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Pag Astino Amore mio: Ritornato il quadro dell’Ultima Cena

ASTIN ,

GRANDE AMORE

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Il monastero di Astino occupa un posto speciale nei cuori di tutti noi di qui Bergamo. Ne conobbi la storia dall’indimenticabile Carlo Leidi per il quale pubblicai, nel 1994 su questa rivista, alcuni ritratti in bianco e nero realizzati dal fotografo-notaio, alcuni anni addietro, alle persone che abitavano nelle cascine adiacenti al Monastero. Poi si arrivò al 2007 quando la Fondazione della Misericordia Maggiore entrava in possesso del sito abbandonato e lasciato al degrado ormai da decenni. Il presidente della Mia era il grande amico Friedel Elzi che mantenendo una promessa che ci aveva fatto ci coinvolse in esclusiva nella prima visita alla riapertura del monastero. Con Paolo Stroppa e Patrizia Venerucci abbiamo provato l’emozione di aprire il portone della chiesa per ritrovarci di fronte ad un vero scempio. Le tele accartocciate per terra, calpestate, le tombe sul pavimento della chiesa visibilmente già visitate da predoni e ladruncoli, calcinacci e crepe preoccupanti. Gli affreschi quasi completamente compromessi. Una devastazione totale. Ripensandoci ora e toccando con mano i risultati dei lavori di restauro a cui ha provveduto la MIA in questi anni, non si potrebbe credere di averlo visto com’era. Meno depredato appariva il grande sotterraneo dove erano dislocate in fila una dozzina di enormi botti nelle quali veniva conservato il vino prodotto dai frati. Tutto comunque invaso da ragnatele e chissà quali altri esseri… Per noi fu una scoperta e un’emozione davvero forte, come quella che proviamo ogni volta che torniamo al Monastero di Astino. Vederlo a poco a poco risorgere e riaprirsi alla vita della comunità è stato un piacere che abbiamo documentato passo passo. Dai primi restauri della Chiesa, fino alle feste estive con gli chef stellati; dai ritrovamenti archeologici fino all’iniziativa per la restituzione di alcuni dipinti precedentemente documentati. Questa volta vi presentiamo il ritorno del grande quadro dell’Ultima Cena di Alessandro Allori finalmente restaurato dopo anni di peripezie e location differenti in giro per la città. Un vero spettacolo per gli occhi dove riscoprire un pezzo del Vangelo tanto significativo per la cristianità. Però, ogni volta che ci ritroviamo lì, sentiamo un po’ la sua mancanza, quella della sua simpatia, del suo calore umano e dell’odore del sigaro di Friedel, che di certo, dopo quello che ha smosso per non lasciare alle ortiche quella che pur sempre fu casa di Dio, starà a guardare dal paradiso come procedono i lavori… IL CENACOLO RITORNATO

Verso la fine del XVI secolo la decorazione del refettorio fu completata con tre vedute “a volo d’uccello” affrescate illusionisticamante nelle lunette sopra la tela dell’Allori, quasi fossero finestre aperte nella sala stessa della Cena. In esse si racconta la storia sintetica della Passione e Morte di cristo attraverso i luoghi in cui esse avvennero, più che con la rappresentazione di fatti evangelici, solo accennati. Le lunette raffigurano la “Valles Cedron” con i soldati che escono dalla città in cerca di Gesù, il “Mons. Oliveti” con Cristo in preghiera nell’orto e la “Civitas Jerusalem” con le tre croci sul Golgotha.

Il monastero Vallombrosano del Santo Sepolcro di Astino fu da sempre uno scrigno di fede, arte, storia e civiltà, rappresentando un punto di riferimento imprescindibile per la città di Bergamo dalla sua fondazione nel 1107 fino alla soppressione nel 1797. Da questo momento iniziò un inarrestabile degrado causato da riutilizzi impropri, abbandono e dalla dispersione di gran parte del suo ricchissimo patrimonio artistico. Con il recente restauro promosso dalla fondazione MIA, proprietaria dal 2007 dell’immobile e del fondo agricolo circostante. è iniziata anche un’attività di ricostruzione dell’integrità storica dell’edificio con la ricollocazione, per quanto possibile, delle opere d’arte disperse. La già importante di queste è la monumentale tela dell’Ultima cena del fiorentino Alessandro Allori, incamerata dal Comune di Bergamo all’indomani della soppressione e poi collocata nel Palazzo Nuovo del Podestà (odierna Biblioteca Angelo Mai), quindi in Accademia Carrara e infine nel Palazzo della Ragione. Solo in anni recenti l’opera è stata riscoperta a seguito del restauro promosso dalla Fondazione Credito Bergamasco.

GRANDE AMORE

Oggi, nel 2021, grazie al comodato d’uso concesso dal Comune, l’opera è tornata finalmente a casa nella sua ubicazione originaria sulla parete di fondo del refettorio in significativo dialogo con le tre lunette affrescate soprastanti, liberate dallo scialbo e restaurate per l’occasione. Nel corso del XVI secolo il monastero visse una stagione di rinnovato splendore a seguito della Controriforma e grazie al rinsaldato rapporto con l’abbazia di Vallombrosa, casa madre della Congregazione Vallombrosiana, protetta dai Medici. Granduchi di Toscana. Nel 1578 vi fu, tuttavia un tentativo di rivolta da parte dell’abate bergamasco Lattanzio Medolago che con Astino a capo, intendeva liberare i monasteri lombardi dall’egemonia toscano. Fallita la ribellione, nel 1580 il nuovo abate Callisto Solari volle comunicare con forza il rientro del monastero nell’alveo della congregazione, commissionando gli arredi lignei del refettorio sul modello di quelli di Vallombrosa e la grande Ultima Cena al principale artista fiorentino del tempo, Alessandro Allori. Quando giunse il dipinto da Firenze, nel marzo 1583, i monaci rimasero stupefatti e nelle loro Ricordanze si ripromisero di conservare la tela con tutte

IL PRANZO DI MAGRO

In tavola non è servita la cena pasquale ebraica con agnello e pane azzimo, che fu l’ultimo pasto di Gesù con gli apostoli, ma il pranzo di magro, che i monaci consumavano nei giorni di digiuno, come il Venerdì Santo, quando erano consentiti solo prodotti vegetali ed eventualmente pesce, uova e formaggio. Nel dipinto vige un ferreo regime vegetariano, indicato certamente dall’abate committente: vari frutti “in purezza”, come pinoli, castagne, uva sultanina, capperi, olive, pere, noci, cedro affettato, mandorle da insaporire semplicemente con sale contenuto in piccole saliere dorate. Le grandi pagnotte avvolte in tovaglioli sono probabilmente la razione giornaliera di ogni monaco, come prescritto dalla Regola di San Benedetto. Sparsi sulla tavole ci sono i cialdoni, tradizionali della cucina toscana e alternativa croccante al pane.

L’AUTORITRATTO SCONOSCIUTO DI ALESSANDRO ALLORI

Alessandro Allori (Firenze 1535-1607), raffinato pittore della corte medicea, realizzò nel 1582 due versioni dell’Ultima Cena: quella su tela per Astino, certamente autografa preziosa testimonianza della sua concezione sontuosa dell’arte sacra, e una ad affresco nel refettorio del convento del Carmine a Firenze, più debole e semplificata, eseguita quasi certamente da un collaboratore sulla base dei disegni del Maestro. Nella versione bergamasca, oltre che con la firma e con la data presente su uno dei sostegni della tavola, Allori lasciò una precisa traccia di sé: è probabile che l’apostolo con il mantello rosso sul capo, che sta guardando l’osservatore, sia un autoritratto, come dimostra l’assomiglianza del personaggio con un noto ritratto dell’artista.

L’opera fu commissionata dall’Abate di Astino Calisto Solari, che conobbe probabilmente Alessandro Allori nel 150 quando l’artista stava lavorando nel monastero Vallombrosiano di Passino (FI). L’incarico fu gestito in <Toscana da Aurelio Casari, Abate di Passignano che ben conosceva Astino essendone stato in precedenza il responsabile. Al pittore fu chiesto di ispirarsi esplicitamente al Cenacolo eseguito nel 1527 da Andrea del Sarto, “pittore senza errori”, nel monastero vallombrosiano di San Salvi a Firenze, Il pittore escogitò il curioso espediente di copiarne solo il lato destro, mentre reinventò quello sinistro. Il recupero dello stile mestolo, puro e naturale di Andrea rispondeva ai principi dell’arte sacra della Controriforma, chiara ed efficace nel comunicare il messaggio evangelico.

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