Qui Brescia n.ro 173

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ANNO 18 - N° CENTOSETTANTATRE - FEBBRAIO 2022 - € 3 NUMERO SPECIALE DEDICATO ALLE DONNE DI BRESCIA INTERVISTE:

BRESCIA

CMP BERGAMO

SPEDIZIONE IN A. P. D.L 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1, COMMA 1, DCB BERGAMO IN CASO DI MANCATO RECAPITO RESTITUIRE AL MITTENTE - EDITA PERIODICI S.R.L. VIA B. BONO, 10 BERGAMO 24121 - TASSA PAGATA BG CPO

MAGAZINE

Augusta Amolini Adele Aprile Daniela Arrigoni Daniela Bandera Barbara Barbisoni Francesca Bazoli Cristiana Bossini Federica Annalisa Burzio Anna Capuzzi Pia Cittadini Francesca Di Monda

Carla Faini Nini Ferrari Alessandra Frigo Loretta Forelli Maria Chiara Franceschetti Jennifer Guerra Cristina Lanzani Francesca Paola Lucrezi Alberta Marniga Laura Monsi Laura Nocivelli Sabrina Ogna

Cecilia Padovani Elena Pagani Renata Pelati Giovanna Prandini Barbara Quaresmini Elena Ravelli Eleonora Rigotti Liliana Segre Laura Teresi Anna Tripoli Nunzia Vallini Cristina Zangaro


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MA LI LASCIAMO IN GIRO?

Non sono mai stato un giustizialista a tutti i costi ma certe notizie lasciano davvero l’amaro in bocca e, in questi casi, mi chiedo cosa si debba fare per essere messi al fresco per qualche mese almeno. Leggo dalla cronaca cittadina di qualche giorno fa: aggressione ai danni di un negoziante ieri mattina in via Solferino a Brescia e, per tutta la giornata di sabato, la Squadra Volante della Questura ha ascoltato testimoni e esaminato filmati, ricostruendo l'accaduto e denunciando cinque persone. I fatti: due ragazzi hanno avuto una animata discussione con il commesso di un negozio che chiedeva loro di indossare la mascherina come previsto per legge, dopodichè lo hanno colpito con un pugno in volto prima di allontanarsi. Poco dopo però, non contenti sono tornati sul posto, minacciandolo con un coltello. A quel punto il commesso ha reagito e, brandendo un tubo di ferro, ha allontanato gli aggressori chiudendosi per precauzione all’interno del suo negozio. Gli stessi due giovani però, evidentemente ancora non soddisfatti, sono tornati poco dopo con al seguito altri tre amici e hanno scagliato pietre e bidoni dell'immondizia contro le vetrine. Un trambusto che ha fatto scattare l'allarme e portato al massiccio intervento della Polizia, che ha bloccato i cinque ragazzi i quali, al termine di un pomeriggio in Questura, sono stati denunciati a piede libero per minacce aggravate, lesioni aggravate, danneggiamento aggravato e porto abusivo di armi. Quindi a conti fatti, un commesso aggredito, vetrine rotte, minacce con un coltello, e intervento massiccio della Polizia che ha poi dovuto trascorrere l’intera giornata per esaminare i filmati delle telecamere e ascoltare i testimoni dell’accaduto al fine di ricostruire con esattezza quanto accaduto e, una volta appurata la responsabilità del gruppetto di teppisti, ha potuto procedere alla denuncia degli stessi per minacce, lesioni, danneggiamenti e porto abusivo di armi.... e tutto questo a “piede libero”. Incredibile ma il gruppetto è potuto la sera tornarsene a casa per cena. Ma come si possono lasciare in giro certi personaggi senza neppure far sentire loro il peso della responsabilità di ciò che hanno combinato. D’accordo che le galere sono affollate per cui si cerca di mandare in cella meno gente possibile ma come possiamo sentirci sicuri se l’impunità di fatto è accordata a violenti e delinquenti che non solo non hanno avuto alcuna restrizione della libertà ma saranno talmente e contenti che la prossima volta non ci penseranno due volte ad aggredire qualcun altro. (V.E.Filì)


n°173 sommario 4 Bergamo Brescia Capitale della

cultura 2023: È ora di rimboccarsi le maniche

EDITA PERIODICI srl Via Bono, 10 - Bergamo Tel. 035 270989 www.editaperiodici.it www.qui.bs.it Aut. Tribunale di Brescia n°18 del 22/04/2004

9 SPECIALE

Brescia: protagoniste al femminile

54 Parità per le donne solo in guerra 56 Le donne nell’Arte in mostra

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62 La grande bellezza in casa 66 Lambo Art: Troilo e il minotauro 70 La prima Ferrari che vinse un G.P.

Direttore responsabile: Vito Emilio Filì Direttore editoriale: Patrizia Venerucci venerucci@editaperiodici.it Responsabile redazione: Tommaso Revera redazione@qui.bs.it

72 La Flaminia Cabrio di Mattarella 74 Quelli della Winter Marathon 89 Mancini con la mano del diavolo 94 Tutte le balle sul Covid

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Redazione eventi: Valentina Colleoni redazione.chicera@qui.bg.it Fotografie di: Paolo Biava Federico Buscarino Sergio Nessi Paolo Stroppa Hanno collaborato: Bruno Bozzetto Manuel Bonfanti Maurizio Maggioni Giuseppe Mazzoleni Benito Melchionna Francisco Malenchini Giorgio Paglia Valentina Visciglio Stampa: Euroteam Nuvolera (Bs)

Stampato con inchiostri a base vegetale.

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PROTAGONISTE AL FEMMINILE

speciale da pag. 9 Augusta Amolini Adele Aprile Daniela Arrigoni Daniela Bandera Barbara Barbisoni Francesca Bazoli Cristiana Bossini Federica Annalisa Burzio Anna Capuzzi Pia Cittadini Francesca Di Monda Carla Faini Nini Ferrari Alessandra Frigo Loretta Forelli Maria Chiara Franceschetti Jennifer Guerra

Cristina Lanzani Francesca Paola Lucrezi Alberta Marniga Laura Monsi Laura Nocivelli Sabrina Ogna Cecilia Padovani Elena Pagani Renata Pelati Giovanna Prandini Barbara Quaresmini Elena Ravelli Eleonora Rigotti Liliana Segre Laura Teresi Anna Tripoli Nunzia Vallini Cristina Zangaro

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È ORA DI RIM OCCARCI LE MANICHE PRESENTATO IL DOSSIER DI PROGRAMMAZIONE IL MOTORE ANCORA NON SI SCALDA UNA PRESENTAZIONE SENZA FUOCHI D’ARTIFICIO MOLTO FUMO E POCO ARROSTO, TANTE INCOGNITE E TANTA PAURA DI TOPPARE

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Il tempo stringe e, quello che di solito una città riesce ad organizzare in cinque anni dal giorno della nomina a Capitale Italiana della Cultura, Bergamo e Brescia devono farlo in pochi mesi. Inutile ribadire che conviene a tutti centrare l’obiettivo ma bisogna anche essere realisti relativamante alle difficoltà che ancora incombono a causa della pandemia. Uno degli aspetti basilari per cui le città organizzano questo anno da dedicare alla Cultura diventandone Capitale è la promozione del proprio “brand” su un pubblico il più vasto possibile per incentivarlo a venire a trascorrere qualche giorno o qualche ora in queste città. Ma, come tutti ben sappiamo, gli spostamenti, anche se non impediti, sono spesso tutt’oggi sconsigliati e comunque forse non basteranno gli undici mesi che restano da qui alla fatidica data del gennaio 2023 per fugare nelle persone ogni dubbio sui rischi connessi al salire su un aereo, prendere treni e autobus o entrare in un luogo affollato...


MATTARELLUM 2

LA VENDETTA

Inoltre, tutti oggi speriamo che la quarta ondata della pandemia sia davvero stata l’ultima ma, come abbiamo imparato dal recente passato, questo nemico sembra sconfitto ma poi ritorna all’attacco con la nuova variante. Quindi c’è comprensibile prudenza nel fare previsioni e investimenti sull’organizzazione di eventi di portata quantomeno nazionale che potrebbero trovare molti impedimenti sul loro cammino. Sono da ammirare per il loro coraggio i due sindaci di Bergamo e di Brescia i quali, lanciando il cuore al di là di ogni brutta ipotesi, hanno consegnato al Ministero un ponderoso dossier corredato di studi, ricerche proiezioni, numeri e... tante buone intenzioni con una sostanziale conferma delle iniziative già in corso, come il Festival Pianistico, quello Organistico, quello del Jazz, nonchè la stagione teatrale, concertistica e operistica, debitamente rinforzate, per la grande occasione che Bergamo e Brescia hanno di dar lustro ai loro gioielli. Previsto anche un interscambio di iniziative che si volgono adesso solo in una delle due città, che saranno duplicate. L’idea della Ciclovia da Brescia a Bergamo ci piace ma ancora è solo sulla carta e andrebbe legata ai territori attraversati, alle struture ricettive, ai prodotti del territorio. I progetti nuovi, tantissimi dicono, pervenuti presso il comitato che li sta valutando, saranno messi a punto nel più breve tempo possibile. È una macchina enorme che a livello locale può rimettere in movimento il mondo dello spettacolo, dell’intrattenimento e dell’accoglienza e della ristorazione almeno di quello che ne sarà rimasto vivo... Quando ci venne assegnato il titolo per quel 2023, le intenzioni erano di “risarcire”, se possibile, le due città più colpite all’inizio della prima ondatadel Covid ma, grazie a questo inatteso gemellaggio, si può dare inizio ad un percorso condiviso tra due territori molto simili, accomunati da tradizioni e costumi, ma che hanno sempre vissuto più in un’ottica di competizione che di collaborazione. Di certo molti più Bresciani impareranno a conoscere la bellezza di Bergamo e quanto ha da offrire e saranno tantissimi i bergamaschi che riscopriranno Brescia e la sua variegata vitalità. Avremo - speriamo - anche migliori collegamenti ferroviari per unire le due sponde del Sebino, una pista ciclabile ininterrotta tra i due capoluoghi e magari ci si potrebbe mettere d’accordo per utilizzare un po’ con più parsimonia lo scalo di Orio, molto trafficato, a favore di Montichiari. che soffre per il poco traffico. Potrebbero nascere alleanze in campo industriale, universitario e nella ricerca, fino ad oggi sempre difficili. Bergamo ha sempre guardato più verso Milano, mentre Brescia ha sempre preteso una certa supremazia. Per non parlare di calcio... Adesso che la Cultura sarà il seme di una nuova conoscenza reciproca non lasciatevi sfuggire l’occasione e, ognuno a modo suo, rimbocchiamoci, le maniche come sappiamo quado serve, per fare in modo che tutto il Paese ci guardi, stavolta non più come gli sfigati con le salme sui camion dell’Esercito, ma come una grande comunità che ha saputo reagire e ritrovarsi. (V.E.Filì)

Vi ricordate il Mattarellum, la legge elettorale ideata dall’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, recentemente rieletto, che ne fu il relatore e da cui prese il nome... Era una legge che avrebbe voluto consentire una maggiore governabilità al Paese e mettere nelle condizioni i tanti piccoli partiti di allora di allearsi in ampie coalizioni, in grado di ottenere la maggioranza relativa dei consensi. Quindi una legge che andava nella direzione del bipolarismo. Ovviamente non fu molto gradita dai partiti che infatti la abolirono per sostituirla con il Porcellum, o legge Calderoli, poi ancora con l’Italicum di renziana fattura, infine il Rosatellum e financo il Rosatellum bis, che è la complicatissima legge elettorale in vigore. Lo sfascio del sistema parlamentare a cui assistiamo è stato causato in buona parte dall’attuale legge elettorale, decisamente inadeguata ai tempi e comunque non in grado di stabilire con chiarezza chi abbia maggiore consenso tra gli elettori e quindi debba governare. Il Presidente sa perfettamante che uno dei fardelli più pesanti da sopportare nel suo prossimo futuro saranno le elezioni politiche del 2023, per le quali è anche prevista la riduzione dei parlamentari eletti. Per non ritrovarci all’indomani del voto nella stessa situazione di stallo e di ingovernabilità, in cui ci troviamo oggi, bisognerà mettere mano ad una nuova Legge elettorale che sappia cogliere il cambiamento in atto nel Paese e che gli sappia dare la rappresentanza più adeguata a governarlo. Nella foto sopra, gentilmente concessa dal Comando dell’Accademia della Guardia di Finanza, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, firma il libro presenze durante l’inaugurazione della nuova sede dell’Accademia negli spazi di quello che fu l’Ospedale. 5


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25 Febbraio 2022, Vita amori e musica di Maria Callas

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25 Marzo 2022, Maria Callas nelle arti visive

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DONNA

aB R E S C IA Non è che siamo meno brave e che il mondo fatica a memorizzare i nostri

successi… Le donne, nel corso dei secoli si sono avvicendate e hanno dato il loro contribuito in maniera importante ad ogni settore. L’unica verità e che per lo storico siamo invisibili o almeno lo siamo state. Ora la nostra immagine comincia a comparire come una figura che si riempie e magicamente viene vista, una volta le mani, un’altra la testa e ogni scoperta, missione, obiettivo raggiunto da una donna passa con una comunicazione per certi versi “urlata” e poi subito dimenticata, come fosse scritta con inchiostro simpatico… Non si riesce a costruire una coscienza del femminile, ogni volta ci meravigliamo e ci sottovalutiamo. Le donne si applicano nella loro vita in tantissime situazioni eppure sono figlie di, madri di, mogli di…. Voglio interpretarlo come un messaggio meraviglioso, le donne sono la fonte della vita, e questo oscura tutto il resto. Con affetto. Patrizia Venerucci Direttore Editoriale

Grazie a tutte le amiche che hanno contribuito a realizzare questo speciale a loro dedicato A cura di Tommaso Revera Ph. Segio Nessi INTERVISTE:

Augusta Amolini Adele Aprile Daniela Arrigoni Daniela Bandera Barbara Barbisoni Francesca Bazoli Cristiana Bossini Federica Annalisa Burzio Anna Capuzzi Pia Cittadini Francesca Di Monda Carla Faini Nini Ferrari Alessandra Frigo Loretta Forelli Maria Chiara Franceschetti Jennifer Guerra

Cristina Lanzani Francesca Paola Lucrezi Alberta Marniga Laura Monsi Laura Nocivelli Sabrina Ogna Cecilia Padovani Elena Pagani Renata Pelati Giovanna Prandini Barbara Quaresmini Elena Ravelli Eleonora Rigotti Liliana Segre Laura Teresi Anna Tripoli Nunzia Vallini Cristina Zangaro

Un trend inarrestabile. L’altra meà del cielo non desiste nella sua avanzata alla conquista dei posti di comando. Almeno questo è quello che accade nella nostra amatissima Europa. Non avviene ancora così spesso nel nostro paese ma la breccia è stata aperta e presto avremo donne presidenti e premier anche in Italia... Ma se da noi la conquista del potere da parte delle donne è ormai cosa fatta (o quasi) non è così nel resto del mondo, dove comandano ancora leader troppo testosteronici se non dichiaratemente maschilisti o di culture arretrate che considerano le donne al pari di animali da soma o bestie da riproduzione e sollazzo. I leader delle maggiori potenze mondiali sono tutti uomini, se trascuriamo Sua Maestà la regina Elisabetta (ma lei fa storia a sè), ai vertici delle maggiori istituzioni mondiali ci sono comunque sempre e solo uomini. Anche nella Chiesa c’è un uomo eletto da soli uomini. E sono sempre loro, gli uomini, quelli che scatenano le guerre. Nell’avvicinarsi dell’8 marzo abbiamo intervistato sul tema dell’emancipazione alcune amiche che ci hanno raccontato il loro essere donna in questa città, nel 2022. Tra loro alcune raccontano di come una malattia tipicamente femminile, cambattuta e vinta, le abbia portate a cambiamenti radicali e ad una maggiore consapevolezza di sè stesse, in grado di spronarle ad avere una vita diversa e a realizzare sogni tenuti sempre nel cassetto. In loro il ritrovato amore per la vita, che è essenza stessa di essere donna e lo slancio che mettono in quello che fanno ci hanno convinti. Che sì, il futuro e nelle loro mani. V.E.Filì 9


Augusta Amolini Ispettrice Corpo delle Infermiere Volontarie della Croce Rossa Italiana

DONNA

CHI È

aB R E S C IA

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Mi considero una donna risolta. Una che a un certo punto della vita ha avuto il privi-

legio di poter scegliere di dedicarsi alla famiglia. Sono diventata Crocerossina a 23 anni e questo senso di appartenenza è sempre stato il mio vero “cuore”. Una formazione di tipo umanistico. Un grande interesse per la condizione femminile, unito alla passione di leggere e di scrivere, mi hanno consentito di fare oggi quello che più mi piace. Referente Media e Comunicazione per la Lombardia del Corpo Infermiere Volontarie, Ispettrice delle Crocerossine di Brescia per spirito di servizio, giornalista per caso.


Trova che la nostra sia una città attenta alle donne? “Ho imparato negli anni che la città di Brescia ha un’anima al femminile fortemente radicata nella concreta tradizione lombarda. Le donne bresciane hanno maturato una sensibilità collettiva che si esprime attraverso la loro vocazione del “fare insieme”, all’interno di un peculiare e differenziato mondo associativo. Il loro dinamismo è noto, pur non avendo mai definitivamente realizzato una Consulta che le riunisca, riescono a essere soggetti attivi e raggiungono obiettivi significativi attraverso una fitta rete di relazioni interpersonali”.

domande&risposte

In cosa ritiene che essere donna sia un vantaggio nel lavoro? “La voglia di fare delle donne è pari al loro saper essere, ma è nel riuscire a credere in quello che fanno che si crea il loro vantaggio. Hanno faticato molto in tutti gli ambiti per potersi affermare ed è di palmare evidenza che, almeno formalmente, la parità lavorativa sia stata raggiunta quasi per intero”. Far parte del Corpo delle Infermiere Volontarie della Croce Rossa immagino la inorgoglisca ancora di più oggi alla luce della situazione pandemica che da due anni stiamo vivendo. Non è così? “È vero, essere parte integrante di un progetto di solidarietà storica un po’ inorgoglisce. Le Infermiere Volontarie, da tutti conosciute come “Crocerossine”, compiono quest’anno 114 anni. Un traguardo raggiunto seguendo un ideale che ha avuto origine dalla generosità delle donne di Castiglione delle Stiviere a seguito della battaglia di Solferino e San Martino nel 1859. In tutti questi anni sono tante le occasioni in cui le Sorelle (cosi si chiamano fra loro le Crocerossine) in cui sono state impegnate, seguendo i sette Principi fondamentali del Movimento Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa e il motto che ci guida: “Ama, Conforta, Lavora, Salva”. Chi sono le Crocerossine oggi? “Sono donne lavoratrici, mogli e madri che portano il loro bagaglio di competenze professionali e umane che accrescono il valore di una tradizione non come passato ma come presente attivo. Sono circa 12 mila, lavorano su tutto il territorio nazionale e si possono incontrare nei Centri di accoglienza per profughi e migranti, nei centri vaccinali, negli aeroporti, sulle ambulanze, negli ambulatori per i più vulnerabili o dentro le tende della Protezione Civile durante le calamità naturali. Vicine da sempre ai più fragili e presenti per assicurare agli anziani soli i farmaci o la spesa. Essendo Ausiliare delle Forze Armate lavorano negli ospedali da campo in sinergia con i medici nelle Operazioni Interforze di Peacekeeping”. Per la sua esperienza la vocazione di Crocerossina è innata o si acquisisce? “Credo sia il connubio di entrambe le cose. La Sorellanza è un sentimento che cresce nel sentirsi parte di un insieme”. Oggi come allora uno degli obiettivi che si prefigge la Croce Rossa è contribuire a far crescere una società civile più giusta, più solidale e senza discriminazione di genere. A che punto siamo secondo lei? “Io credo a buon punto. La presenza di tante donne impegnate nel volontariato non interpreta solo la loro innegabile indole alla cura, ma soprattutto esprime l’attenzione su tutto l’orizzonte delle criticità sociali. Brescia e la sua provincia sono sicuramente un modello tutto al femminile anche nella gestione dei Comitati della Croce Rossa Italiana. Oltre a Brescia, anche Ghedi e Calvisano sono guidati da presidenti donna. La solidarietà insita nel volontariato non ha colore né genere; sicuramente questa è la parte migliore visibile dell’umanità. In questo si spiega l’offerta preziosa del proprio tempo libero e delle proprie capacità”.

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Daniela Arrigoni Presidente ItalMesh e Verincolor

DONNA

CHI È

aB R E S C IA

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Daniela Arrigoni è un’imprenditrice bresciana che da oltre trent’anni dirige le proprie aziende Verincolor ed ItalMesh. Dopo

una breve gavetta da impiegata, inizia la sua carriera da imprenditrice con la costituzione insieme al marito Andrea dell’azienda Verind, attività di verniciatura industriale di metalli per conto terzi. Nel 1992 a seguito dell’acquisizione di clienti internazionali ed il conseguimento della certificazione ISO 9001 Daniela costituisce Verincolor, azienda con una struttura organizzativa industriale dedita alla realizzazione di grandi volumi e con processi standardizzati. Nel 2009, in piena crisi finanziaria, Daniela intravide la possibilità di un nuovo business e, con il figlio Luca da poco ventenne, iniziò a considerare la possibilità di creare una nuova azienda per i mercati mediorientali che era in forte crescita ed espansione. Nasce quindi ItalMesh, azienda specializzata nella realizzazione di progetti architettonici con l’impiego di reti stirate, pannelli microforati e giardini verticali. Daniela da sempre contribuisce in prima persona allo sviluppo delle proprie imprese, cresciute nel nome dell’innovazione, organizzazione e della sostenibilità, capisaldi che hanno permesso di brevettare i pannelli di giardini verticali, un progetto green a supporto di un’architettura sostenibile, reti in metallo stirato progettate per ospitare al proprio interno qualsiasi specie vegetale. Un vero e proprio giardino verticale, pensato per ricoprire le facciate di qualsiasi struttura, ma anche modulabili per soluzioni di interior. Ad oggi Verincolor serve oltre 200 clienti nazionali ed internazionali, coprendo diversi settori dall’automotive, alla pressofusione, dal settore elettrico, all’arredamento e design. ItalMesh in pochi anni ha presentato e fatto apprezzare i propri prodotti brevettati in svariati paesi nel mondo, creando in ognuno di essi la propria rete commerciale. Dal 2014 si avvale di un ufficio marketing negli Emirati Arabi, considerati per il mondo dell’architettura Hub strategico per la creazione di relazioni con tutti i paesi mediorientali ed orientali. Sempre vicino al territorio e attenta ai bisogni altrui, Daniela ha ricoperto ruoli nel Consiglio di Amministrazione Banca BCC AgroBresciano, nel Comune di Montirone ed in Confindustria Brescia.


Trova che la nostra città sia una città attenta alle donne? Perché sì o perché no “La mia città è un luogo che nel tempo si è modificato, accogliendo e trasformandosi, adeguandosi ai cambiamenti che il tempo le ha imposto. Credo però che non abbia subito passivamente nel tentativo di prestare attenzione ai tanti mondi nuovi che si sono affacciati, compreso quello delle donne lavoratrici, delle nuove imprese femminili con i tanti ruoli che a una donna vengono richiesti. Cercare dì essere attenti alle persone e quindi alle donne non è un percorso semplice ma oggi è tracciato, è da percorrere con impegno e determinazione per dare stimolo alle future generazioni”.

domande&risposte

Ritiene che la situazione sia migliorata rispetto a vent’anni fa? “I tempi sono sicuramente e fortunatamente cambiati, un’evoluzione di tutta la società che si è riflessa nel mondo dell’impresa anche grazie alla presenza sempre più forte di figure femminili alla guida di realtà meccaniche e siderurgiche, una volta appannaggio del mondo maschile. Oggi sicuramente le giovani che intraprendono il ruolo di imprenditrici in aziende anche di famiglia, come succede nelle mie aziende, Verincolor ed ItalMesh, con la presenza di mia figlia Giulia, possono investire con maggiore consapevolezza su ruoli impegnativi, forti di una strada tracciata nel tempo, di esperienze vissute, di risultati visibili e esemplari. È sempre comunque molto impegnativo rapportarsi al mondo imprenditoriale maschile anche se tanti imprenditori hanno superato il tabù della gestione della famiglia, come freno alla crescita professionale di una donna impegnata in ruoli di rilievo, anzi vedono nella figura femminile in azienda una grande opportunità di supporto alla crescita e organizzazione del lavoro e dei progetti”. In cosa ritiene che essere donna sia un vantaggio nel suo lavoro? “Non sempre essere donna è stato un vantaggio nel mio percorso di imprenditrice, in alcune situazioni farmi apprezzare professionalmente è stato difficile, applicare le mie idee di cambiamento è stato impegnativo, ma spiegando e facendo comprendere con risultati tangibili il mio pensiero ed obiettivo mi ha permesso di conquistare la fiducia di clienti, collaboratori e fornitori. Le difficoltà incontrate mi hanno però permesso di far emergere aspetti che con orgoglio tutt’oggi cerco di esprimere e trasmettere quotidianamente ai miei figli e ai miei giovani collaboratori, che ritengo essere degli aspetti fondamentali per la crescita e il prosieguo delle mie attività imprenditoriali, la determinazione, la caparbietà, la serietà, la passione e l’impegno”. Cosa vorrebbe di più per le donne? La cosa che ritiene più importante… “Oggi, secondo il mio punto di vista, è fondamentale che ogni donna possa essere soddisfatta professionalmente, con una propria indipendenza economica e che allo stesso tempo possa gestire la propria famiglia. Nella mia ideale visione mi piacerebbe che la società supporti maggiormente le donne lavoratrici nella gestione dei figli e che permetta la loro crescita professionale”.

Sperimentare, innovare e cambiare intuendo nuovi sviluppi ed opportunità: ripercorrendo la sua carriera imprenditoriale quanto sono stati determinanti questi aspetti per la sua crescita professionale?

“Il cambiamento è figlio dell’innovazione e nel mio caso della curiosità. Sono una viaggiatrice, e proprio grazie a questa mia grande passione, durante un viaggio ho avuto modo di sognare e poi concretizzare un nuovo business, che esulasse completamente dalle attività della mia azienda Verincolor. Il cambiamento porta con sé paure, incertezze, timori, ma anche crescita professionale e stimoli per poter far sempre meglio e poter ogni giorno accrescere se stessi ed il proprio business”. Riuscire ad imprimere lo stile Made in Italy ad un prodotto tecnico come le reti stirate e le lamiere forate per l’architettura, per cui proponete soluzioni decisamente all’avanguardia, è stata una mossa vincente: quanto ha contribuito in questa svolta il suo buon gusto femminile? “Ciò che ha permesso ai prodotti ItalMesh di contraddistinguersi rispetto a prodotti similari di nostri competitor non è stato solamente la qualità delle lavorazioni, delle materie prime e la costante ricerca di nuove finiture che hanno permesso che prodotti industriali venissero visti ed apprezzati dal mercato internazionale come oggetti di design, ma anche la modalità di presentazione e di comunicazione del marchio, dei servizi e dei prodotti da noi realizzati. Essere italiana è per me motivo di orgoglio e portare nel mondo prodotti di qualità è un vanto e per tale motivo tutti i nostri prodotti sono identificati da nomi evocativi delle città italiane”. Da artigiana della verniciatura ad imprenditrice con ambizioni internazionali. Mentalità organizzativa e grande apertura mentale crede siano le principali doti che le hanno permesso di compiere questo significativo ‘upgrade’ professionale? “Ad oggi sono soddisfatta degli obiettivi raggiunti, e mi rende orgogliosa che i miei figli Luca e Giulia abbiamo scelto di proseguire nella crescita dei nostri business, cogliendo quotidianamente con entusiasmo ed energia le sfide che sono felice di supportare. Il passaggio da artigiana della verniciatura ad essere donna imprenditrice in un paese lontano, con una cultura certamente non aperta al femminile, è stato inizialmente difficile ma non credo nelle sfide impossibili, anzi sono quelle che amo dì più”.

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Francesca Bazoli Avvocato e Presidente di Brescia Musei

DONNA

CHI È

Ph. Roberto Serra

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Socia fondatrice di Studium 19.12, è Avvocato cassazionista abilitata all’esercizio della

professione forense e iscritta all’ordine degli Avvocati di Brescia dall’anno 1994. Maturità classica e laurea presso l’Università Cattolica di Milano, si occupa prevalentemente di contenzioso e consulenza di diritto civile, commerciale, societario, fallimentare e della crisi d’impresa, in materia bancaria e di Governance, di operazioni straordinarie e di M&A. È consulente di associazioni di categoria e si occupa altresì di diritto di famiglia. Ha maturato una consistente esperienza nella attività di amministratrice di società, quotate e non, nonché di fondazioni ed enti no profit. Dal Settembre 2018 riveste la carica di Presidente di Brescia Musei.

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Trova che la nostra città sia una città attenta alle donne? Perché sì o perché no... “Se dobbiamo confrontare Brescia con altri comuni italiani, essendo una città evoluta, ricca e vocata all’imprenditorialità, ritengo ci sia un contesto favorevole alle donne rispetto ad altri territori meno evoluti dal punto di vista sociale e culturale. Questo è un dato oggettivo. Se, invece, paragonassimo Brescia ad altre città europee, qualcosa da dire ci sarebbe. In ogni caso ritengo che per raggiungere la parità di genere, quella vera, sia necessario farne ancora di strada: di questo ne sono profondamente convinta”.

domande&risposte

Ritiene che la situazione sia migliorata rispetto a vent’anni fa? “In parte sicuramente anche se, ancora oggi, esiste un livello di opportunità sociale, professionale e non solo ancora ad appannaggio maschile. Penso sia un tema culturale: la percezione vera e profonda di una parità di genere, a mio avviso, non è ancora raggiunta. Del resto la storia della parità tra uomo e donna è una tematica ancora recentissima: se pensiamo che il diritto di voto esteso alle donne, nel nostro Paese, risale a soli 77 anni fa…”. In cosa ritiene che essere donna sia un vantaggio nel suo lavoro? “Le donne che sono riuscite ad affermarsi professionalmente hanno fatto sicuramente più fatica degli uomini perché, di base, hanno saputo coniugare gli impegni familiari a quelli professionali. E, in particolare nella mia generazione, si tende ancora a dare per scontato che sia la donna ad occuparsi in prevalenza della famiglia. La donna, però, è naturalmente vocata a sostenere questo doppio ruolo e se adeguatamente supportata potrebbe svolgere al meglio ogni tipo di lavoro. Poi secondo me le donne, mediamente, hanno meno degli uomini il culto della propria personalità, non hanno manie di protagonismo, sono meno egoriferite e più concentrate sull’obiettivo. E questo è un aiuto formidabile”. Cosa vorrebbe di più per le donne? La cosa che ritiene più importante… (sicurezza, indipendenza economica, servizi per i figli, ecc) “Sicuramente maggiori politiche di sostegno rivolte alle madri: misure radicali, però, come avvenuto nel nord Europa e in Francia”. In qualità di avvocato specializzata anche in ambito di diritto civile, quali strumenti dovrebbero essere migliorati per garantire una maggior tutela delle donne? “In ambito di diritto civile in senso stretto, c’è poca differenza. Riguardo invece al diritto di famiglia, alcune recenti sentenze della Cassazione (penso, per esempio, al diritto all’assegno) raggiungono posizioni di grandi equilibrio in questo senso. Oggi resta molto dibattuto il tema societario, quello delle quote rosa, per cui sono convinta che molto si debba ancora fare. Va colmato un gap storico per cui anche misure di per sé discutibili risultano comunque utili per recuperare terreno e ridurre questa disparità di genere”. La sensibilità femminile, intesa come punto di forza, quanto può essere d’aiuto nella gestione del patrimonio storico artistico di una città? “Per la gestione della cultura a Brescia siamo miracolosamente in maggioranza: l’Assessore alla Cultura, nonché vice sindaco, è donna così come la presidente del Centro Teatrale Bresciano e la sottoscritta che ha il privilegio in Brescia Musei di lavorare insieme a moltissime donne. Forse perché la cultura, in una realtà come quella di Brescia, viene considerata un po’ meno rilevante, meno appetibile sia dal punto di vista del potere, sia da quello economico. Devo dire, però, che stiamo dimostrando quanto invece la cultura possa essere un motore di crescita importante anche per la nostra città”. All’interno del programma di Bergamo Brescia Capitale della Cultura 2023 si prevedono interventi dedicati alle donne? “Per quanto riguarda le iniziative promosse dalla Fondazione, che sono ovviamente quelle che conosco meglio, stiamo lavorando ad un palinsesto molto ricco e rilevante che però non affronta il tema in modo così specifico”.

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Federica Annalisa Burzio Capitano dei Carabinieri

CHI È Il capitano Federica Annalisi Burzio, 31 anni il prossimo 26 marzo, astigiana, ha svolto ruoli formativi presso la Scuola Marescialli e Brigadieri di Velletri e la Scuola Allievi Carabinieri di Roma. Prima di approdare alla guida del Nucleo Operativo Radiomobile di Brescia, ha guidato il Norm di Gravina di Catania.

DONNA

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Trova che la nostra sia una città attenta alle donne? “La mia professione mi offre la possibilità di confrontarmi con una realtà molto attenta nei confronti delle donne in difficoltà, dove sono presenti numerose componenti sociali che, quotidianamente ed instancabilmente, affiancano le Istituzioni offrendo loro piena collaborazione nel supportare gli interventi in favore delle vittime di violenza. A Brescia, come nella gran parte del paese, esistono diverse iniziative ed altrettanti progetti per sostenere le donne in difficoltà”. Le donne prestano servizio nelle FF. AA. e anche nell’Arma da circa 20 anni. Cosa ne pensa? “L’Arma dei Carabinieri è sempre stata attenta alla corretta applicazione dei principi di parità di trattamento garantendo l’applicazione al personale femminile dei principi propri del mondo militare, in modo da assicurare concretamente una pari opportunità di impiego e di progressione di carriera. Sicuramente l’assenza di preclusioni per taluni incarichi, ruoli o categorie, conferma una reale parità. Donne italiane e carriera militare dunque, un binomio che un tempo sembrava impossibile, oggi è da considerare un obiettivo pienamente raggiunto anche nell’Arma dei Carabinieri.

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Ci parli della sua esperienza? Penso che “il Carabiniere” rappresenti un’Istituzione garante della sicurezza, indipendentemente dal sesso. Credo sia fondamentale in primo luogo che ogni Carabiniere agisca quotidianamente con lo scopo di proteggere il cittadino, proponendosi come punto di riferimento affidabile, competente e capace di ascoltare ed infondere sicurezza. Certo, il percorso di inserimento delle donne in un ambiente prevalentemente maschile non è stato inizialmente semplice, soprattutto per chi come me è investita di un incarico di Comando. Ma credo che il compito di ogni Comandante, nell’indirizzare i propri collaboratori, sia anche quello di farli sentire a proprio agio, rappresentando per loro innanzitutto un esempio di lealtà, trasparenza ed equilibrio.


Comandare significa incoraggiare, insegnare, rasserenare, arricchire gli altri e arricchirsi degli altri. Vuol dire scambiare un sorriso, una battuta, una pacca sulla spalla. Avere la possibilità di essere al comando di uomini e donne significa intercettare il non detto, comprendere la persona dentro la divisa e assicurare che, pur nel rispetto dei ruoli e delle regole, ci sia costantemente la ricerca del dialogo. La mia esperienza personale mi indica che ad oggi le donne si sono integrate senza alcun problema nell’ambiente militare”.

domande&risposte

Cosa vorrebbe di più per le donne? La cosa che ritiene più importante… “Anche nell’ambito dell’Arma dei Carabinieri esistono molte donne che decidono di avere una famiglia e ritengo sia stato molto prezioso il pieno riconoscimento della condizione di donne-lavoratrici. Tutti gli strumenti offerti a sostegno della maternità, infatti, garantiscono oggi alle donne militari di ricoprire con serenità entrambi i ruoli, quello familiare e quello professionale”. La parità di genere ha conquistato anche l’Arma dei Carabinieri: che effetto le fa essere la prima donna alla guida del Nucleo Operativo e Radiomobile di Brescia. “Comandare il Nucleo Operativo e Radiomobile di Brescia è per me una grande soddisfazione. Mi ritengo fortunata poiché, oltre a prestare quotidianamente il mio servizio nel contesto di una città accogliente e molto vivibile, posso contare su colleghi e collaboratori di indubbia professionalità. La presenza costante sul territorio, l’attività preventiva di controllo e di prossimità nonché i servizi orientati al contrasto dei reati hanno consentito all’Arma di ottenere risultati significativi, ma è importante ricordare anche l’imprescindibile funzione di sostegno, di informazione e rassicurazione sociale svolta dai Carabinieri nei confronti delle comunità loro affidate, soprattutto in un momento storico difficile come quello che stiamo affrontando a causa della pandemia da Covid-19. In sintesi, è motivo di orgoglio per me poter affermare che il Nucleo Operativo e Radiomobile di Brescia è un reparto composto da uomini e donne che si sono dedicati senza risparmio di energie alla prevenzione ed al contrasto dei reati, ma anche alla costante vicinanza ai cittadini, soprattutto i più bisognosi, per garantirne la piena sicurezza”. C’è anche il modo di denunciare senza esporsi: è questa la sua personale esortazione rivolta alle donne che non denunciano episodi di violenza e maltrattamenti per timore di ripercussioni? “In questi anni, purtroppo, ho avuto modo di conoscere donne, bambini e altre persone vittime di violenza domestica e maltrattamenti. Più che esortare le vittime a non esporsi, il messaggio più importante che mi sento di inviare loro è quello di non aver paura a rivolgersi alle Forze dell’Ordine per chiedere aiuto. Ho cercato di seguire personalmente ogni caso avvenuto nel territorio di competenza del reparto che comando, che oltre al capoluogo comprende anche numerosi comuni dell’hinterland, e ho riscontrato che molto spesso le donne vittime di maltrattamenti attendono molto, troppo tempo, prima di farsi coraggio e decidersi a denunciare. Questo accade per paura, ma anche perché spesso tendono a giustificare i comportamenti di chi le maltratta. Ad ogni modo, non è possibile generalizzare e bisogna tener conto che a volte le dinamiche relazionali e familiari possono essere molto complesse e difficili da comprendere: per questo motivo, quando siamo chiamati ad intervenire, noi Carabinieri dobbiamo esercitare con la massima professionalità quella capacità di ascolto che da sempre rappresenta la cifra distintiva del nostro operato a sostegno dei cittadini. È essenziale, inoltre, mettere sempre a proprio agio la persona che si ha di fronte, il dialogo costituisce la modalità da seguire prioritariamente per promuovere l’apertura di ciascun interlocutore oltre a trasmettere una grande disponibilità e comprensione. Non è facile comprendere le dinamiche interne di una famiglia e quando interveniamo noi Carabinieri esorto sempre i miei collaboratori ad investire tempo nell’ascoltare le vittime e i loro famigliari. Le vittime sono molto restie a raccontare quanto accade o è accaduto e solo ascoltandole con pazienza loro riescono a confidarsi e a fidarsi del Carabiniere che hanno difronte, è proprio a lui che affidano in quel momento la loro vita. L’Arma dei Carabinieri dispone di militari specializzati, che hanno frequentato appositi corsi in materia, anche se debbo precisare che la centralità del tema ha determinato l’introduzione nella formazione di ogni militare degli strumenti e delle conoscenze necessarie per garantire l’assistenza alle vittime di violenza di genere. Oggi il corretto approccio nell’affrontare il fenomeno della violenza di genere è parte integrante del DNA del carabiniere. Nonostante tutto, è comprensibile che le vittime siano sempre molto combattute, perché spesso sono frenate da un legame affettivo che le lega a chi fa loro del male, ma allo stesso tempo sentono il bisogno di sentirsi amate e rispettate. È proprio questo bisogno che, molto spesso, consente loro anche di superare la paura di subire ripercussioni rivolgendosi alle Forze dell’Ordine. Si tratta d’altronde di un timore comprensibile, ma tengo a lanciare un ulteriore messaggio e per tutte coloro che si trovano in una situazione di difficoltà: i nostri compiti non si esauriscono con la ricezione della denuncia ma abbiamo il dovere di garantire la sicurezza di chi fa questo importante passo, anche avvalendoci di alcuni provvedimenti di urgenza che il nostro ordinamento ha previsto proprio per garantire l’incolumità delle vittime. Donne che l’Arma può anche indirizzare presso servizi e strutture che operano sul territorio, dedicate al sostegno delle vittime. L’Arma dei Carabinieri è parte di un progetto, chiamato “Rete Antiviolenza”, volto ad attivare, in collaborazione con Enti pubblici e associazioni di volontariato, servizi e iniziative finalizzate al contrasto e alla prevenzione della violenza sulle donne e alla protezione delle vittime”. Il suo Reparto come si occupa della sicurezza della nostra Città? “L’attenzione che l’Arma dei Carabinieri rivolge alla sicurezza dei cittadini è massima. Il Nucleo Operativo e Radiomobile di Brescia, articolato su tre componenti, assicura tramite la Sezione Radiomobile la presenza h 24 di equipaggi che svolgono una funzione preventiva e di “pronto intervento”, rispondendo alle richieste dei cittadini che pervengono tramite il N.U.E. 112 alla Centrale Operativa. La Sezione Operativa, invece, è la componente investigativa del reparto, dedicata a svolgere le attività d’indagine più complesse. Infine, particolarmente rilevante è la presenza a Brescia di un’Aliquota di Primo Intervento, un assetto antiterrorismo composto da militari altamente specializzati e dotati di equipaggiamenti speciali, quotidianamente impiegato in servizio di vigilanza dinamica sul capoluogo ed in grado di intervenire prontamente in situazione ad alto rischio”.

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Daniela Bandera Elena Pagani Renata Pelati Coordinatrici “Le Imprenditrici“ Confindustria Brescia

DONNA

CHI SONO

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Daniela Bandera Laureata in Sociologia presso la Libera Università degli Studi di Trento, ha completato la sua formazione universitaria con studi di dottorato in Sociologie du Travail all’Universitåé de Nancy in Francia. Nel 1989 ha fondato con altri soci Nomesis - Ricerche e Soluzioni di Marketing di cui è Amministratrice Delegata. Dirige la Business Unit Support Decision System per gli interventi sugli head quarters delle imprese clienti e sui Consigli di Amministrazione di cui è consulente. È docente nel Master dell’Università di Bologna sull’impresa Bio. Dal 2020 è Innovation Manager riconosciuta dal MISE nell’elenco dei manager abilitati a fornire alle Imprese e alle reti d’impresa servizi di consulenza specialistica finalizzata a sostenere processi di innovazione negli ambiti della trasformazione tecnologica e digitale. Si interessa attivamente del mondo in cui vive: è Past President di EWMD Italia – European Women’s Management Development international Network e Co-responsabile del Gruppo Tecnico Le Imprenditrici di AIB.

Nella foto da sinistra: DANIELA BANDERA ELENA PAGANI RENATA PELATI Elena Pagani Presidente dal 1993 di Ellisse, società specializzata in comunicazione. Componente del gruppo LE Imprenditrici dal 2008 e co-coordinatrice del gruppo. Vice Presidente del Comitato Imprenditoria Femminile della Camera di Commercio di Brescia e nel 2021 socia fondatrice di una start up innovativa. Sposata e mamma. Appassionata di arte, classica e contemporanea, e lettrice onnivora. Amante e sostenitrice della natura. Sempre pronta a viaggiare, con il corpo e con la mente.

Renata Pelati Classe 1956 dopo gli studi al DAMS diventa Imprenditrice. CEO della Società C.D.srl. (cosmetics diffusion) - Brand: Gerard’s Cosmetic Culture, azienda leader nel settore della cosmesi professionale per l’estetica-SPA-Farmacie. 2004/2008 Consigliera nel Gruppo Piccola Industria dell’Unione industriali Bresciana (PMI di AIB). Nel 2007 costituisce con altre imprenditrici il Gruppo AIB Femminile Plurale per monitorare le tematiche imprenditoriali e sociali con uno sguardo di “genere”, che diventa nel 2015 AIB LEImprenditrici gruppo tecnico di cui è responsabile Progetti. Dal 2008 al 2017 consigliera di AIB zona Franciacorta con delega ai rapporti scuola-impresa. Dal 2012 al 2017 tra le Responsabili del progetto Alternanza Scuola Lavoro per il settore Education di AIB. Nel 2007 è tra le socie fondatrici di EWMD European Women's management development. Dal 2014 al 2018 Presidente di EWMD Brescia. Dal 2018 Co Presidente Naz. EWMD con Daniela Bandera. Dal 2020 Consigliera nel CDA di Fondazione Teatro Grande. Riconoscimenti: Merito al Femminile–talenti di donne tra lavoro e vite private assegnato dal Ministero per le pari opportunità. Donne che ce l’hanno fatta assegnato dall’ufficio della Consigliera di parità di Brescia.


domande&risposte

Trovate che Brescia sia una città attenta alle donne? Perché sì o perché no... “Dobbiamo partire dal presupposto che nessuna città è progettata per le donne, tant’è che gli ultimi due anni hanno visto una crescita esponenziale di momenti dedicati alla cosiddetta “urbanistica inclusiva”. Il fatto che le misure rigide prese per contenere la pandemia in tutto il mondo abbiano inciso soprattutto sulla vita delle donne (come hanno certificato anche le Nazioni Unite), oltre alla potenza delle denunce e alla loro eco (grazie anche all’onda del #metoo) ha per fortuna spinto legislatori e urbanisti a rivedere il modo in cui si immaginano e si realizzano le città. Non è più solo, come nei decenni passati, una questione di “conciliazione”; è proprio un’attenzione nuova ai bisogni delle donne, inclusi i nuclei monogenitoriali in carico alle donne. E su questo nuovo modo di “disegnare” le senseable city si dovrebbero inserire professioniste donne che conoscono bene i bisogni delle donne e delle famiglie. Brescia non fa eccezione rispetto al fatto di essere “a misura di donna” e le statistiche ci restituiscono un contesto dove la percentuale di donne lavoratrici è molto inferiore alla media regionale, con un calo ulteriore registrato nel 2021 da Assolombarda nel suo rapporto annuale. Potremmo filosofeggiare su cosa significhi essere “una città attenta alle donne” o potremmo relativizzare i numeri di Brescia rispetto a contesti certamente meno serviti e con disagi più profondi. Certamente, il fatto di essere una città di medie dimensioni, con una buona offerta di trasporto pubblico, servizi pubblici per l’infanzia e una sanità efficiente la rende tra i contesti urbani più vivibili d’Italia. Ma basta?”. Ritenete che la situazione sia migliorata rispetto a vent’anni fa? “La domanda è interessante di per sé e apre un interrogativo sociale prioritario: perché rispetto alle disuguaglianze di genere non esiste una raccolta autorevole, storica, pubblica di dati che ci permetta di testare, in modo obiettivo, il successo (o il fallimento) di iniziative e politiche territoriali. Quanto a Brescia, l’ISTAT ha attivato sul territorio da anni (almeno dal 2010, ma vado a memoria) un progetto pilota di rilevazione del BES, il benessere equo e sostenibile. Lo storico delle rilevazioni degli occupati nella fascia 15-64 anni è consultabile on line sul sito dell’ISTAT ci dice che nel 2004 lavorano il 52% delle donne e oggi il 54%; il dettaglio delle singole indagini ci dicono che, se anche i numeri dell’occupazione sono stabili, diminuisce la qualità dei posti di lavoro per le donne, come nel resto del paese: dai part time imposti ai contratti precari, dal gap retributivo all’esclusione dai posti di vertice. Se prendiamo il lavoro come prima categoria di benessere per le donne, per i bambini e per le famiglie, allora anche Brescia ha ancora molta strada da fare. La considero una sfida per cui vale la pena impegnarci tutti!”. Essere donna rappresenta un vantaggio nel vostro lavoro? “Ritengo che il vantaggio dell’essere una donna imprenditrice nasca da alcune caratteristiche che, nella maggioranza dei casi, appartengono al femminile: resistenza, determinazione, capacità di portare avanti molte cose insieme, empatia, sensibilità... Tutte capacità molto utili quando si deve fare impresa, muoversi sul mercato, gestire personale. Con il vantaggio di una visione d’azienda tendenzialmente cooperativa e non piramidale, e uno stile di business più attento alle persone e al loro benessere”. Cosa vorreste di più per le donne? La cosa a vostro avviso più importante… “Oggi la sfida della parità si gioca su diversi piani. In primis sul piano economico. I dati parlano chiaro e ci dicono che le donne sono an-

cora fortemente discriminate in termini di avanzamenti di carriera e retribuzioni. In secondo luogo le donne di oggi hanno bisogno di una società che riconosca la mole di lavoro che viene richiesto loro, che non è solo professionale, ma familiare, di gestione domestica e di caregiver. Un impegno ben lontano dall’essere paritario, che va ridistribuito e sostenuto con servizi e politiche di welfare”. Supportare le donne imprenditrici nella crescita professionale e personale all’interno della propria impresa, di Confindustria Brescia e degli organismi rappresentativi, oltre a far e diffondere la cultura internazionale del Diversity Management e del Welfare nelle imprese: è questa la mission del gruppo ‘LE Imprenditrici’ di cui siete coordinatrici? “La missione del gruppo Le imprenditrici di Confindustria Brescia comprende sia la diffusione di una cultura di Diversity management, sia quella del benessere dei collaboratori all’interno dell’impresa ma va oltre: vogliamo portare uno sguardo di genere su tutti quegli aspetti rilevanti per imprenditori e imprenditrici e che Confindustria affronta per dare senso al suo ruolo di rappresentanza. Vogliamo incidere sul contesto che ci circonda perchè siamo convinte che senza una cultura favorevole all’iniziativa imprenditoriale non c’è lavoro, non si crea valore, nè per le imprese nè per il contesto sociale in cui sono inserite”. Dal 2006 ad oggi, al di là delle evoluzioni del gruppo (da ‘Parlomes’ intitolato Donne e Impresa passando da ‘AIB Femminile Plurale’ sino all’attuale ‘LE Imprenditrici’), qual è il progetto di cui andate più fiere? “Parlomes è stato l’inizio. Poi il salto, quando abbiamo avuto consapevolezza di una nostra identità specifica e la scelta di un nome che la testimoniasse: LEI. I lavori fatti sono stati veramente molti, ma il progetto di cui siamo più orgogliose è E.L.I. - Essere l’Impresa. ELI ha comportato una indagine tra tutti gli associati e le associate e su un gruppo di 500 cittadini bresciani per comprendere quanto l’auto-immagine degli imprenditori e delle imprenditrici fosse in linea con l’immagine sociale che la popolazione ha di chi fa l’impresa. Com’era prevedibile, il contesto ambientale ha una visione dell’imprenditore/imprenditrice stereotipata, li vede come animati prevalentemente dalla motivazione economica, non vede il senso di scoperta e di innovazione che lo spirito imprenditoriale porta dentro di sè. Abbiamo approfondito con dei focus group per individuare delle soluzioni. La partecipazione è stata oltre ogni nostra aspettativa. Sono emerse idee interessanti attorno alle quali lavoreremo anche quest’anno con gruppi di lavoro misti, imprenditrici e imprenditori per portare le riflessioni nelle zone e nei settori”. Condivisione, supporto attivo, formazione, crescita e sostegno: sono questi i principali servizi offerti proposti alle vostre associate? “I servizi che LE.I. offre alle imprenditrici siano principalmente servizi di networking nell’associazione ma anche con donne di altre associazioni e servizi di empowerment che non sono solo quelli di formazione, ma anche laboratori che affrontano tematiche di attualità oltre alla possibilità di partecipare in modo attivo a progetti sociali importanti, come quello che abbiamo realizzato per l’inserimento nel mercato del lavoro e in azienda di donne che hanno avuto esperienze di violenza. Riteniamo infatti che per crescere, per aumentare le proprie competenze, per le imprenditrici, così come per tutte le altre persone, sia indispensabile aprirsi alla complessità del mondo esterno all’impresa, in questo modo si impara a gestirla al meglio anche nella propria impresa”.

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Pia Cittadini Presidente Cittadini SpA

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CHI È

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La rete come filosofia di vita. “Tutti i nodi sono punti di forza e tutte le maglie si rafforzano lavorando insieme”.

Originaria di Novara, laureata a Milano all’Università Cattolica in Scienze Politiche, sposa nel 1969 Giovan-

ni Cittadini, titolare di uno storico retificio sebino, entrando così nel suo mondo della rete, che condivide come simbolo relazionale e modello etico valoriale di vita nella loro famiglia composta da cinque figli e di sviluppo d’impresa della Cittadini, dove porta sensibilità e politiche di welfare all’avanguardia per i collaboratori, soprattutto donne, creando valore sociale sul territorio. È attiva dal 2004 in AIB sulle tematiche di CSR nel Comitato Piccola Impresa ed è cofondatrice del Gruppo Femminile Plurale, per promuovere l’imprenditoria femminile e la conciliazione famiglia-lavoro; è membro di Giunta e del Collegio Probiviri. Nel 2008, promuove l’innovativo progetto “Reti di solidarietà femminile”, per realizzare in India un retificio ed offrire con il lavoro un futuro di dignità e speranza alle vedove di Pamban. Si chiamerà “Sangaman”, cioè “Insieme”. I valori della rete, come centralità della persona e responsabilità di scelta etica per il Bene Comune, vengono testimoniati anche durante la Presidenza UCID e la Vice Presidenza della Fondazione della Comunità Bresciana, al servizio del bene sociale. Queste maglie, sono diventate la rete della vita di Pia Cittadini che oggi, raccogliendo l’eredità morale e imprenditoriale del marito, insieme ai figli Cesare, Paola e Marco, continua con passione a tessere.


Trova che la nostra città sia attenta alle donne? “Sono bresciana di adozione e i miei cinque figli sono cresciuti in questa bella città, dove hanno trovato i servizi necessari per scuola, sport, assistenza medica ed io stessa mi sono inserita bene in varie realtà associative. Sul tema di una politica di attenzione di Brescia per le donne, credo che il cambiamento culturale sollecitato a tutti i livelli sulla parità di genere, inclusiva dei bisogni della comunità e basata anche su una maggior condivisione dei compiti di cura, renda auspicabile un ripensamento degli spazi e tempi della città da parte delle istituzioni, un welfare avanzato che preveda più nidi e servizi di assistenza ad anziani e disabili, parchi giochi e un verde pubblico tutelati come bene comune, strade e marciapiedi a prova di passeggino, luoghi di incontro e quartieri della città da vivere sempre in sicurezza”.

domande&risposte

Ritiene che la situazione sia migliorata rispetto a vent’anni fa? “Certamente la donna a Brescia ha avuto negli ultimi anni più attenzione e opportunità, che hanno agevolato la sua vita familiare e lavorativa, supportandola nei suoi compiti di cura (nidi e scuole materne, Case di Riposo, metro e trasporti facilitati). Sono stati fatti passi avanti anche nell’ambito della Medicina di Genere. Sotto il profilo culturale, la donna è stata ricordata nell’arte con mostre a lei dedicate (ad esempio, la bella mostra fotografica “Donne al lavoro”) ed è diventata più “visibile” pure nella toponomastica (intitolazione del Campo sportivo a Gabric). Un lento riconoscimento da accelerare!”. In che cosa ritiene che essere donna sia un vantaggio per il suo lavoro? “Sono diventata imprenditrice per amore di mio marito ed affiancandomi a lui nel fare impresa ho svolto questo ruolo, conciliato con quello di moglie e madre, trovando un vantaggio nell’essere donna. La mia direzione “femminile” ha significato infatti portare grande sensibilità e attenzione alle persone, soprattutto donne, facilitando la capacità di ascolto, la lettura dei bisogni, la cura delle relazioni, la mediazione, favorendo anche le carriere delle collaboratrici riconosciute nei loro meriti, oltre che supportarle nel loro ruolo sociale di madri. L’abitudine a gestire la complessità delle situazioni quotidiane mi ha aiutato poi ad affrontare le problematiche aziendali con concretezza decisionale, coniugando empatia ed efficienza, solidarietà e competenze”. Cosa vorrebbe di più per le donne? “Nel 1967, con la mia tesi in Diritto del Lavoro “La parità di salario tra uomo e donna” avevo focalizzato le disuguaglianze economiche di genere. Diventata imprenditrice, ho capito che diritto fondamentale della donna, oltre al rispetto e alla sua dignità di persona, è la libertà di scegliere di essere madre e donna al lavoro, per realizzare pienamente il suo progetto di vita, avere la sua indipendenza economica e, con l’indispensabile supporto dei servizi sociali, migliorare la sua qualità di vita familiare. Vorrei quindi che per la donna ci fosse sempre questa libertà e una maggiore equità sociale, come opportunità di carriera e accesso ai ruoli di vertice, soprattutto politici, per portare equilibrio e concretezza nelle decisioni; vorrei anche maggior tutela per la donna nel suo diritto a vivere in sicurezza la bellezza della vita e la ricerca della felicità; infine, vorrei per la donna la libertà di essere sempre se stessa”. Nel corso della sua carriera professionale ha dimostrato sempre una grande sensibilità per il lavoro al femminile. La conciliazione famiglia-lavoro, la cultura della valorizzazione della leadership femminile e il ruolo della donna madre come fattore di sviluppo in azienda restano i fattori su cui puntare per raggiungere la parità di genere nel mondo del lavoro? “Ho sempre attribuito grande dignità e valore al lavoro femminile, sia economico che sociale e l’ho valorizzato, per una compiuta parità di genere, adottando pratiche di conciliazione famiglia - lavoro nell’ambito aziendale, per favorire la genitorialità e migliorare la vita di coppia; ho agevolato anche il rientro al lavoro dopo la maternità, per mantenere un patrimonio di competenze in azienda come leva di sviluppo e la valorizzazione di talenti e carriere femminili in ruoli di vertici, dove portano equilibrio, mediazione, intelligenza creativa, pragmatismo, empatia e grandi capacità organizzative”. Ottenere il massimo standard qualitativo attraverso un severo controllo di processo di tutte le fasi produttive, con ricerca e innovazione tecnologica costanti: sono queste le peculiarità che hanno fatto della Cittadini SPA un’azienda leader nella produzione di qualunque tipo di rete? “Cittadini ha raggiunto una leadership sui mercati mondiali nella produzione di tutti i tipi di reti e filati tecnici, coniugando l’esperienza di 90 anni con una costante innovazione tecnologica e ricerca, orientate ad uno sviluppo sostenibile nel tempo, integrato con i principi dell’economia circolare. Strategia vincente è sempre stata la filosofia della qualità totale, ottenuta con un rigoroso controllo di processo e il contributo determinante dei collaboratori, il capitale fondante dell’azienda, per rispondere a tutte le esigenze della clientela, da quella dell’acquacoltura e dell’automotive a quella sofisticata dell’alta moda”. Quanto la gratifica essere riuscita ad applicare la filosofia della rete, secondo cui ogni nodo è un punto di forza e tutte le maglie si rafforzano lavorando insieme, al suo modello di azienda in un momento in cui solidarietà e rapporti umani sono purtroppo ai minimi storici? “Mai come in questi ultimi difficili e tragici anni caratterizzati dalla pandemia è stata attuale la mia “filosofia della rete”, perché tutti siamo stati chiamati a lavorare “insieme”, a farci carico l’uno dell’altro, a sentirci uniti dalla corresponsabilità di agire per il bene comune, come le maglie di una rete dove ogni nodo (la persona) è un punto di forza e tutte le maglie si rafforzano lavorando insieme. Questa filosofia ha guidato la mia vita, in famiglia con i miei cinque figli, in azienda nella condivisione degli obiettivi, nella comunità come solidarietà attiva: ora mi gratifica molto vederla riconosciuta ed applicata come essenziale per la rinascita del Paese, perchè sono convinta sia matrice di speranza e felicità, base su cui costruire con responsabilità e con l’ intelligenza del cuore il futuro per tutti noi, specialmente per i nostri giovani”.

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Loretta Forelli Presidente Forelli Pietro Srl

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CHI È

Loretta Forelli nasce a Brescia il 15.08.1945. Sin da giovane età si distingue per essere una donna brillante e determinata. Dopo aver conseguito la Laurea in Lingue e giornalismo, nonostante il forte desiderio di dedicarsi alla professione di giornalista, all’età di 31 anni, mette da parte i propri sogni per assumere la direzione dell’impresa famigliare, già presente sul territorio bresciano da tre generazioni: la Forelli Pietro Spa. All’epoca dei fatti è sposata con il medico dermatologo Coglio, il quale la sostiene in questa difficile scelta. Nel corso degli anni, Loretta non è dedita solo al lavoro in azienda, ma la sua attenzione si rivolge anche al sociale. Il suo impegno e la sua passione la portano, a divenire Presidente del Comitato Provinciale della Croce Rossa di Brescia, compito assolto con efficienza e competenza manageriale, passione personale e sensibilità sociale e morale. Nel 2012 è Presidente del Rotary Club Castello. Per otto anni Presidente del Settore “Metallurgia”, Siderurgia Mineraria dell’AIB, (Associazione Industriale Bresciana).

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Dal 2017 Vicepresidente della Fondazione A.I.B per diventarne presidente nell’anno 2020. Dal 2018 consigliere di “Prospera Progetto Speranza” per un’iniziativa dedicata alla cultura d’impresa, imprenditorialità innovativa e millenials, in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Dal 2019 entra nella Fondazione Spedali Civili di Brescia. Attualmente prosegue nella conduzione del Gruppo Forelli - oggi composto dalla Forelli Pietro, dalla Metallurgica San Marco, dalla Cidneo Metallurgica e dalla Tecnofor - collaborando con i figli, Giacomo e Paolo.

domande&risposte

Trova che Brescia sia una città attenta alle donne? Perché sì o perché no… “Direi ni perché, alla fine, nella stanza dei bottoni le donne non ci sono quasi mai in particolare nel mio settore. Non certo per vantarmi ma penso di essere l’unica donna in Europa che manda avanti una fonderia di questo tipo e, mi creda, è stata un’impresa pazzesca…”. Ritiene che la situazione sia migliorata rispetto a vent’anni fa? “Stiamo facendo davvero grandi sforzi e qualcosa si intravede. Senza essere per questo femminista, da sempre lotto con energia e sacrificio per il riconoscimento delle donne in ambito lavorativo: nei miei uffici che un tempo ospitavano solo uomini, oggi ci sono solo donne e la situazione è sensibilmente migliorata. Persino l’ingegnere addetta ai forni è una donna”. In cosa ritiene che essere donna sia un vantaggio nel suo lavoro? “Per me non è lo stato tanto: avendo dato sempre molta importanza alla famiglia, ho pagato lo scotto di essere donna sulla mia pelle e per questo ho dovuto fare tantissimi sacrifici per sentirmi realizzata anche a livello professionale. Più in generale, però, sono convinta che le donne siano più intuitive degli uomini e ciò consente loro non solo di anticipare gli imprevisti ma anche di trovare più rapidamente le giuste soluzioni”. Cosa vorrebbe di più per le donne? La cosa che ritiene più importante… “La sicurezza in primis ma, fortunatamente, a noi italiane non manca. Occorre cultura, buona volontà e umiltà”. Una donna a capo di una fonderia: la sua storia personale sovverte ogni tipo di stereotipo… “In azienda sarei entrata dalla finestra e non dalla porta se non fosse accaduto quello che è successo. Sono entrata qui, infatti, per successione e non certo perché lo desiderasse la mia famiglia che, ritenendo questo ambiente prettamente maschile, era convinta mi avrebbero massacrato…”. Una delle cose che, come ha raccontato, l’hanno maggiormente aiutata nella sua crescita professionale è la cultura. A questo proposito, in vista del 2023, anno in cui Brescia e Bergamo diventeranno Capitale della Cultura, crede che un maggior coinvolgimento femminile possa portare a risultati migliori? “Sicuramente. Proprio nei giorni scorsi, in occasione del consiglio della Fondazione AIB di cui sono Presidente, abbiamo parlato di questa unione culturale tra Brescia e Bergamo ponendo al centro il tema della formazione per garantire ai nostri giovani e soprattutto alle donne occasioni di crescita significative”. La crisi dettata dall’emergenza pandemica ha messo in ginocchio molte aziende. Chi ha pagato le conseguenze più gravi? “Le donne sono quelle che hanno pagato il prezzo più alto di questa crisi dal momento che ricoprono ruoli e svolgono lavori più precari rispetto agli uomini ed è un vero peccato perché la donna è il più grande bacino inutilizzato di talenti al mondo. L’unione di genere, pertanto, deve essere al centro di azioni concrete anche e soprattutto da parte del governo”.

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Maria Chiara Franceschetti Presidente Gefran SpA

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CHI È

aB R E S C IA Maria Chiara Franceschetti è Presidente di Gefran, azienda di famiglia con sede a Provaglio d’Iseo specializzata nella produzione di sensori, sistemi e componenti per l’automazione industriale, quotata alla borsa valori di Milano. Formazione classica e laurea in ingegneria meccanica, Maria Chiara è madre di tre figli e si definisce una imprenditrice di seconda generazione. Pragmatica, pratica e concreta, è convinta che la capacità di continuare ad apprendere, imparare ed evolversi sia la chiave per costruire il proprio successo.

Trova che la nostra città sia attenta alle donne? Perché sì o perché no... “Penso che Brescia sia una città in cui le donne trovino spazio per esprimersi: sono cittadine e anche lavoratrici, assumono ruoli significativi e posizioni di vertice. Abbiamo la fortuna di contare su politiche economiche e sociali a sostegno delle donne e, pensando al contesto in cui ci muoviamo, apprezzo l’attenzione ai luoghi dedicati esplicitamente al mondo femminile (dai parcheggi all’illuminazione, dagli 24


asili nido ai consultori sino ai servizi di assistenza medica). Una donna che vive a Brescia è autonoma nel proprio lavoro, supportata nella gestione della famiglia ed è in grado anche di mettersi al servizio della politica e della società. A mio avviso, quindi, ritengo la nostra città attenta ed aperta alle donne”. Ritiene che la situazione sia migliorata rispetto a vent’anni fa? “Credo che le donne in genere abbiano acquisito negli ultimi decenni più consapevolezza ed autonomia. Si sono create le condizioni per cui oggi, certo più del passato, per una donna è possibile non solo studiare e lavorare ma anche emergere e fare carriera. Nelle aziende per esempio, ambiente che mi appartiene, sono apparse sullo scenario donne manager ed imprenditrici di successo: esempi che fanno ben sperare e danno coraggio alle giovani ragazze che si affacciano al mondo”.

domande&risposte

In cosa ritiene che essere donna sia un vantaggio nel suo lavoro? “Io sono un’imprenditrice, ancorché di seconda generazione, che si muove in un mondo in cui ancora predomina la presenza di uomini. Essere donna in un mondo prettamente maschile esige tanta attenzione per evitare di non essere considerate o ascoltate. Non credo ci siano vantaggi particolari: potrei dire che ci sono caratteristiche più di pertinenza femminile che aiutano come la visione d’insieme, la capacità di essere multitasking, l’attenzione alle diversità, la costanza, la determinazione e l’attitudine a tirare fuori il meglio dalle persone”. Cosa vorrebbe di più per le donne? La cosa che ritiene più importante… “Per rispondere a questa domanda penso a cosa vorrei di più per due giovani donne che mi stanno particolarmente a cuore: le mie figlie. Prima di tutto vorrei per loro una città sicura, e penso che Brescia lo sia. Mi auguro, inoltre, che quando sarà il loro turno, abbiano la possibilità di esprimersi in ambito personale, familiare e professionale che ho avuto io magari contando su ulteriori servizi e supporti alle madri. Credo che indipendenza ed autonomia, spesso scontate per un uomo, siano due parole fondamentali per una donna”. La facoltà di Ingegneria, a maggior ragione quella meccanica, ad oggi pare restare di maggior gradimento per la sfera maschile: tendenzialmente, infatti, gli uomini sono più orientati alle materie scientifiche mentre le donna a quelle umanistiche. Seguire le orme di suo padre l’ha spinta ad intraprendere questo percorso? “Sicuramente mio padre ha esercitato una grandissima influenza nelle mie scelte professionali coinvolgendomi nelle attività dell’azienda di famiglia: ho accolto di buon grado i suoi suggerimenti perché già allora avevo intuito che una laurea in Ingegneria mi avrebbe reso credibile e forte. La competenza e la struttura mentale ingegneristica acquisite mi sono rimaste e sono stati strumenti fondamentali per la mia crescita all’interno di Gefran, di cui oggi sono con tanto orgoglio Presidente. Oggi i tempi sono cambiati e, fortunatamente, sento sempre più ragazze intraprendere percorsi di studi nelle aree “STEM” (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica): questo a mio avviso è un bene”. Nel triennio in cui ha rivestito la carica di Amministratore Delegato dal 2014 al 2017, si è occupata di molte cose, anche di assunzioni. Se oggi Gefran vanta una nutrita truppa al femminile (Chief Financial Officer e Chief People & Organization Officer su tutte) lo si deve anche alla sua sensibilità, non è così? “In realtà prima di acquisire il ruolo di AD, per dieci anni mi sono occupata di organizzazione e risorse umane. È stata una parentesi della mia vita professionale in cui ho fatto davvero tanti colloqui a tanti candidati e candidate e di certo il fatto che io fossi donna è stato per molte altre figure femminili un esempio. Non mi sono mai tirata indietro per nessun progetto o piano e non mi sono certo mai risparmiata. Ho avuto il coraggio di fidarmi di tante altre donne, questo di sicuro, assegnando loro ruoli di responsabilità o spingendole ad intraprendere percorsi di crescita personale e professionale. Una squadra robusta e di successo è una squadra i cui componenti sono diversi: la pluralità di genere nella nostra azienda è un valore”. Per diventare un’imprenditrice di successo con una leadership riconosciuta, la competenza chiave quale deve essere? “Credo che questa domanda andrebbe posta a chi al successo già ci è arrivata. Io sto ancora costruendo la mia strada e combatto ogni giorno per dare forza al mio stile di leadership: ricordo che sono un’imprenditrice di seconda generazione. Nel mio caso non c’è una sola competenza chiave ma la capacità di tirare “fuori dal cassetto” la cosa giusta a seconda delle situazioni. Costanza e determinazione mi hanno certamente aiutata a costruire il set di competenze che mi permette di comprendere i prodotti, le tecnologie, le relazioni con i clienti, ma anche l’economia e la vita della mia azienda. Forse direi che la competenza chiave è quella di continuare ad apprendere, imparare ed evolversi lungo un percorso che non debba mai considerarsi concluso”. 26


Alberta Marniga Presidente Fondazione della Comunità Bresciana

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CHI È

Lumezzanese di nascita, ha respirato fin da piccola l’aria di uno dei distretti industriali più operosi d’ Italia. Fin dalla scuola media ha frequentato i corsi di studio in città, dove dopo avere conseguito la maturità al liceo linguistico, si è laureata in Economia e Commercio. È sposata con Alessio Tommasini con il quale ha condiviso gli studi universitari e la crescita nell’azienda di famiglia, Euroacciai s.p.a. Nel 1999 è nato il figlio Maurizio che si appresta ad affiancare i genitori in azienda. Ha avuto una lunga carriera nella Confindustria locale, rivestendo il ruolo di Coordinatore della Valtrompia, poi Presidente della Piccola Industria ed infine Delegata alla Legalità e Responsabilità Sociale sotto la Presidenza di Giuseppe Pasini. È stata per 6 anni Presidente di Fondazione Asm e dal 2019 è Presidente di Fondazione della Comunità Bresciana.

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Trova che la nostra città sia una città attenta alle donne? Perché sì o perché no... “Essendo Brescia una città evoluta sia dal punto di vista economico che sociale, ha avuto modo di essere terreno fertile per l’emancipazione delle donne che hanno raggiunto posti di rilievo dimostrando grande competenza”. Ritiene che la situazione sia migliorata rispetto a vent’anni fa? “Certamente sì. Una spinta è stata certamente data da un cambiamento culturale avvenuto nel Paese e in parte agevolato dalle policy sulla parità di genere, soprattutto negli enti pubblici, ma anche in vari tipi di organizzazioni profit e no-profit”.

domande&risposte

In cosa ritiene che essere donna sia un vantaggio nel suo lavoro? “Non credo che essere donna porti un vantaggio nel mio lavoro. Piuttosto ritengo che la pazienza, la capacità di ascolto, ma anche la determinazione, tipiche delle donne, siano elementi che ne facciano apprezzare l’operato. Almeno io mi vedo così”. Cosa vorrebbe di più per le donne? La cosa che ritiene più importante… “Penso che l’autostima e le competenze siano fondamentali per intraprendere qualsiasi carriera. Per le donne forse ancor più che per gli uomini, per i quali in passato a volte venivano date per scontate. L’indipendenza economica che le donne hanno conquistato con il largo e progressivo accesso al mondo del lavoro degli ultimi 30 anni è certamente l’elemento fondamentale da cui tutto parte. Senza quella è difficile pensare alla vera affermazione della donna. Ovviamente poi viene la famiglia, quando si ha la fortuna di formarne una. E allora si aggiunge anche la gestione dei figli, principalmente affidati alle mamme. Ecco allora che i servizi per i figli sono essenziali per fare in modo che una donna possa al contempo realizzare il sogno più bello della vita, ovvero di generare e crescere una propria creatura, e quello di continuare a realizzarsi nel mondo del lavoro”. La sua è una tempra d’acciaio: sin dal suo ingresso nell’impresa di famiglia, infatti, ha dato prova di grande carattere e personalità… “Sono stata fortunata a respirare aria d’impresa fin da piccola e ad avere un carattere forte unito ad un grande interesse per il mondo economico. Non mi sono mia sottratta alle richieste di collaborazione che mi venivano proposte e ne ho tratto grande insegnamento e beneficio”. Donne e uomini, come ha ricordato in una recente intervista, sono il fulcro dell’impresa: quanto conta il loro benessere e la loro valorizzazione per restare competitivi? “Moltissimo. I nostri collaboratori sono insieme a noi, l’anima dell’azienda.Vanno valorizzati perché ognuno di loro ha grandi potenzialità da esprimere per la crescita e la competitività. A volte certe scelte aziendali nascono anche dal dialogo con i collaboratori. Se loro stanno bene in azienda e si dà loro la possibilità di crescere sanno dare il meglio”. Lo scorso luglio si è insediato il Comitato Bergamo Brescia Capitale della Cultura 2023 che vedrà, insieme a Fondazione Cariplo e Fondazione della Comunità Bergamasca, anche la Fondazione della Comunità Bresciana rivestire un ruolo chiave per la gestione delle risorse finanziarie (dalla raccolta al loro impiego). Quanta è stata importante in termini di esperienza la recente raccolta fondi indetta per la sanità bresciana (#aiutiAMObrescia) per la crescita e la credibilità della fondazione che presiede? “#aiutiAMObrescia credo rimarrà una delle esperienze più importanti che Fondazione della Comunità Bresciana si è trovata a realizzare, in collaborazione con il Giornale di Brescia e potendo contare sulla stupefacente generosità dei bresciani, ma anche di tanti non bresciani che hanno voluto contribuire a dare una mano al nostro territorio che soffriva, insieme a Bergamo, più di tutti gli altri in Italia. È stata anche un’esperienza di lavoro duro, nuovo per la Fondazione, ma anche di grande soddisfazione. Si è imparato molto. Grazie soprattutto alle competenze manageriali in campo sanitario dell’Ing. Zampedri e a quelle di organizzazione delle emergenze del delegato alla Protezione Civile di Confindustria Giancarlo Turati. Inoltre, la rete di relazioni che la Fondazione nel tempo è stata capace di creare ha fatto certamente la differenza per raggiungere i tanti operatori anche non ospedalieri che avevano bisogno di protezioni per difendersi dal Covid e che siamo riusciti ad aiutare, confortare, sostenere. Nel 2023 saremo di nuovo co-protagonisti. Questa volta per un evento molto piacevole. Metteremo a frutto, insieme ai cugini di Fondazione della Comunità Bergamasca e sotto la grande guida di Fondazione Cariplo, tutte le nostre relazioni e competenze per rendere straordinaria questa grande opportunità e far crescere ancora di più il nostro territorio e la nostra Comunità”. 11 27


Francesca Paola Lucrezi Direttrice degli Istituti Penitenziari di Brescia

DONNA

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CHI È

Francesca Paola Lucrezi, è nata a Napoli il 29.06.1970. Laureata in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Napoli Federico II. Consegue la Specializzazione in Diritto Amministrativo e Scienza dell’Amministrazione. Si perfeziona con un corso presso l’Università di Napoli in Diritto e finanza degli Enti locali, e con un corso presso l’Università Bicocca di Milano sul Multiculturalismo. Consegue il Master di II livello in Diritto Penitenziario e Costituzione presso l’Università di Roma Tre. Abilitata all’esercizio della professione forense. Inizia a lavorare nel1997 in qualità di Vice direttore della Casa Circondariale di Brescia e della Casa di Reclusione di Verziano. Nel 2008 assume la Direzione della Casa di Reclusione di Verziano. Nel 2014 e sino al 2018 ricopre anche l’incarico di Direttore dell’Ufficio Distrettuale di Esecuzione Penale Esterna di Verona, a cui si aggiunge dal 2016 anche la Direzione dell’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Brescia, incarico tutt’ora ricoperto. Dal 2018 ricopre l’incarico di Direttore degli Istituti Penitenziari di Brescia. Il suo viene ancora considerato un lavoro poco adatto ad una donna? “Il Direttore di Istituto Penitenziario svolge il difficile compito del governo di una struttura complessa in cui vivono sotto custodia dello Stato le persone in esecuzione di pena e privati della libertà. All’interno del carcere lavorano Poliziotti penitenziari, operatori del Trattamento e del reiserimento del detenuto, educatori, psicologi, mediatori culturali e Operatori sanitari dell’ASST locale. Fondamentale è l’apporto del mondo del volontariato e del terzo settore che cooperano con l’Amministrazione penitenziaria affinchè il tempo della detenzione sia un tempo di ricostruzione del legame sociale interrotto dalla commissione del reato. Il Direttore funge da ago della bilancia, contempera e fa sintesi di tutte le istanze e dei diversi punti di vista e apporti professionali di tutti i predetti operatori affinchè il servizio svolto sia omogeneo e diretto alla corretta pressa in carico del recluso.

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La finalità comune a tutti è quella costituzionale della risocializzazione, ponendo al centro del focus la persona detenuta che necessariamente deve concludere lapropria condanna come persona diversa da quella che ha commesso il fatto-reato. Pertanto non è importante se il direttore sia uomo o donna; non è la differenza di genere che cambia l’approccio manageriale e l’equilibrio nell’azione amministrativa, e ad oggi non riscontro né tra i miei collaboratori né tra i parteners istituzionali alcun preconcetto legato al genere: l’importante è lavorare con passione, trasmettere motivazione ed essere credibili attraverso il costante impegno quotidiano”.

domande&risposte

Quali sono state la maggiori difficoltà per affermarsi in un ambiente molto maschile? “Quando ho iniziato a lavorare in carcere svolgevo la funzione di vice direttore dei due Istituti Penitenziari di Brescia. Eravamo tre colleghe tutte giovani ed alla prima vera esperienza lavorativa in un ambiente , all’epoca , davvero tutto maschile. Le difficoltà ci sono sicuramente state, legate per lo più all’inesperienza. La fiducia e la credibilità si conquistano, secondo me, giorno dopo giorno, vivendo unitamente con il restante personale la quotidianità fatta di eventi critici, sofferenza, scarsità di risorse, pregiudizio da parte della così detta società civile. Solo condividendo le esperienze ed agendo con tanta umiltà si riesce a conquistare la fiducia dei propri collaboratori e si inizia un percorso di continua costruzione della propria professionalità che non può dirsi mai concluso”. Pensa di essere stata discriminata sul lavoro per essere una donna? “Non ho mai percepito alcuna discriminazione di genere nei miei confronti. Lavoro quotidianamente esercitando un discreto potere decisionale a cui corrispondono conseguenti importanti responsabilità e mi reputo fortunata per questo. Ho fatto le mie scelte professionali liberamente ed ho avuto tante soddisfazioni. Laddove ho scelto di fermarmi pur avendo la possibilità di andare avanti è stata una mia libera scelta dettata dalla vita privata ed in favore della mia famiglia a cui devo moltissimo in quanto mi ha sempre sostenuta nonostante l’impegno lavorativo forse ha sottratto loro tempo ed energie”. Secondo lei Brescia è una città sensibile al ruolo delle donne che lavorano? “Ritengo che Brescia sia una moderna città europea, in cui economia, cultura e storia hanno contribuito a far sviluppare una mentalità aperta ed al passo con i tempi. Non credo che il genere abbia mai fatto la differenza, viviamo in una società in cui ciò che conta è, giustamente, il risultato”. Come si potrebbe fare per dare maggiore sicurezza alle donne vittima di uomini? “Credo che il modo più concreto affinchè le donne si possano sentire più sicure sia quello di potenziarne la consapevolezza. Siamo dotate di enormi potenzialità, sensibilità, e spirito di sacrificio. Abbiamo conquistato negli anni, anche grazie alle lotte delle nostre madri e nonne, la consapevolezza di essere autosufficienti e di non aver bisogno necessariamente di un uomo, soprattutto quando il rapporto che ne deriva è un rapporto “malato”. La consapevolezza delle proprie capacità e la fiducia in se stesse è il primo passo per la denuncia. Troppo spesso le donne maltrattate tollerano e giustificano comportamenti violenti che ingenerano una doppia vittimizzazione: non sono abbastanza, non sono capace, non merito niente di più e allora perdono”. Esistono in carcere percorsi riabilitativi per uomini che hanno subito condanne per molestie o violenza sulle donne? “In carcere vi sono numerosi progetti per i così detti uomini maltrattanti, sia che essi siano autori di reati specifici sia che siano detenuti per altre cause ma per i quali dall’osservazione della personalità e del contesto familiare si intravedono situazioni conflittuali. Gruppi di riflessione, tenuti da psicologi e professionisti del settore, consentono di iniziare i percorsi in carcere e di proseguirli anche durante la misura alternativa alla detenzione. L’Amministrazione sta investendo molto in tal senso visto l’innalzamento dei reati di maltrattamento, grazie anche all’entrata in vigore del così detto Codice Rosso. Sul tema si è appena rinnovata la progettualità “Giustizia con la R”di cui il Comune di Brescia è capo fila. Attraverso la sinergia interistituzionale e con il terzo settore si cerca di accompagnare gli uomini maltrattanti in un percorso di revisione dei propri agiti in termine di riavvicinamento alla vittima, specifica e non del proprio reato. Qualunque lavoro portato avanti con gli autori di reati contro la persona non può prescindere da una concreta assunzione di responsabilità da parte del reo, non solo in termini passivamente punitivi ma attraverso una ri-attivazione dei soggetti su percorsi che partendo dal passato siano in grado di guardare al futuro con azioni concretamente diverse”.

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Laura Salvatore Nocivelli Titolare ARKstudio Studio di Architettura

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aB R E S C IA Trova che la nostra città sia una città attenta alle donne? Perché sì o perché no...

“Fra i tanti esiste un evento storico che mi permetto di citare: “come scrive Henry Dunant, alla fine della tragica e cruenta battaglia di S. Martino i cittadini si mobilitarono in aiuto dei feriti , in particolare le donne, di ogni ceto e provenienza, sfidando pudori, pregiudizi e l’iniziale diffidenza, cominciarono a soccorrere i feriti, senza badare alla lingua, alla divisa, agli schieramenti, sapendo cogliere il dolore oltre gli stendardi, i contrassegni… Così oggi, in questo tempo difficile la città ha mostrato il suo volto più fragile, nel riproporsi degli eventi più oscuri e nella complessità dell’agglomerato urbano si è espressa la difficoltà dei più fragili: donne, bambini, anziani, ecc. e le necessità del servizio quale la cura della malattia, la sicurezza, la qualità del traffico, le risposte alle problematiche ambientali, le derive sociali, l’assistenza, la protezione del lavoro… Brescia ha saputo mostrare poi, nel necessario mutare di fronte ad eventi così dolorosi e complessi, la capacità di evolversi e di ripresentarsi con un volto nuovo qualificandosi ancora una volta come centro di identità per ”cercare sì il nuovo ma custodire quanto si è conquistato”:una qualificata rete dei servizi, l’attenzione alla fragilità dei gruppi sociali nelle aree degradate, la“rigenerazione urbana”, la tutela e valorizzazione di paesaggi unici, tutto si manifesta come bisogno di relazione tra i più fragili e tra questi spiccano le donne, ancora oggi non protette. La Brescia di questo tempo è quindi città di “tutte” le persone che la percorrono, sia donne che uomini, e già oggi sta ritrovando, pure nell’incertezza dei tempi, il suo ruolo visibile, il suo volto storico e contemporaneo insieme aspirando a definire le sue regole, personalizzandone le risposte e ancora una volta, come nella battaglia a S. Martino, identificandosi come luogo simbolo delle donne e per le donne oltre l’insicurezza del tempo presente”. Ritiene che la situazione sia migliorata rispetto a vent’anni fa? “Uno sguardo agli ultimi avvenimenti, per mettere a frutto la strada percorsa, permette di intuire che sicuramente serve il dovere di una maggiore ambizione, ed è questo lo slogan che si sente ripetere a proposito del cammino percorso con lo sguardo diretto al futuro. Ambizione degli scenari futuri: in questo senso non una inutile propensione all’isolamento e alla sfida, ma una nuova frontiera, cui dedicarsi come una bussola di orientamento per il proprio lavoro, le proprie relazioni sociali, gli affetti familiari, nella coscienza di interpretare il proprio ruolo nel proprio tempo”.

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Essere donna è un vantaggio nel suo lavoro? “Da sempre il contributo delle donne è stato offuscato, come per le amiche e colleghe Charlotte Perriand ed Eileen Gray, vissute nel secolo scorso e sempre individuate come designer degli spazi interni, ritenendo corretto identificarle solo negli spazi domestici.


Un pregiudizio che ormai è superato dalla grande capacità delle molte professioniste di oggi, come le celebri Zaha Hadid e Patricia Urquiola, e che ha permesso il fiorire delle specialità scientifiche anche nel lavoro per le donne. Sarebbe sicuramente interessante pensare a ricostruire i lavori caratterizzati nel secolo scorso dalla presenza di progettisti donne, un vero e proprio tour descrittivo del contributo allo sviluppo urbano nei lavori di restauro, nuova costruzione, arredo urbano, architettura del verde…”.

domande&risposte

Cosa vorrebbe di più per le donne? La cosa che ritiene più importante… “Dignità del proprio ruolo, contrastando tutte le forme di violenza sulle donne, oggi e per sempre inaccettabile, con la cultura, l’educazione, l’esempio. E nel luogo dove per prima si fa cultura: la scuola appunto, si possa trasmettere il senso dei principi e delle relazioni sociali come valore non negoziabile, in parità di opportunità, così chele esibizioni di facciata lascino il posto al reciproco intendersi. La sicurezza, l’indipendenza economica, i servizi per l’accudimento a bambini e anziani, sono la conseguenza logica posta al centro dell’impegno di rinascenza, consci che questo sia un tempo difficile ed anche eccezionale, di transizione e necessariamente di superamento del limite delle criticità, all’insegna della sostenibilità e dell’innovazione”. Ricerca, innovazione e sostenibilità: restano questi i tre capisaldi su cui punta il suo arkstudio, punto di riferimento in ambito di architettura di esterni e interni, architettura del verde, bioedilizia, recupero degli edifici storici e progettazione urbanistica? “Cos’è la città se non i suoi abitanti?” scrive Shakespeare e cos’è l’Innovazione se non nuovi linguaggi e nuovi strumenti di ricerca, volontà di crescita, con sempre al centro la persona, con le differenze che la caratterizzano, nell’impegno e condivisione di valori etici e non negoziabili. Eco-innovazione è forse il termine indicato a definirla, in quanto progresso verso lo sviluppo sostenibile riducendo gli impatti sull’ambiente, un uso minimo di risorse naturali per unità di produzione e un rilascio minimo di sostanze, efficiente e responsabile delle risorse naturali, compresa l’energia. L’“innovazione orientata alla sostenibilità” è l’ approccio consapevole per cogliere l’articolazione di nuovi spazi, tanto di produzione quanto di mercato, attraverso reti di servizi orientati a scenari urbani di qualità e in cui il driver motivazionale è l’impegno ad un processo in cui le considerazioni sostenibili sono integrate nell’ambito di produzione per nuovi modelli di mercato, in collaborazione con gli istituti di ricerca. Si profila così lo scenario della città sostenibile, e naturalmente di un’architettura sostenibile che progetta e costruisce a basso impatto ambientale con strutture e tecnologie appropriate, e che si pone come finalità progettuali non solo l’efficienza energetica ma anche il miglioramento della qualità della vita. La prima fase progettuale deve proporre uno scenario “virtuoso” che si inserisce nel contesto per un uso coerente di nuova tecnologia e materiali naturali, proteggendo e valorizzando il nostro prezioso e sconfinato patrimonio storico/artistico, con progetti di rigenerazione urbana delle aree degradate, tanto nella salvaguardia del patrimonio naturale per quanto non antropizzato, quanto nel riuso e recupero dell’archeologia industriale, ed infine nell’efficientamento con tecnologie innovative di nuova generazione del settore produttivo industriale. Il progetto strategico a quest’impegno irrinunciabile oggi passa dal concetto di prodotto al concetto di sistema di servizi, con strumenti e metodologia tecnica, ma anche creativa, e dove le tecnologie incontrano la ricerca si prospetta il design”. Considerata la sua propensione per l’ambito culturale (nel suo recente passato è stata presidente del Conservatorio Luca Marenzio, membro del consiglio d’amministrazione del Festival Pianistico Interna-

zionale di Brescia e Bergamo, sostenitrice del Teatro Grande e socia del Centro Teatrale Bresciano) cosa suggerirebbe per sfruttare appieno la visibilità derivante da Bergamo Brescia Capitale della Cultura 2023? “Il valore del sistema cultura passa attraverso la formazione e la ricerca delle industrie che producono cultura, che sono le città che le ospitano e le Istituzioni che lo consentono. Il capitale culturale di Brescia è oggi e sarà sempre più valorizzato con opportune scelte strategiche e la rivitalizzazione di risorse insospettate a lungo inattive, oggi riscoperte, nel processo di riammodernamento, scoperta e valorizzazione, in un fervore che richiama le epoche di “rinascenza” del passato. Destinatari ideali i consumatori arbitri delle principali scelte strategiche: Brescia ha un importante patrimonio d’arte, materiale e immateriale, si parla oggi sempre di più dei suoi nuovi “distretti artistici”, in città e fuori nei luoghi della provincia: Brescia sta oggi mostrando il volto urbano in un’atmosfera creativa che è anche spaziale e che si riscopre in un innovativo sistema di percorsi storici e artistici, come ad esempio il Corridoio Unesco, l’antichissimo percorso che dal Capitolium si snoda sino al complesso museale di S. Giulia, un fenomeno concreto, spaziale appunto e produttivo anche, non solo di valori culturali, ma anche nella ricaduta sul territorio, economici. La circolazione continua e crescente di idee e di relazioni interpersonali, diventa sostenibile e si addensa in nuove forme di produzione e di consumo di arte all’interno della città creativa; nuovi strumenti normativi sostengono il profilarsi di una joint venture possibile e virtuosa tra i soggetti produttivi e l’istituzione di tutela e promozione dei complessi artistici, la città è quindi connessa alla tutela delle idee e in una logica di nuovi scenari delle tecnologie e funzionamento dei mercati di tipo artistico-estetico”. Alla guida del Rotary Club Brescia Moretto ha contribuito alla realizzazione del centro clinico NeMO Brescia, una struttura clinica integrata dedicata alla diagnosi, alla cura e alla ricerca nel campo delle malattie neuromuscolari. Da dove nasce la sua sensibilità per la medicina e la ricerca? “La generosità del settore no profit ,in questo caso il Rotary del Distretto 2050, che ringrazio per aver sostenuto questo service, spesso sopperisce alle carenze nella ricerca in campo medico, che può trovare il giusto riconoscimento attraverso incentivi che ne promuovano l’ulteriore espansione. Il maggior impegno del settore pubblico può essere valorizzato da un contesto culturale fertile, aperto all’innovazione e ricerca medica e che amplifichi le ricadute sul benessere collettivo. Ne discendono sfide difficili: la ricerca di fonti energetiche alternative, la tutela delle biodiversità, la domanda di sicurezza degli alimenti, l’onere crescente per le finanze pubbliche della previdenza e dell’assistenza sanitaria agli anziani, sono solo alcuni dei quesiti a guidare una risposta, affinché si traduca anche in aumento e diffusione del benessere. L’esperienza di Nemo è stata fondamentale, in quanto le ricadute dell’impegno rotariano sono misurabili nella diffusione sul territorio degli istituti di cura, di assistenza, di ricerca e che si pongono aldilà del solo protocollo sanitario, ma nell’attenzione unica al malato e allo studio per un’assistenza sempre vigile al territorio, in una logica autenticamente e profondamente filantropica la cui ricchezza si misura nello sforzo di migliorare la qualità e il valore dell’assistenza, con la consapevolezza dell’importanza di investire nella ricerca, intensificando i rapporti con le università e il coinvolgimento in progetti di respiro internazionale. Anche tutto questo è cultura, il famoso Terzo Settore, che vive da sempre nella spontanea eccezionalità e sensibilità del Volontariato, in un anelito di filantropia, come alla fine della tragica battaglia nella piana di S. Martino”.

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Giovanna Prandini Presidente Ascovilo e Società Agricola Perla del Garda

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CHI È

Laureata in Discipline Economiche e Sociali presso l’Università Bocconi di Milano nel 1996, l’anno seguente vince la Borsa di Studio come Ricercatore offerta dalla Fondazione Gasparri di Milano. Una volta conseguita l’abilitazione all’esercizio della professione di Agente di Assicurazione con iscrizione all’Albo di Stato, intraprende la propria carriera professionale come corrispondente dei Lloyd’s of London e ottiene l’abilitazione all’esercizio della professione di Broker di Assicurazione. Dal 2006, oltre all’attività di imprenditrice nel settore agricolo, ha maturato molteplici esperienze in enti profit e no profit: è stata Past President Pro Brixia, Past President Lombardia Fiere, Past President Sintesi Spa, di cui ha promosso la fusione per incorporazione nella Capogruppo Brescia Mobilità nell’esercizio 2013, Past President Associazione Strada dei Vini e Sapori del Garda, Past President della Associazione Brescia In Cammino in seno all’esperienza della Fondazione Civiltà Bresciana. Oggi riveste l’incarico di Presidente ASCOVILO, Associazione dei Consorzi dei Vini Lombardi, è Membro di Giunta e Consigliere in CCIAA di Brescia e Vice Presidente Centro Fiera Spa.

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Trova che la nostra città sia attenta alle donne? “Brescia è una città dinamica e vivace. Nella mia esperienza imprenditoriale ho sempre avuto la percezione che il merito fosse premiato in azienda , più difficilmente invece le donne trovano spazio di espressione nel contesto politico e istituzionale ancora chiuso. Le quote rosa hanno imposto un obbligo , diversamente non ci avrebbero mai dato uno spazio”.

domande&risposte

Ritiene che la situazione sia migliorata rispetto a vent’anni fa? “Sicuramente sì, le giovani donne di oggi sono protagoniste del proprio destino e hanno meno condizionamenti familiari nello scegliere discipline Stem o percorsi lavorativi meno tradizionali, parlano le lingue e usano social e tecnologia , possono guardare al mercato del lavoro mondiale non solo provinciale”. In cosa per il suo punto di vista essere donna rappresenta un vantaggio nel proprio lavoro? “Credo nella diversità di genere : il mondo femminile ha caratteristiche proprie complementari rispetto all’approccio maschile al lavoro. Il vantaggio è valorizzare le diverse sensibilità affinchè la strategia di prodotto e di mercato siano l’esito di un lavoro di squadra, dove il “Capo” - sia uomo sia donna - assuma le proprie decisioni e responsabilità facendo sintesi”. La sua è una famiglia con una vocazione agricola particolare. Come si è avvicinata al mondo del vino e cosa l’appassiona maggiormente? “Sin da piccina sono stata educata ad assaggiare i vini buoni prodotti dagli amici dei miei genitori, un dito di vino nel bicchiere faceva parte della nostra ritualità domenicale , era una cosa speciale che si condivideva nel giorno di festa. Al termine dei miei studi in Bocconi, ho fatto una esperienza presso la società di brokeraggio di HSBC e frequentando il mercato dei Lloyd’s of London. Vivendo all’estero ho capito il potenziale del nostro Made in Italy , la preziosità dei nostri prodotti Dop, quanto non fosse per nulla scontato avere una storia e una tradizione enogastronomica nazionale di eccellenza. Da qui sono partita quando con mio fratello abbiamo fondato la nostra azienda, Perla del Garda, dalla tradizione ma senza paura di innovare”. Dovesse descriversi con un vino, quale sceglierebbe? “Il mio vino del cuore è il Madre Perla, un Lugana Riserva prodotto dalle uve di una singola vigna coltivata in agricoltura biologica e sostenibile. È rigoroso, fedele alla sua natura semplice, con grande potenziale di espressione nel tempo”. L’universo femminile ha assunto un ruolo centrale nell’ambiente enologico, sbaglio? “Le Donne del Vino sono una importantissima realtà nazionale, in Italia stanno facendo una rivoluzione silenziosa , nel nostro mondo mi permetto di dire che parlano i vini… Brescia è la Leonessa di una Associazione florida e vivace, non ci mancano grandi carismi ai quali ispirarci in primis Pia Donata Berlucchi”. Una bresciana alla guida del Consorzio dei vini lombardi Ascovilo. Territorialità e promozione: da qui bisogna ripartire per riconquistare i mercati nell’era del post Covid-19? “Ascovilo associa 13 Consorzi di Tutela dei Vini della Lombardia, un potenziale straordinario che pochi conoscono sul territorio. Esportiamo in tutto il mondo e siamo nei Top Restaurant ma non esiste una carta dei vini di Lombardia a differenza di quanto avviene in Toscana o Piemonte o Sicilia. Le ragioni di questo gap di conoscenza e di mercato sono molte , ma prima di andare lontano dovremmo essere più presenti sul nostro territorio con un patto forte con i nostri clienti ristoratori , promuovendo la mescita nei locali dei vini regionali e la conoscenza dei territori dalle montagne della Valcamonica e Valtellina ai laghi e colline che testimoniano la nostra forte vocazione qualitativa”.

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Barbara Quaresmini Presidente Confesercenti Lombardia Orientale

ph: Paolo Stroppa

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CHI È

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Manager

impreditrice con oltre 30 anni di esperienza nel settore immobiliare. Esperta di vendita e dei processi di mediazione anche a livello internazionale. Esperta e conoscitrice del sistema delle piccole e medie imprese commerciali, dopo numerosi anni di impegno associativo e in ambito professionale. Dal luglio 2021 è Presidente di Confesercenti della Lombardia Orientale e, dallo scorso ottobre, Presidente del Coordinamento nazionale per l’Imprenditoria Femminile Confesercent

Trova che la nostra città sia attenta alle donne? “Credo che sia il Paese Italia a non essere particolarmente attento alle donne: non ci sono infatti sufficienti donne nei punti apicali. Dico questo perché nella nostra città abbiamo tantissimi profili di donne collocate imprenditorialmente a livelli importanti nelle aziende, nelle associazioni, e ci rendiamo conto che queste donne imprenditrici fanno da volano al successo di molte imprese e associazioni stesse. Non ritengo Brescia una città non attenta; io stessa mi circondo di profili femminili di alto livello, considerando che il senso di responsabilità delle donne è di grande valore”. i .


Ritiene che la situazione sia migliorata rispetto a vent’anni fa? “La risposta direi è ovvia: più il tempo trascorre, si consolida una nuova mentalità generazionale rafforzando così il ruolo della donna nella nostra società. Per fortuna, aggiungerei. E per raggiungere altri traguardi importanti mi auguro di non dover aspettare altri vent’anni!”.

domande&risposte

In cosa ritiene che essere donna sia un vantaggio nel suo lavoro? “Personalmente sono molto fiera di essere donna, imprenditrice e a capo di un’associazione. Tra le qualità delle donne riconosco la capacità e la sensibilità di vedere l’altro e quindi di poter instaurare dei rapporti di complicità relazionale, oltre che duraturi. Inoltre amiamo essere pragmatiche, la concretezza, la capacità di mettere a terra, di concretizzare al fine di essere risolutivi. In un mondo come quello di oggi, che richiede che tutto questo sia messo in campo costantemente, è essenziale ed un grande plus”. Cosa vorrebbe di più per le donne? La cosa che ritiene più importante? “Vorrei un giusto rispetto meritocratico perché per me ambo i sessi devono ricevere quanto è giusto che debbano ricevere. Non è più una questione di quote rosa, ma di parità di genere. Ognuno, come individuo e come persona, deve poter avere pari opportunità e di conseguenza pari compensi e riconoscimenti. Altro aspetto determinante è che la donna, in una società civile avanzata possa realmente essere in grado di conciliare la sua sfida professionale con il suo impegno familiare e, di conseguenza, sia in grado di decidere sì di ricoprire ruoli importanti e decidere, nel contempo, di essere una madre e moglie. È compito anche della politica creare i presupposti perché ciò avvenga. Da oltre 30 anni è un’imprenditrice nel campo dell’intermediazione immobiliare: il 2022 sarà un buon anno per il mattone? Quale direzione prenderà il settore e dove converrà investire? “Tutti i dati sono assolutamente confortanti e la crescita del 2022 nell’immobiliare è in controtendenza rispetto ad altri settori. Questo perché gli investimenti nel mattone vengono ritenuti ancora oggi elementi di grande sicurezza oltre al fatto che l’Italia, e di conseguenza anche la nostra provincia, viene molto attenzionata anche dalla clientela estera che già nell’anno 2021 ha segnato una crescita tra il 30 e il 40% negli acquisti sul nostro territorio. Le attenzioni da parte dei clienti sono sicuramente rivolte ad un mercato di immobili di qualità, che coinvolge ad esempio l’aspetto energetico ed è quindi legato alle nuove costruzioni e alle ristrutturazioni. Gli elementi essenziali rimangono comunque quelli trasversali, che riguardano la scelta della location e gli spazi esterni, con una tendenza nella prima casa ad avere maggiori metri quadri a seguito dell’aumento dello smart working”. È la prima donna presidente nella storia di Confesercenti della Lombardia orientale: come pensa di rendere più attrattiva e ospitale l’associazione di cui sarà Presidente sino al 2025? “Sono stata eletta presidente di un’associazione vitale, solida, propositiva, che ha saputo adattarsi ed organizzarsi anche rispetto all’emergenza sanitaria in modo rapido. Il Covid, in effetti, ha riportato al centro l’associato, ancora di più di quanto già non fosse. Lo sguardo ora è rivolto al futuro, con l’impegno a lavorare per ampliare ulteriormente i nostri gruppi dirigenti, favorirne il ricambio generazionale e la parità di genere (la nostra stessa Giunta è caratterizzata da una perfetta parità di genere). Rafforzeremo l’apertura verso nuove collaborazioni. Il momento è complicato, ma siamo positivi e intendiamo ripartire insieme consolidando le basi per un futuro roseo per le nostre imprese, i loro dipendenti e le loro famiglie, e quindi per tutta la nostra Confesercenti. È chiaro che essere la prima donna a ricoprire questo ruolo su questo territorio accresce la mia responsabilità”. Lo scorso ottobre è stata eletta anche presidente del Coordinamento nazionale per l’Imprenditoria Femminile della Confesercenti Nazionale: che effetto le fa rappresentare le imprenditrici e le imprese italiane? “Ne sono orgogliosa, poiché l’imprenditoria femminile – ne sono assolutamente convinta - produrrà un valore aggiunto per tutta la confederazione, grazie al lavoro di squadra tra il coordinamento nazionale e le sedi territoriali ed allo scambio costante di idee e progetti fra tutte le componenti del coordinamento. È una sfida importante che ci impegnerà nel far emergere figure nuove ai vertici direzionali e imprenditoriali, affiancandole e supportandole. In poche parole: l’obiettivo è portare valore aggiunto.”

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Eleonora Rigotti Presidente CNA Brescia

DONNA

ph: Paolo Stroppa

CHI È

Classe 1976.

Diploma di Perito aziendale corrispondente in lingue estere Dal 2005 amministratore unico Ergopulizie srl di Brescia, impresa di pulizie civili e industriali Dal 2005 al 2011 componente Comitato per la promozione dell’Imprenditorialità Femminile presso la Camera di Commercio di Brescia Dal 2009 al gennaio 2015 Vicepresidente CNA Brescia Dal 2011al 2015 Presidente CNA Impresa Donna di Brescia Dal 2012 al 2015 Presidente CNA Impresa Donna Lombardia Dal 2013 al 2017 Vice Presidente CNA Lombardia con delega Turismo Attrattività, eventi per lo sviluppo territoriale Dal 2014 Consigliere camerale CCIAA di Brescia Dal luglio 2015 al luglio 2018 Presidente Bresciatourism Scarl Dal febbraio 2015 Presidente CNA Brescia Dal 2017 componente la Direzione nazionale CNA Dal 2020 consigliere di Abem-Aeroporto Brescia Montichiari

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aB R E S C IA


Trova che la nostra città sia una città attenta alle donne? Perché sì o perché no... “La percezione è che Brescia stia mettendo in atto una cultura che valorizza la presenza delle donne e che sussistano le condizioni per una democrazia duale e paritaria, ma si può e si deve fare dì più per raggiungerla pienamente a livello sociale e lavorativo. Molte donne infatti rivestono ruoli importanti, tuttavia in un numero decisamente inferiore rispetto agli uomini. Se guardo alla mia associazione, abbiamo una rappresentanza di genere all’interno degli organismi dirigenti importante; siamo l’unica associazione bresciana ad avere espresso due presidenti donne negli ultimi mandati”.

domande&risposte

Ritiene che la situazione sia migliorata rispetto a vent’anni fa? “Ritengo che la situazione sia, in senso generale, migliorata in quanto frutto di una naturale evoluzione sotto il punto di vista culturale e dell’educazione delle giovani generazioni. Sono stati fatti passi avanti, a livello sociale, legislativo, nelle dinamiche che si sperimentano nei luoghi di lavoro. Ma c’è ancora molto da fare per raggiungere una piena parità di genere, anche se il problema tocca in minor misura le donne che, come me, hanno intrapreso un percorso di autoimprenditorialità”. In cosa ritiene che essere donna sia un vantaggio nel suo lavoro? “Non ho riscontrato particolari vantaggi nell’essere donna, piuttosto nell’essere preparata. Sia a livello lavorativo, sia associativo o personale, ho sempre investito molto in formazione e aggiornamento, perché solo una base solida di preparazione permette di affrontare serenamente il percorso professionale che si è intrapreso. Parlo naturalmente per la mia esperienza lavorativa”. Cosa vorrebbe di più per le donne? La cosa che ritiene più importante… (sicurezza, indipendenza economica, servizi per i figli, ecc) “Come detto, molto deve essere ancora fatto per arrivare ad una reale parità dì genere in termini occupazionali, gap retributivi, conciliazione tempi vita-lavoro. La gestione di genitori anziani e figli pesa più sulla donna; mancano risposte in termini dì servizi e infrastrutture a supporto delle famiglie. Personalmente, se dovessero chiedermi a cosa non rinuncerei oggi, sarebbe la mia indipendenza economica raggiunta con fatica e impegno. Sono cresciuta in una famiglia dì lavoratori che mi ha insegnato il valore del lavoro e quanto sia importante essere economicamente indipendenti”. La sua impresa di pulizie civili e industriali vanta una forte presenza femminile. Come ha già ricordato, la pluralità di genere ha senso in quanto pluralità di idee, è corretto? “La pluralità di pensiero e di idee è un valore, non solo apportato dal genere ma anche dalle differenti età, percorsi formativi e lavorativi; poi, ovviamente, conta anche il genere: è proprio dal confronto che spesso nascono le soluzioni ottimali.Tuttavia, ribadisco, prima di tutto non devono mancare competenza e impegno da parte di chi svolge un lavoro o una professione, a prescindere dal genere cui appartiene”.

ph: Sergio Nessi

Vantare un riconoscimento come il premio nazionale “Donne che ce l’hanno fatta”, immagino abbia contribuito ad infonderle ancor più fiducia in se stessa, sbaglio? “Indubbiamente, è un premio importante e mi ha fatto molto piacere riceverlo. Un riconoscimento ha anche una funzione di stimolo per crescere nella propria professione, sempre con lo sguardo rivolto al futuro”. Far fronte al cambiamento e adattarsi ai nuovi scenari: è questo l’obiettivo di CNA Brescia nel suo 50° anno di fondazione per confermarsi punto di riferimento per le imprese associate e non? “La capacità di interpretare i cambiamenti e le tendenze, dando rapida risposta al mutare delle condizioni, negli ultimi anni è stato fondamentale come mai prima. Il protrarsi della pandemia ha imposto alle imprese, e quindi anche all’associazione, un forte ripensamento del ruolo che ricopre e del proprio modus operandi; il tutto nel solco di un ricambio generazionale degli associati e della confederazione stessa. Il nostro primo obiettivo è, da sempre, fornire risposte concrete alle imprese e sarà così per gli anni a venire”. 37


Luna Teresi Insegnate di Yoga

DONNA

CHI È

aB R E S C IA

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Luna Teresi ha iniziato a praticare Yoga nel 1998, all’età di 24 anni. Presto questa passione si è trasformata in una scelta di vita, diventando dal 2003 il suo lavoro a tempo pieno. Ad oggi ha maturato oltre 26.000 ore di insegnamento attivo ed è responsabile della formazione insegnanti presso la scuola Shanti Sundari Yoga, di cui è presidente dal 2012. Fin da subito, il suo Yoga non si è limitato alla pratica sul tappetino: la sua formazione umanistica, la sua curiosità e soprattutto la ricerca di risposte l’hanno portata a voler conoscere e approfondire l’origine e i fondamenti di questa disciplina millenaria, da un punto di vista storico, letterario e filosofico. Tanti anni di studio, pratica, riflessione e insegnamento l’hanno portata ad avere una visione discriminativa e laica della disciplina Yoga, alleggerita da quegli elementi devozionali, magici o pseudoscientifici frutto della contaminazione dell’Induismo e della corrente New Age. Maestra di Yoga CSEN (equipollente ERYT-1500), durante la sua formazione ha conseguito i diplomi di insegnante di Yoga, istruttore di fitness e wellness, personal trainer, nonché istruttore e allenatore sportivo di livello europeo. Questi studi sono stati l’inizio di un’altra ricerca, che si affianca a quella filosofica: lo studio della biomeccanica, dell’anatomia e della fisiologia, che danno sostegno scientifico alla pratica.


Come interpreta lo Yoga? “Per me lo Yoga non è soltanto una particolare visione della vita e della realtà, e nemmeno una pratica che si circoscrive su un tappetino. È uno stile di vita che ci accompagna ad ogni istante ed un potente strumento per conoscere profondamente noi stessi. Contrariamente a come viene presentato, non è la panacea di tutti i mali e nemmeno una bacchetta magica che risolve tutti i problemi in poco tempo, ma un mezzo che, perché sia efficace, va vissuto e utilizzato con impegno, convinzione e costanza. La sua pratica agisce su tutto il nostro essere, ci porta a sviluppare una maggior consapevolezza, scoprire potenziali inimmaginati e ci aiuta a superare i nostri limiti“.

domande&risposte

Qual è il suo ruolo e quello della scuola? “Per chi mi ha conosciuta prima di imbattermi in questa avventura, sarebbe stato impossibile immaginarmi come sono ora: trascorrevo la maggior parte della giornata seduta a studiare ma ero incostante e totalmente persa fra le nuvole; mi sentivo incapace in qualsiasi attività fisica e mi affaticavo persino a fare una rampa di scale. Grazie allo Yoga ho scoperto che non ero senza speranze come pensavo. Potevo cambiare e con la pratica costante ho modificato le mie abitudini, il mio corpo e la mia visione del mondo. Ora il mio scopo è aiutare anche gli altri a compiere questa trasformazione e provare la stessa gioia che ho provato io. Nel tempo, accanto a me si sono raccolte altre persone accomunate dalla stessa visione e dagli stessi intenti, che ora fanno parte del nostro staff. Insegniamo un tipo di Yoga che parte dal corpo, perché il movimento è lo strumento più concreto per concentrare la mente, distogliendola dal suo rumore. La pratica fisica, già di per sé un allenamento intenso e completo che porta benessere e salute, diventa lo strumento con cui riusciamo a domare i nostri pensieri e istinti, per imparare a rispondere meglio alle sfide della vita”. Come riesce a coniugare il lavoro con gli affetti? “In realtà mi sento molto fortunata, perché condivido questo lavoro col mio compagno. Anche se ciò comporta non avere mai orari, quest’attività è la nostra passione e la scuola è un po’ come una seconda casa. Tanti allievi mi seguono da quando ho iniziato e molti rapporti umani si sono consolidati sfociando in amicizie profonde. Quindi ogni giorno sono circondata da grandi affetti anche grazie al mio lavoro!”. Ha mai avuto la sensazione di essere discriminata nel suo lavoro in quanto donna? “Nel recente passato no, ma all’inizio della mia carriera sono stata fortemente scoraggiata anche solo dal poter pensare ad una gravidanza. Quell’episodio forse riflette maggiormente un problema più generale, le poche tutele nei confronti dei lavoratori sportivi. Tornando ad oggi, essendo quotidianamente a contatto con molte persone, purtroppo possono verificarsi episodi incresciosi: dalla battutina idiota sul kamasutra fino a situazioni più spiacevoli. Tuttavia, se mi limito all’aspetto strettamente lavorativo, ho l’impressione che l’ambiente Yoga sia molto favorevole alle donne. In India, invece, le cose sono assai diverse. Durante il mio primo viaggio, muovendomi in zone poco turistiche e lontane dai consueti itinerari a misura di occidentale, tante delle persone che ho incontrato sono rimaste molto sorprese nell’apprendere che una donna potesse vivere grazie all’insegnamento dello Yoga. Mi è anche capitato che si rispondesse alle mie domande rivolgendosi solo al mio compagno, come se nemmeno esistessi. Quando lo si apprende per la prima volta si fa fatica a crederlo, ma la diffusione dello Yoga a livello mondiale, avvenuta all’inizio del secolo scorso, è stata quasi esclusivamente opera di insegnanti uomini”. Perché, se i grandi maestri erano uomini, oggi sono più le donne a praticare Yoga? “Non dimentichiamo innanzitutto che la società indiana è ancora oggi fortemente patriarcale. Tendiamo a non riconoscere le profonde differenze rispetto alla nostra cultura, specialmente quando cerchiamo di comprenderne il passato. Ad esempio, di quali grandi maestri stiamo parlando? Personaggi considerati tali in Occidente sono a volte rifiutati in India e, viceversa, esponenti là molto stimati sono spesso quasi sconosciuti da noi. Ne è un esempio Kuvalayananda: praticamente sconosciuto in Occidente ebbe invece un enorme impatto sulla pratica dello Yoga moderno. Fra i suoi meriti vi fu infatti quello di ammettere per la prima volta le donne alla pratica, intuendo il fascino che avrebbe esercitato su di loro: era il 1924!”. E oggi cosa sta succedendo? “È curioso notare come oggi l’insegnante di Yoga sia una professione molto ambita, quando solo 20 anni fa sono stata osteggiata perché non veniva considerato un lavoro serio. Purtroppo la diffusione stessa dello Yoga e l’aspettativa che crea hanno attirato la macchina del marketing e portato a una diffusione incontrollata di percorsi formativi semplici e veloci. Oggi il mercato è saturo di insegnanti improvvisati, molto attivi sui social ma spesso senza la responsabilità di una vera scuola, che diffondono un’immagine dello Yoga profondamente distorta e incentrata su un culto estetico del corpo, spesso mercificato. Sono però convinta che, accanto a tante persone che seguono e alimentano questi comportamenti, tantissime altre si pongono domande sempre più profonde. Lo Yoga identifica nell’ignoranza l’origine della sofferenza e nella conoscenza la sua cura… e la conoscenza nasce sempre dal sapersi porre delle domande”. 39


Anna Tripoli Presidente Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Brescia

DONNA

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CHI È

Foto Baggio

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Anna Tripoli, nata a Brescia nel 1984. Laureata in economia aziendale all’università Bocconi di Milano. Chief Financial Officer della Ntm Spa, azienda bresciana leader nella produzione di raccorderia e valvolame. Dal 2020 ricopre la carica di presidente dei Giovani Imprendiori di Confindustria Brescia Per lei la nostra è una città attenta alle donne? Perché sì o perché no... “Brescia è una città a misura di “persona” sotto molti punti di vista. Lo è sicuramente di più rispetto ad altre grandi città italiane. Tuttavia per definirla una città attenta alle donne c’è ancora tanto da fare, a partire dalla sicurezza. Non mi riferisco tanto al pattugliamento di alcune zone della città ma proprio a pensare ad una mobilità urbana che sia più funzionale e sicura per le donne. Spesso mi capita di non sentirmi sicura ad uscire da sola in determinati orari, che sia per una passeggiata oppure per fare la spesa, prendere la metropolitana oppure semplicemente fermarmi ad un distributore per fare benzina mentre rientro a casa dal lavoro. Credo che basterebbe adeguare i ritmi della città al fatto che la maggior parte delle donne lavora a tempo pieno e quindi dedicano a tutte le attività residuali (dalle commissioni più varie, all’andare a prendere i bambini all’asilo, o anche solo a trovare tempo per se stesse come in palestra, teatro etc) sempre più tardi. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di potenziare le aree commerciali limitrofe alle zone residenziali, non sarebbe molto più comodo per le donne avere più servizi “ sotto casa” in orari di apertura più allineati con i ritmi della donna moderna? Il mio è solo un esempio ma credo che ci possono essere tante altre buone pratiche per rendere la nostra città sempre più attenta alle donne a beneficio di tutti”.


Ritiene che la situazione sia migliorata rispetto a vent’anni fa? “Rispetto a venti anni fa sicuramente ci sono stati enormi cambiamenti e miglioramenti. Mi sento però di dire che venti anni fa il mondo era un altro! Non possiamo utilizzare come metro di misurazione dei progressi sulla parità di genere i cambiamenti che ci sono stati negli ultimi due decenni. Piuttosto un buon esercizio è vedere cosa non è cambiato, o che non è cambiato a sufficienza. Ad esempio, mi piacerebbe vedere molte più donne in politica, a tutti i livelli di amministrazione. Non credo che ciò avvenga per mancanza di interesse delle donne al tema ma più che altro che certi ruoli sono ancora considerati una prerogativa maschile e quindi è molto più difficile per una donna fare carriera politica, in Italia”.

domande&risposte

In cosa ritiene che essere donna sia un vantaggio nel suo lavoro? “Sono sincera, non sono mai stata una fan delle quote rosa perché mi piace credere in un mondo in cui ciascun individuo – uomo o donna – abbia pari opportunità di affermarsi sul lavoro o dove voglia con la sola propria determinazione. Per cui ti direi che è questa la caratteristica che più di tutte mi ha aiutato nel mio lavoro, la determinazione. tuttavia, se devo pensare ad una qualità che spesso mi ha aiutato a fare la differenza e che credo sia prettamente una qualità femminile….allora ti dico la pazienza e la cura dei dettagli. Di pazienza le donne ne hanno da vendere!”. Cosa vorrebbe di più per le donne? La cosa che ritiene più importante… “Penso che sia di estrema importanza investire, ora più che mai viste le risorse dedicate all’inclusione di donne e giovani dal PNRR, in misure che consentano alle donne di conciliare il cosiddetto lavoro di “cura” (tutto ciò che è legato alla cura della famiglia) con il lavoro professionale. e questo tengo a precisare, non è solo per assecondare un’esigenza di realizzazione personale ma soprattutto per creare forza lavoro a beneficio di tutti e alleggerire il disequilibrio economico di tantissime famiglie che si trovano a spendere quasi uno stipendio intero per una persona o un asilo cui affidare i bambini durante il giorno. Potenziare i servizi per l’infanzia a 360 gradi, sia come numero che come qualità. Fornire assistenza domiciliare ai neo genitori, prevedere una deducibilità fiscale per i beni di prima necessità per i primi 3 anni del bambino, incentivare le aziende che assumono neo mamme, finanziare la formazione per riqualificare le donne che per la maternità o per la cura della famiglia hanno perso il lavoro. potrei andare avanti all’infinito…”. La NTM, di cui è Direttore Finanza e Amministrazione, è un’azienda leader nel settore della raccorderia per impianti idrotermosanitari: oltre ad una più rassicurante gestione familiare, quale pensa siano i motivi che le hanno permesso di affermarsi anche sui mercati internazionali? “Più della metà della produzione della NTM Spa viene esportata in tutto il mondo, abbiamo chiuso il 2021 in crescita e il 2022 è iniziato molto bene. Quello che da sempre ha consentito all’azienda di affermarsi all’estero, ma anche in Italia, è la qualità del prodotto unita alla capacità industriale di realizzarlo. Non c’è cosa peggiore che avere il prodotto ma non la capacità produttiva. L’abbiamo sperimentato tutti sulla nostra pelle durante i picchi della pandemia, quando mancavano mascherine, tamponi, camici, termometri…il grosso insegnamento è stato che il benessere di un territorio è direttamente proporzionale al suo grado di indipendenza nella produzione di beni e servizi. Ed è proprio per questo che come azienda, anche nei momenti più improbabili, abbiamo sempre continuato ad investire nella nostra struttura produttiva”. Di recente ha dato alla luce Cesare: ora che ha vissuto l’esperienza del parto, ci conferma essere il momento in cui una donna si sente maggiormente realizzata? “Il 6 dicembre la mia vita è cambiata. È arrivato il mio piccolo Cesare. Non ero preparata a tanto amore, era impossibile da immaginare lo ammetto. Davanti ad una nascita ti rendi conto di quanto sia potente e perfetta la natura, e di quanto donne e uomini ne siano un piccolo tassello che completano un puzzle gigante. Sotto questo punto di vista ho vissuto la maternità più come un completamento di me stessa che una realizzazione. La vera realizzazione sarà accompagnare mio figlio nella sua ricerca della felicità, facendo tutto ciò che posso per sostenerlo e supportarlo. Detto questo la maternità è un aspetto troppo intimo nella vita di una donna per poterlo generalizzare. Per molte donne diventare mamma è l’essenza di tutto, per altre non lo è. Credo che ogni scelta di viverla o non viverla vada assecondato senza giudizi”. Una donna a capo dei Giovani Imprenditori di Confindustria: è da vent’anni che non succedeva… Come procede il tuo mandato? “La Presidenza dei Giovani di Confindustria rappresenta per me un traguardo molto importante. È passato più di un anno dalla mia elezione e mi sembra volato. Sto imparando tanto da questa esperienza crescendo personalmente sotto tanti punti di vista e conoscendo tante nuove realtà e persone. L’obiettivo del mio mandato, che ho condiviso con tutta la mia squadra a partire dai miei 5 vice, è quello di far diventare il Gruppo Giovani Imprenditori un punto di riferimento sul territorio per i giovani che vogliono fare impresa e conseguentemente per diffondere la cultura di impresa soprattutto alle nuove generazioni. in quest’anno abbiamo messo a terra tante attività, in primis la collaborazione con l’associazione territoriale Cibo per Tutti e la fondazione dello Start Up Club. Abbiamo sviluppato l’app del nostro gruppo in modo da aggiornare sempre tutti gli associati sulle nostre attività e abbiamo portato nelle scuole superiori dei percorsi formativi di autoimprenditorialità. L’associazionismo è uno strumento molto potente per raggiungere obiettivi comuni di lungo periodo”. 41


Nunzia Vallini Direttrice del Giornale di Brescia

DONNA

aB R E S C IA Giornalista

CHI È

professionista dal 1991, lavora come redattrice nella Tv Teletutto e per un ventennio collabora anche con il Corriere della Sera. Nel 2007 diventa direttore dell’emittente, nel frattempo passata nell’orbita del Giornale di Brescia di cui era corrispondente negli anni Ottanta. Ne diventa vicedirettore nel settembre 2011 (con il compito di promuovere l’integrazione tra le redazioni televisiva e cartacea del Gruppo) e direttore responsabile dal 1° ottobre 2015, prima donna a dirigere il GdB e unico direttore donna attualmente in carica nei quotidiani provinciali lombardi. Dirige oggi una redazione multimediale integrata che produce contenuti per GdB carta, web, Teletutto e Radiobresciasette.

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Lei ritiene Brescia una città attenta ai bisogni della donne? “È difficile per me rispondere ad una domanda di questo tipo: dipende dall’eccezione che vogliamo dare al termine “attenzione”. Ritengo che la nostra sia una città attenta alla dimensione umana, e non è poco, non è scontato. All’interno della dimensione umana ci sono ovviamente anche le donne. Certo, si può sempre migliorare. Ma anche nell’attenzione ai bambini, ai giovani, agli anziani, ai deboli in genere. È sul termine “attenzione” che mi piace ragionare. E non ho dubbi: Brescia è una città attenta. Alla questione di genere, che pure esiste, sovrappongo la questione del rispetto dell’altro. Della cura dell’altro. Lo vediamo nella capacità di reazione di fronte alle emergenze. Il fenomeno AiutiAMObrescia ne è un esempio straordinario. Avrei una risposta più netta alla domanda inversa: le donne si interessano alla nostra città? Si, ed è bello. Le troviamo in tutti i settori. Anche ai vertici”.

domande&risposte

Crede che la situazione sia migliorata rispetto a vent’anni fa? “Senza ombra di dubbio. Ed è un percorso in continuo divenire. Le opportunità ci sono. Ed è responsabilità primaria delle donne”. In cosa per il suo punto di vista essere donna rappresenta un vantaggio nel proprio lavoro? “La predisposizione all’inclusione, ad evitare confronti …. muscolari. La ricerca dei punti d’incontro, di compromesso. O almeno così dovrebbe”. Che effetto le fa essere la prima donna a dirigere il Giornale di Brescia dopo oltre 70 anni di storia? Per altro è stata la prima in Lombardia e la quarta in Italia ad assumere l’incarico di direttrice di un quotidiano locale di livello provinciale: un segno dei tempi… “Un segno dei tempi, sì. Basti pensare che a fine anni Ottanta, quando iniziai a collaborare per il Giornale di Brescia come corrispondente, in redazione non esistevano donne. Adesso abbiamo una “pattuglia” di tutto rispetto. E anche in posizioni di vertice: donna è una dei miei vice; donna è il direttore artistico di radio e tv. Mi piace però pensare che ciascuna di loro, comprese le redattrici, siano valutate per quello che sanno dire, dare e scrivere, e non perché donne. Esattamente come per l’uomo, giudicato per quello che è o fa, non per il genere”. Da biologa/insegnante a giornalista passionaria: guardandosi indietro è contenta di aver ripercorso le orme di suo padre Gilberto? “Ciò che ho “respirato” in casa sé stato senza ombra di dubbio determinante nelle mie scelte personali e professionali. Riavvolgendo il film della mia vita riconosco che ogni tappa è stata fondamentale, e anche quelle che mi apparivano decisioni di campo, bivi esistenziali, in realtà si sono rivelate parti di me. Mi spiego: ho creduto di scegliere tra l’insegnamento e il giornalismo e mi ritrovo oggi a rivalutare il ruolo educativo e formativo (e quindi non solo informativo) del comunicatore di professione. Al centro c’è sempre la parola. Da maneggiare con cura”. Nel giornalismo di oggi quanto è determinante vantare un’esperienza multimediale? “Siamo immersi nel multimediale, ci informiamo con lo smartphone, il giornale, la tv, la radio….Fare giornalismo oggi significa “masticare” multimedialità. E’ strada obbligata. Ma non dobbiamo mai commettere l’errore di confondere i mezzi con il contenuto…”. La notizia che le piacerebbe diffondere domani? “Una notizia da sogno: che ci siamo lasciati definitivamente alle spalle il Covid e che siamo davvero diventati tutti un po’ migliori”.

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Jennifer Guerra Giornalista

L’inferno in terra delle adolescenti afghane dopo la riconquista talebana

DONNA

aB R E S C IA

CHI È

A Kabul le studentesse nascondono i documenti che provano la loro iscrizione in università. Bruciano i vestiti e svuotano le trousse con i loro trucchi. Chiudono i profili Instagram, si procurano dei chadari, i burqa afgani. Con la riconquista talebana saranno ancora le donne a pagare il prezzo più caro. A cura di Jennifer Guerra

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.


A Kabul le studentesse nascondono i documenti che provano la loro iscrizione in università. “La mia vita”, ha raccontato al Guardian una giornalista ventiduenne rimasta anonima per ovvie ragioni di sicurezza, “è stata cancellata in pochi giorni”. Leggendo e ascoltando i racconti di queste giovani donne in fuga, non si può che pensare a questa enorme operazione di obliterazione collettiva. Tutti in Afghanistan stanno distruggendo ciò che può compromettere la sicurezza personale: libri, vestiti, carte e fogli che provino un rapporto di qualsiasi tipo con gli Occidentali. La ong Pangea, dal 2002 impegnata nella lotta alla violenza di genere in Afghanistan, sta bruciano il proprio archivio per far sì che nessuno risalga all’identità delle donne aiutate nei loro progetti o a quella delle volontarie. Mi colpisce soprattutto il destino delle mie coetanee. Nel 2001 avevo sei anni e l’11 settembre è uno dei miei primi ricordi legati alla consapevolezza dell’esistenza di un mondo esterno, al di fuori del mio quotidiano. Se dovessero chiedermi com’era la vita del mio Paese prima di quella data, non saprei cosa rispondere. Anche le ragazze afgane che hanno la mia età o sono più giovani di me non hanno memoria di come si vivesse sotto i talebani. La loro coscienza politica e sociale è maturata in un clima in cui i talebani - la cui minaccia era comunque sempre incombente - esistevano soprattutto nella concretezza dei ricordi dei loro genitori. Alcune raccontano di essersi fatte prestare i vecchi burqa che le madri indossavano prima del 2001 per portarli nei pochi giorni in cui potevano uscire prima che arrivassero i talebani. Ora sono arrivati e hanno cancellato le loro vite, spazzando via i loro studi, i loro lavori, i loro desideri e le loro istanze politiche. Nel corso di questi vent’anni, le donne afghane non si erano di certo liberate. Non a caso, il Paese è ancora considerato il peggior posto in cui nascere se sei donna e secondo Human Rights Watch l’87% delle donne afgane ha subìto violenza fisica o sessuale almeno una volta nella vita. La legge sull’eliminazione della violenza contro le donne approvata nel 2009 non è mai stata davvero implementata: una donna che subisce una violenza sessuale in Afghanistan ha più probabilità di essere incriminata per aver fatto sesso fuori dal matrimonio che di vedere in carcere il suo stupratore. Le carenze, gli abusi e le violenze di genere sono forse la dimostrazione più palese che l’uguaglianza e la democrazia non si possono imporre dall’alto o esportare senza che insieme avvenga un cambiamento culturale che parta dal basso: ogni sforzo sarà inutile e potrebbe persino peggiorare le cose.

Studentesse afghane in centro a Kabul. Quando le ragazze potevano indossare la minigonna e camminare liberamente per strada. Era il 1972.

Con la ritirata degli eserciti statunitensi e alleati e l’avanzata sempre più ostile dei talebani, la situazione è precipitata in una maniera che sembra irreparabile e con una velocità impressionante, da un giorno all’altro. I video che circolano in queste ore mostrano ragazze e bambine rapite per strada, prelevate come trofei di una guerra che non è loro e non lo è mai stata. Come ha scritto una studentessa di 24 anni anche lei rimasta anonima, le donne si sentono le vittime politiche di una guerra che gli uomini hanno cominciato e che, come tutte le guerre, si consuma a scapito della loro integrità. Così a queste ragazze e bambine non resta che cancellarsi, eliminando ogni traccia del loro corpo e della loro identità, diventando indistinguibili l’una dall’altra. A molte resterà solo la clandestinità, come quella portata avanti da Rawa, l’Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan, nata nel vicino Pakistan nel 1977, che in queste ore si sta organizzando per preparare la resistenza: “Troveremo il modo di proseguire la nostra lotta a seconda della situazione. È difficile dire come, ma sicuramente porteremo avanti le nostre attività clandestine come negli anni Novanta, durante il governo dei talebani. Certamente questo non sarà esente da rischi e pericoli, ma qualsiasi tipo di resistenza ha bisogno di sacrifici”, ha raccontato una portavoce dell’Associazione a Osservatorio Afghanistan. La missione di Rawa è innanzitutto politica e alla ricerca di una liberazione femminile autonoma e autentica che non dipenda dallo sguardo occidentale, che oggi è comunque rivolto da un’altra parte. Molte donne definite “ad alto rischio” sono fuggite o stanno fuggendo da un Paese la cui rovina è anche responsabilità nostra. Molte altre resteranno e dovranno imparare da zero come si sopravvive in un regime fondamentalista e misogino. Avranno circa la mia età e desideri conquistati a fatica in questi anni non facili, schiacciati da un giorno all’altro dalla violenza patriarcale di chi considera le donne nient’altro che come beni di cui disporre. Avranno forse dovuto distruggere le prove di chi erano, di cosa facevano o di ciò che sognavano di essere un giorno, ma questo non significa che abbiano smesso di essere loro stesse o di lottare per riaffermarlo.

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Nini Ferrari Presidente Ideazione Nuovi Progetti Rapporti Istituzionali

Tommaso Revera ph. Sergio Nessi

Contribuire

alla prevenzione del tumore al seno in giovane età facendo capire l’importanza di una diagnosi precoce: è questa la vostra mission? “ESA nasce nel 2007 da un gruppo di amiche accomunate dal medesimo intento e desiderio: essere al fianco delle donne nella sensibilizzazione alla cura della propria salute, in particolare nella prevenzione del tumore al seno, patologia che negli ultimi anni colpisce donne sempre più giovani, minando la stabilità e serenità dell'intera famiglia.

Cristiana Bossini Vicepresidente Responsabile della Comunicazione

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La diagnosi precoce è fondamentale e può salvare la vita. Sono circa 55.000 le donne che ogni anno si ammalano di tumore al seno con una percentuale di guarigione nei 5 anni pari all’88% grazie al riconoscimento della malattia in stadio iniziale. Dal 2007, anno in cui ESA, acronimo di Educazione alla salute attiva nella cura del tumore al seno, è stata fondata, sono state innumerevoli le iniziative di cui siete state promotrici: dall’assistenza alle pazienti in reparto alle iniziative volte alla prevenzione presso strutture convenzionate, dai corsi e dalle consulenze nutrizionali alle donazioni.

A FIANCO DELLE DONNE SEMPRE!

Alessandra Frigo Tesoriere contabilità gestione ambito legale


Elena Ravelli Organizzazione Festa Biennale Ambassador di ESA

Quale progetto che vi ha dato particolare soddisfazione portare a termine? “Abbiamo iniziato a muovere i primi passi nel mondo della prevenzione e dell’Associazionismo promuovendo iniziative che potessero essere d’aiuto alle donne. Ogni progetto è stato importante per noi e ci ha dato grande soddisfazione, ma quello che più ci sta a cuore essendo stato uno dei primi progetti ESA - e quello che consideriamo, ancora oggi, il nostro fiore all’occhiello - è il “Progetto Familiarità”. Non perché sia più importante rispetto agli altri, ma perché solo noi lo abbiamo pensato, analizzato, studiato e realizzato sul nostro territorio; grazie a questo progetto, tutte le parenti di 1° e 2° grado di donne operate di cancro alla mammella possono eseguire gratuitamente un’ecografia e/o una mammografia (dipende dall’età della paziente) a partire dai 25 fino ai 47 anni, momento in cui in Lombardia inizia lo screening mammografico regionale”. Quali sono le iniziative più rilevanti che avete in programma per questo nuovo anno? “Il 2022 sarà l'anno della ripartenza e visto il rallentamento dei controlli senologici di screening generato dalla pandemia puntiamo sul "Progetto Olimpia", nato poco prima dell’era Covid, che prende il nome dalla prima azienda bresciana che ci ha dato fiducia aiutandoci a sviluppare il progetto.

Barbara Barbisoni Ambassador di ESA

Carla Faini Ambassador di ESA

Donne impegnate nella sensibilizzazione alla cura della salute di altre donne: questo sì che è un esempio tangibile di solidarietà femminile…

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ph: Sergio Nessi

Francesca Di Monda Responsabile progetto Yoga e tecniche di rilassamento

Sabrina Ogna Segreteria e Rapporti con le associate ESA e organizzazione Festa Biennale

Cristina Zangaro Progetto Olimpia Gestione bandi e concorsi

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La diagnosi di tumore al seno è oggi diffusa fra donne sotto i 50 anni, quindi in età lavorativa. Da qui è nata l’idea di coinvolgere le donne lavoratrici e le aziende in un progetto di progetto di Welfare Aziendale dando la possibilità alle dipendenti di poter effettuare il controllo annuale con ecografia e/o mammografia. Stiamo riscuotendo un grande interesse da parte delle aziende bresciane e, come spesso accade nel nostro territorio, una forte sensibilità da parte degli imprenditori che hanno a cuore la salute delle proprie dipendenti donne lavoratrici. Il team di ESA è composto da 14 donne: quali sono le motivazioni che vi hanno spinto ad intraprendere questo percorso nella giungla degli impegni quotidiani? “Siamo 14 donne amiche, alcune lo sono dall’inizio della nostra avventura condivisa, altre lo sono diventate lavorando insieme per far crescere ESA. Alcune di noi hanno incontrato la malattia e portano un bagaglio di esperienza che completa il lavoro di chi dona il proprio tempo a favore degli altri. Tutte noi siamo impegnate nel lavoro e nella famiglia o - come dice lei - nella giungla della vita quotidiana, ma questo non ci impedisce di fare del bene e aiutare altre donne. Fare del bene… fa bene! Questo è l’obiettivo comune che condividiamo, il fil rouge che ci tiene unite e che ci fa guardare nella stessa direzione”. Quanto vi ha condizionato la pandemia nello svolgimento della vostra attività di sensibilizzazione? “Purtroppo sono stati anni molto complicati che ci hanno costretto a sospendere numerose attività che sostenevamo da anni, come il progetto "Bella anche in Ospedale", che vede attive tre delle nostre volontarie nei diversi ospedali cittadini nell’insegnare alle pazienti oncologiche l’arte del trucco per potersi vedere belle anche durante il periodo drammatico e difficile delle terapie oncologiche; i laboratori di kintsugi, il corso di yoga e quello di estetica oncologica, tutte attività che ESA ritiene fondamentali accessori alle terapie farmacologiche e terapeutiche per migliorare la qualità di vita delle pazienti”.

Anna Capuzzi Volontaria presso la Breast Unit degli Spedali Civili di Brescia


Cecilia Padovani Organizzazione delle giornate Salute Seno Ambassador di ESA

Cristina Lanzani Ambassador di ESA

Affrontare la battaglia contro il cancro avendo accanto qualcuno che ha già affrontato queste paure e che testimonia che si può vincere, che i medici sono bravi, che le cure sono all’avanguardia, che si tornerà a stare bene e che bisogna avere coraggio, aiuta chi ha da poco iniziato il percorso oncologico a vivere questa tremenda esperienza con più speranza, non è così? “È fondamentale avere accanto qualcuno che già ha affrontato e VINTO la battaglia più difficile della propria vita. Sapere di avere qualcuno che capisce e condivide con te questo percorso è psicologicamente determinante. Sapere di non essere sole e che una mano da poter stringere, uno sguardo sereno da poter incrociare ed un sorriso che scalda il cuore, dalla parte di ESA c’è - e ci sarà sempre - è di grande supporto alle donne a cui offriamo la nostra assistenza. Questa è la nostra forza e la nostra missione. Al fianco delle donne, sempre”.

Laura Monsi Volontaria presso la Breast Unit degli Spedali Civili di Brescia

Adele Aprile Responsabile del progetto Bella anche in ospedale

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Liliana Segre Liliana Segre nata a Milano nel 1930 in una famiglia ebrea. Deportata ad Auschwitz-Birkenau all’età di tredici anni, ha perso nel lager il padre e i nonni paterni. Oggi ha tre figli e tre nipoti. Nel 1990 ha incominciato a raccontare la sua esperienza da sopravvissuta e ha ricevuto numerosi riconoscimenti e onorificenze per il suo impegno di testimone. Il 19 gennaio 2018 è stata nominata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella senatrice a vita “per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale”. Nel 2005 è gli è stata conferita la cittadinaza onoraria a Bergamo.

UNA ADOLESCENTE AD AUSCHWITZ 1938 Ero piccola nel 1938, avevo otto anni quando seppi che, per le nuove leggi «razziali», non avrei più potuto andare alla scuola pubblica di via Ruffini. Il mancato senso di appartenenza all’ebraismo fece sì che i miei familiari non mi mandassero a quella gloriosa scuola di via Eupili della quale tanti amici ricordano l’atmosfera particolare e positiva: mi mandarono dalle suore. Erano buone le Marcelline, così femminili nel frusciare di veli ad ogni mossa: le osservavo, un universo profumato di incenso - mi trovai bene, ma fui per sempre «la Segre» segnata da tante disgrazie di cui non le si doveva parlare. Nella mia casa di corso Magenta, calma e dolce atmosfera di affetti, era calata una tristezza preoccupata di cui intuivo la minaccia segreta, senza conoscerne la cause. La nostra vecchia fedele cameriera Susanna, con noi da più di trent’anni, aveva dovuto lasciarci perché agli ebrei, tra l’altro, era proibito avere domestici «anan1». Era strano non vederla per casa e non sentire il suo fitto chiacchiericcio piemontese. Andava la nonna Olga ad aprire la porta; venivano spesso dei poliziotti a controllare i nostri documenti: la nonna li faceva accomodare in salotto e offriva loro dei dolcetti col suo garbo ottocentesco, li metteva in imbarazzo, non riuscivano a trattarla come una «nemica della Patria»; lei mi mandava di là, a giocare; chiudeva la porta, ma io sapevo che la polizia non andava nelle case delle altre bambine ...

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1942 Dopo i bombardamenti su Milano dell’ottobre 1942, sfollammo in un paesino della Brianza. «Annali di storia dell’educazione», 1999, 6, pp. 351-356. Fu allora che mi resi veramente conto del peggioramento della nostra condizione di vita: la casa affittata era modesta, molto fredda in quell’inverno di guerra senza riscal-

“Mi sono chiesta spesso che donna sarei stata senza l’esperienza di Auschwitz. Naturalmente non ho trovato risposta. Certo non mi è facile ricordare quei tempi, quei luoghi e le persone di allora senza provare un terribile senso di solitudine e di temuta impossibilità di trasmettere e di comunicare”. damento. Da mille particolari capivo quanto fosse cambiata la nostra situazione finanziaria, sentivo parlare di soldi e di quanto fosse incerto il nostro futuro. Non potevo più andare a scuola e stavo tutto il giorno con il mio amatissimo nonno Pippo, malato gravemente del morbo di Parkinson, lui tremava così tanto che era completamente invalido, non poteva nemmeno girare le pagine di un giornale o di un libro! Era stato un uomo forte, onesto, grande lavoratore: doveva essere accudito come un bambino ed era così avvilito per la situazione sua e della sua famiglia che piangeva sempre. Io cercavo di improvvisare per lui delle pantomime, delle recite assurde pur di strappargli un piccolo sorriso e gli asciugavo le lagrime. Lui e la nonna furono arrestati, deportati ad Auschwitz e là uccisi all’arrivo, nel maggio 1944. Per la colpa di essere nati. 1943 Ero felice anch’io della caduta del fascismo e seguivo le vicende della guerra con partecipazione adulta; ma con 1’8 settembre vidi crollare tutte le nostre speranze e vidi andare in pezzi tutto il nostro mondo. I tedeschi, diventati padroni dell’Italia del Nord, misero subito in pratica le leggi di Norimberga che condannavano a deportazione e morte tutti gli ebrei. Iniziarono subito i rastrellamenti: era il terrore, la fuga, la ricerca di un posto dove nascondersi, cambiando identità. Lasciai per sempre i miei nonni e la mia casa perché mio papà mi mandò da amici fedeli e coraggiosi che mi nascosero per due mesi circa, rischiando la vita. Poi tentammo l’espatrio in Svizzera: mi sembrava di vivere un’avventura pericolosa, ma esaltante (eravamo tranquilli per i nonni che avevano avuto un permesso di soggiorno vista l’età e lo stato di salute ... nessuno avrebbe immaginato l’inutilità di quel permesso).


Correvo sulla montagna con la mano nella mano di mio papà mentre i contrabbandieri ci spronavano ad andare più in fretta per il pericolo delle ronde sul confine. Ci lasciarono in cima ad una cava di sassi e scendemmo, con tanta fatica, verso la libertà: la pietraia, il bosco fitto, i prati bagnati, era la Svizzera! Una sentinella indifferente ci accompagnò al posto di polizia di Arzo e lì un ufficiale ci trattò subito con disprezzo, incredulità, distacco. Insensibile a suppliche e pianti ci rimandò indietro, verso quella rete di confine che segnò la fine di ogni speranza, perché lì fummo arrestati da finanzieri italiani che ci consegnarono alle SS. Era la colpa di essere nati. IL VIAGGIO Negli ultimi giorni di gennaio il quinto raggio del carcere di San Vittore si era riempito di ebrei che arrivavano da tutta Italia; eravamo circa settecento. Nella nostra cella entrarono timidamente due sposini di Torino, Aldo e Bian­ca Levi, quasi a chiederci scusa della forzata ospitalità. Si sistemarono sulla bran­da dove dormiva papà, lui si mise sul pagliericcio, per terra, vicino a me. Dor­mivamo pochissimo, stavamo zitti per non disturbare gli altri . Faceva freddo - dormivamo vestiti. Aspettavamo notizie - nell’attesa fingevamo un distacco benevolo, quasi ot­timista. In realtà non parlavamo che del nostro destino e un’ansia devastante tra­sformava ogni nostra azione, anche la più sciocca, in un caso irripetibile. Ad un certo punto, credo nel pomeriggio, entrò nel raggio un tedesco che les­se i nomi di quelli che sarebbero partiti il giorno dopo per ignota destinazione. Erano circa 650 nomi, non finiva più. Pochissimi furono i «non chiamati», qua­si tutti coniugi o figli di matrimonio misto. Rino Ravenna, sentito il suo nome, senza una parola, si allontanò dal grup­po dei condannati. Sul paletot nero, ormai impolverato e grigiastro, risaltava il collo di canapina dal quale i nostri aguzzini avevano strappato la guarnizione di astrakan. Poco dopo sentimmo un tonfo sordo . Si era buttato giù dal ballatoio dell’ul­timo piano ed era morto sul colpo, là, sull’impiantito del raggio. Era sfuggito al viaggio. Noi tutti ci preparammo a partire; ci furono distribuiti dei cestini di carta con 7 porzioni di galletta, 7 di mortadella, 7 di latte condensato. Perché 7? Perché 7? Come facevo a guardare mio papà? Come facevo a chiedergli la ragione di quello che ci stava accadendo? In quelle ultime ore a San Vittore tacevo, ma ogni tanto mi allontanavo da lui, correvo come una pazza su su fino alle grandi celle comuni dell’ultimo piano per vedere tutta quella gente sconosciuta che si preparava a partire, con gesti uguali. Era la deportazione annunciata, ne facevo parte anch’io, la principessa del mio papà. La mattina dopo, era il 30 gennaio 1944, una lunga fila silenziosa e dolente uscì dal quinto raggio per arrivare al cortile del carcere. Attraversammo un altro raggio di detenuti comuni. Essi si sporgevano dai ballatoi e ci buttavano aranci, mele, biscotti ma, soprattutto, ci urlavano parole di incoraggiamento, di solida­rietà e benedizioni! Furono straordinari - furono uomini che vedendo altri uomini andare al ma­cello solo per la colpa di essere nati da un grembo e non da un altro, ne aveva­no pietà. Fu l’ultimo contatto con essere umani. Poi, caricati violentemente sui camion, traversammo la città deserta e, all’in­crocio di via Carducci, vidi la mia casa di corso Magenta 55 sfuggire alla mia vi­sta dall’angolo del telone: mai più, mai più. Arrivati alla Stazione Centrale, la fila dei camion infilò i sotterranei enormi passando dal sottopassaggio di via Ferrante Aporti; fummo sbarcati proprio da­vanti ai binari di manovra che sono ancor oggi nel ventre dell’edificio. Il passaggio fu velocissimo: SS e repubblichini non persero tempo: in fretta, a calci, pugni e bastonate, ci caricarono sui vagoni bestiame. Non appena un va­gone era pieno, veniva sprangato

e portato con un elevatore alla banchina di partenza. Fino a quando le vetture furono agganciate, nessuno di noi si rese conto della realtà. Tutto si era svolto nel buio del sotterraneo della Stazione, illuminato da fari potenti nei punti strategici, fra grida, latrati, fischi e violenze terroriz­zanti. Nel vagone era buio, c’erano un po’ di paglia per terra e un secchio per i nostri bisogni. Il treno si mosse e sembrò puntare verso Sud, andava molto piano, ferman­dosi, a volte per ore. Dalle grate vedevamo la campagna emiliana nelle brume dell’inverno e stazioni deserte dai nomi familiari. Gli adulti dimostravano un certo sollievo visto che il treno non era diretto al confine , ma alla sera ci fu un’inversione di marcia e quella notte nessuno dormì. Tutti piangevano, nessuno si rassegnava al fatto che stavamo andando verso Nord, verso l’Austria. Era un coro di singhiozzi che copriva il rumore delle ruote. All’alba il treno si fermò e con sgomento vedemmo scendere i ferrovieri ita­ liani e salire i sostituti, forse austriaci, forse tedeschi. Dai vagoni piombati saliva un coro di urla, di richiami, di implorazioni: nes­suno ascoltava. Il treno ripartì. Il vagone era fetido e freddo, odore di urina, visi grigi, gambe anchilosate, non avevamo spazio per muoverci. I pianti si acquietavano in una disperazione assoluta. Io non avevo né fame né sete; mi prese una specie di inedia allucinata come quando si ha la febbre alta; quando riuscivo a riflettere pensavo che, forse, sen­za di me, papà avrebbe potuto scappare da San Vitt ore, saltare quel muro come aveva proposto Peppino Levi, o forse no; mi stringevo a lui che era distrutto, pallido, gli occhi cerchiati di rosso di chi non dorme da giorni. Mi esortava a mangiare qualcosa, aveva ancora per me una scaglia di cioccolato. La mettevo in bocca per fargli piacere, ma non riuscivo ad inghiottire nulla. Nel centro del vagone si formò un gruppo di preghiera: alcuni uomini pii, fra i quali ricordo il signor Silvera, si dondolarono a lungo recitando i Salmi - mi sembrava che non finissero mai: erano i più fortunati.Le ore passavano, così le notti ed i giorni in un’abulia totale: era difficile cal­colare il tempo. Pochissimi avevano ancora un orologio ed anche quei pochi pri­vilegiati non lo guardavano più. Ogni tanto vedevo qualcuno alzarsi con fatica e cercare di capire dove fossimo, guardando dalle grate, schermate con stracci, per riparare dal gelo quel carico umano: si vedeva un paesaggio immerso nella neve, si vedevano casette civettuole, camini fumanti, campanili...

Liliana Segre a 13 anni nel 1943, pochi mesi prima dell’arresto a cui seguì la deportazione 51


Liliana Segre

Prima che cominciasse la Foresta Nera, il treno si fermò e qualcuno poté scen­dere tra le SS armate fino ai denti, per prendere un po’ d’acqua e vuotare il sec­chio immondo. Anch’io e mio papà scendemmo e vedemmo per la prima volta scritto col gesso sul vagone: «Auschwitz bei Katowice»! Capimmo che quella era la nostra meta. Il treno ripartì quasi subito e la no­tizia della nostra destinazione gettò tutti in una muta disperazione. Fu silenzio nel vagone in quegli ultimi giorni . Nessuno più piangeva, né si lamentava. Ognuno taceva con la dignità e la consapevolezza delle ultime cose. Eravamo alla vigilia della morte per la maggior parte di noi. Non c’era più niente da dire. Ci stringevamo ai nostri cari e trasmettevamo il nostro amore come un ulti­mo saluto. Era il silenzio essenziale dei momenti decisivi della vita di ognuno Poi, poi, all’arrivo fu Auschwitz ed il rumore assordante e osceno degli assassini intorno a noi. 1944 LA STANZA La stanza era grande, lunga, stretta e vuota completamente. C’erano due porte ed una finestra piccola e, vicino alla finestra, una stufa. La stufa era di ferro, era tiepida appena, ma quel leggero calore era annullato dalla corrente gelida che veniva dalla finestra. Stavo attaccata alla stufa e guardavo fuori la distesa di neve e la macchia in­ distinta delle prigioniere, in fila, lontane, verso i fili spinati. Avevo una consapevolezza nuova del mio cranio rasato e della mia nudità. La rasatura era stata crudele, la macchinetta passava duramente sulla povera testa quasi ormai pelata e i miei capelli, neri, lunghi e ricci erano per terra: non avevo potuto tenere per me nemmeno il nastrino verde che li legava nella mia vita precedente, unico pegno rimasto. Non ero mai stata così sola e così infelice; le ore passavano, ogni tanto en­travano dei soldati, mi guardavano, ridevano, si scambiavano battute di spregio. Avevo fame, sete e freddo: nessuno mi diede nulla né da bere né da mangia­re né da coprirmi. Aspettavo, dopo una doccia, che i miei vestiti venissero disinfestati dai pi­docchi. La scoperta di un insetto schifoso sulla mia testa e il conseguente mio gesto di disperato ribrezzo avevano attratto l’attenzione della 52

kapò che mi aveva mandato subito alla disinfestazione e alla rasatura: io, la fortunata alla quale, un mese prima, all’arrivo a Birkenau, non erano stati tagliati i capelli come a tutte le altre prigioniere, per un capriccio della sorvegliante. La mia faccia era terribile, riflessa nel vetro, mi facevo paura, volevo piange­re, volevo urlare al mondo la mia disperazione: era inutile, perché quel cielo gri­gio era sordo e muto. Dopo ore entrò una ragazza poco più grande di me, anche lei nuda, rapata e spaventata; si avvicinò alla stufa e ci guardammo con pietà fraterna, già amiche, già sorelle, con occhi adulti.Tentammo in tutti i modi di parlarci, ma non ci ca­pivamo assolutamente. Allora non so più a chi delle due venne in mente di ten­tare con il latino, quel latino scolastico della nostra scuola lontana. E fu fanta­stico poterci scambiare semplici brevi frasi... pulchra erat domus mea - dulcis est familia mea - cor meum et anima mea tristia sunt... Fu molto importante quel momento e anche se non ho mai saputo il nome di quella ragazza, con lei ho vissuto ore di altissima affinità spirituale e la con­divisione massima di una condizione umana bestiale; spero con tutto il cuore che anche lei sia tornata a raccontare di quel giorno di marzo del 1944 nella Sau­na di Birkenau. 1944 LA SELEZIONE Il Lager si preparava alla cerimonia della selezione per mandare a morte lepri­pioniere che non erano più in grado di lavorare.Venivamo chiuse nelle baracche dalle kapò. Non c’era il tempo di riflettere né di chiedere spiegazioni alle compagne più vecchie di noi, tutto avveniva in grandissima fretta fra urli, latrati e fischi; a gruppi venivamo portate nei locali delle docce e lì obbligate a sfilare nude una per una davanti ad un gruppetto di SS che ci scrutavano e decidevano, consultandosi, se sì o se NO. Ricordo la mia ve~gogna, la mia paura di essere mandata al gas. Non li guardavo in faccia, guardavo avanti e sentivo il cuore che batteva all’impazzata e poi, man mano, si calmava quando l’aguzzino faceva cenno, senza parlare, che potevo andare. Mi rivestivo dei miei stracci e non mi voltavo a guardare chi era stata fermata. lo ero viva. 1945 LA MARCIA Ero nel Lager da un anno e da un anno lavoravo alla fabbrica UNION come operaia; ero magrissima, dura, affamata. Da qualche settimana sentivamo passare aerei e a volte suonava l’allarme: non sapevamo nulla di quello che succedeva fuori, eravamo isolate dal resto del mondo. Senza preavviso, alla fine di gennaio, fummo incolonnate, fatte uscire dalla fabbrica e avviate a piedi verso il Nord della Germania, le nostre sentinelle al fianco. Una lunga fila obbligata a marciare nella neve, giornate senza tempo, luoghi sconosciuti, case deserte e sbarrate, cielo stellato, vento gelido. Avevamo i piedi piagati. Ai bordi ph: Paolo Stroppa della strada molti cadaveri scomposti, morti senza tomba: erano le prigioniere, cadute per la debolezza, che erano state finite con una fucilata alla testa dalle guardie della scorta. Fu chiamata la marcia della morte. Camminammo per giorni, trovando qualcosa da mangiare negli immondezzai, mangiando la neve, dormendo a volte in piccole stazioni abbandonate, in fienili semidiroccati dai bombardamenti. Poi arrivammo a Ravensbruck, poi ci fu ancora lo Jugend Lager e il Lager di Marchow. Ero a Marchow quando arrivò la primavera e quel primo tiepido sole sembrò più che mai un miracolo a noi che eravamo ancora vive e sembrò un miracolo vedere e sapere che i nostri assassini stavano perdendo la guerra. Portavano via documenti e prove dei loro delitti, fuggivano! La guerra stava per finire e stavano arrivando i russi da Est e gli americani da Ovest. Era una felicità immensa, difficile da sopportare! Era il Primo maggio del 1945 quando vidi arrivare sulla strada una jeep americana: capii che ero libera, che avrei potuto ancora ridere, piangere e sognare. Avevo 14 anni e pesavo 30 chili. (Liliana Segre)



PARITÀ DI GENERE SOLO IN GUERRA

LA STORIA DELLE GUERRIGLIERE COLOMBIANE CHE RISCHIANO DI DOVER TORNARE A FARE LE CASALINGHE MOLTE DONNE E RAGAZZE DELLE ZONE RURALI SI SONO UNITE ALLE FARC PER SFUGGIRE AI TRADIZIONALI RUOLI DI GENERE di Carlotta Sisti

Per oltre 50 anni il governo colombiano è stato in guerra con le FARC, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia, un esercito di guerriglia marxista-leninista che, al suo apice, sosteneva di avere fino a 20.000 membri e che si batteva per le riforme agrarie, per la redistribuzione della ricchezza e per ridurre le disuguaglianze in il paese, spesso con metodi sanguinosi.


I negoziati per porre fine al conflitto sono iniziati all'Avana nel 2012 e un accordo di pace è stato approvato nel 2016 dal Congresso colombiano. Nel paese dell'America Latina che nel 2019 ha eletto sindaca della capitale Bogotà (la seconda carica politica più importante, che viene subito dopo la presidenza) Claudia Lopez, femminista, lesbica, ecologista, c'è anche una lunghissima tradizione di guerrigliere donne, che, oggi, stanno vivendo un momento di profonda crisi, proprio a causa di quel trattato. Lo scenario post-pace, infatti, è per loro un vero tradimento femminista, simile a quelli avvenuti ovunque nel mondo, dal Nepal allo Sri Lanka, dal Guatemala fino ai paesi africani come la Repubblica Democratica del Congo, la Sierra Leone e la Liberia. E questo perché in questi Stati l'emancipazione, o meglio, la via di fuga da una inevitabile quanto odiosa sorte di relegazione al ruolo di moglie e madre bambina, era rappresentata proprio dalla guerriglia. Le donne delle FARC reclutavano regolarmente ragazze minorenni per combattere contro il governo colombiano, provenienti soprattutto dalla zone rurali, dichiarando loro che uomini e donne, nei loro ranghi, erano uguali. Così è stato per Esmeralda Ranjel, che ha preso le armi a 13 anni, e lo ha fatto perché, come racconta oggi che ha poco più di 40 anni al magazine Foreign Policy, non vedeva “altra opzione, perché sono cresciuta in una famiglia povera, lungo la costa caraibica, e non ho potuto frequentare la scuola dopo la prima media”. In una cultura che guarda alle donne come adatte solo a cucinare, pulire e avere figli, ha visto la sua vita trasformarsi in un vicolo cieco. Quando i guerriglieri del gruppo ribelle di sinistra delle Farc sono arrivati ​​nella sua comunità nel 1993, li ha visti come una salvezza. Ranjel si unì al gruppo, indossò un’uniforme mimetica e trascorse i successivi decenni vagando per le giungle vicino alle montagne della Sierra Nevada con la sua pistola. In guerra, dove gli uomini cucinavano e pulivano con la stessa frequenza con cui le donne marciavano in combattimento, Ranjel e altre donne come lei sentivano, almeno in superficie, un livello di liberazione che non avevano mai sperimentato prima. Cinque anni dopo lo storico accordo di pace che le Farc hanno firmato un con il governo colombiano, donne come Ranjel sono precipitate in una dura realtà che sa di un passato che appare loro lontanissimo e irreale: i ruoli di genere tradizionali, proprio quelli a cui erano scappate prendendo le armi, sono tornati, e le ex combattenti stanno affrontando, ora, un momento complesso, di resa dei conti, con al centro la visione agghiacciante di quella narrazioni sull'uguaglianza di genere che se ne vanno in pezzi. Mentre quegli accordi di pace stanno iniziando, per altro, a sgretolarsi, le donne guerrigliere si chiedono cosa sia rimasto loro. “Hanno sperimentato questa uguaglianza e responsabilizzazione nei gruppi armati - ha detto su questo Sanne Weber, una ricercatrice dell'Università di Birmingham che ha trascorso anni a studiare le ex combattenti - Poi, deposte le armi, viene chiesto loro di tornare ai loro vecchi ruoli di genere. Le donne cambiano, ma la società no, non cambia davvero”. Dal 2016 a oggi, migliaia di ex combattenti si sono trasferite in campi temporanei in luoghi isolati della Colombia, dove avrebbero dovuto imparare a reintegrarsi nella società dopo decenni di clandestinità, e soprattutto dove sviluppare progetti economici per potersi mantenere. Altre hanno rischiato, scegliendo di provare a vivere in città, spesso da sole e con addosso lo stigma per il loro ruolo nel gruppo ribelle. In quel breve lasso di tempo nel quale pulsava ancora la speranza, sulla scia dell'agognata pace e delle promesse di riforme, c'è stato un baby boom tra le ex Farc, che durante la militanza non potevano avere figli ed erano incoraggiate, se non costrette, ad abortire, se volevano continuare a combattere.

La narrativa “romanticizzata” dell’uguaglianza di genere delle FARC è stata sempre più messa in discussione, spiega la ricercatrice Weber: “Uomini e donne cucinavano, lavavano i vestiti, facevano la guardia, quindi le persone ricordano davvero questa esperienza di uguaglianza, ma non è che le donne fossero effettivamente uguali. Il reclutamento femminile era, di fatti, meno una volontà di uguaglianza e più una tattica per rafforzare le truppe. Le donne hanno sperimentato un certo grado di liberazione nei ranghi inferiori, ma raramente hanno penetrato la leadership superiore del gruppo armato. Alle donne combattenti di tutti i ranghi era spesso richiesto di usare la contraccezione. Se rimanevano incinte, come capitava a molte, dovevano scegliere tra abortire o affidare il bambino ai civili per allevarlo, cosa che le Farc difendevano come una necessità della guerra”. Nel 2019, l’alta corte colombiana ha preso su questo una decisione storica, dichiarando che una donna che era stata reclutata dalle Farc all’età di 14 anni e costretta ad abortire dai suoi comandanti, poteva essere ufficialmente considerata una vittima del conflitto colombiano e inclusa nel Registro delle Vittime, che fornisce risorse come risarcimenti monetari e servizi sanitari. Nel campo di Pondores di Ranjel, uno dei 24 campi sparsi in tutto il paese, sulla scia degli accordi e probabilmente come reazione a quelle imposizioni, sono nati 89 bambini. Ma egli ultimi anni, con un governo di destra che non ha concretizzati alcuni punti chiave del trattato come lo sviluppo delle zone rurali, hanno scatenato nuove ondate di violenza, ma ha soprattutto picchiato duro, in modo sproporzionato, contro le ex madri combattenti. Geiner Arrieta, che si fa chiamare “Henry” ed è un leader nel campo di Ranjel, ha spiegato a FP come si sia “creato un circolo vizioso per le donne, che ostacola ulteriormente i loro già tesi sforzi per reintegrarsi nella società. Dopo il baby boom, inoltre, molti padri ex combattenti hanno lasciato le madri dei loro figli per donne civili che sono più abituate ai ruoli di genere storici”. Adriana, che oggi ha 38 anni e ne aveva 20 quando si è unita ai gruppi armati, ha spiegato al Guardian che “la priorità oggi è educare la società colombiana alla giustizia sociale. Siamo in missione per responsabilizzare le donne comuni sui loro diritti. Non stiamo smobilitando, ci stiamo mobilitando politicamente”. Anche Victoria Sandino, comandante delle Farc e co-presidente della Sottocommissione di genere a L’Avana, afferma che adesso l’obiettivo principale delle Farc è assicurarsi che le donne, combattenti e vittime, possano vivere nell’era post-bellica con gli stessi diritti degli uomini: “Dobbiamo lavorare per cambiare la mentalità degli uomini colombiani e sviluppare nuove mascolinità. Abbiamo bisogno che i nostri uomini, i nostri mariti, i nostri compagni, siano ben istruiti in modo che riconoscano il potenziale delle donne, permettendoci di assumere nuovi ruoli nella società”. “La pace è la vittoria più bella di tutte”, recitava un motto molto condiviso nei mesi che seguirono gli accordi del 2016. Il presente, però, devo ancora dimostrare se questa frase diventerà realtà, per le donne smobilitate delle Farc, che stanno cercando di intraprendere il loro nuovo progetto di parità di genere, ma che in questo sono abbandonate persino da coloro che sono stati, in teoria, i loro principali alleati.


56Francesco Vinea,

Il ballo sul prato. Collezione Segalini


DONNE

NELL’ARTE

La mostra DONNE NELL’ARTE. Da Tiziano a Boldini, che documenta quanto la rappresentazione dell’universo femminile abbia giocato un ruolo determinante nella storia dell’arte italiana lungo un periodo di quattro secoli, dagli albori del Rinascimento al Barocco, fino alla Belle Époque, riprende il proprio cammino, dopo lo stop imposto dalla diffusione della pandemia. “Dopo un primo rinvio - ha affermato Roberta Bellino, presidente dell’Associazione Amici di Palazzo Martinengo - abbiamo deciso di comune accordo con

DAME ELEGANTI, MADRI AFFETTUOSE, EROINE MITOLOGICHE, SEDUCENTI MODELLE E INSTANCABILI POPOLANE TORNANO AD ABITARE LE SALE DI PALAZZO MARTINENGO A BRESCIA. FINO AL 12 GIUGNO 2022

DAVIDE DOTTI, CURATORE DELLA MOSTRA

la Fondazione Provincia di Brescia Eventi e la Provincia di Brescia di chiudere la rassegna, con la promessa di ritrovarci quando la situazione si sarebbe prospettata più tranquilla da un punto di vista sanitario. Eccoci quindi a riproporre un’iniziativa che, in poco più di un mese di apertura, stava riscuotendo un ottimo riscontro di pubblico, con oltre 22.000 visitatori”. “Tutte le persone - prosegue Roberta Bellino – che avevano acquistato il biglietto d’ingresso in prevendita, potranno utilizzare il tagliando, semplicemente presentandolo alla biglietteria di Palazzo Martinengo”.

IL PERCORSO ESPOSITIVO È SUDDIVISO IN OTTO SEZIONI TEMATICHE - SANTE ED EROINE BIBLICHE; MITOLOGIA IN ROSA E STORIA ANTICA; RITRATTI DI DONNE; NATURA MORTA AL FEMMINILE; MATERNITÀ; LAVORO; VITA QUOTIDIANA; NUDO E SENSUALITÀ

DONNE NELL’ARTE. Da Tiziano a Boldini, curata da Davide Dotti, organizzata dall’Associazione Amici di Palazzo Martinengo, col patrocinio della Provincia di Brescia, del Comune di Brescia e della Fondazione Provincia di Brescia Eventi, in partnership con Fondazione Marcegaglia onlus, presenta oltre 90 capolavori di artisti quali Tiziano, Guercino, Pitocchetto, Appiani, Hayez, Corcos, Zandomeneghi e Boldini che, con le loro opere, hanno saputo rappresentare la personalità, la raffinatezza, il carattere, la sensualità e le più sottili sfumature dell’emisfero femminile, ponendo particolare attenzione alla moda, alle acconciature e agli accessori tipici di ogni epoca e contesto geografico. 57


DONNE

NELL’ARTE Grazie alla collaborazione con la Fondazione Marcegaglia Onlus, è possibile approfondire tramite appositi pannelli di sala alcune tematiche di grande attualità sociale e mediatica quali le disparità tra uomini e donne, il lavoro femminile, le violenze domestiche, l’emarginazione sociale e le nuove povertà. Le opere d’arte diverranno quindi formidabili veicoli per sensibilizzare il pubblico - soprattutto quello più giovane - verso argomenti di grande importanza socio-culturale. “Il tema della donna – afferma il curatore Davide Dotti – è così affascinante e coinvolgente che gli artisti, soprattutto tra XVI e XIX secolo, lo hanno indagato da ogni prospettiva iconografica, eternando le “divine creature” in capolavori che tutt’oggi seducono fatalmente il nostro sguardo. Per il visitatore è l’occasione di compiere un emozionante viaggio ricco di sorprese, impreziosito da dipinti inediti scoperti di recente in prestigiose collezioni private, opere mai esposte prima d’ora, e incontri ravvicinati con celebri donne del passato, tra cui la bresciana Francesca (Fanny) Lechi, ritratta nel 1803 dal grande Andrea Appiani in una straordinaria tela che dopo oltre venticinque anni dall’ultima apparizione torna visibile al pubblico”.

Filippo Palizzi, Donne che scavano a Pompei. Collezione privata

Tra i capolavori della mostra, si segnala la Maddalena penitente, un olio su tela di Tiziano, firmato per esteso, proveniente da una collezione privata tedesca, esposto per la prima volta in Italia. A proposito di questo dipinto, Peter Humfrey, una delle massime autorità a livello internazionale di Tiziano e autore del catalogo ragionato delle opere del maestro cado-

Vittorio Matteo Corcos, Colibrì. Collezione privata

Gaetano Bellei, Colpo di vento. Collezione privata


Andrea Appiani, Ritratto di Francesca (Fanny) Lechi. Collezione privata

Angelo Morbelli, Balleria a La Scala. Collezione privata

rino, ha scritto che “si tratta di una variante di alta qualità di una delle composizioni più avidamente ricercate di Tiziano. Le altre redazioni autografe sono state dipinte non solo per i suoi più importanti committenti – come il re Filippo II di Spagna – ma anche per altri illustri personaggi del suo tempo, quali Antoine Perrenot de Granvelle – consigliere dell’imperatore Carlo V d’Asburgo nonché viceré del regno di Napoli – e il potente cardinale Alessandro Farnese. Le vigorose pennellate frante e il denso impasto cromatico, suggeriscono una datazione al 15581563 circa, in prossimità della realizzazione della versione della Maddalena penitente dipinta per Filippo II nel 1561”. A questa, si aggiunge Coppia di amanti in piedi, un disegno di Gustav Klimt (1862-1918), principale esponente dell’avanguardia viennese, che anticipa le soluzioni stilistiche de Il bacio e de L’Abbraccio del Fregio Stoclet, due tra i capolavori più conosciuti del maestro austriaco.

Achille Glisenti, La raccolta del granoturco. Brescia, Musei Civici Achille Glisenti, La raccolta del granoturco. Brescia, Musei Civici

Traendo ispirazione da testi sacri e libri agiografici, gli artisti hanno licenziato tele oggetto di secolare devozione che raffigurano le più famose sante della cristianità insieme al proprio attributo iconografico: Maddalena col vasetto di unguenti; Caterina con la ruota dentata; Barbara con la torre; Margherita con il drago; Cecilia con gli strumenti musicali. Senza dimenticare le eroine bibliche quali Giuditta, Salomè, Dalila, Susanna e Betsabea, le cui tormentate vicende personali sono narrate nell’Antico Testamento. Anche la letteratura classica e la mitologia hanno fornito agli artisti infiniti spunti di riflessione, come nel caso delle storie che riguardano divinità (Diana, Venere, Minerva, Giunone), celebri figure mitologiche (Leda, Europa, Onfale, Circe, Dafne) e illustri donne del mondo antico che, con coraggio e drammatica determinazione, hanno preferito la morte al disonore.


DONNE

NELL’ARTE

Gino Piccioni, Nudo sulla spiaggia. Firenze, collezione Frascione

Si pensi, a tal proposito, alla regina d’Egitto Cleopatra, che decise di togliersi la vita, dopo il suicidio dell’amato Antonio, per non consegnarsi viva nelle mani dell’acerrimo nemico Ottaviano e subire la pubblica umiliazione; a Lucrezia, che si trafisse il petto con il pugnale dopo essere stata avvilita e violentata da Sesto Tarquino; e a Sofonisba, che bevve il veleno inviatogli dal marito Messinissa per non vivere un’esistenza mortificata come schiava dei romani. Soprattutto nell’ambito della pittura dell’Ottocento, vera protagonista della rassegna, la donna è stata colta nella sua dimensione quotidiana, alle prese con le faccende della vita domestica e del lavoro; nei panni di madre affettuosa che accudisce con amore i propri figli; ma anche in atteggiamenti maliziosi e in situazioni intime per esaltarne la carica sensuale, come testimoniano gli straordinari capolavori di Giovanni Boldini, il più grande artista italiano della Belle Époque. La Fondazione Marcegaglia Onlus, la cui missione è sostenere le donne, motore della crescita e dello sviluppo dell’intera comunità, attraverso progetti di solidarietà e cooperazione, offre alle scuole, 200 percorsi tematici di visita alla mostra, con l’obiettivo di avvicinare sempre più i giovani al mondo dell’arte e, al contempo, sensibilizzarli rispetto a tematiche di grandissima importanza sociale legate all’emisfero femminile. 60

Giovanni Battista Torriglia, Madre col bambino. Collezione privata


Gaetano Chierici, La piccola mamma. Collezione Privata

L’Associazione Amici di Palazzo Martinengo devolverà l’1% del ricavato della biglietteria a Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro con l’obiettivo di sostenere la migliore ricerca per la prevenzione, la diagnosi e la cura dei tumori femminili. In occasione della mostra di Palazzo Martinengo, dal 12 febbraio al 12 giugno 2022, il Museo Diocesano di Brescia organizza una piccola esposizione, a cura di Davide Dotti, per approfondire la tematica della raffigurazione femminile nella pittura a soggetto sacro. Con il biglietto di “Donne nell’Arte da Tiziano a Boldini”, si potrà visitare gratuitamente il museo e la rassegna allestita negli spazi dell’ex convento di San Giuseppe. L’esposizione è il sesto appuntamento espositivo dell’Associazione Amici di Palazzo Martinengo che fa seguito ai successi di pubblico e di critica ottenuti con le rassegne Il Cibo nell’Arte dal Seicento a Warhol(2015), Lo Splendore di Venezia. Canaletto, Bellotto, Guardi e i vedutisti dell’Ottocento (2016), Da Hayez a Boldini. Anime e volti della pittura italiana dell’Ottocento (2017) e Picasso, De Chirico, Morandi. Cento capolavori dalle collezioni private bresciane (2018), Gli animali nell’arte dal Rinascimento a Ceruti (2019), visitate da oltre 250.000 persone. LUOGO: Palazzo Martinengo INDIRIZZO: Via Musei 30, Brescia ORARI: Mer / Gio / Ven 9 - 17 | sab / Dom / Festivi 10 - 20 | Lun - Mar chiuso. La biglietteria chiude un’ora prima | Aperture straordinarie: Pasqua (17 Ap), Pasquetta (18 Apr), 25-26 Apr, 1° Mag, 2 Giu

Cipriano Cei, Primo amore. Collezione privata

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LA GRANDE BELLEZZA A CASA

LA BELLEZZA DELL’ARTE ESCE DALLA PINACOTECA DI BRERA E ARREDA NUOVI SPAZI GRAZIE AL GIGAPIXEL


Sodai ha presentato alla Downtown Design di Dubai Sodai Art il nuovo progetto realizzato in collaborazione con Haltadefinizione che unisce il design e l’arte in modo inedito. Dieci capolavori inestimabili della Pinacoteca di Brera diventano contesti visivi per allestire ambienti di grande suggestione con Sodai Art, il progetto realizzato da Sodai, azienda made in Italy posizionata nel mercato internazionale dell’interior design, in collaborazione con Haltadefinizione, tech company della casa editrice Franco Cosimo Panini, su concessione della Pinacoteca di Brera. Sodai Art è stato presentato alla Downtown Design di Dubai, la fiera internazionale dedicata al design innovativo di alta qualità. I dieci capolavori del museo milanese potranno essere riprodotti su ceramica attraverso gigantografie straordinarie per esaltare i più bei dettagli delle opere. Sodai Art propone un linguaggio nuovo e attuale che parte dall’opera per arrivare a molteplici interpretazioni, tante quante i numerosi particolari svelati in un prodotto fatto su misura per il cliente: dal soggetto, al dettaglio, al supporto.


Tra le opere ci sono ritratti privati, scene quotidiane, opere di carattere religioso e paesaggistico, il catalogo di Sodai Art prevede un’ampia scelta che spazia dal moderno al contemporaneo: dalla Pala di Montefeltro di Piero della Francesca allo Sposalizio della Vergine di Raffaello, alla grande tavola con raffigurata la Predica di San Marco di Gentile Bellini e il Ritratto di Antonio Porcia di Tiziano. Il ‘600 è rappresentato da Caravaggio, maestro indiscusso del chiaro scuro, con la Cena di Emmaus, mentre il ‘700 dalla Veduta del bacino del Canal Grande verso Punta la Dogana del Canaletto. Il Romanticismo ha come protagonista l’iconico Bacio di Hayez e l’Episodio della battaglia di Custoza di Fattori. Infine, per le avanguardie del ‘900 la futurista Rissa in Galleria di Boccioni e l’Enfant Gras di Modigliani. Tutte le opere sono state acquisite da Haltadefinizione con tecnologia gigapixel presso la Pinacoteca di Brera. L’innovativa tecnica fotografica consente di ottenere immagini dotate di definizione, qualità e dettaglio non raggiungibili con altre tecniche di acquisizione. Centinaia, a volte migliaia di scatti fotografici con un alto livello di ingrandimento di dettagli di un unico soggetto vengono “cuciti” insieme, il risultato finale è l’immagine di un’opera composta da miliardi di pixel, che consente di ingrandire ogni singolo dettaglio decine di volte, mantenendo una definizione altissima e consentendo la visione di elementi altrimenti invisibili ad occhio nudo. È grazie a queste caratteristiche incomparabili che le immagini in gigapixel possono essere adattate a superfici di grandi dimensioni senza perdere in qualità. Ogni spazio ha caratteristiche proprie e una personalità specifica, l’impegno di Sodai nell’innovazione e nella creatività esplosiva volta all’esaltazione dell’estetica dell’abitare, combinata alle immagini in altissima definizione e alla loro possibilità di essere ingrandite senza mai perdere la nitidezza e la fedeltà dell’originale, diventa un rivestimento di alta qualità e dà vita a soluzioni ideali per vestire idee di spazio innovative. “Le immagini in gigapixel di Haltadefinizione possono essere adattate a qualunque necessità di allestimento. Anche i quadri di dimensioni ridotte, grazie all’altissima definizione, possono essere ingranditi ed essere utilizzati per fondali, pareti scenografiche, allestimenti sofisticati e proiezioni dinamiche - ha affermato Luca Ponzio, fondatore della tech company - dagli elementi d’arredo più prestigiosi alle finiture più elaborate, il progetto realizzato con Sodai permette di realizzare un’infinità di progetti personalizzati e offrire infiniti spunti per l’arredamento e lo styling di spazi commerciali e privati”.

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TROILO E IL MINOTAURO DINAMICITÀ, POTENZA ED EMOZIONI RACCONTANTE SULL’AUTO DIPINGENDO CON LE DITA

“Minotauro”: mito, corpo di uomo e toro raccontanti nel dipinto sulla carrozzeria di una Huracán EVO1. L’opera è l’espressione, attraverso le vigorose sembianze di un corpo maschile riprodotto per mano di Paolo Troilo con l’uso dei polpastrelli, della dinamicità, della potenza e delle più intime emozioni che l’artista ha provato alla guida della Huracán EVO. La pittura di Paolo Troilo è in continua sperimentazione e usa la rappresentazione del corpo maschile come suo elemento distintivo e come mezzo di comunicazione. L’opera, intitolata Minotauro, deve il suo nome alla crasi emozionale e semantica che l’artista ha vissuto quando è entrato in contatto con Lamborghini. “Per me è stato ispirante incontrare Paolo Troilo e la sua espressività pittorica. In Azienda siamo abituati all’arte e al modo in cui questa da sempre permea le nostre automobili” ha affermato Christian Mastro, Direttore Marketing di Automobili Lamborghini. “Tuttavia quando il nostro prodotto e le emozioni che questo sa dare incontrano la sensibilità di un artista come Troilo, nasce qualcosa di diverso ed eccezionalmente unico come l’opera Minotauro, di cui siamo orgogliosi”. 66


Il tributo dell’artista alla Huracán EVO opera la fusione tra “l’uomo” raccontato dalla pittura di Troilo, il “toro” simbolo di Automobili Lamborghini e il concetto di “mito” espresso nell’indomito slancio – soprannaturale e quasi animalesco - che la figura maschile dipinta sulle fiancate è in grado di sprigionare. La forza comunicata dagli avanbracci e i pugni chiusi presenti sul cofano anteriore rievocano le corna taurine.

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TROILO E IL MINOTAURO

“Il tempo. Io sono innamorato della lentezza, e l’ho sempre difesa considerandola un ingranaggio cardine del piacere, della cultura, della bellezza, del successo. Ma capita che ci siano degli incontri che ti cambiano.” ha affermato Paolo Troilo, creatore dell’opera. “Incontrare la Lamborghini Huracán EVO e provarla mi ha suggerito che esistono anche cose capaci di sprigionare le stesse energie con l’accelerazione, con la velocità, con lo scatto. Così ho sentito il rumore del vento che aumenta mentre lo spazio si accorcia e il tempo si deforma: ho sentito un vento liquido e l’ho usato per dipingere sulla musa stessa, ispiratrice di queste emozioni – la Huracán - il mio Minotauro.

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Paolo Troilo nasce a Taranto il 27 marzo 1972da Antonio e Lucia Troilo. All’età di 7 anni manifesta già un significativo talento per il disegno che sua madre coltiva con grande delicatezza facendogli trovare sempre fogli e matite sparsi per casa. Suo papà, anestesista, ben presto comincia a commissionargli illustrazioni di anatomia patologica da proiettare nei congressi di medicina. Paolo studia a Roma all’Istituto Europeo di Design, poi Architettura e Lettere Moderne all’università di Firenze ma non conclude nessuno dei suddetti corsi di studio perché smania per lavorare nel campo della pubblicità. Nel 1997 si trasferisce a Milano e inizia la sua folgorante carriera in quel settore. Parte dalla prestigiosa Saatchi&Saatchi il percorso di successo che lo porta e ad essere nominato miglior creativo Italiano nel 2007 con l’assegnazione del Grand Prix dell’Art Directors Club Italiano. Se si può dare una data all’inizio della sua carriera artistica probabilmente è l’Aprile del 2005 quando, mentre lavora ancora in pubblicità, decide di passare dall’esercizio del disegno alla nobiltà della pittura.

Il giorno che inizia a collezionare il materiale che gli serve a quel salto dimentica però di comprare i pennelli. È questo “l’errore” che ci ha regalato la sua tecnica, la sua necessità di esprimersi a tutti i costi diventa virtù. Comincia a dipingere con le dita e questa pratica unita ai potenti risultati figurativi lo rendono unico al mondo. Nel 2009 lascia l’advertising per seguire la sua passione per la pittura. Nel 2011 viene selezionato per la 54th Biennale di Venezia. Nel 2013 diventa un artista indipendente, lascia cioè tutte le gallerie d’arte che lo rappresentavano per proseguire il suo percorso con l’aiuto del mecenatismo. Le sue opere sono state esposte a Singapore, San Francisco, Istanbul, Tel Aviv, Los Angeles, New York, Singapore, Milano, Roma, Palermo, Firenze. Vive e lavora a Milano.

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375, LA FERRARI

DELLA PRIMA VITTORIA Si tratta di una delle Ferrari più significative della storia della Scuderia.Quella che le è valsa la prima vittoria

in assoluto in una gara di Formula 1. Il suo motore V12 aspirato, progettato da Aurelio Lampredi, diede finalmente alla Ferrari la potenza necessaria per avere la meglio contro l’eterna vincitrice: l’Alfa Romeo sovralimentata. Oggi, una delle auto protagoniste di quella gara leggendaria, il Gran Premio di Gran Bretagna del 1951, è tornata sotto i riflettori. Incredibilmente, una delle altre Ferrari 375 di quella gara leggendaria, il telaio numero 5, guidata dal celebre Alberto Ascari, è sopravvissuta. Data l’importanza di quel modello e di quella particolare gara per la storia di Ferrari, era doveroso affidare al Dipartimento Classiche di Maranello il restauro completo dell’auto. Sebbene gran parte del telaio originale fosse sopravvissuto intatto, è stato necessario creare una carrozzeria nuova di zecca dai disegni d'archivio Andrea Modena, responsabile di Ferrari Classiche, guida un team appassionato che si è dedicato con impegno sia a una ricerca storica dettagliata sia a un restauro a tutto tondo. Grazie ai suoi ineguagliabili archivi tecnici e alla dedizione degli storici, del team di certificazione e dei professionisti dell’officina, il Dipartimento Ferrari Classiche è riuscito a ripercorrere tutte le modifiche apportate all’auto dalla sua costruzione in avanti. Al termine della stagione del 1951, l’auto fu venduta al pilota indipendente Chico Landi e riverniciata di giallo in onore dei colori brasiliani. Nel 1952 vi gareggiò in Europa, incluso Silverstone, e a Montevideo, oltre che nel Gran Premio di Albi, in Francia. Nei due anni successivi partecipò ad altre corse a Interlagos, Boavista e Buenos Aires. Nel 1955 Landi rispedì la 375 in Italia, affinché Scaglietti potesse modificarne la carrozzeria per renderla un’auto sportiva sulla falsariga della 750 Monza, tuttavia conservò la posizione di guida centrale. Due anni dopo, fece l’errore di sostituire il suo V12 con un V8 Chevrolet, con cui gareggiò a Interlagos. La carrozzeria fu ulteriormente modificata nel 1959-60 e si ritiene che la sua ultima gara sia stata sempre a Interlagos nel 1964. Colin Crabbe era un collezionista di auto da corsa storiche e aveva un fiuto imbattibile nello scovare modelli d’epoca rari e interessanti, per questo negli anni ’70 acquistò ciò che restava del telaio 5 prima di affidarlo al collega e restauratore d’auto da corsa britannico Tony Merrick affinché lo ricostruisse completamente. Ne uscì una carrozzeria nuova di zecca, che però a distanza di 40 anni non ha soddisfatto pienamente gli esperti di Ferrari Classiche. La famosa vittoria del 1951 è stata così importante per la Ferrari che un restauro completo era giusto fosse affidato al Dipartimento Classiche di Maranello.

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Il team ha così iniziato a smantellare l’auto nel settembre del 2019 e si è reso ben presto conto che la struttura di supporto della carrozzeria non era corretta. “Era stata ricostruita con tubi arrotondati, come una 375 Indianapolis, anziché con una sezione quadrata, e la forma era scorretta, in particolare nell’area del serbatoio. Tuttavia, il telaio è rimasto interamente quello originale dalla paratia posteriore, il numero ‘5’ è inciso nell’area dell’abitacolo, anche se la parte anteriore è stata modificata al momento dell’installazione del V8 Chevrolet”. Incredibilmente, il motore V12 installato nel telaio numero 5 in occasione del restauro di Tony Merrick degli anni ‘70 era originale e non era per nulla in cattive condizioni. Charles Leclerc guida la 375 restaurata sulla pista di Silverstone Da un punto di vista estetico, la parte più impegnativa del restauro è stata la creazione di una carrozzeria completamente nuova. Si è fatto riferimento ai disegni originali per ricostituirne la struttura portante. Per la forma della scocca, è stato costruito un modello in scale 1:3 e gradualmente perfezionato. Per modellare i pannelli sono stati utilizzati manichini in legno come si faceva all’epoca. A quasi settant’anni dal giorno in cui González vinse il Gran Premio di Gran Bretagna del 1951 al volante di una 375, il telaio 5 restaurato è tornato sulla pista di Silverstone, guidato dal pilota Ferrari Charles Leclerc. Guarda lo splendido video sul canale YouTube ufficiale di Ferrari: una volta sentito, il rombo del V12 lungo l’Hangar Straight di Silverstone è impossibile da dimenticare.

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LA FLAMINIA CABRIOLET DI MATTARELLA “TARGA ORO ASI” È LA PIÙ AMATA DEL QUIRINALE Sergio Mattarella, rieletto Presidente della Repubblica Italiana, sale nuova-

mente a bordo della Lancia Flaminia Presidenziale Targa Oro ASI, una vettura ambasciatrice dell’Italia nel mondo. La Commissione Tecnica dell’ASI aveva esaminato le quattro Flaminia del Quirinale nel 2014. Battezzate Belfiore (targa Roma 454308), Belmonte (targa Roma 454306), Belvedere (targa Roma 454307) e Belsito (targa Roma 474229), risultano ancora oggi conservate in perfetto stato: colore blu notte, selleria in pelle Connolly nera, interfono per comunicare con l’autista, cinque sedute posteriori con ampio divano e due strapuntini. Condizioni originali che hanno portato all’omologazione ASI e al rilascio della “Targa Oro”: simbolo italiano di eccellenza per il collezionismo mondiale. La Flaminia Presidenziale con carrozzeria “landaulet-cabriolet” è figlia del modello presentato nel 1957 al Salone di Ginevra come ammiraglia di alta classe caratterizzata da linea elegante, interni e finiture lussuose. Nel 1961, la Carrozzeria Pinin Farina realizzò la versione Presidenziale a passo lungo, denominata “335”, sigla che indica la misura del passo in centimetri. La vettura venne utilizzata per la prima volta dal Presidente Giovanni Gronchi in occasione della visita in Italia della regina Elisabetta II d’Inghilterra. In pochi mesi ne vennero realizzati quattro esemplari, battezzati con i nomi propri di cavalli purosangue delle scuderie del Quirinale. Sono auto che il mondo ci invidia e che l’ASI ha contribuito a valorizzare ulteriormente. Hanno tenuto alto l’onore del motorismo italiano in occasione delle visite di capi di stato come John Fitzgerald Kennedy e Charles De Gaulle. Attualmente, la Belfiore e la Belvedere sono al Quirinale per le grandi occasioni del Capo dello Stato e delle più alte cariche della Repubblica.

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La Belsito è visibile presso il Museo Storico della Motorizzazione Militare di Roma, mentre la Belmonte è esposta al Museo Nazionale dell’Automobile di Torino. La Flaminia “335” è la più famosa, ma il lungo elenco delle auto presidenziali inizia con sei Fiat 2800 Cabriolet acquistate nel 1939. Tre di queste - Aceste (targa Roma 73183), Admeto (Roma 73184) e Alcinoo (Roma 73185) - sono rimaste in servizio fino all’inizio degli anni ’60 servendo De Nicola, Einaudi e Gronchi. Tra il 1956 e il 1962 sono apparse la Lancia Aurelia B12 – Tortora (targata Roma 252481) e due Flaminia berlina, Urania (Roma 292747) e Zodiaco (Roma 354128). Negli anni ’70 sono arrivate le Fiat 130 e le prime blindate, a partire dall’Alfa Romeo 2000. Sandro Sandro Pertini ha introdotto la Maserati Quattroporte, poi sostituita dalle Lancia Thema e K Limousine di Scalfaro; più recentemente la Thesis Limousine. È stato quindi il turno della Maserati Quattroporte “Livorno”, dal 2005 con la presidenza Ciampi. Infine, Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella hanno avuto a loro disposizione le Lancia Thema di ultima generazione, le Maserati Quattroporte e l’Audi A8.


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QUELLI DELLA WINTER MARATHON ph. Pierpaolo Romano BELLINI E TIBERTI VINCONO LA WINTER MARATHON 2022 BISSATO IL SUCCESSO DELLO SCORSO ANNO, SUL PODIO BARCELLA-GHIDOTTI E ALIVERTI-VALENTE Il giovane equipaggio formato da Edoardo Bellini e Roberto Tiberti, a bordo di una Fiat 508 C del 1937, bissa il successo del 2021 iscrivendo per la seconda volta il proprio nome nell’albo d’oro della manifestazione. A dimostrazione della complessità della gara, sempre unica e di mai facile interpretazione, sul podio vanno altri due equipaggi già vincitori in passato: Guido Barcella e Ombretta Ghidotti, secondi su Fiat 508 C del 1938 della Scuderia 3T e Alberto Aliverti e Stefano Valente, al terzo posto anch’essi a bordo di una Fiat 508 C del 1937.

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DIGITAL MARKETING: LE TENDENZE 76

QUALI SONO LE TENDENZE PER IL 2022? SEMRUSH, OPERATORE LEADER NEL DIGITAL MARKETING HA INDIVIDUATO I 5 TREND CHE INFLUENZERANNO LE STRATEGIE. GESTIONE DELLA PRIVACY, NOVITÀ IN TEMA DI SOCIAL MEDIA E UN APPROCCIO PIÙ CONSAPEVOLE E RISPETTOSO. IL PUNTO SUL DIGITAL MARKETING CON ANDREW WARDEN, CHIEF MARKETING OFFICER DI SEMRUSH Negli ultimi due anni è aumentata notevolmente la presenza online a livello globale, sia pe quanto riguarda il numero di utenti che quotidianamente si connette, sia per il numero di ore trascorse a navigare. Internet è in continua evoluzione, subisce l’influenza del mondo “reale” e dei comportamenti degli utenti che lo compongono. Per questo, chi si occupa di marketing (che certo oggi non può prescindere dall’essere anche digital) deve tenere conto di ciò che accade, studiarlo e comprenderlo, prevederlo e saperlo gestire in proprio favore. “Non tutti i fenomeni, però, hanno lo stesso peso. - Spiega Andrew Warden, Se qualcosa dura appena un anno, non è un trend ma una moda effimera che non andrà ad incidere sulle strategie a lungo termine, ma potrà influenzare le azioni nel breve periodo. Pensiamo, ad esempio, alla rapida ascesa di Clubhouse, che in poco tempo ha avuto un altrettanto rapido declino. Per costruire, invece, una strategia vincente di digital marketing per il 2022 abbiamo individuato le tendenze del marketing digitale che sono qui per rimanere, e che con ogni probabilità avranno un impatto considerevole sul modo di commercializzare i nostri prodotti o i nostri servizi a lungo termine”. I 5 trend individuati da Semrush che influenzeranno il digital marketing del 2022 Marketing della privacy Sono finiti i giorni in cui la gente pensava che il web fosse gratis e che i siti consultati non chiedessero nulla in cambio. Sempre più utenti sono oggi consapevoli del fatto che spesso “paghiamo” con i nostri dati personali. La lunga serie di vicende sulla privacy (dallo scandalo Cambridge Analytica di Facebook del 2018 alla recente controversia sulla condivisione dei metadati di WhatsApp) sta rafforzando queste convinzioni. Recentemente Apple ha cambiato la sua politica in fatto di privacy, imponendo alle app una maggior trasparenza. L’80% degli utenti ha scelto di non essere tracciato dalle applicazioni mobili, e questo cambio di politica ha avuto importanti effetti sui mercati. Snapchat, ad esempio, ha perso il 30% del valore azionario. Google, invece, ha fatto un passo avanti, introducendo l'iniziativa FLoC che dovrebbe sostituire i cookie, il modo in cui ora le persone sono tracciate sul web. I commercianti dovrebbero tornare alla raccolta di dati di prima mano, attraverso indagini via e-mail sui clienti, sondaggi sui social media e interviste di persona. Considerate di rivedere i costi di acquisizione dei clienti ai fini del budget leggermente più alti, e fate attenzione ai tassi di conversione. Le strategie organiche diventeranno più importanti che mai, quindi attenetevi alle strategie SEO "classiche" che assicurano la crescita organica: eseguire un audit tecnico SEO del sito web; ottimizzare per le parole chiave rilevanti; Preparare il sito per Core Web Vitals. Cambiamento del panorama dei social media I cambiamenti più innovativi nel panorama dei social media hanno a che fare con tre T: Tik Tok: il primo ad aver minato il predominio di dominio di Facebook-YouTube-Instagram. Entro la fine del 2022 raggiungerà 1.5 miliardi di utenti. Preparate il vostro business su TikTok se volete puntare a quei ragazzi tra i 10 e i 49 anni, alcune aziende, come Nerf, stanno già assumendo CTTO, ovvero Chief TikTok officers. The Goldfish myth (il mito del pesce rosso): fa riferimento alla capacità di attenzione degli utenti, che non è così breve come si pensava. La soluzione, quindi, non è proporre contenuti di breve durata, ma contenuti che catturino l'attenzione delle persone all'inizio, e loro rimarranno fino alla fine. Twitch: la piattaforma è forse la principale beneficiaria dell’ascesa del gaming e del live streaming. Con 500 milioni di nuovi concorrenti che sono entrati nel mercato del gioco negli ultimi tre anni e 280 miliardi di dollari in tasca, l'industria del gioco è assolutamente in crescita. Secondo i calcoli di Semrush Traffic Analytics, oggi Twitch conta oltre 1 miliardo di visitatori mensili. Essere umani, no, davvero Siamo nell’era del superamento delle logiche B2B o B2C. oggi l’approccio vincente è Human2Human.


I brand ora sono definiti da ciò che rappresentano: la cultura e i valori dell'azienda. Il tono di voce su tutta la comunicazione sta diventando sempre più rilassato. Questo significa parole più disinvolte, spazio per l'umorismo e un linguaggio a misura d'uomo. Invece di usare un linguaggio aggressivo e convincente, i marchi stanno attivando la "modalità suggerimento", lasciando trapelare la loro superiorità e rilevanza piuttosto che sbattertela in faccia ai potenziali clienti. Marketing consapevole Questo punto abbraccia diverse sotto tendenze: Eco marketing: prodotti sostenibili che promuovono l'eco-consapevolezza Trasparenza: nessun trucco di marketing che inganna i clienti Diversità, equità e inclusione: cultura intra-aziendale e il suo approccio ai clienti, ai fornitori e al resto. Alcuni suggerimenti per una strategia di marketing consapevole sono: sbarazzarsi di pop-up e design oscuri che abbassano l'esperienza dell'utente, prediligendo design reattivi che si adattino a tutti i tipi di schermo/dispositivo; ottimizzare il sito anche per utenti non vedenti o ipovedenti; impiegare ARIA (Accessible Rich Internet Applications) per facilitare la lettura della pagina web tramite script e widget rigorosi; essere attenti all'ambiente; passare al green computing (informatica ecosostenibile); adotta in tutta l'azienda misure ecologiche con stazioni di riciclaggio, raccolta differenziata, ecc. Unisciti al metaverso Facebook non scherzava quando ha detto che stava costruendo un metaverso. PWC prevede un aumento di 1,5 trilioni di dollari nel PIL globale entro il 2030, grazie alla realtà virtuale e alla realtà aumentata. Del resto, NFT (non-fungible token) è stata la parola del 2021, battendo crypto e metaverso stesso. Secondo i dati di Semrush, le ricerche su Google per NFT sono cresciute del 5400% da gennaio 2021 a ottobre 2021.

ANDREW WARDEN, CHIEF MARKETING OFFICER DI SEMRUSH 77


LA MANO DEL DIAVOLO Silvia Capperi CIRCA IL 10% DELLA POPOLAZIONE MONDIALE È MANCINA.VITA DIFFICILE PER CHI HA DOVUTO AFFRONTARE SECOLI DI PREGIUDIZI PER VEDERE RICONOSCIUTO IL DIRITTO DI USARE LA COSIDDETTA “MANO DEL DIAVOLO”. Il mancinismo indica quelle persone che usano la mano sinistra per la stragrande maggioranza delle cose: scrivere, mangiare, giocare, lavarsi i denti, afferrare gli oggetti. C’è chi usa quella orribile espressione: “le persone affette da mancinismo” come se essere mancini fosse una patologia. Purtroppo questa tendenza arriva da millenni di pregiudizi nei confronti della mano sinistra, che la vede come “mano del diavolo” e dalla definizione stessa di “sinistro” che indica sempre e comunque eventi negativi. Per esempio “subire un sinistro”, “un sinistro presagio”, “presenze sinistre” , “un tiro mancino”. La parola stessa mancino deriva dalla parola latina mancus, composta da manus, che significa mano e dal suffisso cus, termine con il quale si indicava il portatore di difetti fisici (mutilati, storpi). Il termine mancino quindi, in origine, era sinonimo di diversità e quindi di handicap. Di conseguenza i mancini non solo venivano discriminati come individui “difettosi” ma venivano anche forzati ad usare la mano destra. Secondo la tradizione ebraica e cristiana era causata dall’influenza del maligno sull’individuo e la mano sinistra era quindi considerata la “mano del diavolo”. E molti genitori, insegnanti e parenti sprovveduti di bambini mancini, forti di questa lunga tradizione, forzavano all’uso della mano destra, con gravi conseguenze sull’organizzazione mentale del bambino.

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Io sono mancina, figlia di madre mancina corretta: ancora adesso non riesce a distinguere bene destra dalla sinistra. Neppure io riesco: perchè seppure non sia stata corretta ho vissuto in un mondo di destrimani usando oggetti fatti per loro. Mi ricordo alle elementari, mi era vietato l’uso della penna stilografica perchè l’inchiostro non si asciugava e passandoci sopra la mano sporcavo il foglio. Le forbici erano difficili da usare per me e non tagliavo bene. Mi facevano notare che ero mancina. La solita esclamazione “Ah ma scrivi con la sinistra!”. Eccetera. Ma sono sempre stata orgogliosa della mia caratteristica. Riesco a scrivere al contrario come Leonardo Da Vinci per esempio. Ho una scrittura arabescata, strana, che adoro. Al lavoro ho preteso che mi lasciassero il mouse impostato per i mancini: per un po’ l’avevo usato con la destra, ma alla fine mi faceva male alla mano. Ora l’essere mancini non è più considerato un handicap, l’atteggiamento è mutato: è anche sinonimo di genialità. Sono considerati più creativi, intelligenti, grazie allo sviluppo maggiore dell’emisfero destro del cervello. Molte personalità note, per esempio Barack Obama o Albert Einstein, sono mancini. Ci sono anche negozi e shop on-line che vendono oggetti espressamente pensati per mancini. E i mancini hanno anche una loro giornata : il 13 agosto. Tuttavia, pur essendo orgogliosa di essere mancina, credo che ognuno, sia destrorso che mancino, sia capace di fare qualunque cosa e che ognuno di noi dentro abbia qualcosa di geniale. E bisogna tenere ben presente anche che ci sono discriminazioni ben più gravi di questa, ci sono persone diverse per ben altri motivi, ma alla fine, purtroppo, la cosa in comune sono pregiudizi sbagliati che svantaggiano persone che non hanno colpe. Dobbiamo tutti essere orgogliosi di ciò che siamo.

MANCINI, UNA MARCIA IN+ Uno - Incredibile ma vero, è stato statisticamente dimostrato come i mancini facciano meno code nei negozi: nel momento in cui le persone devono scegliere in quale cassa andare, si dirigono verso destra, i mancini invece guardano a sinistra, dove percentualmente vanno meno persone. Due - I mancini hanno una percezione visiva migliore: secondo lo scienziato Linkenauger i destri tendono a vedere la realtà dando maggior attenzione alla direzione corrispondente alla loro mano, i mancini invece, abituati a vivere in un mondo per destri, riescono ad avere una visione d’insieme più bilanciata del proprio corpo e dello spazio intorno. Tre - Come ormai tutti sanno, sono più creativi: il cervello dei mancini ha un emisfero destro, la zona cerebrale appunto coinvolta nel pensiero creativo, più sviluppato. Inoltre la ricerca ha scoperto che i mancini si comportano meglio nel pensiero divergente (la capacità di pensare a diverse soluzioni per un unico problema), una caratteristica cognitiva della creatività. Quattro - Pensano più rapidamente: secondo uno studio australiano pubblicato nel 2006 sulla rivista Neuropsychology, i mancini tendono a stabilire connessioni più veloci tra l’emisfero sinistro e l’emisfero destro del cervello: questo porta ad un’elaborazione delle informazioni più rapida. Cinque - Questa non è una ipotesi scientifica ma più un’opinione personale: i mancini, essendo fin da piccoli abituati a far parte di una minoranza, a sentirsi dire ogni volta “Ah.. ma sei mancino”come fosse un fatto così strano, a trovarsi ogni volta a dover rispondere alle stesse identiche domande tipo “Ma mangi e scrivi con la stessa mano? E come fai a non sporcarti quando scrivi? Con quale piede scendi per prima dal letto? Ma come hai fatto a scuola? Ecc ecc ecc” imparano crescendo a difendersi in modo migliore, ad avere pazienza, a combattere per ottenere ciò che vogliono, ad apprezzare tutte le sfumature e capire la bellezza di essere diversi. Viva i mancini!

E per quanto ci riguarda…Evviva la mano del diavolo! 79


LE 1000 BALLE SUL

COVID ALCUNE DIVERTENTI ALTRE MENO Antonio Angelini

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PER NON DIMENTICARE Sentivo davvero il bisogno di ricordare e metttere per iscritto tutte le cacchiate alle quali abbiamo dovuto assistere (e sottoporci) in questi due anni di “pandemia”. L’elenco sarà lungo e da ridere se non fosse da piangere. 1) L’elicottero delle forze dell’ordine che cacciava uno che stava sul suo asciugamano a prendere il sole a Mondello (Sicilia) 2) La Polizia che insegue un tizio sulla spiaggia solo che quello, molto più allenato, piazza uno scatto da duecentometrista e li lascia ad ansimare sulla sabbia. 3) I supermercati con le corsie proibite. Potevi comprare da mangiare ma non le calze una pentola o uno scopettone. 4) La più bella di tutte: il Vaccino a -80 gradi che attraversava le Alpi dento il camioncino dei sugelati scortato dalla polizia. Il tutto il diretta per ore su SkyPD24 con elicottero dall’alto. Il sacro Graal, il Deus che scende dalle Alpi (dai paesi germanici) come il Salvatore per il popolo. 5) Burioni che diceva che in Italia rischio Covid zero. 6) Formigli e la Merlino che mangiavano cibo cinese in diretta dicendo “non c’ è pericolo”. 7) In auto al massimo in 4 se familiari altrimenti in 2 uno davati e uno dietro. Se hai 3 figli uno prende il taxi. 8) Il virus si attacca alle suole delle scarpe (questa se la è bevuta pure mia moglie). 9) Abbraccia un cinese. Sala, Zingaretti etc. 10) Il virus è Naturale (Fauci quando Trump era Presidente). Quando Trump non era più presidente ha cambiato idea. 11) Lo spot in Tv con Mirabella che diceva che il visrus non era contagioso e non sarebbe arrivato qui. 12) I terribili runner colpevoli di far circolare il virus se andavano troppo “lontano dal proprio domicilio”. 13) I bimbi fanno il vaccino con dottori travestiti da Clown con il mocio in testa (questa è recente). 14) Gori a pranzo al ristorante cinese con tutta la giunta: “noi non siamo razzisti”. 15) Le barche bloccate in porto sino a giugno tranne che per la pesca. Ma se uno esce in barca a chi cacchio lo trasmette il virus? Tutti a comprare lenze e canne da pesca. 16) All’ 80% di vaccinati c’è immunità di gregge. Anzi prima era 60% , poi 70%. Oggi siamo al 90% ma di immunità di gregge non v’è traccia. 17) la sanificazione delle spiagge con i droni. 18) Il plexigras tra gli ombrelloni. 19) I guanti obbligatori anche in auto. 20) Draghi: non ti vaccini, ti ammali, muori. 21) Il blitz della polizia sul terrazzo della famiglia che pranzava. 22) La disinfestazione delle strade con varechina. 23) Le autocertificazioni che nessuno avrebbe controllato mai. 24) I dolci in pasticceria no, ma al supermarket si. 25) Divieto di vendita di alcolici dopo le 20. Giustamente sino alle 20 il virus si riposava. 26) La definizione di “congiunti”. 27) Il soldato con il mitra spianato sulle spiaggia di Ventimiglia. 28) Barbara D’Urso che ci insegnava a lavare le mani. 29) Due settimane di lockdown per uscire dalla pandemia. Poi chiudiamo a Natale per salvare Befana, poi chiudiamo alla Befana per salvare la Pasqua. 30) Due dosi sono sufficenti per immunità a vita. 31) Astrazeneca solo per anziani, poi solo per giovani. 32) La canzone con la chitarra elettrica sul balcone a Roma. 33) Le due tenniste sui tetti da un palazzo all’altro. 34) Il gelato con il cono no, la coppetta sì. 35) In ascensore spingere il bottone con il gomito. 36) I termoscanner 37) Il divieto di andare in due in moto (questo non lo ricordavo non usando la moto, ma me lo segnalano). 38) Goffredo Buccini che dice davanti a Sileri guardandolo che “a me pare che nessuno abbia mai sostenuto che chi si vaccina non è contagioso e Sileri ce lo ricorda” . 39) I banchi a rotelle della Azzolina. 40) Le altalene dei bambini prima legate e chiuse con il nastro. 41) #andràtuttobene 42) Alessandro Gassman che chiama la polizia perchè c’era una cena nell’appartamento a fianco.


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