporre il Vangelo. Si conoscono i riti e le tradizioni, ma non si conosce più Gesù e il suo messaggio. Spesso si fa confusione e vengono identificati. Eppure c’è tanta sete di verità e di senso. In questo senso sono convinto che anche i social siano oggi un nuovo pulpito. La mia predica alla messa della domenica se mi va bene la ascoltano 100 persone. Da un po’ di tempo la scrivo in Facebook, Linkedin, Twitter, Instagram e così non solo le mie parole, ma soprattutto il Vangelo della domenica, arriva almeno a 5.000 contatti settimanali. Quando mai potrei parlare a cinquemila persone? Il bello è che poi alcuni la condividono e la fanno diventare loro e ne diventano testimoni. E ho avuto sorprese emozionanti, inaspettate, incredibili dei giri che può fare una pagina del Vangelo attraverso i social”. Ma la comunione? I sacramenti? Li mandate con un corriere e la confessione sarà in chat? Ride. “Dobbiamo renderci conto che la Chiesa cattolica Italia è ormai territorio di missione. Oso dire che l’aspetto sacramentale è per me al momento secondario poiché primaria è una nuova alfabetizzazione alla fede altrimenti rimaniamo nella ritualità che diventa superstizione. I primi apostoli non andavano in giro a dire messa e a confessare, ma ad annunciare il Vangelo innanzitutto. Come sacerdote comincio a darti un annuncio, smuovo la ricerca di un cammino di fede, poi ti faccio incontrare con la comunità e quindi il percorso ti porterà alla celebrazione. Questo ripopolerà le Chiese. L’essere minoranza rafforza le convinzioni e smetti di dare tutto per scontato. Non ci sarà l’andare a messa perché si deve ma perché lo si desidera”. Perché oggi è così difficile aver fede? “Un errore comune è identificare la fede con la religione. La religione è uno strumento e ci può essere religione senza fede.
Una volta si diceva che c’erano i credenti non praticanti oggi per il 90% ci sono praticanti non credenti. La fede è ciò che dà senso alla vita e sostiene la speranza. La religione è una cassetta degli attrezzi per costruire domande e aprire un cammino. Nel momento in cui la cassetta degli attrezzi presuppone di diventare il contenuto… salta tutto. Ai ragazzi lo spiegavo così: religione è dire io credo in Dio, avere fede è scoprire che Dio crede in te più di quanto tu credi in lui. Se scopri questo le altre cose diventano secondarie”. Ma i preti sono preparati a questi cambiamenti? “Ci sono state generazioni di preti buoni e santi pastori, che non hanno avuto la fortuna di una formazione teologica elaborata con un’impostazione universitaria moderna come invece è dagli anni ’80. Il mondo è cambiato. Non cambia la verità, ma deve però cambiare il modo in cui proporla. In questo i preti bergamaschi nella storia sono sempre stati esemplari nel cogliere i segni dei tempi e nel tradurre nella realtà quotidiana la ricchezza del messaggio di cui erano custodi: non per nulla è stato un prete bergamasco, Papa Giovanni XXIII, ad avere il coraggio di portare la Chiesa universale all’apertura del Concilio Vaticano II”. Ha senso dire che abbiamo un Papa di sinistra? “Il papa non va interpretato con le categorie italiane ma con quelle argentine. È un argentino, è un sudamericano, viene da quella terra, da quella forma di mentalità, da quella forma cultuale e da quello che ha vissuto. Per cui la sua interpretazione dei fatti avviene alla luce di tutto questo. Lui è un italiano profugo in Argentina dove ha provato davvero la povertà. È arrivato in quella terra da straniero per ricostruirsi una vita in un ambiente totalmente diverso e ha provato su di sé l’essere straniero, l’essere povero. Non è una posizione politica, è la sua esperienza di vita vissuta, in Argentina e non in Italia, ma la gente dimentica questo”.
Mons. Giulio Dellavite
A proposito di stranieri e accoglienza, Bergamo si è data molto da fare…. “A differenza della stragrande maggioranza delle province italiane, la Chiesa di Bergamo ha avuto in carico la maggioranza dei richiedenti asilo. Fuori dal mondo cristiano, quasi nessuno ha aderito al bando dello Stato. Nel bresciano, ad esempio, non è stato così: infatti diversi albergatori sul lago di Iseo o di Garda hanno accolto stranieri. Lo dico solamente come dato di fatto senza voler fare alcun giudizio di opportunismo, perché il fenomeno è molto complesso. L’esperienza della Accademia per l’integrazione voluta da Comune di Bergamo, Caritas diocesana e Confindustria è un esperimento unico di cui dobbiamo andare orgogliosi, ma non si arriva al centinaio di coinvolti, rispetto a oltre il migliaio ancora presente e ai - penso - 7.000 che in questi ultimi anni sono stati accolti”.
Tutti pensano che tanto ci pensa la Caritas e che la Diocesi è molto ricca. “C’è anche chi ritiene che la Caritas avrebbe guadagnato un sacco di soldi con i profughi. Ci può essere un modo di gestione delle sovvenzioni statali che garantisce il necessario e genera un buon disavanzo, soprattutto se si hanno grandi numeri che permettono di contenere le spese. Ma ci possono essere anche attenzioni - come nel nostro caso - che hanno un costo non necessario ma che la Caritas diocesana ha ritenuto essenziale, come preferire l’indotto locale invece che il fornitore col minor prezzo. Insieme a questo c’è l’attenzione a quelle persone che sono giunte nel nostro Paese, che sono qui e restano qui, ma non rientrano in quelle sovvenzionate. Un privato ha il diritto di dire loro “Arrangiati! Lo Stato non mi paga e io non sono tenuto a darti nulla!”. La cura di questi diventa anche un grande servizio sociale di prevenzione alla delinquenza e un modo seppur piccolo di tutela della nostra gente, cercando strumenti di corresponsabilità reciproca”.
È possibile gettare ponti con la cultura musulmana? Dobbiamo noi essere tolleranti e adeguarci o devono essere loro a cambiare certi comportamenti? “Il dialogo si deve basare sul principio di reciprocità. Io posso chiedere di rispettare ciò che sono convinto essere per me un valore. Così è se io vado in un paese arabo. A volte mi sembra che diamo loro l’impressione di fare dibattiti urlanti l’uno contro l’altro su valori che si spengono insieme alle telecamere. Manca uno sforzo di approfondimento. Esempio: per principio facciamo le guerre per il presepio nelle scuole quando nel Corano, Sura 19, c’è la nascita di Gesù con il presepio tale e quale con la Madonna. Ma noi non lo sappiamo neanche. A noi viene più spontaneo cercare ciò che ci divide invece di ciò che ci unisce. Se io compro una casa a Dubai mi vanto di avere il “mio” appartamento a Dubai. Se un arabo compra un appartamento a Milano nella sua testa ha aumentato il suo Paese di cento metri quadrati. Aver perso le nostre radici e l’idea di popolo, cozza con il loro spiccato senso di appartenenza. Noi siamo tanti singoli, loro un popolo. Così, noi non abbiamo più l’orgoglio di essere cristiani, come loro lo sono di essere musulmani. E per riuscire ad avere un dialogo è necessario per noi recuperare la bellezza della nostra identità valoriale, delle radici cristiane della nostra storia, da cui è partita quella linfa che ha prodotto cultura, arte, assistenza, imprenditoria, dando colore a sapore ad una sana laicità”.
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Non sono uno che rimane attaccato ai social ore e ore al giorno, conosco le nuove tecnologie e credo di essere un corretto fruitore di ció che il progresso propone perché ci ha permesso di vivere meglio in questi ultimi cinquant’anni anche se ha totalmente cambiato il nostro modo di vivere. Da quando l’uomo è sceso sulla luna nel 1969, tutto è cambiato. In meglio per molte cose, in peggio per altre; un aspetto negativo è sicuramente l’eccessiva velocità di risposta senza mediazione e meditazione che l’uso delle nuove tecnologie ci permette (o ci impone, dipende dal punto di vista). Infatti, seguendo Facebook giornalmente ho potuto vedere quante persone dicono “tutto e il contrario di tutto”. Umberto Eco disse che con l’avvento dei social si era dato il permesso ai cretini di esprimere la loro idea facendoli sentire dei dotti. Personalmente ritengo che si sia data la possibilitá al popolo di dire la propria, come una volta avveniva al bar sport, il problema è che non vi è riflessione su ció che si dice: questo porta in superficie la parte peggiore dell’uomo, ciò che viene dalla “pancia” e non dalla testa. La gente comune è stanca di politici ignoranti, di imprenditori corrotti, di banche, ladre e vessatorie, di dotti insegnanti e filosofi incapaci e soprattutto sub-culturati e politicizzati, dei magistrati e delle loro strutture rappresentative corrotte nell’intimo... Non è certo colpa di chi va a votare, certamente lo è di coloro che “non” vanno a votare; ma se un partito dal 5% passa al 37% ció avviene perchè tutti sono stolti o perché qualcuno ha sbagliato qualcosa? Se in una città come Brescia o Bergamo, notoriamente abitata da “culi bianchi” cioè simil democristiani di centro destra, si scelgono sindaci di sinistra, ci sará un motivo! La scelta ricade sulle persone che dimostrano capacitá e caparbietà nel raggiungere gli obiettivi. Questo significa che il popolo-bue è in grado di discernere tra il bene e il male.
Ma se tutto ció che ci circonda è “male”, se il Consiglio Superiore della Magistratura è marcio in tutto e per tutto (così dice l’indagine interna in corso, gli atti delle intercettazioni e le stesse dimissioni a catena dei responsabili), se questo ente presieduto dal Presidente della Repubblica, che ne è il garante, non è in grado di fare il proprio lavoro, anzi, tradisce il suo mandato costituzionale, divide la torta del potere con gli amici, corrompe, dirige le nomine, blocca o devia i giusti processi, influenza la politica del legislatore (imbecille ed ignorante), ma allora in che mondo viviamo? Se si perde l’occasione di riformare questo mondo, se il presidente Mattarella non rivolge le scuse al popolo a reti unificare, di cosa stiamo parlando? Parliamo di magistrati che non fanno carriera perché non allineati alle correnti politiche vincenti, a magistrati che fanno politica secondo la loro appartenenza correntizia di magistrati che influenzano le indagini secondo gli interessi di alcuni, di solito sempre gli stessi, che compiono atti giuridici indiscriminati, atti che delegittimano i politici eletti dal popolo. In sintesi distruggono per libera interpretazione la volontà legislativa del parlamento e del popolo, riducendo ad una nullità burocratica il parlamento e a dei sudditi imbecilli il popolo. Nemmeno sotto la monarchia ció succedeva. Esempio: Lampedusa-Carola la rasta-il Viminale (Salvini ministro dell’Interno). Nulla è successo , nonostante le leggi disattese, sia nostre sia della UE. Una ragazzina pagata da....... non si sa bene chi, le leggi del mare le ha cambiate a regola d’arte. Ció è incredibile. Non discuto le sentenze, le quali prima si applicano e poi si appellano, ma si possono commentare le motivazioni. Il magistrato di Agrigento libera un comandante marittimo dopo che ha speronato una unità militare, non applica multe, non condanna a risarcire i danni, anzi motiva il tutto con lo “stato di necessità”. Se un medico tenesse 14 giorni in vita un paziente con metodi discutibili senza subito intervenire e poi decidesse di scatto di operare lo stesso paziente per estrema necessità, andrebbe come minimo davanti alla commissione deontologica del proprio ordine professionale e poi magari, in galera, ma certamente sotto processo civile per pagare pecuniariamente il paziente offeso. Invece tutto finisce a tarallucci e vino: nessuno paga (se non Pantalone, cioè noi) le spese sostenute. I finanzieri che hanno rischiato la vita vengono ignorati, anzi sono passibili di azioni disciplinari, la Carola se ne va con tanto di scuse e 270.000 € raccolti in due giorni per le spese della sua difesa. Se viviamo in una nazione incapace di difendere i propri confini e le proprie leggi, succede che, a torto o a ragione l’ago della bilancia pende da una sola parte: dalla parte del “fanculo d’ora in poi faccio anche io quello che voglio, non credo più in niente”. Questo è l’italico pensiero, che sposta politicamente numeri a due cifre ad ogni elezione, che cambia radicalmente ogni singola volontà, che elegge persone poco competenti, che non crede piú nei valori Costituzionali, che invece ha sempre difeso, e che ancora rispecchia i nostri tutori della legge che operano sul territorio, ma li ritiene incapaci di tutelare il sistema perchè deboli politicamente e deviati dal potere nei loro vertici. Una volta si pensava che l’Esercito, nella sua accezione più comune, fosse il garante della Costituzione ma siccome il comandante in capo delle Forze Armate è lo stesso che presiede il Consiglio Superiore della Magistratura, al quale la fanno sotto il naso ogni giorno e non se ne accorge, come potremmo vivere sicuri sapendo che i due momenti di controllo sono a loro volta corrotti e controllati da imbelli interessati al loro bene personale e non a quello comune della Nazione? Come il giudice CSM Palamara, quello con la faccia da tonno, come diceva Cossiga. Andiamo bene ragazzi, prepariamoci a tempi duri e pericolosi. Se fossimo ancora negli anni 70 ne vedremmo delle belle, ma, siccome siamo nel terzo millennio, ne vedremo delle brutte: via social, in via elettorale, ma soprattutto per la disaffezione qualunquistica che questo sistema vuole introdurre nella vita quotidiana. Una volta si sperava nel Divino, oggi con due Papi a Roma di cui uno gesuita, i seminari vuoti, la pedofilia del clero accertata, accettata e acquietata, l’islam incontrollabile che divampa, il Popolo non crede piú nemmeno nello Spirito Santo. Amen
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orari d’ufficio Lun. - Ven. 9.00 - 12.30 / 14.30 - 19.00 via trieste, 10/F - brescia - Tel. 030 41380 - Fax. 030 41651 info@duomoimmobiliare.it - www.duomoimmobiliare.it
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XXV Festa d’Estate Lo scorso 4 luglio, nell’incantevole cornice della Tenuta Casa Virginia di Villa d’Alme, immersa nel Parco dei Colli di Bergamo, si è svolta la XXV Festa d’Estate promossa dall’Associazione Provinciale Forense (APF) di Bergamo. Un appuntamento divenuto ormai abituale al quale hanno partecipato il Presidente del Tribunale, Dott. Cesare De Sapia, il Procuratore della Repubblica facente funzioni, Dott.ssa Maria Cristina Rota, il Presidente della sezione Gip Gup del Tribunale di Bergamo, Dott.Vito Di Vita, accolti dal Presidente APF, Avv. Giovanni Bertino, oltre a tutti gli avvocati della nostra provincia i quali hanno avuto l’occasione di trascorrere una piacevole serata all’insegna della buona musica e del buon cibo, scambiandosi pareri lavorativi e dando il benvenuto ai nuovi associati iscritti all’Ordine. Una suggestiva visita alla cantina ha fatto da prologo alla cena allestita a seguire presso l’Agri-ristorante di Casa Virginia che ha proposto ingredienti di altissima qualità in grado di raccontare al meglio il nostro territorio. Una serata unica alla quale non poteva certo mancare l’affezionato partner Lario Bergauto Bergamo, presente con l’ultima nata del brand bavarese: la bellissima BMW Z4 Roadster, aperta, sportiva e senza compromessi. Con la potente dinamica di guida e il design innovativo, ha un unico obiettivo: raggiungere la libertà in equilibrio tra strada e cielo. La serata è stata anche l’occasione per premiare gli anniversari (40°, 30° e 20°) delle iscrizioni all’Associazione ed i quattro migliori avvocati che si sono distinti nell’ultima sessione degli esami presso la Corte d’Appello di Brescia: Filippo Mangili, primo classificato, Jessica Vitari, seconda, e Marco Ratti e Linda Ara, terzi a pari merito.
Ph. Sergio Nessi - Puoi vedere tutte le immagini dell’evento su www.qui.bg.it
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UN GIORNO DA PROTAGONISTA Tommaso Revera - Fotografie Sergio Nessi
GRAZIE ALLA CERESOLI UTENSILI LO SCORSO 10 MAGGIO ABBIAMO VISSUTO UNA GIORNATA INDIMENTICABILE A MARANELLO Lavorare divertendosi. Non è nuova la Ceresoli Utensili ad iniziative di team building che hanno lo scopo di consolidare i rapporti umani e professionali tra dipendenti, clienti e fornitori abituali attraverso un complesso di attività ludiche, formative ed esperienziali volte a favorire la comunicazione e l’affiatamento. Ma, va riconosciuto, l’evento organizzato il 10 maggio scorso a Maranello presso il prestigioso Museo Ferrari è qualcosa che è andato anche oltre le aspettative: un’esperienza intensa, per certi versi adrenalinica, di cui tutti conserveranno un piacevole ricordo. Una volta giunti sul posto dopo il comodo trasferimento in pullman, la giornata ha preso il via intorno alle 10.30 con un dolce welcome coffee di benvenuto allestito all’interno del Convention Center Ferrari, oltre 550 metri quadrati di spazio comunicante con il Museo Ferrari ma con ingresso indipendente: la sede ideale per dare il via ad un breve ma molto interessante meeting aziendale in cui Corrado Ceresoli, presidente della Ceresoli Utensili, ha ripercorso la storia dell’azienda di Comun Nuovo soffermandosi in particolare sui valori che da sempre la contraddistinguono, sui prodotti (Utensili speciali per l’industria meccanica) e sui servizi (Riaffilatura e rivestimento) rivolti alla clientela, presentando anche una serie di importanti novità ai propri clienti: dai nuovi modi di lavorare il diamante con tecnologia Laser alle nuove installazioni tecnologiche sino ai nuovi spazi produttivi, il tutto reso possibile anche dall’utilizzo degli strumenti di finanza agevolata (vedi Industria 4.0). Una presentazione impreziosita anche dagli interventi di alcuni autorevoli ospiti. fornitori (leader nel loro settore) che col tempo sono diventati partner importanti per il
successo dei prodotti e servizi proposti dalla Ceresoli Utensili. Al termine del meeting, un lunch curato nei minimi dettagli ha allietato l’atmosfera e riscaldato gli animi in attesa dell’attività esperienzali a sorpresa previste nel pomeriggio. I partecipanti, divisi in due gruppi, hanno avuto l’opportunità di cimentarsi alternativamente in due diverse tipologie di attività: da un parte quelle ludico-sportive che prevedevano sia l’esclusiva esperienza di guida al simulatore ufficiale Ferrari, sia le prove di cambio gomme cronometrato e dall’altra una più distensiva e rilassante che contemplava un tour panoramico alla scoperta degli stabilimenti Ferrari e della pista di Fiorano. Nel primo caso l’emozione di guidare una monoposto Ferrari di Formula 1 era già di per sé grande ma il fatto d’istituire una vera e propria gara tra tutti i partecipanti per premiare il giro più veloce non ha fatto altro che ‘accendere’ ulteriormente gli animi. Incredibili le sensazioni realistiche prodotte dal simulatore: la vettura fa percepire il fondo stradale, reagisce in maniera realistica quando si sale sui cordoli e, soprattutto, ha una straordinaria sensibilità all’accelerazione e alla frenata che permette di provare il brivido della velocità al volante di un mezzo tanto sofisticato. Con un vantaggio: dopo ogni eventuale incidente o testacoda, è sempre possibile ripartire senza danni collaterali. Ugualmente adrenalinica l’esperienza cronometrata del pit-stop: svestiti i panni dei piloti e indossati quelli dei meccanici, ciascun gruppo formato dai sei persone si è cimentato nella classica operazione di cambio gomme per ambire al riconoscimento di ‘squadra’ più veloce e affiatata.
UN GIORNO DA PROTAGONISTA
Nel secondo caso, invece, comodamente seduti a bordo di una navetta riservata, il gruppo ha potuto effettuare un esclusivo tour panoramico all’interno della pista di Fiorano, dove dal 1972 si sono svolti i test delle vetture da competizione e stradali, e della fabbrica Ferrari, cuore degli stabilimenti dove vengono prodotte tutte le vetture del Cavallino e dove hanno sede alcune significative strutture architettoniche realizzate da architetti del calibro di Renzo Piano, Massimiliano Fuksas, Jean Nouvelle, Marco Visconti e Luigi Sturchio. Terminate le attività programmate, il gruppo si è ritrovato al gran completo presso il Convention Center Ferrari messo a disposizione esclusiva per l’intera giornata. Prima di svelare le classifiche e premiare i vincitori sia del giro più veloce al simulatore, sia del cambio gomme più celere, molto gradita è stata la visita al Museo Ferrari, una struttura avveniristica che avvolge come in un abbraccio la casa dove nacque Enzo Ferrari, dove nacque la leggenda. Oltre 2.500 metri quadrati in cui ammirare non solo le automobili esposte, ma anche la magica storia dei 90 anni di vita di Enzo Ferrari e l’officina di suo padre, perfettamente restaurata e divisa in cinque settori: quello dei motori a basso frazionamento, da 1 a 6 cilindri; quello dei classici 12 cilindri; quello degli 8; quello dei turbo; e, infine, quello della Formula 1. Ph. Sergio Nessi - puoi vedere tutte le immagini dell’evento su www.qui.bg.it
TRA LE MOLTEPLICI INIZIATIVE PROGRAMMATE, GRANDI APPREZZAMENTI HANNO RISCOSSO SIA L’ESPERIENZA DI GUIDA AL SIMULATORE UFFICIALE FERRARI, SIA LE PROVE DI CAMBIO GOMME CRONOMETRATO
NON DA MENO L’ESCLUSIVO TOUR PANORAMICO ALL’INTERNO DELLA FABBRICA FERRARI, CUORE DEGLI STABILIMENTI DOVE VENGONO PRODOTTE TUTTE LE VETTURE DEL CAVALLINO, E DELLA PISTA DI FIORANO
Per non parlare della Sala delle Vittorie, forse il passaggio più emozionale per chi si accosta al tempio dell’auto: una sala in cui sono custoditi i trofei, le immagini dei piloti che hanno reso grande il Cavallino rampante nel mondo e le splendide monoposto che hanno lasciato impresso sull’asfalto dei circuiti più prestigiosi il nome indelebile della scuderia italiana per eccellenza.
CERESOLI UTENSILI Srl
Rapiti dal fascino delle sale anche se un po’ provati dal fisiologico scemare dell’adrenalina, ci si è ritrovati intorno alle 18 per il saluto finale non prima, però, di assistere alle tanto attese premiazioni e podi per foto di rito. Un degno finale per una giornata da protagonisti di cui ciascun partecipante si ricorderà a lungo.
Via Marconi, 52 - Comun Nuovo (Bg) Tel. 035 595064 - 035 595764 info@ceresoli.it - www.ceresoli.it
MARTA SAVONA, AVVOCATO E RESPONSABILE DELLA DELEGAZIONE UMBERTO VERONESI A BERGAMO
l’eredità di umberto Testo Tommaso Revera
A BERGAMO L’ASSOCIAZIONE CHE SOSTIENE LA FONDAZIONE DEL GRANDE ONCOLOGO UMBERTO VERONESI Promuovere la ricerca di eccellenza e la divulgazione della scienza: questa la mission della Fondazione Umberto Veronesi presente anche a Bergamo con una delegazione costituita nel 2018 e composta da sole donne… La Fondazione Umberto Veronesi nasce nel 2003 per volontà dello stesso Umberto Veronesi che, dopo aver fondato lo IEO, l’Istituto Europeo di Oncologia, convocò i suoi sei figli (4 maschi e 2 femmine) dicendo loro che aveva intenzione di costituire una fondazione che si occupasse di due sue grandi passioni: la divulgazione scientifica - perché solo comunicando in modo adeguato la scienza ai cittadini (e non solo medici e scienziati) è possibile ottenere l’obiettivo di sensibilizzare le persone sui corretti stili di vita (corretta alimentazione, necessità di adottare comportamenti sani evitando l’abuso di alcol e fumo, praticare una regolare attività sportiva, ecc) - e il finanziamento alla ricerca scientifica per il progresso delle scienze. La ricerca procede per piccoli passi ma sono proprio queste piccole conquiste che negli anni ci hanno portato a migliorare sempre di più le cure: non è un caso, dunque, se oggi siamo arrivati a guarire il 60% dei tumori.
Avv. Marta Savona dalla sua nascita ad oggi la Fondazione Veronesi ne ha percorsa di strada… “Dal 2003 (anno della sua costituzione) ad oggi, la Fondazione Veronesi è cresciuta in maniera significativa con ben 23 delegazioni sparse in tutta Italia oltre alla sede di Milano. Quella di Bergamo è stata costituita nel 2018 in seguito ad una conoscenza personale con la Fondazione per alcuni progetti di divulgazione scientifica che avevano lo scopo di coinvolgere gli studenti”. Quali sono state le prime iniziative di cui vi siete occupate sul territorio di Bergamo? “La prima iniziativa che ci ha viste protagoniste, pur senza aver costituito una delegazione vera e propria, è stata allestita già nel 2017 in occasione della campagna ‘Io vivo sano’, patrocinata dal Comune di Bergamo e rivolta ai ragazzi di terza, quarta e quinta superiore. Si è trattato di un workshop cinematografico incentrato su temi quali l’uso di alcol e il fumo da sigaretta a cui ha fatto seguito da un dibattito scientifico. Un’iniziativa riproposta anche nel 2018, sempre presso l’Auditorium di p.zza Libertà, e quest’anno presso all’Istituto Professionale Cesare Pesenti”. Come è nata l’idea di affiancare a questi progetti divulgativi anche evento come il recente torneo di tennis organizzato presso il Tennis Club Città dei Mille? “Da questi progetti di mera divulgazione è nata la richiesta di rappresentare la Fondazione anche in altri contesti cittadini affiancandoci, di fatto, alle innumerevoli iniziative organizzate gratuitamente in tutta Italia dalla sede centrale. Così è nata l’idea del torneo di tennis, un’occasione non solo per sensibilizzare l’opinione pubblica sui corretti stili di vita ma anche un’opportunità importante per raccogliere fondi da destinare ai ricercatori”. Il suo personale bilancio rispetto a quest’ultima iniziativa proposta? “Il torneo di tennis allestito con il prezioso aiuto di Banca Mediolanum presso il Tennis Club Città dei Mille dal 7 al 14 giugno scorsi, ci ha visti in campo per la ricerca sui tumori pediatrici. I proventi di questa iniziativa sono stati devoluti a Gold for Kids, il progetto con cui Fondazione Umberto Veronesi raccoglie fondi da destinare al finanziamento del protocollo di cura per la leucemia linfoblastica acuta. È stata un’esperienza molto positiva che sicuramente riproporremo in futuro con il coinvolgimento di altri club. Incarna appieno lo spirito della Fondazione Umberto Veronesi: promuovere lo sport e il benessere, oltre a far conoscere e divulgare tutti gli altri progetti”. Un’iniziativa importante che si aggiunge ad altri eventi degni di nota, non è così? “Esattamente. Un altro progetto molto importante è quello intitolato ‘Pink is good’ grazie al quale finanziamo la ricerca sull’oncologia femminile ma non è il solo: annualmente vengono proposte altre significative iniziative dedicate anche alla cardiologia e alle neuroscienze”. Nel 2019 a fronte delle 543 domande pervenute la Fondazione ha conferito ben 162 borse di studio e 10 Travel Grant semestrali: un risultato lusinghiero ma che si spera di migliorare anno dopo anno… “Ogni anno la Fondazione Umberto Veronesi eroga borse di ricerca rivolte ai migliori medici e ricercatori impegnati in tutta Italia in ambito di oncologia, cardiologia, neuroscienze e nutrigenomica. I finanziamenti vengono assegnati tramite un bando pubblico secondo una logica di merito, imparzialità e trasparenza. Non è un caso, dunque, che l’Impact Factor (il punteggio che indica il valore e il prestigio di ogni rivista scientifica) delle ricerche sostenute negli ultimi 5 anni sia stato superiore (7.14) rispetto alla media degli IRCCS nazionali (4.3)”. La delegazione Fondazione Umberto Veronesi di Bergamo da chi è composta? “Io sono la Responsabile ma ho la fortuna di coordinare un team di donne capitanate da Virna Bassani, l’ideatrice del torneo di tennis appena concluso, dotate di estro, creatività e intraprendenza. Siamo tutte donne giovani, professioniste e mamme”. Come conciliate vita privata e professionale con tutti questi impegni? “Ci siamo riunite nella volontà di fare qualcosa di più, di volere in qualche modo restituire un po’ di quello che abbiamo reinvestendolo in questi progetti che, va riconosciuto, sono di altissimo spessore”.
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Be Happy: a Bergamo l’hamburger gourmet In via Broseta, a pochi passi da Piazza Pontida, ha aperto BeHappy, la polenteria e paninoteca già nota a Crema. Il locale, gestito da Fabio Verdelli e Stefano Cerullo, nasce dal desiderio di rivisitare l’unione tra i prodotti della terra e le migliori carni italiane in chiave street food. Il risultato? Hamburger gourmet che rappresentano una perfetta simbiosi tra alta cucina ed informalità. Vengono selezionate, infatti, solo carni certificate provenienti da allevamenti 100% italiani: la collaborazione con la macelleria di Franco Cazzamali di Romanengo, il mago del ‘quinto quarto’, è garanzia di assoluta qualità. Da Be Happy - Tailor Made Food Factory Via Broseta, 3 - Tel. 347 8282240 - www.behappybergamo.it info@behappyfoodfactory.com FB @behappybergamo
UROLOGIA DEL TERZO MILLENNIO L’UROLOGIA NEGLI ULTIMI 60 ANNI HA FATTO PASSI DA GIGANTE OFFRENDO ALLE CURE DEI PAZIENTI NUOVE TERAPIE SEMPRE PIÙ EFFICACI E TECNOLOGICAMENTE ALL’AVANGUARDIA
Nato 25 anni fa, il Centro Medico Valseriana Polispecialistico di Vertova rappresenta la più importante realtà di struttura privata e convenzionata, di servizi diagnostici medicichirurgici in Val Seriana. La nostra ambizione è quella di migliorare la salute delle persone, utilizzando le tecnologie più innovative e collaborando con i migliori medici specialisti della provincia di Bergamo. La nostra struttura offre prestazioni sanitarie specialistiche, mediche, chirurgiche, cliniche, strumentali e di prevenzione (checkup). Accogliamo ogni giorno i nostri pazienti impegnandoci con cortesia e professionalità durante tutto il loro iter terapeutico diagnostico e riabilitativo, in quanto la loro salute è il nostro obiettivo finale. AL SERVIZIO DELLA TUA SALUTE. DA 25 ANNI ACCANTO ALLA GENTE CON PASSIONE E IMPEGNO
Di cosa si occupa l’urologia? Lo abbiamo chiesto al Dott. Massimo Tura, specialista urologo del Centro Medico Valseriana e del Policlinico di Monza. “L’urologo ha il compito di diagnosticare e trattare le patologie dell’apparato urinario femminile e maschile e le patologie dell’apparato sessuale maschie, sia benigne che maligne”. Quali sono gli interventi che effettuate più frequentemente? “Sicuramente quelli endoscopici e laparoscopici che consentono di risolvere problematiche legate alla patologia tumorale renale, vescicale e prostatica. Oggigiorno l’introduzione della chirurgia robotica ha consentito di rendere la chirurgia urologica meno invasiva e più sicura. Altra patologia che frequentemente richiede un approccio operativo è la litiasi urinaria dal rene al meato ureterale esterno; l’utilizzo di strumenti a fibra ottica e di piccole dimensioni rende possibile oggi introdursi sino alle più piccole cavità renali. La fibra laser rende possibile la litotrissia di tutti i calcoli. Ulteriore capitolo riguarda il trattamento della patologia benigna genitale che comprende le cisti epididimarie, l’idrocele, la fimosi e parafimosi e non da ultimi le condilomatosi del pene (patologie queste risolvibili presso il Centro Medico Valseriana in quanto dotato di sala operatoria attrezzata). Ulteriore procedura effettuabile presso il centro medico seriano è la cistoscopia, un’indagine che consente di porre in evidenza tumori vescicali, ipertrofia prostatica e calcolosi vescicale”. Parliamo di prevenzione in urologia… “È molto importante poter disporre di marcatori tumorali o test diagnostici che consentono di porre diagnosi precoce di alcuni tumori. Tra questi quello più usato ed abusato è e resta il PSA sierico il quale rappresenta un valido strumento nelle mani esperte per poter porre diagnosi precoce del tumore prostatico. Ricordo come tale test per gli uomini (sopratutto per quelli con genetica familiare positiva) vada intrapreso dai 45 anni in poi. Altro test importante per il tumore vescicale sono le CTM urine in 3 campioni”. Una problematica assai diffusa in ambito urologico è l’incontinenza urinaria: quali tipologie esistono e come si possono curare? “Trattasi della perdita costante ed incontrollata di urina. Più frequente nel sesso femminile, legata a problematiche vescicali, distinta in Urge incontinence e Stress incontinence. La prima legata alla presenza di una infezione urinaria mentre la seconda trova la sua origine in un prolasso vescicale (gravidanza,pregressi interventi di isteroannessiectomia). La presenza di una incontinenza maschile è per lo più legata a provvedimenti chirurgici sul basso apparato urinario (prostatectomia radicale). La diagnostica dell’incontinenza prevede la coltura urinaria, una ecografia renale ed una cistografia minzionale seguiti dallo studio urodinamico. La terapia della urge prevede una mirata terapia antibiotica mentre nel caso di stress si interviene con degli interventi di sospensione vescicale in modo da riportare la vescica al centro del pavimento pelvico, interventi questi che oggigiorno vengono eseguiti con le moderne tecniche laparoscopiche. Nell’uomo, invece, si agisce direttamente sull’uretra mediante l’uso di benderelle compressive sino al posizionamento, nei casi più gravi, di sfintere artificiale”.
BIOGRAFIA DOTT. MASSIMO TURA Nasce a Bergamo nel 1957 e dopo studi scientifici si laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Milano nel 1983 con 110/lode e sempre qui si specializza in Urologia nel 1988. Dal 1984 al 1989 esercita presso il reparto di Urologia del Policlinico San Marco di Zingonia acquisendo esperienza in Endourologia prima con il Prof. Franchi e poi con il Prof.Tombolini. Dal 1989 al 1998 è aiuto Urologo presso gli Ospedali Riuniti di Bergamo collaborando con il Prof. Lembo ed acquisendo competenze chirurgiche. Successivamente perfeziona il suo status urologico presso l’Ospedale Consorziale di Treviglio dal 1998 al 2002. Dal settembre 2002 è responsabile del reparto di Urologia del Policlinico di Monza. In tutto questo periodo ha frequentato corsi di aggiornamento ed ha al suo attivo più di 2.000 interventi endoscopici e 1.000 di chirurgia maggiore.
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MANTEGNA E VITALI
Vitali Spa è un’ azienda che opera nel settore delle costruzioni con divisioni specializzate molto presente sul nostro territorio. A fine mese inizieranno i lavori di riqualificazione dell’Aeroporto di Linate che contempla il rifacimento totale della pista. A Bergamo nel mese di maggio ha presentato il Master Plan “Bergamo La Città del Futuro” che riguarda la riqualificazione di tutta l’area attualmente occupata dallo scalo merci delle Ferrovie e meglio conosciuta come operazione Porta Sud che potrebbe cambiare il volto della città. Qualche mese prima, Vitali Spa, aveva portato a termine in partnership con il Comune di Bergamo, la riqualificazione degli spazi espositivi della Barchessa di Destra (ora Ala Vitali) presso l’Accademia Carrara.
Un dipinto attribuito lo scorso anno ad Andrea Mantegna grazie all’intuizione di Giovanni Valagussa, un conservatore dell’Accademia Carrara, che ha scoperto una piccola croce visibile solo a uno sguardo attento sul limite inferiore del dipinto: un segno chiaramente incompleto, indizio dell’esistenza di un prosieguo dell’opera. Il conservatore della Carrara è riuscito a rintracciarlo a Princeton, USA, nella collezione di Barbara Piasecka Johnson. La Resurrezione si è rivelata dunque parte di una grande pala divisa in due scene, che nella porzione inferiore presentava la Discesa di Cristo nel limbo secondo una rara iconografia di origine tedesca.
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Per coronare una stagione particolarmente ricca di affermazioni Vitali Spa, anche per celebrare il 30° anno dalla fondazione, ha organizzato una visita guidata alla mostra dedicata al Mantegna presso l’Accademia Carrara, invitando collaboratori clienti ed amici che hanno così potuto apprezzare dalle parole del prof. Giovanni Valagussa tutte le fasi della scoperta e dell’attribuzione del prezioso dipinto. Nell’occasione Vitali ha voluto ringraziare anche l’Amministrazione Comunale, presente con il primo cittadino Giorgio Gori, per l’opportunità offerta e l’Accademia Carrara per la disponibilità dimostrata.
Ph. Sergio Nessi - puoi vedere tutte le immagini dell’evento su www.qui.bg.it
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So beautiful… so Lady Green Bar! Un’oasi verde nel cuore della città. Così potremmo definire Lady Green Bar, il nuovissimo locale inaugurato lo scorso 29 giugno a Busnago, al civico 162 di Via Italia. Un progetto nato dall’idea imprenditoriale di Sara Nembrini e della mamma Sonia Da Prato - già titolare di numerosi locali - di creare un vero e proprio giardino nel quale la musica potesse fondersi con l’allegria dei suoi clienti, generando una dimensione unica e speciale. E così il progetto ha preso vita, confluendo in uno spazio ricercato impreziosito da due pareti completamente rivestite di verde, fiori e farfalle, elementi capaci di infondere assoluta tranquillità grazie al potere della natura. Non solo: da Lady Bar ogni cliente troverà una dimensione “green” anche nell’offerta gourmet, con colazioni dolci e salate, aperitivo con buffet ogni giorno differente, piatti freddi curati sia nella presentazione che nella scelta delle materie prime di alta qualità, cocktail raffinati (dai classici ai più ricercati) perfetti da accompagnamento ad un buffet gourmet d’eccezione. Ciliegina sulla torta la musica, ingrediente fondamentale per serate indimenticabili. Proprio come il Grand Opening, l’inaugurazione ufficiale di Lady Green Bar, che ha registrato una grandissima affluenza di ospiti e un mare di apprezzamenti sia per lo stile che per il locale. Chicca della serata la presenza di Radio Radio, emittente radio televisiva di Roma, che per l’occasione è stata ON AIR proprio nel locale stesso. Un ampio buffet e quattro postazioni barman per cocktail no stop hanno deliziato tutti gli ospiti, rapiti in seguito da uno spettacolo acrobatico cerchio aereo, da un dj set e dal taglio della squisita torta. Una celebrazione perfetta per l’inizio di una nuova avventura firmata Lady Green Bar che per tutta l’estate accompagnerà i suoi clienti con appuntamenti imperdibili.
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anni azzurri A cura della Direttrice Francesca Galli francesca.galli@anniazzurri.it
I PRIMI 5 ANNI INSIEME A VOI La Residenza Anni Azzurri San Sisto festeggia i suoi primi 5 anni di attività. Un ricorrenza che cadrà domenica 21 luglio, e che verrà celebrata all’insegna dello stare insieme. “Un’intera giornata per condividere un momento molto importante insieme ai veri protagonisti di questi primi anni insieme: i nostri ospiti e i loro familiari”, ha sottolineato la dott. ssa Francesca Galli, direttrice della Residenza Anni Azzurri San Sisto, ricordando che l’obiettivo primario perseguito da tutti gli operatori della struttura è contribuire ad offrire agli ospiti la migliore qualità di vita supportata dal calore umano. Situata in un elegante edificio di nuova costruzione, a pochi passi dalla chiesetta di San Sisto, nell’area ex vivai Franchi di Bergamo, lungo la nuova strada che interseca via San Bernardino, la struttura si articola su quattro piani e dispone di 120 posti letto. La posizione tranquilla, che gode della vicinanza di un ampio parco attrezzato e può contare su un comodo parcheggio collegato, contribuisce ad assicurare agli ospiti e alle famiglie un contesto sereno e accogliente. La Residenza offre ospitalità e servizi assistenziali sia ad anziani autosufficienti, che a persone con diverse condizioni di non autosufficienza e/o grave decadimento cognitivo, per soggiorni di lungodegenza o temporanei, in seguito ad eventi acuti o ricoveri pre/post operatori, nonché ricoveri di sollievo. Di particolare rilevanza l’impegno a favore degli ospiti con demenza senile e malattia di Alzheimer, cui sono dedicati ambienti specifici, situati nel piano protetto.
Anni Azzurri San Sisto si distingue per la qualità dei servizi, la cura negli standard alberghieri e per l’attenzione globale alla persona attraverso il sorriso, la professionalità e la disponibilità. La struttura può contare su una qualificata assistenza medico infermieristica e, oltre ai tradizionali servizi riabilitativi, offre quattro nuovi Percorsi Integrativi di Stimolazione e Rieducazione calibrati sulle necessità di ciascun ospite. L’anniversario dei primi 5 anni di attività sarà l’occasione per raccontare l’impegno realizzato da Anni Azzurri a favore dell’anziano, nel segno dell’ospitalità e dei servizi assistenziali innovativi. Per tutta la giornata del 21 luglio verranno organizzati festeggiamenti e momenti di gioco insieme agli ospiti, agli operatori e ai familiari, che si cimenteranno in sfide e gare di abilità. Si proseguirà con tanta musica e con balli anni ‘20 – ‘50 – ‘80, organizzati e realizzati da tutti gli operatori della Residenza. “Proietteremo inoltre fotografie e brevi filmati per raccontarci e per ricordare il percorso compiuto insieme, le nostre feste più belle, le nostre amicizie”, ha affermato la direttrice Galli. Sarà inoltre presente un’esposizione di auto d’epoca organizzata in collaborazione con il Club Orobico Bergamasco, che testimonia come la Residenza San Sisto sia una residenza aperta al territorio, con cui sviluppa diverse attività, per consentire agli ospiti di vivere a stretto contatto con la comunità di appartenenza. Il tutto sarà accompagnato da un fresco buffet. Un vero momento di gioia e condivisione dunque, per scrivere insieme un’altra pagina di storia della Residenza.
In collaborazione con
Via Colognola ai colli, 8 - Bergamo - Tel. 035 08641 - Fax 035 19909256 - residenzasansisto@anniazzurri.it
Due anni fa, in una freddissima mattina di dicembre, veniva inaugurata quella che resta una delle realizzazioni più significative della Dy Costruzioni Generali: il nuovo superstore Conad ad Iseo. Grazie ad un progetto architettonico ardito si è riusciti a fare in modo che quel ‘grande negozio’ non avesse l’aspetto triste e anonimo dei tanti commerce center a cui siamo abituati. Piuttosto, un elemento inserito nel contesto in modo ammirevole, più simile alla location di una galleria d’arte moderna che ad un supermercato. “Distinguersi, scegliere sempre il top della qualità in ogni elemento del progetto, non trascurare alcun particolare, avendo sempre presente che i nostri clienti in quei luoghi ci dovranno vivere o lavorare e noi scegliamo ogni giorno di mettere al servizio la nostra professionalità ed esperienza per rendere tutto ciò il più confortevole possibile. Il costante impegno quotidiano in questo lavoro è il nostro credo e il nostro vivere.”
V.E.Filì Fotografie Paolo Biava
daniel Pezzini, titolare di dy costruzioni generali ha inaugurato il 29 giugno la nuova sede di capriolo
Dy: nuova sede e nuovi orizzoNti
IL CAPANNONE DI UNA FILATURA DEGLI ANNI ‘50 DIVENTA LA BELLISSIMA NUOVA SEDE DI DY COSTRUZIONI. NUOVI UFFICI, NUOVO MAGAZZINO EDILE, LOGISTICO E PRODUTTIVO, MA SOPRATTUTTO UN AMPIO SHOW ROOM PER SCEGLIERE E CONFRONTARE, TRA LE MIGLIORI AZIENDE DEL MERCATO, PAVIMENTI E RIVESTIMENTI IN LEGNO, CERAMICA E PIETRE NATURALI O RICOSTRUITE CON UN ULTERIORE ESPOSIZIONE DEDICATA AI SERRAMENTI IN ALLUMINIO. DY COSTRUZIONI GENERALI DEDICANDOSI A PIENO AL PROPRIO LAVORO, CREA LA DIVISIONE DY SERRAMENTI DIVENTANDO FIN DA SUBITO PARTNER AREA PONZIO, AZIENDA LEADER NEL MONDO DEI PROFILATI IN ALLUMINIO, AD ALTISSIMA TECNOLOGIA E QUALITÀ, INCONTRANDO LE MASSIME PERFORMANCE TERMICHE ED ACUSTICHE CON DESIGN MINIMALI. ADESSO CON UNA PRODUZIONE INTERNA, DIRETTAMENTE NELLA NUOVA SEDE DI CAPRIOLO (BS) CON L’AUSILIO DEI MIGLIORI MACCHINARI E ATTREZZATURE
Dy Costruzioni Generali nasce con Daniel Pezzini il quale giovanissimo ha iniziato a lavorare come muratore facendo gli studi serali cercando la propria indipendenza molto presto. Una scelta che lo porterà molto lontano e, passo dopo passo, con grande coraggio e tanto impegno, in questi vent’anni si è guadagnato la fama di costruttore scrupoloso. Le sue realizzazioni hanno sempre un tocco di contemporaneità senza mai stravolgere il contesto nel quale vengono inserite. Si tratti di siti industriali o di residenze prestigiose, Dy costruzioni generali, che ho scoperto si debba dire Dai…, si distingue sempre per la ricercatezza dei progetti, per l’accurato studio pre-progettuale, per l’indiscutibile livello delle scelte dei materiali e della componentistica a 360° operando come general contractor, ma di fatto producendo e operando in proprio quasi nella totalità delle lavorazioni necessarie al cantiere, come nel caso di Conad e rendendosi responsabile unico del risultato finale. Dopo vent’anni Dy Costruzioni Generali si costruisce una nuova sede, ristrutturando in maniera davvero ammirevole il vecchio capannone di una filatura, abbandonato da tempo a poche centinaia di metri dalla precedente sede. “Oltre a dotare la struttura di un luogo più accogliente rispetto a prima - dice Daniel Pezzini - avevamo bisogno di spazi adeguati per sviluppare alcuni aspetti che mi attiravano da tempo come, ad esempio, realizzare in casa Serramenti in alluminio di altissima qualità, utilizzati per le nostre costruzioni con evidenti maggiori controlli su ogni processo produttivo, logistico e gestionale, apportando importanti vantaggi ai nostri clienti… Ci siamo legati a Ponzio Alluminium azienda al top nella produzione dei profilati in alluminio per la qualità del prodotto. Eseguiamo la progettazione di serramenti, finestre, facciate continue, alzanti scorrevoli e porte oppure persiane e molto altro ancora.
Il tutto con il nostro studio tecnico formato da specialisti di pluriennale esperienza, eseguendo ogni lavorazione internamente, offrendo la fornitura e la posa certificata e rimanendo fedeli alle richieste architettoniche e normative necessarie. La stessa Ponzio opera una severa selezione e un attento controllo sui materiale e sui processi produttivi con un centro ricerche e sviluppo interno di ultimissima generazione, effettuando centinaia di prove su ogni tipologia di prodotto e garantendo ogni passaggio. All’entrata della nuova sede, oltre alla reception, si trova lo showroom dove oltre ai suddetti serramenti vengono proposte varie soluzioni per le pavimentazioni e rivestimenti, con materiali innovativi e tecnologicamente avanzati con marchi come ITLAS Parquet, Gruppo Romani con Cercom, Serenissima e Cir, Marazzi e Casalgrande Padana. Grande ricerca ed esposizione degli ultimi ritrovati. In pratica Dy Costruzioni Generali ha voluto fortemente nella nuova sede dar spazio alle migliori aziende del mercato a servizio dei propri clienti. Sul retro degli uffici, una parte del grande capannone è adibita alla produzione dei serramenti e porte, un’altra dedicata alla carpenteria metallica che realizza internamente cancelli, parapetti, scale, sistemi di sicurezza, soppalchi, pensiline e ogni opera in ferro anche battuto e la restante parte a magazzino, viene utilizzata per lo stoccaggio dei materiali di cantiere e attrezzature con un ampio piazzale adibito al ricovero dei mezzi utilizzati per i trasporti aziendali, scavi, opere stradali e di demolizione. Infine, per completare la mappatura della nuova Dy Costruzioni Generali, oltre alle costruzioni, ai serramenti in alluminio, alla carpenteria metallica e alle pavimentazioni/rivestimenti, è nata anche Dy Real Estate che si occupa della vendita e della locazione di immobili civili, industriali e commerciali di proprietà.
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Ph. Paolo Biava - Puoi vedere tutte le immagini dell’evento su www.qui.bg.it
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All’entrata della nuova sede, oltre alla receptions, si trova lo show room dove oltre ai suddetti serramenti vengono proposte varie soluzioni per le pavimentazioni, con materiali innovativi e tecnologicamente avanzati. Sul retro, una parte del grande capannone è adibita a laboratorio per la produzione dei serramenti e l’altra a deposito dei vari materiali di cantiere e al ricovero dei mezzi utilizzati per i trasporti aziendali. Ma il network di divisioni Dy adesso comprende anche una completa officina di carpenteria metallica che realizza cancelli. parapetti, scale, sistemi di sicurezza, soppalchi, pensiline e ogni opera in ferro battuto. Infine, per completare la mappatura della nuova Dy, oltre alle costruzioni, ai serramenti, alla carpenteria e alle pavimentazioni, è nata anche Dy Real Estate che si occuperà della vendita e della locazione di immobili civili e industriali.
A Sarnico Dy Costruzioni propone ultimi spettacolari appartamenti lungolago Carlo Riva
© Dy Costruzioni Generali,Via Palazzolo 70, Capriolo (BS) Tel.030 8366027 E-mail: info@dycostruzioni.com
Me lo immagino sedicenne, con sotto il naso i primi accenni di quelli che diventeranno i baffi più famosi del Lago d’Iseo, farsi largo fra gli operai sulle corriere, dove ancora si fumava, che alla mattina presto li portavano a lavorare nelle grandi fabbriche dell’hinterland milanese. Battista, di cognome Marini, figlio di un bravo fotografo di quelli di una volta specializzato in matrimoni, venne avviato alla professione di ottico per decisione del padre, stanco di vedersi costretto a procurarsi continuamente occhiali speciali che doveva far arrivare dalla Germania per l’altro figlio Maurizio, il quale, fin da bambino, doveva combattere con un particolare problema che gli impediva una vista perfetta. Questo l’aneddoto e, se Maurizio non vedeva bene, ci aveva visto invece benissimo chi scelse quella strada per Battista. Infatti oggi, come testimoniano le immagini, la premiata Ottica Marini è arrivata al traguardo del 50° anno di vita. “Si partiva alla mattina - racconta un emozionato Battista nel discorso pronunciato in occasione della festa per il 50° anniversario - alle 5 e mezza, che voleva dire svegliarsi alle 4 e mezza. Lungo il tragitto mi addormentavo regolarmente e mi dovevano svegliare gli altri che facevano i pendolari con me, quando si arrivava in Piazza Castello. In quegli autobus, omaccioni con la schiscetta sotto braccio, fumavano le Alfa o le Nazionali e aspirare quel fumo mi stordiva non poco mentre quell’odore mi rimaneva addosso tutto il giorno. In Piazza Castello prendevo il tram da cui, ad un certo punto, scendevo per percorrere a piedi un viale lunghissimo in fondo alla quale sorgeva l’Istituto Ottico. Mi ricordo che nelle mattine d’inverno la nebbia era così fitta che, non vedendo a distanza di due metri, sembrava di non arrivare mai, come sospesi nel nulla”.
cinquant’anni
Marini dagli occhiali al cocca hotel
Ricordi di un sedicenne che, dopo un diploma in meccanica, si avventura per le strade di Milano per farsi un avvenire, quando ancora gli ottici diplomati erano pochi. Sarà forse questa frequentazione metropolitana, per un tipo curioso e comunicativo come lui, a dargli quell’aria assai poco provinciale e un po’ aristocratica. Arriverà al diploma e, dopo un periodo di apprendistato presso un famoso ottico di Brescia, Battista aprirà il suo primo negozio, sempre con il fratello Maurizio che ne segue le orme come ottico. Il nuovo negozio andrà ad aggiungersi a quelli di fotografia che i fratelli Remo e Silvano avevano aperto ereditando la passione per la fotografia dal padre. Ottica Marini in breve diventa l’ottico di fiducia di tanta gente e il suo lavoro è apprezzato dagli oculisti che in lui trovano un interlocutore sempre preparato e disponibile anche alle sfide più difficili. Avrebbe anche potuto accontentarsi ma, sempre con Maurizio al suo fianco, e con il grande aiuto delle rispettive mogli, decide di dare corpo ad una visione quasi fantastica: realizzare un hotel di lusso sulle amate sponde del lago d’Iseo. Perché un ottico si butta in un’impresa difficile come quella di costruire da zero un hotel, con piscina, spa, ristorante, con la chicca di un reparto di massaggi thailandesi di gran classe?
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Una vera pazzia, un investimento importante in una situazione complicata da tanta burocrazia. Il fiuto per il business, in questi casi, non è sufficiente: serve passione per una impresa messa a disposizione di un territorio che si ama e che si vuol veder crescere nel segno della sostenibilità. Una fabbrica in meno per un hotel in più.Un’impresa che crea lavoro, alimenta un volano economicamente virtuoso per un turismo potenzialmente inesauribile. Dalla sua parte l’amico di sempre Carlo Riva, l’ingegnere che ha realizzato i motoscafi più belli del mondo e che ha sempre fatto il tifo perché si sviluppassero attività turistiche sul “suo” lago. Oggi, quella pazzia, è una splendida realtà, si chiama Cocca Hotel e riesce ad attirare sul lago d’Iseo una folta clientela di svizzeri, di tedeschi, di inglesi e anche di americani, vera novità degli ultimi tempi. Sarà stato l’effetto Christo, sarà che il lago d’Iseo è sempre più meta di attori e gente importante, il Cocca Hotel è proprio quello che ci voleva per poter offrire con continuità, ospitalità ad un turista di un certo livello a cui proporre, oltre alla bellezza del lago, anche una serie di servizi esclusivi per viverlo nel migliore dei modi.
Ph. Sergio Nessi - Puoi vedere tutte le immagini dell’evento su www.qui.bg.it
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Come la navigazione con gli esclusivi motoscafi di casa Riva, le cene a lume di candela a Montisola, o la spa con una grande piscina riscaldata, saune, bagni turchi, idromassaggio e il centro massaggi thailandesi, quelli veri, con esperte professioniste che sanno come rimetterti in sesto. Così, la sera del 2 luglio scorso, Battista e Maurizio Marini hanno voluto festeggiare nell’elegante sala del Cocca Hotel il loro mezzo secolo con i collaboratori e gli amici. Prelibatezze in tavola unite ai bei ricordi a cui hanno voluto partecipare anche l’ex Questore di Bergamo, Girolamo Fabiano, il Generale Gregorio Paissan, per anni comandante dei Carabinieri a Bergamo e Carmen Pugliese, Sostituto Procuratore della Repubblica di Bergamo la quale, ben lontana dall’immagine di inflessibile magistrato che le conosciamo, ha voluto ricordare le serate romantiche trascorse in questo posto con il suo amore dove sembra di essere lontanissimi da tutto pur restando a due passi dalla città.
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Manuel Bonfanti - Fotografie Paolo Biava
la fotografia nel sangue
Virgilio e Rocco Fidanza
Quando una fotografia ci narra qualcosa? V.F.: “Quando si ha qualcosa da raccontare e lo si sa raccontare passando dai concetti alle immagini. Molti possono avere cose da raccontare ma non tutti sanno trasporre i concetti nelle immagini, in quanto, quando si passa dalle parole alle forme plastiche, si scopre che le forme plastiche non sono il risultato di una sintassi costituita da tante particelle codificate come la scrittura, ma necessitano di costruzioni rappresentative che meno attingono alle convenzioni più sono potenti. Potremmo dire la stessa cosa della poesia se intesa come fuoriuscita dal linguaggio convenzionale” R.F.: “Quando mostra un fenomeno della realtà che non appare ad occhio nudo, ed il contenuto da oggettuale diventa proposizionale”. Cosa consigliereste a chi ancora non ritiene la fotografia un’arte? V.F.: “Direi che fondamentalmente ha ragione se intende per fotografia il medium, lo strumento. Ha invece discretamente torto se per fotografia intendiamo una specifica immagine, che al di là del medium utilizzato, ha uno spessore plastico e poetico. Dopo di che gli consiglierei di approfondire cosa intende dire con la parola arte, alla quale possiamo attribuire una serie di significati differenti tra loro. Ovvero il concetto di arte di Beuys non è quello di Mondrian”. R.F: “Dovrei innanzitutto consigliare qualcosa a me stesso. Probabilmente in questo momento storico, il non essere considerata un arte, non è il primo problema della fotografia”.
Chi sono gli scrittori che più vi stimolano per il vostro lavoro? V.F.: “Tutta la letteratura classica fino a metà novecento, perché poi faccio veramente fatica a trovare livelli significativi, per cui preferisco rileggere un buon libro piuttosto che leggere un libro modesto. Nella formazione culturale di ogni individuo dovrebbe poi trovare posto il prendersi cura delle proprie idee, visto che è proprio attraverso queste che produciamo mondo. Pertanto collocherei al di sopra di tutto una formazione filosofica, a prescindere dall’ambito in cui si intende operare. In quest’era in cui la tecnologia fa il mondo e tutto è frammentato e consegnato agli specialismi, diventa fondamentale non perdere la visione dell’insieme, del tutto. Dovremmo essere cioè consapevoli che ogni idea di mondo va valutata nella sua sostenibilità”. R.F.: “Alcuni drammaturghi come Harold Pinter e Tom Stoppard. La scrittura di Carver invece è già fotografica”. Come considerate la mutazione della fotografia dopo l’avvento di internet. Quali sono le principali trasformazioni che questo linguaggio ha subito? V.F.: “Non credo che esista un linguaggio tipico della fotografia o della pittura, ma come dicevo prima, esistono le forme plastiche delle immagini che nulla hanno a che vedere con le tecniche. Tuttalpiù potremmo parlare di linguaggi o stili che sono tipici di ogni autore. Esistono piuttosto immagini di ogni genere in cui riversiamo concetti significanti. Quindi se non esiste un linguaggio fotografico, dal mio punto di vista, non esiste mutazione dovuta all’avvento di internet, ma ciò non significa che la rete non abbia modificato il modo in cui produciamo e fruiamo delle immagini. Ma qui un approfondimento richiederebbe molto spazio e molto confronto. Basti però qui dire che a fronte di una diffusione illimitata di immagini, soprattutto tecnologiche, non corrisponde un innalzamento della cultura visiva, anzi, mai come ora, ci siamo trovati di fronte a una produzione così inconsapevole di immagini”. R.F.: “Come ogni mutazione non implicata dalla nostra volontà, terrificante. Non posso notare mutazioni di senso rispetto a ciò’ che accade in rete, ogni persona è una grande fan di se stessa e ritiene a mostrare quanto la sua vita sia meravigliosa. Per quanto riguarda la quantità di immagini a cui ci esponiamo su social e pagine web, dovremmo sempre ricordarci che stiamo alimentando un sistema commerciale che usa l’ immagine come cavallo di Troia per entrare nelle nostre teste”.
VIRGILIO NASCE A BERGAMO NEL 1953, È DOCENTE DI FOTOGRAFIA ALLA LABA, FOTOGRAFO PROFESSIONISTA, “LA FOTOGRAFIA E LE FOTOGRAFIE “È IL SUO ULTIMO LIBRO, EDITO DA LUBRINA BRAMANI EDITORE. ROCCO FIDANZA, NATO A SERIATE NEL 1989. VIVE A BERGAMO, LAVORA PRESSO LAIO STUDIO, AGENZIA DI CONTENUTI DIGITALI FONDATA NEL 2001
Virgilio e Rocco Fidanza. la fotografia nel sangue
Quando presentate delle mostre, oltre allo scatto, anche i materiali, le misure delle immagini, i supporti, li considerate parte della comunicazione? V.F.: “Per quanto mi riguarda sì, in quanto ogni singolo aspetto, orientato dall’idea che lo sostiene e lo orienta, deve fondersi con l’altro e costituire l’insieme unico dell’opera o del progetto”. R.F.: “La stampa, il supporto, il contesto espositivo, persino i rumori d’ambiente. Tutti elementi che il fruitore respira”. La fotografia in b/n è stata la memoria storica del 900. È stata con noi a scuola sui libri di storia, nello studio, nelle riflessioni meditative. È definitivamente finito quel ruolo? V.F.:”Dovremmo interrogarci, se ancora e per davvero, intendiamo continuare a credere alle immagini tecnologiche abbastanza ciecamente come abbiamo fatto sin ora, tanto da assegnare loro un ruolo così importante come quello della memoria. Indubbiamente la fotografia insieme ad altri mezzi, come pittura e poesia, concorre a fornire elementi utili nella ri-
costruzione storica. Ma come non chiederci se le immagini tecnologiche rappresentino veramente una sorta di fonte oggettiva, e se è proprio in virtù di questa attribuzione che continuiamo a collocarle, sul piano documentale, al di sopra di ogni altro strumento. La mia memoria storica non passa assolutamente attraverso l’immagine tecnologica, ma è segnata e arricchita, dai probabili ultimi bagliori, di quell’umanesimo che si è dispiegato in tutti i mezzi espressivi fino agli anni sessanta del secolo scorso”. R.F.: “Il colore è stato vincolato dalla possibilità tecnologica. Come il sonoro nel cinema. Oggi possiamo scattare a colori e scegliere come trattare l’ immagine per renderla più’ efficace”. Le tempistiche del rullino sono sepolte in favore del touch screen di uno smartphone? V.F.: “Magari fosse solo una questione di rullino. Tutte le tempistiche di vita sono state travolte dallo sviluppo tecnologico, ed è per questo che ritengo che non si possa parlare di progresso, ma di riduzione dell’umano”.
Ora tutto ciò che è virtuale è a portata di mano, siamo connessi in rete, ma sconnessi dal mondo reale e dalla nostra stessa natura. Siamo cioè passati dal servirci della tecnica ad essere asserviti ad essa. Oggi come allora è necessario sviluppare pensiero e produrre senso. R.F.: Di uno smartphone no. Pero’ di una macchina digitale volentieri. Se ci sentiamo tutti fotografi o tutti registi con i nostri pollici veloci, mi chiedo .. chi siete voi, chi vi sentite essere? V.F.: Professionalmente mi definirei un operatore culturale dell’immagine tecnologica. Umanamente però non mi identifico nella sola funzione professionale, ma nella relazione più ampia con la vita, ovvero la relazione diretta con il mondo. R.F.: Innanzitutto sono pagato per scrivere storie, posizionare luci, scattare. In qualche modo la mia professione mi identifica socialmente. Chiaramente per qualcun altro è più semplice credere di essere un fotografo o un regista o un chirurgo plastico. Rocco vuoi raccontarci della tua personale “140km/h” che hai tenuto nella sede del Parco dei Colli e dei progetti futuri?. R.F.: È stato un lavoro impulsivo, un urlo di fronte alla catastrofe dell’ uomo. Lo sviluppo dell’ esposizione è nato dalla collaborazione con Francesco Chiaro e Catherine Borra che si sono occupati anche di una pubblicazione interessante, “ come vediamo quel che ci è ignoto” ha affinato e reso la mostra un esperienza potente, grafica e fondata su concetti psicologici che descrivono l’ uomo moderno. A breve presenterò’ un lavoro immersivo ed interattivo di persistenza retinica e di vibrazione sonora, posso solo dire che parlerà della memoria.
Ardesio DiVino
Fotografie Francesco Bellini e Silverio Lubrini
TUTTO PRONTO PER LA XV EDIZIONE DELLA RASSEGNA ENOGASTRONOMICA IN PROGRAMMA IL PRIMO WEEKEND DI AGOSTO: SI PARTE CON LA CENA DIVINA FISSATA VENERDÌ 2 PER POI PROSEGUIRE SABATO 3 E DOMENICA 4 AGOSTO Si appresta a spegnere ben 15 candeline la rassegna enogastronomica Ardesio DiVino in programma ad Ardesio, in Valle Seriana (BG), il primo week-end di Agosto. Le corti, le vie e le piazze del caratteristico centro storico del comune seriano accoglieranno una settantina di selezionati produttori tra vignaioli ed artigiani del gusto che proporranno in assaggio e in vendita vini e prodotti tipici provenienti da tutta la penisola e anche dall’estero. La rassegna, che ogni anno registra la presenza di migliaia di appassionati e addetti al settore, è organizzata dalla Pro Loco Ardesio con il sostegno dell’amministrazione e la collaborazione di Paolo Tegoni/Gourmet Events & Consulting e del suo team, con Main Partner Banca di Credito Cooperativo Bergamo e Valli.
Quindici edizioni caratterizzate da una costante e continua attenzione per la qualità dei produttori e degli eventi proposti: la manifestazione favorisce l’incontro e il dialogo tra offerta e domanda tra chi con passione e dedizione produce vino ma anche formaggi, salumi, zafferano, caffè, miele, sidro, birra e molto altro.Tante le novità che caratterizzeranno l’edizione 2019 a partire dai veri protagonisti, i produttori, con l’arrivo di nuovi viticoltori: tra questi un produttore francese di champagne, vignaioli dalla Franciacorta e dall’Abruzzo e la riconferma di uno storico produttore dalla Slovenia.I vignaioli presenti alla 15esima edizione di Ardesio DiVino provengono da tredici regioni italiane (Lombardia, Piemonte, Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Abruzzo, Umbria, Puglia, Calabria, Sicilia) oltre a Francia e Slovenia. Saranno circa una settantina i produttori tra viticoltori e artigiani del gusto. Anche quest’anno la manifestazione sarà anticipata il venerdì sera dalla “Cena DiVina” (evento su prenotazione e con posti limitati - per informazioni info@ardesiodivino.it), la cena gourmet che si svolgerà presso il ristorante Albergo Ardesio Da Giorgio e che vedrà cimentarsi in cucina uno chef d’eccezione, l’ardesiano Alberto Zanoletti, mentre sommelier della serata sarà il professor Paolo Tegoni (Docente presso Master Comet - Università di Parma). Tema della cena “Benvenuti al Sud: viaggio nei sapori di Matera”.
Tanti gli appuntamenti proposti dalla Pro Loco per la quindicesima edizione della kermesse: oltre alle degustazioni presso gli stand dei produttori, infatti, sono in programma le cene all’aperto, sabato pomeriggio la degustazione d’autore proposta dal Seminario Permanente Luigi Veronelli “Ottima Scelta! Alla ricerca della qualità dei vini quotidiani” (iscrizione obbligatoria info@ardesiodivino.it e nei giorni dell’evento alla cassa della manifestazione) e domenica mattina lo showcooking in piazza dedicato alle paste fresche con lo chef Alberto Zanoletti, già Bocuse d’Or Italia, e il raviolificio Poker dell’ardesiana Rosi Carissimi. Per i più piccini l’area bimbi al parco giochi con laboratori, palestra di arrampicata, truccabimbi e molto altro e poi spazio anche alle visite guidate gratuite alle bellezze storico artistiche di Ardesio, alla mostra Ardesio DiVino nel Mondo e ai concerti che accompagneranno i visitatori durante l’evento. Ricco il programma musicale: sabato pomeriggio si esibiranno i “Mirela” e gli “Izzy and the catastrophics” mentre la sera grande concerto in piazza con i “Tribal Sound”; domenica mattina l’atteso concerto del maestro della cornamusa irlandese Massimo Giuntini (è stato anche componente dei Modena City Ramblers) e nel pomeriggio “The Loud Lovers” e “The Meneguinnes”.
DEGUSTAZIONI, CONCERTI, CENE NEL BORGO, MOSTRE, ARTE TRA LE CORTI: WINE & FOOD PER PALATI ESIGENTI DURANTE UNA DUE GIORNI RICCA DI INIZIATIVE
La manifestazione si svolgerà anche in caso di maltempo con possibili variazioni di programma
SCOPRI ARDESIO SU: WWW.VIVIARDESIO.IT
ARDESIO DIVINO MOSTRA MERCATO ENOGASTRONOMICA 3 E 4 AGOSTO 2019 APERTURA STAND: SABATO 10.30 - 13.30 E 16.00 - 21.00 DOMENICA 10.30 - 20.00 WWW.ARDESIODIVINO.IT INFO@ARDESIODIVINO.IT PAGINA FACEBOOK “ARDESIO DIVINO”
RavioliďŹ cio dal 1958
Rosa
CEO originaria di Ardesio
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Giuliano
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Andrea
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La squadra vincente di Tecnocasa Alla base di un grande successo non possono certo mancare professionalità, impegno e determinazione. Tre fattori ben conosciuti da tutti coloro che oggi fanno parte del noto gruppo Tecnocasa. Una realtà fondata ben 40 anni fa ed oggi sviluppata capillarmente in ogni dove grazie ad una fitta rete di franchising, guidati da una sola vision: soddisfare le esigenze dei tanti clienti che ogni giorno sono alla ricerca della casa dei loro sogni.Tra di essi tantissimi i giovani che in questo team fresco ed affiatato trovano i giusti interlocutori. Proprio 400 di questi professionisti provenienti dalle province di Brescia, Bergamo, Cremona e Sondrio si sono ritrovati la sera del 9 luglio scorso nel cuore della Franciacorta, presso il suggestivo Relais Franciacorta, per vivere una serata unica. Aperitivo, cena e buffet hanno fatto da contorno ad un evento che, ogni tre mesi, consente ai vari professionisti di Tecnocasa di ritrovarsi, per scambiare consigli e suggerimenti lavorativi. Molto importanti ed estremamente sentite anche la premiazioni che hanno visto la consegna di alcuni significativi riconoscimenti a tutti i migliori agenti del secondo trimestre dell’anno, tra i quali le agenzie di Rezzato, Gavardo e Molinetto di Mazzano che si sono contraddistinte nell’area Bresciana e gli uffici di Sarnico, Presezzo e Gorle per la provincia di Bergamo. A consegnare i premi il Presidente Tecnocasa Franchising SpA, Antonio Pasca, il Team Manager, Marco Anzini, e i Consulenti d’Area, Carlo Assandri, Emanuele Leggieri e Claudio Dancielli.
Ph. Sergio Nessi - Puoi vedere tutte le immagini dell’evento su www.qui.bg.it
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the power of design
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Perchè parliamo di lui
Sul numero del dicembre 2018 abbiamo pubblicato un poster di Armando Milani a corredo di un editoriale sulla pace e abbiamo dimenticato di citarne l’autore. Per rimediare a questa mancanza abbiamo deciso di pubblicare un servizio su di lui, sui suoi lavori entrati nella storia del design e alcuni spezzoni di una intervista di Daniel Salvi Armando Milani è nato a Milano dove ha studiato graphic design sotto Albe Steiner alla Scuola Umanitaria. Nel 1965 ha vinto il premio per il logo “RAI Radiotelefortuna”. Nel 1970 ha aperto il suo studio a Milano, lavorando anche per Giulio Confalonieri e Antonio Boggeri. Nel 1977 dopo aver lasciato lo studio nelle mani del fratello Maurizio, si trasferisce a New York. Aprirà uno studio negli Stati Uniti dopo aver lavorato due anni con Massimo Vignelli. Nel 1983 ha insegnato graphic design alla Cooper Union di New York e diventa membro dell’AGI (Alliance Graphique Internationale) di cui dal 2017 è presidente per l’Italia. Ha partecipato in qualità di esperto di Corporate Identity a conferenze e seminari a livello internazionale.
ARMANDO MILANI, ESPONENTE DI SPICCO DELLA GRAFICA ITALIANA E GLOBALE, CONTRIBUISCE DA DECENNI A RENDERE RICONOSCIUTO E PREMIATO IL DESIGN “MADE IN ITALY”, ATTRAVERSO I SUOI CELEBRI LAVORI DI LOGO E POSTER DESIGN, I NUMEROSI WORKSHOP TENUTI NELLE UNIVERSITÀ DI TUTTO IL MONDO E, PIÙ RECENTEMENTE, NEL RUOLO DI PRESIDENTE DI AGI ITALY (ALLIANCE GRAPHIQUE INTERNATIONALE), ATTIVA DA SEMPRE NELL’IDENTIFICARE E VALORIZZARE I GRANDI MAESTRI NOSTRANI E LE LORO CREAZIONI LA SUA FILOSOFIA: DALL'OCCHIO AL CUORE Confucio disse che non parole e non leggi governano il mondo, ma segno e simboli. Il designer dovrebbe essere l'interprete di questa realtà. Progettando un logo o un poster, sono sempre alla ricerca di sintesi con l'equilibrio tra forma e contenuto. Perché se la forma prevale la soluzione può essere attraente solo esteticamente, ma se i concorsi prevalgono, l'immagine può essere molto noiosa. Il design deve essere appropriato, sinteticamente corretto, emotivo e memorabile. Ho sempre rifiutato soluzioni alla moda e alla moda alla ricerca di questi valori. Grandi designer come Paul Rand e Massimo Vignelli con i quali ho collaborato a New York, sono stati il mio punto di riferimento. Entrambi credono nel design senza tempo, in cui concept e design sono preziosi per sempre, anche se realizzati in diversi periodi storici. Il designer può usare metafore, connessioni, sorprese inaspettate, surrealismo o sottile ironia, lo scopo è di rifiutare la banalità e la volgarità, cercando di incuriosire, eccitare e informare lo spettatore. Dopo 30 anni di progettazione di loghi, identità aziendali, segnaletica, libri e opuscoli, ho sentito l'esigenza etica di dedicare parte del mio tempo a denunciare alcuni dei più grandi problemi dell'umanità che minacciano il nostro futuro e il futuro dei nostri bambini, come la guerra, la carestia, droghe e inquinamento. Non abbiamo il potere dei politici ma con il nostro contributo, possiamo promuovere il dialogo e la riflessione su questi temi. Credo in un design meno sofisticato ma in soluzioni di grande impatto, perché voglio parlare direttamente a una vasta maggioranza delle persone del mondo.
Alcuni dei suoi lavori sono in mostra alla Biblioteque Nazionale de France a Parigi. Nel 1995 ha ricevuto, direttamente dalle mani del sindaco di New York Rudolf Giuliani, un premio per il suo poster “New York City Capital of the World”. Nel 1996 ha pubblicato il libro “A double Life of 80 AGI designers” sulla creatività e il sense of humor. Nel 2000 ha vinto un premio in Italia con il poster per “Promosedia International Chairs Show”. Nel 2001 ha aperto in Provenza il “Le Moulin des Trois Arcs”, un centro di formazione e centro conferenze sul graphic design e la sua storia. Nel 2004 ha disegnato un poster sul tema della pace, contro la guerra, per le Nazioni Unite. Il poster è stato diffuso in tutto il mondo. Nel 2006 ha disegnato un poster per la Bibliotheca Alexandrina in Egitto e la serie di poster e cartoline “Human Design Collection”. Nel 2010 ha disegnato il libro “Fifty Poetry of Lawrence Ferlinghetti, Fifty Images of Armando Milani”. Nel 2015 ha disegnato il libro ‘”No Words Posters” di 100 designers internazionali e nel 2017 due libri di suoi “100 Posters” e “100 Logos”.
La lunga carriera di Milani è assimilabile ad un’avventura, divisasi fra vecchio e nuovo continente e costellata di importanti riconoscimenti e incontri con le più grandi personalità della storia del design italiano - Albe Steiner, Massimo Vignelli e Bob Noorda, per esempio – e della scena americana, fra cui i leggendari Paul Rand e Milton Glaser, che gli hanno più volte dimostrato la propria stima, l’amico Ivan Chermayeff e Paula Scher. Un’intervista a una tale personalità non è stata dunque solo l’opportunità per celebrarne tutti i successi, i momenti salienti, di grande ispirazione, e passare in rassegna i suoi lavori più famosi, ma anche per toccare temi molto attuali, come ripercorrere l’evoluzione che la percezione della grafica e dei graphic designers ha avuto all’interno della società e vagliare tutte le prospettive – arrivando a vere e proprie frasi piene di saggezza - che i giovani hanno, immettendosi oggi all’interno di questo business.
Per iniziare, direi di ripercorrere i suoi primi passi nel mondo del design: quali sono stati i momenti che hanno dato inizio alla tua brillante carriera? “A farla breve, incominciò all’Umanitaria nel 1960, con Albe Steiner: studiai con lui e devo dire che imparai da lui più l’etica del design, che non a impaginare un libro o disegnare un marchio. Secondo i suoi insegnamenti, la grafica e il design devono essere rivolti a tutti e non solo a un’élite di persone privilegiate: questo mi segnò molto. Vinsi in seguito un concorso molto importante nel ’65, per disegnare il marchio di Radio Tele Fortuna. Parteciparono 9000 designer studenti e la giuria era composta da Bruno Munari e Albe Steiner; furono proprio loro due a premiarmi: è stata una tappa importantissima della mia carriera, che mi ha dato la carica per il mio futuro. Lavorai con Giulio Confalonieri, che era un grande grafico degli anni ’60 – ’80, un maestro delle immagini bruciati e in bianco e nero, con grandi caratteri e di grande contrasto. Poi iniziai l’avventura con il grande Antonio Boggeri nel ‘67, che dopo aver visto dei miei lavori pubblicati su “Pubblicità in Italia”,mi chiamò e mi chiese: «Vuoi venire a lavorare con me?» E io: «Figurati!» Dopo tre minuti ero già lì (ah ah)! Ed incominciò una consulenza, una collaborazione con lui che durò quasi tre anni, che si è poi trasformata in una grande amicizia. Poi ho aperto il mio studio nel ’70, qui a Milano…”. Quali sono stati i primi passi di questo tuo primo studio milanese? Quali sono stati i tuoi primi lavori? “Ho sempre avuto, sin da quando studiavo con Albe Steiner, una grande passione per il design del marchio: perciò incominciai proprio con i marchi – il marchio di TeleFortuna fu uno dei miei primi – e poi, da lì, una volta che ti fai pubblicare, la gente inizia a riconoscerti come il designer del marchio. Questo fu uno dei primi, per esempio: “AM” non sta per Armando Milani, ma per “Auditorium Midy”; cominciai proprio con le case farmaceutiche: la Roche, dove ho lavorato per due anni, Farmitalia, la Midy; poi ho lavorato molto per l’industria dell’arredamento, con DePadova – di cui ho fatto il marchio con Tom Gonda – e poi Cassina.Questo è un altro marchio molto importante, di Antonio Mantegazza, molto diffuso perché era stampato sulle cartine del telefono, da loro prodotte. Il marchio della Costa dei Ciclopi, in Sardegna, era molto efficace per il fatto che suddividendolo si poteva ottenere questo pattern, utile per le applicazioni su tende, moquette ecc”. Questo marchio dei Ciclopi è ancora utilizzato, ho visto! “Davvero? Ah! Bisogna che mi faccia pagare, non lo sapevo neanche! (ah ah). La mia grande fortuna – ma mi diedi anche molto da fare – è che all’ufficio grafico della Roche si creavano dei bellissimi progetti, chiedendo ai grandi designer: venivano e ci presentavano i loro stupendi lavori. Tipi come: Confalonieri, Boggeri con Aldo Calabresi (grandissimo grafico svizzero)… ed è stata una grande fortuna quella di essere a contatto con i più grandi grafici”. Quali furono i principali insegnamenti che hai tratto da loro? “Da loro cercavo di carpire come una spugna; per esempio, Aldo Calabresi mi diceva: «Vedi Armando, la bravura consiste nel sapere qual è l’idea più adatta e appropriata e scartare le altre: sennò ti perdi!» Io ho avuto tanti studenti, anche molto bravi, che hanno tante idee e che dicono: «Facciamo qui, facciamo lì, andiamo dall’altra parte…».Ti perdi! Se hai scoperto una soluzione giusta e appropriata, devi focalizzarti su quella e poi, nel caso, fai delle modifiche: questa è una delle cose che mi hanno più colpito. “Insieme a ciò, mi colpì anche l’attenzione verso la forma e il contenuto dell’idea: lo diceva anche Paul Rand, che ho avuto la fortuna di conoscere negli Stati Uniti: quando disegni un marchio o un progetto, devi trovare sempre un equilibrio fra la forma e il contenuto, perché se l’idea è basata solo sulla forma, sarà molto bella ma non avrà significato; se è basata solo sul contenuto ha un significato ma è noiosa; è lì che sta la capacità del designer: quella di trovare equilibrio fra questi due elementi. Questo lo diceva anche Boggeri: i bravi hanno sempre delle basi che alla fine devono sempre coincidere, coerentemente al cambiamento dei tempi storici e delle loro esigenze”.
Poi hai fatto l’incontro che ti ha portato a New York… “Nel ’77 c’è stato il grande salto dall’altra parte dell’oceano: conobbi Massimo Vignelli qui a Milano, che vide i miei lavori e mi disse: «Tu sei molto bravo, cosa fai qui in campagna?» Non ho dormito per sei mesi, poi mi sono deciso. Fortunatamente avevo mio fratello Maurizio che lavorava già con me e gli domandai se se la sentisse di portare andare avanti lo studio a Milano (era giovanissimo, aveva 21 anni) e avevo chiesto a Vignelli la possibilità di tornare in Italia ogni paio di mesi. L’idea era quella di stare solo per due anni – anzi meno, un anno – per fare tutta l’immagine coordinata della Lancia; poi è saltata fuori la CIGA. Sai, sono lavori enormi con manuali grandi così: allora mi chiese di rimanere un altro anno; dopodiché mi sono sposato (ah ah) e mi sono preso un enorme loft a Midtown, che poi in seguito ho venduto a Ornette Coleman, il celebre sassofonista. È stata un’esperienza eccezionale! E poi Vignelli era un personaggio incredibile: bravissimo designer, con una cultura immensa, razionalista e minimalista”. Cosa ti ha spinto a New York? E cosa via da Milano? “Beh, io ero già abbastanza arrivato: avevo 36 anni e avevo bisogno di nuovi stimoli. Ho avuto la possibilità a New York di conoscere tutti i più grandi: Ivan Chermayeff (designer bravissimo, morto poco tempo fa, mio grande amico), Henry Wolf, Rudy de Harak, Milton Glaser; sai sono conoscenze che ti arricchiscono… E poi è una città dove ogni sera puoi andare a vederti una mostra, o andare a un museo, o all’AIGA, e capire anche come lavorano là, in un altro mondo. I grandi del Bauhaus se ne sono scappati tutti dalla Germania e hanno fondato scuole di grafica a New York o Chicago; c’è stata dunque una fusione fra la genialità anglosassone delle agenzie americane con il rigore di questi geni del Bauhaus, o svizzeri, e da lì è nato un nuovo modo di esprimersi. Paul Rand ne è stato un esempio: i suoi primi lavori sono per me troppo illustrativi; poi dagli anni ’60 e ’70 ha effettuato questa fusione con il design europeo”. Hai preso molto anche dagli altri designer americani? “C’è stato molto da imparare: loro hanno un senso dell’humor anglosassone diverso dal nostro. C’era poi per esempio Chermayeff, che a me piaceva moltissimo: non sono un’illustratore, ma mi piacciono molto espressioni come quelle di utilizzo del collage”.
… E questo, invece, è un marchio molto importante. Paul Rand, quando gli mostrai i miei lavori, mi disse che era il suo preferito; sembra semplice, ma ha la particolarità di far leggere “Uomo Moda” in tutti i modi. Uno studente obiettò una volta: «Ma è facile! Che fortuna!» A momenti lo ammazzavo (ah ah)! Ma come puoi dire una cosa del genere? Io per arrivare qui ci ho lavorato un mese! Di solito disegno trenta o quaranta marchi, prima di arrivare a una soluzione.
“Il Vignelli diceva che “good design is timeless”: quando un’idea è giusta, è forte; immagini come queste saranno sempre attuali, anche fra cinquant’anni. Io amo le immagini senza parole. Non si può sempre, è chiaro, ma se ci si riesce, sono felice: qui, infatti, anche se non metti il titolo, capisci che si tratta di gente che contesta. Come in questo lavoro, il mio preferito di Albe Steiner: lui ha scritto Pace ma non ce n’è bisogno! Lo vedi: l’elmetto e la rosa che esce dall’elmetto parlano da soli. O come nel mio poster contro il fumo, che non ha bisogno di parole. “Questo manifesto è molto famoso; faceva parte di un gruppo di ventiquattro poster di designer internazionali per la promozione diNapoli. L’hanno usato ancora, a distanza di vent’anni, per una campagna sui giornali a favore della pulizia nella città.
Quale potrebbe essere il ruolo che il design dovrebbe avere nella comunicazione politica o che dovrebbe tornare ad avere? “Albe Steiner è stato un esempio di come si possa fare una buona grafica per la politica. Io inoltre mi ricordo Michele Spera che faceva dei bei manifesti per il partito socialista: si vedevano cose interessanti. Non so perché poi non abbiano continuato ad avvalersi del lavoro di bravi grafici. Ci sono tantissimi giovani grafici che farebbero dei lavori quasi gratis per loro, pur di mettere il loro nome; c’è proprio questa ignoranza in assoluto: escono delle immagini veramente banali. Parlando di giovani grafici: spesso si dice che i giovani siano anche più coraggiosi, anche nella sperimentazione: ma in che modo un designer giovane potrebbe essere coraggioso oggi e utilizzare la grafica in modo coraggioso? Bella domanda: usarla in modo coraggioso è un po’ fare quello che sto facendo io con i miei poster. E poi, per farsi conoscere, bisognerebbe proporre progetti grafici di pubblica utilità a qualche associazione, oppure partecipare a un po’ di concorsi, sennò come fai? Secondo me ha sempre importanza: se riesci a vincere un concorso e a farti un nome, riesci così a trovarti anche committenti. Se non parti da lì, cosa fai? Puoi lavorare, trovi dei clienti per cui poi ti devi dare da fare. Oggigiorno non so, effettivamente, come facciano i giovani a trovare i clienti. L’idea è di fare delle cose quasi gratis, anche se non lo trovo molto giusto, ma iniziare a fare delle cose che portino a darti dell’esposizione: in base a quello poi firmi e, se sei bravo, pubblichi i tuoi lavori, la gente li vede e inizia a conoscerti; è una spinta continua, io ne so qualcosa: sono partito a New York, a Los Angeles per andare a fare pubblicità a me stesso”.
“Ti racconto la storia di questo manifesto: io l’avevo fatto per Natale, come augurio per i miei clienti: funzionava infatti anche in Italiano con le parole “guerra” e “pace”. Me lo pubblicarono sul Corriere della Sera e incominciò a diffondersi. “Chermayeff mi suggerì: «This Idea belongs to the world»; allora, presa la carica, lo mandai alle Nazioni Unite, che l’accettarono subito” Poi, in America, a un meeting di designer in cui c’erano, fra gli altri, anche Chermayeff, Henry Wolf, Emanuel Estrada e Lance Wyman, quando tutti mostrarono i propri lavori davanti a un pubblico di cinquecento persone, a un certo punto io proiettai proprio questo poster: si alzarono tutti in piedi – in cinquecento, mi vengono ancora i brividi – per battermi le mani per un minuto (sai, era il periodo anche della guerra in Iraq)”.
LA MIA REGOLA 18 Tommaso Revera - Fotografie Paolo Biava
A TU PER TU CON PAOLO MAZZOLENI, IL DIRETTORE DI GARA LOMBARDO CON PIÙ PRESENZE IN SERIE A NELLA STORIA DEL CALCIO ITALIANO, L’UNICO CON OLTRE 200 GARE…
A 45 anni in pensione per sopraggiunti limiti d’età. In un paese dove la maggior parte degli anziani non molla la poltrona, fa un certo effetto apprendere delle rigidissime normative AIA, Associazione Italiana Arbitri, che obbligano i direttori di gara a dismettere l’attività al 45° anno d’età. Ma tant’è. Poche settimane dopo l’annuncio del suo avvenuto ‘pensionamento’, abbiamo incontrato Paolo Mazzoleni per un bilancio della sua brillante carriera professionale e per saperne di più circa il libro da poco presentato, ‘La mia regola 18’. Partiamo dal tuo libro, ‘La mia regola 18’, Storia di un arbitro, di un padre, di un uomo felice’, che hai presentato di recente e in cui hai scelto di raccontare il tuo vissuto tutto d’un fiato: 28 anni di calcio e oltre 200 partite di serie A. Come è nata questa idea? “Era tutto molto programmato. Era un sogno pur non avendo mai avuto l’ambizione di scrivere un libro sin da quando ero un ragazzino. Sono sempre stato uno che scriveva molto: mi piaceva prender nota delle mie emozioni e dei miei stati d’animo. Il pensiero era quello di farci un diario ma nulla di più.
È stata una cosa che ha stupito molto anche Giorgio Burreddu e Alessandra Giardini, i due scrittori che hanno collaborato con me alla stesura del libro, perché avevo veramente una mole di annotazioni davvero importante. Poi, complice anche alcune vicissitudini personali, mi son detto: perché non raccogliere tutti questi scritti e condensarli in un libro/racconto della mia vita correlata allo sport da presentare a fine carriera? E così è nato ‘La mia regola 18’, un qualcosa di lontano dalle consuete biografie sportive che ho sempre odiato e considerato delle vere e proprie autoconsacrazioni”. Svestiti i panni di direttore di gara hai già chiarito che non andrai a commentare i rigori in tv: ti attende un futuro nel gruppo ‘VAR pro’? “Mi piacerebbe rimanere nell’ambiente perché ne faccio parte dal 1990, quasi trent’anni di vita, e perché sento di poter andar ancora molto anche sotto altre vesti. La fine della mia carriera di direttore di gara, tra l’altro, è coincisa con l’avvio del progetto VAR, un progetto a mio avviso vincente che ha rivoluzionato fortunatamente in positivo il calcio”.
CONOSCIAMO PIÙ DA VICINO PAOLO MAZZOLENI CHE, SVESTITI I PANNI DEL DIRETTORE DI GARA, SI APPRESTA A VIVERE UNA NUOVA ESPERIENZA PROFESSIONALE: FARÀ PARTE DEL GRUPPO ‘VAR PRO’ (ISTITUITO DALL’AIA) INSIEME A BANTI, NASCA E DI PAOLO
Ora che non arbitrerai più puoi dircelo: qual è la squadra per cui simpatizzi? “La mia fede l’ho sempre esternata ed è una cosa che mi ha sempre aiutato: sono malato di pallacanestro e dal 2000 sono abbonato alla Fortitudo Bologna, una squadra che mi stregò quando ancora ero ragazzino e che tutt’oggi amo. A livello calcistico, essendo bergamasco, sono contentissimo della stagione dell’Atalanta ma, nonostante mio padre era solito portarmi sempre allo stadio e avessi avuto per un breve periodo della mia vita Glenn Stromberg come idolo, non ho mai avuto una vera fede calcistica per cui non ho mai dovuto né mascherare, né fingere”. DIDASCALIA DIDASCALIA DIDASCALIA DIDASCALIA DIDASCALIA DIDASCALIA DIDASCALIA DIDASCALIA Il giocatore che, per modi di porsi, educazione e rispetto DIDASCALIA DIDASCALIA DIDASCALIA DIDASCALIA altrui, ricordi con maggior affetto? DIDASCALIA DIDASCALIA DIDASCALIA DIDASCALIA “Javier Zanetti è un giocatore che ho sempre stimato e preso DIDASCALIA DIDASCALIA DIDASCALIA DIDASCALIA ad esempio. Un leader silenzioso, molto rispettoso e di grande DIDASCALIA DIDASCALIA DIDASCALIA DIDASCALIA educazione. A lui sono particolarmente legato dal momento DIDASCALIA DIDASCALIA DIDASCALIA DIDASCALIA che arbitrai DIDASCALIA la sua partita d’addio al calcio aDIDASCALIA San Siro. Ricordo DIDASCALIA DIDASCALIA DI-che in DASCALIA DIDASCALIA
quella circostanza, quando dal campo salutai mio figlio di tre mesi sugli spalti con mia moglie, mi disse di farli scendere a bordo campo. Un ricordo che porto nel cuore perché, anche in quel piccolo particolare, dimostrò la sua grandissima sensibilità”. C’è un’offesa in particolare che non sopportavi ricevere dal pubblico e dagli addetti ai lavori? “È difficile dire che alle offese ci fai l’abitudine ma in realtà un po’ è così. In Italia, non certo da oggi, è una questione di carattere culturale: nell’arbitro si vede sempre la malafede. La dietrologia si spreca. Da questo punto di vista anche il nostro silenzio ‘forzato’ non ci ha mai aiutato: più che essere risentito per un offesa in particolare ho il rimorso di non aver mai potuto spiegare un errore perché siamo umani e sbagliamo tantissimo anche noi. Questo, ad uno sportivo ‘equilibrato’, avrebbe dato per lo meno una chiave di lettura diversa di un certo episodio, spegnendo sul nascere le polemiche e gli strascichi che ne sarebbero conseguiti”.
Avessi la macchina del tempo: su quale episodio dubbio torneresti indietro per cambiare la decisione presa? “Nessuno in particolare. Gli errori sono piccole cicatrici necessarie. Riguardandoli capisci quanto è importante l’esperienza, quanto il lavoro e il sacrificio possano farti crescere umanamente e professionalmente. Senza gli errori non sarei diventato l’arbitro che sono diventato. Parlando ai direttori di gara più giovani ricordo sempre che gli errori, purtroppo, a volte possono essere dei compagni di viaggio dell’arbitro: bisogna farne tesoro allo scopo di migliorarsi”. Capitolo VAR: meglio o peggio rispetto a prima? Dove bisogna migliorare? “Bisogna sicuramente migliorare nella tempistica e nell’attuazione delle decisioni. Originariamente era stato redatto un protocollo da seguire che, nel corso della stagione, è stata di volta in volta integrato e ampliato. Come tutte le novità, andava sperimentato. È chiaro che parliamo di un ruolo diverso ma che richiede comunque molta esperienza: se in mezzo al campo ci sei stato, davanti magari ad 80.000 spettatori, capisci il motivo per cui l’arbitro possa aver preso una determinata decisione”. Nel libro hai parlato anche del difficile momento in cui ti hanno diagnosticato un tumore. Come hai avuto la forza di continuare nonostante le cure? “È stata una scelta personale quella di condividere a posteriori questo particolare momento della mia vita. Un momento brutto, difficile e molto sofferto che sia io che mia moglie, come fosse una decisione da prendere sul campo, abbiamo deciso in pochi secondi (e senza neppure probabilmente parlarne) dovesse essere una cosa vissuta da noi due e da nessun altro. Da sempre preferisco essere rispettato che compatito: una massima che mi ha sempre accompagnato. Mia moglie mi ha dato forza e incoraggiato anche nel momento in cui avrei voluto mollare tutto: insieme, grazie soprattutto al suo supporto, ho deciso di continuare o di provare a continuare come se nulla stesse accadendo”. Quando e come lo hai scoperto? Il malore accusato durante la gara di coppa Italia tra Milan e Juventus dell’8 febbraio 2012 è stata la prima avvisaglia? “Sì. Avevo arbitrato domenica a Firenze e mercoledì ero a San Siro per dirigere quella partita. In seguito, durante una normale visita di controllo, visto che con mia moglie stavamo cercando di avere un bambino, mi diagnosticarono la malattia che non mi impedì, comunque, di scendere in campo. Ed anzi è quell’episodio che mi ha indotto a scrivere il libro. Da un momento particolarmente duro come può essere la malattia, mi sono
rialzato passando dalla guarigione alla nascita di nostro figlio Riccardo”. Sfoggi la bellezza di 45 tatuaggi: a quale sei più legato e quale, se c’è n’è uno, hai mai pensato di cancellare? “Sono 45 come i miei anni. Di cancellare mai nessuno perché i miei 45 tatuaggi, lo dico sempre a chi mi conosce, sono il riassunto del libro scritto sulle mie braccia. Ogni tatuaggio ha un significato particolare. Chiaramente quello che ho fatto in ricordo di mio padre e quello dedicato alla nascita di mio figlio Riccardo hanno una valenza molto profonda. C’è anche quello impresso nel 2005 quando la mia Fortitudo vinse il suo secondo scudetto. Una tradizione, quella del tattoo ogni anno, che porterò sicuramente avanti”. Che mi dici della stagione dell’Atalanta e del Brescia tornato in Serie A? “Mi auguro che venga vissuto come avviene nel basket durante il derby di Bologna: grande campanilismo, grandi sfottò e coreografie suggestive ma tutto nei limiti della correttezza. Dal 2000 seguo la Fortitudo e non ricordo alcun incidente post derby. Sfottò e rivalità ok ma che resti tutto nell’ambito sportivo”. Con la nuova stagione gli arbitri avranno modo di spiegare alla stampa e a milioni di tifosi le decisioni prese nel corso di una gara: che ne pensi di questa novità voluta da Marcello Nicchi, numero uno dell’Aia, e Gabriele Gravina, Presidente FIGC? “A dir la verità questo è un po’ il mio cruccio: ho iniziato nel ’90 e già allora si parlava di questa eventualità. Il fatto di chiudere la mia carriera professionale senza mai aver sentito un direttore di gara spiegare le scelte adottate durante una certa partita, mi fa un po’ rabbia e mi rattrista. In futuro mi auguro che con l’approccio e le modalità giuste gli arbitri possano parlare e spiegare le decisioni prese: farebbe bene alla categoria e a tutto il movimento calcistico”. Qualora tuo figlio Riccardo volesse ripercorrere le tue orme, cosa gli suggeriresti? “Sarei felicissimo e ne sarei orgoglioso ma farò quello che mio padre ha sempre fatto con me: non ostacolerò nessuna delle sue scelte. Con mia moglie, anche se è ancora piccolo, lo stiamo avvicinando al mondo dello sport e stiamo assecondando quelle che sono le sue preferenze senza condizionarlo. Lo sport, oltre a far bene, lo terrà lontano dalle distrazioni del mondo d’oggi. Se un domani farà l’arbitro, ne sarò felice; se diventerà un giocatore di basket, ne sarò felicissimo ma, in ogni caso, sarò pronto a far qualsiasi cosa purché lui sia felice”.
MARIO MANGIAROTTI
l’ultimo moschettiere
MARIO MANGIAROTTI ERA NATO A RENATE, IN PIENA BRIANZA, IL 12 LUGLIO 1920 ED È STATO UNO SCHERMIDORE E DIRIGENTE SPORTIVO, VINCITORE DI UNA MEDAGLIA D’ARGENTO AI CAMPIONATI MONDIALI DI SCHERMA DEL 1951 A STOCCOLMA. ERA FIGLIO DELL’OLIMPIONICO DI SCHERMA GIUSEPPE MANGIAROTTI E FRATELLO DI DARIO ED EDOARDO A LORO VOLTA CAMPIONI NELLO STESSO SPORT ABBANDONATA L’ATTIVITÀ AGONISTICA, HA INTRAPRESO LA CARRIERA MEDICA, SPECIALIZZANDOSI IN CARDIOLOGIA. È STATO PRESIDENTE DEL CONI E DEL PANATHLON DI BERGAMO
Fine anni ‘20 Edoardo Mario e Dario Mangiarotti bambini
Si è spento il 9 giugno scorso a Bergamo all’età di 98 anni Mario Mangiarotti, l’ultimo rimasto in vita di una dinastia che ha regalato all’Italia importanti affermazioni nella Scherma forse un po’ troppo dimenticate. Il padre Giuseppe Mangiarotti, campione con la spada tra i più forti ai suoi tempi e grande insegnate fu un vero caposcuola ed arriverà ad ottenere ottanta medaglie dai suoi allievi tra campionati del mondo e Olimpiadi. Con i suoi tre figli compie il suo capolavoro. Infatti, Edoardo avuto nel 1919, Dario nel 1915 e Mario nel 1920 diventeranno tutti campioni nella Spada. Edo sarà una stella di prima grandezza della scherma mondiale talentuoso, freddo e determinato a contendersi il palmares proprio con il fratello Dario, certo più estroso, funambolico, con uno stile ineguagliabile. Mario, ultimo figlio, è tra i tre fratelli il meno talentuoso con la spada in mano anche se questo non gli impedirà di essere sempre nel giro della Nazionale e di vincere una medaglia d’argento alle Olimpiadi. Frequenta il Liceo Classico al milanese Berchet e studia pianoforte al Conservatorio, poi diventa medico e cardiologo di valore. Entra nel giro della nazionale di spada nel 1938, partecipa alle Olimpiadi Universitarie, oro a squadre a Vienna nel1939, e arriva secondo agli assoluti nel 1940. In quell’anno si segnala come uno dei più promettenti giovani sciabolatori europei. Poi arriva la guerra, c’è tempo per dare gli esami di medicina e per trovare l’amore in Eugenia Gavazzeni, che ai tempi era nella squadra nazionale di fioretto.
Parteciperanno insieme alle Universiadi di Parigi nel 1947 dove Mario vincerà l’oro a squadre con il fratello Edo e il bronzo individuale di spada. inizia a lavorare come medico a Bergamo mentre si specializza in Cardiologia a Pavia ma non dimentica di tirare di spada due volte la settimana a Milano. Vince per tre anni il Challange Le Coutre a Losanna, il più prestigioso trofeo europeo per club (1947, 1948, 1949). Nel 1951 Mario è Campione d’Italia a Squadre con Dario ed Edoardo e terzo nell’individuale dietro a loro, per la prima volta non riserva ma titolare ai Mondiali di Stoccolma, dove conquista l’argento a squadre di spada. Continuerà poi a tirare di scherma, per qualche anno, anche per i colori della Società del Giardino. Dal 1947 al 1980 è stato Presidente Internazionale di Giuria alle tre armi. A Bergamo Mario Mangiarotti è stato un pioniere della Cardiologia e della medicina sportiva, lavorando prima alle Cliniche Gavazzeni e poi alla Casa di Cura S. Francesco (Medicina e Cardiologia), scegliendo dalla metà degli anni ‘60 la libera professione. Come dirigente sportivo è stato per più mandati Presidente del Panathlon International e Presidente Provinciale del Coni per 25 anni.
il ricordo di Mario Mangiarotti nelle parole di Luigi Mariani vicepresidente di Panathlon Bergamo
Luigi Mariani e Mario Mangiarotti
Dario, Mario, Edo, Rosetta e Giuseppe Mangiarotti
“Ciao Mario, lasci un vuoto enorme. È davvero difficile immaginare il tuo Panathlon, senza la tua presenza, senza la tua guida. Ci viene ancora la pelle d’oca nel ricordare l’orgoglio con cui ripercorrevi le grandi gesta della tua famiglia, di tuo padre e dei tuoi fratelli: la grande dinastia dei Mangiarotti, che ha fatto grande la scherma italiana nel mondo. Hai avuto il grandissimo merito di guidare e unire lo sport bergamasco. Grandissimo presidente del CONI per tanti lustri. Pioniere nella medicina dello sport. Guida impareggiabile per l’esaltazione dei valori, fair play, rispetto delle regole e dell’avversario, spirito di sacrificio, integrazione. Quanto hai insegnato ai giovani! Quanti illuminati consigli, col cuore e con l’umiltà! Te lo promettiamo: ci impegneremo senza sosta e senza risparmio di energie a tenere vivi i tuoi insegnamenti, a portare con fierezza lo stendardo del Panathlon, in questo club che noi tanto amiamo e che davvero ci hai insegnto così bene ad amare.
I pugni dei Mangiarotti
Decalogo dello Schermidore Aldo Cerchiari ed Edoardo Mangiarotti Ricordati che sei il rappresentante del più nobile di tutti gli sport. Esso affratella nello stesso ideale gli schermidori di tutto il mondo Pratica il tuo sport con disinteresse ed assoluta lealtà Sulla pedana e fuori comportati da gentiluomo, da sportivo e uomo sociale Non discutere di scherma se prima non hai imparato la scherma ed i suoi regolamenti Impara a perdere con onore e vincere con dignità Rispetta in ogni occasione il tuo avversario, chiunque esso sia, ma cerca di superarlo in combattimento con tutte le tue energie Ricordati che fino all’ultima stoccata il tuo avversario non ha ancora vinto Accetta serenamente una sconfitta piuttosto di approfittare di una vittoria ottenuta con l’inganno Non salire sulla pedana con armi difettose o con la bianca divisa in disordine Onora, difendi e rispetta il tuo nome, il prestigio del tuo maestro, i colori della tua società, la bandiera del tuo Paese
di Giancarlo Toràn  Scrive così di loro il padre Giuseppe nelle sue memorie: “Per formare il carattere combattivo volli che, sin da piccoli, i miei tre figli, oltre che la scherma, imparassero anche la boxe. Essi, per accontentarmi, lo fecero con evidente entusiasmo e lodevole successo tanto che, a soli dieci anni, dovettero calzare i guantoni ed esibirsi in pubblico nelle grandi serate di gala che io sovente organizzavo, e più di una volta ebbero l’onore di avere sul quadrato, come arbitro ufficiale, l’allora campione d’Europa del pesi massimi, Erminio Spalla, che si divertiva immensamente a vedere come si picchiassero vicendevolmente di gusto. Alla fine dei dieci round, quando uno dei due veniva proclamato vincitore, l’altro, sistematicamente, versava amarissime lacrime, protestando per l’ingiusto verdetto”. Nella foto la prima manifestazione pugilistica documentata risale al 1927, quando Edoardo aveva otto anni, e Mario solo sette. Ben prima, quindi, dell’età dichiarata dal padre/maestro. I due piccoli pugili in posa, con Erminio Spalla, serissimi, mentre attendono l’inizio del match insieme ad un folto pubblico, con molti schermidori: principi e campioni della spada e il colosso della boxe tra i due minuscoli atleti. Una serata memorabile per lo sport, quale difficilmente potrà ripetersi, si è svolta sabato sera, 10 settembre, nella rotonda del Kursaal a Varese. Per la felice iniziativa del sig. Lonati del Palace Grand Hotel e del celebre maestro di scherma Cav. Giuseppe Mangiarotti, è stato possibile riunire in una brillantissima partita d’armi una numerosissima accolta delle più rinomate lame d’Italia: nomi illustri come il maestro Cav. Colombetti, il Cav. Visconti, il Cav. Weysi, i tenenti Damiani e Scognamiglio, la signora Rosetta Mangiarotti e dilettanti esimi come il campione italiano di spada 1927 sig. Riccardi, il campione italiano di spada 1925 sig. Minoli, il campione italiano di fioretto 1925 sig. Guaragna, gli olimpionici Comm. Olivier, Cav. Urbani e sig. Mantegazza, il campione lombardo di sciabola 1927 sig. Pazzi ed altri non meno eminenti. Davanti ad un pubblico elegantissimo, gli assalti si seguirono con magnifico stile e con foga incalzante suscitando un vero entusiasmo. Ma il “clou” della serata fu un “match” di boxe disputato tra due minuscoli atleti, i bambini del maestro Cav. Mangiarotti e arbitrato niente di meno che da Erminio Spalla. È facile immaginare i graziosi e divertentissimi episodi di questo “match”, tanto più che i due piccoli pugili si sono battuti con un accanimento tale da richiedere il vigile e continuo intervento del colosso arbitro.
Bianchi allarga la famiglia Infinito con l’inserimento del modello Infinito XE, perfetta per le granfondo e per i ciclisti molto esigenti in fatto di prestazioni ed estetica. MACCHINA DA ENDURANCE Infinito è la bici Endurance ideale. La sua geometria è stata ottimizzata nel World Tour, nelle Classiche di un giorno, garantendo massima performance con minimo stress sulle lunghe distanze. È inoltre il modello ideale per le granfondo. Per lunghe giornate in sella, il telaio e la forcella full carbon creano una bici tanto piacevole da pedalare quanto da ammirare. Disponibile nelle misure 47, 50, 53, 55, 57, 59 e 61cm e con un peso di soli 1.100 grammi per il telaio e di 420 grammi per la forcella. Infinito XE è prodotta esclusivamente con freni a disco, con attacco Flat Mount per le pinze. Gli assi passanti da 12x100mm all’anteriore e da 12x142mm al posteriore riducono lo stress al telaio causato dalle frenate. La compatibilità con pneumatici di larghezza fino a 32mm permettono a Infinito XE di portati ancora più lontano. Le linee pulite dell’intero telaio sono garantite dal passaggio cavi interno anche per l’idraulica dei freni. Il reggisella custom in alluminio è stato sviluppato per rendere il look ancora più filante. L’attacco manubrio in alluminio disegnato da Bianchi e i distanziali personalizzati conferiscono una migliore connessione con il tubo sterzo conico (1 1/8”-1.5”), migliorando la stabilità alle alte velocità e in fase di frenata.
sempre
più
infinito
Attacco manubrio e distanziali dedicati per una perfetta connessione al tubo sterzo del telaio. Reggisella dal look integrato in alluminio. Lunghezza fodero orizzontale: 415mm (47/57cm), 420mm (59/61cm) Serie sterzo 1.1/8” to 1.5” Guida interna per passaggio cavi idraulici. Compatibilità per cambio meccanico ed elettronico. Perno passante Flat mount 12x100mm – 12x142mm
LAMBORGHINI PRESENTA UN NUOVO CONCEPT, LA HURACÁN STERRATO, PENSATA PER ESALTARE LA GUIDA OFF-ROAD. SI TRATTA DI UNA VETTURA INEDITA, CAPACE DI ESPLORARE NUOVI TERRITORI GRAZIE ALLA SINERGIA TRA LA POTENZA DELLA HURACÁN V10 E LA VERSATILITÀ DEL SUPER SUV URUS, ADATTO A OGNI TIPO DI TERRENO
Huracán Sterrato
La Sterrato è stata progettata sulla base della Huracán EVO, con la quale condivide lo stesso motore aspirato da 5,2 litri con 640 CV di potenza, e l’LDVI (Lamborghini Dinamica Veicolo Integrata). Si tratta di un sistema dotato di logica predittiva, concepito come una sofisticata unità di elaborazione centrale che controlla ogni aspetto del comportamento della vettura, integrando perfettamente sistemi dinamici e assetto per anticipare azioni ed esigenze del conducente, traducendole in una dinamica di guida perfetta. Il sistema LDVI della Sterrato è calibrato per dare il meglio in qualsiasi situazione off-road, comprese le superfici con scarsa aderenza, e per sfruttare al massimo trazione e accelerazione. E’ quindi capace di esaltare la trazione posteriore, generando una coppia maggiore e favorendo la stabilità in condizioni di sovrasterzo. Gli esterni della Sterrato richiamano in maniera evidente le sue caratteristiche off-road, combinate con la sua tipica indole da vera supersportiva. L’altezza da terra è stata incrementata di 47 mm, l’angolo di attacco migliorato dell’1% e quello di uscita del 6,5%. La carreggiata è stata aumentata di 30 mm per entrambi gli assi, che a loro volta montano ruote da 20” con pneumatici con spalla maggiorata all’interno di ampi passaruota con prese d’aria integrate, tutte caratteristiche che contribuiscono all’imponenza della Sterrato e rendono evidenti le sue capacità. Gli pneumatici più larghi con fianchi maggiorati sono stati sviluppati appositamente per migliorare l’aderenza e l’assorbimento delle asperità: i blocchi spalla aperti, ampi e irregolari, favoriscono l’autopulizia delle ruote, garantendo allo stesso tempo un’aderenza eccellente fuori strada, corredata da trazione e abilità di frenata migliorate e un’incredibile resistenza al danneggiamento. Il sottoscocca della Sterrato non poteva essere privo di rinforzi e protezioni per la carrozzeria, tra i quali spicca una paratia che agisce da diffusore. Il telaio anteriore integra rinforzi in alluminio protetti da una paratia anch’essa in alluminio, e lo stesso materiale è utilizzato per i rinforzi delle minigonne. La speciale carrozzeria in materiale composito presenta ovviamente degli elementi di protezione per il motore e le prese d’aria, nonché parafanghi realizzati con materiali ibridi composti da fibra di carbonio e resina elastomerica. L’impianto di illuminazione a LED presenta una barra a LED sul tetto e luci sempre a LED per il paraurti, dotate di illuminazione ad ampio raggio. Gli speciali interni della Sterrato ne sottolineano il carattere off-road, ma allo stesso tempo sportivo. Dispongono di un roll bar leggerissimo in titanio, cinture di sicurezza a quattro punti, sedili sportivi a doppio guscio in carbonio e pannelli fondo in alluminio. “La Huracán Sterrato non è altro che la rappresentazione dell’essenza pionieristica di Lamborghini.
HURACÁN STERRATO: UNA LAMBO COSÌ NON L’AVETE MAI VISTA. E FORSE NON LA VEDRETE MAI. PER ORA È UNA CONCEPT E LA SUA PRODUZIONE NON È ANCORA STATA DELIBERATA. METTE INSIEME ACQUA E OLIO: UNA SPORTIVA SENZA COMPROMESSI E UNA SUV.
Nella sua combinazione di caratteristiche da supersportiva e capacità off-road, la Sterrato dimostra la versatilità della Huracán e crea un nuovo punto di riferimento in termini di emozioni di guida e prestazioni”, ha affermato Maurizio Reggiani, Chief Technical Officer di Automobili Lamborghini.“I nostri team di design e R&D non smettono mai di esplorare nuovi orizzonti, proprio come vuole il DNA di Lamborghini, sfidando ciò che apparentemente sembra impossibile, ma sempre nel rispetto della nostra tradizione.” Già negli anni ‘70 Lamborghini aveva testato con la Jarama e l’Urraco le potenzialità di un’unione tra prestazioni supersportive e off-road. Bob Wallace, test driver di Lamborghini, aveva modificato i due modelli per creare delle auto sportive dalle elevate prestazioni in grado di solcare le dune del deserto: nacque così la Jarama Rally nel 1973 e l’Urraco Rally nel 1974.
Fotografie Paolo Ratto, Erik Castello, Federico Bernini - Visual Crew
LA QUARTA EDIZIONE DELLA SETTIMANA DI SFILATE SOTTO LA MOLE Con 11 sessioni di sfilate, oltre 70 stilisti emergenti che si sono alternati in passerella per presentare le proprie capsule collection e più di 5mila ospiti si è conclusa la quarta edizione della Torino Fashion Week, che ha portato sul palco dell’ex Borsa Valori delegazioni internazionali da Cina, Sudafrica e Medio Oriente, ma anche da Belgio, Olanda, Stati Uniti, Israele, Regno Unito e ovviamente da tutta l’Italia e Torino. Protagonisti dell’ultimo défilé, il poliedrico artista e designer Hussain Harba, con la sua collezione di borse di lusso raffinate e grintose, ispirate all’universo femminile e indossate per l’occasione dalla showgirl Elena Barolo e dall’ex top model Bali Lawal, e il seducente street style di Orgvsm, che richiama disegni tribali, graffiti, rose stilizzate e maxi-scritte su felpe, retro zip jeans, giacche e crop-top.
Proprio a questo innovativo brand creato dal giovane tatuatore torinese Edwin Basha è andato il Premio Torino Fashion Week 2019, consegnato dal team TMODA, che dal 2016 organizza la lunga settimana di sfilate sotto la Mole. Vogue Talents ha riconosciuto una special mention a tre designer che sono Hussain Harba, Ashram e Alvada Creations e che avranno l’opportunità di essere intervistati dalla redazione di Vogue.it. In una serata ricca di sorprese, i migliori fashion designer sono stati premiati dai partner che hanno sostenuto l’edizione 2019. Gli spettacolari copricapi ispirati al genio di Leonardo da Vinci di Giuseppe Fata, il fascino mediorientale delle creazioni di Chantique dal Brunei, le borse-gioiello customizzate di Hussain Harba, lo stile senza tempo degli abiti di Atelier Beaumont e le innovative borse tailor-made di Re-New Bags sono stati selezionati da Rinascente, che dal prossimo autunno darà la possibilità a questi brand di esporre le proprie collezioni nello store di Torino in via Lagrange. E ancora, Banca di Cherasco ha premiato tre eccellenze del territorio piemontese: la magia degli abiti da sposa e da cerimonia della boutique torinese Adelyur Fashion, i gioielli unici - collane, orecchini, braccialetti e sets - in ceramica interamente realizzati a mano da Scialabà e l’Atelier Beaumont di Paola Benedetta Cerruti. L’avanguardia stilistica ha, invece, guidato la scelta di Lexus Torino Sud, che ha consegnato il proprio riconoscimento all’estro di Lorenzo Ferrarotto, una delle giovani promesse più interessanti della scena emergente, alla collezione prêt-à-porter che lega moda, architettura e design di Aurora Leopardi e alla perfetta combinazione di eleganza e praticità dei capi urban-style creati da Hao Weimin per il brand David Sylvia. La moda modesta di Francesca Iman Cocconi di Luya Moda è stata infine premiata dall’Islamic Fashion & Design Council, mentre l’agenzia per lo sviluppo delle piccole imprese del Sudafrica SEDA (Small Enterprise Development Agency) ha conferito il proprio riconoscimento a Royal Wardrobe Designs, Tumalone e Carlos Fritz, che hanno presentato le proprie collezioni nelle sessioni di martedì. «Ad ogni edizione è sempre più alta la qualità delle capsule collection degli stilisti che portiamo sul palco della Torino Fashion Week - commenta il fondatore e CEO Claudio Azzolini -. Il grande interesse del pubblico e degli operatori di settore è la conferma che questo evento, grazie alla collaborazione con enti locali e stranieri, sta diventando una vetrina mondiale per la moda emergente e per tutti quei talenti che sanno portare avanti con coraggio idee nuove, dirompenti e sperimentali». Bilancio più che positivo anche per l’anima “business” della kermesse, Torino Fashion Match, realizzato grazie alla collaborazione con Unioncamere Piemonte nell’ambito della rete Enterprise Europe Network: agli oltre 630 incontri B2B, che si sono svolti a Palazzo della Luce, hanno partecipato 222 aziende da 30 Paesi del mondo. «Siamo molto soddisfatti - spiega Federica Leonetti, responsabile del Textile & Fashion Sector Group di Enterprise Europe Network -: abbiamo offerto a stilisti, aziende, società di e-commerce, università, rappresentanti della Commissione europea e buyer provenienti da Germania, Olanda e Norvegia la possibilità di partecipare a meeting di profilo internazionale in mattinata, di confrontarsi nel pomeriggio con workshop e case study e poi di partecipare alle sfilate serali. Sono stati tre giorni di attività intense che hanno portato a centinaia di contatti avviati, che speriamo si traducano in partnership durature”.
16R Firenze_ WINTER 03 Fotografie Francesco Bellini e Silverio Lubrini
16R Firenze presenta la nuova Collezione WINTER 03 che indentifica il numero cronologico delle singole stagioni. La designer toscana, Romina Caponi, solitamente non ama pensare a una stagione precisa ma a una collezione rivolta a una donna contemporanea in continuo viaggio non solo nello spazio ma anche nelle stagioni. Nella nuova collezione l’unica fonte di comunicazione è il filo che gioca con cambi di colori e trasparenze, creando un incrocio di righe e giochi di punti maglia in varie misure e dimensioni. La contrapposizione e gli opposti rappresentano la fonte di risorsa e di stile, da sempre elementi di focus della collezione. YIN (nero) e YANG (bianco) sono le energie d’ispirazione che creano un susseguirsi di stati, come il giorno che si tramuta in notte e la notte in giorno.
16R Firenze si rivolge così ad una donna contemporanea e cosmopolita, che ama mixare colori e forme giocando con la stagionalità e i pesi dei capi. Le lavorazioni riprendono intrecci antichi che riscoprono la manualità di tempi passati con filati in viscose lurex, cashmere, lana e mohair esclusivamente prodotti in Italia, con lavorazioni fatte sia a mano che a macchina. La Design Romina Caponi propone nella sua collezione la ricerca “della bellezza degli opposti“, con l’elemento chiave “del Nodo e dell’Intreccio” che diventa il messaggio dell’unione, della bellezza e della forza.
Living
in a BOX
DESIGN E FUMETTI
Fino al 20 ottobre 2019, Vitra Schaudepot Pow! Scoppio! Ka-boom! Con la mostra “Living in a Box: Design and Comics” al Vitra Schaudepot, il Vitra Design Museum sta dando un nuovo sguardo alla sua collezione esplorando il mondo dei fumetti e il loro rapporto con il design. I mobili iconici sono protagonisti di fumetti come “Le avventure di Tintin”, “Peanuts” e “Diabolik”, mentre allo stesso tempo innumerevoli designer si sono ispirati ai fumetti per creare pezzi diventati famosi. La mostra affronta entrambe queste tendenze nel primo studio del museo sul medium dei fumetti. Attraverso il mondo illustrato del fumetto e della graphic novel, gli oggetti della collezione del museo saltano fuori dalla pagina e prendono vita. I fumetti raccontano una storia nel corso di più pannelli, usando una combinazione di immagini e, il più delle volte, di testo. Per attirare l’attenzione del lettore, i disegnatori di fumetti devono utilizzare l’uso di codici sottili - tra cui il design - per evocare rapidamente e chiaramente un’atmosfera, uno stato sociale o uno stato mentale.
Quando un personaggio di fumetti elegantemente vestito poggia i piedi sul pouf della sua personale “Eames Lounge Chair” (1943-1956), assumiamo immediatamente che è un tipo moderno; e quando un altro critica la cosiddetta “Butterfly Chair” (1938) del Grupo Austral come scomoda, sappiamo che non lo è. Il design è apparso continuamente nei fumetti, perché il design è parte della nostra vita quotidiana, che gli artisti comici hanno sempre rispecchiato. La svolta reale del mezzo comico è probabilmente arrivata con l’ascesa dei fumetti sui giornali americani all’inizio del XX secolo. Stampati su spread a colori a tutta pagina, i fumetti della domenica, come lo stilisticamente innovativo “Little Nemo in Slumberland” di Winsor McCay (1905-1924), sulle avventure oniriche del personaggio principale, hanno raggiunto milioni di lettori ogni settimana.
Living
in a BOX
La cultura dell’alta e bassa cultura era codificata visivamente e satirizzata con l’aiuto del design, e gli artisti comici in Europa cominciarono persino a fare riferimenti diretti agli oggetti di design modernista esistenti nel loro lavoro. Ad esempio, il belga Georges Remi, conosciuto con il suo pseudonimo di Hergé, è salito alla ribalta mondiale con il suo fumetto “Le avventure di Tintin”, che è stato poi tradotto in oltre 70 lingue. Nel quinto volume del fumetto del 1934, Hergé dipinse la sedia “MR-10” di Mies van der Rohe del 1927, un oggetto che come il suo stile di disegno ridotto in modo formale “ligne claire” - pretendeva di ridurre il materiale e la forma per funzionare. Il design e i fumetti dell’epoca condividevano inoltre una definizione simile della modernità: quella che si sforzava di essere internazionale, accessibile e prodotta in serie.
amici miei
ho ucciso
un uomo
VENTICINQUE ANNI FA QUANDO ERA GUARDIA GIURATA, IL SUO FURGONE PORTAVALORI VIENE ASSALTATO DA SPIETATI RAPINATORI. UN SUO COLLEGA MUORE SUBITO E LUI, BENCHÉ GRAVEMENTE FERITO, RIESCE A SPARARE E UCCIDERE UNO DEI MALVIVENTI E A METTERE IN FUGA GLI ALTRI
Lo chiamerò Mario e lo conosco per caso qualche giorno fa, anche se poi mi ricorderò di lui quando mi racconterà la sua storia. Una storiaccia di nera che aveva occupato le pagine dei giornali per settimane. Siamo negli anni Novanta e lui a quei tempi era molto giovane, prestava servizio come guardia giurata per la Fidelitas. Siamo arrivati a parlarne per via di un conoscente comune di cui, in quell’occasione, si tessevano le lodi. Si parlava di quell’animaccia di Claudio Ferrara e dei suoi meriti come uomo e come Carabiniere... “Per me fu come un padre - mi confida Mario - soprattutto quando mi capitò la rapina al furgone portavalori, in cui ho ucciso uno dei banditi”. Comincia così a rivedere un film che chissà quante volte gli sarà toccato raccontare... Come? Hai ucciso uno dei banditi? Adesso forse inizio a ricordare... “Ogni sera si faceva il giro dei vari supermercati e si caricavano sacchi pieni di soldi in contanti che poi trasferivamo alla centrale con i furgoni blindati dove milioni e milioni in banconote di ogni taglio, monete comprese, venivano contate e confezionate in mazzette pronte il mattino dopo per essere rimesse in circolazione tramite gli sportelli bancari dove le consegnavamo su richiesta. Non pensavo davvero che fare quel lavoro potesse riservarmi un desino così…”. Si vede che la cosa lo segna ancora oggi ma sembra aver voglia di parlarne e volentieri lo ascolto. “Quella mattina non avrei dovuto essere in servizio ma mi hanno chiamato per sostituire un collega che si era ammalato. Arrivati all’Esselunga di Binasco, non appena scesi dal furgone e aperta la cassaforte a muro del supermercato, siamo stai letteralmente falciati. Così, senza nessun preavviso. Il mio collega si accascia e muore per il colpo di kalashnikov che gli ha attraversato il torace da parte a parte. Io mi becco una raffica che mi stende a terra. Chiamo il mio collega che non risponde. Posso solo muovere il braccio destro ma riesco ad impugnare la pistola e a fare fuoco su uno dei tre banditi che muore. Colpito alla testa con un colpo che gli ho sparato da terra. Io vengo soccorso e, per le ferite di otto proiettili sparati con una mitraglietta d’assalto, ne avrò per tre mesi. Uno mi è rimasto incastrato in una gamba e i medici hanno preferito lasciarlo dov’è nonostante mi avrebbe in seguito procurato un’infezione a causa della quale stavo per morire...”. Fa una pausa. Beve un sorso d’acqua. Ti pesa ancora? “Il fisico lo hanno rattoppato... Non sai cosa è successo dopo. I proiettili con cui avevo caricato la pistola, regolarmente comprati in armeria, erano di un tipo con i quali è vietato sparare alle persone per i loro effetti devastanti. Una volta entrati si aprono e distruggono tutto ciò che incontrano sul loro cammino. A causa dell’irregolarità delle munizioni che avevo utilizzato per sparare al bandito, il processo è stato un vero massacro, per tutta una serie di accuse di cui sono stato fatto segno avendo, secondo i PM, sparato per uccidere. In tutta coscienza so che, se non avessi sparato io per primo, lui avrebbe ucciso anche me come il mio sfortunato collega e non sarei qui a raccontarlo. In quel momento non potevo fare altro. Erano bestie scatenate e non mi avrebbero risparmiato. Forse, se non avessero sparato per primi così a sangue freddo e ucciso al primo colpo il mio collega, ci saremmo arresi e avremmo consegnato il denaro…. E quell’uomo non sarebbe andato al creatore per mano mia. Sono passati 25 anni, uno l’hanno acciuffato quasi subito e l’altro, quasi per caso, una settimana fa. Aveva aperto una pizzeria in Versilia. L’occhio gli si fa un po’ lucido. È chiaro, azzurro, trasparente e mi guarda per cercare una risposta o forse un altro giudizio... Che altro potevi fare, caro Mario? Certo, adesso andare davanti a San Pietro non sarà facile con un fardello così sulle spalle però, incrociando il tuo sguardo, so che la pena tu l’hai già ampiamente scontata. Una disgraziata rapina finita nel sangue come tante altre in quegli anni e come tante finite ad intasare le aule dei Tribunali dove trovate di sicuro la Legge ma non sempre la Giustizia. (V.E.F.)
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