ANNO 29 - N° DUECENTOSETTANTASEI - FEBBRAIO 2021 - € 3
BERGAMO
IN COPERTINA STEFANO SCAGLIA E GIUSEPPE PASINI
CMP BERGAMO
SPEDIZIONE IN A. P. D.L 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1, COMMA 1, DCB BERGAMO IN CASO DI MANCATO RECAPITO RESTITUIRE AL MITTENTE - EDITA PERIODICI S.R.L. VIA B. BONO, 10 BERGAMO 24121 - TASSA PAGATA BG CPO
MAGAZINE
UNITI NE USCIREMO
IL RISCATTO DI GIORGIO GORI LA LIRICA COME NON SI È MAI VISTA RIPARTIRE DAI MUSEI BENITO MELCHIONNA GIUDICE POETA ANTONIO CAZZANIGA: INTERNI CHE CAMBIANO MAURIZIO CARRARA: IL CESVI C’È ULTIME DAL PROGETTO ROCCO
INFERMIERI A VISO APERTO STEFANIA CAREDDU: STEFANIA PER SEMPRE TOMAS LINO TOMASONI DOVE GUARDA LA MODA? LAMBORGHINI WITH ITALY FOR ITALY PORSCHE BOXSTER LIMITED EDITION REGINA CASSOLO BRACCHI ALLA GAMeC
Ph. Paolo Biava
Nuova Maserati Ghibli Hybrid. Nuova Maserati Ghibli Hybrid. Performance Charged Performance Charged SCUDERIA BLU COMO – VIA TENTORIO, 6, 031 3390138 SCUDERIA BLU INFO@SCUDERIABLU.IT COMO – VIA TENTORIO, 6, 031 3390138 VIA STEZZANO, 51 - BERGAMO INFO@SCUDERIABLU.IT
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Ghibli Hybrid. Consumo di carburante in ciclo misto min – max (l/100km) 7,1 – 7,5; emissioni di CO2 in ciclo misto min – max (g/km) 161 – 172. I valori indicativi relativi al consumo di carburante e all’emissione di CO2 sono da considerarsi preliminari. I valori definitivi saranno presto disponibili presso le Ghibli Hybrid. Consumo carburante in ciclo misto min – max (l/100km) 7,1 – 7,5; emissioni di CO2 in ciclo misto min – max (g/km) 161 – 172. Concessionarie Ufficiali odisul sito www.maserati.com. I valori indicativi relativi al consumo di carburante e all’emissione di CO2 sono da considerarsi preliminari. I valori definitivi saranno presto disponibili presso le Concessionarie Ufficiali o sul sito www.maserati.com.
Vorrei baciarvi tutti… Mi manca quel gesto d’affetto, anche solo di amicizia, che portava le guance ad avvicinarsi e le labbra a stringersi per schioccare sul viso altrui quel tenero sigillo a dimostrazione di un vincolo. Un bacio, di solito due, ultimamente è di moda scambiarne tre, alternati sulle guance. Mi mancano. Non bastasse questo a rovinarmi le giornate, incontrando persone che coprirei di baci e non posso, adesso si pone il quesito: dopo la vaccinazione si potrà tornare a baciarsi come prima? Pare proprio di no. Le nuove abitudini di distanziamento diventeranno permanenti e lo saranno ancora per molto. Non vedo un ritorno a breve in affollate discoteche con la gente appiccicata che ci va giusto per quello, che è anche meglio se si beve e si perdono un po’ le inibizioni. Siamo incerti sul da farsi quando qualcuno si toglie le mascherina standoci vicino, pensiamo di arretrare, ci divincoliamo cercando di ristabilire le distanze. Qualcuno non lo capisce e il nostro imbarazzo aumenta. Il parente che non vedi da un anno che ti stringe abbracciandoti, senza la mascherina sicuro del fatto suo, l’amico strafottente che viene in redazione e se la toglie con un po’ di spavalderia.... Tutto questo incide nei rapporti con gli altri. Ho timore di vedere una famiglia con tre ragazzi in età scolare. Quali saranno, i loro comportamenti al di fuori delle mura domestiche? È rischioso invitarli per una partita a carte? Meglio organizzarla via internet. Non si sa mai… Fino a quando? Non si sa mai... Abituiamoci quindi a questa nuova freddezza, a non poter percepire il calore della pelle altrui neppure con una stretta di mano. In molti nel mondo, per questioni igieniche non lo fanno o non lo hanno mai fatto. Tornerà di moda il saluto romano…
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qui resistiamo, entrando nel nostro 29° anno di vita con un nuovo numero votato alla speranza in una risalita della fiducia nel futuro e nelle istituzioni che lo decidono per noi. La parola quindi al primo cittadino con l’introduzione che ha scritto per il suo libro “Riscatto” e ai presidenti degli industriali di Bergamo e di Brescia che abbiamo interpellato per capire lo stato di salute delle nostre imprese tra rilancio e innovazione. Un po’ di poesia nell’intervista con il grande giudice Benito Melchionna, un po’ di genio nelle parole di Tomas, artista controcorrente, un pizzico di glamour con Stefania Careddu e infine, il parere di Antonio Cazzaniga su come cambia anche il nostro vivere domestico tra lockdown e smart working. La GAMeC riapre con una mostra da non perdere dedicata a Regina Cassolo Bracchi, una delle figure più affascinanti del panorama artistico europeo del Novecento. Piano piano si torna alla vita che sarà diversa da prima, peccato che non possiamo baciarci... (V.E.Filì)
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qui Bergamo - www.qui.bg.it Autorizz. Tribunale di Bergamo n°3 del 22/01/1992 Direttore responsabile: Vito Emilio Filì Direttore editoriale: Patrizia Venerucci venerucci@editaperiodici.it Responsabile redazione: Tommaso Revera redazione@qui.bg.it Redazione eventi: Valentina Colleoni redazione.chicera@qui.bg.it Hanno collaborato: Lorenzo Boccardini, Bruno Bozzetto Manuel Bonfanti,Valentina Colleoni, Maurizio Maggioni, Giuseppe Mazzoleni Giorgio Paglia, Camilla Peverelli Fotografie di: Federico Buscarino, Sergio Nessi, Paolo Stroppa, Paolo Biava
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pag. 6 - Giorgio Gori: Riscatto
pag. 8 - L’opera mai vista
pag. 16 - Rubrica Confartigianato pag. 17 - Brescia riparte dai Musei pag. 22 - Benito Melchionna. Poeta per amore
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pag. 28 - Giuseppe Pasini - Confindustria Bs pag. 32 - Stefano Scaglia - Confindustria Bg pag. 36 - Antonio Cazzaniga - Interni
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pag. 41 - Maurizio Carrara - CESVI pag. 43 - Politicando
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pag. 44 - Progetto Rocco pag. 47 - Infermieri a viso aperto
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pag. 50 - Fondazione ARMR pag. 52 - Stefania Careddu pag. 56 - Tomas Lino Tomasoni pag. 60 - Fondazione Creberg
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pag. 62 - Regina alla GAMeC pag. 64 - Mimmo Palladino pag. 66 - Dove guarda la moda pag. 68 - Lamborghini with Italy pag. 74 - Porsche Boxster 25°
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pag. 80 - Fuochi di Paglia
Bergamo, Via Paleocapa 3/L ang. Via Paglia T. +39 035 219953 - bergamo@internionline.it Milano, Via Turati 8 - Via Durini 17 Verano Brianza, S.S. 36 www.internionline.it
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RISCATTO
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L’INTRODUZIONE DEL LIBRO SCRITTO DA GIORGIO GORI, SINDACO DI BERGAMO DURANTE I GIORNI DELLA PANDEMIA
C’è stato un tempo in cui l’Italia non era in crisi. C’è stato un tempo in cui il mondo ci guardava con ammirazione; in cui, partendo dal fondo della classifica, ogni anno il nostro Paese scalava posizioni. E la vita di milioni di italiani visibilmente migliorava. Più istruzione, più occupazione, più reddito, più consumi. C’è stato un tempo in cui tutto ciò si traduceva in maggiore fiducia nel futuro, nella concreta speranza di vedere via via progredire la propria condizione, e questo incoraggiava a mettere al mondo più figli, perché si sapeva che la loro vita sarebbe stata migliore di quella dei loro genitori. Io sono nato in quel tempo, per l’esattezza nel marzo del 1960. Ero dunque troppo piccolo per apprezzarne lo spirito; devo però averne respirato l’aria, perché me n’è rimasta la nostalgia. Non mi si fraintenda: la qualità di vita di quegli anni era mediamente di molto inferiore a quella di cui godiamo oggi. Si moriva prima e molti di più erano i poveri e gli analfabeti. Il reddito medio era di gran lunga più basso rispetto a oggi. Non era certo un’età dell’oro. Eppure eravamo più ottimisti e più orgogliosi di noi stessi. È di quello spirito che sento la mancanza. Da allora - da che ho potuto rendermene conto - ho l’impressione di aver vissuto in un Paese costantemente in crisi, eccezion fatta forse per gli anni Ottanta, che l’esplosione della spesa pubblica ci fece percepire come «affluenti» e non già per ciò che erano: una stagione di cicale di cui ancora oggi paghiamo il conto. Per il resto, quasi semper crisi. Quasi sempre in fondo alle classifiche europee. Da vent’anni almeno, praticamente al palo. Dal 2008 in poi, non ne parliamo. Più in crisi degli altri, non ne siamo mai veramente usciti. Crescita, produttività, istruzione, natalità, equità, efficienza delle istituzioni, pubblica amministrazione, giustizia, legalità, senso civico: dove ti giri ci sono cose che non funzionano e che sembriamo incapaci di affrontare e risolvere. In più ci è toccato il populismo, la seduzione di un popolo scontento, a regalarci la peggior classe dirigente del dopoguerra. E il COVID, quando già stavamo sul filo della recessione, dopo un anno del governo gialloverde che ha fatto danni e molti di più ne avrebbero fatti se il «Capitano» non fosse andato fuorigiri. Nella mia città, Bergamo, nella mia provincia, l’epidemia è esplosa con violenza inimmaginabile, mietendo migliaia di vittime. Per fortuna non è stato ovunque così, ma in ogni parte del Paese ha lasciato una pesante eredità, a partire dal crollo della produzione, dei consumi e dell’occupazione più fragile. E tuttavia, di fronte a questo nuovo nemico, sorprendendo noi stessi, abbiamo retto dignitosamente, meglio di molti altri Paesi, mostrando un senso di responsabilità, una capacità di reazione su cui non avremmo scommesso. È sufficiente per dire che l’Italia è guarita, che siamo diventati un esempio, che siamo alla vigilia di un nuovo Rinascimento? Io onestamente non lo credo. Troppo spesse le incrostazioni, troppi snodi di funzionamento da rivedere in profondità, troppa manutenzione in arretrato. Ma già basta questo refolo di fiducia in noi stessi per indicarci la via.
C’è una strada fatta di impegno, serietà, sacrificio, coraggio, generosità, che contiene la possibilità di riscattare il nostro Paese dalla mediocrità, dalla crisi che ne accompagna la storia recente e dalla prospettiva di un declino altrimenti inevitabile. È una strada che passa dai cittadini prima che dalla classe politica; quella verrà di conseguenza, se gli italiani sapranno dove andare. E che richiede innanzitutto il recupero del senso di un destino comune, come quello che c’era dopo la guerra, quando si trattava di ricostruire un Paese in ginocchio, e che abbiamo sentito d’avere nei mesi più duri del COVID. Tutti sulla stessa barca, e perciò obbligati a remare con buona lena nella stessa direzione.Bergamo, in questa storia recente, si è vista assegnare un ruolo che avrebbe volentieri evitato, quello della città più colpita. Ma questo ha spinto la città a mobilitarsi intorno a valori di solidarietà, e oggi un impegno ancora più energia per rimettersi in piedi, ferma nell’intenzione - se di simboli bisogna parlare - di provare da qui in poi a incarnare non più quello di una tragedia ma quello di una rinascita. Riscatto è dunque un titolo che mi è venuto dal cuore, mescolando la vicenda della mia città e ciò che spero possa ancora accadere al nostro Paese; l’insofferenza per le troppe cose che in Italia non funziona e la speranza di vedere gli italiani finalmente reagire, ritrovare l’amore per il proprio Paese e il desiderio di migliorarsi. Bergamo è una piccola storia ma è la mia storia. Da lì prendo il mio carattere e la forza che mi manda avanti. E in questo caso un’ispirazione in più. Non ho soluzioni facili, non mi candido a nulla. Spero però di riuscire con queste pagine a trasferire la voglia e l’urgenza di darsi da fare, seriamente, nei tanti modi in cui è possibile e utile farlo. Se la vicenda italiana ha preso questa piega è anche perché tanti che potevano impegnarsi e fare la differenza sono rimasti a guardare. Ora non si può più. Se «riscatto» vogliamo che sia, è necessario che anche loro si mettano in cammino. Scrivere un libro non era nei miei programmi, non lo è mai stato e maggior ragione quest’anno. Ho sempre pensato che non fosse nelle mie corde, e che ci fosse bisogno di un tempo, di una sospensione dell’azione, per mettere in fila le idee e dar loro una forma accettabile: e quando mai. Quest’an-
no poi, con quello che è accaduto, di tempo per pensare ce n’è stato ancora meno. Eppure eccoci qua. La colpa è di Cristiano Peddis e di Francesco Cancellato. della saggistica Rizzoli, per avermi sollecitato a farlo con paziente insistenza; il secondo - giornalista di rango, oggi vicedirettore di «Fanpage» - per avermi aiutato a capire di cosa valesse la pena parlare e soprattutto per aver immaginato una forma, che per una qualunque attività espressiva è di gran lunga la cosa più importante. È bastata una chiacchierata con lui per convincermi che era il giusto compagno per questo azzardo. Grazie, dunque: senza di loro Riscatto non ci sarebbe stato. Scrivendo, rispondendo alle domande con cui Francesco ha voluto scandire la nostra lunga conversazione, ho anche scoperto d’avere più cose da dire di quanto immaginassi, frutto evidentemente del tempo che non è trascorso del tutto invano: a sessant’anni si vede che qualcosa si è sedimentato. Ogni capitolo prende spunto dal racconto di un pezzetto di biografia, e da lì prova a sviluppare una riflessione più ampia. Si parla quindi spesso di Bergamo, la città in cui sono cresciuto e di cui sei anni sono sindaco, assurta in questo 2020 al ruolo di protagonista - suo malgrado - di una vicenda particolarmente dolorosa. Si parla anche di COVID, necessariamente, e anzi da lì si parte, avendo però scelto di farlo con misura, quasi fosse un antefatto. E poi di sanità, di giovani, degli squilibri tra città e aree interne, di Nord e Sud, di scuola, di lavoro e di welfare, di demografia e di immigrazione; molto ovviamente di politica, del PD, di come i riformisti possono, a mio avviso, affrontare e vincere la partita contro populisti e sovranisti; delle grandi trasformazioni del nostro tempo e di come sia importante accompagnarne gli effetti, del ruolo che l’innovazione potrà giocare nella battaglia contro il cambiamento climatico. Per quanto ho potuto ho cercato di non fermarmi all ‘«elenco dei problemi» ma di prospettare anche ciò che, a parer mio, andrebbe fatto per affrontarli e cercare di superarli. Non si tratta in alcun modo di un «manifesto»; rileggendo le bozze mi è però parso che emerga una visione finale chiara e coerente, o almeno così spero che sia. (Giorgio Gori)
Foto Sergio Nessi
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MAI VISTA
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Non si è voluto rinunciare, nonostante l’emergenza sanitaria, alla messa in scena di alcune delle Opere previste in cartellone per l’anno 2020 nei maggiori Teatri e, viste le restrizioni in essere si è deciso di traslocarne via web la fruizione per il pubblico, non più possibile in presenza, con un palinsesto e una drammaturgia pensati per il web, in modo che fossero fruibili a tutti, esperti, appassionati e neofiti. Grande opportunità quindi di poter lavorare in maniera del tutto nuova per scenografi e registi che hanno potuto sconfinare dal palcoscenico sfruttando una spazialità mai resa possibile nelle stagioni “normali” e che ha reso possibile una fruizione da remoto molto coinvolgente. In queste pagine alcune immagini scattate presso il Teatro Donizetti durante la rappresentazione de Marino Faliero, in una nuova produzione affidata alla creatività decisa e contemporanea di ricci/forte e con un cast “all star” nel quale spiccano Michele Pertusi e Francesca Dotto.
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MARINO FALIERO
Azione tragica in tre atti di Giovanni Emanuele Bidera e Agostino Ruffini Musica di Gaetano Donizetti - Direttore Riccardo Frizza Progetto creativo ricci/forte - Regia Stefano Ricci Scene Marco Rossi - Costumi Gianluca Sbicca Lighting design Alessandro Carletti Coreografie Marta Bevilacqua Assistente alla regia Liliana Laera Assistente alla scenografia Francesca Sgariboldi Assistente alle luci Ludovico Gobbi Orchestra Donizetti Opera Coro Donizetti Opera Maestro del coro Fabio Tartari Marino Faliero Michele Pertusi Israele Bertucci Bogdan Baciu Fernando Michele Angelini Elena Francesca Dotto Steno Christian Federici Leoni Dave Monaco Irene Anaïs Mejías Un gondoliere Giorgio Misseri Beltrame Stefano Gentili Pietro Diego Savini Strozzi Vassily Solodkyy Vincenzo Daniele Lettieri Figli d’Israele Enrico Pertile, Giovanni Dragano, Angelo Lodetti Voce di dentro Piermarco Viñas Mazzoleni Performer Lucia Cinquegrana, Emma Zani, Pierre-Etienne Morille, Alessandro Hartmann, Luca Parolin, Sara Paternesi, Alessio Urzetta
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MAI VISTA Marino Faliero è andato in onda in streaming sulla Web TV con Michele Pertusi e un cast d’eccezione venerdì 20 novembre in streaming sulla Web Tv e in diretta su Rai 5. Il progetto creativo è di ricci/forte, coppia di registi appena nominata alla direzione della Biennale Teatro di Venezia, chiamata a dipanare una vicenda frammista di politica e sentimento ambientata nella Venezia nel Trecento. Andato in scena al Théâtre Italien di Parigi – il più alla moda dell’epoca e con Rossini coinvolto nella direzione – il 12 marzo 1835, Marin Faliero vantava un cast di virtuosi di prim’ordine (Luigi Lablache, Antonio Tamburini, Giulia Grisi, Giovan Battista Rubini), cosa che suscitò un’artificiosa rivalità con Bellini che aveva messo in scena poco prima nel medesimo teatro.
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MARINO FALIERO IL DOGE TRADITO Atto I Venezia, 1355. I lavoratori dell’arsenale commentano una scritta apparsa a Rialto che accusa Elena, moglie del doge Marino Faliero, di aver tradito il marito. Il loro capo, Israele Bertucci, ricorda l’impresa di Zara alla quale aveva partecipato con Faliero. Arriva Steno, un arrogante patrizio: accusa gli artigiani di non lavorare abbastanza e minaccia punizioni. Israele e i suoi criticano la prepotenza dei nobili. Nel palazzo del doge, suo nipote Fernando, innamorato corrisposto di Elena, ha deciso di lasciare Venezia. Giunge Elena, che gli dona un velo a ricordo del loro amore. Il doge, ignaro del legame tra i due, allontana la moglie e confida al nipote il proprio turbamento per l’infamante accusa a lei rivolta. Faliero è anche amareggiato per l’invito a una festa in maschera del patrizio Leoni, alla quale si sente costretto a partecipare. Rimasto solo, il doge è raggiunto da Israele che gli svela una congiura contro i patrizi. I due si accordano: alla festa di Leoni, Israele indicherà al doge il numero e il nome di coloro che hanno aderito. Nel palazzo di Leoni arrivano Faliero, Elena e Fernando. Il doge si apparta con Israele che gli comunica che i congiurati agiranno la notte stessa, muovendo da San Giovanni e Paolo. Elena è infastidita da una maschera. È Steno, che Fernando sfida a duello: si incontreranno all’alba, a San Giovanni. Atto secondo I congiurati si riuniscono a San Giovanni. Arriva anche Fernando che attende l’ora del duello. Quando il campanile suona le tre, si avvia al luogo stabilito. I congiurati escono allo scoperto, raggiunti dal doge. Mentre un temporale si avvicina, si sente un rumore di spade: Fernando è stato colpito a morte e nell’agonia indica Steno come suo uccisore. Atto terzo Nel palazzo ducale, Faliero annuncia a Elena la morte di Fernando. In quel momento entra Leoni a reclamare la presenza del doge contro i congiurati. Faliero se ne dichiara capo e si proclama re, ma viene arrestato dagli sbirri, mentre Elena si abbandona alla disperazione. Nella sala del Consiglio dei Dieci, Faliero, Israele e gli altri congiurati vengono condannati a morte. Rimasto solo, il doge deposto viene raggiunto da Elena. Faliero le chiede di essere sepolto con il velo che il nipote portava con sé. Elena lo riconosce e, assalita dal rimorso, confessa di aver amato Fernando. Dapprima furioso, Faliero si placa, perdona la sposa e si avvia al patibolo. Elena prega e, quando i tamburi annunciano l’esecuzione, cade svenuta.
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GESTIONE DI COLF, BADANTI E BABYSITTER
IDENTITÀ DIGITALE IN 30’
Il periodo che stiamo vivendo ha messo a nudo la necessità di far fronte a servizi di cura ed assistenza per i nostri cari. Per questo motivo Confartigianato Imprese Bergamo ha istituito un nuovo servizio, denominato ‘Gestione lavoro domestico’ e inserito nell’Area Servizi alla Persona, per tutti coloro che intendono assumere, regolarizzare e gestire i propri collaboratori domestici. Una soluzione a portata di mano grazie alla quale offrire aiuto alle persone anziane o con varie tipologie di disabilità e prendersi cura dei nostri figli rimasti a casa in seguito alla sospensione di numerosi servizi scolastici ed educativi dovuta al lockdown.
Divenuto uno strumento ormai indispensabile per gestire tutti i nostri rapporti con la pubblica amministrazione e per fruire di numerosi servizi, lo SPID (Sistema pubblico d’identità digitale) è ora disponibile anche presso l’apposito sportello di Confartigianato Imprese Bergamo: un aiuto concreto nell’attivazione dell’identità digitale pensato non solo per venire incontro alle vicissitudini di tanti cittadini ma anche per semplificare un iter procedurale non sempre di facile comprensione.
La scelta di proporre un servizio di questo tipo deriva anche dalla centralità assunta dal lavoratore domestico nel nostro sistema di welfare, a prescindere dalla mansione svolta (colf, badante, babysitter, collaboratore familiare), e dall’importantissima funzione sociale che ormai riveste. Figure professionali di questo tipo devono essere gestite con sicurezza e professionalità, nel rispetto di tutti gli aspetti contrattuali, contributivi, assicurativi e fiscali, anche alla luce del nuovo contratto collettivo nazionale di lavoro siglato l’8 settembre 2020 che ha introdotto alcune significative novità.
Una novità importante, dunque, grazie alla quale ciascun utente interessato potrà accedere in maniera semplice e sicura, tramite un’unica password personale, al fascicolo sanitario elettronico, al portale dei tributi, a quello del cittadino, alle pratiche Inps, fino alle iscrizioni scolastiche e molto altro. Il servizio è rivolto agli associati, ai soci ANAP (Associazione nazionale anziani e pensionati di Confartigianato) ma anche ai privati cittadini. Rispetto alle soluzioni offerte oggi dal mercato, uno dei vantaggi del servizio proposto da Confartigianato Imprese Bergamo è la velocità e la comodità: basteranno trenta minuti per attivare il proprio profilo SPID.
Grazie alla sinergia tra il personale del comparto Servizi alla Persona e dell’Area Lavoro, uno staff di esperti qualificati sarà a vostra disposizione, con tariffe a prezzi calmierati e agevolati, per aiutarvi a 360 gradi nell’amministrare tutti gli adempimenti legati al rapporto di lavoro. Nello specifico, lo staff di Confartigianato Imprese Bergamo prenderà in carico il collaboratore domestico, per conto della famiglia, fornendo assistenza continuativa nelle pratiche di assunzione, elaborazione cedolino paghe, monitoraggio contributi Inps, gestione degli istituti contrattuali quali malattia, infortuni, congedi, consulenza sul contratto di lavoro collettivo, certificazione unica annuale, cessazione del rapporto. Il servizio “Gestione lavoro domestico” è aperto agli associati, ai soci Anap (Associazione nazionale anziani e pensionati) ma anche a tutti i cittadini, per i quali è richiesta la semplice sottoscrizione di una tessera “socio aggregato”. Per maggiori informazioni o per aderire al servizio è possibile contattare la Segreteria Lavoro Domestico al numero 035 274 241 o inviare una e-mail all’indirizzo: lavoro.domestico@artigianibg.com
Accedere al servizio è semplicissimo: basta prenotarsi chiamando il numero 035 274 236 o inviando una e-mail all’indirizzo: spid@artigianibg.com
Il consulente di Confartigianato Imprese Bergamo fisserà con voi un appuntamento al quale basterà presentarsi nel giorno concordato scegliendo tra i sei Sportelli SPID attivati in tutta la provincia e localizzati nelle sedi Confartigianato di Bergamo, Calusco d’Adda, Clusone, Grumello del Monte, Romano di Lombardia e Treviglio. È importante presentarsi all’appuntamento muniti di carta di identità, tessera sanitaria, email personale, cellulare personale.
SPORTELLO SPID Sportello SPID di Confartigianato
Confartigianato Imprese Bergamo,Via Torretta La12, Bergamo tua identità digitale pronta in 30 minuti
L’identità digitale è sempre più uno strumento necessario Chi può accedere al servizio e cosa deve fare? Tel. 035 274111 - Fax 035.274274 - info@artigianibg.com - www.confartigianatobergamo.it per il privato cittadino che desidera accedere ai molti servizi Tutti possono accedere al servizio SPID! online della pubblica amministrazione (fascicolo sanitario elettronico, INPS, portale tributi, portali del cittadino etc...), ma non per tutti l’attivazione del proprio profilo si rivela un passaggio semplice. Ecco quindi che Confartigianato ha deciso di attivare un
Come tutti i prodotti del pacchetto “Servizi alla Persona” è aperto a tutti i cittadini. Per attivare il proprio SPID gli interessati devono prendere appuntamento (telefonando o scrivendo ai recapiti indicati di seguito) e presentarsi di persona all’appuntamento muniti di:
RIPARTIRE DAI MUSEI I MUSEI BRESCIANI HANNO RIAPERTO AL PUBBLICO. MOSTRE CON ACCESSO GRATUITO FINO AL 26 FEBBRAIO PER TUTTI I VISITATORI
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Dal martedì al venerdì, dalle 10 alle 18, con prenotazione obbligatoria, sarà possibile accedere al
Museo di Santa Giulia, alla Pinacoteca Tosio Martinengo, al Museo delle Armi “Luigi Marzoli” e al parco Archeologico di Brescia Romana, rinnovato in occasione del ritorno della Vittoria Alata con l’allestimento curato dall’architetto spagnolo Juan Navarro Baldeweg.
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RIPARTIRE DAI MUSEI
Proprio la statua della dea, appena restaurata, è stata protagonista delle giornate del 4 e del 5 febbraio: le guide dei Servizi Educativi di Brescia Musei hanno offerto al pubblico una visita guidata all’interno dell’aula che, nel Capitolium, ospita la Vittoria Alata (e anche nelle mostre “Raffaello, l’invenzione del divino pittore” e “Juan Navarro Baldeweg. Architettura, pittura e scultura”). Le due mostre temporanee allestite all’interno del Museo di Santa Giulia, dedicate una a Juan Navarro Baldeweg, l’altra a Raffaello, saranno visitabili gratuitamente con lo stesso orario di visita dei Musei (dalle 10 alle 18), oltre che con visita guidata. La prima mostra, “Juan Navarro Baldeweg. Architettura, pittura, scultura”, espone il lavoro di uno degli architetti più originali a livello internazionale, che è recentemente intervenuto a Brescia nel nuovo allestimento per la Vittoria Alata in Capitolium. Sarà esposta fino al 5 aprile e sarà visitabile con l’ausilio dell’audioguida gratuita disponibile dal sito vittorialatabrescia.it
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RIISCOPRIAMO LE GRANDI BELLEZZE A CASA NOSTRA
RIPARTIRE DAI MUSEI
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INFORMAZIONI Riapertura dei Musei cittadini: Museo di Santa Giulia Pinacoteca Tosio Martinengo Parco archeologico di Brescia romana Museo delle Armi “Luigi Marzoli” Dal martedì al venerdì dalle 10 alle 18 con ingressi contingentati Ultimo ingresso al Museo di Santa Giulia e alla Pinacoteca alle ore 16.30 Per gli altri siti e mostre ultimo ingresso alle ore 17. PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA - dal sito web di Fondazione Brescia Musei - attraverso il Centro Prenotazioni (aperto da lunedì a domenica dalle 10 alle 18; tel. 0302977833-834; e-mail santagiulia@bresciamusei.com) - biglietterie dei Musei (aperte dal martedì al venerdì dalle 10 alle 17.
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BENITO MELCHIONNA V.E.Filì - ph. Sergio Nessi
Qualcosa traspare subito, appena lo incontri, come una genuina e frizzante gioia interiore che ti giunge dal suo sguardo vivissimo nonostante le tante primavere. Bisogna però conoscerlo per capire cos’è che muove da quell’uomo e da dove arriva l’energia che trasmette. Benito, già il suo nome lo colloca in un certo periodo storico, Melchionna è un cognome dell’Irpinia, la terra del lupo che, non per caso, compare sul suo curioso biglietto da visita. Me lo porge alla mia richiesta di poterlo incontrare di nuovo, dopo quel primo fugace incontro in un bar del centro, organizzato dalla comune amica Anita Lazzaroni Betelli. Sotto al suo nome è scritto magistrato e scrittore. Sempre sul suo biglietto da visita, a sinistra, sulla coda di un maestoso lupo si legge “Venus et Mars”, bellezza e coraggio. C’è n’è fin troppo per non incuriosirmi. In lui convivono uomini diversi, esistenze parallele legate da un filo conduttore che ha un suo inizio… Nel soggiorno dove mi accoglie ci sono le foto delle tre figlie e dei nipoti di cui va orgogliosissimo. In primo piano l’amatissima moglie che è passata ad altra vita solo un anno fa e alla quale ha dedicato la sua intensa ultima poesia, l’ultima che ha composto. Mi porge quasi timidamente il foglio. La leggo ad alta voce. A me viene la pelle d’oca, a lui i lucciconi. L’ARCANGELO MICHELE E ABRAMO
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Nel claustrale silenzio si dilata il tempo ignudo prigioniero di straziate sirene e di cupi rintocchi presagio di coronavirus e di morte Si dissolve un mondo costruito da vecchi padri derubati del crepuscolo e di un’ultima carezza ai confini del dies irae. Cuori pesanti di vuoto prosciugano lacrime di pietà trafitte da fessure di luce nel fragile stupore del dolore. Incurante procede primavera e nega i suoi tripudi all’abbraccio degli amanti e all’allegrezza dei bimbi. Sulla Mole adriana tornerà nel fodero la spada dell’arcangelo Michele ad annunciare la sconfitta della pestilenza oscura. Sonderò nuove strade per immergermi e fermarmi dentro le cose semplici come l’amore. Mi alzerò con Abramo a contare le stelle per congiungermi alla più bella di nome Wanda
“Cerco di esprimere una tensione verso l’infinito, verso ciò che trascende la nostra esperienza di vita, comunque modesta e frammentata, anche se dura cento anni. È il nostro “particolare” che si congiunge all’universale. È dedicata ai morti da Covid-19 e soprattutto a mia moglie come mia musa, ormai avvolta nell’assoluto e interiorizzata come simbolo di gioia e di energia”.
IL VOLUME IN CUI È INSERITA LA POESIA QUI A SINISTRA
GIUDICE PER UNA PROFEZIA POETA PER AMORE
Quando vi siete conosciuti? “A Roma nel ’62 quando scrissi la mia prima poesia per lei. A Wanda e ai nostri rami fecondi. Rami felici. E lo sono stati: tre figlie, sette nipoti, ora ancora di più uniti in un cerchio d’amore ogni giorno vivificato dalla sua presenza che ormai splende nella luce del creato”.
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Benito è stato postulante monaco benedettino, guardia carceraria e infine giudice. Oggi, una vita di studio e tantissime esperienze vissute, lo portano a scrivere. E lo fa in maniera eclettica con stile elegante che arriva direttamente al cuore e alla mente. Ha scritto poesie, sceneggiature teatrali, saggi giuridici e, in tempi non sospetti, un volume filosofico intitolato “Sanità Malata”, dove pronosticava con lucidità quello che poi ci è accaduto. Ha all’attivo libri sulla tutela dell’ambiente, per i quali venne soprannominato il Pretore verde e per queste opere venne premiato nel 2000 alla Feria internazionale del libro di Cuba e con il premio nazionale Montefeltro di saggistica ambientale. Ha scritto anche sul diritto, sulla costituzione, sulla sicurezza. È c’è n’è per tutti. Non risparmia politici, docenti, neppure la magistratura, in cui è stato immerso per una vita. Infatti, sa bene che molti pensano che nei Tribunali spesso “si amministra il diritto con ben poca giustizia”. La sua più conosciuta fatica letteraria è la pièce teatrale “Processo al Caravaggio”, rappresentata con successo in diversi teatri storici, dal Teatro Sociale di Bergamo nel 2010 e poi al Vittoriale di Gardone Riviera, al San Domenico di Crema… Altra opera di grande respiro culturale è il recente saggio dal coraggioso titolo “Elogio della trasgressione”, che ha suscitato interesse di critica e di pubblico anche perché della trasgressione ne scrive un ex fraticello, un ex secondino ed un ex giudice ai vertici della Magistratura. Trasgredire però non vuol dire violare le regole, ma il termine va inteso in senso letterale come superamento delle convenzioni stupide. Di solito stiamo alla larga dai magistrati, che a nostro avviso non dovrebbero essere troppo mediatici ed esposti, ma per lui abbiamo trasgredito anche noi. Quindi la zingara aveva visto giusto… Alla fine è diventato un giudice. “La mia vera vocazione era diventare critico d’arte. Sono amante nel profondo della vita e dell’arte perché la mia, come ogni vita, è sacra, quindi intangibile. Capita però che ci siano vite più complesse rispetto ad altre. La mia ha avuto un itinerario intenso, molto laborioso e con tante conquiste. Sono nato in Irpinia, vicino ad Avellino, in una famiglia povera ma ricca di dieci figli e dell’amore sconfinato di una madre eccezionale. Vivevamo in un paesello, Castel Baronia, di pochi abitanti, dove ho trascorso i primi dieci anni di vita e dove poi nel 2011 sono stato ufficialmente annoverato tra i cittadini più illustri. Terra di umori antichi, tra docili declivi cullati da distese di ulivi a circa 700 metri sul mare. È di una bellezza straordinaria con un cielo terso e infinito, dove si avvertono le atmosfere del Tirreno e dell’Adriatico. Se nasci lì hai la poesia dentro. Anche i contadini di quelle parti sono forse un po’ rozzi ma sentono la poesia come istinto. E hanno
un senso del diritto e della giustizia molto spiccati con radici arcaiche… Cristianesimo sì, però coniugato in maniera flessibile, in un sincretismo profano e religioso. Lì non c’era nessuna chance e il mio destino sarebbe stato diventare un lavorante subalterno. Invece la maestra mi trovava molto vivace, diceva “con una grande energia dentro”. Così hanno pensato bene, per darmi una buona educazione, di spedirmi in convento, prima al Monastero dei Mercedari di Nemi a sud di Roma e poi alla famosa Abbazia benedettina di Monte Oliveto Maggiore”. Per studiare? “Per poter proseguire negli studi a condizione di avere una vocazione religiosa. Un mio zio di Napoli si prestò di versare l’obolo per il mio mantenimento al convento con la promessa di una vocazione. Lì ho studiato teologia e penso sia stato questo il mio valore aggiunto, anche come giudice. La teologia ti fa riflettere sulla caducità delle cose umane per vederle in una prospettiva non contingente. L’Abbazia olivetana, risalente al 1300, si trova tra le Crete senesi, patrimonio dell’umanità come i vicini calanchi della Val d’Orcia. Vivevamo isolati dal mondo in clausura, i professori erano tutti monaci, quindi latino, greco e canto gregoriano dal mattutino al vespro in dosi massicce. Lì ho anche imparato a fare il miniaturista perché i frati si dedicavano al recupero e alla conservazione dei palinsesti e degli incunaboli medievali dove in cima alla pagina, al capolettera, c’è la chiosa rossa e la miniatura. Ho appreso così il gusto per i piccoli particolari. È una cosa in cui credo molto: se non guardi una persona nei dettagli, non senti emozioni e sarà sempre una conoscenza superficiale, vuota. Mentre nel dettaglio, come si dice, si nascondono sia il diavolo sia l’arcano della bellezza. Sono stato in convento fino al primo anno di noviziato, durante il quale, oltre alla clausura, bisognava rispettare il voto del silenzio e fare promessa di obbedienza, di povertà, di castità… Quando avrei dovuto fare quella grande promessa, ho lasciato il convento e sono tornato a Napoli dallo zio che mi tenne con lui perché gli facevo da babysitter. A diciassette anni chiesi di arruolarmi nelle guardie carcerarie e fui assegnato a Milano, a San Vittore, dove mi ritrovai a fare i turni di guardia sulle torrette. Ero terrorizzato in mezzo alla nebbia… Esperienza terribile. Tremila detenuti, l’universo degli ultimi, un mondo segregato, dimenticato da tutti. Tra l’altro ho avuto un’avventura che per poco non finiva male e invece, per me, si rivelò fortunata. Per poter studiare la sera nella semibuia camerata, mi ero fatto collegare, da un detenuto elettricista, una piccola abat-jour. Era il ’56 ed io, uscito dal convento, non avevo nessun titolo di studio e dovetti rifare gli esami di terza media e di ginnasio per poi potermi infine iscrivere a un Liceo classico serale messo a disposizione dal Comune di Milano. Una notte, un brigadiere un po’ carogna, mi sorprese con la luce accesa e mi accusò di rubare elettricità allo Stato. Fece rapporto al direttore che mi disse che avrebbe dovuto denunciarmi. Mi difesi dicendo che stavo studiando perché volevo
BENITO MELCHIONNA GIUDICE PER UNA PROFEZIA POETA PER AMORE
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diventare un magistrato. Era solo la profezia rivolta da una zingara a mia madre, “incredula”, che mi teneva bimbetto in braccio al mercato. Però questa confidenza mi era rimasta dentro. Il direttore mi prese in simpatia, mi trasferì nella sua segreteria come dattilografo e mi assegnò una stanzetta tutta per me dove potevo concentrarmi nello studio.... matto e disperato”. Dal convento al carcere… “All’esame di maturità mi presentai come privatista ed ebbi la fortuna di avere, nelle vesti di Presidente della Commissione, Carlo Bo, personaggio già carico di gloria, Rettore alla storica Università di Urbino, diventato poi Senatore a vita. Alla prova orale sembrava di essere davanti ad un plotone d’esecuzione e si sapeva che i privatisti erano considerati avventurieri e non venivano quasi mai promossi. Arrivai davanti al primo esaminatore, quello di italiano. Mi chiese cosa facessi nella vita. Risposi che ero una guardia carceraria e che volevo diventare magistrato. Mi derise con l’aria di chi pensa di avere davanti un cialtrone. Rincarò la dose sostenendo di essere certo che il mio tema fosse stato copiato. Era un tema sul Foscolo, su cui ero preparatissimo, componimento al quale avevo aggiunto qualche considerazione personale.
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A questo punto, il professore che mi stava esaminando, aprì a caso la Divina Commedia chiedendomi di leggerne una terzina: “dove siamo - mi incalzò - spiegami perché a questo punto Dante…”. Io sapevo quasi tutto della Divina Commedia, grazie agli anni in convento, per cui risposi in modo ineccepibile. Lui si arrabbiò perché probabilmente sapevo fin troppo. Essendosi però bloccata con me la fila degli studenti che dovevano proseguire l’esame, il presidente Bo venne a verificare cosa stesse accadendo. Il professore gli confidò il sospetto del tema copiato. Bo prese in mano il mio scritto e lo lesse: ricordo quella come la prova più difficile della mia vita, anche perché allora si poteva accedere alla facoltà di Giurisprudenza solo con il diploma di maturità classica. Il presidente venne a sedersi vicino a noi dicendo che il tema era originalissimo e che voleva conoscere meglio chi lo aveva scritto. Mi pose qualche domanda sulla poetica di Gabriele D’Annunzio, che io adoravo per la mia stessa attenzione alla musicalità della parola, il verbo divino che si incarna nell’uomo come dice l’incipit del Vangelo di Giovanni. Il professore invece detestava il Vate, come gran parte degli intellettuali dell’epoca, che lo ritenevano solo un becero politicante. Bo mise un nove sul tema, eliminando il punto interrogativo che vi aveva apposto quel razzista del professore di italiano, lasciandolo con un palmo di naso. Gli altri esaminatori, visto il blocco della fila, avevano assistito alla scena e non mi tartassarono.Venni però rimandato in matematica e fisica, un miracolo per un privatista. Dopo due mesi a settembre venni promosso probabilmente per le mie doti letterarie apprezzate dal grande Bo. Il quale, per una di quelle misteriose pieghe della storia, qualche decennio dopo mi chiamò a Urbino per affidarmi l’insegnamento universitario di diritto ambientale e di diritto costituzionale. Intanto mio fratello Pino, anche lui guardia carceraria, era l’autista del Presidente di Cassazione, eccellenza Ugo Pioletti, che mi volle conoscere. Mi fece applicare a Roma al Massimario. Lì mi sono iscritto a Giurisprudenza e ho conosciuto mia moglie che era di Roma. Fu per lei che diventai poeta e scrissi la mia prima poesia, alla quale seguirono molte altre. Wanda era una ragazza di buona famiglia, di animo gentile e arguto, elegante nei modi, dolcissima mater mediterranea. Diplomata con il massimo dei voti al Liceo Virgilio di Roma e poi laureata in Giurisprudenza alla Sapienza con 110 e lode”. “Ci eravamo incontrati al concorso al Ministero del Turismo il 18 maggio del ‘62, data rimasta come nuova vita per noi. Poi siamo stati sposi per 54 anni, in simbiosi perfetta viaggiando attraverso mezzo mondo per scrutare con curiosità il bello della natura e le suggestioni dell’arte. Nel ’67 partecipai con successo in concorso in Magistratura e fui poi assegnato come uditore alla Procura di Roma , con il noto P.M. Claudio Vitalone, allora molto vicino al mitico Giulio Andreotti”. Insomma un bell’ambientino, ancor prima dell’inquietante “Sistema” Palamara.
L’intervista prosegue a pagina 78
Benito Melchionna, di origine irpina, naturalizzato romano e poi bergamasco, ha percorso l’intera carriera di magistrato, con l’attribuzione del titolo di procuratore generale aggiunto della Corte di Cassazione, dopo aver svolto le funzioni di giudice istruttore al Tribunale di Bergamo, di pretore dirigente (curando in particolare inchieste in tema di salvaguardia dei beni ambientali) e di procuratore della Repubblica a Crema, la cui amministrazione comunale, a riconoscimento dell’attività svolta, nell’anno 2008, gli ha consegnato le “chiavi della città”. In qualità di giudice istruttore penale al Tribunale di Bergamo, nel corso degli anni ’70, seguì con successo numerose inchieste concernenti il contrasto alla criminalità eversiva e organizzata, con particolare riguardo alle imprese criminali di “Prima linea”. Ha insegnato e insegna in diverse Università in Italia e all’estero, nelle materie di diritto ambientale e costituzionale. Ha pubblicato raccolte di poesie e numerosi saggi sulla più varia attualità del diritto, approfondendo in particolare i temi ambientali e le questioni relative alla bioetica, alla responsabilità professionale, alla sicurezza e all’educazione scolastica. Nell’agosto 2011 la Giunta comunale di Castel Baronia gli ha attribuito un “Attestato di benemerenza” per avere particolarmente illustrato il paese natale e il genio d’Irpinia con la sua poliedrica attività di magistrato, di docente universitario, di saggista e di poeta. È stato consulente della Commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti ed esperto giuridico del Comitato economico e sociale (CESE) dell’Unione europea in Bruxelles. Attualmente spiega la legalità nelle scuole e svolge le funzioni di Presidente di diversi Organismi di Vigilanza in istituzioni pubbliche e private.
VERSO IL CIELO Antico mio respiro ti nutriva la bellezza di Arcadia già quando al cielo salivano melodiosi i canti dei miei boschi appassionati. Anche nei tuoi occhi correva chiaro il fiume di corpo aulente di sogni di ginestre specchio di voli impossibili E oggi... le ninfe dei miei monti nelle anse ti portano dei venti voluttuosi. Del mio dolore la creazione e smarrimento e incanto e sete immensa di annullamento nella tua freschezza tremante. LA PRIMA POESIA COMPOSTA PER LA DONNA CHE DIVENTERÀ SUA MOGLIE GIUGNO 1962
# RITAGLI
COSA SI DEVE FARE PER FINIRE AL FRESCO?
Ubriaco non si ferma all’alt e investe con il motorino un agente della Polizia Locale. Subito rimesso in libertà. Aveva bevuto troppo per potersi mettere alla guida del suo motorino e, quando gli agenti della Polizia Locale gli hanno chiesto di fermarsi, vicino al Comando, il 36enne P.D. ha tirato dritto. È accaduto alla fine di gennaio. La pattuglia della Polizia Locale lo ha inseguito e lo ha costretto in una strettoia. Per non farsi prendere l’uomo ha investito con il suo motorino uno degli agenti, procurandogli una contusione al ginocchio. Il 36enne è stato fermato e sottoposto alla prova dell’etilometro: il livello di alcool era molto al di sopra dei valori limite stabiliti dalla legge. Inoltre, il suo motorino era anche senza l’obbligatoria assicurazione. Gli sono stati contestati i reati di resistenza a Pubblico Ufficiale e di lesioni aggravate. Il Pubblico Ministero ha chiesto che fosse trattenuto in cella di sicurezza fino al giorno successivo: ieri mattina P.D. è stato processato per direttissima. Il suo arresto è stato convalidato e ora l’uomo ha l’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria. Il motorino è stato sequestrato. Obbligo di firma. Quindi il giorno dopo ancora in giro a bere e fare danni. Ma cosa di deve fare per finire un po’ al fresco? La nota di cui sopra l’abbiamo ricevuta così com’è dall’ufficio stampa del Comune di Bergamo Che puntualmente ci informa degli arresti effettuati dalla Polizia Locale, soprattutto per il contrasto allo spaccio. Questo non spacciava ma andava a zonzo ubriaco sul motorino senza assicurazione e una volta fermato ha investito uno dei vigili. E cosa gli capita? Nulla, una notte nelle celle della Locale e il mattino dopo è libero… Bhe, con l’obbligo di firma. Pensiamo che sia sufficiente uno scappellotto per punire un comportamento irresponsabile che minaccia la nostra vita.
Guidare ubriachi e per di più senza assicurazione dovrebbe essere considerato un reato per il quale non si dovrebbe mai più poter guidare un veicolo. Le Forze dell’Ordine, come in questo caso, si prendono i giorni di prognosi per le botte che ricevono, mentre i delinquenti, considerati di piccolo cabotaggio, vengono rimessi in circolazione il giorno dopo. Purtroppo però sono proprio quelli che creano più problemi di sicurezza per le vie della città. Capisco che le carceri siano piene e che ogni carcerato costa una cifra, ma non punire con la reclusione certi reati, certe ingiustizie, certe vergognose prepotenze, non è salutare per nessuno. Non lo è per chi subisce e non lo è neppure per chi offende, il quale non potrà mai assaporare la giusta punizione né quindi avere l’opportunità di essere recuperato con la reclusione, ad una vita non malavitosa. Alla stazione da sempre c’è un giro di spacciatori ad ogni ora del giorno e della notte. Non li arrestano nemmeno più. Ogni tanto fanno delle retate anche con i cani. Se li acciuffano con qualche grammo li portano in Questura. Dopo 24 ore sono già di nuovo al lavoro. Con le restrizioni dovute dalla pandemia gli orari di mercato sono cambiati e spesso la roba scarseggia. I prezzi salgono, come il consumo di birra che è all’origine dei tafferugli tra bande diverse o tra pusher e clienti incazzati che tornano a protestare se gli hanno rifilato merce taroccata. Piazzatevi un po’ da quelle parti e assisterete a quello che Brumotti con la sua telecamera riscontra in tutte le città italiane. Uno spettacolo davvero imbarazzante che si aggiunge al permanente accampamento di vite sbandate che dormono poco più in là sotto le pensiline del viale degli arrivi alla stazione degli autobus.
L’UNIONE FARÀ LA FORZA L’unione fa la forza. Nelle prossime pagine i due Presidenti di Confindustria Bergamo (Stefano Scaglia) e di Confindustria Brescia (Giuseppe Pasini) rispondono alle nostre domande su come sta andando l’economia dei nostri territori e quali sono le prospettive nel breve e nel medio termine.
Sempre più uniti e sempre più resilienti. Gli imprenditori di Bergamo e di Brescia, accomunati dalla primaria vocazione manufatturiera, oggi più che mai cercano strade che portino ad una sempre maggiore collaborazione. All’orizzonte la grande occasione del 2023 quando le due città e le loro province saranno Capitali della Cultura. Confindustria Bergamo e Confindustria Brescia sono al lavoro per presentare agli enti che organizzeranno l’evento una serie di proposte che sono indirizzate in larga parte alla ripartenza del turismo che sarà trainante.
È IL MOMENTO DI PROGETTARE
IL FUTURO Tommaso Revera
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GIUSEPPE PASINI, PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA BRESCIA Quali scenari prevede, in generale, e in particolare per
il nostro territorio, nel breve e medio periodo? Cosa davvero non sarà più come prima per molto tempo? “Ne ho più volte parlato: siamo di fronte a una “nuova normalità”, che rappresenterà il nostro futuro e quello delle nostre aziende. Sono cambiate tante cose dopo il Covid-19, a partire da numerose abitudini interne alle imprese. A Brescia, sotto questo profilo, possiamo dire di avere segnato la via: grazie alla collaborazione tra Confindustria Brescia, sindacati e Università, con la supervisione del Prefetto di Brescia Attilio Visconti, siamo stati i primi in Italia in grado di garantire
un rientro al lavoro sicuro in tempi rapidi, con investimenti importanti. Basti pensare che, secondo dati del Centro Studi di Confindustria Brescia, le aziende bresciane hanno speso in media oltre 600 euro a lavoratore per i costi di sicurezza legati al Coronavirus. Un numero importante: termoscanner, tamponi, sanificazione, per citarne alcune, sono buone abitudini che resteranno certamente in uso, così come lo smartworking, dove possibile. Per quanto riguarda le prospettive economiche, credo che molto dipenderà invece dall’utilizzo dei fondi europei. Le idee, ad oggi, non ci mancano: serve svilupparle nel modo corretto”.
La pandemia ha dato un’accelerazione alla digitalizzazione del Paese. Quali sono secondo lei gli aspetti positivi di questa evoluzione? “L’abbiamo sempre sostenuto, come Confindustria: la digitalizzazione è una priorità. Se guardiamo al 2030, diventa fondamentale effettuare investimenti importanti in tal senso. La forte esperienza che stiamo acquisendo attraverso i Digital Innovation Hub - che dobbiamo valorizzare ulteriormente - senz’altro ci aiuterà anche in questa direzione. Tengo a sottolinearlo: la digitalizzazione non confligge con la manifattura. Al contrario, ne amplifica a dismisura le possibilità evolutive e di sviluppo, consente ripensamenti organizzativi, facilita l’approccio nei confronti di nuovi mercati, offre crescenti opportunità per prevenire problemi di sicurezza e per migliorare le condizioni di lavoro. Mi lasci anche sottolineare l’importanza che la digitalizzazione può e deve avere anche nel settore pubblico. È assolutamente necessaria per snellire la burocrazia, un problema endemico del nostro Paese che frena l’iniziativa privata”. La globalizzazione ha avuto anche risvolti negativi: lei ritiene che ci sarà un’inversione di tendenza? Pensa ad un’espansione dell’effetto Brexit da parte di altri paesi dell’Unione? “Sono da poco usciti i dati sugli indici manifatturieri delle PMI: pur nelle difficoltà, l’Italia è cresciuta sopra le attese. Germania e Francia non hanno fatto meglio di noi, anzi... Questo ci fa capire, ancor di più, come tutto sia interconnesso: in un mondo globalizzato gli effetti di una crisi si propagano in modo più ampio. La pandemia da Covid-19 ne è un esempio, ma non può certamente deviare una strada che, ormai, è stata intrapresa. La Brexit è stato un evento inaspettato, ma sono convinto che l’Europa sia il nostro habitat: pensiamo a quali prospettive avremmo avuto senza il sostegno dell’Unione in questo periodo. Molto poche, direi. Tra Quadro Finanziario Pluriennale e Next Generation UE, l’Italia avrà invece a disposizione un fondo complessivo di circa 309 miliardi di euro nel periodo sino 2029. Su queste fondamenta potremo ricostruire il nostro futuro”. Che interscambio esiste con l’Unione Industriali di Bergamo? Create occasioni di confronto e di collaborazione tra gli imprenditori? “Non lo nascondo, il confronto è stimolante! Brescia e Bergamo sono territori simili per vocazione industriale, ed è inevitabile che le nostre Associazioni si rapportino sulle principali sfide che attendono l’imprenditoria. Credo che le priorità generali dei due territori siano dunque simili – digitalizzazione, ricerca, innovazione, capitale umano – e che con un dialogo sempre più intenso potremo avanzare proposte importanti in tal senso”. Brescia e Bergamo saranno Capitali della Cultura Italiane nel 2023. Sarà un’occasione per risollevare turismo, economia e rilanciare l’immagine delle due città. Un’occasione che non va sprecata. Avete in programma qualcosa per contribuire a fare in modo che i due territori ne traggano i maggiori benefici? “È un’occasione unica. Lo sarebbe stata anche senza la crisi dell’ultimo anno, dove purtroppo le due provincie sono state accumunate da una serie impressionante di lutti, lo è ancor di più oggi. Si tratta di un tema di cui abbiamo discusso, nell’ultima Assemblea generale di Confindustria Brescia a dicembre, proprio con i sindaci delle due città, Emilio Del Bono e Giorgio Gori. Il tessuto imprenditoriale deve essere vicino alla cultura: il 2023 sarà un modo per mostrare che le imprese tante volte escono dai loro perimetri, per guardare oltre. La nostra Associazione, già nel 2019, aveva deciso di sostenere le Fondazioni Teatro Grande e Brescia Musei: in questa direzione proseguiremo anche verso l’obiettivo 2023, che servirà a rilanciare il turismo delle nostre città”. Maggiore eticità delle aziende ed una più attenta considerazione degli aspetti ambientali diventeranno fattori di competizione? “Lo sono già. La Responsabilità Sociale d’Impresa è oggi un aspetto imprescindibile per ogni azienda: un impegno trasversale, che passa dalla sfida green e ambientale alla sostenibilità economica e alla crescita del welfare aziendale. Come Confindustria Brescia abbiamo voluto dare il buon esempio, pubblicando il Bilancio di Sostenibilità 2019. A breve saremo pronti anche con quello del 2020: un segno tangibile del nostro impegno in questo campo”.
Giuseppe Pasini è nato a Odolo, in provincia di Brescia nel1961, Nel 1979 consegue il diploma di Perito Industriale e nel 1982 affianca il padre Carlo nell’azienda di famiglia, la Feralpi SpA, uno dei maggiori produttori di acciaio europei, una realtà industriale che ha fatto della siderurgia al servizio dell’edilizia il proprio core business, allargando successivamente l’impegno imprenditoriale anche ad altri settori, quali l’ambiente, l’ecologia, la finanza e l’itticoltura non solo in Italia, ma anche in Europa, dove il Gruppo è presente con aziende in Germania, Repubblica Ceca, Ungheria e Romania. Nel 1983, a seguito della prematura scomparsa del padre, Giuseppe Pasini viene nominato Consigliere Delegato della società Feralpi Siderurgica SpA e nel gennaio 2008 ne diviene Presidente. Nel 1998 entra a far parte dell’Associazione Industriale Bresciana quale membro di Giunta, dal 2005 è nel Consiglio Direttivo, e nel Giugno 2013 viene nominato Vice Presidente. Dal 2004 è componente della Giunta Nazionale di Confindustria. Ha ricoperto la carica di Presidente Federacciai e di Confindustria Metalli. Nel giugno 2016 è stato nominato coordinatore del Tavolo tecnico Energia di Confindustria. Nel giugno 2017 è stato eletto presidente di AIB (Associazione Industriale Bresciana). Nel 2003 ha conseguito da Ernst & Young, il prestigioso premio di “Imprenditore dell’Anno” nella categoria “Global” e nel 2006 nella categoria “Quality of Life”. Nel 2006 gli è stato assegnato dalla Regione Lombardia il premio “La Lombardia per il Lavoro”. Nel Marzo 2009 è stato insignito dal Consiglio Direttivo dell’Associazione Italiana di Metallurgia, per mani del suo Presidente, il Professor Nicodemi, del prestigioso riconoscimento “Medaglia d’Acciaio Federico Giolitti”.
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È IL MOMENTO DI PROGETTARE
IL FUTURO Cosa dovrebbe fare la politica per investire bene le risorse che ci arriveranno dalla Unione Europea? “Per quanto riguarda le linee guida specifiche di rilancio, credo sia già tutto scritto nel Piano Colao: se riusciremo a realizzare almeno metà di quanto immaginato, avremo ottenuto un grande risultato! Ho già elencato, in generale, le priorità che abbiamo individuato in Confindustria, ma credo che l’aspetto più importante sia un’esecuzione efficace con interventi in tempi rapidi. Il Piano di Ripresa e Resilienza dell’Italia si dovrà dotare di una governance unitaria e di uno strumento a livello nazionale che permetta la gestione in modo sinergico da parte dei diversi livelli istituzionali coinvolti nei progetti integrati in partenariato pubblico-privato”. Pensa che nei prossimi mesi assisteremo ad una perdita di posti di lavoro molto significativa? “Purtroppo, è inevitabile che lo sblocco dei licenziamenti porterà alla perdita di posti di lavoro. Allo stesso tempo, però, ho sempre sostenuto che esiste un patto sociale di cui le imprese devono farsi carico: è quindi fondamentale garantire i livelli occupazionali, utilizzando in modo ragionato gli strumenti che ci vengono forniti. Senza occupazione, non possono ripartire nemmeno i consumi, e le famiglie vanno in crisi, così come le aziende. Capisco che questa posizione possa non essere condivisa da alcuni miei colleghi, ma io resto di questa idea”. Un suo messaggio di incoraggiamento a chi ha responsabilità d’impresa. “Oggi, più che mai, fare impresa presenta elementi di difficoltà. Ma sono convinto che il tessuto imprenditoriale bresciano e nazionale sapranno reagire a questo momento di difficoltà, come è sempre stato nei momenti duri, anche dopo la crisi del 2008. Anzi, i dati attuali testimoniano che, nella seconda parte dell’anno, una ripresa c’è stata, e che non siamo minimamente vicini al tracollo che registrammo proprio nel 2009, con cali medi del fatturato del -30% e picchi anche del -50%, per esempio, nella metallurgia. Nel 2020 dovremmo attestarci tra il -10 e il -15%: stavolta però il sistema industriale è più attrezzato e solido, grazie a una maggiore patrimonializzazione. Abbiamo grandi responsabilità, ed è il momento giusto per progettare insieme un nuovo futuro per il nostro Paese: è adesso, o mai più”.
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STEFANO SCAGLIA, PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA BERGAMO Difficile prevedere come andrà a finire... Vero Ingegnere? “Cosa ci aspetta? Bella domanda... Partiamo da dove siamo adesso. A Bergamo, per il 2020, dobbiamo consuntivare un deciso calo dell’export. Nella nostra provincia le esportazioni erano cresciute del 50% negli ultimi sette anni, una performance eccezionale, grazie anche al fatto che ormai lavoriamo in “regime Euro” e quindi non subiamo più le svalutazioni come una volta. Assistiamo a un calo da 16 a 12 miliardi causato in larga parte dalla contrazione del settore manifatturiero, in quanto il 98% delle nostre esportazioni è costituito da beni manufatti. Complessivamente, la previsione è che si chiuderà il 2020, come valore aggiunto complessivo, intorno all’11% in meno. Per un confronto, con la crisi del 2009 eravamo scesi del 9%. In quel caso la diminuzione è però avvenuta in due anni, quindi meno improvvisa, mentre adesso la discesa dell’11% è avvenuta in sei mesi, quindi molto più rapida e impattante”.
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Il calo vale per tutti? “Se analizziamo i vari ambiti economici vediamo che l’industria, tutto sommato, è il comparto che ha i risultati meno negativi. All’interno di questo, poi, ci sono settori che presentano problematiche più importanti, come il tessile-abbigliamento, che in questo momento sta soffrendo più degli altri. Per quanto riguarda il chimico, il farmaceutico e il settore della gomma-plastica il calo è stato molto più contenuto. La meccanica, tutto sommato, non va malissimo, anche se dipende da azienda ad azienda. Si è fermata la Germania, ma va bene l’Oriente e ora ci sono buone aspettative per gli Stati Uniti. Questa, per sommi capi, è la fotografia a fine 2020”. E il 2021? “Penso che nel 2021 la situazione sanitaria sia destinata a un miglioramento e, dal punto di vista economico, continueremo a godere per un certo tempo dell’iniezione di liquidità garantita dai provvedimenti governativi e della mancanza di vincoli al bilancio statale accordati dall’Unione Europea, che rendono possibili i ristori ai settori più colpiti, creando deficit e aumentando il debito nazionale. Nel 2022, quando secondo ogni previsione non sarà più possibile utilizzare queste leve, bisognerà iniziare a pensare alla gestione del debito. Preoccupa l’aumento dell’indebitamento delle imprese e dello Stato. Tante attività dovranno fare i conti con questa situazione, in particolare alcuni settori che stanno soffrendo maggiormente, come il commercio al dettaglio, la ristorazione e il turismo”.
UNITI NE USCIREMO
Qualcuno pronostica una ripartenza a razzo… “Per il turismo probabilmente sarà così, perché la gente ha voglia di ricominciare a viaggiare e si prevede che il settore aviation, legato al turismo ripartirà con forza. Per i viaggi business probabilmente il recupero sarà inferiore, perché si è scoperto che tanti incontri si possono evitare, utilizzando sempre più i mezzi di videoconferenza che abbiamo messo a punto in questo periodo. Probabilmente, molte delle abitudini acquisite, a cui abbiamo dovuto adattarci forzatamente, ma che in alcuni casi abbiamo scoperto essere comode, verranno mantenute: sicuramente gli acquisti on line, le video conferenze, lo smart working, in alcune situazioni e contesti. Non il turismo, che evidentemente, implica una presenza fisica, il piacere di una esperienza vissuta in persona. Ciò determinerà un cambiamento di equilibrio tra i settori economici e aggiungo anche la preoccupazione che l’aumento dell’utilizzo dei sistemi virtuali comporti il mantenimento in certa misura del distanziamento sociale e una diminuzione delle relazioni sociali dirette, che sono il fattore imprescindibile del nostro essere persone. Se l’isolamento degli individui, che si è reso necessario per la pandemia, permarrà in qualche modo anche in futuro, non sarà certamente positivo. Rimango convinto che si cresce con lo scambio delle idee, con il contatto reciproco, condividendo competenze diverse e con il lavoro di squadra. Il ritirarsi in se stessi non è una cosa positiva”. La pandemia ha dato un’accelerazione alla digitalizzazione ma vedere la morosa sul telefonino è un’altra cosa che non in presenza... “Gli aspetti che si sono dimostrati utili resteranno, ma è provato che il distanziamento crea malessere. Alcuni studi confermano come, specie nei giovani e negli anziani, l’aspettativa di vita e la qualità della vita stessa siano legate alle relazioni sociali. È chiaro che la digitalizzazione inevitabilmente avanza, ma non bisogna dimenticare che siamo esseri umani e le relazioni sociali sono un aspetto imprescindibile del nostro esistere”. La globalizzazione è stata per molto tempo il mantra degli economisti ma la pandemia ci ha insegnato che ha aspetti negativi non indifferenti. Ci sarà una inversione di tendenza? “Non prevedo ci siano degli stravolgimenti, anche se certamente ci si è resi conto della fragilità di alcune scelte strategiche di fronte a determinati eventi, come è stata la pandemia rispetto a catene di approvvigionamento molto lunghe. Sicuramente ci potranno essere, in alcune situazioni, dei ripensamenti. Del resto era già in atto un fenomeno di reshoring, indipendentemente dalla pandemia, dovuto all’evoluzione tecnologica e al mutare di situazioni geopolitiche in alcuni paesi. Credo che il fenomeno della riallocazione delle catene di fornitura sarà sempre in funzione dalle situazioni che si creano. Qualche ritorno al passato ci sarà di sicuro, ma non credo a stravolgimenti nel processo in corso. Il mondo, anche grazie alla digitalizzazione, è sempre più piccolo e sempre più raggiungibile”. A SINISTRA LA NUOVA SEDE DI CONFINDUSTRIA BERGAMO PRESSO IL KILOMETRO ROSSO
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Soprattutto per i cinesi… “Certo, la Cina esce avvantaggiata da questa situazione e sta continuando a perseguire una politica espansiva con una certa aggressività. Ad esempio attraverso la crescita della sua influenza in Africa, tramite la realizzazione di infrastrutture per avere in cambio materie prime e adesso offrendo vaccini e prestando soldi per comprarli. Sicuramente c’è da parte di quel paese una politica che continua e si intensifica in termini di una maggiore e sempre più estesa presenza globale. Questo è sicuramente uno dei temi importanti che la nuova amministrazione americana dovrà affrontare. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un progressivo disimpegno degli Stati Uniti in tanti scenari, ma auspico che, in certe situazioni, ci sia un ritorno della leadership statunitense insieme all’Europa”. Ce lo auguriamo tutti ma non dimentichiamo che Trump lo hanno eletto gli americani e che metà di loro lo ha anche rivotato… “Ha portato a un disimpegno americano su tanti scenari internazionali di fondamentale importanza. In Medio Oriente ha lasciato campo libero alla Turchia e alla Russia, così come in Libia, dove questo disimpegno ha prodotto una situazione incandescente. Speriamo che nell’era di Biden gli Stati Uniti riprendano il ruolo di punto di riferimento per i paesi occidentali, evitando di arroccarsi in casa propria... Perché siamo tutti collegati e influenzati da ciò che succede nel mondo”. Torniamo più vicini. Bergamo e Brescia nel 2023 saranno Città italiane della Cultura. Cosa ne pensa? “Sarà un’occasione estremamente importante per il momento temporale in cui si colloca, una grande chance di rilancio per i nostri territori. Ci auguriamo tutti che nel 2023 l’emergenza sanitaria sia ormai sconfitta, se non completamente, almeno in via quasi definitiva. L’augurio e l’auspicio è che, come è stato Expo 2015 per Milano, possa essere il volano capace di portare stabilmente le due città nel circuito del turismo internazionale. L’impegno di tutti deve essere quello di trarre da questo evento una spinta che possa durare nel tempo. Da questo punto di vista, come Associazione abbiamo già iniziato a confrontarci con i colleghi di Brescia per mettere a punto idee e proposte che poi offriremo agli enti organizzatori.
STEFANO SCAGLIA Foto Paolo Biava
Pensiamo sia importante il coinvolgimento del mondo associativo e del mondo economico, perché si possa progettare e costruire al meglio questo grande appuntamento in modo da risollevare, in particolare, settori come il turismo, la ristorazione e la ricettività che sono stati particolarmente colpiti”. Tra le due realtà, Bergamo e Brescia, non c’è mai stata una grande conoscenza reciproca e neppure una vera collaborazione. I bresciani conoscono poco Bergamo e viceversa. Avete iniziative in comune per accorciare le distanze? “Con Brescia ci accomuna la vocazione manifatturiera, Confindustria Bergamo e Confindustria Brescia sono parte fondante del ‘Club dei 15’ che raduna i principali territori manifatturieri italiani. Inoltre, collaboriamo per iniziative sul credito, facciamo parte di Confidi Systema!; recentemente, Confindustria Bergamo, insieme alle Associazioni di Brescia, Lecco-Sondrio e Como, ha concluso un accordo per condividere una sede di rappresentanza a Bruxelles, riconoscendo l’importanza fondamentale dell’Unione Europea per la crescita delle nostre imprese. Avremo quindi una struttura e delle persone presso la sede di Confindustria che si dedicheranno ai nostri territori. Inoltre, abbiamo in corso progetti su alcuni servizi, come quello dedicato ai cedolini paga o alla formazione, dove si potranno realizzare interessanti sinergie”. Rendere più rispettose dell’ambiente le aziende sarà fattore di competizione in futuro. Ci state lavorando? “Siamo stati, nel 2019, la prima associazione territoriale di Confindustria che ha prodotto un bilancio di sostenibilità secondo gli standard internazionali; lo abbiamo fatto per dichiarare chi siamo e quale è l’impatto di Confindustria Bergamo e delle aziende nostre associate sulle tematiche ambientali, economiche e sociali. Adesso abbiamo in corso un progetto per diffondere presso le imprese la cultura della sostenibilità e della sua rendicontazione. Il nostro obiettivo, ma anche grande ambizione, è costruire un bilancio di sostenibilità aggregato di tutte le nostre imprese per farne emergere l’importante ricaduta sul territorio. Con la nostra vicepresidente, Cristina Bombassei, che è anche responsabile del Gruppo Tecnico sulla sostenibilità di Confindustria, stiamo attivamente lavorando su questi temi a cui attribuiamo grande importanza”. Cosa dovrebbero fare a Roma per spendere in modo virtuoso le risorse economiche che arriveranno dall’Unione Europea? “Abbiamo già parlato di Bergamo e Brescia che saranno Città della Cultura, ma non dobbiamo perdere di vista altri importanti investimenti di cui abbiamo bisogno. Quindi il forte invito è che si investa di più e meglio, utilizzando questi fondi in modo produttivo. Le risorse saranno erogate secondo regole molto precise. Quello che bisogna dire, e che troppo poco si dice, è che non arriveranno in modo automatico, ma solo se dimostreremo di saper spendere a fronte di progetti ben delineati e realizzabili nei tempi previsti e dotati di meccanismi di gestione e di controllo affidabili. Tra le priorità c’è il tema della burocrazia e della semplificazione, di cui sempre si parla ma per cui poco si fa... È un tema fondamentale, perché come imprese e come cittadini siamo quotidianamente attanagliati da assurdità di tipo burocratico nelle quali disperdiamo buona parte delle energie e della nostra competitività”. Un’ultima domanda… Ce la faremo? “Sì, ce la faremo, se sapremo ritrovarci sempre più uniti”. (V.E.Filì)
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UNITI
NE USCIREMO
Stefano Scaglia, 59 anni, laureato in ingegneria presso il Politecnico di Milano e diplomato MBA presso INSEAD, è Amministratore Delegato del Gruppo Scaglia, Fondatore e Amministratore Delegato dell’azienda Scaglia Indeva di Brembilla (BG). Il Gruppo, attivo nel settore della componentistica meccanica e della automazione industriale, ha un fatturato consolidato di circa 175 milioni di euro e sedi in Europa, USA e Cina. Dal 2005 al 2011 ha ricoperto la carica di Vice Presidente di Confindustria Bergamo con delega all’innovazione, education ed energia. Nel 2006 è stato promotore del Consorzio Intellimech e dal 2012 al 2018 è stato Presidente del Cluster Lombardo Fabbrica Intelligente (AFIL). Da giugno 2017 è Presidente di Confindustria Bergamo.
ANTONIO CAZZANIGA
RIPARTIRE DAI MUSEI
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IN QUESTI TEMPI, DIFFICILI PER TUTTI, ABBIAMO CHIESTO ALL’ARCH. ANTONIO CAZZANIGA, DI FARCI CAPIRE COME STIA CAMBIANDO IL MERCATO DELL’ARREDO E COME HA INFLUITO LA PANDEMIA SU UN DIVERSO MODO DI INTENDERE LA CASA
INTERNI CHE CAMBIANO Foto Paolo Stroppa
Negli ultimi anni il Gruppo Interni, ha avuto evoluzioni davvero impor tanti e una crescita, por tata come esempio nel settore dell’arredamento, per la grande capacità dimostrata di saper innovare e di adattarsi ai mutamenti del mercato. Oltre che a Bergamo con il bellissimo showroom di via Paleocapa, a Milano, l’azienda nata a Verano in Brianza, patria dei più grandi mobilieri del mondo, sotto la guida dei fratelli Cazzaniga e dei loro figli, è schierata con dieci eleganti showroom che impreziosiscono le vie del centro meneghino. Un’imbattibile e vastissima scelta tra i migliori nomi del design italiano che tra poche settimane vedrà l’inaugurazione dei nuovi spazi in Via Turati che triplicano l’esposizione esistente e le sale-progetto, aperte a clienti e professionisti, per la configurazione ideale degli arredi proposti, con tecnologie avanzatissime di immersione virtuale. Non mancherà, inoltre, un’area per poter offrire alla clientela anche un servizio di ristorazione al top. Ma come sta reagendo il settore dell’arredo ai momenti difficili che stiamo attraversando? lo abbiamo chiesto ad Antonio Cazzaniga, architetto e anima del gruppo. Per voi l’assenza Salone del Mobile è stata pesante? “Pesantissima, per molti motivi. I clienti stranieri pur troppo non si sono visti e quelli italiani non hanno potuto apprezzare le novità. Per non parlare di tutto l’indotto che vive del Salone del Mobile, come delle altre manifestazioni fieristiche che non si sono potute svolgere come ogni anno. È stato davvero un colpo durissimo per l’intera città. Per quest’anno l’evento, che rimane il più impor tante al mondo nel nostro settore, è stato programmato dal 5 al 10 di settembre, quindi non in primavera com’è tradizione da sempre… Tutto però dipenderà da ciò che succederà con l’evoluzione della pandemia che quest’anno ha bloccato tutto. Personalmente avrei preferito rimandarlo al mese di ottobre, anche se nello stesso periodo sono in programma altri saloni in Europa. Comunque il nostro è sicuramente il più seguito e il punto di riferimento per tutti gli operatori, oltre che la più grande vetrina del made in Italy. Speriamo che il virus ci consenta di organizzarlo. Il vero cliente del Salone è il pubblico straniero di fascia medio alta e, se ci saranno impedimenti per gli spostamanti aerei internazionali e i buyer stranieri non potranno essere presenti sarà un flop”. Alternative digitali? “Da marzo dell’anno scorso tutte le maggiori aziende si stanno rincorrendo per strutturarsi e migliorare quella che è la presentazione digitale. Webinar, teleconferenze, video ad altissimo livello con il genio di grandi registi per realizzare presentazioni estremamente emozionali... Noi siamo perfettamente attrezzati per le conference-call, abbiamo allestito alcune sale dedicate alle presentazioni con la realtà aumentata e le lavagne intelligenti capaci di immerger ti negli ambienti vir tuali... Però, c’è poco da fare… Quando si sceglie un divano, ci si deve sedere sopra per poterne apprezzarne il confor t, bisogna scegliere il tessuto, c’è il naturale desiderio di vederlo, di sentirlo, di accarezzarlo, di provarne la morbidezza. Il contatto umano e l’aspetto tattile rimangono fondamentali. Inoltre, noi curiamo molto gli abbinamenti cromatici e, pur con tutto quello che possiamo fare con luci e telecamere professionali, i colori non sono mai fedeli alla realtà… Vedere un divano su un monitor o viverlo ambientato con i tappeti giusti, i tessili giusti e tutta una collezione che ci ruota attorno, è decisamente differente. Il fascino che ti trasmette non è per niente paragonabile al vir tuale dove manca il contatto, il dialogo, l’emozione. E se pensate che il nostro lavoro è arredare la casa nella sua interezza le difficoltà si amplificano”.
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INTERNI CHE CAMBIANO Sono cambiate le modalità di acquisto? “Sono cambiate le abitudini. Gli acquisti on line sono aumentati ma nel nostro settore non incidono in modo par ticolare. Se, ad esempio, desidero una lampada che conosco già ci può stare… Ma se devo comprare un divano o un letto e ho bisogno di consigli sugli accostamenti, voglio scegliere il materiale, devo provarlo. Come si fa a comprare una cucina on line? Ci siamo sicuramente avvicinati alla clientela con consulenze on line ma con limiti straordinari e noi stessi siamo consci di questo. È come se un medico realizzasse visite da remoto…. Internet va benissimo per cultura generale, per conoscere i prodotti e per farsi un’idea di cosa offre il mercato. Al dunque l’on line si ferma perché c’è bisogno di provare dal vivo, di toccare, di annusare… Tutto sommato, anche comprare un’auto è diverso perché non devi abbinarla al parquet che hai in casa, ai tendaggi o agli altri arredi… Anche solo una sedia la devi provare ma se non hai visto com’è costruita, quanto pesa e se sta bene in casa tua…”.
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ANTONIO CAZZANIGA
È cambiato il modo di intendere la casa? “In linea generale il Covid ha modificato le scelte di chi compra casa. Prima c’era la fuga dalla periferia scegliendo di abitare in un appar tamento che fosse il più in centro possibile, per i negozi, i servizi, le comodità sotto casa, ma anche perché la villa singola è più pericolosa, più impegnativa… Adesso è cambiato tutto e le preferenze sono per l’attico o per il piano terra purché abbia un giardino o quanto meno un terrazzo, uno spazio all’aper to. All’interno è aumentato il bisogno di spazio e se prima si preferiva la casa piccola, meno da fare, meno spese, tanto si trascorreva molto tempo fuori, adesso che siamo costretti in casa se le case sono piccole, aumentano molto i disagi. C’è una riscoper ta della cucina che è tornata ad essere impor tante e si sceglie sempre più per la funzionalità che per l’estetica. In questi lunghi mesi si sono ritrovati a cucinare più spesso anche i mariti e forse per questo che si punta di più alla qualità degli elettrodomestici. La cucina è un elemento molto for te e noi italiani nel costruirle ci mettiamo più ingegno. In altre nazioni lo spazio cucina non è così importante, non è così ricercato, così sofisticato. Infine, ha influito nelle scelte lo smar t working e la didattica a distanza per chi studia. La convivenza forzata ha creato non pochi problemi coi figli e i genitori che lavorano da casa. Quindi si è creata l’esigenza di trovare uno spazio in cui mettersi per fare le video-call, senza che i bambini che ti saltino addosso ecc. Ci sono aziende che propongono una reinterpretazione dell’ufficio all’interno della casa quindi con scrivanie attrezzate o mobili trasformabili. Ma anche la scelta del divano è cambiata. Se prima era molto più richiesto il divano che fosse esteticamente appagante, adesso si sceglie il divano comodo. Sarà forse perché tutti ultimamemte ci abbiamo trascorso un bel un po’ di tempo e se è solo bello ma scomodo… non è il massimo”. (v.e.f.)
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Con una piccola cerimonia, il giudice e scrittore Benito Mechionna, ha voluto omaggiare con uno dei suoi libri Mario Nappi, nuovo Comandante della Polizia municipale di Ranica, come segno di gratitudine per l’impegno dimostrato in questo difficile periodo, in collaborazione con lo staff di Excalibur ed i Cavalieri di Malta S.O.S.J., per il sostegno a famiglie disagiate ed anziani in difficoltà donando pacchi con prodotti alimentari, beni di prima necessità ma anche giochi per i bambini e mangime per cani e gatti.
CESVI
C’È!
IL BANDO RINASCIMENTO È STATO UN SUCCESSO SENZA PRECEDENTI E SENZA PARAGONI. LA STRUTTURA DEL CESVI SI È MOBILITATA METTENDO IN CAMPO COMPETENZA E PORTANDO UN FORTE SEGNO DI VICINANZA ALLA POPOLAZIONE DI BERGAMO E ALLE SUE ATTIVITÀ PRODUTTIVE
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Con Maurizio Carrara, uno dei fondatori del CESVI, un amico che non rivedevo da 40 anni, capita di ricordare un tempo in cui andava di moda il Nicaragua, dove lui e molti come lui, animati da un sentimento che era un misto tra militanza politica e vocazione di solidarietà internazionale, si sono recati come missionari, in soccorso all’esperimento del socialismo sandinista di Daniel Ortega vincitore delle elezioni in Nicaragua nel 1985. “Eravamo giovani sognatori… - mi confida - ma quel sogno si materializzò con la fondazione del CESVI, appunto nel 1985, per intervenire a sostegno delle popolazioni nelle aree più critiche del mondo. I molti eravamo iscritti al Partito Comunista ma, dopo una anno dalla nascita del CESVI, i dirigenti di allora ci fecero capire che la cosa non era gradita al partito. Decidemmo di lasciarli alle loro convinzioni e tirammo dritto con le nostre. Ancora oggi nel CESVI vigono regole precise… Se qualcuno si fa eleggere in qualche partito, deve dare le dimissioni, perchè il CESVI è organizzazione laica e indipendente”. Come mai al Cesvi è venuta l’dea di muoversi in aiuto di Bergamo? “Ci siamo sempre occupati dei paesi più poveri del mondo ma da tempo pensavamo di doverci attivare maggiormente in Italia. Dopo tanti anni CESVI è una macchina che ha consolidato certi meccanismi trasformandosi da movimento a istituzione. In sede operano 50 persone e ce ne sono 200 in giro per il mondo. È cresciuta e si è strutturata.Tre anni fa è cambiato il consiglio d’amministrazione e la nuova presidente, Gloria Zavatta, ha ri-orientato l’organizzazione e rivisto la sua gestione, rendendola più flessibile e in grado allargare i suoi orizzonti e poter intervenire in nuovi ambiti”. Come nasce il Progetto Rinascimento? “Avevo programmato alcuni viaggi per visitare i progetti in giro per il mondo ma, tornato dall’India, è arrivato il Covid... Ci hanno chiusi in casa e ciao.
Maurizio Carrara, Presidente onorario di CESVI In quei giorni terribili mi sono sentito con Cristina Parodi, che è nostra ambasciatrice, e ci siamo detti se non fosse il caso di fare qualcosa per Bergamo. E da lì è partito l’uragano CESVI. Una macchina che si è messa in funzione in un modo incredibile. Abbiamo contribuito a realizzare l’Ospedale alla Fiera e raccolto sei/sette milioni di euro con iniziative nazionali grazie anche a tutti gli attori bergamaschi che ci hanno creduto. È stata anche una grande opportunità di dimostrare vicinanza al territorio. A quel punto Giorgio Gori ci ha chiamato per dirci che Banca Intesa offriva 30 milioni di euro di cui 10 a fondo perduto per aiutare le aziende cittadine. Se volete salire a bordo, disse, la condizione è che non possiamo pagarvi per l’operazione. Abbiamo stanziato un contributo teorico di 300mila euro al Mutuo Soccorso che avremmo poi usato per finanziare la struttura necessaria per mettere in atto il progetto, gestito da CESVI gratuitamente. Lui sapeva che se avesse fatto passare i soldi dalla macchiana comunale, sarebbero serviti tempi lunghi. Hanno aderito 1500 imprese e, in una sola settimana, abbiamo erogato 3 milioni a fondo perduto con una struttura di sette/otto persone dedicate al bando, e un capo progetto, Paolo Caroli. È stato con me il fondatore del CESVI, di cui è stato per 18 anni il direttore. Lo abbiamo fatto rientrare dopo anni di lavoro con il cesvi in giro per il mondo per questo progetto”. Adesso sta per partire una nuova importante iniziativa... “Da questa esperienza è nato un altro progetto che si chiama Scena Unita. Ci ha conttato Fedez, che noi non conoscevamo, quando ha saputo del Bando Rinacimento per sapere se avremmo potuto aiutarlo per dare una mano alle maestranze dello spettacolo: montatori, fonici, elettricisti... tutto quel mondo che si muove dietro gli spettacoli. Abbiamo avviato la costituzione di un fondo a cui hanno aderito altri cento artisti e abbiamo già superato tre milioni di euro. Il progetto Scena Unita che fa sempre capo a Paolo Caroli, e che ha già erogato 1000 euro ad un migliaio di lavoratori sparsi in tutta Italia per l’emergenza, prevede anche un ulteriore bando dedicato a progetti per far ripartire il settore. Come il finanziamento di festival, concerti, ecc. Dobbiamo rendicontare sempre tutto e chi dona i soldi al CESVI sa che saranno spesi in un certo modo”. (V.E.Filì)
UNA FOTOGRAFIA DI MAURIZIO CARRARA A DESTRA E FABIO PAROLINI SOTTO IL MANIFESTO PER IL BANDO RINASCIMENTO, UN CASO DAVVERO UNICO DI COLLABORAZIONE TRA L’ENTE PUBBLICO, IL PRIVATO E IL TERZO SETTORE
PAOLO CAROLI, RESPONSABILE DEL PROGETTO RINASCIMENTO “L’aspetto innovativo del Progetto Rinascimento è la partecipazione di un elemento privato, uno pubblico e uno del terzo settore. Il primo, Banca Intesa che offre al Comune di Bergamo una cifra di 30 milioni di euro, di cui 10 a fondo perduto, per aiutare le piccole e le piccolissime imprese della città, nel momento peggiore della pandemia. Il Comune non avrebbe però potuto riuscire a gestire un’operazione del genere in tempi brevi per la sua stessa struttura e per una complicata regolamentazione. Quindi l’amministrazione ci ha coinvolti chiedendoci se avremmo potuto gestire l’erogazione delle risorse messe a disposizione. La macchina allenata della nostra onlus, per certi versi un po’ paralizzata dalla situazione pandemica in tutto il pianeta, si è messa a disposizione della città con una velocità eccezionale. Quello che volevamo era dare, a questi imprenditori, un senso di vicinanza e lo staff che abbiamo messo a disposizione di chi voleva informazioni su come ottenere i fondi, aveva come principale obiettivo quello di far sentire una reale condivisione della difficile situazione con aiuti economici certi e rapidi. Il primo bando di emergenza, per far fronte alle spese inderogabili, ha visto l’adesione, tra la prima e la seconda ondata, di 3660 attività per un totale di 4,9 milioni erogati. Contemporaneamente abbiamo lanciato anche i bandi denominati Raffaello e Michelangelo che prevedevano erogazioni in parte a fondo perduto e in parte con un prestito molto agevolato. Con Michelangelo abbiamo offerto la possibilità, sempre per le attività cittadine, di finanziare piccoli progetti di ristrutturazione o adeguamento ai vari DPCM, come sanificazioni o acquisto di presidi protettivi, mentre Raffaello finanzia la digitalizzazione delle imprese per la creazione o l’adeguamento di siti internet, la creazione di portali per l’e-commerce e per l’evoluzione nei sistemi per la ricerca della clientela ecc.. Investimenti che generalmente le banche non prendono in
considerazione perchè di importo contenuto. Invece qui siano riusciti a finanziare anche microprogetti per aiutare le aziende ad attrezzarsi nel nuovo contesto. Con Raffaello hanno aderito 290 imprese ma saranno di più perchè il bando è ancora aperto. È stato erogato oltre un milione a fondo perduto e prestiti per sette milioni con un moltiplicatore del fondo perduto di 2 e mezzo. Vuol dire che per ogni euro donato, le imprese ne hanno investiti 2,5 o con il prestito agevolato o con risorse proprie. Chi doveva restare chiuso spesso ha approfittato per rifare le cucine dei ristoranti, predisporre nuovi servizi igienici, ecc. Al bando Michelangelo hanno aderito 115 imprese e abbiamo erogato 780 mila euro e un milione e otto di prestito con un moltiplicatore di 5. Tra i professionisti hanno aderito in 120 con 390 mila euro a fondo perduto e 850 mila in prestito. Da sottolineare che sono stati pochi i bandi per aiutare i professionisti ma anche loro sono un pezzo importante dell’economia e secondo noi dovevano essere coinvolti. L’ultimo bando era rivolto alle imprese sociali: 24 finanziate con 900 mila a fondo perduto su progetti nuovi che stanno partendo. Adesso è decollato il Progetto Scena Unita su scala però nazionale. Con il supporto di molti artisti, come Fedez che ci ha sottoposto l’idea, Vasco Rossi e tanti altri. È stato istituito un fondo di aiuto per i lavoratori dello spettacolo che, partito a fine anno, ha già raccolto quasi 3 milioni, destinati per un milione e mezzo ai lavoratori per un aiuto di emergenza di 1.000 euro erogato ad alcune categorie di professionisti legati allo spettacolo. In pratica tutta la backline che consente la messa in scena di concerti e spettacoli teatrali e che non lavora ormai da un anno. Oltre a questa iniziativa immediata, vi sarà un altro bando che riguarda invece il rilancio del settore destinato a chi organizza spettacoli ed eventi immaginando una ripresa per la primavera. Se da un lato abbiamo aiutato nell’emergenza, dall’altro cerchiamo di aiutare alla ripartenza la filiera nel lungo periodo, investendo su progetti che vadano in questo senso”.
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2 POLITICANDO di Maurizio Maggioni
SALVATORE DELLA PATRIA... COME NEL ‘22?
Febbraio, di solito, è un mese gentile, tranquillo durante
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il quale si festeggia il Carnevale e San Valentino. Insoma, un momento godereccio. Lo è stato certamente quello dello scorso anno, ma per un breve periodo, perché già a metà del mese si cominciava a capire che qualcosa di grave incombeva su tutti noi, che i potentati della Organizzazione Mondiale della Sanità ci stavano raccontando un mucchio di bugie, che i politici di tutto il mondo non capivano proprio nulla di ciò che ci sarebbe successo, né di come poterci difendere, soprattutto noi Italiani, Bresciani e Bergamaschi in primis. Ora lo sappiamo con certezza, oltre 6000 morti in pochi mesi nella provincia bergamasca, poco di meno in quella di Brescia. Dobbiamo capire che fare politica è una cosa seria, che non serve solo assecondare tutto per partito preso: io sono di sinistra e i leghisti sono degli ottusi…Io sono di destra e tutti gli altri sono dei trinariciuti… Forse sarà anche vero infatti, il DNA di ogni partito richiama a sè le persone che più ci credono e si sentono accomunate dai medesimi ideali... Però, quanti errori sono stati fatti in nome della politica? Molti, troppi, soprattutto per la sua completa assenza. Non ne abbiamo visto nemmeno l’ombra in questi due anni, solo un po’ di più prima, ma poca roba e, quest’ultima legislatura, è stata certamante la peggiore in assoluto. Soprattutto per non aver avuto avuto rispetto e gratitudine per i caduti: i medici, i paramedici, i volontari e tutti coloro che avrebbero potuto essere salvati, se fossero stati applicati i corretti protocolli sanitari di emergenza. La storia e il tempo giudicheranno, ma sembra che la magistratura stia ormai accertando ciò che tutti avevano capito da un pezzo: improvvisazione, incapacità, incompetenza, indolenza ed eccessiva politicizzazione, hanno compiuto il disastro e chissà se alla fine qualche colpevole verrà identificato e processato. Ora, all’inizio di questo febbraio, ecco che la politica, quella che da tempo avremmo voluto vedere, si è affacciata: cade il governo, nessuno vuole più stare con nessuno e men che meno nessuno vuole andare ad elezioni, soprattutto il Presidente Mattarella.
TUTTI GLI UOMINI E LE DONNE DI MARIO DRAGHI Rapporti con il Parlamento: Federico D’Incà Innovazione tecnologica e la transizione digitale: Vittorio Colao Pubblica amministrazione: Renato Brunetta Affari regionali e autonomie: Mariastella Gelmini Sud e coesione territoriale: Maria Rosaria Carfagna Politiche giovanili: Fabiana Dadone Pari opportunità e famiglia: Elena Bonetti Disabilità: Erika Stefani Coordinamento iniziative nel turismo: Massimo Garavaglia Affari Esteri e cooperazione internazionale: Luigi Di Maio Interno: Luciana Lamorgese Giustizia: Marta Cartabia Difesa: Lorenzo Guerini Economia e Finanze: Daniele Franco Sviluppo economico: Giancarlo Giorgetti Politiche agricole e forestali: Stefano Patuanelli Ambiente, tutela del territorio e del mare: Roberto Cingolani Infrastrutture e trasporti: Enrico Giovannini Lavoro e politiche sociali: Andrea Orlando Istruzione: Patrizio Bianchi Università e ricerca: Maria Cristina Messa Beni e attività culturali e turismo: Dario Franceschini Salute: Roberto Speranza
Non condivido l’idea che non si possa andare a votare, anzi ritengo che sia l’unica soluzione democratica possibile, ma penso anche che vi sia una seconda via, appunto quella di un governo tecnico di unità nazionale che ci conduca alle elezioni a fine legislatura e ad onorare i gravosi impegni presi con l’Europa. Tutto questo è accaduto perchè Matteo Renzi ha deciso che non si poteva più andare avanti così... Certo non solo lui. L’ex premier infatti, è stato solo il braccio armato, del resto pronto dal tempo in cui provocò la scissione dal Partito Democratico per fondare il gruppo di Italia Viva. A questo punto non aveva più nulla da perdere ma solo tutto da guadagnare. I Cinque Stelle non ce la fanno più, hanno vergogna di loro stessi, ma non possono o non sono capaci di effettuare un radicale cambiamento al loro interno. Hanno mollato la piattaforma Rousseau, ma il joker genovese non vuole morire, anche se per molti aspetti lo è già. Si è data la colpa a Renzi per poter sostituire i ministri inadeguati e anche il PD ha dovuto far buon viso al gioco di Mattarella. Servivano numeri maggiori e allora ecco che è arrivato l’appoggio di Berlusconi e poi quello di Salvini. La Meloni niet. Per salvare Conte erano entrati in azione anche alcuni dinosauri democristiani che le hanno tentate tutte ma, già da un mese, i giochi erano fatti e loro non se ne erano neppure resi conto... Mario Draghi era disponibile solo se fosse saltato il banco. O lui o… nessun altro, perché gli altri hanno paura dei rispettivi elettorati e non possono tutti diventare Senatori a vita come accadde a Mario (anche lui...) Monti. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, obbedisce alla conservazione e, da gentiluomo, si è preso la responsabilità di non far votare il popolo bue. Dall’Europa, gli amici di Renzi confermano che l’oligarchia internazionale non può permettersi di perdere l’Italia, perno centrale su cui gira l’economia europea e in particolar modo quella tedesca. E allora si è fatto saltare il governo Conte e Draghi, che già si scaldava a bordo campo, ha preso in mano la situazione e tutti si sono accodati, tranne Giorgia Meloni, ma con delle differenze “sostanziali”.
C’è chi appoggia direttamente, chi si contrappone, chi si astiene, chi converge e chi va in ordine sparso, ma alla fine i voti per la fiducia sono arrivati. Lacrime e sangue? Non più di tanto, ma sicuramente meno demagogia. Dove andremo? Speriamo a prendere i soldi europei, e riuscire a partorire leggi un pò meno barbare come quella sul reddito di cittadinanza. Di certo si va verso una realpolitick. Chi ha vinto? La politica finalmente che, con un accordo specifico ed intrinseco, ha deciso riappropiarsi del suo ruolo per non essere più messa ai margini. Il vero problema è che mancano i giovani che sappiano fare politica e che ne abbiano voglia... Dalle sardine, finite in salamoia (che brutta figura), le quali pare servissero solo a mettere in difficoltà Matteo Salvini quando era ministro, ai giovani comunisti, divenuti buoni per ogni stagione. A destra mancano le idee e, all’infuori della Meloni, che però urla troppo, non rimane che Crosetto. Aiutiamoci e chiediamo al cielo di aiutarci con la pandemia, che pandemia potrebbe anche non essere e dalla quale potremmo uscire se solo smettessimo di urlare e iniziassimo a coordinare meglio l’azione dello Stato con le Regioni e, soprattutto, fare in modo che ONU e OMS gestiscano direttamante la campagna vaccinale in tutto il mondo. Il Coronavirus è una calamità mondiale, di interesse trasversale... Se non se ne occupano loro, ci si potrebbe domandare perchè esistono? I vaccini dovrebbero gestirli loro... Invece: vaccini statunitensi, inglesi, russi, cinesi, cubani… Perché non farli sintetizzare da fabbriche nei vari stati e garantire a tutti i popoli il vaccino? Colpa di Trump? Non penso. Aspettiamo le altre mosse italiane, che saranno il viatico di un cambiamento generale a livello europeo. Ricordiamoci che quest’anno si voterà in mezza Europa e la Merkel non ci sarà più. Draghi uomo della Provvidenza come nel 22? Ne riparleremo a marzo e spero proprio di non sbagliare. Onore ai Caduti, ponti d’oro al nemico che fugge se è la stupidità!
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COME STA ROCCO? Vito Emilio Filì - Foto Sergio Nessi
Siamo tornati ad informarci su come sta procedendo il Progetto Rocco del quale vi abbiamo già parlato negli ultimi numeri. Nato in seguito all’esperienza maturata con il call-center messo a disposizione della gente spaventata nei giorni peggiori della prima ondata, quando a tutti prendeva il panico di poter avere i sintomi dell’infezione, Rocco che è l’acronimo di Registry Of Coronavirus COmplication, si è dato sin dall’inizio due obiettivi. Il primo, strettamente scientifico, basato su alcuni marcatori della presenza del Covid, da ricercarsi su un campione di malati di tutti gli stadi dell’infezione, insieme alla rilevazione delle conseguenze ancora presenti. Il secondo obiettivo è socio assistenziale e prevede un percorso di superamento delle complicazioni post-covid. Un primo riscontro arriva con le prime due pubblicazioni del progetto su altrettante importanti riviste scientifiche di cui ci informa il Dr. Massimo Allegri, anestesista nel team della Dr.ssa Monica Vitali, a capo del progetto.
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“Rocco Bergamo - ci conferma Massimo Allegri - nasce per due importanti motivi. Da un punto di vista scientifico, grazie alla collaborazione di AIOLA e dell’Ospedale Papa Giovanni (Dipartimento di anestesia e rianimazione diretto dal Dr. Lorini) per trovare dei marcatori tramite la glicomica che è una disciplina innovativa e, per questa ricerca, abbiamo già ottenuto una pubblicazione per la scoperta di alcuni marcatori specifici in chi aveva reazioni maggiori al Covid, rispetto a chi ne era meno colpito. Ovviamente, la prima ondata è stata un momento in cui abbiamo raccolto campioni ed effettuato prelievi ma non si poteva ragionare serenamente. Adesso, cercheremo gli stessi marcatori osservando il follow-up ad un anno di distanza. Le glicoproteine cambiano nella fase acuta dell’infiammazione, quindi i 600 individui del Progetto Rocco, li riesamineremo dopo la fase acuta per verificare, a proposito della mutazione delle glicoproteine, se esistono maggiori o minori rischi di sviluppare ulteriori problematiche. Quindi Rocco non è solo uno screening per evidenziare le conseguenze del post Covid? “A fianco di questo progetto scientifico, decollato anche grazie all’esperienza del call-center organizzato a marzo per l’impegno del Dr. Maurizio Maggioni e al contributo del Rotary distreto 2042, si è voluto associare un progetto socio sanitario. Quindi, oltre a seguire questi pazienti per rilevare i dati di laboratorio delle glicoproteine, c’era anche il desiderio di voler essere vicini a tutte le persone che presentavano necessità di assistenza dopo la malattia. Si deve tener presente che, il 40% del nostro campione, è costituito da persone contagiate dal Covid ma non ricoverate in ospedale e che purtroppo ancora oggi sono pressochè abbandonate a se stesse. La maggior parte degli studi sui malati di Covid che sono stati portati avanti e che hanno avuto riscontro anche sulla stampa, riportano le complicanze del contagio a lungo termine, però sono tutti realizzati su pazienti che sono stati ospedalizzati, mentre almeno il 40% dei nostri non è stata mai ricoverata. La nostra analisi si basa sulla qualità di vita, sulle capacità funzionali e sulla presenza o meno di dolore. A tutt’oggi abbiamo contattato 430 pazienti dei 600 del panel e i dati che sono emersi sono abbastanza inquietanti. Oltre il 60% asserisce che la sua qualità di vita è peggiorata. Il 40% dice che le capacità funzionali sul lavoro sono diminuite rispetto a prima, per reali carenze fisiche e non solo di concentrazione. Bisogna precisare che il nostro studio si basa su un campione particolare. In primo luogo perché di Bergamo, dove abbiamo preso una bella batosta, poi perché sono tutte le persone che hanno vissuto in prima persona la malattia e che ora avvertono il bisogno di aiuto. Non è quindi un campione scelto a caso e tutti hanno chiamato volontariamente chiedendo di partecipare al progetto. Quando li contattiamo stanno volentieri al telefono perché si sentono meno abbandonati. Tutti in questi frangenti abbiamo bisogno di parlare: la pandemia con il suo portato di lutti è una vera tragedia che non abbiamo ancora elaborato e l’isolamento forzato ci fa venire voglia di parlare. Il 40% ha problemi di affaticamento e non riesce a lavorare. Il 35% ha dolori sopra il 4 in una scala da 0 a 10. Nell’arco della giornata ha episodi di dolore che prima non aveva. Prevalentemente dolori muscolari, anche se a volte siamo in presenza di dolori neuropatici. Una cosa che ci ha molto preoccupato è che 139 pazienti su 400 hanno necessità di un supporto riabilitativo che noi offriremo gratuitamente a partre da febbraio: fisioterapia non respiratoria ma di recupero funzionale.
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IL DR. MASSIMO ALLEGRI, ANESTESISTA E COMPONENTE DELLO STAFF RESPONSABILE DEL PROGETTO ROCCO
È uno sforzo importante che possiamo sostenere grazie alle donazioni finora ricevute e al supporto di numerosi enti quali Uniacque ed Istituti Ospedalieri Bergamaschi e al supporto di ATS Bergamo. Infine, il 10 % di queste persone, soprattutto asintomatici respiratori, non ha recuperato ancora il gusto e l’olfatto. Quindi, ci sono conseguenze che durano nel tempo, anche se il contagio è avvenuto in forma lieve. Bisogna evitare di seminare angosce, ma dobbiamo prestare ancora molta attenzione perché non è finita e bisognerà pensare di tenere agganciato un sistema di riabilitazione cronica per questi pazienti. L’Ospedale di Bergamo è stato eccezionale nel gestire la situazione nelle fasi più acute. Io non sono di Bergamo ma ho vissuto e capito cos’è l’orgoglio bergamasco. Il problema adesso è il cronico di cui nessuno discute. Restano delle conseguenze che possono anche sembrare ovvie per chi ha fatto un mese in rianimazione ma molto più invalidanti del solito”.
Da un punto di vista psicologico? “Devastante. Probabilmente è così per tutti ma da queste parti è ancora più accentuato. Chi è stato in ospedale e ce l’ha fatta, dovrebbe essere contento ma molti di loro non sono ancora tornati ad uno status quo ante virus e quindi la domanda costante è quando e se. Sintomi depressivi. Sintomatologia ansioso depressiva. Tutti no, ma molti sì. Anche per il fatto che non sappiamo se saremo immunizzati per sempre e se potremmo tornare a contagiarci. È una paura ancestrale, forse poco razionale. Soprattutto noi medici cerchiamo di razionalizzarla. Quando mi hanno telefonato per dirmi che mi avrebbero vaccinato, io mi sono commosso. Pensare di tornare a casa senza l’ansia di poter contagiare i tuoi figli… Beh, io mi sono commosso”. È convinto che il vaccino sia risolutivo? “Ad tutt’oggi la scienza non può affermare con certezza se sarà
FANNO IL TIFO PER VOI
COME STA
ROCCO? 46
completamante risolutivo ma al momento è l’unica soluzione che abbiamo e quindi dobbiamo farlo per forza. Non possiamo affermare che non ci saranno lievi effetti collaterali a lungo termine ma le nostre agenzie regolatorie lo hanno approvato e quindi io mi fido.Tutto in medicina può avere effetti collaterali indesiderati. Però non posso far vivere i miei figli e vivere io stesso tutta la vita con la mascherina. Non si può vivere senza contatti sociali. Il vaccino per ora è l’unica soluzione che abbiamo”. In Israele ci sono molti casi di ricontagiati dopo che sono stati vaccinati… “L’OMS, che in questa vicenda di cantonate ne ha prese, ha escluso questa possibilità. La verità è che non abbiamo dati certi per poter affermare ancora nulla. Bisogna anche essere onesti nella comunicazione e non le posso dire che il vaccino immunizzerà tutti al 100%. Ma non per questo è vero il contrario. Il problema che non abbiamo ancora dati”. Come proseguirà il Progetto Rocco? “Inizieremo la riabilitazione con 134 soggetti sui primi 430 contattati di cui 20 a domicilio con fisioterapisti appositamente formati dal Dr. Sacchelli e dalla nostra presidente, Monica Vitali. Gli altri saranno accolti nella struttura di Orio Center da cui abbiamo avuto disponibilità. Il recordman della immersione subacquee in apnea, Umberto Pellizzari, ha realizzato in esclusiva per i nostri pazienti alcuni video tutorial che insegnano come poter tornare ad una respirazione normale”. Pensate di incrementare il numero dei volontari? “Se qualcuno è disponibile a partecipare e ha necessità ad essere seguito, sì. Li sentiamo ogni due mesi e possono cominciare quando vogliono. La depressione non è solo una negativa, l’importanza è la reazione alla tristezza per tornare ad avere voglia di vivere”.
Per aderire al progetto mandare una mail a info@roccobergamo.it IN ALTO IL DR. MASSIMO ALLEGRI E LA DR.SSA MONICA VITALI, RESPONSABILI DEL PROGETTO ROCCO QUI A FIANCO I COMPONENTI DEL TEAM CHE HA DATO VITA AL CALL CENTER PER AIUTARE LA POPOLAZIONE SULLE PROBLEMATICHE INERENTI IL CONTAGIO DA CORONAVIRUS
INFERMIERI
A VISO APERTO
GLI SCATTI REALIZZATI DA SETTIMIO BENEDUSI PER RACCONTARE GLI SGUARDI E I SORRISI DI PROFESSIONISTI INDISPENSABILI PER IL NOSTRO SISTEMA SANITARIO
Al via “Infermieri, a viso aperto”, la Campa-
gna di sensibilizzazione che mette al centro la professione dell’infermiere con l’obiettivo di accendere i riflettori sugli aspetti più umani, empatici e accoglienti di chi, ogni giorno, assiste milioni di persone: non eroi, ma professionisti. La mostra fotografica virtuale, “visitabile” sul sito www.infermieriavisoaperto.it, è stata promossa e realizzata dal Gruppo Chiesi, con il patrocinio non oneroso della FNOPI, la Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche. La firma autoriale sul progetto è quella di Settimio Benedusi, fotografo professionista che collabora con le principali case editrici e che rappresenta uno dei principali esponenti della fotografia italiana. All’interno della piattaforma che ospita la mostra fotografica virtuale sono presenti, inoltre, le storie degli infermieri protagonisti della Campagna: una raccolta di scatti e di storie per sottolineare con forza l’impegno di professionisti della salute saliti alla ribalta durante la pandemia, raccontati come “eroi”, ma che in realtà hanno sempre ricoperto il proprio
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ruolo, indispensabile per il nostro Sistema Sanitario, con orgoglio e professionalità. “La fotografia è un mezzo apparentemente statico, ma che in realtà ha proprio nella dinamicità la sua essenza principale, in grado di aiutarci a scoprire gli aspetti più intimi che si celano dietro quelle mascherine che ogni giorno i nostri infermieri sono tenuti a portare, a volte con fatica e sofferenza ha affermato Settimio Benedusi, fotografo e autore della Campagna -. La Campagna ‘Infermieri, a viso aperto’ ha esattamente questo obiettivo: scavare a fondo quei volti quotidianamente nascosti ma sempre pronti ad accogliere e a raccogliere le sfide, a viso aperto”.Trasformare il concetto di empatia in azioni concrete. È l’obiettivo che ci siamo dati in Chiesi con il lancio del primo Empathy Manifesto, realizzato insieme al contributo delle ‘nostre’ persone, nell’ottica di perseguire non solo gli obiettivi legati al nostro settore, ma di provare a essere motore di un cambiamento della società del futuro - ha dichiarato Ugo Di Francesco, Amministratore Delegato del Gruppo Chiesi.
La campagna ‘Infermieri, a viso aperto’ rappresenta un esempio di trasformazione del concetto di empatia in un’attività tangibile, di
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condivisione di quei valori che gli infermieri mettono in campo ogni giorno nell’assistere i pazienti e ai quali non può che andare la nostra gratitudine per il ruolo fondamentale che ricoprono, indipendentemente dalla pandemia. Gli infermieri ci sono, ci sono stati, ci saranno. Lo sanno bene i cittadini che li riconoscono in questa pandemia come quei professionisti vicini ai pazienti, al proprio fianco per rispondere ai loro bisogni, per garantire l’umanizzazione dell’assistenza e la dignità del fine vita.
“Perché per noi, come recita il Codice deontologico, ‘il tempo di relazione è tempo di cura’ - ha commentato Barbara Mangiacavalli, Presidente FNOPI -. Impegno, professionalità e dedizione sono sotto gli occhi di tutti. Lavoriamo a viso aperto, bardati da tute di contenimento e tripli guanti di lattice di protezione, pagando un prezzo altissimo, sopperendo alle criticità delle strutture e alle carenze di personale che denunciamo da anni: in Italia occorrono subito 53mila infermieri, di cui gran parte sul territorio come infermieri di famiglia/comunità, per una vera assistenza a misura di cittadino”.
www.infermieriavisoaperto.it - Foto di Settimio Benedusi
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29 FEBBRAIO GIORNATA MONDIALE DELLE MALATTIE RARE La prima Giornata delle Malattie Rare è stata celebrata nel 2008, con la scelta del 29 febbraio come “un giorno raro per i malati rari”. Quest’anno la Giornata Mondiale delle Malattie Rare si celebra domenica 28 Febbraio 2021
MA COS’È UNA “MALATTIA RARA”?
Una malattia si definisce “rara” quando la sua prevalenza, intesa come il numero
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Inizia da questo numero una collaborazione al fianco di una delle fondazioni più attive sul territorio che finanzia le borse di studio per i ricercatori dell’Istituto Mario Negri. Questo spazio, infatti, sarà dedicato all’ARMR, Fondazione, per gli aiuti alla ricerca sulle malattie rare e, ad informarvi sulle attività della stessa, ma non solo, sarà l’ing. Giuseppe Mazzoleni, che ne è vicepresidente.
Gli appuntamenti della Fondazione A.R.M.R. sul territorio sono: SABATO 20 FEBBRAIO Sentierone presso la “vedovella”; DOMENICA 21 FEBBRAIO in Largo Belotti vicino alla Chiesa di S. Bartolomeo; SABATO 27 FEBBRAIO 2 appuntamenti: in via XX Settembre accanto alla Chiesa di S. Leonardo ed in Città Alta in Piazza Mascheroni; DOMENICA 28 FEBBRAIO 2 appuntamenti: in Largo Belotti vicino alla Chiesa di S. Bartolomeo ed in Città Alta in Piazza Mascheroni
TI ASPETTIAMO!! Vieni a conoscere i nostri meravigliosi “Volontari” e a sostenere la ricerca! Se qualcuno non riuscirà a partecipare in presenza agli appuntamenti sopra elencati, potrà comunque contribuire alla raccolta fondi a favore della Ricerca attraverso un bonifico bancario a favore della Fondazione
di casi presenti su una data popolazione, non supera una soglia stabilita. Nell’Unione Europea la soglia è fissata allo 0,05 per cento della popolazione, ossia 5 casi su 10.000 persone. Il numero di malattie rare conosciute e diagnosticate oscilla tra le 7.000 e le 8.000, ma è una cifra che cresce con l’avanzare della scienza e, in particolare, con i progressi della ricerca genetica. Stiamo dunque parlando non di pochi malati, ma di milioni di persone in Italia e addirittura decine di milioni in tutta Europa. Secondo la rete Orphanet Italia, nel nostro Paese i malati rari sono circa 2 milioni: nel 70% dei casi si tratta di pazienti in età pediatrica. In base ai dati coordinati dal Registro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), in Italia si stimano 20 casi di malattie rare ogni 10.000 abitanti e ogni anno sono circa 19.000 i nuovi casi segnalati dalle oltre 200 strutture sanitarie diffuse in tutta la nostra penisola. Il 20% delle patologie coinvolge persone in età pediatrica (di età inferiore ai 14 anni). In questa popolazione di pazienti, le malattie rare che si manifestano con maggiore frequenza sono le malformazioni congenite (45%), le malattie delle ghiandole endocrine, della nutrizione o del metabolismo e i disturbi immunitari (20%). Per i pazienti in età adulta, invece, le malattie rare più frequenti appartengono al gruppo delle patologie del sistema nervoso e degli organi di senso (29%) o del sangue e degli organi ematopoietici (18%). [Fonte: ISS 2015] Vista la mancanza di un’univoca definizione di malattia rara a livello internazionale, ci sono diverse liste di patologie: National Organization for Rare Disorders (NORD); Office of Rare Diseases; Orphanet (che propone una lista di circa 6.000 nomi di patologie rare, sinonimi compresi). In Italia, l’Istituto Superiore di Sanità ha individuato un elenco di malattie rare esenti-ticket. Alcune Regioni italiane hanno deliberato esenzioni per patologie ulteriori da quelle previste dal Decreto 279/2001. La Fondazione A.R.M.R è in prima linea da ormai 27 anni per la raccolta fondi da destinare a favore della ricerca che viene svolta presso una delle eccellenze mondiali presenti sul nostro territorio: l’Istituto Farmacologico Mario Negri. Attraverso la Giornata delle Malattie Rare si vuole trasmettere il messaggio che: Rari vuol dire essere tanti. Rari sono gli oltre 300 milioni di persone in tutto il mondo. Rari vuol dire essere forti. La comunità delle malattie rare è unita attraverso i confini e le malattie per sensibilizzare il pubblico e promuovere il concetto di equità. Rari vuol dire essere orgogliosi. Mostra con orgoglio il tuo sostegno alla comunità delle malattie rare! Quasi sicuramente anche tu conosci qualcuno affetto da una malattia rara. La Giornata delle Malattie Rare è, dunque, un’occasione importante per sensibilizzare il pubblico in merito alle malattie rare e, in particolare, a cosa vuol dire avere un accesso equo alla diagnosi, al trattamento e alle cure. L’obiettivo è proprio questo: aumentare la consapevolezza di tutti per porre fine alle disparità dei malati rari quanto ad accesso alla diagnosi, al trattamento, alle cure e alle opportunità sociali. La Giornata delle malattie rare potrebbe assumere una connotazione un po’ diversa nel 2021 a causa della pandemia da COVID-19, ma attraverso campagne digitali ed in presenza presso alcune piazze di Bergamo la Fondazione A.R.M.R. sarà comunque in grado di riunirci per accendere i riflettori sui 30 milioni di persone che vivono con una malattia rara in Europa e gli oltre 300 milioni in tutto il mondo.
A.R.M.R. inserendo la causale “erogazione liberale” UBI Banca Sede - IBAN IT 78 Z 03111 11101 00000 0094728
NASCE LA DELEGAZIONE A.R.M.R. DI BRESCIA Lo scorso gennaio è nata la Delegazione A.R.M.R. (Fondazione Internazionale Onlus “Aiuti per la Ricerca sulle Malattie Rare”) di Brescia, voluta fortemente dai tre soci Fondatori, Federica Silistrini, Dottore Commercialista e neo Responsabile della Delegazione bresciana, Ferruccio Lorenzoni, Mdl, bancario in pensione, nuovo Vice responsabile della delegazione bresciana, e Filippo Manelli, Direttore della Medicina e Chirurgia d’Accettazione e Urgenza presso la ASST della Valcamonica, attuale membro della commissione scientifica di A.R.M.R. La nascita della nuova delegazione bresciana ha fatto seguito ai contatti, alla conoscenza e condivisione fra i soci fondatori e la Fondazione Onlus A.R.M.R. di Bergamo, che da anni sostiene la ricerca sulle malattie rare in vari modi, dando a tutti la speranza di una vita migliore grazie al lavoro dei ricercatori italiani e stranieri che collaborano a progetti scientifici presso i Centri di Ricerche Cliniche “ALDO E CELE DACCÒ” di Ranica e “ANNA MARIA ASTORI” al Kilometro Rosso ad hoc. “Oggi più che mai - ci ha spiegato Federica Silistrini - è im-
portante occuparsi di malattie rare. Oggi che tutti conoscono meglio di altri periodi storici il significato della malattia e della sofferenza, a causa della pandemia CoViD, quindi abbiamo sviluppato una sensibilità diversa nei confronti di chi soffre, essendone stati spesso coinvolti direttamente nei mesi scorsi. Storicamente le malattie rare non suscitano grande interesse né dell’industria farmaceutica, né della ricerca in generale, trattandosi di aree scientifiche molto difficili, complesse e scarsamente remunerative per gli investitori. A fronte di pochi farmaci disponibili per la cura delle malattie rare esistono ben 1.900 sostanze chimiche che sono state classificate come farmaci orfani “designati”. Si tratta di prodotti che sono ritenuti potenziale cura, ma che si trovano solo all’inizio di un lungo iter di ricerca di sviluppo che spesso non viene realizzato per mancanza di interesse e di risorse economiche. È quindi molto importante l’attività di A.R.M.R. che è operativa attraverso una fitta rete di delegazioni non solo in Lombardia, ma in tutta Italia. La neonata Delegazione di Brescia, dopo il recente periodo della pandemia che ha sovvertito la vita di molti, ha già trovato all’inizio di questo 2021 una nuova energia per dare un segno tangibile della presenza bresciana a sostegno della ricerca per le malattie rare su larga scala. Tra gli ultimi studi supportati da A.R.M.R. basta citare il progetto “Origin” proprio sul CoViD, avviato a Bergamo e provincia, con lo scopo di caratterizzare al meglio le varianti dell’infezione e le tipologie di manifestazione clinica. Brescia inizia quindi ora, con A.R.M.R., un percorso a sostegno della ricerca delle malattie rare che tanto ha già fatto in passato e altrettanto potrà realizzare in terra bresciana e fuori dai nostri confini”.
Nella foto Federica Silistrini e Filippo Manelli che, con Ferruccio Lorenzoni, sono i responsabili della delegazione bresciana di A.R.M.R.
MALATTIE RARE: SE LE CONOSCI, CRESCI “Non serve citare il CoViD che tanto oggi ci coinvolge - ha sottolineato il Dott. Filippo Manelli - Medico - Membro commissione scientifica A.R.M.R. delegazione di Brescia. Tutti conosciamo l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito, l’asma bronchiale. Tutti sappiamo qualcosa sui tumori e su molte altre malattie che coinvolgono milioni di persone in Italia e nel mondo. La ricerca ha fatto e continua a fare molto per trovare strumenti di diagnosi e terapia che consentano ai pazienti di curarsi, guarire o almeno stare meglio. Innanzitutto perché dietro ad ognuno di loro c’è una persona, che è rappresentanza del mondo intero. Sono le patologie che meglio conosciamo, quelle più comuni e conosciute. Diverse sono le malattie rare. Non serve arrivare alle immunodeficienze primitive, tanto per fare un esempio. Quasi nessuno le conosce. Le malattie rare sono misteriose, insolite, talvolta senza nome. Nel mondo colpiscono 350 milioni di persone, fra cui 1-2 milioni solamente in Italia. Circa un quarto di questi pazienti hanno tempi di diagnosi fra 5 e 30 anni, fatti di ipotesi diagnostiche che portano inevitabilmente a diagnosi tardive. A.R.M.R. è aiuto alla ricerca di queste e molte altre malattie rare attraverso varie strade, come la creazione di borse di studio. Ma non solo: è il modo più semplice e concreto per poter dire a chi è affetto da una malattia rara che non è solo, che la sua famiglia non è sola, i suoi amici non lo sono. Un modo per affermare che la ricerca non si ferma ai numeri. Una testimonianza a dimostrare che la scienza medica e la ricerca si occupano anche di ciò che oggi è dal punto di vista epidemiologico definibile come raro, quindi poco conosciuto, quindi difficile per definizione. Anche le eccellenze dopotutto sono rare e ci preoccupiamo di salvaguardarle. Non servono miracoli. Aiuto alla ricerca delle malattie rare è un dovere morale e un’eccellenza scientifica. Da oggi anche a Brescia”.
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STEFANIA CAREDDU SI RACCONTA QUI.
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STEFANIA
TOMAS LINO TOMASONI
PER SEMPRE
La sua vita non si può certo considerare ba-
nale, divisa tra gli sfarzi di Holliwood e la dolce vita italiana. Ha vissuto gli anni d’oro del cinema, amica di personaggi del calibro di Aristotele Onassis, Frank Sinatra, Liz Taylor, Fellini e Mastroianni… O Non basterebbe tutta la rivista rac-le sue opere, in riginario di Bolgare, vive eper crea contarecima una vita così ricca ed intensa... Dal ma- le vigne della a una collina dalla quale domina trimonioValcalepio. con Giuseppe Picone un miliardario La nebbia resta giù e solo il Montorfano italoamericano, alla sua carriera cinematografica ne emerge come un’isola in un mare azzurrino. e giornalistica, dalla profonda devozione per la madre, la famosa scrittrice poetessa Mariana Frigeni Careddu, agli ultimi anni di sereno ritiro. Camilla Peverelli
Mi ha accolto con il grande sorriso che conosco, garbata e desiderosa di farmi intraprendere questo viaggio nel suo passato. Dentro casa sua sono avvolta da un’atmosfera carica di ricordi, dove tutto parla di lei, della sua vita e di sua madre. Le fotografie appese, i quadri, i premi ricevuti.... Chi è Stefania Careddu? “Non avresti potuto farmi domanda più complessa, alla quale posso rispondere con sincerità solamente ora che, finalmente al culmine dei miei anni, ho realmente scoperto chi sono e soprattutto chi sono stata. Sono conosciuta come attrice e giornalista in voga negli anni ‘50 e ‘60, appariscente, sensuale e soprattutto talentuosa, in vista nelle cronache dell’epoca anche grazie al matrimonio con Mr. Picone, uno degli uomini più ricchi della New York di quei tempi, con il quale sfrecciavo spesso sopra una Rolls Royce dal color nero corvino.... Ma ti dirò la verità, quando qualcuno mi pone domande simili, non rientra nei miei intenti descrivermi come tale. Mi rende invece orgogliosa poter dire semplicemente d’esser sempre stata una persona dalla semplicità e dalla purezza innata, amante dei valori autentici. Dove ho trovato la forza nella vita per andare avanti? L’ho banalmente raccolta dall’amore, che alla fin fine poi così banale non è. Sai come amo definire questo fatidico amore? Ossigeno puro. Ci sono varie forme d’amore, una in particolare è l’amore per la poesia e sono stata fortunata perché ho potuto assaporarla pienamente grazie a mia madre, poetessa e grande amante dell’immenso e ricco regno letterario. Sono convinta che la poesia sia eterna e che la voce dei poeti non si affievolisca mai. Oggi posso dir senza malinconia, ma con fermezza che la mia vita è cambiata totalmente e sento d’esser arrivata al traguardo. Non vorrei sembrar retorica ma risultare semplicemente sincera, dote che mi è sempre appartenuta e di cui vado orgogliosa. Ho avuto un incidente che mi ha portato a fare il punto della situazione cercando di capire esattamente chi sono ora, lasciandomi alle spalle il passato. Ho cercato di fare un’analisi della mia vita e, per farti capire ciò, voglio usare la metafora della valigia al cui interno devi tenere solo ciò che serve ed eliminare ciò che non userai più”. Come nasce la passione per il teatro e il cinema? “Iniziai ai tempi delle elementari a recitare delle semplici poesie alle feste. Ho amato il teatro sin da piccola e il mio sogno è sempre stato quello di poter fare l’attrice. Ho deciso perciò di frequentare il Piccolo Teatro di Milano per avvicinarmi a quel mondo che tanto mi affascinava. C’è una frase di Catullo che cito spesso: “quanto piace al mondo è breve sogno’’. È proprio questo che fa il cinema, regala sogni, è il miglior modo per star soli in mezzo alla folla. Non è fantastico? Un giorno casualmente un regista mi vide fare sci nautico e mi volle nel cast del suo film, accettai, e da quel momento cominciò la mia carriera di attrice”. Quanto è stato importante per lei il giornalismo, e come è nata la tua passione per questa professione ? “Prima di tutto amo definirmi una “lettrice”, ed è proprio dall’amore per la lettura che inizia la passione per il giornalismo e di conseguenza anche per il teatro. Mia madre, oltre ad essere una meravigliosa e amata poetessa, fu anche un’apprezzata giornalista e probabilmente mi ha trasmesso questa passione... Ho amato da sempre questo mondo.
Stefania Careddu con la mamma Marianna Frigeni Ricordo con piacere le parole che un giorno mi dedicò Carlo Bo: “alla carissima Stefania, nata tra i libri, cresciuta tra i libri e che morirà tra i libri’’. Parole che, nonostante tutto, rispecchiano compiutamente il mio percorso, e che me ne hanno fatto capirne l’importanza. La parola è l’arma più significativa che l’uomo possiede, tutto può accadere ma resta sempre viva e se quello che scrivi viene prima dal cuore e poi dalla testa il tuo pubblico lo capirà e lo apprezzerà. Sono sempre stata una persona molto curiosa, senza paura di darlo a vedere, ma d’altronde può non essere una delle doti fondamentali di una rispettata giornalista? Sono dell’idea che sia proprio la curiosità che dia entusiasmo al tuo lavoro, trasferendo profondità e valore in ciò che fai. Ringrazio mia madre per avermi insegnato a vivere, la ringrazio per avermi trasmesso l’amore per i libri che a lei amava definire come “piccolo paradiso portatile”. Quale è Il suo più grande rimpianto? “Mi spiace deluderti, la parola rimpianto non rientra nel mio vocabolario e sono dell’idea che non si possa vivere di rimpianti, sarebbe alquanto alienante per l’essere umano. L’unico desiderio che non sono riuscita ad esaudire? Credo proprio sia quello di non aver avuto l’opportunità di recitare in un film basato su un romanzo storico scritto da mia madre, come ad esempio “Ludovico il moro’’ , legato anche per certi versi a Leonardo da Vinci, personaggio estremamente interessante a livello culturale e umano. Questo sposalizio lavorativo con mia madre avrebbe in qualche modo saldato ancor di più la nostra unione professionale. Detto ciò penso d’essermi tolta tutti gli altri sassolini dalle scarpe”. Ho letto con grande interesse il libro da lei scritto “Una vita con mia madre’’, e ho percepito, sin dalle prime righe, il grande sodalizio d’amore a allo stesso tempo di amicizia. Lo definirei un rapporto quasi empatico, e lei come lo definirebbe? Di cosa in particolare è grata a sua madre? “Inutile dire che per me mia madre è stata la persona più speciale ed emblematica che potesse segnar così profondamente e positvamente la mia esistenza.
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In alto Stefania con Indro Montanelli, sotto con Carlo Bo e in basso con Aristotele Onassis
Definirei il nostro rapporto, come un’unione di due persone che si completavano a vicenda senza accorgersene. Ho sempre avuto una profonda devozione e ammirazione per lei, oserei dire una sana venerazione. Ha saputo educarmi, rendendomi indipendente, libera e lontana da pregiudizi e, credimi, negli anni ‘50 e ‘60, una donna così emancipata e dalla forte personalità, non era facilmente apprezzata dalla società. Bastava un semplice sguardo per capirci, sapeva sempre dire la parola giusta nel momento giusto, possedeva un’intelligenza unica ed innata. Sicuramente una donna acculturata e di spessore, che amava spendere il suo tempo dedicandosi con calore e cordialità al prossimo. Nessuno bussò mai alla sua porta senza esser aiutato. Una delle cose che odiava profondamente era dover scegliere a quel bivio nel quale o si accettano le idee ufficiali o si abbracciano quelle ribelli e sovversive. Ha avuto una vita ricca di soddisfazioni, ma un grande lutto la cambiò profondamente… Dopo la morte di mio fratello Salvatore, ha trovato un appoggio nella fede, oltre che nell’unica figlia che le restava, io. Mia madre fu una donna senza pregiudizi e senza padroni, sempre libera come l’aria e sempre fedele a se stessa, ed è così che mi piace ricordarla”. Cosa le fa più paura? “Una scrittrice che sa cogliere il senso della vita in ogni poesia e che si emoziona agli incanti della natura, non ha tempo per soffermarsi sul senso della paura che definirei come una mancanza dell’essenza del piacere di vivere. La paura più grande di sempre per un essere umano è sicuramente quella della fine della propria esistenza, cosa ragionevole, ma che io non temo e allo stesso tempo non condivido. Mia madre mi diceva sempre: “cara, non pensare mai alla morte, perché sarà lei stessa a pensare a te”. Il mio timore più grande? sicuramente quello di poter ferire qualcuno sia consapevolmente che inconsapevolmente. Con l’avanzare dell’età comprendo che ognuno di noi ha sempre più bisogno dell’altro e dunque, come potrei non temer la famigerata e dannata solitudine”.
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Entrando in casa sua ho notato diverse opere: quadri, sculture e fotografie d’autore. Che rapporto ha con l’arte ? “Con l’arte ho un rapporto a dir poco meraviglioso, questa passione l’ho coltivata viaggiando e visitando assieme a mia madre i musei di tutto il mondo. Ho incontrato artisti dai nomi altisonanti e già affermati ma anche artisti emergenti. Ho posseduto diverse opere d’arte importanti, che per svariate ragioni ho dovuto vendere a malincuore. Ho amato in particolare la scultura grazie alla sua contrapposizione tra forza, dolcezza e serenità. Durante i viaggi a Parigi mi recavo spesso a Montmartre, dove acquistavo enormi quantità di opere amatoriali. Ti chiederai per quale motivo acquistavo opere dilettantistiche quando potevo averne di rinomate! La risposta è molto semplice: amo l’arte. amo ogni singola forma d’arte che mi si presenti davanti, dai dipinti minuziosamente accurati agli scarabocchi, e sai perché? Perché ogni minimo sforzo fatto con anima e cuore io lo definisco un capolavoro. Ricordo come se fosse ieri un particolare aneddoto che mi fece ancor più aprire gli occhi in merito a cosa rappresentasse l’arte per me. Ero a Parigi, precisamente a la Mère Catherine quando un gruppo di ragazzi dagli abiti modesti, ricoperti dalla testa ai piedi di vernice, si diressero all’interno del locale per abbellire gioiosamente i muri di quest’ultimo in cambio di pochi miseri spiccioli per procurarsi da mangiare. L’arte non sta solo negli occhi di chi ammaliato l’ammira, ma anche di chi, tra uno sforzo e l’altro, con anima e corpo se ne occupa”. Quale è stato il dono più significativo che ha ricevuto nel corso della sua lunga carriera ? “Avevo circa 20 anni , quando mia madre affittò una villa a Fregene, che oltre ad essere una semplice località marittima situata nei pressi di Roma fu anche una delle località preferite dai maggiori rappresentanti della dolce vita romana. La particolarità di questa splendida casa? Era quella d’esser esattamente di fronte alla villa del grande maestro e amico Federico Fellini. Trascorsi diverse estati lì, tenemmo la villa per quattro anni consecutivi. A Fregene trascorsi vacanze indimenticabili, ed è altrettanto indimenticabile il ricordo del dono che ricevetti, ovvero una semplice bicicletta laccata di nero. Chi mi fece questo regalo? Ebbene no, non si trattò di Vittorio de Sica, bensì del grande maestro e amico Federico Fellini, che senza esitare vedendomi camminare sola verso la spiaggia decise di darmi in dono il suo caro velocipede dicendomi :“sicuramente non è regalo degno della tua bellezza ma ti assicuro che funziona niente male”. E così, come una ladra di biciclette, percorsi il mio ultimo tratto verso la spiaggia grata di questo semplice ma significativo dono”.
STEFANIA PER SEMPRE Amava il giornalismo e fu una delle prime persone a volerci conoscere dopo la pubblicazione del primo numero di qui Bergamo. Le siamo sempre grati per averci voluto bene.
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TOMAS LINO TOMASONI Originario di Bolgare, vive e crea le sue opere, in
cima a una collina dalla quale domina le vigne della Valcalepio. La nebbia resta giù e solo il Montorfano ne emerge come un’isola in un mare azzurrino.
Avevo notato alcuni suoi lavori presso gli uffici dell’amico Sergio Belometti, appassionato d’arte e sostenitore di molte menti creative. Ho avuto un appuntamento e con il fedele Sergio Nessi, raggiungo l’eremo dove abita Tomas Lino Tomasoni. Ci serve del caffè bollente, ci voleva davvero, e si avvia a raccontare...
“Ho iniziato con l’istituto d’arte a Monza, per diventare designer. Lì
ho avuto insegnanti molto bravi e ho seguito percorsi di educazione visiva con Attilio Marcolli e, poi in Accademia con Bruno Munari e Luigi Veronesi. In seguito ho frequentato il corso di nudo all’Accademia Carrara per due anni con Mino Marra; da lì i contatti con il mondo artistico bergamasco,Longaretti, Scarpanti, Nicola, Cappelli... Poi, attratto dalla grande città e forse perché ritenevo Bergamo un po’ provinciale, mi sono trasferito a Milano dove ho iniziato un corso serale nella scuola degli Artefici di Brera. Dopo il primo anno mi hanno licenziato con dieci e lode. Avevo 21 anni e ho ripreso a frequentare l’Istituto d’arte di Monza perché interessato alla grafica. Anche qui, dopo tre anni mi hanno dato il diploma dicendo che avevo già una preparazione più che sufficiente. Quel diploma mi ha permesso di entrare all’Accademia di Brera dalla porta principale potendo frequentare il corso di pittura di Domenico Purificato. Sono uscito con quasi tutti trenta e lode”. Un allievo curioso... “Ero molto appassionato. Stranamente però, la situazione che ho vissuto in seguito, all’inizio degli anni settanta a Milano che era il cuore delle avanguardie artistiche a livello mondiale, mi ha completamente bloccato. Mi sentivo fuori dalla logica di quello che io pensavo fosse l’arte in senso concettuale. Veniva eliminato l’aspetto esecutivo, per me valeva il principio del “saper e il saper fare”. La testa che formalizza la parte sperimentale della mano.Veniva annullato l’aspetto tecnico per l’aspetto concettuale e casuale. Tutto questo non mi tornava, si escludeva le capacità pad esclusivo vantaggio della trovata sostenuta da elucubrazioni concettuali. Mi sono orientato all’insegnamento delle discipline pittoriche, del disegno di moda e della storia del costume. Ho scelto poi di venire a vivere qui e mi sono dedicato per trent’anni all’insegnamento del disegno e Storia dell’Arte al Liceo scientifico”. Quindi ha fatto il professore? “Tenendo sempre presente l’aspetto dell’arte, dove il saper guardare è fondamentale. Per me realizzare un quadro è come scrivere un libro, sostenendolo concettualmente, attraverso una logica che ha radici culturali profonde. Penso che oggi la gente non sappia più vedere le cose e si siano persi il concetto di simbolo e il valore delle cose: è una società con assenza di simboli. Recuperare questo aspetto diventa per me fondamentale”. Cosa vuole dire la gente ha perso l’aspetto delle cose? “La contemporaneità è alla ricerca costante della bellezza da consumare, la bellezza non è quella che piace ma quella che è, nei suoi valori intrinseci. Le faccio un esempio, per un fotografo, possono essere le rughe sul volto degli anziani, quello che è il vissuto dell’altro. Oggi si è orientati verso valori che sono fittizi. Si sono persi il senso della famiglia, i rapporti con l’altro, il senso del sacro e anche dell’etica politica. La gente sempre meno indaga, esemplifica ragiona con lo stomaco, non con la testa..
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TOMAS
Per me fare Arte è anche organizzare una manifestazione. Sono il curatore e il presidente di Grumello Arte&Cultura. Collaboriamo con la Fondazione Credito Bergamasco e con Enti e scuole per sostenere cultura e artisti che riteniamo interessanti. Ovviamente quest’anno abbiamo ridotto molto la nostra attività ma, nel giro di una decina di anni a questa parte, con le nostre iniziative abbiamo coinvolto più di 25 mila persone. Incontri di storia dell’arte, di filosofia, mostre, concerti ecc. Abbiamo accompagnato scolaresche per visite guidate alle nostre manifestazioni favorendo incontri e interventi anche in classe. Quello divulgativo diventa l’aspetto concettuale dell’arte, dove l’arte ha la funzione di educare. È sempre stato così: dipingo, lavoro e sono anche il mediatore di quello in cui credo.
LINO TOMASONI “Il soggetto è un crocifisso di spalle. La luna è il sogno la trascendenza che rischiara la notte. Cè uno strappo profondo: la guerra, la fame, la povertà il destino che costringe a migrare. Ma, da quando mondo è mondo la gente migra. C’è un’accenno a Gesù che scappava da Re Erode, dal male”.
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Io sento una grande necessità del sacro, promuovendo il rispetto della persone, dell’etica, del senso del dovere, a prescindere da ciò di cui ognuno si occupa o crede… Patria, eroi, sbandierati e svuotati di senso ecc... la gente non riesce più a vedere cosa c’è al di là”. Come nasce la dedizione al Sacro? Tutta l’Arte è manifestazione della “ricerca dell’Oltre”. Per Van Gogh questa ricerca diventa spasmodica ossessione, una “mancanza d’aria” che si manifesta nella pennellata sempre più violenta e nei contrasti e vibrazione dei colori. Noi conosciamo i soliti quadri, ma la costanza della sua ricerca della profondità dell’uomo e le vibrazioni della natura andavano in quella direzione. Nella cosmologia contemporanea, verso il 1965, è stato pubblicato che esiste un’inafferrabile radiazione cosmica di fondo, di luce, sulla lunghezza delle microonde, che riempie tutto l’universo.
Questo oggetto misterioso, chiamato dai fisici funzione d’onda dell’universo, non si è certo autoprodotta, per chi vuol credere, può essere letto come un intervento di Dio. Chi ha detto che siano quattro le dimensioni? C’è ne sicuramente una quinta che va al di là dei sensi e del tempo dell’uomo, che ci fa credere, amare, sperare... quella forza misteriosa... e non di certo non è solo una questione fisiologica o fisica. Questo concetto della fisica del ‘900 che riporta la natura al Mistero, mi spinge tutte le mattine a fotografare lo stesso albero dalla mia finestra. Questi giorni, che crediamo così uguali, non lo sono e, vederlo cambiare, giorno dopo giorno, mi dà il senso della bellezza del tempo che scorre e delle cose che mutano. Vorrei fare un cerchio con 365 immagini che restituiscano questa bellezza. Non faccio molti quadri perchè costruire un’idea è come fare un libro. Bisogna avere le idee chiare per dare alla mano quella freschezza che non può essere lessicale”. (V.E.Filì)
L’altro elemento di costruzione per arrivare a definire tutto deve passare attraverso la mano c’è un grande lavorini pearaxzione… l’idea viene prima poi c’è tutto il dialogo ma come per fare un libro posso avere una ispirazione poi la costruzione dell parole. Il canale comunicativo e le cocietà si sono sviluppate sul linguaggio della parola scritta ma vorrei
“Mio nonno un era pic-e-pala e la domenica, considerato tempo sacro, dopo la messa e il bianchino, puliva le rive demaniali del Cherio e quando gli chiedevo perchè lo facesse mi rispondeva: “Perchè arda come l’è bel” “Devo prima avere l’idea di cosa fare che poi risolvo attraverso la mano e, a livello operativo, quell’idea che è stata la motivazione diventa scoperta indagine, viene cambiata dall’agire della mano concretizzata dai materiali, dagli strumenti, in incisione ho realizzato punte per ottenere tracciati particolari”
“Io non rinuncio mai al cenno figurativo per dare l’opportunità di entrare nel linguaggio con cenni facilmente identificabili dal fruitore per entra nell’opera”.
Noi non abbiamo risorse o materie prime. In Italia vendiamo bellezza. Vendiamo utopia. Abbiamo da insegnare il senso, il sapore della vita.
“La fantasia è un dono
dio Dio ma se non ci credi diventa difficile convogliarla”.
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“L’aspetto della croce è diventato estetico svuotando il concetto della vita della morte e della sofferenza. Metterò questi chiodi fissi, che sono la sofferenza, sublimati dal candore del sudario della resurrezione, in contrapposizione con la ricerca ossessiva estetica della bellezza del mondo contemporaneo che svuota il senso di quella croce”. “Oltre ai chiodi metterò sulla croce l’impronta di sangue non solo di Cristo. Quella croce non è stata fatta solo per Gesù e su quel patibolo sono state giustiziate molte altre persone e altre lo sono oggi, il riferimento del filo spinato richiamo alla corona di spine ne è una testimonianza”. “Sto elaborando un altro progetto, in cui Gesù sulla croce nobilita uno dei due ladroni, ma non può perdere nemmeno l’atro: sarebbe, in parte, il fallimento del Suo sacrificio”.
FONDAZIONE CREBERG – DANTE 700
PERSONAGGI DELLA DIVINA COMMEDIA IL NUOVO DOCUFILM DI FONDAZIONE CREBERG CELEBRA I SETTECENTO ANNI DALLA SCOMPARSA DI DANTE ALIGHIERI LA GRANDE OPERA DI DANTE NELLA MOSTRA VIRTUALE DELLA FONDAZIONE CREDITO BERGAMASCO
Nell’ambito di un articolato programma, predisposto per ce-
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lebrare il 700° anniversario dalla scomparsa di Dante Alighieri, Fondazione Creberg omaggia il Sommo Poeta con una mostra virtuale presentando al pubblico – in un video della durata di circa quarantacinque minuti – le vicende di numerosi personaggi della Divina Commedia, dai più importanti ai meno noti, non meno attraenti e interessanti per la peculiarità e l’originalità delle loro vicende. Un percorso virtuale che alterna le terzine, selezionate da alcuni Canti delle tre Cantiche, con i testi che illustrano i personaggi multiformi del viaggio dantesco, arricchiti da suggestive illustrazioni tratte dalle opere che l’artista Angelo Celsi – bergamasco di origine ma, al tempo, operante in Svizzera, nel Canton Ticino – realizzò per la mostra itinerante che la Fondazione propose nel 2015 in occasione del 750° anniversario della nascita del grande Genio italiano. Nel docufilm vengono “narrati e raccontati” nel dettaglio alcuni personaggi appartenenti all’Inferno (Caronte, Paolo e Francesca, Ciacco, Filippo Argenti, Farinata Degli Uberti, Pier Delle Vigne, Venedico Caccianemico, Niccolò III, Catalano e Loderingo, Ulisse e Diomede, Conte Ugolino, Frate Alberigo dei Manfredi), al Purgatorio (Casella, Pia dei Tolomei, Adriano V, Forese Donati) e al Paradiso (Piccarda Donati con Costanza, San Bernardo di Chiaravalle e la sua preghiera alla Vergine), con un sorpresa finale: una sorta di album fotografico musicato che ripercorre le esposizioni e le iniziative dantesche realizzate nel tempo da Fondazione Creberg. Il docufilm nasce da un progetto di Angelo Piazzoli ed Enzo Noris – che ne hanno redatto i testi – in collaborazione con la Società Dante Alighieri di Bergamo e con l’organizzazione di Sara Carboni di Fondazione Creberg. Le musiche originali sono state appositamente composte ed eseguite da Alessandro Fabiani, musicista bergamasco di rilevo internazionale. L’elaborazione grafica è di Eleonora Valtolina. Dal 28 gennaio, il video verrà reso disponibile al pubblico attraverso la newsletter di Fondazione Creberg ed i suoi canali social (Facebook, Instagram, YouTube); da tale data sarà in ogni momento accessibile dal sito www.fondazionecreberg.it cliccando sull’apposito banner o visitando la sezione “Eventi virtuali – Mostre virtuali”. “Siamo molto lieti - ha evidenziato Angelo Piazzoli, Segretario Generale di Fondazione Creberg e ideatore del progetto - di presentare questo suggestivo docufilm che rientra nella nostra programmazione di eventi virtuali; con le illustrazioni del Maestro Celsi, le letture professionali dei Canti, le musiche originali di Alex Fabiani, presentiamo ai nostri “visitatori a distanza” un’opera di livello culturale elevato in un contesto di gradevolezza e, nel contempo, di rigore scientifico in forza della collaborazione con la Società Dante Alighieri di Bergamo. Le belle e suggestive immagini – ha proseguito il Segretario Generale – sono tratte dall’esposizione “Come gente che pensa
a suo cammino” che allestimmo, in occasione delle celebrazioni del 750° anniversario della nascita di Dante, con 25 opere realizzate ad hoc dall’artista Angelo Celsi d’intesa con la nostra Curatela. La mostra venne declinata in forma itinerante toccando otto piazze (Bergamo-Palazzo Creberg, Romano di Lombardia, Verona, Lovere, Gromo, Grumello del Monte, Clusone, Lodi), riscontrando oltre 30.000 visitatori. Rammento anche che per l’intero anno 2015 e per la primavera 2016, la mostra venne affiancata da un’intensa attività divulgativa e culturale, svolta con la Società Dante Alighieri di Bergamo e rivolta in particolare alle scuole; nello specifico vennero organizzati, nel Palazzo Storico del Credito Bergamasco e in collaborazione con la compagnia “Antiche Contrade”, alcuni “Fine settimana con Dante Alighieri” nei quali oltre 12.000 spettatori seguirono eventi artistici, visite guidate, performance, spettacoli, concerti, letture, declamazioni, tutte nel segno della Divina Commedia e della grande letteratura italiana. Con questo pregevole docufilm abbiamo voluto inaugurare felicemente l’anno dedicato alla memoria della morte di Dante (1321-2021) – ha evidenziato il prof. Enzo Noris, Presidente della Società Dante Alighieri, Comitato di Bergamo. Abbiamo scelto di farlo proprio attraverso un prodotto multimediale in cui il testo, la parola, le immagini e la musica si integrano e si richiamano a vicenda, per accompagnare il pubblico in un viaggio alla ri-scoperta di alcuni personaggi e luoghi della Commedia. Ci è sembrata la formula migliore e più opportuna non solo per raggiungere un ampio numero di “visitatori” ma anche per far comprendere quanto la Commedia sia in se stessa un’opera “visionaria” e – in un certo senso – multimediale. Infatti testo, parola, immagini e musica fanno parte integrante ed integrata del capolavoro dantesco già nelle intenzioni dell’autore. In effetti la Commedia può essere considerata nel suo insieme un “visibile parlare” (Purgatorio X, 95): non a caso il sostantivo con più ricorrenze in tutta la Commedia è proprio “occhi” (212). Accostarsi alla Commedia è dunque esperienza multisensoriale, da affrontare lasciandosi avvincere dal testo, dalla parola, dalle immagini e dalla musica. Buona visione e buon 2021 nel nome di Dante. Per il 2021 – ha concluso Angelo Piazzoli – abbiamo programmato alcune iniziative che ci vedono in prima linea nelle celebrazioni; ne evidenzio alcune: la messa a disposizione gratuita del docufilm non solo on line sui canali social, ma anche alle agenzie divulgative ed educative che ne faranno richiesta; la riproposizione di un nuovo tour all’esposizione “Come gente che pensa a suo cammino”, per la quale sono già in corso contatti a seguito di richieste di Musei del territorio e l’organizzazione di eventi culturali – in primis, letture e spettacoli dedicati – compatibilmente con l’evolversi della situazione sanitaria legata alla pandemia”. Per informazioni: www.fondazionecreberg.it
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REGINA. DELLA SCULTURA A CURA DI CHIARA GATTI E LORENZO GIUSTI. LA PRIMA GRANDE RETROSPETTIVA MUSEALE DEDICATA A REGINA CASSOLO BRACCHI, GAMEC – GALLERIA D’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA DI BERGAMO 31 MARZO - 29 AGOSTO 2021
La prima grande retrospettiva museale
dedicata a Regina Cassolo Bracchi, una delle figure più affascinanti del panorama artistico europeo del Novecento. Nata dall’acquisizione di un importante nucleo di opere dell’artista da parte della GAMeC e del Centre Pompidou di Parigi, la mostra raccoglie 250 lavori all’interno di un percorso che abbraccia 50 anni di attività. Apre al pubblico giovedì 31 marzo 2021 alla GAMeC di Bergamo la prima retrospettiva in un museo italiano dedicata a Regina Cassolo Bracchi, in arte Regina (21 maggio 1894 – 14 settembre 1974), una delle figure più affascinanti, innovative e ancora oggi meno note del panorama artistico europeo del Novecento. La mostra, a cura di Chiara Gatti e Lorenzo Giusti, nasce dall’acquisizione da parte della GAMeC e del Centre Pompidou di Parigi di un importante nucleo di opere dell’artista, e mira ad analizzare – dagli esordi negli anni Venti fino ai primi anni Settanta – la riflessione formale di una personalità unica, rimasta a torto ai margini della storia e riscoperta adesso quale figura complessa, sperimentatrice, versatile e poetica. Lo stesso museo parigino dedicherà un’attenzione particolare alla ricerca dell’artista, nella mostra Women in Abstraction: Another History of Abstraction in the 20th Century, a cura di Christine Macel e Karolina Lewandowska (5 maggio – 6 settembre 2021). Originaria di Mede Lomellina, figlia di un macellaio e orfana in giovane età, Regina è stata la prima donna dell’avanguardia italiana a dedicarsi interamente alla scultura, di cui ha riletto i linguaggi in direzione audace e sperimentale, piegando la ricerca accademica e naturalistica all’uso di materiali inediti. Alluminio, filo di ferro, latta, stagno, carta vetrata sono stati i mezzi privilegiati di una continua e inesausta indagine compositiva ed espressiva che ha abbracciato inizialmente i modi del Futurismo (firma nel 1934 il Manifesto tecnico dell’aeroplastica futurista) e poi quelli del MAC, il Movimento arte concreta (1948), a cui Regina si avvicina nel 1951 grazie a Bruno Munari. La leggerezza dei materiali, il dinamismo delle forme, un li guaggio fatto di sintesi geometrica e astrazioni liriche animano il suo lavoro, accanto a una pratica quotidiana, volitiva e rigorosa.
LA PRIMA GRANDE RETROSPETTIVA MUSEALE DEDICATA A REGINA CASSOLO BRACCHI, UNA DELLE FIGURE PIÙ AFFASCINANTI DEL PANORAMA ARTISTICO EUROPEO DEL NOVECENTO
GAMeC Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea Via San Tomaso, 53 Bergamo Tel. +39 035 270272 gamec.it
Duecentocinquanta opere – tra sculture, mobiles, disegni, cartamodelli e taccuini – ci guidano in un percorso che si sviluppa per temi ed epoche, intrecciando i contatti con i movimenti dell’avanguardia e le vicende biografiche, dal Ventennio al boom del dopoguerra. Grazie ai prestiti di una prestigiosa collezione milanese, di altri privati e del Museo di Mede Lomellina, che custodisce una parte significativa della sua produzione degliesordi, il viaggio nell’universo di Regina prende avvio dalla formazione accademica, con i primi ritratti realisti, di sapore Novecentesco, e gli studi sintetici degli animali. Gli anni di adesione al Futurismo, durante i quali Regina partecipa a tutte le Biennali di Venezia e alle Quadriennali romane, sono caratterizzati da opere in cui memorie di un mondo meccanico alla Depero si mescolano con le compenetrazioni spaziali di Archipenko e dove l’alluminio piegato con le mani libera le forme dai vincoli dei volumi della scultura tradizionale. In questo processo di creazione e “montaggio” di opere trasognate, la carta diviene lo strumento imprescindibile di ogni analisi preliminare. Modelli puntati con spilli, secondo una pratica sartoriale applicata alla vocazione aerea delle sue figure, le servono per sagomare il metallo senza incertezze, con energia e dolcezza. Come in un gigantesco erbario, la sezione dedicata ai disegni dei fiori di campo e ai gessi degli anni Quaranta mostra una sequenza serrata, fiabesca e allo stesso tempo scientifica di studi sulla vegetazione spontanea, ritratta su centinaia di fogli sparsi, come un diario quotidiano di osservazione del creato, presto modificato nelle linee essenziali del suo astrattismo maturo. La stagione del MAC allinea cerchi, ellissi, giochi di triangoli o losanghe issati con grazia ed equilibrio in composizioni mobili, flessibili, vibranti; sintesi estrema di motivi tratti dal regno selvatico, declinati secondo le regole costruttive della natura. Le suggestioni spaziali diffuse nella Milano degli anni Cinquanta si rivelano in opere che tradiscono il miraggio della corsa alla luna, sintetizzato da Regina in traiettorie di segni nel vuoto, combinazione ideale fra le linee-forza di matrice futurista e lo spazialismo di Fontana. Completa la mostra una monografia, pubblicata da GAMeC Books ed Éditions du Centre Pompidou, con saggi di Christine Macel, Lorenzo Giusti, Chiara Gatti, Paolo Campiglio e Paolo Sacchini e fotografie di Delfino Sisto Legnani. L’allestimento della mostra è a cura del designer Francesco Faccin.
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A MILANO I DORMIENTI DI MIMMO PALLADINO
Imperturbabili
uomini eterni realizzati in terracotta accostando frammenti provenienti dalla stessa matrice ma combinati diversamente, ognuno con il colore unico dell’argilla utilizzata: I Dormienti di Mimmo Paladino nascono alla fine degli anni Novanta, quando l’artista li espone per la prima volta a Poggibonsi (1998) nell’ambito della mostra Arte all’Arte. Nel 2000 si decide di fonderli in bronzo per l’installazione permanente della Fonte delle Fate sempre a Poggibonsi. Altri Dormienti e Coccodrilli in terracotta sono stati realizzati per la grande mostra negli spazi sotterranei della Roundhouse di Londra (1999), in dialogo con un impianto sonoro appositamente ideato dal musicista, compositore e produttore britannico Brian Eno. A vent’anni di distanza, l’artista ne cura personalmente un nuovo allestimento inedito, un unicum irripetibile pensato per la prima esposizione a Milano, negli spazi di Cardi Gallery dal 22 febbraio al 30 aprile 2021. “Desideriamo inaugurare questo nuovo anno con una mostra importante e ambiziosa – spiega Nicolò Cardi – In un momento particolare come quello di oggi continuiamo a produrre concretamente contenuti di altissima qualità, così da stimolare una nuova progettualità per il sistema dell’arte e dare un segno di fiducia al mondo della cultura.” Nella penombra del grande open space della galleria milanese, l’artista dispone 32 sculture secondo una nuova costruzione concettuale, rimodulando il tono dell’installazione con solennità. Le composizioni musicali di Brian Eno anche questa volta liberano I Dormienti dalla pesantezza del sonno o dall’evanescenza del sogno, restituendo loro un soffio vitale e una serena concretezza. “Ricorre in Paladino l’idea di assemblare delle forme come se fossero moduli – dichiara Demetrio Paparoni, autore del volume che accompagna la mostra. “Non va dimenticato che l’artista ha in più occasioni manifestato l’attitudine a realizzare opere concepite come un insieme di frammenti archiviati nel suo immaginario visivo. È questa attitudine che lo ha portato a realizzare dei lavori insieme a Sol Le Witt, Alighiero Boetti e non ultimo Brian Eno, artisti che hanno sempre lavorato con un concetto di modulo e di ripetizione differente”. I corpi de I Dormienti – in cui molti hanno visto un’ispirazione ai resti degli abitanti di Pompei e Ercolano, ma che in realtà fanno riferimento ai disegni di Henry Moore dei ricoveri di guerra inglesi durante la Seconda Guerra Mondiale – sono accompagnati al primo piano dello spazio dalla grande opera inedita Sunday Mornin’ Comin’ Down composta da 100 disegni realizzati nel corso del 2020. Anche quest’opera, così come I Dormienti, è emblematica del modo in cui l’artista concepisce il lavoro, un puzzle nel quale i frammenti convergono in un unicum monumentale, una “finestra panoramica” sulle immagini che popolano il mondo dell’artista alla ricerca di un equilibrio naturale tra intimismo e memoria collettiva. In occasione della mostra sarà pubblicato un libro con testo introduttivo di Demetrio Paparoni.
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MIMMO PALADINO I DORMIENTI CARDI GALLERY Milano Corso di Porta Nuova, 38 presenta MIMMO PALADINO I DORMIENTI 22 febbraio - 30 aprile 2021
DOVE GUARDA
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LA MODA LA MODA E IL SUO FUTURO: UNA RIFLESSIONE DELL’OGGI PER GUARDARE IL DOMANI Lorenzo Boccardini
Quando tento di guardare a questo pe-
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riodo in maniera oggettiva e distaccata dalla realtà, sedendomi su una sorta di sedia dalle gambe altissime che mi permetterebbe quindi di osservare la Terra con il suo dedalo di città e le sue persone e le sue attività - anche se ultimamente tutto questo è stato fermo e adesso sta cercando di rimettersi in moto -, in modo discreto senza additato come voyeur oppure ritrovarmi ne bel mezzo di una discussione delle peggiori pettegole matricolate, le quali sarebbe pronte a tutto pur di dire: «Guarda là! Cosa ci farà mai quello su là in cima?».
Posso rassicurare i lettori che durante la quarantena non sono diventato un megalomane che spera di soffiare il posto a qualche Potenza Suprema né tanto meno voglio intraprendere la carriera di astronauta senza navicella. . .no, quello è un compito che lascio agli esperti. Io, mi accontento di raccontare qualche storia oppure di far funzionare la tastiera la quale, come i tasti di un pianoforte, mi permette di diffondere quella musica che le persone nel mio settore chiamano: news. Notizie. A ogni modo, sebbene io resti con i piedi per terra, non nascondo di aver effettivamente fatto una considerazione sul Mondo di adesso; una valutazione dell’oggi nella speranza che dal punto in cui siamo arrivati, e dal quale stiamo ripartendo, si possa guardare al futuro senza la patina dell’incertezza e del «forse sarà così». Bravo, potrebbe dirmi qualcuno. Che bel compito ti sei preso a carico. Ebbene sì, è un lavoro spigoloso, lo ammetto, eppure credo possa darmi un’ulteriore spinta per andare avanti e comprendere meglio il tempo che ci troveremo davanti soprattutto perché il settore giornalistico che mi permette di tirare avanti non ha nulla a che fare con la politica, l’economia o la finanza. No! Il ramo di cui io mi occupo non c’entra nulla con l’amministrazione di uno Stato, tuttalpiù la influenza, ma in genere se ne sta distaccato e preferisce vivere una vita propria perché la moda, eccolo qua finalmente, possiede una rete così capillare di influenze che, in altri Paesi di più rispetto che all’Italia, possa farsi sentire perfino negli ambienti del potere politico. Moda e società molto spesso si trovano su due mondi differenti ma in qualche modo riescono sempre a mantenere i contatti senza lasciarsi mai andare del tutto. A questo punto c’è da chiedersi: «come sarà la moda del futuro?», «riuscirà la moda ad adattarsi a una realtà “nuova” magari senza distinzioni di genere?». Le risposte ci sono e qualche designer ha già cominciato questa rivoluzione adattando le esigenze di produzione e di vendita con quelle della realtà. Come in tutte le battaglie lo slogan che il mondo della moda ha voluto lanciare gira intorno a “meno quantità e più qualità”. Uno vessillo di tutto rispetto soprattutto se si vuole guardare all’eccessiva produzione di vestiti che il fast fashion ha gettato sul mercato: abiti, spesso di qualità discutibile e realizzati in zone del Mondo dove la manodopera costa poco e i diritti dei lavoratori vengono calpestati costringendoli così a lavorare tra sostanze chimiche, vengono prodotti a un ritmo eccessivo che molto spesso non rispecchia le reali esigenze del consumatore. Dunque, siccome in sostanza la vendita di abiti sta alla base di questa industria, per poter seguire lo stesso ritmo della moda fast anche il prêt-à-porter si era incamminato lungo una via troppo frenetica che molto spesso è stata criticata da un gran numero di stilisti sia nazionali che internazionali. Scelte cariche di riflessione che nel corso di questi mesi hanno trovato un terreno morbido in stilisti e maison, le quali hanno annunciato l’elaborazione di un nuovo programma che non si fermerà solo alla produzione di un minor numero di capi e di maggiore qualità ma si concentrerà anche su quella tanto attesa svolta green che ha toccato gli animi soprattutto di designer emergenti. Che sia forse arrivato il momento di una moda più intima e meno aggressiva? Domanda lecita per un settore produttivo che ha fatto dell’eccesso e della spettacolarità due dei suoi marchi di fabbrica. Perché avvenga un nuovo inizio è bene che il passato finisca. Nel corso di questo articolo ho usato, forse, troppo spesso la parola “rivoluzione” ma il lettore mi scuserà dato che la moda è rivoluzione, lo è sempre stato e sempre lo sarà. È vero, magari non a tutti la moda può sembrare tanto rilevante da perderci tempo e denaro, eppure la moda non è poi così scollegata dalla realtà. «La Moda non può esistere senza fondamenta» diceva Christian Dior. . .e forse lui una certa esperienza ce l’aveva. Trovare le risposte sul futuro della moda non è facile, sebbene qualche tabella di marcia sia stata stilata. Per questo motivo, affinché la moda torni a essere quel punto di riferimento per milioni di persone, è bene che la stessa Moda si rimetta in discussione proprio dalle sue fondamenta; senza basi non si può costruire nulla di solido.
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WITH ITALY
FOR ITALY
IL PROGETTO CULTURALE DI AUTOMOBILI LAMBORGHINI LANCIATO LO SCORSO SETTEMBRE SUI PROPRI CANALI SOCIAL E PENSATO PER VALORIZZARE E SUPPORTARE L’ITALIA IN UN MOMENTO DI SFIDE COME QUELLO ATTUALE, DIVENTA UN LIBRO FOTOGRAFICO
Il volume “With Italy for Italy – 21 visioni per una nuova guida”, edito da Skira, rappresenta l’atto d’amore di
un’Azienda per il proprio Paese e si traduce in un affresco di ventun narrazioni per immagini di un patrimonio identitario unico, impregnato di arte, storia, bellezze naturali e architettoniche, ma non solo. Un’Italia che è anche terra di tradizioni, eccellenze, estro, ricerca estetica e innovazioni, caratteristiche profondamente insite nel DNA del marchio del Toro.
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Sono stati coinvolti venti talenti italiani della fotografia contemporanea, chiamati a interpretare una delle venti regioni insieme a venti Lamborghini del passato e del presente, ognuno secondo il proprio stile autorale. A questi artisti si è unita la grande fotografa Letizia Battaglia, a cui è stata affidata una speciale interpretazione della sua amata Palermo.
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Gli artisti coinvolti sono: Letizia Battaglia (Palermo), Stefano Guindani (Sicilia), Davide De Martis (Sardegna), Guido
Taroni (Calabria), Gabriele Micalizzi (Puglia), Camilla Ferrari (Basilicata), Marco Casino (Campania), Roselena Ramistella (Molise), Valentina Sommariva (Abruzzo), Anna Di Prospero (Lazio), Wolfango Spaccarelli (Marche), Alessandro Cinque (Umbria), Gabriele Galimberti (Toscana), Piero Gemelli (Emilia-Romagna), Marco Valmarana (Veneto), Mattia Balsamini (Friuli Venezia Giulia), Simone Bramante (Trentino Alto Adige), Vincenzo Grillo (Lombardia), Chiara Mirelli (Piemonte), Alberto Selvestrel (Liguria), Fulvio Bugani (Valle d’Aosta). Il volume è in vendita al prezzo di €60 nelle librerie, sullo store on-line di Lamborghini (http://www.lamborghinistore.com/newsletter/locate.php?product=16032), su quello dell’editore (www.skira.net) e sulle principali piattaforme e-commerce.
Un volume di 240 pagine che conferisce alla cultura e all’arte della fotografia il loro valore più alto e profondo, quello di trasformazione della società, attraverso la rottura dei linguaggi espressivi precedenti e la capacità di immaginare ed ispirare il futuro. Le immagini del libro, nella loro costante ricerca di armonia tra territori, persone e supersportive Lamborghini, accompagnano il lettore nell’esplorazione di un Paese unico al mondo e nella contemplazione della sua grande Bellezza. E, per confermare il valore culturale del volume, la prefazione è stata affidata a Davide Rampello, regista e direttore artistico, che coglie nel suo intervento il senso profondo del progetto di Automobili Lamborghini. Oltre a lui, nella prefazione, anche Stefano Guindani, art director di “With Italy, for Italy” e tra i più noti esponenti italiani della fotografia di moda e lifestyle.
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HAPPY BIRTHDAY
BOXSTER
PORSCHE RENDE OMAGGIO ALLA CONCEPT CAR “BOXSTER” PRESENTATA NEL 1993 CON UN NUOVO MODELLO CELEBRATIVO IN EDIZIONE LIMITATA: LA BOXSTER 25 ANNI
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La nuova vettura ha una produzione limitata a 1.250 esemplari a livello mondiale e si basa sul modello GTS 4.0, alimentato da un motore boxer a sei cilindri da 4 litri con potenza di 294 kW (400 CV). L’auto riprende molti dei tratti stilistici del prototipo della Boxster che nel 1993, al Salone dell’Auto di Detroit, preannunciò il grande successo della biposto opentop. La versione di produzione del modello venne poi presentata nel 1996 con pochissime modifiche estetiche rispetto alla concept car ed è ora giunta alla sua quarta generazione, con oltre 357.000 unità prodotte fino ad ora. Una delle caratteristiche che più colpiscono del modello speciale è la reinterpretazione del colore Neodimio, un marrone dai riflessi cangianti simile al rame, che già nel 1993 faceva da insolito contrasto alla tinta base Argento GT Metallizzato del pionieristico prototipo in mostra a Detroit. Nell’edizione speciale viene utilizzato per il sotto-paraurti anteriore, le prese d’aria laterali a lamella singola, le scritte e i cerchi in lega bi-tono da 20 pollici. Porsche propone la Boxster 25 Anni nella tonalità Argento GT Metallizzato, sebbene siano disponibili anche i colori Nero Jet Metallizzato e Bianco Carrara cation Metallizzato. Un altro elemento d’impatto si può trovare sul tappo del serbatoio, impreziosito dalla scritta “Porsche” che contraddistingue la gamma Exclusive Design.
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BOXSTER
Entrambi sono disponibili anche in nero. Fra gli elementi inclusi nell’estesa dotazione di serie del nuovo modello figurano il pacchetto di allestimenti interni in alluminio, sedili sportivi regolabili elettricamente a 14 vie, profili del battitacco con la scritta “Boxster 25” e il volante sportivo GT multifunzione in pelle riscaldato. Il propulsore dell’edizione celebrativa garantisce un’esperienza di guida emozionante: il motore piatto a sei cilindri da 4 litri della 718 Boxster GTS 4.0 viene utilizzato in una versione più prestazionale anche sul modello da puristi 718 Spyder. Grazie alla sua reattività immediata, a un’erogazione di potenza eccezionale e al rombo pieno, la potente unità ad aspirazione naturale da 400 CV offre a chi la guida un’esperienza di particolare intensità. Porsche propone la Boxster 25 Anni con un cambio manuale a sei rapporti e con cambio a doppia frizione a sette velocità. Il modello in edizione speciale raggiunge una velocità massima di 293 km/he, nella versione con cambio PDK e pacchetto Sport Chrono di serie, accelera da zero a 100 km/h in quattro secondi. Fra le altre dotazioni standard sono incluse le sospensioni sportive con sistema di regolazione elettronica degli ammortizzatori e il sistema di ripartizione della coppia Porsche Torque Vectoring con differenziale meccanico autobloccante. Insieme, questi elementi consentono di abbinare un elevato comfort di guida a una maneggevolezza sportiva e dinamica. La nuova Boxster 25 Anni può essere già ordinata e sarà disponibile nelle concessionarie a partire da aprile 2021. Il prezzo di vendita in Italia parte da 98.272 euro, inclusa IVA e dotazioni specifiche. La Boxster ha un significato molto speciale per Porsche, poiché ha segnato l’inizio di un ri-orientamento della strategia di sviluppo dei modelli della casa specializzata in sportive e ha fornito una via d’uscita dal difficile periodo economico della metà degli anni Novanta. Ciò trova conferma nel primo motore flat-six di produzione raffreddato ad acqua e nell’intelligente concetto di parti condivise fra più modelli che ha fatto il suo debutto con l’agile roadster a motore centrale. La biposto dal prezzo interessante ha affascinato sin da subito una nuova fascia di clienti più giovani. A livello estetico riprendeva molti dei tratti che avevano reso famoso il marchio nella sua pur breve storia. La linea della concept car Boxster presentata a Detroit evocava ricordi della leggendaria 550
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Spyder e della 718 RS 60 Spyder da corsa. Fu accolta con così tanto entusiasmo nel gennaio 1993 che il Consiglio di Amministrazione di Porsche si intromise nello sviluppo ancora in corso del modello di produzione e ordinò senza mezze parole di “sviluppare la concept car senza cambiare nulla”. Il tempo ha poi dimostrato quanto sia stata saggia quella decisione. Quando venne presentato nell’agosto del 1996, il modello di produzione somigliava moltissimo al prototipo poiché condivideva la sezione anteriore con la 911 generazione 996, e non c’erano dubbi circa la sua discendenza: la Boxster era una vera Porsche. Al contempo, il suo motore a sei cilindri in linea e installato centralmente, che inizialmente aveva una cilindrata di 2,5 litri e unapotenza di 204 CV, era stato progettato per soddisfare gli standard di emissione più severi grazie al raffreddamento ad acqua, alla tecnologia a quattro valvole e alla fasatura variabile dell’aspirazione. Nel 1999, la prima generazione Boxster 986 montava un motore da 2,7 litri, inizialmente con una potenza di 220 CV e successivamente con 228 CV. La Boxster S, appena lanciata, era alimentata da un propulsore a sei cilindri da 3,2 litri con 252 CV di potenza, che presto divennero 260 CV. Nel 2004 è stata realizzata la generazione 987, dal design raffinato, ruote da 17 pollici e interni ridisegnati, oltre che da optional quali il sistema PASM con ammortizzatori a caratteristiche variabili, i freni in carbo-ceramica e il pacchetto Sport Chrono.
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cilindrata invariata, i motori erogavano rispettivamente 240 CV e 280 CV. Alla fine del loro periodo di produzione, la potenza erogata da queste unità aveva raggiunto i 255 CV da una cilindrata di 2,9 litri e 310 CV da una cilindrata di 3,4 litri. Il cambio PDK aveva inoltre sostituito il cambio automatico Tiptronic S precedentemente offerto. Nel 2012, Porsche ha presentato la Boxster di generazione 981, completamente ridisegnata e visivamente più affilata. Grazie a una carrozzeria leggera completamente nuova e a un telaio totalmente rivisitato, la nuova arrivata era più tonica, più muscolare, più appariscente e più veloce che mai. Il tetto apribile elettricamente era stato completamente ridisegnato e il cofano che chiudeva il vano di alloggiamento della capote ripiegata era stato eliminato, gli sbalzi erano ancora più corti e il parabrezza spostato molto più in avanti. I motori boxer, più economici, erano a iniezione diretta del carburante ed erogavano 265 CV nella versione sei cilindri da 2,7 litri e 315 CV nella versione da 3,4 litri.
Nell’aprile 2014 è seguita la Boxster GTS da 330 CV. La Boxster Spyder è stata senza dubbio il pezzo forte della gamma grazie al suo propulsore da 3,8 litri, che ha suscitato grandi emozioni con i suoi 375 CV. Il modello attuale, la Porsche 718 Boxster della generazione 982, ha dato inizio a un nuovo corso nel gennaio 2016, facendo il suo debutto con motori turbo a quattro cilindri e un design migliorato. L’unità da 2,0 litri eroga 300 CV, mentre il motore boxer da 2,5 litri sviluppa 350 CV grazie a un turbocompressore a geometria variabile della turbina. Poco dopo è arrivata la Boxster GTS con 365 CV. A metà del 2019, la nuova edizione della Boxster Spyder si colloca in cima alla gamma e condivide il motore da 4,0 litri da 420 CV con l’ammiraglia sportiva dal tetto rigido, la 718 Cayman GT4. Dal 2020, questo motore centrale a sei cilindri alimenta anche la 718 Boxster GTS 4.0 400 CV.
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Boxster 25 Anni: consumo sul ciclo misto: 10,8 – 9,6 l/100 km; emissioni combinate di CO2: 246 – 219 g/km 718 Boxster GTS 4.0: Consumo sul ciclo misto: 10,8 – 9,6 l/100 km; emissioni combinate di CO2: 246 – 219 g/km 718 Spyder: consumo sul ciclo misto: 10,9 – 10,2 l/100 km; emissioni combinate di CO2: 249 – 232 g/km 718 Cayman GT4: consumo sul ciclo misto: 10,9 – 10,2 l/100 km; emissioni combinate di CO2: 249 – 232 g/km
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BUSINESS
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Segue da pag. 25 BENITO MELCHIONNA, GIUDICE PER UNA PROFEZIA POETA PER AMORE “Infatti non mi dispiacque più di tanto quando venni mandato a fare il Pretore a Crema, la cui Amministrazione molti anni dopo, nel 2008, mi avrebbe donato per riconoscenza le “Chiavi della città”. In quello storico splendido centro ebbi l’opportunità di rafforzare la mia vocazione per la difesa dell’ambiente e mi chiamarono il Pretore verde perché iniziai ad indirizzare la giurisprudenza verso la tutela dell’ecosistema e della biodiversità. Per questo mio forte impegno professionale, nel 1992 fui chiamato a partecipare al primo Summit ONU sulla Terra, tenutosi a Rio de Janeiro, dove diedi il mio contributo a definire il fortunato concetto di “sviluppo sostenibile”. Dei crimini contro l’ambiente, allora non ne parlava ancora nessuno. Non c’erano norme ed io, come Magistrato, interpretavo in maniera “evolutiva” le leggi sulla tutela della ittiofauna per proteggere anzitutto la specie umana. Solo nel ’76 arrivò la prima legge Merli in materia di tutela delle acque, prima non c’era nulla. Mia moglie, che nel frattempo era ispettore delle poste a Roma, volendosi avvicinare, chiese il trasferimento a Bergamo, città nella quale riuscii a trasferirmi anch’io nel 1970. Si sviluppò subito il mio amore per questa città di cui ho conosciuto anche i sassi. Qui sono nate le mie tre figlie che mia moglie, anche rinunciando alla sua importante carriera, ha cresciuto e forgiato a sua immagine, educandole al rispetto per gli atri, al sentimento etico, alla correttezza verso il prossimo. In quegli anni, nelle funzioni di giudice istruttore al Tribunale di Bergamo, curai le indagini di alcuni sequestri di persona e poi feci la mia parte nel periodo del terrorismo con l’esperienza investigativa sulla organizzazione di Prima Linea che, grazie alla legge sui pentiti, riuscimmo a smantellare e arrivare al processo con circa 100 imputati a vario titolo”.
Benito Melchionna
Veniamo più vicini… Cosa lo ha spinto a scrivere l’Elogio della trasgressione? “È stata un’esperienza fantastica che ho condiviso con sei promettenti studenti liceali, cercando di stimolare in loro il dissenso responsabile, attraverso l’analisi su come l’evoluzione della storia dovrebbe affrancarci dalle convenzioni stupide.Volevo trasmettere l’esortazione a non seguire il gregge ma a ragionare con la propria testa anche se ciò costa impegno e si diventa scomodi. Per questo i grandi innovatori della storia di solito sono considerati eversivi e finiscono male, vedi Socrate, Gesù Cristo, Giordano Bruno, Gandhi… Nel mio ultimo saggio del 2020 “Cittadinanza e Costituzione”, che con spirito di volontariato illustro agli studenti per cercare di sconfiggere la povertà educativa, riporto la lettera indirizzata a Corrado Augias da un professore, iI quale ricorda che il primo giorno di scuola chiese ai propri allievi a che cosa servisse andare a scuola. “La scuola serve per evadere dal carcere - disse il professore. L’ignoranza è un carcere. Vi vogliono tenere all’ergastolo degli stupidi e se non salterete il muro dell’ignoranza sarete sempre dei prigionieri. Non bisogna aver paura di trasgredire se questo implica la ricerca della verità”.
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Cosa c’è nel nostro futuro? “Purtroppo la nostra civiltà occidentale post-globale è in declino. Abbiamo usato troppo e male i beni della natura, abbracciando il concetto materialistico che prevede anche lo scarto umano degli ultimi. C’è una grande mancanza di ordine e di responsabilità perché si ritiene che la libertà consista nel fare ciò che si vuole. È nato e si è sviluppato un neoliberismo che ha prodotto l’individualismo autocentrante, una malvagia indifferenza che mette in secondo piano la fratellanza, la solidarietà e il bene comune, che invece, come sosteneva Tommaso d’Aquino, devono essere il centro dello Stato e di ogni comunità. Ha prevalso la logica che colloca l’individuo dentro l’arroganza che rischia di farci perdere l’appartenenza e l’identità collettiva. Persona significa relazione e tutto deve essere finalizzato all’interesse generale, dal quale abbiamo tutela, non limitazione. Se vogliamo un futuro migliore è su questo che dobbiamo invertire la tendenza. La pandemia da Covdi-19 ha messo l’uomo tecnologico, trasformatosi da sapiens a creator al posto di Dio, di fronte alla propria estrema fragilità. Questa consapevolezza può forse far ben sperare in una nuova spiritualità in grado di traghettare l’umanità nella transizione verso sorti progressive. Intanto, per illustrare e diffondere questi scenari futuri, oltre che nelle sedi istituzionali scolastiche, prossimamente avrò anche il piacere di essere ospite di alcuni prestigiosi organismi culturali del Principato di Monaco”. Ci congediamo da Benito con un grazie per l’avvincente racconto di alcuni sapidi spaccati della sua vita “trasgressiva”. Con la certezza che un uomo così ha ancora… un grande avvenire dietro le spalle, tanto per citare Vittorio Gassman.
ALCUNI DEI LIBRI SCRITTI DA BENITO MELCHIONNA benitomel38@gmail.com
2 FUOCHI DI PAGLIA di Giorgio Paglia www.fuochidipaglia.it
Proprio da queste colonne, scrivevo che l’anno peggiore
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sarebbe stato questo 2021. Non tanto per il numero delle vittime della pandemia, che ancora è poco chiaro, ma quanto per la distruzione economica del nostro paese e del mondo occidentale, che viene scientemente attuata al grido di “prima la salute”. Mi permettevo di ricordare che forse era meglio morire di Covid piuttosto che di fame, almeno in termini di dolore fisico. Ed ecco che l’Istat ci mette davanti agli occhi il triste primato dei posti di lavoro persi in un solo anno in Italia: quasi mezzo milione. Ma non è finita qui, perché a fine marzo si aprono i licenziamenti nel mondo imprenditoriale e qualcuno parla di un altro milione di possibili disoccupati. Siamo finiti in questa situazione non solo per caso, ma soprattutto perché per salvare la pelle abbiamo rinunciato alla vita reale. Ciò è stato reso possibile grazie ad una campagna mediatica senza precedenti che ha sconvolto le menti dell’opinione pubblica, ha inculcato il terrore dei dati, ha autorizzato la caccia all’untore e ha bollato di negazionisti coloro i quali si opponevo allo sfascio del mondo economico. Così per un anno siamo andati avanti con tentativi maldestri, non suffragati da vere prove scientifiche e millantando ipotetiche soluzioni senza seri riscontri. Ogni nazione ha provato in autonomia a percorrere strade sanitarie impervie senza condividere scelte, che dovevano essere comuni per essere efficaci. Nell’ordine si sono susseguite cure spesso sbagliate, una miriade di esternazioni opinabili, un’interpretazione soggettiva dei numeri, molti interventi inefficaci con spreco di denaro pubblico, continue esternazioni campate in aria e assurdi lock down indiscriminati. Poi i nostri politici si sono affrettati a dipingere questi provvedimenti con termini esagerati, parlando ogni volta di portata storica delle loro scelte. La verità è ben diversa, a partire da alcuni diritti democratici che sono stati abbattuti a colpi di DPCM notturni e con il consenso di un’elite minoritaria. Così alla fine, l’unica economia sopravvissuta al virus, guarda caso, è stata quella
cinese, da dove tutto è partito, ma nessuno osa porre delle serie domande in proposito. Per non parlare di cosa stia succedendo nel settore vaccini, la cui efficacia ancora non è ben chiara e i cui i prezzi, i relativi contratti di fornitura e i tempi di consegna variano da Stato a Stato. In Italia, conti alla mano, andando avanti di questo passo, ci vorranno almeno 2 anni per vaccinare tutta la popolazione. Nel frattempo cosa facciamo? Ideona: portiamo avanti una crisi di governo semplicemente vergognosa, dove il pinocchio per antonomasia (Renzi), ha preso per le palle l’avvocatino del popolo (Conte), fingendo un interesse nazionale che va al di là delle poltronissime. In realtà stiamo assistendo all’ennesima lotta per la spartizione del potere, dove si sono persino trasformati magicamente i termini del vocabolario, dipingendo i semplici voltagabbana parlamentari come seri responsabili di civiltà. Insomma, una situazione del genere è difficile da ritrovare persino negli annali della storia, quella vera però. Ormai il popolo è disorientato, impaurito e soprattutto stufo marcio di ciò che sta subendo da oltre un anno. Un amico medico che lavora in Neurologia, mi ha confessato di non avere mai visto tanti giovani nel suo reparto come in questo periodo. Senza parlare dell’aumento delle violenze familiari e dei suicidi. Ciò significa che stiamo bruciando la mente di un’intera generazione di ragazzi, che non può più andare a scuola, oppure incontrarsi nei luoghi pubblici o ancora divertirsi in giro. Un solo esempio, sapete cosa significhi psicologicamente usare in modo improprio il termine militare “coprifuoco”, al posto di un semplice divieto di uscita? Un ultima riflessione: la durata di una vita umana non è infinita e indietro nel tempo non si può mai tornare. La gioventù vola in un attimo e diventa tutto oscuro quando a questi sacrifici di libertà, vengono poi a sommarsi le tenebre di un futuro lavorativo incertissimo. Quale sarà il loro futuro? E allora prendiamo atto con semplicità, che al di là delle belle parole, oggi giorno di imprese storiche governative non c’è proprio alcuna traccia. Alla prossima e in alto i cuori. Anche su Twitter: @Fuochidipaglia
LA VERA
STORIA
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