Muri, frontiere e industria della sicurezza
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Muri, frontiere e industria della sicurezza Category: ARTICOLI DEL GRANELLO DI SABBIA Published: THURSDAY, 01 JUNE 2017 06:27 Hits: 562
di Lorenzo Bagnoli Non è un mistero che in Europa l'indotto delle industrie belliche non produca più come prima. La ricerca in armamenti e mezzi militari è scesa del 30% in Europa. Ormai si vive principalmente con le commesse che arrivano dai Paesi extra UE, dittature comprese. Già dal 2009, i principali gruppi di lobbisti europei dell'industria della sicurezza (su tutti la European Organisation for Security, EOS) tratteggiavano scenari cupi all'orizzonte. E proponevano, già all'epoca, una soluzione: mutuare l'esperienza dell'industria militare in campo civile. L'industria, così, avrebbe cambiato pelle e avrebbe dato risposte più efficaci alla crescente sete di sicurezza. Negli Stati Uniti, la più fiorente industria della difesa al mondo, questo passaggio è realtà da decenni: si definisce, in una formula, Homeland Security. Intraducibile in italiano, il suo corrispettivo più usato è Difesa nazionale. Il Dipartimento di difesa nazionale americano è dotato di tecnologie che assomigliano più a quelle di un esercito che a quelle di una polizia locale. Alla Commissione europea, da circa otto anni, si sta cercando di fare nascere un dipartimento di Homeland security comunitario, che darebbe nuova linfa al mercato europeo della sicurezza oltre che offrire una risposta all'incessante domanda di sicurezza dei cittadini. Nessun Paese europeo, infatti, sarebbe in grado di finanziare indipendentemente progetti di ricerca paragonabili a quelli americani. Così l'Europa della sicurezza resta sempre indietro rispetto agli Stati Uniti. La soluzione proposta, però, inevitabilmente alimenta, oltre che un mercato, anche un'idea di Europa: un'Europa arroccata, in difesa, sempre più bisognosa di muri. Una scelta di politica industriale che inevitabilmente ha avuto anche le sue ripercussioni in termini politici. L'ascesa delle nuove destre europee insegna.
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Muri, frontiere e industria della sicurezza
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L'inchiesta Security for Sale, condotta a febbraio da un consorzio di 22 giornalisti (tra cui anche Lorenzo Bagnoli, ndr), ha raccontato l'evoluzione di questo mercato e, al contempo, di quest'idea di Europa. Tra il 2010 e il 2020 la ricerca europea ha investito nel settore sicurezza quasi tre miliardi di euro. In particolare, questi fondi sono finiti ai colossi LeonardoFinmeccanica, Airbus, Thales. Le stesse aziende che stanno perdendo terreno sul piano dell'industria bellica in senso stretto. Il dispendio di risorse pubbliche dovrebbe almeno preservare un settore dell'industria che produce - insieme alle armi, ai muri e alla “sicurezza – anche fatturati a nove zeri e posti di lavoro. Ma la storia recente ha messo ancora più in dubbio le possibilità che quest'operazione arrivi ad un esito “positivo”. Lo insegna il caso di Calais. Città simbolo dell'ascesa dei nazionalisti del Front National, è stata, dal 2008 all'ottobre 2016, il luogo che ha ospitato la più grande baraccopoli di Francia: la Giungla di Calais. Il giorno dello sgombero, il 26 ottobre, si stima che nel campo ci fossero, tra i 6.400 e gli 8.300 profughi, ognuno di loro intenzionato a raggiungere l'Inghilterra via battello o a bordo di un camion. A decine, in questi anni, sono morti nel tentativo di attraversare l'Eurotunnel. La questione Calais, però, è sempre stata una questione di sicurezza nazionale per le due potenze coinvolte. E le soluzioni prodotte hanno sempre chiamato in causa l'industria della sicurezza, che ha avuto accesso a grandi finanziamenti sia a Parigi, sia a Londra. Un gruppo di attivisti e ricercatori composto dall'associazione locale Passeurs d'hospitalité, il movimento europeo Calais Solidarity e l'osservatorio Corporate Watch hanno realizzato un sito – calaisresearch.noblogs.org – in cui sono mappate le oltre quaranta aziende del settore che lavorano a Calais. La principale si chiama Vinci, una multinazionale delle costruzioni. La sua controllata Vinci Euorvia ha realizzato, dicono i ricercatori, il muro che il governo inglese ha pagato 3,2 milioni di sterline e che il governo francese ha supervisionato. La prima pietra è stata depositata il 20 settembre dello scorso anno, l'ultima l'11 dicembre. E nel frattempo i francesi hanno smantellato la Giungla, ricollocando in Gran Bretagna solo meno di mille minori non accompagnati. L'anno prima Parigi aveva già messo 15 milioni per sistemi di sicurezza per l'Eurotunnel. La britannica Jackson's Fancing ha scritto sul suo sito a febbraio 2016 di aver vinto l'appalto per realizzare 9,6 chilometri di recinzione e 41 porte d'accesso all'imbocco del Tunnel della Manica. La L3 Communications, colosso americano dello scanning, ha realizzato le macchine usate dagli agenti inglesi alla frontiera per i controlli a raggi X. La francese Thales sta cercando di ottenere le autorizzazioni per un controllo attraverso i droni dell'Eurotunnel. Insomma, Calais per l'indotto delle aziende della sicurezza anglo-francesi vale milioni di euro. Mentre Vinci Eurovia innalzava l'ultimo muro inglese in terra francese, però, a Londra accadeva un fatto che avrebbe sconvolto la vita del Paese all'interno dell'Unione europea: la Brexit. La procedura d'uscita della Gran Bretagna dall'Ue ha inevitabilmente raffreddato alle due sponde della Manica. Così questo complesso dell'industria della sicurezza è diventato nuovo motivo di tensione: dove si faranno i controlli dei migranti irregolari? Chi pagherà le spese di mantenimento del sistema di controllo? L'elezione di Emmanuel Macron complica ulteriormente il quadro: ancora in campagna elettorale, ha promesso che avrebbe rivisto con i vicini oltre Manica l'accordo sulla gestione delle frontiere, chiamato Trattato di Le Touquet, la città francese dove è stato siglato. In pratica, il trattato permette agli agenti di frontiera inglesi di effettuare i controlli sul suolo francese. All'epoca – correva l'anno 2003 - si stimava che gli ingressi in Gran Bretagna di migranti irregolari caricati sui camion fosse di 200 alla settimana, cifra ampiamente superata nel corso degli anni. La Brexit, per il presidente francese, seppur sul piano legale non infici l'accordo, sul piano politico lo rende impraticabile. Un problema per Theresa May: Londra ha pagato l'ultimo muro francese e sborsa ogni anno 80 milioni di euro per la sicurezza di Dunkerque e Calais pur di evitare i profughi sul suolo inglese. Invece che costruire un sistema più equo e giusto per la gestione dei richiedenti asilo, i Paesi europei hanno riempito di soldi altri Stati membri (in questo caso la Francia, ma vale anche per l'Italia e la Grecia) affinché si gestissero loro il problema. Soluzione impraticabile. L'industria, in ogni caso, ringrazia.
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 29 di Maggio - Giugno 2017: "Non è un Paese per giovani" Migranti
Granello di sabbia
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Migranti, tutti i muri che dividono l’Europa 07 settembre 2016
Roma - La Gran Bretagna ha annunciato oggi di essere pronta a finanziare la costruzione di un muro lungo l’autostrada che costeggia il campo profughi “Giungla” a Calais, nel nord della Francia, ultimo avamposto sulla terraferma prima di raggiungere l’Inghilterra. È solo l’ultimo dei muri o barriere sorti negli ultimi anni di fronte alla crisi migratoria, in un’Europa che si dice unita: * IL GRANDE MURO DI CALAIS - Così lo hanno già soprannominato i media britannici. Dal giugno 2015 il porto francese di Calais è dotato di una barriera per impedire che i migranti diano l’assalto ai traghetti che attraversano la Manica. Il `nuovo´ tratto di muro dovrebbe essere un proseguimento di quello già esistente: sarà alto quattro metri e correrà per un chilometro lungo i due lati dell’arteria stradale vicina al campo Giungla. Secondo le stime il progetto dovrebbe costare 1,9 milioni di sterline e fa parte di un pacchetto di misure da 17 milioni di pound del governo britannico per meglio controllare i confini gestiti insieme alle autorità francesi. * UNGHERIA-SERBIA - A un anno dalla costruzione del primo `muro difensivo´ al confine con la Serbia (175 km di filo spinato, alto 4 metri), l’Ungheria di Viktor Orban ha annunciato nelle scorse settimane una nuova barriera fortificata anti-migranti lungo la stessa frontiera meridionale. Di recente Budapest ha inoltre disposto l’impiego di altri 3 mila poliziotti a protezione del confine meridionale, in aggiunta ai 3.500 già in servizio. * AUSTRIA-ITALIA - Dopo settimane di tensioni nella scorsa primavera, sembra invece scongiurato la `barriera´ al confine con il Brennero che Vienna voleva erigere per contenere gli arrivi di migranti dall’Italia, diretti nel resto d’Europa. L’Austria ha però deciso di schierare fino a 2.200 soldati per difendere i suoi confini. * MACEDONIA-GRECIA - Nel novembre 2015 Skopje ha iniziato la costruzione di una barriera (1,5 km di rete sovrastata da filo spinato) al confine nei pressi di Idomeni, il campo in territorio ellenico divenuto per mesi un gigantesco imbuto per i profughi. * MELILLA-MAROCCO - Anche in questo caso l’obiettivo è bloccare i migranti che, dal Marocco, cercano un futuro attraverso le enclave spagnole di Ceuta e Melilla. La barriera è stata costruita nel 1990. * BULGARIA-TURCHIA - La sua costruzione è cominciata nel 2014 per bloccare i flussi migratori provenienti da Est. La barriera è lunga 30 km ma dovrebbe arrivare a 160. * CIPRO, ZONA GRECA-ZONA TURCA - È lì dal 1974 la linea verde di quasi 200 chilometri che divide in due Nicosia, unica capitale d’Europa spezzata da un muro. * IRLANDA, BELFAST CATTOLICA-BELFAST PROTESTANTE - Nonostante gli accordi di pace siglati nel 1998, i 13 chilometri di muro eretti nel 1969 sono ancora lì a separare i cattolici
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e i protestanti dell’Irlanda del Nord. stampa | chiudi
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unione divisa internazionale
I nuovi muri d’Europa di BEJOUR*
Centinaia di chilometri di filo spinato o mura costruite nell’Europa “unita” per impedire il passaggio dei profughi. Centinaia di milioni di euro di investimenti. L’Ue ha destinato alla difesa 11 miliardi di dollari
L
a fortezza Europa ha alzato le sue barriere. Muri, reticolati, distese di filo spinato sono stati disseminati in numerose aree del Vecchio Continente. Con un solo obiettivo: difenderci dall’ondata di migranti. È la penisola balcanica il teatro principale del giro di vite: qui alcune nazioni, i cui territori sono attraversati dalle rotte dei profughi in arrivo dalla Siria, stanno rispondendo chiudendo le porte e dispiegando migliaia di agenti. Così al confine tra la Croazia e la Slovenia, così come alle frontiere tra Bulgaria e Turchia, tra Ungheria e Serbia, nuove barriere sono in fase di costruzione o sono già state completate. Emblematico il caso del campo di Idomeni, sorto nell’estremo Nord della Grecia, a poca distanza dalla
TAREKE, IL RIFUGIATO CHE CE L’HA FATTA. E OGGI LAVORA PER I PROFUGHI Tareke Brhane, rifugiato politico, scappato dalla tumultuosa terra d’Eritrea, ha oggi la cittadinanza italiana: è uno di quelli che ce l’ha fatta. E lotta per aiutare chi ha l’unica colpa di essere nato nella parte sbagliata del mondo. Incarcerato nelle prigioni di Gheddafi, Tareke ha attraversato il Mediterraneo ed è stato respinto più volte, fino a quando, nel 2005, è approdato in Sicilia. Da allora si è dedicato alla tutela dei diritti umani: è stato mediatore culturale a Lampedusa per Save The Children e Medici Senza Frontiere. Oggi è presidente del Comitato 3 ottobre, organizzazione non profit fondata all’indomani del naufragio di Lampedusa del 2013, quando 368 persone persero la vita. Grazie al supporto di oltre trenta organizzazioni, enti ed istituzioni e di 30 mila firmatari della petizione, il Comitato può oggi vantare una grande vittoria: l’istituzione della “Giornata della memoria e dell’accoglienza”, per ricordare chi è morto in mare e per dar voce alle storie di chi, invece, è riuscito a raggiungere la meta. Uno strumento per sensibilizzare 50
Macedonia. Qui da mesi centinaia di persone disperate si ammassano nella speranza di riuscire a proseguire il loro cammino verso le nazioni più ricche del continente. Come migliaia di profughi in altri luoghi dell’Europa centro-orientale, osservano l’Unione attraverso centinaia di chilometri di filo spinato o mura dai 2 ai 5 metri d’altezza. Infrastrutture che hanno richiesto investimenti complessivi per centinaia di milioni di euro. L’Unione, pur non disponendo di un vero e proprio esercito regolare, ha destinato alle politiche per la Difesa, solo nell’ultimo anno, 11 miliardi di dollari: una parte di questa immensa mole di denaro è stata utilizzata proprio per finanziare queste nuove “frontiere” e i relativi check point.
l’opinione pubblica sulle stragi che avvengono quotidianamente nel Mediterraneo: un bollettino di guerra che rischia di creare assuefazione. Nel 2014 Tareke ha vinto anche la medaglia per l’attivismo sociale al Summit dei Premi Nobel per la Pace, e nel parlare con lui emerge l’attenzione particolare all’aspetto umanitario della vicenda: «La gente è disperata, è disposta a morire in mare. Solo una politica europea comune, senza disparità, può fare qualcosa. È fondamentale semplificare il ricongiungimento familiare tra i migranti, sostenere i Paesi di transito e in difficoltà con aiuti umanitari. Qualche settimana fa ero al confine con la Giordania e ho visto famiglie dover decidere se comprare la stufa o il cibo. E lì fa molto freddo, nevica. Tanti istituti di ricerca producono rapporti validi, che però poi non vengono valorizzati a causa delle politiche nazionalistiche. E poi all’indomani degli attentati terroristici il mondo è cambiato. Alcuni Stati strumentalizzano la paura per innescare un clima di odio verso tutti gli stranieri. Indistintamente. Ma prima di giudicare queste persone, occorrerebbe ascoltare le loro storie. Perché la vita è più importante dei confini». valori / ANNO 16 N. 138 / GIUGNO 2016
FONTE: HTTP://WWW.RFERL.ORG/CONTENTINFOGRAPHICS/FENCING-OFF-EUROPE/27562610.HTML
internazionale unione divisa
I NUOVI MURI D’EUROPA
Barriere già erette Barriere in fase di costruzione o progettazione
IN MANCANZA DI UNA POLITICA COMUNE
«Ad oggi, fatte salve le retoriche dichiarazioni di principio, non c’è mai stata una politica comune sull’immigrazione nell’Ue», spiega Antonello Biagini, professore di Storia dell’Europa Orientale all’Università La Sapienza di Roma e direttore del Centro Interuniversitario per gli Studi Ungheresi. «Ogni Paese stabilisce formule proprie e, come sappiamo, Mare Nostrum (gestito dall’Italia in autonomia e con risorse proprie) ha costituito un modello di funzionalità difficilmente eguagliabile. Quando tale programma (anche per gli eccessivi oneri economici) è stato sostituito da quello europeo, con l’operazione Triton, ancora attiva ma con un terzo delle risorse a disposizione, la situazione è precipitata». E alcuni governi hanno deciso di percorrere la strada della fermezza. Una scelta che, però, non tiene conto della specificità della migrazione in atto. «Nel caso del flusso siriano – ricorda Biagini – non è corretto parlare di semplice “immigrazione”, poiché si tratta di profughi: individui che fuggono da un teatro di guerra. Un popolo colpito da un “conflitto interno” (pro e contro Assad) e da un altro “asimmetrico” dove si scontrano antichi contrasti (sunniti e sciiti), a cui si sommano recenti tentativi di stavalori / ANNO 16 N. 138 / GIUGNO 2016
Profughi alla stazione di Tovarnik, al confine serbo-croato. FOTO GIORGIO SALOMON
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internazionale unione divisa
la bacheca di valori internazionale
bilire un’egemonia sul grande Medio Oriente da parte di potenze regionali (Iran, Emirati Arabi, Turchia) ed esterne (Usa, Russia, Gran Bretagna, Francia)». Un quadro geopolitico in cui, ancora una volta, «l’Unione europea non è riuscita a formulare un programma comune per affrontare l’emergenza». La balcanizzazione (letterale) delle politiche europee rappresenta, in questo modo, una concreta minaccia alla stessa politica dettata dal Trattato di Schengen. Attaccato da più parti, sospeso a più riprese, il testo che dispone la libertà di circolazione all’interno dell’Unione appare sempre più vacillante. «Quelle operate da alcuni governi – prosegue Biagini – sono scelte in totale controtendenza rispetto agli obiettivi che avevano ispirato il trattato, nato in epoche diverse e con una concezione della mobilità allargata secondo il principio democratico della libera circolazione delle idee, delle persone e delle merci. Muri e frontiere non esisterebbero se si fosse realizzata (prima ancora della moneta unica) una vera federazione europea, punto di arrivo del lento percorso intrapreso con i Trattati di Roma negli anni Cinquanta».
LA PAURA AGGIUNGE BENZINA SUL FUOCO
A dare fiato alle trombe di chi punta alla militariz-
zazione dei confini, c’è poi il rischio legato al terrorismo, che ha alimentato nei cittadini il senso di insicurezza e la domanda di controlli (benché la minaccia, spesso, venga dall’interno). Non stupisce, in questo senso, il fatto che, secondo quanto evidenziato nel nono Rapporto sulla sicurezza in Europa analizzando campioni rappresentativi di sei Paesi (Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna e Polonia), solo una quota minoritaria della popolazione appare favorevole all’apertura delle frontiere. «Il terrorismo ha potenziato le resistenze, spesso irrazionali, nei confronti degli “altri” – conclude il docente universitario – percepiti come diversi per cultura, lingua, religione ed etnia. In questo modo realizza i propri scopi potenziando i sentimenti viscerali di tutti coloro che si oppongono a qualsiasi trasformazione politica. Il nazionalismo, che è tornato a imperare in Europa e non solo, ne costituisce una delle prove più evidenti». ✱
* Questo servizio è stato realizzato con la collaborazione degli studenti del progetto europeo BEJOUR (Becoming a journalist in Europe) dell’Università La Sapienza di Roma, del quale Valori è tra i mediapartner. Hanno elaborato gli articoli Tommaso Accomanno, Chiara Broglietti, Serena Console, Livia Giustiniani, Giuseppe Marinelli, Federica Savino, Sara Sgatti e Salvatore Tancovi.
«L’APERTURA DELLE FRONTIERE TOGLIEREBBE ARGOMENTI ALL’INTOLLERANZA» La libera circolazione dei migranti produrrebbe solo vantaggi: per il loro inserimento e per il mondo del lavoro. Parola di Grazia Naletto, presidente di Lunaria Un’apertura delle frontiere potrebbe favorire l’integrazione dei migranti. Facendo così crollare le argomentazioni di chi vuole invece che l’Europa si trasformi in una fortezza. Lo sostiene Grazia Naletto, presidente dell’associazione Lunaria, studiosa degli aspetti sociali, culturali e politici connessi all’immigrazione. Qual è la strategia che occorre adottare? La nostra associazione si occupa da anni di attivare campagne di sensibilizzazione, ini52
ziative e ricerche che possano aiutare a garantire l’accoglienza dei migranti in Europa e in particolare in Italia. Ad esempio abbiamo partecipato nel 2011 alla campagna “Lasciateci entrare” che ha portato al ritiro di una circolare che limitava l’accesso agli operatori dell’informazione e alle associazioni ai Centri d’identificazione e di espulsione voluta dall’allora ministro Roberto Maroni. Alcuni istituti, come il francese MobGlob, sostengono che la soluzione possa essere quella di aprire le frontiere… Viviamo in un mondo nel quale è assurdo proibire la libera circolazione dei migranti. Sicuramente l’apertura delle frontiere potrebbe facilitare il loro inserimento in termini di accoglienza, di supporto e di tolleranza. Ciò contribuirebbe a togliere argomentazioni alla propaganda razzista. Ed eviterebbe an-
che il concentramento di migranti in un singolo Paese in quanto sarebbero liberi di scegliere il posto in cui andare. Anche nel mondo del lavoro, si otterrebbe una distribuzione migliore. Cosa dovrebbe fare perciò la politica? In primo luogo a livello europeo è necessario riformare la convenzione di Dublino. A livello nazionale occorre poi che la legge garantisca l’uguaglianza dei diritti fondamentali. Dal punto di vista economico, d’altra parte, esiste un’esigenza di far circolare la forza lavoro. La chiusura delle frontiere comporta che le persone cadano facilmente nell’irregolarità una volta scaduto il primo visto di ingresso. L’immigrato, ricattabile, si ritrova così ad accettare anche compensi bassissimi e pesanti condizioni di sfruttamento. [Bejour] ✱ valori / ANNO 16 N. 138 / GIUGNO 2016
I NUMERI
1.400.000.000.000 $ È il valore della liquidità detenuta all’estero dalle grandi corporation statunitensi con l’obiettivo di garantirsi un risparmio fiscale. Lo ha rilevato l’ultimo rapporto della Ong Oxfam. “Le imprese dovrebbero pagare le tasse federali sui profitti globali, ma le tasse sui guadagni realizzati all’estero sono dovuti soltanto nl momento in cui il denaro viene riportato negli Stati Uniti” scrive la CNN. Le imprese che mantengono più liquidità offshore sono Apple (181 miliardi, record Usa), Microsoft (seconda con 119 miliardi), General Electric, Pfizer e IBM.
NEWS
Meno Ogm nel mondo Per la prima volta in 20 anni nel 2015 l'area totale coltivata nel mondo con piante Ogm è diminuita, con un calo dell'1%. Lo afferma il rapporto annuale dell'International Service for the Acquisition of Agri-Biotech Applications (un centro studi che facilita l'introduzione degli Ogm , finanziato anche da Monsanto e Bayer), secondo cui la diminuzione è dovuta soprattutto al calo dei prezzi delle derrate alimentari nel 2015. Secondo il rapporto nel 2015 179,7 milioni di ettari di terreno sono stati seminati con semi biotech, mentre nel 2014 erano 181,5 milioni.
VALORITECA SPUNTI DA NON PERDERE NEL MESE APPENA TRASCORSO
NEWS
Le armi non passano di moda
LO STATO DELL’ACQUA MONDIALE NEL 2016 L’acqua potabile è un bene scarso in tutto il mondo
Risale la spesa militare mondiale fino a toccare quasi 1,7 miliardi di dollari nel 2015, con un incremento dell’1% dal 2014. Il dato è stato pubblicato dall’International Peace Research Institute di Stoccolma (SIPRI) nel suo annuale aggiornamento, accertando così un aumento complessivo per la prima volta dal 2011. La spesa cresce in Asia e Oceania, Europa centrale e orientale, e in alcuni Stati del Medio Oriente; in Occidente si assiste a una sua stabilizzazione; mentre diminuisce in Africa e America Latina e nei Caraibi. Gli Stati Uniti rimangono di gran lunga i top spender del mondo nel 2015, nonostante un calo di spesa del 2,4%, staccando un assegno da 596 miliardi di dollari.
I MIGLIORI TWEET DEL MESE US GDP has not grown by over 3% since 2005, by over 4% since 2000 and by over 5% since 1984.
[Il prodotto interno lordo degli Stati Uniti non cresceva oltre il 3% dal 2005, oltre il 4% dal 2000 e oltre il 5% dal 1984] 27 aprile 2016 The Int'l Spectator @intlspectator
#TTIP: Il controverso accordo commerciale tra UE e USA potrebbe portare al disastro l'#agricoltura europea 29 aprile 2016 Etica Sgr @EticaSgr valori / ANNO 16 N. 138 / GIUGNO 2016
Più di 650 milioni di persone tra i più poveri del mondo sono senza accesso ad acqua potabile. Lo sostiene l’Ong WaterAid. Ecco come è costosa l'acqua potabile e come è distribuita in diversi Paesi. www.statista.com/chart/4591/drinking-water-world-water-day 53
Se i muri d'Europa uccidono più del Vietnam - l'Espresso
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Se i muri d'Europa uccidono più del Vietnam Duemila e 859 morti in meno di sei mesi. In proporzione il Mediterraneo sta distruggendo più vite, fra i profughi che cercano di raggiungere l'Italia, di quante ne abbia causate il conflitto a Saigon fra i militari americani. "Missing Migrants" pubblica un rapporto su una guerra che non chiamiamo tale DI FRANCESCA SIRONI
16 giugno 2016
E la chiamano “emergenza”, o un problema di “flussi”, di “gestione dell'immigrazione”. Eppure. In soli cinque mesi questa non-guerra ha ucciso nel Mediterraneo 2mila e 859 persone, secondo gli ultimi dati, pubblicati ieri, da “Missing Migrants” , un'unità dell'organizzazione internazionale per le Migrazioni che si occupa di raccogliere informazioni e storie su quanti muoiono nel tentativo di superare i confini delle nazioni. In questo caso: di attraversare il mare per raggiungere l'Europa. Di lasciare Eritrea, Nigeria, Gambia, per entrare in qualsiasi modo nella Ue, pagando trafficanti e scafisti. La via più pericolosa, come l'Espresso racconta da anni, resta il Canale di Sicilia, dove dall'inizio dell'anno su 51mila e 965 uomini e donne sbarcati, in 2.438 sono annegati. I nomi delle vittime mancano nella maggior parte dei casi, così come i loro corpi, recuperati solo la metà delle volte. Ma anche i numeri, muti, una realtà la mostrano: per arrivare in Italia, sono morte 4,4 persone ogni 100 che sono partite dal Nord Africa. La guerra nel Vietnam, considerato uno dei conflitti più gravi, in termini di vite, per gli Stati Uniti d'America, ha ucciso in nove anni 2,2 soldati ogni 100 partiti. Sono 58.220 croci su due milioni e 594mila militari impegnati nel Sud del paese. Certo, i numeri non sono comparabili, ma le proporzioni indicano qualcosa. Soprattutto di fronte al continuare di questa non-guerra e delle sue vittime. Nel 2015 si erano già registrate, infatti, nel Mediterraneo, 3.770 morti. Altri 133 migranti sono stati uccisi l'anno scorso cercando di superare la Manica e raggiungere l'Inghilterra della Brexit: rimasti schiacciati dai Tir o soffocati sul retro di cassoni in cui si erano nascosti. Il confine del Messico, dove pure sono morte 321 persone, o la crisi migratoria in Sud Est Asiatico, che ne ha uccise 787, sono lontane. Eppure questi numeri non hanno cambiato molto. L'accordo con la Turchia ha ridotto del 98 per cento gli arrivi in Grecia attraverso l'Egeo – causando, secondo Amnesty International, più gravi violazioni dei diritti umani al confine con la Siria – ma dalla Libia e dall'Egitto le partenze verso la Sicilia continuano, e in condizioni sempre più precarie. Fra i richiedenti asilo che sbarcano non ci sono afghani o siriani, i più numerosi a tentare la rotta balcanica un anno fa, ma soprattutto pakistani e
20/10/17, 13:24
Se i muri d'Europa uccidono più del Vietnam - l'Espresso
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africani. Le barriere dell'Est così non hanno aumentato che dell'un per cento gli arrivi in Italia. «Ogni viaggio lungo i confini è fatto con la piena consapevolezza che potrebbero non sopravvivere, e questo è particolarmente vero lasciando Tripoli, in Libia, perché il mare non lascia tracce di un corpo», spiega il rapporto di Missing Migrants: «Dava conforto alle persone sapere almeno che i loro familiari sarebbero stati avvisati se non fossero sopravvissuti al viaggio». Per questo sarebbe “comune”, continua il dossier, per i migranti, «scrivere i loro nomi e i numeri di telefono delle loro famiglie sullo scafo, o sulle loro magliette, quando l'imbarcazione inizia a lottare con le onde. Poco prima che la barca del naufragio di Lampedusa dell'ottobre 2013 affondasse del tutto, quelli sul ponte che sapevano che non ce l'avrebbero fatta gridavano i loro nomi e quelli dei loro villaggi, perché i sopravvissuto potessero portare a riva notizia delle loro morti».
16 giugno 2016© RIPRODUZIONE RISERVATA
20/10/17, 13:24
Da Melilla al Brennero, tutti i muri d'Europa per fermare i migranti - ...
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http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/505351/Da-Melilla-...
Da Melilla al Brennero, tutti i muri d'Europa per fermare i migranti Quella che Vienna vuole costruire ai confini con l'Italia è solo l'ultima barriera in ordine di tempo. Dagli anni '90, sono diversi gli steccati eretti da paesi europei, prima per proteggere i confini esterni dell'Ue ma sempre più spesso anche tra Stato e Stato 12 aprile 2016
BRUXELLES - L'ultima, ma non certo la sola. La barriera che l'Austria ha annunciato per limitare l'accesso dei migranti provenienti dall'Italia, non è il primo e probabilmente non sarà l'ultimo muro sorto in territorio europeo. La tendenza degli anni Ottanta ad abbattere le barriere, ha iniziato ad essere invertita già negli anni novanta, a cominciare dalla Spagna, e più precisamente dalle due enclave spagnole di Ceuta e Melilla. Qui, sono state costruite le prime due barriere di filo spinato per ostacolare l'ingresso di migranti dal Marocco. Costate 30 milioni di euro, sono state in parte finanziate a livello europeo, sono lunghe 8,2 chilometri a Ceuta e 12 a Melilla e alte fino a sette metri. A sorvegliarle sono state installate telecamere e sensori di controllo acustici e visivi. Misure non sempre sufficienti a scoraggiare i migranti, che di tanto in tanto tentano comunque di prenderle d'assalto nel tentativo di aprire una breccia verso l'Europa. Altro steccato innalzato per difendere le frontiere esterne dell'Unione europea è quello iniziato nel 2012 tra la città greca Nea Vyssa e la turca Edirne. 12 chilometri di filo spinato per una spesa di tre milioni di euro, che il governo greco ha deciso di effettuare per tentare di fermare il flusso di migranti, soprattutto siriani e iracheni, in arrivo dal Medio Oriente attraverso il fiume Evros. Con l'intenzione di limitare l'immigrazione è nata anche la barriera che dal 2014 la Bulgaria sta erigendo al confine con la Turchia. Nel suo progetto definitivo, il muro di filo spinato sorvegliato da un soldato ogni cento metri, dovrebbe arrivare a misurare 160 chilometri. Per il momento ne è stato completato un primo tratto di 32 chilometri che, secondo il governo, ha già ridotto in modo drastico gli ingressi irregolari. Negli ultimi mesi, a seguire l'esempio della Bulgaria, è stata anche l'Ungheria di Viktor Orban che, con l'aggravarsi della crisi migratoria, ha deciso di circondarsi di barriere di filo spinato. Si è cominciato con la Serbia, da cui Budapest ha deciso di separarsi con una rete metallica di filo spinato e lamette alta circa 3,5 metri e lunga 175 chilometri. A motivare la decisione, ha chiarito Orban, l'incapacità dell'Ue di adottare misure davvero europee per fare fronte alla situazione. Soddisfatto del calo degli ingressi, il governo ungherese ha poi deciso di proseguire l'opera anche con una nuova barriera al confine con la Croazia: per la prima volta un muro fisico è tornato a separare due Stati appartenenti all'Unione europea. Un'altra barriera interna, è quella sorta a Calais, frutto di un accordo tra Gran Bretagna e Francia per finanziare, con 15 milioni di euro, una palizzata che rafforzi la sicurezza dell'imbocco del Canale sotto la manica. L'ultimo tentativo per fermare l'assalto delle centinaia di migranti che ogni giorno tentano di arrivare nel Regno Unito, infilandosi clandestinamente nei camion che percorrono il tunnel. © Copyright Redattore Sociale
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I migranti e i muri in Europa - Corriere.it
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I migranti e i muri in Europa Dal muro di Calais alla barriera tra Ungheria e Serbia e tutte le altre barriere per fermare i migranti
8 settembre 2016 (modifica il 8 settembre 2016 | 00:07) © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Macedonia e appunto con la Serbia.
La notizia è stata diffusa oggi dal quotidiano serbo Danas, che ha annunciato come fonti vicine al premier serbo Aleksandar Vučić abbiano rivelato che il governo di Zagabria sia pronto ad erigere una barriera confinaria lungo il confine serbo-croato per ridurre e regolare il flusso dei profughi che da mesi lo attraversano nel loro viaggio verso nord.
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Nel caso che questo muro dovesse effettivamente venire eretto Belgrado sarebbe pronta a fare altrettanto alla frontiera con la Macedonia. Quando anche questi due confini dovessero essere blindati dalle barriere in filo spinato, i Balcani avrebbero perso anche l’ultimo confine non militarizzato.
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I primi, in estate, erano stati gli Ungheresi, con l’ormai celebre muro di Viktor Orbán. Una barriera di rete d’acciaio e filo spinato che aveva suscitato la reprimenda dell’Unione Europea, ancora infatuata dalla politica delle “porte aperte” sposata come una bandiera da Angela Merkel.
Quindi, con il procedere dei mesi e la successione ininterrotta della marcia dei migranti, tra novembre e dicembre anche Austria , Slovenia e Macedonia hanno a vario titolo annunciato misure analoghe. Per i migranti sbarcati in Grecia sono ora dunque almeno cinque le barriere di confine da attraversare prima di giungere in Germania.
Quella che un tempo veniva chiamata “la polveriera d’Europa” è tornata ad essere solcata da confini militarizzati come non avveniva, in tempo di pace, da prima della Seconda Guerra Mondiale. Da tempo gli osservatori internazionali prevedono che la rot-
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temente, la Ue ha stimato che entro il 2017 possano entrare nell’Unione fino a tre milioni di migranti.
Quella dei muri, però, non è una soluzione adottata solamente dagli Stati balcanici. Barriere contenitive sono sorte a macchia di leopardo lungo tutte le rotte battute dai disperati in fuga dalle guerre o in cerca di migliori condizioni di vita.
Nel 2012 la Grecia ha iniziato la costruzione di una barriera costata tre milioni di euro lungo il confine terrestre con la Turchia e altri tratti di muro sono stati edificati lungo la frontiera turco-bulgara. Dal giugno 2015 il porto francese di Calais è stato dotato di una robusta barriera che dovrebbe impedire l’assalto dei migranti ai traghetti diretti in Inghilterra e in dicembre e a gennaio sono stati reintrodotti i controlli sul ponte di Oresund, che collega Svezia e Danimarca.
Infine vanno segnalati i casi delle due città autonome di Ceuta e Melilla, che sorgono sul continente africano ma appartengono alla Spagna. Entrambe sono protette da un’alta barriera metallica finanziata con i contributi della Commissione Europea. Sotto la spinta dell’immigrazione dal Sud del mondo, i muri di confine sono tornati protagonisti della geopolitica europea, come non accadeva dalla fine degli anni Ottanta.
Meno di un anno fa, sette dei dieci muri che abbiamo preso in considerazione non esistevano. Nel giro di pochi mesi la parte sud-orientale del Vecchio Continente è stata solcata da trincee e reticolati che ricordano quelle delle ultime guerre. Nel resto d’Europa, sempre più Paesi richiedono nuove barriere, non più fisiche ma legali, alla libera circolazione di uomini e di mezzi. È solo questione di tempo prima che il Trattato di Schengen, che di questa libertà era stato la bandiera, sia chiamato alla prova suprema. Quella che deciderà della sua stessa sopravvivenza.
@giovannimasini
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baruffa • 2 anni fa
barriere inutili così come l'europa unita stessa. Il flusso si dirigerà verso la mussulmana albania che sarà ben lieta di fare affari d'oro, per poi imbarcarsi verso otranto, rotta già altamente sperimentata in passato. Lì ci sarà tutta la flotta d'europa a prenderli e scaricarceli in Italia. Previsione scontata!!!
△ ▽ • Rispondi • Condividi › Giancarlo Gioppi • 2 anni fa
Basta! In Europa non c'è più posto per nessuno, migrante economico o profugo che sia. Che vadano in Sudamerica, nelle Filippine o in Canada. Il mondo non è costituito dalla sola Europa...
△ ▽ • Rispondi • Condividi › Maya > Giancarlo Gioppi • un anno fa
Ma come ci arrivano là? Volando? Già per arrivare qui ne muoiono una decina per volta, se non di più
△ ▽ • Rispondi • Condividi › itsmy opinion • 2 anni fa
muri qui, muri lá ma alla fin fine passano tutti. Mah...
△ ▽ • Rispondi • Condividi › Paolo Bassino > itsmy opinion • 2 anni fa
alla fine arriveranno tutti da noi che siamo ....... buoni e muri non ne vogliamo, anzi andiamo pure a prenderli.1△
▽ • Rispondi • Condividi ›
agosvac • 2 anni fa
La cosa comica è che tutte, o quasi tutte, le nazioni Ue, costruiscono muri tra le frontiere interne all'Ue. Ma non sarebbe più semplice "non fare entrare questi immigrati" all'interno dell'Ue?????? Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per inviarti pubblicità e servizi in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di più o negare il consenso
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Nel centro di Kirkenes è stata una novità poco gradita. Ma la recinzione alta quattro metri è stata edificata in breve tempo. Dalle parti di Oslo hanno pensato che i circa 5 mila profughi entrati del Paese dalla cosiddetta via artica attraverso la Russia fossero abbastanza per edificare una recinzione protettiva. Cittadina abitata da poco meno di 10 mila anime, Kirkenes dista oltre 1.800 chilometri dalla capitale e non ha accolto Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per inviarti pubblicità e servizi in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di più o negare il consenso clicca qui. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando su qualunque elemento acconsenti all'uso dei cookie.
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tutelare i suoi confini.
Cinquemila chilometri più a Sud c’è la stessa scena solo con numeri e modalità molto più preoccupanti. A Ceuta, enclave spagnola in terra marocchina, ogni settimana migliaia di migranti africani tentano di superare le recinzioni che dividono l’Africa dalla Spagna. Solo il 20 febbraio 350 di loro sono riusciti a superare le recinzioni entrando di fatto in Europa. Qualche giorno prima altri 500 erano riusciti a passare.
Nel tempo in cui si critica aspramente la decisione del nuovo presidente americano Donald Trump di voler dare seguito alla promessa elettorale sul muro al confine sul Messico, si scopre che in realtà la nuova linea della Casa Bianca si inserisce in una tendenza consolidata nel mondo. Nei vari continenti si possono contare almeno una quaQuesto sito utilizza cookie, anche di terze parti, per inviarti pubblicità e servizi in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di più o negare il consenso
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I muri interni ed esterni dell’Europa La stessa Europa, che in più di qualche occasione ha criticato la politica del nuovo presidente, dimentica spesso di avere recinzioni e divisioni, sia lungo i propri confini che al proprio interno. Basti pensare ai chilometri di filo spinato stesso tra Ungheria, Croazia, Slovenia e Austria. Con l’esplosione della rotta balcanica nell’estate del 2015 il governo di Budapest ha messo in piedi un sistema di salvaguardia dei confini con recinzioni e torri di vedetta. Un sistema al quale si sono affiancati anche una serie di gruppi paramilitari.
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Ma le recinzioni sono state alzate anche più a Est come nel caso di Ucraina ed Estonia. Kiev dopo la guerra civile nel 2014 ha srotolato chilometri di filo spinato poco a Nord delle Repubbliche del Donbass. Ma anche verso Nord in Estonia è stato fortificato il confine, per paura della Russia. Il governo di Tallin ha autorizzato la costrizione di un muro alto almeno 2 metri della lunghezza approssimativa di 130 chilometri che verrà ultimato entro il 2019.
L’Europa però è divisa anche al suo interno come nel caso della storica “Peace line” a Belfast e Derry in Irlanda del Nord. Il complesso sistema di muri e varchi tiene separate le comunità di cattolici e protestanti. Nata nel 1969, in particolare per difendere i cattolici dai protestanti, la barriera si è via via ingrandita per una lunghezza complessiva di 15 chilometri.
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Kirkenes
Belfast
Ungheria Austria
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La grande barriera che protegge Israele Negli anni anche Israele ha potenziato e perfezionato il sistema di recinzioni. Tutto è partito dalle prime istallazioni nel 1994 lungo la striscia di Gaza. Nel 1998 gran parte della barriera venne distrutta dalla seconda intifada ma tra il 2000 e 2001 Tel Aviv ha completato la costruzione di una recinzione con filo spinato. Potenziata da una “terra di nessuno” sorvegliata dall’esercito, la linea di difesa ha solo tre varchi di accesso: il valico di Erez, quello di Rafah, in Egitto, e quello di Karni.
Intervento più massiccio invece ai confini con la Cisgiordania. Edificata a partire dal 2002 questo particolare tipo di barriera è costituito da mura che possono raggiungere gli 8 metri. In totale il muro è lungo 730 chilometri. A nord di Gerusalemme circonda Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per inviarti pubblicità e servizi in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di più o negare il consenso
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Striscia di Gaza Cisgiordania
Valico di Karni
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Uno degli ultimi interventi in ordine di tempo è avvenuto in Africa. Nello specifico al confine tra Kenya e Somalia. Il governo del presidente Uhuru Kenyatta ha autorizzato la costruzione di una recinzione lungo tutti i 700km di confine. L’intento delle autorità keniote è quello di difendere il Paese dai possibili attacchi nei miliziani di al Shabaab, come successo nel 2015 all’università di Garissa, dove vennero trucidate 152 persone.
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Somalia
Kenya
Turchia e Arabia Saudita come l’America di Trump Uno dei paesi che più di tutti hanno lavorato per la difesa dei propri confini è uno storico alleato degli Usa. Si tratta dell’Arabia Saudita. Riyad negli anni ha fortificato il suo confine meridionale con Yemen e Oman. Ma ora punta al modello “MexicanWall” lungo il confine con l’Iraq. Un muro difensivo di 600 chilometri con torri di guardia, barriere di sabbia e guardie di confine che porterà a una mobilitazione di 30 mila uomini.
Discorso analogo a Nord. La Turchia sta alzando un muro di 500 chilometri lungo il confine con la Siria che verrà accompagnato con sistemi di sorveglianza aerea realizzati con i droni. Scopo principale sarà quello difendere il Paese dalla penetrazione dei terroristi dell’Isis e chiudere definitivamente la rotta di foreign fighters verso il Califfato.
Secondo una stima reaQuesto sito utilizza cookie, anche di terze parti, per inviarti pubblicitàIemigliori servizi in prodotti linea con leper tue Yoga. preferenze. Yoga
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simo secolo i muri erano meno di cinque. Mentre nel 1990, quando venne abbattuto il muro di Berlino le recinzioni in giro per il mondo erano una quindicina. Vent’anni dopo il loro numero era praticamente triplicato arrivando a superare la quarantina. Di questi almeno 20-25 sono stati edificati nell’ultimo decennio con un sensibile aumento dopo gli attentati dell’11 settembre.
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venzan • 8 mesi fa
Uno Stato senza muri, cioè senza confini non è più tale, le leggi e la convivenza civile non valgono più. 4△
▽ • Rispondi • Condividi › Anita Mueller > venzan • 8 mesi fa
Focus ha pubblicato una mappa dei paesi più (e meno) pacifici al mondo ...
△ ▽ • Rispondi • Condividi › Questo commento è stato eliminato.
Anita Mueller > Guest • 7 mesi fa
Vuoi ridicolizzare la fonte?
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World of walls: How 65 countries have erected fences on their borders – four times as many as when
Security fears and a widespread refusal to help refugees have fuelled a new spate of wall-building around the world A third of the world's countries have completed or are building barriers – compared to 16 at the fall of the Berlin Wall They include Israel's 'apartheid wall', India's 2,500-mile fence around Bangladesh and Morocco's huge sand 'berm' Experts are dismissive, saying: 'Their main function is theatre. They provide the sense of security, not real security' By SIMON TOMLINSON FOR MAILONLINE PUBLISHED: 19:56 BST, 21 August 2015 | UPDATED: 08:55 BST, 22 August 2015
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Globalisation was supposed to tear down barriers, but security fears and a widespread refusal to help migrants and refugees have fuelled a new spate of wall-building across the world, with a third of the world's countries constructing them along their borders. When the Berlin Wall was torn down a quarter-century ago, there were 16 border fences around the world. Today, there are 65 either completed or under construction, according to Quebec University expert Elisabeth Vallet. Scroll down for video
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http://www.dailymail.co.uk/news/article-3205724/How-65-countries-er...
+14 Blocked: There are 65 countries either building walls, or which are already have them - including in Belfast, where they are called 'peace lines', as well as numerous in the Middle East, where countries are trying to protect themselves from the risk of terrorism
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+14 +99 Symbol of aggression: Palestinians climb over a section of Israel's separation wall near Qalandia checkpoint between Ramallah to enter Jerusalem for Friday prayer in the al-Aqsa mosque compound, Islam's third-holiest site, during the holy NEW Top ARTICLES month of Ramadan last month w
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http://www.dailymail.co.uk/news/article-3205724/How-65-countries-er...
+14 Effective?: Migrants claim to the top of the fence which runs along the border of Morocco and the North African Spanish enclave of Melilla
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+14 Tearing it down: But more than 25 years since the iconic Berlin Wall, which separated east from west Germany, came down, the effectiveness of these walls as little more than a symbol is being questioned
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Drivers face 12-hour delays at Folkestone after 'several'... w
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http://www.dailymail.co.uk/news/article-3205724/How-65-countries-er...
From Israel's separation barrier (or 'apartheid wall' as it is known by the Palestinians), to the 2,500-mile barbedwire fence India is building around Bangladesh, to the enormous sand 'berm' that separates Morocco from rebelheld parts of the Western Sahara – walls and fences are ever-more popular with politicians wanting to look tough on migration and security. US presidential hopeful Donald Trump has made plans for a wall along the border with Mexico – to keep out what he called 'criminals, drug dealers, rapists' – central to his inflammatory campaign. Yet experts say there is little proof of their effectiveness in stopping people crossing borders. In July, Hungary's right-wing government began building a four-metre-high (13 feet) fence along its border with Serbia to stanch the flow of refugees from Syria, Iraq and Afghanistan. 'We have only recently taken down walls in Europe; we should not be putting them up,' was one EU spokesperson's exasperated response. Three other countries – Kenya, Saudi Arabia and Turkey – are all constructing border fences in a bid to keep out jihadist groups next door in Somalia, Iraq and Syria. Seven miles of barrier have already been erected along the border at Reyhanli town in Hatay province - a main point for smuggling and border-crossing from Syria - the private Dogan news agency said. The fence in Turkey will eventually stretch for 28 miles along a key stretch of its border with Syria. But the Turkish wall pales into insignificance when compared to the multi-layered fence which will one day stretch 600 miles from Jordan to Kuwait along Saudi's border with Iraq - a line of defence against ISIS. MORE VIDEOS Heartbreaking moment dying chimp recognises her professor friend
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http://www.dailymail.co.uk/news/article-3205724/How-65-countries-er...
+14 Panic measures: A Hungarian soldier stands next to the first portion of a temporary fence the Hungarian military is erecting on its border to Serbia in an effort to keep out refugees. The country has become one of the main crossing points, especially for refugees from Syria, Afghanistan and Iraq, who arrive via Greece and travel through Serbia and Hungary on their way to countries in northern Europe
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e a jbuilding nh Undeterred: Migrants and refugees are still trying to cross into Hungary, trying to keep ahead of the fence 0:19 / 1:51
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+14 Human barrier: Today Macedonia decided to block the border with Greece, placing wire on the ground and sending riot police to prevent people crossing into their country - making the world's newest, and most hastily built, wall
Migrants fight and crush into police lines at Macedonia border
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Baffled dad attempts to free child's head stuck between bars
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But in spite of the aggressive symbolism, it is not clear that walls are truly effective. 'The one thing all these walls have in common is that their main function is theatre,' said Marcello Di Cintio, author of 'Walls: Travels Along the Barricades'. 'You can't dismiss that illusion, it's important to people, but they provide the sense of security, not real security.' +99
Top of The limits of their effectiveness are visible everywhere - not least, with the migrants and refugees sitting on top the fence along the border with Morocco and the small Spanish enclave of Mellila, on the North African coast. Share 0:19 / 1:51 e a j n h m t Even the fearsome Berlin Wall with its trigger-happy sentries still leaked thousands of refugees even in its most NEW ARTICLES
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forbidding years. Supporters of walls say a few leaks are better than a flood. But, Di Cintio argues we must also consider the psychological price they exact. 'Drug smugglers' cross border into US by simply jacking up fence
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+14 Creating tensions: A young man walks next to the border fence between Mexico and the United States. Controversial presidential candidate Donald Trump has said he will build a wall to keep out 'rapists and drug runners' across the length of the border +99 NEW ARTICLES
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+14 Stuck: The existing fence along the U.S. - Mexican border has failed to stop the flow of drugs into North America, as the cartels have money to get their wares across the line in other ways. Experts say mainly the impoverished are trapped by these walls
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Response: Ukrainian border guards patrol along the on the Senkivka border post, around 125 miles north of the capital Kiev. Share Dubbed the 'Wall', the ambitious project to seal up Ukraine's porous 1,200-mile frontier with Russia was announced in March 0:19 / 1:51 jnh m tin 2014 after Moscow seized the Crimea peninsula from Kiev and has e sincea supported separatists in their land-grab offensives w
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the east of the country
+14 Divide: Along the Moroccan border with Western Sahara is a sand wall called the 'Berm', which is surrounded by mines to stop the Polisario Front fighters crossing. It is second in length only to the Great Wall of China, and has kept families separated for decades
He cites the Native American Tohono O'odham tribe, whose elders started to die off in apparent grief when the Mexican border fence cut them off from their ceremonial sites. Their story carries shades of the 'wall disease' diagnosed by Berlin psychologist Dietfried Muller-Hegemann in the 1970s after he found heightened levels of depression, alcoholism and domestic abuse among those living in the shadow of the barricade. Di Cintio also talked to Bangladeshi farmers suddenly cut off from their neighbours when India erected the simple barbed-wire fence between them in the last decade. Within a few months, he said, they had started expressing distrust and dislike for 'those people' on the other side. 'I was struck every time at how a structure so simple as a wall or fence can have these profound psychological effects,' says Di Cintio. Expand t Close
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At a localised level, a wall offers more security than no wall. But they do little to address the roots of insecurity and migration – global asylum applications and terrorist attacks have risen hugely despite the flurry of wall-building. Rather, they just force groups to adapt. They are mostly effective against the poorest and most desperate, says Reece Jones, a University of Hawaii +99 professor and author of 'Border Walls: Security and the War on Terror in the United States, India and Israel'. NEW ARTICLES
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'Well-funded drug cartels and terrorist groups are not affected by walls at all because they have the resources to Share enter by safer methods, most likely using fake documents,' he said. 0:19 / 1:51 w
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+14 Problems: A villager walks past a new barbed-wire fences that has come up in his area on the Jaffna peninsula. Sri Lanka's army this year began returning land it has occupied since the end of a decades-long separatist conflict to its original owners in the Tamil heartland of Jaffna. But the process has created new boundaries that have split communities -- and even individual homes -- creating fresh resentment
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Anger: The wall separates many in Israel from the most holy sites ine Islam, the Al-Aqsa Mosque in Jerusalem 0:19 / 1:51 aincluding
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+14 Reminder: The wall marking the boundary of the United Nations buffer zone, seen from the Greek Cypriot-controlled area of central Nicosia. Cyprus is split by the buffer zone east to west, with ethnic Greeks living in the south and Turks in the north
The eerie scenes inside in the UN's buffer zone in Cyprus
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Shutting down border crossings only 'funnels immigrants to more dangerous routes through the deserts of the US southwest or on rickety boats across the Mediterranean. 'The substantial increase in deaths at borders is the predictable result,' said Jones. More than 40,000 people have died trying to migrate since 2000, the International Organisation for Migration said last year. +99 NEW
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ARTICLES Real border control comes only through the slow, exhaustive work of building ties and sharing information with other countries, says Emmanuel Brunet-Jailly, from Canada's University of Victoria. Share w
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'But with the intense flows of people we see today, walls are perhaps necessary for politicians. 'They tap into old myths about what borders should be – the line in the sand – which humans relate to,' he said. 'It's a lot more difficult for people to accept that diplomatic cooperation and sharing databases are much more effective in the long term.' Share or comment on this article
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The comments below have not been moderated. lmaohilarious, kabul, Afghanistan, 2 years ago
Electric fences, guard dogs, live bullets and moats Click to rate
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Big Mamma Jamma, Miami, United States, 2 years ago
wouldn't it be awesome to build The Wall bet US and Mex and post Bros of the Night's Watch to keep them illegals from scaling it... I can only dream Click to rate
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Siid Watson, Guatemala City, Guatemala, 2 years ago
Let's see how many anti wall proponents would be happy tearing down their garden fences, bushes and/or walls to test their theories on a micro level. Click to rate romek4ski, Chicago, United States, 2 years ago
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Only one is build on stolen land - guess which one? Click to rate
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Barb, Miami, 2 years ago
So...do these walls have an end....like the Great Wall of China? It just stops not far from the beach and you can just boat around it. Click to rate Yuman, Syria, United Kingdom, 2 years ago
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We have the sea to stop them, unfortunately we have politicians that let them walk in and put them up in hotels!
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Terence Molloy, Almeria, Spain, 2 years ago
Matthew 24, v 7, with reference to the last days. nation will rise against nation and kingdom against kingdom, and there will be food shortages and earthquakes in one place after another, all these things Are a beginning of pangs of distress, v 14, and this good news of the kingdom will be preached in all the inhabited earth for a witness to the nation's and then the end will come. Check it out folks, check it out. Click to rate
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knowthetruth, thenorth, United Kingdom, 2 years ago
Unfortunately for the UK no fence will help now as those who want to harm us are already here
Gracie Gragg, Spruce Pine, United States, 2 years ago
Isn't it obvious that walls don't work?
bannie, Bakersfield, United States, 2 years ago
Not without additional enforcement.
Rob, Brisbane, 2 years ago
Yes they do with a mine-field.
medraco, Prague, Czech Republic, 2 years ago
You forgot fence between North and South Korea.
View all The views expressed in the contents above are those of our users and do not necessarily reflect the views of MailOnline. We are no longer accepting comments on this article.
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Borders and Walls: Do Barriers Deter Unauthorized Migration? | migra...
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https://www.migrationpolicy.org/article/borders-and-walls-do-barriers-...
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Borders and Walls: Do Barriers Deter Unauthorized Migration? OCTOBER 5, 2016 FE ATU RE
By Reece Jones
Reece Jones is an Associate Professor of geography at the University of Hawai‘i and the author of Violent Borders: Refugees and the Right to Move and Border Walls.
RELATED ARTICLES In 2015, borders and walls seemed to burst onto the global agenda in the context of migration and halting spontaneous movement. Countries as diverse as Austria, Bulgaria, Estonia, Hungary, Kenya, Saudi Arabia, and Tunisia announced or began work on new border barriers. This trend has continued apace in 2016, with Bulgaria, Hungary, and Austria
A portion of the fence along the U.S. border with Mexico in Southern California. (Photo: BBC World Service)
AUTHOR
expanding their fences, Norway building a fence on its Russian border, the United Kingdom funding a wall in Calais, France, and Pakistan building a fence on its border with
Asylum Seeker and Migrant Flows in the Mediterranean Adapt Rapidly to Changing Conditions Top 10 of 2014 - Issue #5: New Era in Immigration Enforcement at the U.S. Southwest Border Top 10 of 2014 - Issue #3: Border Controls under Challenge: A New Chapter Opens
Afghanistan.
Border walls also became a central issue in the U.S. presidential race, with Republican Donald Trump emerging from a crowded field of rivals in large part because of his promise to build a “beautiful wall” on the remaining 1,300 unfenced miles of the U.S.-Mexico border. Meanwhile, deaths of would-be asylum seekers and migrants in transit have been on the rise worldwide, reaching 5,604 in 2015 alone, according the International Organization for Migration. The surge in interest in border walls and fences is not simply a media creation but rather represents a very recent historical trend, arising in response to the growth in spontaneous international migration. Although we often imagine that there was a past era in which most borders were secured with physical barriers, in fact the construction of border barriers is a relatively new phenomenon. At the end of World War II there were fewer than
RELATED RESEARCH Border Metrics: How to Effectively Measure Border Security and Immigration Control Managing Borders in an Increasingly Borderless World
IN THE SPOTLIGHT
five border walls in the world, according to Élisabeth Vallet, a professor of geography at the University of Québec at Montréal. By the time the Berlin Wall fell in 1989, there were 15. Today, there are nearly 70 (see Figure 1). This rush to build new walls raises several questions: Why now? Did border walls work in the past? Do they work today? This article examines the history of border fortifications around the world, discusses the evolution of the meaning and purpose of borders, and assesses the extent to which such walls have been effective in achieving their goals. BBoorrddeerr W Waallllss:: A A BBrriieeff H Hiissttoorryy For many people, the Great Wall of China represents proof that humans have built border walls for thousands of years and that they are an effective means to protect the population from an outside threat. Reports about border walls today often reference the Great Wall accompanied by an image and a description of the barrier emphasizing
MPI Report: Immigration Enforcement in the U.S. The U.S. government spends more on federal immigration enforcement than on all other principal federal criminal law enforcement agencies combined, and has allocated nearly $187 billion for immigration enforcement since 1986. READ MORE
its superlative age and length: 2,000 years old and thousands of miles long. However, the true history of the Great Wall is less great than we remember it to be today. The reality is that various Chinese kingdoms built multiple walls—many of which have been lost to history—over a 1,500-year period to prevent Mongol raids. The evidence of the oldest walls, said to have been built in 220 BCE, is
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Borders and Walls: Do Barriers Deter Unauthorized Migration? | migra...
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https://www.migrationpolicy.org/article/borders-and-walls-do-barriers-...
thin: a single vague mention of fortifications in a historical text written more than 100 years after the fact. If a wall was built 2,000 years ago, no evidence of it remains today. In the ensuing centuries other walls were built out of tamped earth, but these were often seen as failures and left to erode. In a few places, archaeologists have found a faint line remaining in the landscape, but little more remains of them today.
CONTACT Source@MigrationPolicy.org
Contrary to popular belief, the famous sections of stone walls in the mountains near Beijing were not built during the time of the Roman Empire, but rather in the late 16th century during the Ming Dynasty. These walls also failed and were overrun within a few decades of their construction. As late as the Cultural Revolution in the 1960s, Chinese peasants were encouraged to dismantle the wall to use the stones for a more productive purpose. The remaining sections were otherwise largely ignored until discovered by Western travelers, who marveled at them and coined the term “Great Wall” (the Chinese simply called them “long walls”). Only in the past few decades, as the myth of a Great Wall grew, have a few sections been rebuilt to serve as tourist attractions. The walls built by Chinese emperors are remarkable today because they were historical anomalies in several ways. First, in the ancient past countries did not have fixed territorial borders, both because accurate maps had not yet been invented and the idea of a system of mutually recognized countries did not exist. Instead, most city-states and empires had frontier zones at their edges where their power diminished in relation to the distance from the seat of power. Secondly, in the past most rulers did not have the manpower or technical ability to build and guard a long wall. Walls were a common technology of defense, but usually existed on a much smaller scale around a densely inhabited city. While there are a few other historical examples of long walls, Hadrian’s Wall in Northern England being the most prominent, they served a similar purpose to the Chinese fortifications: They marked an area of defense and provided infrastructure to prevent the movement of raiders while also furthering the collection of taxes from traders. BBoorrddeerrss TTooddaayy:: M Moorree M Moovveem meenntt,, M Moorree W Waallllss In the 21st century, the purpose of borders has changed, leading to a surge in construction of border barriers. Unlike in the past, countries now control territories with fixed borders on maps that most other governments in the world have agreed to respect, rendering the use of walls to mark territorial control obsolete. While the Mongols and the Chinese did not recognize each other’s legitimate authority over a territory, today most countries are members of the United Nations and as part of the UN Charter agree to respect the borders and territorial sovereignty of all other members. By the middle of the 20th century, most countries had stabilized their borders and generally did not expect a territorial invasion by a neighboring army. For example, the United States is not worried that Mexico or Canada is going to invade it to take territory for itself. Instead, borders became the invisible lines that marked different economic, political, and cultural systems, embodied in the nation-state. Figure 1. Number of Border Walls Globally, 1945-2015
Source: Update by Élisabeth Vallet, Zoé Barry, and Josselyn Guillarmou of statistics included in Élisabeth Vallet, ed., Borders, Fences and Walls: State of Insecurity? (Farnham, UK: Ashgate Publishing, 2014).
Over the past 30 years, during what has come to be known as the era of globalization, the purpose of borders
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Borders and Walls: Do Barriers Deter Unauthorized Migration? | migra...
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https://www.migrationpolicy.org/article/borders-and-walls-do-barriers-...
shifted to preventing the movement of unauthorized civilians. In the second half of the 20th century, global populations grew rapidly, from 3 billion in 1960 to more than 7 billion today. At the same time, very large economic gaps emerged between the wealthiest and poorest places on earth, driving many people to move from rural areas to cities and eventually across borders to look for better opportunities. Meanwhile, a number of wars, most prominently in Afghanistan, Colombia, Iraq, Sudan, and now Syria, have caused millions to flee beyond their country’s borders in search of safety or prompted internal displacement. In ten years alone, the number of people forcibly displaced grew by 71 percent—reaching 65 million in 2015, up from an estimated 38 million in 2005. In light of concerns over spontaneous migration of large numbers of asylum seekers and migrants, and the effects that their arrival could have on public budgets, employment, and social cohesion, border walls suddenly became appealing to leaders in key destination or transit countries. For some, barriers represent a tangible solution to clamp down on unauthorized entries and show they are taking action to enforce the border. This view can be summed up by an oft-repeated Trump mantra on why borders matter: “We either have a country, or we don’t have a country.” In addition, the fear of terrorism has played a significant role in removing the stigma previously associated with building border walls. The fall of the Berlin Wall was hailed as a triumph of freedom over totalitarianism. During the 1990s, with memories of the Cold War still fresh, countries were hesitant to begin border wall projects because they were seen as anachronistic and not befitting of liberal democracies. However, in the post-9/11 world, any actions that attempt to make the population more secure became justifiable and obligatory for governments around the world. Along with additional screening at airports, increased police presence at public events, enhanced surveillance of phone and Internet communications, the use of biometric identity documents, and the externalization of border checkpoints through vetting flight manifests and collaborating with neighboring countries to identify potential threats, border walls became part of the suite of security measures a country could reasonably take to protect its citizens from terrorism. D Doo W Waallllss W Woorrkk?? EExxaam miinniinngg tthhee EEvviiddeennccee The evidence is clear that the construction of border fortifications is a new phenomenon that has rapidly emerged on a global scale in the 21st century. As movement of civilians across borders has increased, a number of countries have turned to walls and other security infrastructure to control access to their territory. What is less clear is whether such walls are effective, the answer to which depends on what they are meant to do. Walls are not effective at stopping a modern military because planes and missiles go over them and tanks can smash right through. Nor is a border barrier necessary to mark the territorial extent of the country. Walls are expensive and maps, boundary stones, and GPS data work just as well for this purpose. But what about their use as a way to keep out unauthorized migrants? While advanced as a popular solution, the evidence is mixed on whether walls are effective at preventing large movements of people across borders. Of course, there is little doubt that walls short in length and heavily guarded with troops or law enforcement officers can be very effective at stopping movement. This is the logic behind medieval city walls and prisons today. Indeed, short sections of walls have also proved effective at decreasing movement across international borders. This was demonstrated in the 1990s on the U.S.-Mexico border when the first sections of fencing were built in El Paso and near San Diego, supported by large deployments of Border Patrol agents. In the weeks that followed, crossings in those sectors dropped to almost zero. Similarly, the construction of Hungary’s border fence in 2015 was backed up with border guards, and consequently, crossings dropped substantially. However, in both cases fortified walls did not prevent crossings into the United States and European Union entirely, but instead shifted flows to other locations that were more remote or less fortified. In the U.S. case, as high-traffic urban routes were closed, migrants and smugglers began to cross in the remote and dangerous deserts of western Arizona. Child migration from Central America to the United States, which surged in 2014, has also been undeterred by enforcement (in fact most unaccompanied minors turn themselves in to border agents), as tens of thousands of children from El Salvador, Honduras, and Guatemala spontaneously arrive at the U.S. border with Mexico to claim asylum, many knowing they would be admitted into the U.S. pending removal hearings. In the European migration crisis in 2016, once land routes through the Balkans were closed, migrants adjusted by shifting their routes to board boats across the Mediterranean, frequently from Libya. The funneling of migrants to alternative routes points to one statistic that correlates closely with the construction of more walls: an increase in the number of deaths. As easier routes are closed, migrants choose ever more dangerous paths to reach their destination. At the U.S.-Mexico border this was evident in the decline in deaths in California which coincided with a rapid rise in Arizona. The Tucson, Arizona coroner’s office saw a substantial increase in the number of migrant deaths in the years after the hardening of the border, as migration routes shifted to the more dangerous deserts. The Tucson morgue recorded an average of 18 migration-related deaths per year in the 1990s, while in the 2000s it saw almost 200 per year. In 2010 the Border Patrol found more than 250
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Borders and Walls: Do Barriers Deter Unauthorized Migration? | migra...
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bodies in the Tucson sector, despite a decline in the total number of border apprehensions. Similarly, when the European Union and Member States fortified borders in 2015, there were a record 3,771 reported deaths at the edges of the European Union. In 2016, with the easier land route through the Balkans and Eastern Europe closed, the rate of deaths has increased further, with more than 3,000 deaths recorded through July—a 50 percent increase from the previous year. By comparison, there were just a handful of deaths recorded annually at the edges of Europe in the 1990s, and never more than 800 deaths prior to 2006. Despite these clear material impacts on the lives of migrants, millions of people globally continue to cross borders without authorization—meaning walls are relatively ineffective. The first reason is that on longer borders, it is extremely difficult to fence the entire length and adequately guard it. Building fencing or a wall also entails acquiring the necessary land, building and maintaining roads, and supplying the necessary manpower to guard the barrier. The U.S.-Mexico border only has fencing over one-third of its 1,969-mile length. Even the heavily fortified Israeli wall in the West Bank is only two-thirds finished. A second reason that walls are not effective is that many unauthorized movements, particularly those of terrorists or smugglers, do not happen between crossing points. A significant share of unauthorized immigrants in the United States entered with a valid visa and then simply never left, overstaying the terms of their visa. Additionally, many smuggled goods come through ports of entry or through tunnels built under the walls. The United States has found 150 tunnels under the U.S.Mexico border since the 1990s, some of which are quite sophisticated with ventilation systems and even rails to quickly move carts. Israel has begun construction on a subterranean wall on its border with Gaza in order to address the dozens of tunnels it has discovered. Figure 2. A Section of Wall on the U.S.-Mexico Border, South of Fort Hancock, Texas
Source: Photo taken by author.
A Powerful But Expensive Symbol If walls did not work in the past and today only work to divert, not prevent, migrant flows—while simultaneously having a grave human cost—why have so many gone up in the past 30 years? They are effective as symbols that demonstrate that politicians are doing something to address the perceived threats brought by unauthorized movement. These perceived threats can be economic in the form of smugglers or workers taking revenue and jobs from citizens. They can be cultural in the sense that migrants bring different traditions, languages, and ways of life that might not match with the local culture. While these underlying issues are complex and very rarely solved by whether or not a border is secured, “build a wall” is an evocative slogan and the barrier itself is a powerful visual symbol of action. Consequently, despite the expense and questionable effectiveness, it seems likely that in the short term there will be many more walls going up around the world. What remains to be seen, however, is how long they will stay up. SSoouurrcceess Anderson, Bruce, and Bruce Parks. 2008. Symposium on Border Crossing Deaths: Introduction. Journal of Forensic Sciences, 53: 6–7. Dear, Michael. 2013. Why Walls Won’t Work: Repairing the U.S.-Mexico Divide. Oxford, UK: Oxford University Press.
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Di Cintio, Marcello. 2013. Walls: Travels along the Barricades. Berkeley, CA: Soft Skull Press. International Organization for Migration. N.d. Missing Migrants Project. Accessed September 20, 2016. A Avvaaiillaabbllee O Onnlliinnee. Jones, Reece. 2012. Border Walls: Security and the War on Terror in the United States, India, and Israel. London: Zed Books. ---. 2016. Violent Borders: Refugees and the Right to Move. New York: Verso. Lovell, Julia. 2006. The Great Wall: China against the World, 1000 BC – 2000 AD. New York: Grove Press. Mountz, Alison. 2010. Seeking Asylum. Minneapolis: University of Minnesota Press. Nevins, Joseph. 2010. Operation Gatekeeper and Beyond: The War on “Illegals” and the Remaking of the U.S.Mexico Boundary. New York: Routledge. Slack, Jeremy, Daniel Martínez, Alison Lee, and Scott Whiteford. 2016. The Geography of Border Militarization: Violence, Death, and Health in Mexico and the United States. Journal of Latin American Geography, 15 (1): 7-32. United Nations High Commissioner for Refugees. N.d. Figures at a Glance. Accessed September 20, 2016. A Avvaaiillaabbllee O Onnlliinnee. Urrea, Luis. 2004. The Devil’s Highway: A True Story. New York: Little, Brown. Vallet, Élisabeth, ed. 2014. Borders, Fences and Walls: State of Insecurity? Farnham, UK: Ashgate Publishing. Waldron, Arthur. 1989. The Great Wall: From History to Myth. Cambridge, UK: Cambridge University Press. Walia, Harsha. 2013. Undoing Border Imperialism. Oakland, CA: AK Press.
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What border walls look like around the world - LA Times
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What border walls look like around the world By Lorena Iñiguez Elebee JANUARY 31, 2017, 3:00 AM
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recting barriers between nations is nothing new. Many countries have constructed them for protection or to stop migrants. Here is a look at some countries that have created a barrier or plan to construct one along at least a portion of their border.
Read more: Border walls aren't unheard of, but today they are increasingly dividing friends, not enemies »
U.S.-Mexico Various kinds of barriers along 653 miles of the 2,000-mile border. Here are the three most common types:
Turkey–Syria Turkey’s barriers consist of concrete slabs topped with razor wire.
India–Bangladesh India’s barriers are lower to the ground, layered with posts and wire fence, and rolls of barbed wire.
Israel - West Bank Parts of Israel’s border have high, narrow concrete slabs topped with wire fencing.
Belfast In Belfast, Northern Ireland, “peace lines,” are made of wood boards, or corrugated panels and posts topped with wire fencing.
Morocco – Western Sahara Morocco built a 1,700-mile berm consisting of stones and sand peaking at about 10 feet high. Barbed wire fences and landmines are also used.
Great Wall of China The largest barrier ever built, it was constructed during the Ming Dynasty using stone, brick and wood. It didn’t prevent invaders, but it remains an impressive feat of engineering.
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What border walls look like around the world - LA Times
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http://www.latimes.com/world/mexico-americas/la-fg-g-border-bariers...
Who builds Sources: Elisabeth Vallet, Times reporting, Encyclopedia Britannica, The Basement Geographer Copyright Š 2017, Los Angeles Times
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Cover Story (/csmlists/special/cover-story)
Why countries are walling themselves in – and others out From Hungary to Saudi Arabia to the United States, countries are barricading their borders – defying what was supposed to be an age of globalism. By Simon Montlake, Staff writer
NOVEMBER 15, 2015
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Monitor's Best: Top 5 1
(/World/Europe /2017/1019 /Moscow-gets-a-much-neededfacelift.-But-is-it-worth-thecost)
Moscow gets a much needed facelift. But is it worth the cost? (/World/Europe /2017/1019/Moscowgets-a-much-neededfacelift.-But-is-itworth-the-cost)
2
Zoltan/Mathe/MTI/AP | View Caption
(/World/MiddleEast/2017/1019/InTurkish-move-into-Syria-a-sign-
BOSTON — To Georgina Rios and her family, it was always la línea, the
of-how-Russia-is-shaping-the-
line. Her mother and grandmother were born on one side, and she was born
country)
on the other, in Nogales, Ariz. It was the 1950s, and the family’s rustic
In Turkish move into Syria, a sign of how Russia is shaping the country (/World /Middle-East/2017 /1019/In-Turkishmove-into-Syria-a-signof-how-Russia-isshaping-the-country)
bungalow had sweeping views of Nogales, Mexico, which unfurled south of the simple chain-link fence that marked the international border. Ms. Rios, not yet 10 years old, would come home from school to find her parents, grandparents, and neighbors drinking coffee and chatting with friends from the other side of la línea. A Mexican vendor carrying a basket
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full of freshly baked bread on his head would pass loaves to customers
(/Commentary/themonitors-view/2017
through gaps in the border fence. Nobody in the neighborhood worried
/1018/People-power-for-rule-
about locking doors.
of-law-in-the-Philippines) 'People power' for rule of law in the Philippines (/Commentary/themonitors-view/2017 /1018/People-powerfor-rule-of-law-in-thePhilippines)
Today Nogales’s chain-link fence is only seen on vintage postcards. In the mid-1990s, a metal wall rose in its place; in 2011 came an $11.6 million bollard-style barrier supplemented by surveillance cameras, stadium-bright lights, and the ever-present green-and-white patrol cars of US immigration officials. “It’s a different era now,” says Rios.
4 Recommended: Think you know Europe? Take our geography quiz. (/World/Europe/2011/0128/Think-you-know-Europe-Take-ourgeography-quiz)
/2017/1019 /Amazon-s-50-000-new-jobsWhy-some-cities-don-t-playtax-break-game)
Amazon’s 50,000 new jobs? Why some cities don’t play tax-break game. (/Business /2017/1019/Amazons-50-000-new-jobsWhy-some-cities-dont-play-tax-break-game)
Half a world away in Hungary, another border wall is rising: a 13-foot-high steel frame covered with chain-link fencing. At the top and bottom are coils of razor wire. The imposing wall cuts through picturesque farmland, running alongside fields of grapevines, sunflowers, and corn. On the other side are Hungary’s neighbors, Serbia and Croatia. Like
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Hungary, they have become transit routes for hundreds of thousands of
(/USA/2017 /1017/HowStockton-Calif.-has-resisted-
people fleeing wars in Syria, Iraq, and Afghanistan and seeking refuge in
political-polarization)
Europe. Hungary’s 340 miles of fencing is there to keep them out.
How Stockton, Calif., has resisted political polarization (/USA/2017/1017/HowStockton-Calif.-hasresisted-politicalpolarization)
“We passed all these obstacles, we overcame death and fear, and arrived here to find a steel wall,” says Mohamed Shaker, a young man from Syria who is standing near a barrier at the official crossing from Serbia. “What will we do now? I don’t know.”
(/Business
Building fortified barriers to repel and deter outsiders is an ancient practice rooted in military strategy, from China’s Great Wall to the Maginot Line that France created to defend itself from German aggression. Walls are also a way for rulers to define their states and to assert the hard edge of their authority. In AD 122, the Roman emperor Hadrian ordered the construction
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of a 73-mile stone wall across the breadth of northern Britain. Hadrian’s
! Menu " (/content/search) Wall would be the empire’s northwest frontier for nearly 300 years, a symbol of its political might.
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(http://www.csmonitor.com/USA/2011 /0104/Could-you-pass-a-US-citizenshiptest/Who-signs-bills?cmpid=prc:ctzn:e) Could you pass a US citizenship test? Find out. (http://www.csmonitor.com/USA/2011 /0104/Could-you-pass-a-US-citizenshiptest/Who-signs-bills?cmpid=prc:ctzn:e)
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SOURCE: UNIVERSITY OF CALIFORNIA, BERKELEY; UNIVERSITY OF QUEBEC IN MONTREAL, ILLUSTRATION: RICH CLABAUGH/STAFF
Today’s wall builders aren’t fortifying borders to stop armored columns or armies on horseback. Their targets are primarily migrants: people seeking to move from one country to another, driven by fear or drawn by opportunity. Their construction speaks to an era of insecurity, a walled-in world in which the fault lines are political and economic. Recommended: How walls can divide neighborhoods within cities (/World/Europe/2015/1115/How-walls-can-divide-neighborhoodswithin-cities)
The ideological contests of the cold war are over. But globalization hasn’t delivered on its promise of seamless mobility and shared prosperity. Not long ago, theorists argued that the nation-state and its borders were vanishing: From now on, global consumers, and the companies that served them, would set the rules. Instead, this unhindered flow of capital, ideas, goods, and people – melded with fears of global terrorism – has in many ways ushered in a hardening of national boundaries, a razor-wired riposte to the footloose. The world is experiencing a sober awakening of state sovereignty in the form of a new era of barricaded borders. “After 20 years of talking about globalization and a borderless world ... ever since 9/11 and particularly in the last year or two, borders have come back in a very big way,” says David Newman, professor of geopolitics at the University of Ben-Gurion of the Negev in Israel. “The idea of a world without borders is a fickle one.” A new study by two political scientists at the University of California, Berkeley found that half of all international border fortifications built since the end of World War II – 25 out of 51 – were started in the past 15 years. And those numbers were compiled before Europe’s refugee crisis erupted last summer. Wall-building is flourishing, says Ron Hassner, an associate professor at UC Berkeley, and countries are “not interested in open borders and merging” into their neighbors. His study and a similar research paper by scholars at Princeton University found that the most likely reason that a state erects a border wall against its neighbor isn’t armed conflict or territorial disputes. It is economic disparities. Rich nations are sealing off boundaries with poorer nations – and specifically with nations where poor people are on the move. As wars in Syria, Afghanistan, and elsewhere displace record numbers of people, the movement of migrants is unlikely to abate. The United Nations’
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refugee agency said in June that 59.5 million people – 1 person out of every
! Menu " (/content/search) 122 on the planet – had now fled their home and sought refuge either
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(/) a blip,” says David within their own country or abroad. “This is a trend, not Miliband, executive director of the International Rescue Committee in New York. • • • in 221 BC, Qin Shihuang defeated a series of rival rulers to become China’s first emperor. He ordered that all weights and measures be standardized, and created a national currency. He decreed a unified system for Chinese characters. He burned piles of books, from poetry to philosophy, and executed those who didn’t accede to his demands. Then he began to build a wall. The Qin wall would stretch some 3,000 miles across China, a barrier against nomadic invaders from the northern plains. In time, it would become a fount of myth and mythmaking, an enduring metaphor of ambition and secrecy. To this day, foreigners continue to marvel at China’s Great Wall (which actually is a series of walls, built in different eras, that were never a unified structure). During a visit in 2013, Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu said, “Just like the Chinese defended themselves by locking themselves behind a great wall, we, too, will continue to do so in a similar manner on ... all the fronts we face.” But the question is, Do walls actually work – do they prevent the wrong people from crossing into a country? And, if so, what are the consequences of that reduced flow, intended or not? Measuring the effectiveness of border barriers is tricky. Even the Great Wall
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of China still inspires debate. Some military historians argue that the elaborate Ming fortifications failed to repel raiders and were mostly the work of weak rulers who overspent on defense and fumbled on diplomacy. But David Spindler, a scholar who has walked much of the wall’s length, disagrees. True, some Mongol raids during the 15th and 16th centuries succeeded in breaching the barrier, with bloody consequences. But others failed, and, in the end, the Ming Dynasty endured until 1644. “[The wall] worked well at times. It depended how well it was defended,” Mr. Spindler says. Judging the usefulness of walls today is even more difficult, given that the gauge of success isn’t an invasion repelled but more ephemeral benchmarks: the flow of migrants curtailed and the amount of contraband stopped. And many governments are reluctant to share data on illegal migration. Some also inflate external threats in order to justify their walls and fences. “The security argument buys in a lot more people than an economic argument,” says Mr. Newman, who studies border policies and ethnicterritorial disputes. It’s also hard to assess more intangible measures, such as how many illicit crossings would have occurred had a barrier not been erected. Absent such studies, policy debates quickly assume partisan forms: Security hawks trumpet the impact of walls on stopping or detecting infiltrators; critics see them as morally wrong and ineffective, just diverting people to alternative routes. In the United States, the debate over borders has been turbocharged by Donald Trump. The GOP presidential aspirant has vowed to build a giant wall along the entire 1,954-mile US-Mexican border. In September, he said that the existing system of barricades – much of it built since 2006 at a reported cost of more than $7 billion – is too small and doesn’t work. He called it a “joke.” Still, fortified barriers can make a difference. They raise the cost of crossing a border – and make it easier for guards to detect people trying to enter illegally. Israel’s security barrier around the West Bank, designed to stop Palestinian militants, is a prime example: Suicide bombings dropped after its construction began in 2002. “The impact was immediate and visible. It advertised itself,” says Mr. Hassner. Israel is not alone. Roiled by war and upheaval, other countries in the Middle East are scrambling to add border fortifications. Hassner notes that Muslim-majority states are responsible for roughly half of all border walls built since 1945, mostly against other Muslim states.
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Across the US-Mexican border, illegal immigration is actually declining.
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(/) surveillance and border patrols, other analysts say migration tends to track the US economy. Since the 2008-09 recession, far fewer are trying to cross the border. Of those who do, an increasing number aren’t Mexican job seekers but minors fleeing violence-plagued Central America. Border agents detained 487,000 people crossing illegally in fiscal year 2014. That’s down from a peak of 1.6 million in 2000 after a surge in the 1990s following the signing of the North American Free Trade Agreement by the US, Canada, and Mexico. It’s a period that Rios and her family remember well. Strangers would knock on the door asking permission to drink water from their outdoor faucet. When individuals turned into groups, the family stopped opening the door. Shirts and socks started disappearing from the clothesline, and one day the family’s Labrador vanished. She was discovered in the basement, alive, along with three bundles of drugs wrapped in plastic, which the family turned over to police. Drug traffickers thwarted by the fortified fence began digging tunnels to transport marijuana and cocaine into rental or abandoned homes. The family eventually moved half a block up the hill, where Rios’s mother still lives. “The value of the homes had dropped significantly,” she says. Border crossers don’t come around much these days. But the drug cartels are still active: A smuggler’s ultralight aircraft recently dropped a bundle of marijuana onto a carport by accident. The coyotes who smuggle people across the border are also still in business, just rarely in towns like Nogales.
And as it became harder to slip over the border, coyotes exacted higher prices and migrants took greater risks along their route. But they didn’t stop trying to cross la línea. Many believe the crossings are likely to pick up with a stronger US economy, given the wide economic disparities north and south of the border. Peter Andreas, a political scientist and immigration expert at Brown University, believes that border enforcement didn’t stop migration. “What it did do is change it,” he says. “It moved it away from major visible urban centers, out of the public eye, and pushed it into remote, distant, dangerous terrain.” Rios sees the border fence as “a double-edged sword,” which she reluctantly accepts. “We do need it now because it’s not the good old days anymore: You do want it for control,” she says. “But at the same time, it’s a harsh thing to see every time you drive into the neighborhood.” • • • On Sept. 6, in the midst of Europe’s refugee crisis, Sweden’s prime minister, Stefan Löfven, addressed a pro-refugee rally. Europeans would not shirk their moral responsibility to help migrants pouring into the Continent, he said. “We need to decide right now what kind of Europe we are going to be. My Europe takes in refugees. My Europe doesn’t build walls.” A generation ago, Europe tore down the walls and fences that formed the Iron Curtain between West and East. Today, Bulgaria and Hungary are installing border walls manned by armed guards, echoing the barbed-wire demarcation of the Soviet Empire. The irony is compounded by the pivotal role played by Hungary in 1989, when it opened a transit route for East Germans escaping to the West. That year, smiling Hungarian soldiers posed for TV cameras as they used wire cutters to snip the fence between Hungary and Austria. Months later, the iconic Berlin Wall came down without a shot being fired. While the tumult of 1989 unfolded on Hungary’s border with Austria, the spotlight now is on villages such as Asotthalom, a transit route on the border with Serbia for asylum seekers heading north. Since the border fence was completed in September, fewer are coming – but they still come. Many are bleeding after tangling with the razor wire. Soldiers spend a lot of time repairing the holes that refugees have cut in the fence. Many residents seem ambivalent about the barricade. They don’t really like that it’s there – and hunters bemoan that it divides the habitat of the deer and rabbit they liked to shoot – but they’re glad to see fewer foreigners. “This fence is working, but people don’t like it,” says Zsolt Revak, a retired butcher with a gray goatee. “This is Europe; it’s not good to have a fence on the border.” On the other hand, he says, “You have to stop [the influx] somehow.” Residents grumble that the fence, built by private contractors under
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military supervision, enriched cronies of Prime Minister Viktor Orbán.
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Laszlo Oze, who works in forestry management, says he feels sorry for genuine refugees. But then he repeats reports in pro-government media of terrorists hiding in their midst and claims that some refugees are rich. One was found to be carrying six passports and an expensive watch, he says, citing a news report. They bring deadly diseases, which makes them “worse than bin Laden ... who killed people quickly.” He adds: “They are all so dark. I don’t want to judge, but they look somehow violent.” Hungary, like other former Soviet states, largely missed out on Europe’s postwar waves of nonwhite immigration from former colonies in Asia and Africa. Eastern European leaders say their societies aren’t equipped to absorb large numbers of newcomers. And since refugees ultimately want to reach Germany and Sweden, there is no point trying to house them. But behind this rationale for border walls lies an undercurrent of racism and xenophobia, what amounts to an atavistic fear of Muslims whose modern journeys retrace those of the Turkic armies who menaced Christendom’s eastern frontier. Mr. Orbán’s center-right government has been accused of spreading racist propaganda about migrants. He has invoked the defense of Christian values in turning away Muslims. For its part, Slovakia’s government has said it will only accept Christian refugees and warned that Arabs pose a security threat. • • • For now, Hungary’s rollout of razor-wire fencing has succeeded in diverting migrants into neighboring countries like Slovenia and Croatia. But it could be tested by another surge of people. Mr. Miliband, who is a former British foreign secretary, is skeptical of what barricades can achieve amid such pressure. “History shows that increasingly desperate people will get around or under or over fences,” he says. Unless states are willing to flout humanitarian norms – as East German soldiers did when the Berlin Wall was breached – it’s virtually impossible to keep out the most determined or destitute, says Newman. The plight of refugees trying to cross the Mediterranean shows the limits of maritime border policing. Earlier this year, critics condemned the European Union for scaling down an Italian-led operation to retrieve rickety boats abandoned by smugglers. While European leaders rail against the callousness of smugglers who profit from clandestine sailings, the unwelcoming policies of many countries toward refugees are diverting more of the migrants into boats, at higher prices. In the 1980s, the US faced a similar crisis over waves of Cuban “boat people” who were allowed to leave and seek asylum in the US. Then as now, the humanitarian response became tangled in politics: Fidel Castro was accused of seeking political concessions from Washington by making threats to send more refugees into US waters. Libya’s late dictator Muammar Qaddafi also used this tactic, vowing in 2010 to flood Europe with African migrants if it didn’t prop up his regime. Under such circumstances, refugees can become a means of blackmail, showing that border defenses don’t operate in a political vacuum. Kelly Greenhill, an associate professor at Tufts University in Medford, Mass., studied 70 examples since 1951 of such extortion in her book “Weapons of Mass Migration: Forced Displacement, Coercion, and Foreign Policy.” It’s a winning tactic: Many countries succeeded in forcing concessions from other nations. “The numbers [of refugees] don’t have to be large. It’s not the size, it’s the expected response of the recipient population,” she says. To be sure, migrants aren’t the only targets of wall builders. Israel has built walls or fences along all its borders. The self-declared Islamic State respects no boundaries, arguing that the caliphate encompasses all Muslim lands, which may force countries in the region to fortify their borders even more. The world’s longest-standing border barrier is the 148-mile demilitarized zone that has separated North and South Korea since 1953. It has already outlasted the Soviet Union’s vast tracts of border fences, and the Berlin Wall that President Reagan urged Moscow to tear down. Outside the village of Kubekhaza, Hungary, where the country intersects with Serbia and Romania, the border fence comes to an abrupt end. The village is surrounded by plowed fields of black soil, and a yellow church with a decorative spire rises over a park. Fewer migrants pass this way, but most residents are supportive of the fence and suspicious of foreign faces.
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Why countries are walling themselves in – and others out - CSMonitor.com https://www.csmonitor.com/World/2015/1115/Why-countries-are-walli...
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That makes Gyorgy Talaber, a retiree, something of an outlier. He sees the
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(/) during the outflank far-right rivals. “I spent 40 years behind a fence Communist period,” he says. “This fence is against us. It’s not against the Muslims.” He adds: “Who knows what awaits us.... One day all the country will be fenced in.” With reporting by Lourdes Medrano in Nogales, Ariz., and Kristen Chick in Asotthalom, Hungary
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A world of walls may also see a rise in interventions - Oxford Analyti...
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https://dailybrief.oxan.com/Analysis/GA224662/A-world-of-walls-may...
A world of walls may also see a rise in interventions Friday, September 22, 2017 Grandiose barrier-building plans are a new global fashion; the reality is more complicated
Source: Oxford Analytica, media reports, The Economist, Ron E. Hassner and Jason Wittenberg (2015) “Barriers to Entry: Who Builds Fortified Boundaries and Why?� in International Security 40.1.
Outlook The new trend of raising barriers will intensify, as populist politics remains strong in developed countries, while the Muslim world is under increasing pressure (both internal and external) to control militants and migrants. There is an additional contagion effect: fences can breed other fences because of diverted refugee flows, as in Eastern Europe. The evidence suggests barriers work best if the constructing country also has some influence on the territory beyond (for example, the wall between Israel and the West Bank): a world with higher fences could therefore -- counterintuitively -- actually see more attempts at cross-border interference.
Impacts Rich countries adjoining poorer ones could be the dominant future fence-builders.
20/10/17, 13:40
A world of walls may also see a rise in interventions - Oxford Analyti...
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https://dailybrief.oxan.com/Analysis/GA224662/A-world-of-walls-may...
The Muslim world will be a key focus, both building and suffering from barriers. The most effective barriers will enclose small enclaves, as in Gaza, Melilla and Ceuta. Walls will have little impact on global terrorism, which is less about movement of people than about contagious ideas.
See also US-Mexico wall will divide, whether it is built or not - Sep 6, 2016 More graphic analysis
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PERCORSO TEMATICO
I MURI D’EUROPA • • • • • • • 1 © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
Introduzione – Muri per dividere, muri per escludere Il Muro di Berlino: una città e un Paese divisi Il muro di Gorizia/Nova Gorica Le Peace Lines dell’Ulster e di Belfast I muri di Cipro Le barriere di Ceuta e Melilla alle porte dell’Europa Muri e barriere ai confini orientali dell’Unione Europea
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PERCORSO TEMATICO I MURI D’EUROPA
MURI PER DIVIDERE, MURI PER ESCLUDERE La storia dell’umanità potrebbe essere letta attraverso la “storia dei muri e delle barriere” che nel corso dei secoli sono stati eretti per svariati scopi, riconducibili comunque sempre alla volontà di separare popoli e comunità umane. Fin dal lontano passato muri, barriere e fortificazioni sono stati eretti per scopi difensivi oppure per rafforzare la supremazia di uno Stato sullo Stato vicino, per escludere, separare, dividere popoli, gruppi etnici, culture, fedi religiose e modi di vivere, città e uomini. Muri e barriere che hanno generato o alimentato tensioni e scontri. Eppure il progresso umano è avvenuto quando i popoli si sono incontrati, quando, invece di muri, hanno realizzato “ponti”, materiali e non, per scambiarsi idee, conoscenze, modi di vivere. La storia, del resto, insegna che tutti i muri sono destinati ad essere abbattuti sotto la spinta dei popoli in cerca di libertà e di migliori condizioni di vita. Sempre la storia insegna che gli uomini, a qualsiasi civiltà appartengano, tornano comunque a ricostruire ponti e strade.
1.
I muri storici, fortificazioni a difesa degli imperi La costruzione di muri o barriere difensive con l’intento di bloccare invasioni o migrazioni di popoli risale alle prime civiltà umane. Ne sono un esempio l’Amurru Muriq Tidnim, fatto costruire dal re mesopotamico Shu Sin (che regnò dal 2037 a.C. al 2029 a.C.), della III dinastia Ur, allo scopo di frenare le invasioni del popolo nomade degli Amorrei; così come il cosiddetto Muro del Principe nel Delta Orientale del Nilo, fatto erigere dal Faraone Amenemhat I (che regnò dal 1994 a.C. al 1964 a.C.) della XII dinastia per difendere l’Egitto dalle incursioni dei popoli nomadi provenienti dall’Asia. 2.
1. La Grande Muraglia Cinese è una serie di mura dalla lunghezza di 8 851,8 km edificate a partire dal III secolo a.C. dall’imperatore Qin Shi Huangdi (Shih Huangti), che promosse anche la costruzione dell’immenso mausoleo di terracotta nei pressi di Xi’an. Il suo scopo era quello di proteggere la Cina dai popoli delle steppe. Conta più di 40 000 fra fortezze e torri di guardia. In termini militari l’imponente costruzione non riuscì mai a impedire importanti invasioni come quelle dei Liao, dei Mongoli o dei Manciù.
La Grande Muraglia Cinese e il Vallo di Adriano sono gli esempi storici più significativi di baluardi eretti a difesa delle civiltà e degli imperi insidiati dai cosiddetti “barbari”, che premevano sui confini degli imperi. 2. Per difendere i confini (limes) dell’Impero dalle pressioni esercitate dalle “genti barbare”, i Romani costruirono i valli: opere fortificate, costituite da una cinta muraria, con torri e fortini (stationes). Il Vallo di Adriano, in Inghilterra, fatto costruire dall’imperatore Adriano, a partire dal 122 d.C., per proteggere il confine settentrionale della Britannia romana, si estendeva per circa 117 km; era alto 5 metri, aveva torri ogni 150 metri e fortini ad ogni miglio. Di un altro vallo, il Vallum Anastasianum, si è quasi perso il ricordo e restano tracce difficilmente identificabili. Fatto erigere o completare agli inizi del VI secolo dall’imperatore bizantino Anastasio per difendere Costantinopoli dal pericolo di invasione delle tribù provenienti dai Balcani, il vallo era lungo tra i 55 e i 70 km e si estendeva tra l’antica colonia di Selimbria, sul Mar di Marmara, fino al Mar Nero, tagliando in due la penisola affacciata sul Bosforo.
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I muri odierni
3.
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Anche oggi gli uomini continuano a costruire muri in ogni angolo del mondo. Uno dei simboli più rappresentativi della nostra storia recente è proprio un muro, il Muro di Berlino, il muro per eccellenza, emblema delle divisioni e delle tensioni che hanno travagliato per decenni l’Europa e il mondo. Anche l’era della globalizzazione, del multiculturalismo e della comunicazione senza confini non si sottrae alla tentazione di erigere barriere. Centinaia di migliaia di persone in fuga dalla povertà, dalla mancanza di libertà, dalla violazione di diritti umani, premono oggi ai “confini” del cosiddetto mondo sviluppato, del “Nord” del mondo, alla ricerca di migliori e più dignitose condizioni di vita. Nuovi “barbari”, che cercano in ogni modo di oltrepassare i muri, fisici e non, che vengono eretti ovunque per tenerli a distanza, per separare coloro che hanno tutto da quelli che non hanno nulla.
3. - 4. Per fronteggiare il fenomeno migratorio nei Paesi mediterranei, che costituiscono la “porta d’Europa”, sono sorte numerose strutture destinate all’accoglienza e all’identificazione dei migranti, oggetto di critiche per le condizioni di vita spesso indegne di esseri umani.
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4.
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Oltre i muri Sono trascorsi 25 anni dalla caduta del Muro di Berlino, simbolo di un’epoca che i popoli europei volevano lasciarsi definitivamente alle spalle. La commemorazione di questo evento è stata l’occasione per fare un bilancio sull’Europa del “dopo muro”, per riflettere sui muri, reali e non, che ancora dividono le comunità europee, attraverso progetti, mostre, conferenze, dibattiti e concorsi.
Nel 2014 i giovani europei nati nel 1989 sono stati invitati a rispondere a questa domanda con un video, partecipando al concorso #WALLFALL25, lanciato dalla rappresentanza tedesca della Commissione europea, dall’Ufficio Informazioni del Parlamento europeo a Berlino e dal Movimento Europeo tedesco. Attraverso i video caricati in rete sul gruppo #wallfall25 i giovani europei hanno risposto alla domanda offrendo la propria visione dell’Europa in modo creativo e originale. I vincitori del contest video, uno per ogni Paese UE, sono stati premiati con un viaggio premio a Berlino. Qui, il 2 novembre, nel corso di una conferenza si sono confrontati con la generazione dei propri genitori, sulle idee e le visioni dell’Europa presente e futura. I giovani europei, pur rilevando che nel continente esistono ancora molte divisioni, muri visibili e non che separano Stati e popoli, si sentono parte, più dei loro genitori, di un’unica comunità europea ed esprimono la speranza che tale senso di appartenenza si rafforzi per garantire un futuro di pace.
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#WALLFALL25: QUALI SONO I MURI ANCORA DA ABBATTERE IN EUROPA?
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IL MURO NEL CUORE Quante barriere/confini/conflitti/muri culturali si ergono potenti a separare gli uomini? A contrastare il loro diritto di muoversi liberamente sulla Terra? Quanti muri stiamo costruendo e fortificando nel mondo e prima di tutto dentro di noi? Nel 25° anniversario della caduta del Muro di Berlino l’associazione trentina Il Gioco degli specchi – Migranti. Cultura. Società [un’associazione culturale che si propone di valorizzare la dignità della persona umana e le potenzialità positive dei fenomeni migratori] ha dedicato la settimana annuale di incontri, mostre e spettacoli al tema dei muri fisici e simbolici che dividono popoli e culture. • La mostra multimediale Autobiografia di un mondo ex: le cose raccontano ha messo in esposizione oggetti quotidiani in uso nel periodo 1945-1989 in quella parte di Europa da cui in tempi recenti sono arrivati tanti concittadini, i Paesi del patto di Varsavia e dell’Unione Sovietica, ma anche l’area balcanica e l’Albania. Come si viveva nei Paesi che si trovavano «dall’altra parte»? Ora possiamo chiederlo direttamente alle molte persone che vivono qui e sono di origine rumena, albanese, moldava, ucraina, polacca, bulgara o provengono da altri paesi dell’area sovietica e della ex Iugoslavia. L’intento è intravvedere il vissuto che hanno alle spalle molte persone che vivono al nostro fianco, diradare la nebbia dell’ignoranza, stimolare l’attenzione per questi mondi e farne almeno intravvedere la complessità. Riflettere insieme sulla storia europea recente, evidenziare i fondamenti culturali comuni per rendere più consapevole e coesa la società trentina. • Il muro che attraversa la vita ha proposto video e testimonianze di giovani volontari che hanno fatto esperienze e viaggi-studio in Israele e Palestina, luogo simbolo dei muri contemporanei.
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Adatt. da www.ilgiocodeglispecchi.org
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PROGETTO WALLS-SEPARATE WORLDS: “SALTARE I MURI” ATTRAVERSO L’ARTE La nostra storia e la nostra quotidianità sono continuamente segnate dai muri. Alcuni sono stati distrutti, come il Muro di Berlino, altri sono ancora in piedi, anche in Europa, come il muro di Cipro, che dà a Nicosia il triste primato di unica capitale europea ancora divisa da un muro che separa le due comunità principali, greco-cipriota e turco-cipriota. Nuovi muri sono stati costruiti e sono in costruzione, come il muro lungo il fiume Evros tra Grecia e Turchia, il muro di Ceuta e Melilla, tra Spagna e Marocco, il muro tra Bulgaria e Turchia. Muri, frontiere invalicabili. Tutto questo accade in Europa, ma anche nel resto del mondo […]. I muri possono assumere forme diverse, simboli di mondi separati, lacerati da nazionalismi, xenofobia, stereotipi sociali e culturali che rendono impossibili processi di riconoscimento e inclusione. Da queste riflessioni è partito il progetto internazionale WALLS-Separate Worlds, promosso da Astràgali Teatro, con il sostegno del “Programma Cultura” dell’Unione europea, che si è sviluppato nel corso di oltre un anno, a Sirince (Turchia), Zakynthos (Grecia), Parigi (Francia), Berlino (Germania), Lecce (Italia), Nicosia (Cipro). Il progetto ha coinvolto artisti, studiosi, operatori culturali, ricercatori, teatri, università in una serie articolata di residenze artistiche e attività di ricerca sociale che hanno messo a confronto storie, memorie, racconti, canti legati a situazioni di conflitto. […] L’esperienza e l’elaborazione artistica diventano momenti che rendono possibili modi diversi di conoscenza dell’altro, dove la storia individuale può aiutare a rivedere e riscrivere criticamente la Storia ufficiale. […] Attraverso le pratiche artistiche si è creato un terreno di riflessione e messa in evidenza delle contraddizioni che attraversano le nostre società, e dei conflitti che determinano i muri della vergogna. Il progetto ha avuto il suo culmine nelle due residenze finali a Lecce (dal titolo“Crossing walls”/Attraverso i muri) e a Nicosia (sul tema “Mother-tongues - telling the conflict through theatre”/Lingue madriraccontare il conflitto attraverso il teatro), dove un gruppo di attrici e attori selezionati dalle precedenti residenze è stato coinvolto nella creazione artistica finale dello spettacolo ‘Metamorfosi’, ispirato al testo di Ovidio […]. Venti attrici e attori […] hanno tessuto una trama di azioni, suoni, canti, voci nelle tante diverse lingue, dipanando i nessi possibili tra miti (quelli di ‘Metamorfosi’), storie individuali e storie collettive intorno alla questione dei muri, della guerra, della lingua madre, della relazione con l’altro da sé. […]. Il luogo della performance […] portava 5. dolorosamente tutti i segni e le ferite del conflitto: un edificio distrutto, vicino Ledra Palace, sede dell’ONU a Nicosia, posto accanto ad uno dei check-point della città. Un luogo che ha vissuto molte vite, circondato dal muro, che sedimenta con immagini e scritte, le tante anime di questa città che si vuole divisa, ma che in tanta parte della sua popolazione trova un desiderio di riunificazione e di dialogo. Rid. e adatt. da Roberta Quarta [attrice e coordinatrice del progetto], Progetto Walls: teatro e conflitto, oltre i muri, Osservatorio Balcani e Caucaso, www.obc.org, 8 agosto 2014
5. Una scena di “Metamorfosi”, lo spettacolo rappresentato il 12 giugno 2014 da Astragali Teatro in un palazzo distrutto di Nicosia (Cipro). 6 © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
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IL MURO DI BERLINO: UNA CITTÀ E UN PAESE DIVISI La costruzione del Muro di Berlino nel 1961 sancì la divisione non solo di una città e di un Paese, bensì di un intero continente e del mondo tra opposte ideologie. Una frattura destinata a segnare per quasi 30 anni i rapporti tra gli Stati e la vita 1. “Irgendwann quotidiana di milioni di persone. fäll jede Mauer ”, cioè “Prima o poi Come la sua costruzione, così la caduta del muro, nel 1989, è stata uno ogni muro cade”: degli eventi fortemente simbolici del XX secolo, un evento che ha decrela storia ha dato ragione tato la fine di un’epoca, aprendo la strada alla speranza di un futuro di a questa scritta profetica lungo pace e di solidarietà tra i popoli.
la parte occidentale del Muro.
Alle origini del Muro di Berlino: la guerra fredda
1.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, USA (Stati Uniti d’America) e URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) divennero le superpotenze economiche e militari, confinando l’Europa a un ruolo subalterno. L’alleanza fra i due Paesi, risultata decisiva per sconfiggere il Nazifascismo, entrò rapidamente in crisi. Infatti, nonostante la nascita dell’ONU (l’Organizzazione delle Nazioni Unite), la concorrenza politica ed economica fra le due superpotenze diede vita alla cosiddetta guerra fredda, un clima di costante conflittualità e minaccia per la pace, caratterizzato da una inarrestabile gara allo sviluppo delle armi nucleari nel timore di una guerra atomica. La contesa e la tensione fra le due superpotenze ebbero importanti ripercussioni sulla storia europea. Anche l’Europa si trovò divisa in due blocchi contrapposti: il blocco occidentale, comprendente i Paesi dell’Europa occidentale posti sotto l’influenza degli Stati Uniti, diede vita alla NATO (Alleanza del “blocco atlantico”); il blocco comunista, comprendente gli Stati dell’Europa dell’Est (territori occupati dai Sovietici nelle ultime fasi della guerra), riuniti nell’alleanza militare denominata Patto di Varsavia, sul quale si affermò l’egemonia politica e militare dell’URSS.
La divisione della Germania Nel dopoguerra la Germania era un Paese schiacciato dal peso della sconfitta e dalla divisione del territorio nazionale imposta dai vincitori. La guerra fredda ebbe un’influenza decisiva sul futuro dello Stato tedesco: la divisione, che doveva essere solo momentanea, divenne, invece, permanente. Tra il 1948 e il 1949 le forze alleate riunirono sotto un solo governo le rispettive zone di influenza, favorendo nella parte occidentale la nascita di uno Stato autonomo a regime democratico e parlamentare: la Repubblica Federale Tedesca (RFT), con capitale Bonn; nella parte orientale anche l’URSS promosse la nascita di uno Stato a regime comunista, la Repubblica Democratica Tedesca (RDT o DDR). La frontiera che divideva in due la Germania divenne il segno storico più crudele della linea di confine che era calata sull’Europa e sul mondo e che verrà chiamata “cortina di ferro”.
Berlino Est e Berlino Ovest La vecchia capitale Berlino, che si trovava nel territorio della DDR, era stata anch’essa divisa in quattro zone poste sotto il controllo delle potenze vincitrici della guerra. Essa divenne ben presto il simbolo dello scontro tra le due opposte ideologie (democratica occidentale e comunista sovietica). 7 © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
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Nel 1961, per rimarcare questa linea di confine, la Repubblica Democratica Tedesca decise di innalzare un muro, il Muro di Berlino, tra il settore sovietico (Berlino Est) e le zone occidentali della città (Berlino Ovest) sotto il controllo alleato. Esso doveva arrestare la fuga di moltissimi cittadini dell’Est (duemila al giorno, in maggioranza lavoratori qualificati) verso Occidente (la Germania Federale).
2.
2. La carta indica la divisione della città di Berlino e il tracciato del muro.
La costruzione del Muro Nelle prime ore del 13 agosto del 1961, le unità armate della Germania dell’Est interruppero, innanzitutto, i collegamenti tra Berlino Est e Berlino Ovest. Iniziarono poi a costruire, davanti agli occhi esterrefatti degli abitanti, un muro che avrebbe attraversato tutta la città e che avrebbe diviso le famiglie, tagliato e separato strade, piazze e case, interrotto le linee della metropolitana e dei treni. Non solo per Berlino, ma per tutta la Germania, il confine tra Est ed Ovest diventò una trappola mortale. I soldati ricevettero l’ordine di sparare su coloro che cercavano di attraversare la zona di confine. Nel tempo, la barriera fu perfezionata con mine anti-uomo, filo spinato alimentato con corrente ad alta tensione, e impianti per sparare in automatico, recinzioni, torri di guardia e trincee per controllare la cosiddetta striscia della morte.
3.
4.
3. Un momento della costruzione del Muro di Berlino. 4. Nel corso degli anni, il Muro di Berlino raggiunse una lunghezza di 155 km. I quartieri Est e Ovest della città furono completamente isolati per quasi trent’anni. La divisione del popolo tedesco e l’opposizione delle nuove generazioni nei confronti del Muro, si manifestò soprattutto nella rabbia dei giovani artisti e nei graffiti disegnati con colori vivaci lungo la parte occidentale del Muro. 8 © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
IL MURO DI BERLINO: UNA CITTÀ E UN PAESE DIVISI
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5.
Il crollo del muro: la fine di un’epoca Agli inizi degli anni Ottanta l’URSS e i Paesi dell’Europa Orientale attraversavano una crisi profonda. In Unione Sovietica Michail Gorbaciov, segretario del Partito Comunista, tentò di avviare una serie di riforme per il rinnovamento politico ed economico delle repubbliche sovietiche. Il suo tentativo, che aveva acceso le speranze di una trasformazione radicale in tutta l’Europa orientale, non riuscì a impedire la dissoluzione ormai irreversibile dei regimi comunisti e della stessa URSS. La Repubblica Democratica Tedesca, il più forte, economicamente e politicamente, tra i regimi dell’Europa dell’Est, cominciò a subire un’inarre6. stabile crisi a partire dal maggio del 1989. Decine di migliaia di cittadini tedeschi orientali iniziarono a 5. - 6. Immagini dell’abbattimento del Muro. riversarsi verso Ovest attraverso la frontiera austroungherese, aggirando proprio quel muro che, quasi trent’anni prima, aveva sancito l’invalicabilità della cortina di ferro. Le autorità tedesco-orientali furono costrette a liberalizzare gli espatri. Il 9 novembre 1989, il Muro di Berlino, simbolo della “guerra fredda”, venne preso d’assalto dalla popolazione, sia da Est che da Ovest, e fu abbattuto. 9 © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
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La riunificazione della Germania Nel 1990 avvennero le prime elezioni libere e la riunificazione monetaria (l’adozione del marco in tutto il Paese). Il 19 aprile il Parlamento tedesco si trasferiva da Bonn a Berlino e il 26 giugno anche il governo tedesco si trasferiva nella capitale riunificata. Nello stesso anno, il 12 settembre, le potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale (Unione Sovietica, Stati Uniti, Regno Unito, Francia) firmarono il Trattato sullo stato finale della Germania (denominato anche Trattato 2+4) che consentiva la riunificazione della Germania.
Berlino dopo il muro Ritornata ad essere la capitale della Germania unita, Berlino è stata oggetto di una vasta opera di ricostruzione e di riqualificazione urbana, che l’ha resa uno dei centri dell’architettura e dell’urbanistica europea e mondiale. Non solo, essa ha riconquistato il ruolo di capitale politica del continente. Del muro materiale che l’ha divisa per quasi 30 anni è rimasto ben poco, quanto basta per lasciare una traccia materiale, un monumento per i posteri. A 25 anni di distanza dalla caduta del muro, mentre le sue tracce vanno scomparendo, la città e i suoi abitanti stanno ancora portando i segni di quella divisione. Ecco la riflessione di Moritz Schuller, editorialista del quotidiano tedesco Tagesspiegel.
Berlino lascia le divisioni alle spalle mentre scompaiono le tracce del muro Un anno fa (2013) l’astronauta canadese Chris Hadfield inviava dallo spazio (dalla Stazione Spaziale Internazionale) un’immagine al tempo stesso bella e sorprendente. Questa immagine di Berlino, ripresa da centinaia di miglia di distanza dalla Terra, era quella di una città divisa. La parte occidentale risplendeva di luce bianca, quella orientale appariva giallognola- e la linea di separazione sembrava rimarcare in modo sospetto il tracciato dell’infame muro che aveva diviso in due la città. Una Berlino ancora divisa? Venticinque anni dopo il muro 7. veniva a rovinare la commemorazione di uno dei giorni più felici della storia della città? Da meno di 200 miglia di distanza dalla Terra quella linea di separazione è a malapena visibile. In realtà, Berlino si è sbarazzata del muro così totalmente che coloro che volevano celebrarne l’anniversario hanno dovuto ricostruire il monumento. Non più il mortale reticolato di filo spinato ma un immenso magazzino su Potsdamer Platz. Oggi la torretta di guardia si affaccia su H&M e una boutique di biancheria intima. 7. L’immagine di Chris Hadfield dallo spazio mostra chiaramente la diversa illuminazione delle due parti della città. 10 © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
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Divisioni che persistono
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Eppure, l’immagine ripresa dallo spazio da Chris Hatfield rivela alcune verità. Angela Merkel, ex berlinese dell’Est, è alla guida della Germania unita, ma l’illuminazione stradale a Est utilizza ancora le lampade a vapori di sodio giallognole mentre quelle a Ovest sono lampade fluorescenti bianche. A Est la gente legge ancora il Berliner Zeitung, 8. mentre a Ovest il Tagesspiegel. Metà dei Berlinesi tifa per la squadra Herta BSC, l’altra metà per il FC Union, la squadra di calcio dell’Est. Le differenze di reddito si sono ridotte, ma esistono ancora. In quelle eccitanti settimane di 25 anni fa, i Berlinesi dell’Ovest divennero campagnoli, i Berlinesi dell’Est commerciali. Metà dei Berlinesi desiderava la campagna dalla quale erano stati divisi per 30 anni e l’altra metà desiderava un ambiente più urbano e meno grigio. Berlino, forse perché ne ha viste tante e ha sofferto molto, è una città soddisfatta di sé. I Berlinesi dell’Est hanno accolto la riunificazione forse con più orgoglio del resto del Paese. Berlino Est è stata la capitale del Paese ed è ancora la residenza di membri del Partito Co9. munista e della Stasi (Servizi segreti della ex Germania dell’Est), ultimi rappresentanti del vecchio sistema. Proprio come Berlino Ovest, c’era una entità sociale altamente sussidiata, entrambe le parti erano sostenute e supportate come vetrine dei rispettivi sistemi politici. Ciò infondeva un senso di importanza su entrambi i lati del muro, anche prima che cadesse, che i loro compatrioti della Germania dell’Ovest e dell’Est trovavano allo stesso tempo imbarazzante e affascinante. L’unificazione ha funzionato perché Berlino, tradizionalmente una città della classe operaia, è stata capace di trattare con i superstiti della classe dirigente della Germania dell’Est e i suc10. cessi elettorali dei post-comunisti negli anni’90.
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8. Via Bernauer il 10 novembre 1989 (a sinistra) con la folla che passa nella breccia del muro e la medesima via oggi (a destra). 9. La Porta di Brandeburgo nel dicembre 1989 (a sinistra) con i poliziotti delle due Germanie e oggi (a destra). 10. Il Checkpoint Charlie (a sinistra nel 1968) segnava il confine tra I settori sovietico e americano (a destra nel 2009). 11 © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
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Nessuna meraviglia, se proprio a Berlino si è formata la prima coalizione comprendente un partito post-comunista.
Una nuova identità incurante delle passate differenze Berlino Ovest, per molti anni un’isola nel mare del socialismo, è sempre stata priva delle élite borghesi di Monaco o Amburgo. E persino oggi la Berlino riunificata conserva, più del resto del Paese, l’eredità della Germania dell’Est. Allo stesso tempo, nessuno di quelli che giunsero in massa a Berlino dopo il 1989 erano eccessivamente preoccupati del passato della città. I giovani ventenni di Dublino o Stoccarda, gli utenti dei voli low-cost, i Dj, gli artisti, gli immobiliaristi, i professori universitari disoccupati spagnoli, non si interessavano del muro o delle sofferenze che aveva inflitto alla città. Essi hanno fatto riprendere alla città una diversa e più innocente geografia. Per loro il passato, diviso tra Est ed Ovest, non era niente più che lo sfondo della loro grande festa, affascinante ma irreale come il Terzo Uomo (film ambientato nella Vienna occupata del secondo dopoguerra). La moltitudine di giovani israeliani che si sono recati a Berlino per il “Meshugge Party”rivela che ormai la “veccia zia di Hitler” ha finalmente voltato pagina. Alla fine, i Berlinesi dell’Est e dell’Ovest hanno adottato quella visione della loro città. Se qualcun altro si entusiasma esageratamente per l’eccitante, unica nuova Berlino, perché perdersi in discussioni oziose?Perché continuare a parlare del suo passato? I nuovi arrivati hanno permesso ai Berlinesi di vedere e raccontare in modo nuovo la loro città. E loro l’hanno fatto. Berlino è diventata un cantiere, sponsorizzata dalle sue autorità come laboratorio del futuro[…]. Certamente essa possiede un fascino globale. 25 anni dopo la caduta del muro Berlino è povera e affascinante, ha detto una volta il sindaco della città. È una metropoli provinciale, un laboratorio culturale, e questa epoca viene contraddistinta da coloro che sono attratti dal fascino della città. Presto sarà trascorso più tempo dalla caduta del muro di quello della sua durata. Eppure le differenze sociali, politiche e culturali tra Berlino Est e Berlino Ovest sono ancora avvertibili. Tuttavia queste differenze non hanno molta importanza, perché la città ha trovato una diverso modo di raccontarsi e vedersi. E non hanno molta importanza, perché Berlino è sempre stata una città nella quale le differenze hanno contato meno che altrove. Lib. tradotto e adattato da Moritz Schuller, Berlin leaves divisions behind as Wall’straces vanish, in BBCNews, www.bbc.com
11. Per commemorare il 25°anniversario della caduta del Muro di Berlino, la città è stata temporaneamente ridivisa con 8 000 palloni luminosi, un muro di luce (Lichtgrenze) lungo 15 chilometri. 11.
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IL MURO DI GORIZIA/NOVA GORICA 2.
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Contesa fra Austria e Italia durante il primo conflitto mondiale, la città di Gorizia ha subìto una sorte simile a Berlino. Essa, infatti, è stata divisa per 60 anni da un muro, frutto del nascente clima da guerra fredda e della problematica questione dei confini italo-iugoslavi. In seguito al trattato del 1947, che stabiliva i nuovi confini tra Italia e Iugoslavia, il governo iugoslavo guidato da Tito tracciò la linea di confine italo-iugoslavo nel centro della città, dividendo con un reticolato Piazza della Transalpina, la piazza antistante la stazione dell’omonima linea ferroviaria austroasburgica (Ferrovia Transalpina). I quartieri periferici e la stazione ferroviaria che si affaccia sulla piazza furono assegnati alla Iugoslavia mentre il resto di Gorizia rimase all’Italia. Sul suolo iugoslavo sorse la città di Nova Gorica (pr. Goriza) ovvero la “Nuova Gorizia”, costruita al confine come esempio e vetrina del modello socialista iugoslavo. Il Muro di Gorizia, in realtà, era una semplice recinzione ad altezza d’uomo, tanto da meritarsi l’appellativo di “muretto” per distinguerlo dal muro per eccellenza (quello di Berlino). Ciononostante e nonostante il fatto che i rapporti tra le comunità di frontiera siano sempre continuati a dispetto di quel confine “innaturale” (L.Fabi), il Muro di Gorizia divenne anch’esso uno dei simboli della contrapposizione tra i due blocchi durante la guerra fredda. Con il crollo dei regimi comunisti dell’Europa dell’Est anche la Iugoslavia andò incontro ad un rapido processo di disgregazione, destinato a sfociare in una guerra civile. Le repubbliche della federazione iugoslava (Slovenia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Serbia, Montenegro, Macedonia) progressivamente proclamarono la propria indipendenza, a cominciare proprio dalla Slovenia (la repubblica confinante con l’Italia), nel 1991. Il muro, però, è rimasto in piedi ancora a lungo. Nel 2004, il giorno dell’ingresso della Slovenia nell’Unione Europea, esso è stato definitivamente rimosso e dal 2007, con l’ingresso nello spazio di 3. Schengen (che prevede l’abolizione dei controlli di frontiera tra i Paesi UE), la Piazza della Transalpina è tornata ad essere un spazio pubblico aperto, condiviso oggi da due Stati dell’Unione. 1. - 2. Nella Piazza della Transalpina, là dove c’era il muro, è stato composto un mosaico circolare attraversato da una striscia di pietre che rappresenta la linea di confine tra i due Stati. 3. Una casa italiana separata da un giardino sloveno. In primo piano si vede un cippo frontaliero. 13 © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
IL MURO DI GORIZIA/NOVA GORICA
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LE PEACE LINES DELL’ULSTER E DI BELFAST 4.
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1. - 2. - 3. Scene di tensione nella Belfast della fine degli anni Sessanta del Novecento. 4. - 5. Murales dipinti sulle Peace Lines.
L’Ulster (la regione dell’Irlanda del nord a maggioranza protestante, rimasta parte integrante del Regno Unito dopo l’indipendenza dell’Irlanda) ha vissuto nella seconda metà del XX secolo in un vero e proprio clima da guerra civile. Per decenni, fino al cessate il fuoco del 1994 e allo storico Accordo di Pasqua del 1998 (Good 3. Friday Agreement), la comunità cattolico - repubblicana (che aspirava al ricongiungimento con l’Irlanda) e quella protestante - unionista (favorevole a rimanere legata al Regno Unito) si sono fronteggiate a colpi di provocazioni, attentati terroristici (da parte dell’IRA, l’esercito di liberazione dell’Irlanda del Nord) e violente repressioni da parte delle forze dell’ordine britanniche. Testimoni di questa contrapposizione rimangono ancora oggi decine di barriere di cemento, lamiera e reticolati di filo spinato (attualmente se ne contano 99) che dividono i quartieri cattolici da quelli protestanti. Questi muri, chiamati paradossalmente Peace Lines, cioè “Linee della pace”, caratterizzano in modo emblematico la città di Belfast, capoluogo nordirlandese e principale teatro del conflitto. Costruite a partire dagli anni 70, all’epoca dei Troubles (“Guai”), cioè al culmine dello scontro fra cattolici e protestanti, queste barriere servivano a proteggere le due comunità dalle reciproche violenze (lancio di sassi, bottiglie incendiarie) e il loro numero è cresciuto paradossalmente dopo l’annuncio del cessate il fuoco del 1994. Anche se oggi le Peace Lines e i loro murales sono diventati un’attrazione turistica e il conflitto sembra ormai appartenere al passato, anche se il governo nordirlandese ha annunciato di volerli abbattere, ma non prima del 2023, questi muri continuano a resistere (l’edificazione dell’ultimo muro risale addirittura al settembre 2011), simbolo di fratture ancora troppo profonde per essere sanate. Come è stato detto “A Belfast non si vedranno mai scene come quelle viste a Berlino nel 1989. Nessuno prenderà mai un martello per fare breccia nel cemento”. 14 © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
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CIPRO: UN’ISOLA E UNA CAPITALE DIVISE Cipro raggiunse l’indipendenza nel 1959-1960, dopo essere stata a lungo sotto il dominio coloniale britannico. Le violente tensioni fra la comunità greca e quella turca determinarono l’invio nel 1963-1964 di una forza di pace delle Nazioni Unite, che stabilì la linea del cessate il fuoco (Green Line). Nel 1974 un colpo di Stato sostenuto dalla Grecia rovesciò il governo cipriota e provocò l’intervento dell’esercito turco, che occupò la parte settentrionale dell’isola, a nord della Green Line. Da allora l’isola è rimasta divisa a metà, in due Stati: la Repubblica di Cipro a sud, a maggioranza greca e membro dell’UE dal 2004, e la Repubblica Turca di Cipro del Nord, autoproclamatasi nel 1983 e riconosciuta solo dalla Turchia.
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La Green Line 4. Da Mórfou a Famagosta la Green Line, la zona cuscinetto presidiata dalle forze dell’ONU, ha diviso nettamente per circa mezzo secolo l’isola. La stessa capitale Nicosia rimase divisa in due parti, una greca (Lefkosìa) e una turca (Lefkosa). Un “muro” quello ¸ di Cipro che ha tagliato in due un’unica popolazio4. Il checkpoint a Ledra Street, l’arteria ne, separandone il destino principale di Nicosia prima dell’apertura. e segnando anche materialmente il solco profondo 1. - 2. - 3. Nicosia: gli sbarramenti che dividono le strade della capitale. creatosi tra le due comunità dopo le violenze interetniche. Soltanto nell’aprile 2003 è stato aperto un varco nella Green Line e i GrecoCiprioti e i Turco-Ciprioti dopo 30 anni hanno potuto circolare liberamente da una parte all’altra dell’isola. A questa prima “breccia” è seguita nel 2008 la storica riapertura del check point di Ledra Street, nella capitale Nicosia, un evento salutato come la caduta dell’ultimo muro d’Europa. In effetti oggi ci sono molti punti di passaggio tra Lefkosìa e Lefkosa, ¸ attraverso i quali cittadini e turisti possono passare liberamente la Green Line. Le due parti della capitale cipriota, tuttavia, restano divise, due mondi diversi: la parte greca, moderna, relativamente ricca e dall’aspetto “occidentale”; la parte turca, più povera, e “datata”, quasi l’orologio si fosse fermato agli anni ’70. Una separazione che riflette quella dell’isola: nonostante i numerosi negoziati per la riunificazione (che sembrava sul punto di realizzarsi nel 2004 con l’ingresso nell’UE della Repubblica di Cipro) e nonostante le manifestazioni di protesta nel 2011- 2012 da parte di attivisti greco e turco-ciproti del movimento Occupy Buffer Zone “Occupare la Zona Cuscinetto” (che hanno accusato la comunità internazionale, la Grecia, la Turchia e la Gran Bretagna di essere interessate a mantenere l’attuale situazione), l’isola continua a restare divisa. 15 © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
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LE BARRIERE DI CEUTA E MELILLA ALLE PORTE DELL’EUROPA 1.
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Le città di Ceuta e Melilla sulla costa settentrionale del Marocco sono due enclave spagnole, cioè territori interamente compresi all’interno dello Stato africano ma appartenenti alla Spagna da circa 5 secoli. Essendo la Spagna Paese membro dell’UE e dello spazio Schengen, Ceuta e Melilla sono, al tempo stesso, due scampoli di Europa in territorio africano. Questa frontiera ispano-marocchina (alambrada) è così diventata per i migranti africani una delle principali porte d’accesso all’Europa. Alla fine degli anni ’90, per arginare l’afflusso dei migranti verso le sue enclave, la Spagna ha costruito una doppia barriera metallica, di ferro e filo spinato, alta fino a 6 metri e lunga complessivamente 20 km. La barriera, dotata di raggi infrarossi e torri di controllo, è pattugliata 24 ore su 24 dalle forze di polizia spagnole e marocchine.
Gli assalti alle barriere L’imponenza della struttura e i rigidi controlli di polizia, per quanto abbiano raggiunto l’obiettivo di ostacolare il passaggio dal Marocco alla Spagna, non hanno però fermato i tentativi dei migliaia di migranti di raggiungere l’Europa. Si contano ormai a migliaia i feriti e i morti nel tentativo di scalare le recinzioni o di sfuggire all’arresto o colpiti dagli spari della polizia. Gli episodi più cruenti si sono registrati nel 2005 (ma anche nel 2007 e nel 2010), quando centinaia di migranti che tentavano di assalire le reti sono stati respinti a mano armata dalle forze di polizia. Un migliaio di migranti arrestati dalle autorità marocchine nelle vallate intorno alle due città sono stati deportati e abbandonati in pieno deserto alla frontiera algerina. Numerose organizzazioni umanitarie denunciano da tempo le politiche repressive alla frontiera euro-ispano-marocchina, accusando l’Unione Europea di violazione dei diritti umani. 1. - 2. La rete metallica che divide due mondi: la povertà dell’Africa Subsahariana dalla ricchezza dell’Europa. 16 © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
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MURI E BARRIERE AI CONFINI ORIENTALI DELL’UNIONE EUROPEA Nei Balcani la stagione dei conflitti è tramontata. Invece di procedere lungo la difficile strada del dialogo, però, in molti si affannano ad innalzare muri per tenere “l’altro” a distanza di sicurezza. E neppure l’Unione Europea sembra immune da questa tentazione. Così commentano questa nuova stagione di muri Francesco Martino, giornalista, 1. - 2. collaboratore di numerose testate giornalistiche e del portale di Osservatorio Il ponte sul fiume Balcani e Caucaso (un istituto di ricerca che si occupa dell’Europa sudIbar a Mitrovica divide orientale, della Turchia e il Caucaso), e Mirtha Sozzi, collaboratrice di Vie il settore della città abitato di fuga-Osservatorio permanente sui rifugiati. dalla popolazione serba da quello albanese.
“Ogni volta che l’uomo si è incontrato con l’altro”, scrive Ryszard Kapuscinski (giornalista e saggista polacco) “ha sempre avuto davanti a sé tre possibilità di scelta: fargli la guerra, isolarsi dietro a un muro o stabilire un dialogo”.
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Tra voglia di dialogo e muri di silenzio e di diffidenza Passata la stagione sanguinosa dei conflitti, nei Balcani di oggi sono molti i segna2. li che raccontano di voglia di dialogo. Tra vari soggetti dell’area ex-iugoslava, ad esempio, si assiste ad un lento ma fruttuoso processo di riavvicinamento, che ha portato a un clima più sereno e costruttivo per tutta la regione. […] Il dialogo con l’altro, però, è sempre un esercizio faticoso. Per molti la tentazione rimane quella spesso miope, ma rassicurante, di innalzare muri fino al cielo. Si tratta spesso di muri invisibili, muri di silenzio e diffidenza, come quello che divide ancora le diverse comunità in Bosnia e che mantiene il Kosovo in uno stato di limbo. O come quello sottile e invalicabile che, con poche sfumature, separa la comunità rom dal resto dei cittadini in tutti i Paesi balcanici. A volte l’incapacità di trovare una lingua comune sfocia in situazioni paradossali, difficili da capire e ancora più difficili da spiegare, come l’interminabile faida di recriminazioni storiche e identitarie tra Grecia e Macedonia […]. 17 © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
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I nuovi muri dei Balcani, alle frontiere orientali dell’UE Ultimamente, però, i muri dei Balcani diventano più concreti e reali. Per fermare il flusso di migranti (soprattutto afghani e nord-africani) in arrivo dalla Turchia attraverso il confine di terra segnato dal fiume Evros/Meriç (in turco) nel gennaio 2011 Atene ha annunciato l’intenzione di innalzare un reticolato alto 5 metri e lungo 12 chilometri nei dintorni della città di Orestiada. […] Ma non è tutto. Con un tempismo che lascia riflettere, quasi contemporaneamente anche la vicina Bulgaria ha annunciato di voler innalzare di nuovo tratti del reticolato che segnavano il confine con la vicina Turchia negli anni della Guerra fredda. Ufficialmente per fermare le epidemie di afta epizoica del bestiame. In realtà sembrerebbe, invece, il tentativo di dimostrare agli scettici Paesi della “vecchia Europa” (Germania, ma soprattutto Francia) che la Bulgaria è davvero in grado di controllare i propri confini, oggi limite esterno dell’Unione europea. Da parte turca le reazioni alla febbre da reticolato dei propri vicini occidentali sono state fino ad ora prudenti e non gridate. Ad Ankara, però, il malumore è palpabile, e le motivazioni ufficiali di Atene e Sofia suonano poco convincenti. In molti pensano che la voglia della Grecia (e ora anche della Bulgaria) di innalzare muri abbia basi sostanzialmente politiche, e sia diretta conseguenza del lento ma inesorabile allargarsi del fossato che oggi separa la Turchia dall’Unione Europea. […] “Il messaggio del muro - ha scritto Erdal Safak, codirettore del quotidiano turco Sabah, in riferimento ¸ alla barriera di Orestiada - è che la frontiera dell’Europa corre lungo una riva dell’Evros”. Per dirlo con altre parole, la manodopera che impasterà cemento e tenderà filo spinato è greca e bulgara. Gli architetti che hanno progettato il muro, però, stavolta vanno cercati a Parigi, Berlino e Bruxelles. Rid. e adatt. da Francesco Martino, Tutti dietro al muro, in www.balcanicaucaso.org, 6 aprile 2011
Il muro di acqua e filo spinato lungo l’Evros Da dicembre 2012 l’Europa ha un nuovo muro, segno inequivocabile di un intero continente che si sta chiudendo: è quello fra Grecia e Turchia, fra l’Unione Europea e il resto del mondo. È lungo 12 chilometri e mezzo e si trova a uno dei confini più oltrepassati negli ultimi 10 anni (FRONTEX - la forza militare sostenuta dall’Unione Europea per controllare i fenomeni migratori alle sue frontiere stima una media di 250 tentativi giornalieri): 3. qui tentavano l’ingresso Afghani, Pakistani, Armeni, Curdi, Iracheni, Somali, Siriani, Egiziani e persino Nordafricani. Il muro - che la Grecia definisce “recinzione” ed è costato 3 milioni di euro - colma uno spazio non protetto del fiume Evros, confine naturale tra la Grecia e la Turchia, lungo 160 chilometri.
3. Forze armate greche presidiano la riva del fiume Evros, confine naturale con la Turchia. 18 © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
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Per contrastare il fenomeno dell’immigrazione clandestina, lungo le sue rive era stata decisa la costruzione di un fossato, di cui sono stati realizzati i primi 15 chilometri. A causa dei costi molto elevati, successivamente, però, il progetto è stato modificato in una doppia barriera di reticolato e filo spinato alta 4 metri. L’Unione Europea ha scelto di non finanziare la barriera ma non l’ha messa in discussione. […] In Grecia, la realtà vissuta dai migranti […] è sempre stata durissima, tanto che l’organizzazione umanitaria Human Rights Watch ha lanciato l’allarme di un’ondata xenofoba (manifestazioni di ostilità e di intolleranza nei confronti degli stranieri) senza precedenti. Ad esempio, nell’agosto 2012, con il nome surreale di Xenios Zeus (“Zeus protettore degli stranieri”), una serie di rastrellamenti ha portato migliaia di stranieri dalle strade ai centri di detenzione. Solo nel primo mese di questa azione, la polizia ha fermato quasi 17000 migranti di cui 2000 privi di permesso. “Le persone sono state prelevate su base etnica e nei centri di detenzione sono finiti molti stranieri che in realtà erano in regola” ha confermato l’avvocato Eleni Velivasaki. L’economia locale di Orestiada, ex città di profughi - molti Greci sono partiti da qui per andare a lavorare in Germania, per guadagnare qualcosa di più di quello che si poteva ottenere da vigneti e pannocchie - ora ruota attorno al respingimento di altri profughi. Triste paradosso di una società chiusa e cieca di fronte ai cambiamenti del mondo. Rid. e adatt. da Mirtha Sozzi, Tutti i muri del mondo Turchia e Grecia, in http://viedifuga.org
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4. Un tratto della barriera di filo spinato lungo il confine greco-turco. 5. Contro la costruzione della barriera lungo l’Evros si batte il movimento Stop Evros Wall, creato da alcuni cittadini di Orestiada. 6. Migranti lungo le rive dell’Evros. 19 © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
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A cosa servono i muri di Israele - Il Foglio
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http://www.ilfoglio.it/esteri/2017/09/26/news/a-cosa-servono-i-muri-di-...
A cosa servono i muri di Israele
Il mondo ha cinquanta barriere, ma solo quelle israeliane sono condannabili. La strage di oggi fuori Gerusalemme ci ricorda perché sono utili 26 Settembre 2017 alle 21:11
di Giulio Meotti
" Gerusalemme. Foto And/Abaca
Roma. Qualche giorno fa il governo spagnolo ha annunciato di voler investire altri dodici milioni di euro nel muro che sigilla le sue due enclave, Ceuta e Melilla, contro le infiltrazioni di migranti. La barriera è stata costruita coi soldi dell’Unione europea. “Il muro che chiude l’Europa”, hanno scandito le ong, dopo gli scontri nelle enclave fra migranti e polizia spagnola. Intanto, l’Agenzia per la protezione dei confini degli Stati Uniti diffondeva i prototipi del muro avviato da Bill Clinton e che Donald Trump vorrebbe continuare al confine con il Messico. Nel frattempo, il trentottesimo parallelo, dove c’è il confine fortificato fra la Corea del nord e quella del sud, diventava il posto più caldo della terra. Tutte queste tre barriere sono state costruite per impedire il passaggio di popolazioni, per tenere fuori qualcuno. Lo stesso vale per il muro al confine fra India e Kashmir, il “muro della vergogna” del Marocco nel Sahara o quello che i ricchi sceicchi degli Emirati arabi hanno fatto costruire al confine con il più povero Oman, per citare altri tre fra i cinquanta muri sparsi nel mondo. Poi ci sono le barriere di Israele, dove oggi si è consumato un nuovo terribile attentato. Era mattina, quando un palestinese di nome Nimer Jamal, che su Facebook aveva appena scritto di “temere solo Allah”, con il suo permesso di lavoro si stava avvicinando alla barriera posta a protezione dell’insediamento di Har Adar, poco fuori Gerusalemme, nella cosiddetta “seam zone” a ridosso del fence antiterrorismo. Al checkpoint, i soldati israeliani lo hanno fermato. Jamal ha tirato fuori la pistola e ha ucciso tre israeliani. A Gaza, i palestinesi per strada hanno subito distribuito dolci ai passanti, mentre Hamas salutava “la nuova fase dell’Intifada al Aqsa”. “Questo attentato è il risultato del sistematico incitamento all’odio da parte dell’Autorità palestinese”, ha detto il premier Benjamin Netanyahu. L’attacco ha dimostrato l’importanza del sistema di checkpoint e fence che Israele negli anni ha eretto a protezione di Gerusalemme. “La barriera ha fatto il suo lavoro”, ha detto oggi Nitzan Nuriel, l’ex direttore del bureau antiterrorismo del primo ministro. 60 israeliani sono stati uccisi in attacchi terroristici dall’inizio dell’ultima ondata di violenze, nel settembre 2015. Due settimane fa lo Shin Bet, il servizio segreto interno israeliano, ha reso noto che soltanto nel 2017 Israele ha sventato 200 attacchi terroristici. Eppure, solo le barriere israeliane sono condannate dalla Corte internazionale di giustizia, solo “i muri” di Israele sono trasformati nella mecca degli attivisti della “pace” e solo le sue recinzioni sono condannate dall’opinione pubblica e dai media occidentali. Eppure, nessuno dei paesi recintati e citati sopra vengono infiltrati con il “sacro” scopo di uccidere persone innocenti. Tijuana, la città-simbolo del muro che divide Usa e Messico, non è Qalqilya, la città palestinese a quindici chilometri da Tel Aviv, nota come “Hotel Paradiso”, perché utilizzata da tanti terroristi come punto di passaggio in Israele. E’ vero
20/10/17, 16:42
A cosa servono i muri di Israele - Il Foglio
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http://www.ilfoglio.it/esteri/2017/09/26/news/a-cosa-servono-i-muri-di-...
che chiunque passa da un punto di controllo israeliano viene potenzialmente trattato come ostile. E’ vero che i controlli sono spesso un insulto alla vita quotidiana palestinese. Ma senza i checkpoint, le recinzioni, i blocchi stradali e le barriere, Israele non sarebbe in grado di esistere. E’ questo che ci ricordano i tre morti israeliani di oggi.
20/10/17, 16:42
Migranti (ma non solo): ecco le ragioni dei muri lungo le frontiere dell...
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http://www.repubblica.it/solidarieta/immigrazione/2017/01/22/news/m...
Immigrazione
Migranti (ma non solo): ecco le ragioni dei muri lungo le frontiere della Russia Le barriere hi-techdell'Estonia, il "vallo europeo" ucraino, il filo spinato sul confine lettone, "ufficialmente" per arginare i flussi migratori irregolari, ma interpretato anche come protezione simbolica nei confronti del "grande ingombrante vicino" dalla nostra corrispondente ROSALBA CASTELLETTI 22 gennaio 2017
MOSCA - Dopo la barriera hi-tech dell’Estonia lungo buona parte dei suoi 110 chilometri di confine con la Federazione russa, i 90 chilometri di filo spinato in costruzione lungo le frontiere lettoni e il “Vallo europeo” voluto dall’Ucraina, ora è la volta della Lituania. In primavera, Vilnius inizierà la costruzione di una barriera alta due metri lungo 50 dei 130 chilometri di frontiera con l’enclave russa di Kaliningrad, quelli non protetti da laghi, fiumi o lagune. I motivi? Sia economici, “impedire il contrabbando”, che geopolitici, “rafforzare i confini esterni dell’Unione Europea”, ha spiegato il ministro lituano degli Interni Eimutis Misiunas che in realtà, interpellato dal quotidiano “Lietuvos zinios”, non ha avuto remore ad ammettere: “La barriera è il segno che la Lituania vede il suo Paese confinante come un potenziale aggressore. Non fermerà i carri armati, ma sarà difficile da scavalcare”. I funzionari russi hanno liquidato le intenzioni di Vilnius con ironia. “Se i nostri colleghi lituani vogliono erigere una barriera per fermare i contrabbandieri, siamo pronti a fornire i materiali di costruzione”, ha commentato il governatore della regione di Kaliningrad Anton Alikhanov, ricordando che la Russia ha un “meraviglioso impianto” di produzione di mattoni proprio al confine. La minaccia del "grande vicino". L’annuncio di Vilnius è arrivato proprio mentre nei Paesi dell’Est Europa è in corso l’esercitazione Nato, “Operation Atlantic Resolve”, che prevede il più grande dispiegamento di forze armate statunitensi in Europa dai tempi della Guerra Fredda. Nei Paesi Baltici, le sole ex Repubbliche sovietiche a essersi unite all’Alleanza Atlantica e all’Unione Europea, la prossimità del “grande vicino russo”, lo chiamano così, è da sempre percepita come una minaccia. Ma da quando nel 2014 Mosca ha annesso la penisola di Crimea in Ucraina, a caratterizzare i rapporti tra le tre Repubbliche baltiche e l’ingombrante vicino è oramai un clima da Guerra fredda. La Lettonia ha già avviato la costruzione di 90 chilometri di recinzioni lungo i suoi confini con la Russia. Obiettivo “ufficiale”: proteggere il Paese dagli ingressi clandestini di migranti e dal contrabbando. L’Estonia ha annunciato che, a partire dal prossimo anno, erigerà una barriera lungo buona parte dei suoi 110 chilometri di confine di terra con la Russia: non un vero e proprio “muro”, ha detto l’ex premier Taavi Roivas, ma “la frontiera più moderna che l’Europa abbia mai visto, con telecamere e sensori”.
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Un progetto ambizioso sospeso. L’Ucraina, dal canto suo, ha lanciato il progetto “Muro” o “Vallo Europeo”, che il capo dei Servizi frontalieri ha definito un “sistema di sicurezza intelligente” lungo i confini con la Russia per proteggere “la madrepatria” dopo il conflitto esploso nel 2014. Al dicembre scorso Kiev aveva già realizzato 264,6 chilometri di fossati anticarro, 111,8 di strada di arroccamento, 40,6 di checkpoint e 75,7 di barriere e recinzioni. Un progetto ambizioso sospeso però venerdì per mancanza di fondi. Anche la Norvegia ha innalzato una barriera metallica lungo il confine artico con la Russia. Oslo però non temeva presunte ambizioni territoriali del Cremlino. Voleva solo fermare l’ondata dei rifugiati.
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I muri di Trump e quelli dell’Europa - Annalisa Camilli - Internazionale
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I muri di Trump e quelli dell’Europa Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale 31 gennaio 2017 11:14 Il 27 gennaio il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, da pochi giorni arrivato alla Casa Bianca, ha firmato un ordine esecutivo con cui ha sospeso per tre mesi l’ingresso negli Stati Uniti di cittadini provenienti da sette paesi, anche se in possesso di permessi di soggiorno e di visti d’ingresso regolari e ha sospeso per quattro mesi il programma di ricollocamento dei profughi. Trump ha giustificato la decisione dicendo che “serve a salvaguardare gli americani dagli attacchi terroristici da parte di cittadini di origine straniera”. La risoluzione, che ha portato all’arresto di centinaia di persone negli aeroporti statunitensi, ha scatenato proteste negli Stati Uniti e in tutto il mondo. L’ordine esecutivo firmato da Trump è senza dubbio illegale e nella peggiore delle ipotesi incostituzionale e c’è da aspettarsi che non avrà lunga vita, anche grazie al lavoro di tanti avvocati e associazioni che si sono mobilitati per denunciarne l’illegittimità. Sedici procuratori generali hanno annunciato che indagheranno sulla costituzionalità del decreto. Tuttavia gli effetti della violenza e dell’arbitrarietà del cosiddetto Muslim ban, il divieto di entrare negli Stati Uniti per i cittadini di sette paesi musulmani, dureranno a lungo e rafforzeranno le discriminazioni e i pregiudizi sui profughi e sui migranti in tutto il mondo. Da tempo si moltiplicano le aggressioni, le discriminazioni e le violenze contro i migranti e i profughi per motivi razziali in ogni parte del mondo. Poche ore dopo l’approvazione dell’ordine esecutivo e dopo che il premier canadese Justin Trudeau aveva detto di voler accogliere i profughi siriani respinti da Washington, in Canada una persona è entrata in un centro culturale islamico a Québec e ha aperto il fuoco contro i fedeli raccolti in preghiera, uccidendone sei. L’equazione secondo cui tutti i musulmani sono terroristi e tutti i migranti e i profughi sono un potenziale pericolo per le nostre società, oltre a essere xenofoba e quindi antisociale, è falsa. Diversi quotidiani statunitensi hanno mostrato che la maggior parte degli attentati compiuti negli Stati Uniti dopo l’11 settembre 2001 è stata messa in atto da cittadini statunitensi e che nessun cittadino delle sette nazionalità a cui è stato vietato l’ingresso negli Stati Uniti ha
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I muri di Trump e quelli dell’Europa - Annalisa Camilli - Internazionale
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compiuto attentati nel paese. L’Europa è un’alternativa? Tutti i leader politici europei hanno condannato l’ordine esecutivo di Donald Trump. La cancelliera Angela Merkel in una telefonata al presidente degli Stati Uniti ha addirittura spiegato quali sono gli obblighi della convenzione di Ginevra sui rifugiati. “Tutti i firmatari della convenzione di Ginevra devono accogliere i profughi sulla base di princìpi umanitari”, ha detto Merkel a Trump. “La lotta al terrorismo non giustifica i pregiudizi verso persone di una determinata origine”. Il presidente del consiglio italiano Paolo Gentiloni ha scritto su Twitter: “L’Italia è ancorata ai propri valori. Società aperta, identità plurale, nessuna discriminazione. Sono i pilastri dell’Europa”. Segnali incoraggianti che farebbero pensare alla volontà dei leader europei di rappresentare un’alternativa morale e politica alla chiusura delle frontiere voluta dalla nuova amministrazione statunitense. Tuttavia le notizie che emergono alla vigilia del vertice europeo che comincerà a Malta il 3 febbraio fanno pensare che, nonostante le condanne, nei prossimi anni la politica europea sull’immigrazione sarà orientata ai rimpatri e all’esternalizzazione delle frontiere (stipulare accordi con paesi non europei, ma confinanti con l’Europa, per mettere in atto dei blocchi ai confini), invece che all’integrazione e all’apertura di canali legali di viaggio per i migranti e i profughi. Il 25 gennaio il presidente della Commissione europea Jean-Claude Junker, insieme al commissario all’interno e all’immigrazione Dimitri Avramopoulos e alla rappresentante per la politica estera dell’Unione europea Federica Mogherini, hanno anticipato il piano che sarà proposto dalla Commissione ai capi di stato e di governo nel vertice della Valletta. Il progetto presentato a fine gennaio sarà proprio il punto di partenza della discussione. La priorità dell’Unione europea è chiudere la rotta del Mediterraneo centrale che dalla Libia permette a migliaia di persone di arrivare in Europa via mare e affidare ai libici i respingimenti in mare per conto degli europei, pratica già condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo nel 2012, quando a operare i respingimenti in mare era stata l’Italia. I quattro punti del piano Per raggiungere questo obiettivo, l’azione di Bruxelles si concentrerà su quattro punti. Il primo è il finanziamento e l’addestramento della guardia costiera libica, già cominciato con l’operazione Sophia del dispositivo militare EunavforMed, a cui sarà affidato il compito di pattugliare le acque territoriali del paese nordafricano per fermare la partenza delle imbarcazioni dei migranti e, di fatto, respingerle per conto degli europei.
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I muri di Trump e quelli dell’Europa - Annalisa Camilli - Internazionale
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Il secondo è il finanziamento dei centri di detenzione per migranti in Libia, a cui avranno accesso anche autorità internazionali, come l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim); il terzo punto è la chiusura della frontiera meridionale della Libia, quella con il Niger da cui passa la maggior parte dei migranti diretti in Europa. Il quarto punto è il rafforzamento dei programmi di rimpatrio volontario che sono già operativi in Europa e che sarebbero estesi anche ai migranti che si trovano in Libia. I migranti saranno spinti con degli incentivi economici a tornare nei loro paesi d’origine, prima di intraprendere la traversata del Mediterraneo. In un documento informale del 17 gennaio, firmato dal premier maltese Joseph Muscat, a cui spetta la presidenza del semestre europeo, si parlava di una “line of protection”, un blocco navale costituito dalle unità della guardia costiera libica in collaborazione con la nuova guardia di frontiera europea. Le autorità maltesi avrebbero voluto, inoltre, che l’Europa stipulasse un accordo con la Libia e con altri paesi nordafricani come Algeria ed Egitto simile a quello concluso da Bruxelles con Ankara nel marzo del 2016. Ma sia Mogherini sia Avramopoulos hanno escluso questa possibilità con la Libia perché il governo di unità nazionale guidato da Fayez al Sarraj non ha il controllo del paese e il contesto libico è ancora caotico e conflittuale. A ben guardare, infatti, è proprio l’instabilità della Libia a mettere in discussione l’intero progetto di Bruxelles, difficilmente realizzabile senza un partner locale stabile che abbia il pieno controllo del territorio. Duecento milioni di euro è la cifra che dovrebbe essere stanziata per chiudere la rotta del Mediterraneo centrale, secondo quanto annunciato il 25 gennaio, fondi che si vanno ad aggiungere ai sei miliardi stanziati per l’accordo sui migranti stipulato con Ankara. Soldi investiti nella chiusura e nella militarizzazione delle frontiere, con le sue conseguenze: violenza, violazioni dei diritti umani e aumento dei migranti morti nel tentativo di attraversare il confine. Soldi che non saranno investiti nel progetto politico di un’Europa dei diritti: nella riforma del regolamento di Dublino sull’asilo, nell’accoglienza delle migliaia di profughi bloccati in Grecia e nei paesi balcanici; e nella protezione dei più vulnerabili come le vittime di tratta e i minori stranieri non accompagnati.
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Marco Truzzi | Sui confini. Europa, un viaggio sulle frontiere | Il giro d...
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27MAR2017
Marco Truzzi | Sui confini. Europa, un viaggio sulle frontiere inviato su Letteratura italiana by Claudia I reportage che si occupano di approfondire il nostro tempo interessano molto: non conosciamo tutto del mondo che ci circonda, ma possiamo informarci per imparare qualcosa di più. “Sui confini. Europa, un viaggio sulle frontiere” di Marco Truzzi (fotografie di Ivano Di Maria, Exòrma edizioni, 158 pagine, 14.50 €) è uno di quei libri brevi, ma intensi, che aprono gli occhi su situazioni che spesso si tende ad ignorare.
(https://girodelmondoattraversoilibri.files.wordpress.com/2017/03/truzzi.jpg) Gli anni seguiti alla caduta del muro di Berlino, nel 1989, sembravano indicare una prospettiva, il riconoscimento dei diritti umani e un’Europa più inclusiva e solidale. Eppure ci troviamo oggi a fronteggiare il ritorno di istanze nazionaliste, protezionistiche, separatiste; intolleranza e spinte xenofobe, divaricazione della forbice nella distribuzione della ricchezza, economia interna a due velocità, crisi dei modelli delle politiche sociali. Cosa succede sulle frontiere? Che significato hanno oggi? Dove sono? E dove siamo noi? Quali fossili culturali si incontrano andando per confini? [Marco Truzzi, Sui confini. Europa, un viaggio sulle frontiere] Il giornalista Marco Truzzi e il fotografo Ivano Di Maria intraprendono un viaggio attraverso l’Europa alla ricerca di vecchi confini. L’idea di partenza è quella di raccontare, documentare e fotografare gli ex-confini tra gli Stati europei prima dell’avvento di Schengen, ma durante i primi
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Marco Truzzi | Sui confini. Europa, un viaggio sulle frontiere | Il giro d...
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viaggi entrambi si rendono conto che non si può parlare di confini caduti perché stiamo vivendo anni in cui i confini vengono anzi rimarcati in modo violento. L’autore e il fotografo decidono quindi di viaggiare in Europa scegliendo di raccontare i luoghi dove vengono eretti muri, fili spinati, griglie, dove la polizia grida alla gente di stare indietro, di andarsene, lanciando lacrimogeni e spesso usando la violenza. Il reportage di Truzzi, accompagnato dalle fotografie di Ivano Di Maria, inizia da Ceuta l’enclave spagnola che si trova in Africa; quanti disperati ogni giorno giungono al confine, ma non per entrare in Spagna, bensì per contrabbandare merci marocchine da vendere sul suolo spagnolo. Giungono a Basilea, città svizzera dove si intrecciano tre confini nazionali; l’autore e il fotografo proseguono verso il Nord Europa, dalla Danimarca alla Svezia correndo in auto sul ponte dell’Øresund, un ponte che in teoria unisce due nazioni ma in sostanza no, poiché anche in Nord Europa i due italiani scopriranno quanto razzismo si annida tra le genti nordiche. Quindi attraversano quelli che furono i confini della ex-Jugoslavia, infine fanno tappa a Ventimiglia e poi a Calais e infine a Idomeni, tutti luoghi tristemente noti per gli episodi di chiusura totale dei confini. A Ventimiglia gente accampata sugli scogli; a Calais nella “giungla” fatta di baracche e tende senz’acqua e senza luce; e Idomeni dove i tantissimi bambini giocano nella polvere mentre la polizia greca e quella macedone sparano proiettili di gomma ad altezza d’uomo. È l’inferno. E in mezzo all’inferno, lì, seduta per terra, con un carrarmato alle spalle, mentre gli altri gridano e scalciano e corrono via e urlano ancora più forte, lì in mezzo una bimba gioca con alcuni rametti. Ivano allunga la mano, ma lei non si muove e lo guarda. Vuole solo giocare. Sono soltanto pochi secondi, che a lui sembrano un’eternità. E in quel tempo sospeso non ci sono più fotografie da fare, un progetto da raccontare, confini da descrivere. C’è solo la voglia di dire adesso ti prendo e ti porto via, lontano da qui, dove ci sono altri giochi da fare, dove ci sono la scuola e un compito e magari un cartone animato da guardare prima di andare a letto [Marco Truzzi, Sui confini. Europa, un viaggio sulle frontiere] I confini mi hanno sempre affascinata, perché in Europa posso attraversali in modo libero, senza controllo: dalla Grecia all’Estonia, nessuna autoritù mi ha chiesto di esibire i documenti. Questa è sempre stata la mia idea di Europa, un luogo accogliente dove poter girovagare liberamente e imparare frammenti della cultura del Vecchio Continente. Logicamente, il controllo sugli extraeuropei va fatto, anche se non tutti avranno i documenti, dopo certi viaggi per mare o nel deserto… La soluzione, in ogni caso, non può essere quella di intrappolare, per settimane, mesi o addirittura anni, queste persone in campi profughi come Calais o Idomeni o peggio sugli scogli di Ventimiglia, e le ONG o i civili non possono sobbarcarsi tutte le responsabilità che spetterebbero ai governi europei. L’autore e il fotografo come ultima tappa si prefiggono una visita ad Auschwitz, uno dei luoghi dove la follia razzista ha generato un vero e proprio inferno in terra. Auschwitz, come altri campi di prigionia e sterminio non solo nazista, dovrebbero semplicemente essere lì per ricordarci gli errori del passato, ma sempre di più al giorno d’oggi si sentono cose del tipo “riapriamo i lager“. Sono cose che mi inquietano perché significa che il germe dell’odio e del razzismo non si sono estinti, ma sono scintille pronte a prendere fuoco. Inge, la donna svedese incontrata da Marco Truzzi e Ivano Di Maria, ne è un esempio: lei sostiene che la gente dovrebbe semplicemente stare a casa propria. Certo, se si abita in Svezia in una casa calda e con una cospicua pensione perché no?, anch’io starei a casa mia. Diversamente, se non si ha più una casa perché bombardata oppure se i militari hanno ucciso tutta la famiglia o se semplicemente quello che dovrebbe essere il mio Paese non mi rappresenta più. Perché dovrei restare, se non è più casa mia?
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La direzione che ha preso l’Europa in questi ultimi anni non è in linea con i propri principi, con le idee originali che hanno permesso la stessa creazione dell’Unione Europea. Se la tendenza non verrà invertita, idee razziste e cruente prenderanno sempre più piede, assieme a populismo di vario genere, e si tenderà a diventare sempre più chiusi e a curare solo il proprio giardino, senza pensare che magari un giorno – in un futuro nemmeno troppo lontano – potremmo essere proprio noi a dovercene andare dal nostro Paese e a subire un’accoglienza tutt’altro che festosa. Il giorno dopo a Idomeni arrivano quelli di Alba Dorata a far casino. Arrivano in massa da Salonicco. Un tempo, Salonicco si chiamava Tessalonica. San Paolo scrisse ai Tessalonicesi due lettere. La prima è considerata la parte più antica del Nuovo Testamento. Parlava di carità [Marco Truzzi, Sui confini. Europa, un viaggio sulle frontiere] Titolo: Sui confini. Europa, un viaggio sulle frontiere L’Autore: Marco Truzzi Fotografie: Ivano Di Maria Editore: Exòrma editore Perché leggerlo: per aprire gli occhi sulla realtà che stiamo vivendo, per farsi un’idea su cosa stia diventando l’Europa e su cosa potremmo fare noi per invertire questa tendenza
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