I Quaderni della Comunicazione 2015 - Centri Media e Concessionarie

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i Quaderni della comunicazione

N° 104 novembre 2015 - Poste Italiane Spa - Spedizioni in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comm.1 DCB Milano

la guida per orientarsi nel mondo dei media, della pubblicitĂ e del marketing

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direttore responsabile Salvatore Sagone - salvatore.sagone@adcgroup.it coordinamento editoriale Tommaso Ridolfi - tommaso.ridolfi@adcgroup.it art direction e realizzazione Marco Viale - marco@mvcreative.it stampa P.F. direttore commerciale Maria Cristina Concari - cristina.concari@adcgroup.it account manager Andrea Gervasi - andrea.gervasi@adcgroup.it Ilaria Granato - ilaria.granato@adcgroup.it Paola Morello - paola.morello@adcgroup.it Daria Pasquini - daria.pasquini@adcgroup.it Elisabetta Zarone - elisabetta.zarone@adcgroup.it abbonamenti abbonamenti@adcgroup.it I Quaderni della Comunicazione periodico mensile n° 104 novembre 2015 registrazione tribunale di Milano n° 679, 30/11/2001 Società Editrice ADC Group Srl presidente: Salvatore Sagone sede legale: via Freguglia, 2 - 20122 Milano Redazione e pubblicità: Via Copernico, 38 - 20125 Milano tel: +39 02 49766316 – e-mail: info@adcgroup.it La collana de I Quaderni della Comunicazione è disponibile esclusivamente in abbonamento annuale. Abbonamento ai Quaderni della Comunicazione euro 105,00 Abbonamento ai Quaderni della Comunicazione + Nc - Il mensile della Nuova Comunicazione euro 275,00 Abbonamento ai Quaderni della Comunicazione + Nc - Il mensile della Nuova Comunicazione + Advexpress euro 380,00 (+IVA) I Quaderni della Comunicazione© Copyright 2015 ADC Group Srl Finito di stampare nel mese di novembre 2015 da: P.F. via Kramer, 17/19 - 20129


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Editoriale

È cambiato tutto... ALLA VIGILIA di una crisi che nessuno immaginava sarebbe stata lunga e difficile come poi si è rivelata, UPA organizzò a Roma un Summit internazionale dal titolo che oggi suona quasi profetico: ‘Tutto cambia. Cambiamo tutto?’. Era il 2009, e nel suo discorso di allora, il presidente dell’associazione che riunisce le aziende utenti di pubblicità, Lorenzo Sassoli de Bianchi, citò il personaggio cinematografico di Chancey il giardiniere, ricordando che ‘a ogni inverno non può che seguire una primavera’. Oggi, a sei anni di distanza, siamo forse arrivati al momento di questo fatidico cambio di stagione. Ce lo dicono i principali indicatori macroeconomici, dalle previsioni sul Pil all’indice di fiducia dei consumatori, e sembrano indicarlo i dati più recenti sugli investimenti pubblicitari e sulle attese che l’intera industry nutre per una chiusura d’anno finalmente in positivo. Quasi non importa se il risultato finale sarà del +1% o +2%. Basta che finalmente il termometro non segni rosso, che la febbre sia passata. Sotto la spinta di un mercato che si è digitalizzato ogni giorno di più, tenere il passo è stato difficile e impegnativo per tutti, e in questi sei anni le cose sono veramente cambiate: va quindi per prima cosa dato atto ad aziende, agenzie e concessionarie del grande sforzo compiuto fino a questo momento. Al tempo stesso occorre però rendersi conto che il cambiamento – che ha oggi preso il nome di Digital Trasformation, da qui il titolo del nostro Quaderno – è un processo che non si ferma mai. L’innovazione tecnologica prosegue e anzi accelera a ritmo vorticoso con la costante irruzione sulla scena di nuovi fenomeni – dai wearables al programmatic, dai big data al native advertising, e si potrebbe continuare ‘ad infintum’... Tutto ciò costringe le organizzazioni che appartengono a questa industry, dalle più tradizionali e consolidate alle più nuove start up, a ripensare costantemente metodi e strutture, ruoli, funzioni e modelli di business, rimettendosi in gioco giorno dopo giorno. Di quel Summit romano del 2009 ricordo infine un punto fondamentale: il riconoscimento universale della posizione di centro assoluto dell’universo della comunicazione che già allora aveva assunto il consumatore. Come confermano le testimonianze raccolte fra gli operatori presenti in questo volume, benché questo fattore sia immutato, la strada da fare per poter dire di averne compreso fino in fondo le implicazioni è ancora lunga. Salvatore Sagone presidente ADC Group e direttore responsabile news e contenuti di ADVexpress 7


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indice

Indice Editoriale, di Salvatore Sagone LA GEOGRAFIA DEL MERCATO Capitolo 1. Centro di gravità permanente Capitolo 2. Aspettando il mobile Capitolo 3. Ritorno al futuro? Capitolo 4. Il ‘paradosso’ programmatico Capitolo 5. Big Data e/o Big Audi? Capitolo 6. Sull’onda del cambiamento Capitolo 7. La scoperta dell’America Capitolo 8. A caccia di competenze Capitolo 9. Tutti i numeri del mercato

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I PROTAGONISTI - AGENZIE MEDIA Amplifi. L’algoritmo siamo noi! Group M. Digital innovation leader Havas Media. Una proposizione differente IPG Mediabrands. ‘Vertical’ integrati Kinetic. Un approccio consulenziale Omnicom Media Group. Tecnologie, dati... e persone ZenithOptimedia. 10 anni di trasformazione

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I PROTAGONISTI - CONCESSIONARIE Clear Channel Italia. Il futuro è digital Discovery. Il ‘luogo’ dell’eccellenza Gruppo Pubbliemme. IGPDecaux. Grazie Expo! NetMediaClick. Programmatic & Performance RaiPubblicità. Qualità,dinamismo,integrazione Turner. Partnership a 360°

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I PROTAGONISTI - ALTRE STRUTTURE Level 33. La forza della crossmedialità

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DOVE TROVARLI Gli indirizzi 144

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la geografia del mercato

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Centro di gravità permanente Raccolta, analisi e interpretazione dei dati sono i fattori che consentono – come mai prima d’ora – di mettere l’individuo al centro della comunicazione. È la sfida colossale imposta dalla Digital Trasformation, che sta cambiando profondamente le organizzazioni e l’intero mercato: ma cosa vuol dire, per aziende, agenzie e media, essere davvero ‘consumer centric’?

SEMBRA PROPRIO che stiano per avverarsi le previsioni formulate dal presidente UPA, Lorenzo Sassoli De Bianchi, che fin dall’inizio di quest’anno si è sempre mostrato ottimista: “Prevediamo un aumento degli investimenti nel 2015 fra il +1% e +2%, – aveva dichiarato già a febbraio – con una conferma del trend di ripresa degli investimenti registrato lo scorso anno. Segno che le imprese che investono in comunicazione credono in un Pil italiano giunto a un punto di svolta positiva, tanto da posizionare le previsioni a un valore più che doppio rispetto alle sue dinamiche attuali. L’apertura a metà anno dell’Expo, insieme ad altri segnali macroeconomici – dalla migliore competitività dell’euro, alla diminuzione del prezzo del petrolio, alla ripartenza del settore automotive –, lasciano ben sperare.” Speranze che lo stesso Sassoli ha riconfermato puntualmente di mese in mese fino all’ultima rilevazione Nielsen relativa al mese di Settembre, quando il mercato degli investimenti pubblicitari ha effetivamente registrato un incremento del +1% nel perimetro complessivo che ingloba anche il search, social e video stimati da Nielsen. “La previsione di una chiusura del 2015 verso il 2% appare a portata di mano – ha ribadito Sassoli –, anche perché per i prossimi mesi abbiano buone indicazioni”. A confermare questo parere su una ripresa che sembra finalmente trasformarsi in realtà 12

Alberto Dal Sasso, Advertising Information Service Business Director di Nielsen

sono infatti diverse autorevoli voci: l’Ocse, nell’ultima edizione dell’Economic Outlook, stima infatti una crescita della nostra economia del +0,8% per il quarto trimestre di quest’anno e dell’1,4% sia nel 2016 che nel 2017. Ancora più positive le stime dell’Istat e dell’UE: la prima prevede infatti che nel 2015 il Pil aumenterà del +0,9% in termini reali, con una crescita ulteriore


capitolo1

1. STIMA DEL MERCATO PUBBLICITARIO (GEN–SET 2014/2015) Dati netti in migliaia di euro

Gen–Set. 2014 Gen–Set 2015 Δ% Quotidiani 1 575.096 533.315 -7,3 Periodici 1 352.663 338.817 -3,9 Tv 2 2.577.975 2.535.467 -1,6 Radio 3 245.038 269.434 10,0 Internet (Fonte: FCP-Assointernet) 321.178 316.985 -1,3 Outdoor (Fonte: Audioutdoor) 58.270 60.664 4,1 Transit 65.068 77.668 19,4 Out Of Home Tv 10.277 11.257 9,5 Cinema 10.850 10.598 -2,3 Direct Mail 235.215 226.692 -3,6 TOTALE PUBBLICITÀ 4.451.630 4.380.897 -1,6 NOTE: l’universo di riferimento è quello dei mezzi rilevati da Nielsen ad eccezione dei Quotidiani dove vengono utilizzati i dati FCP-Assoquotidiani solo per le tipologie: Locale, Rubricata e Di Servizio, e delle Radio dove vengono utilizzati i dati FCP-Assoradio solo per la tipologia Extra Tabellare (comprensiva c.a.). Le elaborazioni sono effettuate con il contributo di FCPAssoquotidiani e FCP-Assoperiodici. 1 Per i dati di Stampa Commerciale Locale, Rubricata e Di Servizio la fonte è FCP-Assoquotidiani 2 lI dato comprende le emittenti Generaliste, Digitali e Satellitari
 3 Le elaborazioni sono effettuate con il contributo di FCP-Assoradio Fonte: The Nielsen Company 2015

del +1,4% sia per il 2016 sia per il 2017; la seconda punta al medesimo +0,9% per il 2015 (contro lo 0,6% previsto a maggio) e rialza al +1,5% la previsione per il 2016 (era +1,4% prima dell’estate). Altra voce che concorda con Sassoli è quella di Alberto Dal Sasso, Advertising Information Service Business Director di Nielsen, che a inizio novembre, presentando le ultime rilevazioni sull’andamento degli investimenti pubblicitari ha ribadito come il bimestre agosto-settembre abbia favorito una significativa ripresa del mercato, grazie a un apporto complessivo di circa 32 milioni di euro: “Alla luce di questo consolidamento del trend – ha detto –, stimiamo che tutti i mezzi, a eccezione di stampa e direct mail, possano chiudere in crescita i mesi che ci

separano dalla fine dell’anno, impattando positivamente sull’andamento generale del mercato 2015”. In altra sede lo stesso Dal Sasso ha osservato che “Expo è stata sicuramente uno degli elementi di traino per l’ormai avvenuta ripresa degli investimenti: ha dato vigore generalmente a tutti i mezzi, ma è sull’outdoor che ha mostrato meglio che altrove la sua incidenza; basti pensare che nel singolo mese di settembre, questo canale è cresciuto in doppia cifra rispetto allo stesso mese del 2014. La nostra analisi ha evidenziato un buon interesse da parte delle aziende investitrici soprattutto durante lo svolgimento di Expo, anche se già da settembre 2014 gli investimenti hanno sempre superato i 5 milioni di euro, a eccezione dell’ultimo mese. I 13


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picchi di maggior dinamismo si sono registrati tra aprile e giugno di quest’anno”. Il dettaglio sul mercato Tornando al più recente report Nielsen, nei primi nove mesi del 2015 il mercato italiano degli investimenti pubblicitari è cresciuto dell’1%, considerando anche le stime sulla porzione web (principalmente search e social) non direttamente monitorata. Sulla base del perimetro attualmente rilevato nel dettaglio si registrava invece un calo dell’1,6% rispetto allo stesso periodo del 2014 (70,7 milioni in meno) e un incremento del 3,8% per il singolo mese di settembre. Relativamente al dettaglio dei diversi mezzi, la Tv risultava cresciuta del 6,6% nel singolo mese, portando il periodo cumulato gennaio–settembre a -1,6% e confermando la tendenza di avvicinamento a quota zero anche per il resto dell’anno.
 Tornavano in terreno negativo i Quotidiani, che registrano un mese di settembre a -3,6% e chiudono i nove mesi a -7,3%, così come i Periodici, in perdita del 3,9% per lo stesso periodo. Il mezzo Radio continuava a distinguersi con un andamento molto positivo: +10,2% a settembre e +10% nel periodo consolidato. Internet, relativamente al perimetro attualmente monitorato, cresceva del +4,6% nel singolo mese di settembre (+4,6%), riducendo a -1,3% il decremento sui nove mesi del 2015. Sulla base delle stime relative al totale del web advertising, aggiungendo dunque la porzione non monitorata, il digitale crescerebbe del 9,1% nel periodo gennaio–settembre. Continuava poi l’ottimo momento dell’intero mondo Out Of Home che, sempre trainato da Expo, ha chiuso in positivo i nove mesi da gennaio a settembre: Outdoor a +4,1%, Transit a +19,4% e Out Of Home Tv +9,5%. Ancora negativo, invece, il trend del Cinema

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(-14,8% nel singolo mese e -2,3% nel cumulato), e del Direct Mail (-1,8% a settembre, -3,6% nei 9 mesi). Per quanto riguarda i settori merceologici, Nielsen ne segnala 11 stabili o in crescita, con un apporto di circa 91,1 milioni di euro. Per i primi comparti del mercato si registrano andamenti differenti nei 9 mesi del 2015: alla crescita di Alimentari (+4,9%, circa 27,3 milioni) e Farmaceutici (+5,1%, circa 11,2 milioni), si contrappongono i cali di Finanza/Assicurazioni (-6,4%, circa 14,5 milioni), Automotive (-1,5%, circa 6,2 milioni) e Telecomunicazioni (-10,7%, circa 28,3 milioni). I maggiori apporti alla crescita arrivano da Servizi Professionali (+20,9%), Enti/Istituzioni (+10,4%), Gestione Casa (+8,2%) e Oggetti Personali (+3,8%). All change! Osservando però con uno sguardo più ampio ciò che è successo nel corso dell’ultimo anno, non limitandosi ai dati numerici, è facile rendersi conto che il mercato è ancora nel pieno di una fase di profondo cambiamento che tocca tutti i suoi protagonisti e che ha la sua genesi nella pervasiva digitalizzazione di tutto il mondo in cui viviamo e quindi anche dei media. Una fase di ‘Digital Trasformation’, come recita il titolo di questo Quaderno, le cui molteplici implicazioni stanno costringendo tutte le organizzazioni a mutare approcci, metodi e strumenti, ma prima ancora mentalità. Nel corso dei prossimi capitoli cercheremo di esaminare più da vicino molti di questi fattori e mutamenti, ma ci è sembrato che il primo e forse più importante di tutti fosse quello che oggi vede al centro della scena il consumatore, protagonista assoluto della ‘nuova comunicazione’. Di marketing one-to-one si parla in realtà da molto tempo, almeno dalla fine degli anni 80. Era però una sigla appannaggio pressoché esclusivo del marketing diretto, che solo l’arrivo


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2.INVESTIMENTI PUBBLICITARI PER SETTORE (GEN–SET 2015) Settori di investimento Quota % su Δ% tot mercato TOTALE 100 -1,6 Abbigliamento 4,9 -7,8 Abitazione 3,7 -6,0 Alimentari 15,2 4,9 Automobili 11,0 -1,5 Bevande/Alcoolici 5,4 3,5 Cura Persona 5,0 0,7 Distribuzione 6,3 0,4 Elettrodomestici 0,7 -34,0 Enti/Istituzioni 2,1 10,4 Farmaceutici/Sanitari 6,1 5,1 Finanza/Assicurazioni 5,5 -6,4 Gestione Casa 4,2 8,2 Giochi/Articoli Scolastici 0,9 -8,9 Industria/Edilizia/Attività 1,4 -35,2 Informatica/Fotografia 0,4 -46,9 Media/Editoria 5,4 -10,4 Moto/Veicoli 0,6 -4,8 Oggetti Personali 1,5 3,8 Servizi Professionali 2,3 20,9 Telecomunicazioni 6,2 -10,7 Tempo Libero 2,5 -9,4 Toiletries 5,8 1,7 Turismo/Viaggi 3,0 1,6 Fonte: The Nielsen Company 2015

del digitale – e quindi di un immediato canale di ritorno fra la martca e il consumatore – ha consentito di diventare realtà. Allo stesso tempo, però, questa realtà ha colto di sorpresa quasi tutti gli operatori, abituati a ragionare non in termini di interazione e conversazione ma di copertura e frequenza dei propri messaggi ricvolti ad audience generalmente ‘di massa’. Insieme al canale di comunicazione a due vie, il digitale ha aperto la strada alla raccolta, l’analisi e l’interpretazione sempre più precisa e puntuale – fino al real time – dei dati che riguardano i consumatori e i loro comportamenti,

ed è proprio su questa sfida che aziende, agenzie e media stanno spostando il baricentro delle loro operazioni: perciò la prima domanda cui abbiamo chiesto loro di rispondere riguarda proprio che cosa vuol dire oggi essere davvero ‘consumer centric’ e come stanno cambiando le loro strutture interne per rispondere a questa esigenza. “Essere vicino al consumatore – risponde Dal Sasso –, oggi più che mai significa essere padroni delle tecnologie. Parlo anche di tecnologie legate alla comunicazione. Nell’ultimo decennio la tecnologia è diventata sempre più di facile

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fruizione per i consumatori tanto da avere una diffusione capillare. Chi governa l’offerta di comunicazione la padroneggia alla perfezione, ma non sempre lo stesso succede per la domanda. C’è un gap che va al più presto colmato, anche perché l’innovazione corre molto velocemente, mentre la trasformazione e l’adozione da parte del business sono fisiologicamente più lente. È compito degli operatori del settore coprire questo gap di interpretazione e fruizione tecnologica in termini di business. La stessa Harvard Business Review ha dedicato (agosto 2014) a questi temi un numero – ‘The new basics of Marketing’ –, dove in particolare si parla della figura del chief marketing technologist come ruolo di spicco nelle organizzazioni aziendali. Non posso che essere in linea con questo tipo di approccio. Strategie e contenuti “Con l’avvento dei social network e la possibilità di essere sempre e comunque in grado di interagire con un brand, anche grazie al mobile, di fatto il consumatore si è posto al centro lui stesso – afferma Paolo Dosi, Ceo Clear Channel Italy –. Questa consapevolezza vale ancor di più per la fascia di consumatori che potremmo definire sempre più sfuggenti, principalmente in fuga dalla televisione: oggi sono loro che in qualche modo dettano alle aziende e ai brand l’agenda su dove e come possono essere trovati e raggiunti, di come la loro attenzione possa essere catturata”. Dosi cita come esempio la comunicazione di una marca come Coca-Cola: “Fino a poco tempo fa partiva dallo spot televisivo, dal racconto di una storia che potesse andar bene e piacere al maggior numero possibile di persone, e ne lanciava una o al massimo due all’anno. Oggi il suo approccio è totalmente diverso: per interagire con i consumatori le storie adesso le mette su YouTube o su Facebook, dove sa che le persone andranno a cercarle… C’è quindi

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un vero rovesciamento delle strategie di comunicazione da parte dei brand, che ormai faticano a trovare soluzioni efficaci anche nel digital (inteso come web e mobile): basti pensare a problematiche come la Viewability, le frodi o l’Ad Blocking”. Secondo Giuseppe Vigorito, Sales Manager e Membro del CDA NetMediaClick, “Riuscire a comunicare direttamente con il consumatore ‘giusto’ al momento ‘giusto’ è una grande opportunità (non ancora una realtà consolidata) che va sfruttata al meglio, con contenuti idonei e le migliori strategie; questi ultimi due punti a mio avviso giocheranno il ruolo più importante parallelamente e non, alla fase di innovazione ed evoluzione tecnologica che stiamo attraversando. Con NetMediaLAB vogliamo dare un grande contributo ai brand, affinchè non trascurino questi aspetti, ottimizzando gli investimenti e le risorse messe in campo durante la fase pre campagna, ovvero di concepimento dei materiali da utilizzare, e nello studio dedicato alla migliore strategia da attuare per contattare il consumatore nel modo più efficace possibile. Il tema è predominante e tutti gli attori sono consapevoli che devono cercare di adeguarsi”. Su contenuti e strategie si focalizza anche Giuliano Cipriani, Direttore Generale Discovery Media: “Trasformare il nostro business in senso digitale vuol dire ragionare per brand e non più per piattaforme: questo è il primo grande cambiamento. Il profilo di utenza e i valori editoriali che un nostro canale o meglio un nostro brand ha e rappresenta, non dipendono dalla piattaforma sulla quale sono veicolati. Sono tutti mezzi digitali senza distinzione: la televisione è digitale, il mobile è digitale, il web digitale. Quindi questo è il primo elemento: nessuna barriera. Per chi vuole o ha bisogno di relazionarsi con Real Time non c’è un problema di barriera di piattaforma. Sicuramente un grande vantaggio è avere contenuti liquidi e fruibili, e quindi questo è un altro elemento,


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un altro fil rouge che unisce le cose. Al tempo stesso, ovviamente, parlare di trasformazione digitale vuol dire anche lavorare su formati specifici dedicati a ciascun tipo di piattaforma. Perchè è verissimo che il brand è unico, così come magari il profilo dell’interlocutore, ma non si può dimenticare che le modalità di fruizione, anche nella pubblicità, sono molteplici, e occorre prestare moltissima attenzione a questo aspetto per evitare di commettere errori in termini di redemption”. Finalmente arriva… il marketing “Non credo bisognasse aspettare la Digital Transformation per scoprire che il consumatore va messo al centro… – è il parere di Alessandro Loro, Direttore Marketing IGPDecaux –. Occupandomi di business to business – i ‘miei’ clienti sono le aziende, quindi diciamo che la catena è più lunga, a due step – si tratta di un processo che ha semplicemente reso evidente un qualcosa che per noi italiani non lo era mai stato a sufficienza: la Digital Transformation sta cioè trasformando il sistema delle nostre imprese da un sistema industriale, imprenditoriale, che non ha mai fatto del marketing serio, in un sistema che, volente o nolente, sarà finalmente marketing oriented”. I driver di questo cambiamento sono ormai noti: “Le informazioni sulle persone sono così tante che non si può più far finta di non averle, e per di più le si devono anche coordinare – prosegue infatti Loro –. Diciamo che, rispetto al passato, un approccio centrato sulle problematiche di chi ti deve ascoltare è diventato meno faticoso e più conveniente. Prima occorreva tutta una serie di congetture sul tipo di persona con cui si voleva entrare in relazione perchè di lui si sapeva poco o nulla, bisognava basarsi più sulle proprie sensazioni, costruendo il famoso ‘simulacro’ del destinatario con l’immaginazione, come si fa quando si scrive un articolo di giornale e si ha

sempre in testa chi lo leggerà. Ora, invece, è un po’ meno simulacro e si avvicina effettivamente alla persona vera, perchè ci sono così tante informazioni che l’immaginazione quasi non serve”. “La tecnologia degli ultimi anni – prosegue su questa linea di pensiero Fabrizio Piscopo, Amministratore Delegato Rai Pubblicità –, ci ha messo a disposizione strumenti di misurazione sempre più affidabili, precisi e avanzati. Il tema della raccolta di dati è molto caldo ma credo che sia ancora più importante l’aspetto relativo all’analisi dei dati raccolti: senza la capacità di individuare i KPI più adatti ai propri scopi, la mera raccolta quantitativa di dati rimane fine a se stessa. Ritengo che la vera differenza tra i player possa farla proprio la capacità di individuare KPI adeguati e aggiornati in base ai quali costruire la propria strategia di comunicazione consumer centric, la quale dovrà essere dinamica e flessibile rispetto alle variabili che possono intervenire nel mercato. Lo sforzo che cerchiamo di fare in Rai Pubblicità va proprio in questa direzione”. Anche Discovery è impegnata in uno sforzo simile: “Stiamo lavorando, e non da soli, al discorso della misurabilità – conferma Cipriani –, perchè uno dei grandi temi è proprio quello della reach aggregata dalle diverse piattaforme. Alcune cose si stanno già facendo mentre altre sono in predicato di farsi. Il percorso è complesso ma l’obiettivo è chiaro: se io ragiono per brand devo anche saper rispondere alla domanda su quante siano le persone che ho raggiunto in termini di copertura attraverso tutte le manifestazioni del mio brand. Dopodichè abbiamo ben chiaro il concetto che oggi ciò che vale è l’esperienza che ciascuno dei nostri brand genera tutti i giorni e in modo molto efficace. Ma accanto a questo cominceremo presto un percorso in cui all’esperienza digitale uniremo l’esperienza fisica, perchè è vero che le persone hanno una vita mediatica molto digitale, ma è anche vero

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che hanno bisogno di avere esperienze fisiche che possano essere a loro volta condivise con i propri amici e con le persone che caratterizzano la loro vita sul fronte digitale”. “Noi abbiamo sempre considerato prioritaria l’attenzione al target e la vicinanza con il nostro telespettatore – ribadisce Jaime Ondarza, Senior Vice President and General Manager Turner Broadcasting System South Emea and Africa –. Abbiamo il vantaggio di essere una compagnia internazionale e quindi l’opportunità di poter condividere ed elaborare a livello globale business intelligence, dati e ricerche. Oggi stiamo lavorando sempre di più per arricchire le informazioni tradizionali, che abbiamo dalle ricerche qualitative, quantitative e dai sistemi di rilevazione come Auditel, con un accesso diretto ai dati di fruizione di contenuti digitali attraverso applicazioni innovative che da anni Turner sviluppa anticipando spesso i tempi. Parliamo di nuove forme di intrattenimento, come ad esempio Cartoon Network Watch&Play, Cartoon Network anything, o CNN GO, applicazioni che consentono di usufruire del contenuto in modalità mobile su diversi device. Laddove l’attività digitale si intensifica, cresce anche l’accesso al cliente e la possibilità di monitorare il consumo e profilare meglio il target”. Dalle parole ai fatti Assodato quindi che il cliente è ora senza dubbio più al centro di prima, “Il problema – sorride Dosi –, è forse che da parte di alcuni brand non c’è una comprensione perfetta di dove sia questo centro! Ecco: noi vogliamo proporci alle marche prorio per aiutarle a superare le difficoltà che hanno oggi nel riuscire a intercettare e a interagire con il consumatore in modo efficace, offrendo loro uno schermo particolarmente vicino alle persone e adattissimo a essere utilizzato in quello che è il percorso verso l’acquisto”.

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Anche Loro porta la sua testimonianza sui nuovi schermi del Digital Outdoor, area in cui, confessa, “Stiamo procedendo per tentativi. Alcune cosa hanno funzionato, altre no. Ma è normale che sia così. Direi che in linea di massima ciò che ha funzionato in questa trasformazione digitale riguarda più il nostro modo di raccogliere gli ordini che non le proposte che facciamo ai clienti. Abbiamo già un fatturato interessante che arriva attraverso i canali digitali, ma attraverso modalità di proposta ancora tradizionali: diciamo che la nostra, per adesso, è più innovazione di processo che di prodotto. Il problema è infatti che andrebbe riconvertita l’intera filiera, perchè quando devi proporre prodotti ad alto tasso e contenuto di innovazione ci vuole il venditore che lo sa fare, il cliente che può capire, il centro media che non si offende, l’agenzia che è collaborativa e non dice che fare proposte creative è una sua prerogativa… Tutte cose che complicano enormemente l’innovazione di prodotto; l’innovazione di processo è più facile, perchè non serve il consenso di decine di referenti esterni”. Ma in questa filiera il processo di trasformazione sta procedendo contemporaneamente per tutti o qualcuno è più indietro degli altri? “C’è sempre qualcuno che sta più avanti e qualcuno che sta più indietro – risponde Loro –: una categorizzazione in questi termini non è fattibile, nel senso che non potrei dire che le aziende sono più avanti delle agenzie, o che i centri media sono più avanti delle agenzie, o che le agenzie sono più avanti delle aziende… Il processo va avanti in ordine sparso, e credo che dipenda molto dalle persone più che dalle categorie a cui queste persone appartengono. Il fatto che, per esempio, i centri media non si chiamano più cosi ma ‘agenzie media’ mi sembra un bel passo avanti dal punto di vista concettuale che non banalizzerei”. “È ancora presto per dire se tutti o meno sono al passo con la trasformazione in atto – concorda


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Vigorito –; sicuramente i Top Player hanno fiutato prima di tutti i vantaggi di questo cambiamento mentre il resto del mercato sta cercando di adeguarsi. Questo provocherà una scrematura degli operatori, com’è naturale che avvenga, e la nascita di nuovi player focalizzati su modelli di business legati alla Digital Transformation.” In realtà, è l’opinione di Dal Sasso, le aziende sono sempre state consumer centric, a tal punto che quelle che non lo sono state sono sparite: “La loro natura è quella di raggiungere il cliente nel modo più efficace e al contempo efficiente con le loro proposte per soddisfare i bisogni. Il concetto di ‘consumer centric’ come obiettivo non è infatti una novità: semplicemente, oggi è più facile raggiungere i consumatori con certezza, ma bisogna sapere governare la tecnologia per potere sfruttare tutti i canali, sia di comunicazione sia di distribuzione. Le recenti evoluzioni nei servizi di e-commerce (vedi Amazon Prime) ne sono un esempio. Quale miglior modo di essere consumer centric se non raggiungendoli in tempi ridottissimi? Chi capisce quali tipi di relazioni vanno cercando i propri clienti nell’approccio alla marca (non necessariamente le stesse) vince sicuramente la gara”. Keyword: ‘integrazione’ “Come sempre – interviene Gian Paolo Tagliavia, Presidente e CEO IPG Mediabrands – non è corretto generalizzare e dipende da caso a caso: ci sono alcune aziende che, come alcune agenzie, hanno già da tempo affrontato in maniera brillante queste tematiche ed altre che sono più indietro. Penso che uno degli aspetti fondamentali sia quello della tecnologia, tanto all’interno delle agenzie quanto lato clienti. Quando si parla di dati e di marketing sempre più ‘consumer centrico’ o di marketing in real time – e se ne parla tanto negli ultimi anni – non possiamo disconoscere il fatto che questa è un’industria dove la tecnologia sta

Gian Paolo Tagliavia, Presidente e CEO IPG Mediabrands

diventando un fattore abilitante fondamentale. Nella maggioranza dei casi all’interno delle aziende, e in special modo di quelle più tradizionali, non esistono dipartimenti di Marketing Technology, essenziali per riuscire a sviluppare queste potenzialità al massimo livello. Per Marketing Technology intendo l’evoluzione della vecchia ‘Information Technology’ che consente a chi si occupa poi di marketing, di vendita e di comunicazione, di orchestrare i dati non solo in real time ma soprattutto in maniera integrata. Spesso e volentieri il fenomeno da cui noi dobbiamo guardarci è proprio la compartimentalizzazione: IT, software gestionale e CRM hanno ruoli diversi con budget e responsabilità parcellizzate. Ciò rende molto difficile ricomprendere il tutto in una logica integrata”. Un’opinione perfettamente condivisa da Fides Tosoni, Chief Digital Transformation Officer GroupM, e Giovanna Loi, Managing Director Xaxis (la programmatic media company che come GroupM fa parte del Gruppo WPP): “Le aziende veramente customer centric – afferma infatti Tosoni –, sono quelle che capiscono il

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valore, anche in funzione della pianificazione degli spazi media, dell’utilizzo dei dati di cui dispongono sui propri utenti – provenienti dai Crm ma non solo –, e che li condividono e li mettono a fattor comune dell’attività che noi facciamo per migliorare la loro comunicazione”. “C’è però ancora qualche limite a livello di industry da questo punto di vista – osserva Loi –. In generale, la riorganizzazione dei dati di prima parte è un discorso che tocca tutti, dai publisher ai centri media alle aziende stesse: il problema è che oggi chi pianifica la comunicazione digitale non è la stessa società che gestisce per esempio il CRM, per cui gli interlocutori sono diversi e a volte questi dati sono gestiti come silos. Mettere insieme queste informazioni vuol dire conoscere un utente che proviene dal social, dal CRM o dal sito internet, e tutte queste informazioni sono come delle piccole briciole di comunicazione che vanno messe insieme. La forza della Data Managment Platform è proprio in questo campo”. “Tutto il concetto della trasformazione aziendale diventa sempre più importante – sottolinea Tosoni –, sia all’interno dell’azienda sia poi all’interno della stessa industry: lavorare in modo diverso e in maniera integrata è la vera chiave per diventare a tutti gli effetti consumer centric”. Vittorio Bonori, CEO ZenithOptimedia Italia, South Med, Middle East & Africa, approfondisce questo aspetto: “Il passaggio al ‘digitale’ nel suo complesso ha stravolto i modelli analogici cui eravamo abituati, cambiando tanto la nostra vita quotidiana di cittadini e consumatori quanto, a maggior ragione, il nostro mestiere. Perciò sono d’accordo: questo fenomeno della Digital Transformation più di ogni altro sta mettendo in evidenza la necessità di mettere e tenere le persone al centro di ogni attività di comunicazione. Ma proprio per questo sta anche evidenziando il ruolo strategico e ancora una volta centrale per tutto l’ecosistema da parte delle agenzie media. Agenzie che a loro volta, in

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Vittorio Bonori, CEO ZenithOptimedia Italia, South Med, Middle East & Africa

questi ultimi anni, si sono trasformate: per gestire il ‘nuovo’ e sempre più complesso customer journey degli individui, infatti, oggi è fondamentale studiare il consumatore, ascoltarlo, monitorarlo, tracciarlo – compatibilmente a quanto legittimo fare nel rispetto della privacy. Il che significa controllare l’intero processo comunicativo in tempo reale. Dopodiché la sfida si sposta sulla necessità di integrare orizzontalmente tutte le discipline specialistiche e verticali, cercando di navigare tra dati, tecnologia, media e contenuti. La digital economy rappresenta un’opportunità unica e abilitante per tutte le aziende che si propongono di progettare nuovi percorsi di crescita”. “Date le grandi possibilità offerte dal digitale – aggiunge Tagliavia –, molte agenzie, e le nostre in primis, già da qualche anno hanno iniziato a lavorare su due fronti, arricchendo l’offerta di prodotto con delle competenze aggiuntive. Penso ad esempio alla capacità di creare contenuti, insieme alle competenze in fatto di CRM, e all’integrazione tra Out Of Home, Mobile e Shopper Marketing… Questo è un modello di moltiplicazione dei verticali in cui è fondamentale la


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capacità di integrare tutte le diverse discipline. Tuttavia, spesso e volentieri, i clienti stessi non hanno la possibilità di gestire tutti questi verticali. Uno degli effetti della crisi è stato, infatti, il ridimensionamento di molti dipartimenti aziendali di marketing: questo ha comportato una crescita tanto delle competenze specialistiche quanto delle capacità di semplificare la vita dei clienti. E al tale scopo è necessario mettere a loro disposizione figure professionali interne all’agenzia che abbiano la possibilità e la capacità di orchestrare tutte le diverse discipline e quindi decidere, in sinergia con il cliente, quali professionalità e quali verticalità attivare. Ritengo a questo proposito fondamentale una cabina di regia unica, senza la quale un cliente, non ancora strutturato internamente per questa nuova modalità operativa, rischierebbe di essere travolto da un così ampio ventaglio di offerte”. Risolvere la complessità “Chi fa comunicazione – ribadisce ancora una volta Marco Girelli, CEO Omnicom Media Group –, da sempre deve avere un approccio consumer centrico. Comunicare significa entrare in contatto con le altre persone e per farlo, bisogna conoscerle. Quello che è cambiato esponenzialmente in questi anni è la complessità del contesto in cui ci troviamo. Da un lato, come consumatori siamo bombardati da milioni di stimoli quotidiani, sempre su più canali, ormai 24 ore al giorno… il rumore di fondo è immenso e la nostra attenzione è sempre più selettiva. Dall’altro, come comunicatori, il contesto tecnologico ci ha offerto nuovi e diversi strumenti per conoscere i consumatori. Non abbiamo più solo le tradizionali ricerche, ma abbiamo delle fonti dirette, oggettive: i dati. Abbiamo fonti nuove per fare un mestiere che nuovo non è: conoscere le persone per comunicare con loro in maniera efficace. La risposta del CEO di Havas Media, Stefano

Marco Girelli, CEO Omnicom Media Group

Spadini, è perfetta per riassumere e tirare le fila del discorso fatto fin qui in relazione a ciascuno degli attori della filiera. “Per le aziende – sostiene – essere consumer centric vuol dire ricordarsi che proprio in quanto esseri umani non ci sarà mai nessun software, banca dati, cookie che potrà prevedere con assoluta certezza il comportamento di un consumatore. Le aziende quindi dovranno essere capaci di usare tutte queste informazioni per differenziare ancora di più il loro prodotto ed essere in grado di dare un servizio personalizzato. Per le agenzie media essere consumer centric vuol dire essere bravi a raccogliere e amalgamare i dati da fonti diverse, per ottimizzare gli investimenti e rispondere alle legittime aspettative di massimizzazione della efficacia ed efficienza degli stessi. Per gli editori essere consumer centric offre la possibilità di fare un continuo fine tuning della propria offerta, così da attrarre nuovi pubblici e fidelizzare gli esistenti. Il processo – conclude – coinvolge necessariamente tutti gli attori del mercato, e lavorare fin dal principio in modo sinergico è la strategia vincente”.

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Aspettando il mobile Segmento ancora ridotto, o perno centrale delle future strategie? Godot del marketing, o realtà già consistente? La crescita del mobile a livello worldwide continua, suggerendo che la lunga attesa potrebbe essere arrivata a termine:lo testimoniano stime e previsioni che indicano revenue per $32 miliardi nel 2015 e un tasso di di crescita anno su anno del +76,8%.

NON È UN MEZZO ed è più di una piattaforma: è l’ambiente in cui i consumatori si muovono sempre più frequentemente anche quando in realtà sono ‘fermi’. Eppure rispetto al totale degli investimenti pubblicitari ancora solo una quota minimale è destinata a tale ambiente. Stiamo parlando del mobile, una sorta di Godot pubblicitario. Ogni anno viene inserito tra i trend di crescita del mercato e tra i driver che ci riporteranno agli anni ruggenti della pubblicità. Ogni anno invochiamo il mobile come la divinità che cambierà il paradigma pubblicitario. Ogni anno lo immaginiamo come il destino verso cui il sistema corre inesorabile, tra advertising id e tracciabilità della customer journey. E ogni anno, dopo 12 mesi, ci ritroviamo lì ad aspettare, di nuovo, e a dire che quello che viene sarà l’anno buono, l’anno del mobile. Del resto siamo noi ad aver affibbiato al mobile il ruolo di salvatore della nazione marketing. Perché, come ebbe a dire una volta Beckett “Se avessi saputo chi è Godot, lo avrei scritto”. Le stime IAB descrivono un mercato comunque consistente, che a livello globale raggiunge nel 2014 un valore complessivo di $32 miliardi, con una crescita anno su anno del 76,8%. Un 22

andamento che dovrebbe portare il mobile a superare entro fine 2015 la quota degli investimenti a mezzo stampa. Un dollaro su due di quelli investiti in mobile advertising sono spesi negli Stati Uniti. E a generare una parte consistente del fatturato sono i social network: nel secondo trimestre 2015 Facebook e Twitter hanno dichiarato che il mobile genera rispettivamente il 76% e l’88% del fatturato. E se questi dati sembrano sottolineare la ragionevolezza dell’attesa, un’indagine condotta tra 255 marketing leader indica che in media il mobile assorbe solo il 6% del loro budget. Un quadro, come conferma Alberto Dal Sasso, Advertising Information Service Business Director di Nielsen, ancora di difficile lettura. “Sì, la quota di investimenti sul mobile non è ancora elevata. Crescerà, ma non soppianterà gli schermi più grandi”, afferma Dal Sasso, che poi procede a chiarire le ragioni di queste difficoltà nell’esplosione del mobile: “Con il mobile si fa targeting. La awareness e la qualità dei messaggi non si creano su questo device ma su schermi di maggiori dimensioni”. Insomma, la marginalità del mobile è un fatto o un falso mito? Marginale? No, grazie “Innanzitutto scardinerei con decisione il


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1. MOBILE: FATTURATO PUBBLICITARIO GLOBALE (MLN DI EURO)

Fonte: “Global Mobile Advertising Revenue 2014 - The State of Mobile Advertising Around the World” – IAB Europe, IAB, IHS – agosto 2015

falso mito che gli investimenti pubblicitari sul mobile siano ancora una quota marginale del totale degli investimenti di comunicazione digitale – sgombera il campo Fides Tosoni, Chief Digital Transformation Officer GroupM –. Da nostre evidenze, infatti, il mobile costituisce già almeno fra il 15% e il 20% degli investimenti display e digital video. Perchè si crea questo falso mito? Perchè ormai quando si lanciano queste tipologie di campagna si pianifica indipendentemente dal device: è infatti l’utente che riceve la pubblicità a decidere il come, a seconda del device che sta utilizzando in quel momento. A

tutti gli effetti, dunque, il mobile è una realtà consolidata nelle abitudini di pianificatori e investitori. Detto questo, riteniamo che sia ulteriormente destinato a crescere sia perchè è uno strumento fortemente presente nella vita delle persone, sia perchè ci permette – grazie a tutta una serie di sviluppi tecnologici e di prodotto e ai dati che gestiamo – di effettuare una segmentazione del consumatore ancora più accurata, andando sostanzialmente a combinare tra loro diverse tipologie di informazioni: abitudini di navigazione, geolocalizzazione, la storia di tutte le applicazioni utilizzate… Informazioni sempre più ampie 23


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2. MOBILE: FATTURATO PUBBLICITARIO PER FORMATO (%)

Queste le definizioni dei diversi formati di mobile adv adottate nello studio IAB riportato nelle pagine seguenti: DISPLAY qualsiasi annuncio display visualizzato o letto su un device mobile, compresi rich media e video, sia via browser che all’interno di app. SEARCH annunci che appaiono contestualmente in base alla richiesta di parole specifiche in un motore di ricerca, visti su un device mobile SMS/MMS annunci di terze parti all’interno di SMS ed SMS esclusivamente outbound – comprende sia annunci all’interno del testo di un messaggio SMS o MMS o altro messaggio outbound Fonte: “Global Mobile Advertising Revenue 2014 - The State of Mobile Advertising Around the World” – IAB Europe, IAB, IHS – agosto 2015

e precise che ci permettono di identificare il segmento o l’utente in maniera ancora più sofisticata, andandolo poi a colpire con formati sempre più impattanti ed efficaci”. La posizione di Fides Tosoni è pienamente condivisa da Gian Paolo Tagliavia, Presidente e CEO IPG Mediabrands, seppure con toni più 24

moderati. “Non sono del tutto d’accordo nel dire che il boom del mobile non è mai arrivato – dice Tagliavia –. Per poter prendere una posizione così netta bisognerebbe innanzi tutto definire cosa intendiamo per mercato mobile nel suo complesso e cosa intendiamo per quota nel mobile nell’investimento in termini di


capitolo2

3. MOBILE: FATTURATO PUBBLICITARIO PER REGIONE (MLN DI EURO)

Fonte: “Global Mobile Advertising Revenue 2014 - The State of Mobile Advertising Around the World” – IAB Europe, IAB, IHS – agosto 2015

advertising delle aziende. Nel mobile, come in tutto il digital, sviluppo, creatività, tecnologia e comunicazione sono indivisibili: in un mercato così integrato, separare dei pezzi rischia di far vedere soltanto la punta dell’iceberg e non prendere in considerazione quel che c’è sotto. All’interno del mercato mobile – che peraltro è cosa evidentemente assai difficile da stimare mancando ancora delle fonti univoche –, ritengo sia fondamentale ricomprendere tutta la parte di sviluppo di app e concorsi, quella che non passa ‘sopra la linea’ tradizionale. Se guardiamo alla televisione sappiamo perfettamente riconoscere gli investimenti media distinguendo chiaramente gli investimenti in contenuti rispetto agli

investimenti in creatività: da un lato gli spot, dall’altro le iniziative speciali. Nel mobile non è così semplice: quindi è vero che nominalmente la parte media degli investimenti non è ancora ‘esplosa’, ma c’è una grandissima effervescenza per quel che riguarda la parte di applicazione della tecnologia ai contenuti e via dicendo”. La classificazione del mobile advertising si scontra poi con altre logiche, come quelle del social. Come prosegue Tagliavia, c’è infatti “un altro aspetto che attiene maggiormente al lato media: i grandi player come Facebook e Google, una cui larghissima fetta di traffico transita già da device mobili, raccolgono una quota sempre maggiore dei loro fatturati 25


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4. MOBILE: FATTURATO PUBBLICITARIO 2014 PER FORMATO E REGIONI (%)

Fonte: “Global Mobile Advertising Revenue 2014 - The State of Mobile Advertising Around the World” – IAB Europe, IAB, IHS – agosto 2015

pubblicitari anche grazie all’adozione di formati innovativi e assolutamente tailor made per il mobile. Per di più, oltre al fatto che quella parte di investimenti non è ‘ufficialmente’ misurata, è la stessa divisione fra desktop e mobile che in molti casi oggi viene meno”. Da qui la necessità, secondo Tagliavia, di “Definire che cosa davvero è il mobile e a che cosa serve alle aziende: perchè è molto di più che un ‘mero strumento di intrattenimento’ e comunque di comunicazione, nel senso che ci consente di portare con noi il nostro universo digitale mentre andiamo in giro per l’universo reale. In questo senso potrebbe diventare veramente un’architrave di quelli che sono 26

i comportamenti del consumatore, anche se ancora lo abbiamo visto pochissimo utilizzato all’interno di un processo di comunicazione e di acquisto integrato. A oggi la funzione più usata del mobile quando si fa shopping resta quella di intelligence: per capire prima di tutto dove è il retailer più vicino, per fare benchmarking sui prezzi, ed eventualmente per concludere un’operazione in via digitale anziché nel punto vendita. Perciò c’è sicurmente ancora moltissimo da fare dal punto di vista della creatività e dell’integrazione tra i diversi momenti del consumer journey. Proprio il mondo retail, del resto, è quello che ha fatto alcune delle cose più interessanti sfruttando smartphone e tablet come una


capitolo2

5. MOBILE: LA CRESCITA DEL DISPLAY NEL 2014

Fonte: “Global Mobile Advertising Revenue 2014 - The State of Mobile Advertising Around the World” – IAB Europe, IAB, IHS – agosto 2015

porta tra mondo digitale e mondo reale, un po’ come lo specchio che porta Alice nel Paese delle Meraviglie…”. Alla base di tutto sembrerebbe quindi porsi il punto di vista da cui si considera la faccenda. “Sarebbe miope considerare il fenomeno mobile solamente in termini di pubblicità display, banner o video – dice Vittorio Bonori, CEO ZenithOptimedia Italia, South Med, Middle East & Africa -, ma detto ciò ricordo che comunque – secondo gli ultimi dati dello ZenithOptimedia Forecast mondiale –, il 50% della crescita degli investimenti in advertising attesa da qui al 2018, sarà originata proprio dal mobile. Attualmente in Italia stimiamo il mercato del mobile advertising in

380 Milioni di Euro; circa il 18% dell’internet advertising, con una crescita rispetto al 2014 pari al 40%. Ma è chiaro – proprio come dice la domanda – che stiamo parlando di qualcosa che va molto oltre il semplice ‘mezzo’ di comunicazione. Pensiamo al ruolo dei mobile sites, alle modalità di fruizione dei social tramite mobile, a tutte le possibilità di mobile interaction fra i diversi media, ai nuovi e futuristici sistemi di pagamento… Quel che mi sembra stia succedendo è che il mobile possa conquistare un ruolo sempre più centrale, come ‘pivot della strategia e dell’orchestrazione media’, in un contesto Paid, Owned ed Earned”. A conforto di un ruolo sempre più importante 27


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6. MOBILE: LA CRESCITA DELLA SEARCH NEL 2014

Fonte: “Global Mobile Advertising Revenue 2014 - The State of Mobile Advertising Around the World” – IAB Europe, IAB, IHS – agosto 2015

del mobile nelle strategie di investimento dei marketer nazionali arrivano i numeri di Rai Pubblicità. “Grazie ad una strategia editoriale sempre più multipiattaforma, i nostri numeri sono in rapida crescita anche su web e altre piattaforme – dice Fabrizio Piscopo, Amministratore Delegato della concessionaria Rai –. Crediamo molto nello sviluppo di quest’ambito come dimostra la nostra offerta sia in termini di app, che conta circa 26 app firmate Rai e che hanno totalizzato finora oltre 12 milioni e mezzo di download di cui 7,5 milioni per l’app Rai.tv, sia in termini di video streaming da browsing pc. (www.rai.tv). Il confronto anno su anno del terzo quarter 2015 (gennaio – sett) rispetto al terzo quarter

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2014 mostra infatti un elevatissimo grado di engagement da parte degli utenti: il totale di video erogati da web ha infatti registrato un +33 percentuale. Un successo che ha portato la concessionaria a recuperare e confermare l’extra fatturato fatto per i Mondiali del 2014”. Un problema di definizione Come in tutti i miti, veri o falsi che siano, il tempo ha un ruolo centrale. “Si parla da troppo tempo di Mobile – afferma Massimo Fontana, CEO Amplifi (Dentsu Aegis Network) - ma nessuno è mai riuscito a dare una definizione e interpretazione corretta di cosa si intende per Mobile e quindi cosa


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vogliamo mettere sotto la voce investimenti Mobile. Oggi l’errore più grande è vedere il mobile come uno ‘schermo di delivery’ quando invece dovrebbe essere visto come una piattaforma di format di comunicazione da costruire ad hoc combinando data/Tecnologie e content/creatività in modo nuovo”. Secondo Giovanna Loi, Managing Director Xaxis (GroupM), il ragionamento sul mobile deve partire dalla rapida evoluzione delle abitudini di consumo e dall’utilizzo di diversi device nel customer journey: “L’utente di oggi utilizza un portatile, un tablet e uno smartphone. È sempre meno comune che la decisione di acquisto avvenga su un solo dispositivo e da un solo touchpoint. Per questo, è essenziale per gli advertiser avere una strategia efficace su più device e individuare il media mix più adatto alle loro esigenze. Le tecnologie per l’adserving degli spazi pubblicitari si stanno adeguando velocemente con soluzioni che aggirano il tema della tracciabilità del cookie. I modelli di attribuzione stanno lavorando in logica full funnel, per raggiungere gli utenti lungo tutto il ciclo di vita, da prospect a clienti, non focalizzandosi più solo sulla parte bassa del funnel. Il loro perfezionamento consentirà a breve di attribuire le conversioni cross-device in maniera più puntuale, includendo e valutando il peso di tutti i canali a cui l’utente è stato esposto. Come Xaxis stiamo lavorando al rilascio di nuove funzionalità che saranno presto parte della nostra Data Management Platform facendo leva su partnership tecnologiche che in USA sono già una realtà e che ci permetteranno prestissimo di targettizzare non solo device e browser, ma persone, ovviamente anonime, in accordo con le normative vigenti in materia di privacy”. In fondo, secondo Matteo Ferrara, Sales Manager e Membro del CDA NetMediaCLick, ciò che deve ancora essere chiarito e ben delineato è il ruolo stesso del mobile.

“Il mobile deve ancora trovare la sua giusta dimensione ed identificazione nell’ampio scenario del media digitale – dice Ferrara –. Al momento è incluso in ottica di pianificazione cross–device dalle aziende; le campagne che nascono in ottica mobile oriented sono ancora in fase di definizione e non una realtà a sé stante. Un primo aspetto fondamentale è rappresentato dalla tipologia di formati da utilizzare: rich media o standard? Quale formato è più indicato? Quale performa meglio? Spesso anche i form di registrazione ad hoc per il mobile non soddisfano le aspettative di utenti e clienti che li trovano eccessivamente lunghi e complicati, abbandonandoli prima di aver effettuato la call to action”. Secondo Ferrara, nell’ultimo periodo, “L’analisi comportamentale dell’utente e le nuove tecnologie che consentono di identificare i ‘dati’ stanno creando una nuova frontiera, un passo importante verso lo sviluppo del segmento mobile, che le aziende stanno iniziando a percorrere. I settori che vediamo maggiormente interessati sono sicuramente GDO, Eldmo, Telco, Betting e in parte Automotive e Finance. La nostra proposizione e i nostri obiettivi da qui in avanti ci vedono protagonisti nella costruzione di un’offerta editoriale fatta da parternship esclusive e collaborazioni world wide con multinazionali fornitrici di tecnologie innovative e sempre più evolute. Inoltre, grazie ai servizi che abbiamo sviluppato con NetMediaLAB potremo proporre ai nostri Clienti un elemento unico e distintivo che consentirà di raggiungere l’utente in maniera più efficace e performante”. Alla base di tutto una necessità di classificazione che forse non è poi così centrale, come suggerisce Jaime Ondarza, Senior Vice President and General Manager Turner South Emea and Africa. “Oggi è molto difficile fare una distinzione fra fisso e mobile,

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il consumatore non le vive più come realtà separate ma come sistema integrato – dice Ondarza –. Sappiamo che anche il target kids utilizza tablet, smartphone e altri device, spesso mentre guarda la tv. Qualunque tipo di entertainment non è pensabile senza applicazioni mobile, non si può prescindere da questa modalità di fruizione del contenuto”. Un percorso di affrancamento e autonomia, che potrebbe essere storico. “Se paragonato agli altri mezzi, il mobile sta uscendo dall’infanzia per entrare nell’adolescenza e sarà quindi caratterizzato da slanci e pulsioni che forse, in alcuni casi potranno disorientarci, ma che saranno anche estremamente eccitanti – Stefano Spadini, CEO Havas Media –. Indubbiamente sia a livello di formati che di contenuti ci sono ampi margini di miglioramento. Tra i commenti più interessanti di queste ultime settimane c’è chi vede nell’adozione del sistema di Ad Blocking proprio il classico vincolo che aguzzerà l’ingegno di creativi e degli sviluppatori. Con Mobext, mobile pure player del Gruppo Havas, siamo stati tra le prime agenzie a capire veramente il potere del mobile per rafforzare le campagne e costruire le relazioni attraverso il secondo schermo”. Il sesto senso “Una cosa importante che ha fatto secondo me il mobile è stato portare l’attenzione sull’ambiente. Questo ‘attrezzo’ è diventato un organo percettivo esattamente come la vista, l’udito, l’olfatto, ecc… Tutti noi ormai esperiamo il contesto direttamente coi nostri sensi ma anche attraverso questa protesi che teniamo tra le mani e fa da tutor, da filtro tra noi e la realtà, che percepisce per conto nostro e decide lui cosa ci interessa e cosa no perchè sa tutto di noi – ragiona Alessandro Loro, Direttore Marketing IGPDecaux -. Occuparsi di mobile ha voluto

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dire finalmente occuparsi del nostro rapporto con l’ambiente esterno nel day by day, minuto per minuto. E questo tipo di approccio milita fortemente a favore della comunicazione esterna che è sempre stata così, è sempre stata comunicazione ambientale”. Non a caso, sottolinea Loro, anche nella formulazione della domanda è stato necessario ricorrere a questa terminologia: “Non è che il mobile ‘è’ l’ambiente, è che il mobile ci porta necessariamente e per forza di cose a ragionare sull’interazione tra noi e l’ambiente perché, ripeto, è una protesi dei nostri corpi”. Che ancora la percentuale di investimenti adv in questo ambito sia ridotta Loro lo spiega con il fatto che “È un approccio diverso da quello che abbiamo sempre avuto tradizionalmente: la persona non te la devi più immaginare come ferma e da bombardare con messaggi, ma la devi immaginare come qualcuno che si sposta, che si muove, che si relaziona, che vive, che ha i suoi gusti, le sue aspettative, le sue tentazioni. Tutto questo implica un cambio di prospettiva e tutti i cambi di prospettiva sono lenti per definizione, perchè le persone, soprattutto quelle che hanno un certo numero di anni di professione alle spalle, fanno fatica a cambiare il loro mindset. Chi comincia adesso questa fatica non la deve fare, ma il mercato della comunicazione è un mercato di ‘vecchi’ – di base c’è un sacco di gente che sta lì da 20, 30 o 40 anni, me compreso! – e tutti dopo un po’ di anni tendiamo a vivere di rendita sulle cose che abbiamo imparato: il fatto di dover dire ‘ok, adesso invece devo buttare tutto a mare o costringermi a ragionare in modo diverso’ costa moltissima fatica e di conseguenza anche gli investimenti faticano a decollare”. In pratica un sesto senso, quello connesso al mobile. Tanto è vero che proprio in relazione a questo device si sono sviluppate le prime


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soluzioni di realtà aumentata. E le implicazioni che il mobile porta nella gestione delle strategie di comunicazione appaiono ancora da definire. “Secondo me tutti stanno investendo in questo ambito, chi più chi meno, ma c’è il problema di riuscire a stare al passo con la pioggia torrenziale di cose sempre nuove – prosegue Loro -. Basta pensare agli ultimi due eventi organizzati da Apple e da Google: decifrare la quantità di innovazioni che questi due colossi hanno presentato in due mezze giornate di eventi in termini di implicazioni per il nostro lavoro è difficilissimo. Perché il punto non è sapere che la Apple ha fatto un tablet più grande e un nuovo sistema operativo che ha un certo tipo di funzionalità, ma capire la portata e il tipo di implicazioni che queste novità avranno nel modo di comportarsi della gente e quindi ancora sul modo in cui questa industry dovrà trattare queste conseguenze. L’investimento che occorre in termini di tempo è difficilmente quantificabile, ed è un investimento in ‘conoscenza’ i cui risultati si vedranno solo sul lungo periodo. Capire, assimilare, applicare, commercializzare e monetizzare l’innovazione richiede tempo. Ed è un processo che va continuamente rivisto, riverniciato, riconsiderato. Per ora i risultati non sono proporzionali allo sforzo e bisognerà probabilmente smettere di pensare di aver capito tutto prima di agire, cioè andare per tentativi e quando si è capito qualcosa si deve subito reagire. Come già accade nella cultura anglosassone e soprattutto americana, dovremo abituarci a considerare gli errori una parte integrante del metodo di lavoro: e questa, legata alla tecnologia, sarà un’innovazione sconvolgente per il metodo di fare business molto poco consono alla nostra cultura e al nostro mercato”. Come chiarisce Paolo Dosi, CEO di Clear

Channel Italy, “Lo smartphone è lo strumento che rende possibile interagire con altri mezzi e altri ambienti: quindi è sicuramente il punto centrale su cui ruotano anche le strategie di mezzi come la televisione o la stessa esterna in un’ottica di interazione. Al di là di quello che sono i dati degli investimenti pubblicitari, perciò, che ripeto in questo momento non conosco, che questo strumento sia lo strumento di riferimento e lo sarà sempre più è fuori di dubbio, e concentrarsi sulla capacità di sfruttarlo al meglio credo sia una delle priorità di tutti i brand. Il punto è che ragionare di investimenti mobile in puri termini di banner o al limite video lo trovo molto poco efficace: credo sia molto più opportuno sfruttare, anche da un punto di vista pubblicitario, le capacità di interazione di questi device, la conoscenza e le informazioni che forniscono sugli interessi, i comportamenti e la geolocalizzazione stessa del consumatore grazie a GPS, Bluetooth o NFC. Riuscire a ingaggiarlo nel momento giusto e con le giuste informazioni costituisce un valore aggiunto assoluto per chi investe. A patto però che in quel momento e in quel luogo ci si rivolga a lui contestualizzando il messaggio: se il consumatore a casa sua ha già visto lo spot della marca, quando è in un centro commerciale gli mandi un coupon, un’altra offerta speciale o la possibilità di testare un prodotto invitandolo a entrare nel punto vendita a pochi metri da dove si trova, ecco che la call to action assume un tono completamente diverso e la sua potenziale efficacia aumenta esponenzialmente”. Un punto di vista, quello di Dosi, che trova conferma nelle parole di altri suoi colleghi che sottolineano come il mobile abbia aperto a soluzioni di personalizzazione e contestualizzazione dei messaggi, acquisendo un ruolo di primo piano nei processi di conversione e configurandosi come

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grilletto nel cambiamento delle logiche di lavoro delle media agency. “Il più grande plus del mobile è che permette attività di personalizzazione e contestualizzazione del messaggio mai viste prima e che vanno al di là della localizzazione delle campagne programmate per esempio sulle condizioni meteo piuttosto che sugli eventi sportivi o gli avvenimenti finanziari – riprende Fides Tosoni –. Xaxis offre tutte queste opportunità di pianificazione, ma cerchiamo sempre di abbinarle a un’attività di consulenza, perché pianificare in maniera efficace diventa sempre più complesso ed è fondamentale integrare i diversi prodotti nella strategia di riferimento per ciascun cliente. Da qua la costruzione al nostro interno di Light Reaction, un prodotto e un team sotto il cappello di Xaxis”. Un team, quello di Xaxis, che “Si caratterizza perché ha come obiettivo la performance ma nasce fin da subito come ‘mobile first’: il che non vuol dire che si occupa solo di mobile, ma che deve assolutamente considerare il mobile all’interno del funnel di conversione – prosegue Giovanna Loi –. Xaxis quindi mette a disposizione anche in ottica direct response la propria consolidata expertise sull’audience targeting, con soluzioni innovative e integrate di upper funnel per generare awareness ed engagement, e di lower funnel per acquisire clienti e fidelizzarli, con particolare attenzione al mobile”. E se Xaxis ha creato una divisione dedicata, Kinetic ha inserito ormai di default il mobile nelle sue azioni, a dimostrazione che, quale che sia la quota sui budget, il mobile ha ormai guadagnato la sua share of voice nelle menti dei marketer italiani. “Per chi come Kinetic vive di Out of Home, il Mobile inteso come dispositivo tecnologico, è entrato pesantemente nelle nostre strategie di comunicazione – dice Alberto Cremaschi, Managing Director dell’OOH specialist del

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Gruppo WPP –. Proprio perché smartphone e tablet vengono usati principalmente fuori casa e in mobilità, la sinergia con la Comunicazione Esterna è immediata. Sempre più i clienti ci chiedono di ideare progetti che attraverso QR Code, NFC, o l’interazione fra Digital Out of Home e Social porti ad un’integrazione fra questi mondi e questo può avvenire solo ed unicamente attraverso il Mobile. Per questo non possiamo più limitarci a pensare ad una campagna tradizionale Out of Home, ma dobbiamo integrarla con risvolti Mobile e Social. Inoltre, se si pensa che i target più dinamici stanno diventando sempre più sfuggenti e difficili da raggiungere, l’Out of Home rientra sicuramente fra i mezzi più moderni a disposizione delle aziende e si ripropone con grande efficacia in quanto ha saputo evolvere diventando il perfetto punto di congiunzione tra tecnologia e consumer experience”.


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Ritorno al futuro? La portata sempre più ampia e l’accelerazione esponenziale del cambiamento digitale rendono sempre più sfumati i confini tra ideazione, produzione e distribuzione dei contenuti. Con quali implicazioni sul ruolo dei diversi anelli della catena? Si prospetta forse un ritorno al ‘servizio completo’ per integrare il processo strategico e creativo? E quale ruolo giocano i dati?

IL TEMA è già in parte emerso nel primo capitolo, ed è sicuramente uno dei più caldi del momento complesso e frenetico che la media industry sta attraversando, perché è in qualche modo l’asse portante dello sviluppo di nuove competenze e anche nuovi modelli di business per tutti gli operatori. Data la portata sempre più ampia e l’accelerazione esponenziale della Digital Trasformation, infatti, ‘acquisire’ tutte le nuove discipline da aggiungere alle proprie competenze di base è praticamente impossibile e non sarebbe comunque più sufficiente a nessuna organizzazione. Se pensiamo agli albori del mondo internet e del digitale, in fondo è andata proprio così: una volta nato il mezzo, sono nate di conseguenza le piccole sigle specializzate nel crearne i contenuti, nel gestirne la tecnologia, nel trattarlo come mezzo pubblicitario… Le ‘new media agency’ sono poi cresciute seguendo diverse strade: qualcuna è stata acquisita da una grande agenzia creativa o, indifferentemente, media; altre hanno subito lo stesso destino ma, anziché esserne assorbite, hanno talmente permeato la cultura di chi le aveva inglobate da contaminarne il dna e generare un nuovo tipo di agenzia digitale a tutto tondo, media e creativa allo stesso momento; altre ancora, infine, acquisendo a loro volta sempre nuovi pezzi, sono cresciute in modo indipendente diventando ciò che si può definire un digital enabler piuttosto che un 34

system integrator… Insomma, quando serviva una nuova figura professionale o una nuova competenza specifica la si andava a cercare sul mercato. L’impressione è però che questo tipo di approccio non sia più sufficiente. Perché, a differenza del passato, nascono in continuazione sempre nuove specializzazioni verticali che vanno realmente integrate e interconnesse a livello strategico con tutto il resto delle attività: e non nei tempi necessari ad assorbire una struttura appena acquisita con la sua cultura e il suo modus operandi, ma immediatamente, in real time! Una delle aree in cui questo discorso sembra aver attecchito con maggiore evidenza è quella dei contenuti, proprio perché il digitale ha sfumato i confini tra chi deve occuparsi della loro ideazione, produzione e distribuzione: quali dunque le implicazioni di tutto ciò sui diversi anelli della catena dei media e della comunicazione? A chi spetta tenere in mano le redini del processo creativo e strategico? E quale ruolo giocano i dati in tale processo? “Questo è davvero un tema molto caldo – risponde Marco Girelli, Ceo Omnicom Media Group –. La specializzazione è necessaria per poter offrire ai clienti tutte le opportunità che nascono in un mondo dove analisti, statistici, tecnici DMP e data scientist sono le figure più competenti a riguardo. È anche vero, però, che


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Oltre 100 puntate tutorial su metodi e tecniche di applicazione dei prodotti, coadiuvate da consigli e insegnamenti di make-up artist internazionali andate in onda su La5: Che Trucco! è stata la prima importante case history di product placement progettata da Level 33, in collaborazione con Publitalia, che ha coinvolto grandissimi brand del mondo beauty del calibro di Chanel, Dior, Estée Lauder e YSL

la specializzazione senza integrazione non è sufficiente. Per questo occorre investire nella formazione delle figure professionali più tradizionali, affinché siano in grado di comprendere dinamiche e mentalità che provengono dal mondo digitale. Ma anche avere dei project leader con una formazione trasversale, più ampia, che sappiano parlare di marketing e non solo di comunicazione, in grado di costruire progetti di comunicazione e non ‘piani media’”. Integrazione, creatività & contenuti Entrando nello specifico argomento dei contenuti, “Si tratta di un’area in cui, per tutto

il 2015, la nostra divisione NewCast, specializzata in content marketing, ha registrato un forte aumento della domanda da parte dei clienti – racconta Vittorio Bonori, Ceo di ZenithOptimedia cui NewCast fa capo –. In questo momento molti, se non tutti, si stanno lanciando nell’area dei contenuti . A partire dagli editori, che in difficoltà sul fronte della raccolta pubblicitaria tabellare hanno iniziato a cavalcare sempre di più quest’onda. Ma credo che vada fatto un’indispensabile distinguo: il tema non è la produzione di uno o più contenuti legati a un brand; il punto vero è quello di capire prima, attraverso i dati e le ricerche, quale potrà essere la content strategy più adatta e funzionale in relazione agli 35


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obiettivi del cliente. Il nostro metodo prevede di partire proprio da questo grazie a un prodotto di Newcast che si chiama Content Audit: attraverso l’utilizzo di piattaforme digitali ci consente infatti di realizzare una mappa dei contenuti e degli argomenti associati o trattati da un brand; da qui si procede a un’analisi in profondità dei diversi asset della marca e dei suoi competitor, arrivando a un report che è la base per costruire una strategia di contenuto credibile e, soprattutto, efficace e misurabile”. “Siamo abituati a trattare i dati come il punto di partenza e di arrivo – riflette a sua volta Stefano Spadini, CEO Havas Media –, ora sono anche una serie di punti intermedi, disponibili in tempo reale, che possono fornire indicazioni molto utili anche a chi si occupa di contenuti e creatività. Non appartengo però a coloro che vedono nei dati la risposta a tutte le domande e cito con piacere Sir John Hegarty che nel corso dell’ultima New York Advertising Week ha dichiarato: ‘Se tutti usiamo gli stessi dati, finiremo tutti nello stesso posto. Strano, pensavo che la comunicazione servisse a differenziare un brand da un altro’. Questo vale anche per le agenzie media e creative”. Interessante il punto di vista di Gian Paolo Tagliavia, che riporta in auge il discorso in fondo mai veramente sopito del ‘full service’: “Se posso rispondere veramente con grande sincerità, per quanto possa sembrare paradossale, ritengo ci sia un gran bisogno nel nostro mondo di un ritorno all’agenzia a servizio completo – afferma il presidente e Ceo di IPG Mediabrands –. Al di là degli interessi di bottega, perché è chiaro che tutti – agenzie media, agenzie digitali, concessionarie e agenzie creative – non solo vogliano sedersi al tavolo ma abbiano legittima ambizione di sedersi al fianco del cliente, divenendo quel famoso ‘direttore strategico’ in grado di integrare i vari verticali a seconda degli obiettivi di business del cliente. È una discussione che esiste all’interno delle

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holding e sicuramente anche all’interno di IPG Mediabrands e Interpublic Group, dove si sta ragionando su che cosa significhi veramente l’agenzia a servizio completo del XXI secolo”. La riflessione, specifica però Tagliavia, può essere più produttiva se si parte dal valore che ciascuno sa creare per i clienti e non dalla struttura organizzativa interna dei diversi operatori: “Mettendomi nei panni di un ipotetico cliente, ritengo che questo ritorno sarebbe assolutamente auspicabile, non a caso nell’ultimo decennio sono molteplici i tentativi da questo punto di vista. A tale proposito, vorrei citare il caso della gara LATAM che abbiamo appena vinto a livello globale: LATAM è la nuova linea aerea nata dalla fusione della TAM brasiliana con la cilena LAN, che ha dato vita al più importante gruppo del Sud America. Per IPG Mediabrands Madrid abbiamo creato un hub con una unit in cui tutte le nostre risorse, e non solo quelle media, hanno lavorato in modo integrato in un progetto guidato a livello di holding. Un approccio che si è dimostrato assolutamente vincente. Considerato il valore che un tale approccio ha generato per un cliente, mi sembra essenziale per le holding continuare a interrogarsi su questo tema, dal momento in cui esse stesse possiedono tutte le specializzazioni verticali del caso”. Si potrebbe citare a questo proposito quanto recentemente affermato dal Ceo di WPP, Sir Martin Sorrell proprio durante la Advertising Week citata da Spadini: “Le agenzie farebbero meglio a svegliarsi e a capire che la creatività tradizonale non è più regina incontrastata e che i nuovi modelli di business mettono sul suo stesso piano i dati e il digital. Il 75% delle revenue di WPP viene da aree che Don Draper (il personaggio della serie Tv ‘Mad Men’, ispirata ai pubblicitari americani degli Anni Sessanta) non riconoscerebbe neppure. Persino il Festival di Cannes ha esteso la sua definizione di creatività ai dati e alla salute!”.


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E non è un caso se Sorrell ormai da tempo è solito estendere la definizione di competitor del suo gruppo al di là delle altre holding della comunicazione per includere aziende come Oracle, IBM, Deloitte, o i cosiddetti ‘frenemies’ come Google e Facebook. Un eventuale ‘re-bundling’ di media e creatività sotto lo stesso tetto, in altri termini, non potrebbe avvenire sulle stesse basi del passato: “Parliamoci chiaro – riprende Tagliavia –: le agenzie media sono nate negli anni 80 e 90 come ‘subalterne’ rispetto alle agenzie creative. Ecco, io credo che sempre in una logica integrata questo rapporto sia ormai assolutamente paritetico. Tant’è che la relazione tra l’idea creativa e la sua implementazione non è più lineare ma interattiva. L’idea creativa, cioè, si evolve e spesso e volentieri nasce da un’analisi puntuale dei dati, dei cluster, dei comportamenti dei consumatori, per esempio attraverso il CRM. Questo è ancora più vero quando si parla di mezzi digitali. Quindi potremmo dire che i dati rappresentino la currency, ovvero la moneta che consente questa integrazione”. Ma la big idea, conclude Tagliavia, continua a essere fondamentale: “Perché nel rapporto con i consumatori i brand si nutrono ancora di emotività, di bisogni primari, e quelli sono necessariamente affidati alla capacità di creare idee brillanti e stimolanti. Ma attenzione: non esiste più una big idea che all’interno del progetto strategico non sia nata dalla presa in considerazione in maniera minuziosa dei dati”. Il gioco delle parti “La domanda sul mutamento dei ruoli coglie un aspetto molto importante in questa fase di trasformazione – dice Alessandro Loro, Direttore Marketing IGPDecaux –, perché è sempre più difficile distinguere. Mi chiedo se sarà possibile per tutti gli anelli della catena trovarsi ancora in futuro uno specifico sul quale vivere, perché vedo che tutti tendono a integrare

il servizio che offrono rispetto al tanto famoso customer journey... Il problema, per una concessionaria come la nostra, è che quando cerchiamo di vestire dei panni consulenziali il cliente non ci considera credibili perché siamo di parte: ‘in fin dei conti mi devi vendere la tua tabellare e mi proporrai sempre gli autobus’ è la loro risposta. Al contrario, un vero consulente deve poter dire che invece dell’autobus è meglio prendere il treno, oppure i vaporetti: non avendo né treni né vaporetti io questo ragionamento non posso farlo, quindi se mi sarà richiesta una consulenza sarà esclusivamente in riferimento all’utilizzo più meno creativo, più o meno sensato dei prodotti che ho in portafoglio. C’è una grande confusione da questo punto di vista. Nonostante ciò i ruoli dovranno per forza essere rispettati: c’è un compratore e c’è un venditore, e uno non potrà mai mettersi dalla parte dell’altro o si creerebbe un conflitto di interesse, non si sarebbe più credibili. Il gioco delle parti è quello che è”. Restando nell’ambito delle concessionarie di esterna, Paolo Dosi, ceo Clear Channel Italy, centra il suo ragionamento sui contenuti e la creatività del Digital Outdoor e la sua stretta relazione con il Mobile: “Per raggiungere efficacemente un consumatore sempre più mobile occorre lavorare veramente a 6, 8 o anche 10 mani ma soprattutto si porsi in un’ottica molto aperta cercando di dedicare risorse a tutti gli asset disponibili e non solo puntando sulla televisione”. In questo senso, spiega Dosi, gli schermi del Digital OOH “Aggiungono al mezzo una nuova dimensione, consentendo la costruzione di un palinsesto che offre al consumatore informazioni precise e puntuali da sfruttare pubblicitariamente anche in base al fattore ‘tempo’: un esempio banale potrebbe essere quello di McDonald’s che comunica al mattino il menu per la colazione, al pomeriggio un pasto per i bambini e la sera il classico Mac… Ciò vuol dire ‘seguire’ il target

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Giuliano Cipriani, Direttore Generale Discovery Media

con contenuti diversi e andare a intercettarlo quando è più propenso al consumo, ancor più nel momento in cui so che si trova in prossimità del punto vendita. Per questo anche le concessionarie di Esterna come noi si stanno dotando di strumenti per raccogliere tutta una serie di informazioni da condividere poi con i brand per comprendere al meglio questo ‘percorso’ del consumatore: e ciò si può fare solo se c’è un lavoro di forte integrazione tra le diverse anime di tutti i mezzi”. Oggi, prosegue Dosi, è indispensabile ragionare in modo diverso, con contenuti molto meno istituzionali e molto più social, più frammentati: “Lasciando a volte che sia lo stesso consumatore a realizzarli, perché sono quelli che poi acquisiscono la maggiore credibilità agli occhi dei suoi ‘pari’. Faccio un altro esempio: in certi ambienti è possibile creare eventi o attività below the line in cui far provare il prodotto in modo simpatico, riprendendo il tutto e realizzando brevi clip da 30 secondi che non sono più ‘spot’ in senso classico, e che si possono utilizzare su tutti i diversi asset video, da internet al Digital Outdoor, innescando

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quando posssibile il meccanismo della viralità che catturi l’interesse dei consumatori e ne moltiplichi le visualizzazioni grazie a un impatto molto forte”. Secondo Giuseppe Vigorito, Sales Manager e Membro del CDA NetMediaClick, “Il contenuto è l’elemento, fondamentale, che rischia di essere sottovalutato nel processo di trasformazione in atto. Questo però non deve accadere, in quanto le ‘super piattaforme’ devono rimanere il mezzo e lo strumento con cui rendere più semplice l’incontro tra i clienti e i consumatori, ma senza il contenuto adatto i risultati stentano ad arrivare. L’utente medio sta diventando sempre più digital–dipendente e crescono le sue competenze sul web, pertanto occorre alzare anche il valore qualitativo del contenuto e il modo in cui viene comunicato. Il cliente, a mio avviso, rimane l’attore principale, che deve fare i conti con il proprio target e tendere verso una comunicazione semplice, veloce ed efficace. Ovviamente agenzie, editori e concessionarie devono supportarlo al meglio e offrire i canali più performanti in base agli obiettivi della singola campagna, cercando di andare oltre l’approccio ‘tradizionale’”. “La moltiplicazione di modalità di fruizione e di device e l’arricchimento della tecnologia sono un dato di fatto da studiare, monitorare e tenere in considerazione – concorda Jaime Ondarza, Senior Vice President and General Manager Turner South Emea and Africa –, ma non credo penalizzino il contenuto. Una buona storia è sempre una buona storia e la moltiplicazione delle possibilità di fruirne è un’opportunità che ne enfatizza il valore. La nostra strategia è duplice: da una parte ci focalizziamo ancora di più sulla qualità e sulla quantità di produzione di contenuto, anticipando i trend e contribuendo all’arricchimento culturale, e dall’altra facciamo in modo che questi contenuti siano accessibili al consumatore su diversi device”.


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Branded entertainment all’avanguardia Per un editore come Discovery, spiega Giuliano Cipriani, Direttore Generale di Discovery Media, il tema dei contenuti e del loro rapporto con i brand passa da una unit ad hoc preposta appunto allo sviluppo di attività di branded content: “È un trait d’union tra la concessionaria e la parte editoriale con la parte di programming & production, perchè questa attività assolve prima di tutto alla funzione di generare contenuti in linea con i codici e i valori dei brand attraverso i quali è trasmesso. In questi casi il primo obiettivo che ci diamo, insieme alle aziende con cui li costruiamo, è che siano prodotti editoriali di successo: il livello di sofisticazione della nostra audience è tale per cui percepisce immediatamente se dietro un prodotto editoriale c’è una marca, e questo vuol dire che non si possono commettere errori proprio perchè quando la presenza del brand è ‘velata’ e la percezione è di un risultato editoriale di qualità, aumenta di conseguenza anche il senso di riconoscenza e gratitudine verso quella marca che ha prodotto una cosa bella e che ha intrattenuto lo spettatore. Questo è il principio sul quale costruiamo le cose che chiediamo di condividere agli inserzionisti e alle aziende investitrici così come alle case di produzione con cui collaboriamo nella costruzione ‘a sei mani’ del prodotto/contenuto”. A proposito di branded content non può mancare l’opinione di un addetto ai lavori come Umberto Chiaramonte, Founder di Level 33, che pur non essendo un’agenzia media o una concessionaria, anzi forse proprio per questo, si candida ad assumere in prima persona il compito di gestire l’integrazione fra le diverse declinazioni di un progetto per conto del cliente: “Level33 è più un hub di comunicazione che un produttore televisivo – chiarisce infatti –. Un hub in grado di generale trasversalità mediatica. La nostra ricetta, se vogliamo chiamarla così, è tutta in due parole: multimedia format. Un progetto, un

Umberto Chiaramonte, Founder Level 33

contenuto che non è più solo televisivo, ma ha nella crossmedialità e nella crosscomunicazione due leve potentissime, capaci di allargare l’audience in maniera importante e garantire performance altrimenti non immaginabili. Crediamo fermanente che parte del successo del progetto sia l’aggregazione di editori diversi in grado di generare un forte boost di comunicazione”. Questo tipo di approccio è la cifra distintiva di Level 33: “Più mezzi, chiaramente non in contrapposizione tra loro, oltre a garantire più audience danno al brand la possibilità di utilizzare più linguaggi, ognuno consono al target da raggiungere”. L’essenziale è conciliare sempre le esigenze di tutte le parti in gioco. Ma come? “Il progetto è vincente solo se porta valore a tutte le parti coinvolte – conclude Chiaramonte –. Quindi, di volta in volta, il driver è diverso. Ma questo è anche il bello: una sfida continua che poggia, sistematicamente, su basi creative, e deve generare appeal per il pubblico; e, nello stesso tempo, conquistare sia il centro media, con il suo brand, che l’editore web e televisivo”.

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Il ‘paradosso’ programmatico Cresce il ruolo della tecnologia, ma in un contesto in cui piattaforme e attori si moltiplicano l’automazione dei processi di buying e selling è davvero, come molti sostengono, un passo avanti verso la semplificazione? Il tema è attuale e accanto agli entusiasmi per la forte crescita di budget, si registrano anche delle perplessità.

IL GRANDE successo del programmatic potrebbe avere a che fare con la crisi. Oltre otto anni passati a sentir parlare di taglio dei costi, ottimizzazione nell’utilizzo delle risorse, efficientamento della catena produttiva, eliminazione degli sprechi, lean management e six sigma hanno lasciato un segno. Basta con gli sprechi, ogni azione deve essere pianificata per raggiungere l’obiettivo prefissato con le risorse necessarie. E anche i marketer di tutto il mondo, compresi gli storicamente tv centrici italiani, cominciano a variare le loro scelte di pianificazione a favore di un approccio programmatico. Non più investimento a pioggia, ma azioni mirate. Se a questo ci si aggiunge che sono almeno vent’anni che i guru del marketing vanno ripetendo ai C-level delle aziende che l’approccio product centrico è morto e che le aziende dovrebbero mettere al centro di tutti i loro processi il consumatore, ecco che la crescita imperiosa degli investimenti in programmatic sia in termini di volumi assoluti, che di quote sui budget pubblicitari aziendali trova delle spiegazioni piuttosto razionali. Da un lato il fattore tecnologico abilitante e dall’altro un mutato atteggiamento psicologico hanno dato il là alla rivoluzione programmatica, che come dichiarato in una recente intervista rilasciata a Real-Time Daily da Luca Paderni, Vicepresidente e Direttore Ricerca Forrester, sta generando uno shift da un approccio 40

content-based a uno audience-based. Un cambio che porta con sé un mutamento interno allo stesso Programmatic, tanto è vero che come già evidenziato nel Quaderno della Comunicazione Programmatic 2015, parlare di Big Data sta diventando fuorviante, e meglio sarebbe cominciare a far riferimento agli Smart Data. Addio alla filosofia “colpirli tutti per convincerne uno”, benvenuto funnel dell’acquisto. Perché quello che conta è sempre più comprendere il customer journey del cliente attivando i diversi touchpoint per garantire conversione. Un approccio che ci consente di far pace anche con i buoni vecchi media tradizionali, che servono a mettere in moto questo processo di selezione mirata del target. Come stimato da eMarketer e comunicato nel corso dello IAB Seminar “The New Programmatic and Data Fusion”, tenutosi a Milano il 13 ottobre scorso, in Italia il programmatic, dopo un inizio piuttosto lento, ha cominciato a prendere il volo, posizionando il belpaese al terzo posto in Europa dopo UK e Francia per investimenti in Digital Video Programmatic. Un budget netto che nel 2015 dovrebbe raggiungere 38 milioni di euro, per poi arrivare a 64 milioni nel 2016 e superare quota 100 milioni già nel 2017. E se le stime sono sempre complicate da effettuare, l’affluenza di player del mercato pubblicitario al seminario IAB appare come un dato fortemente


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1. PROGRAMMATIC DESKTOP DISPLAY: FATTURATO PUBBLICITARIO NETTO EUROPEO 2014

(milioni di euro) Dati sul display, esclusi mobile e video Fonte: “European Programmatic Market Sizing 2014”, IAB Europe/IHS, settembre 2015

esplicativo dell’attenzione che il Programmatic sta calamitando. Questo da un punto di vista dei volumi. Se guardiamo però alle dinamiche interne al programmatic il quadro tende a complicarsi, come spiega Vittorio Bonori, CEO ZenithOptimedia Italia, South Med, Middle East & Africa. “La fase che stiamo attraversando è certamente caratterizzata da complessità e frammentazione, due aspetti tutt’altro che facili da gestire. Questo anche perché i clienti tendono a preferire, come sempre succede nelle fasi iniziali di ogni mercato, i piccoli specialisti verticali ai grandi gruppi – dice Bonori –. Quel che succede normalmente è che nel momento in cui la nuova disciplina raggiunge la piena maturità all’interno del suo ciclo di vita, si arriva a un consolidamento dei player. I grandi gruppi di comunicazione, in virtù della capacità di investimento e di una più ampia disponibilità di asset tecnologici, gli investimenti che credo anche in questo caso non mancherà,

e sono convinto che in futuro emergeranno e resteranno solo pochi, grandi player. Non dimentichiamoci infatti che il tema al cuore del programmatic marketing è l’utilizzo di dati e tecnologie e che si tratta di un concetto che va oltre il puro buying: l’automazione riguarderà man mano sempre più aspetti del processo di comunicazione e sempre più mezzi, man mano che questi saranno pienamente digitalizzati. Da un certo punto di vista, quindi, le campagne digitali gestite da piattaforme automatizzate diventeranno uno strumento fondamentale non solo in un’ottica di segmentazione dell’audience, ma anche per allargare la penetrazione e la copertura del messaggio pubblicitario su target sempre precisi e mirati, ma sempre più di massa. Si apre di fatto un nuovo capitolo strategico: il mass precision marketing”. Il ruolo della tecnologia cresce di giorno in giorno, ma l’automazione dei processi di buying e selling è davvero, come molti sostengono, un 41


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2. PROGRAMMATIC MOBILE DISPLAY: FATTURATO PUBBLICITARIO NETTO EUROPEO 2014

(milioni di euro) Dati display, esclusi desktop e video Fonte: “European Programmatic Market Sizing 2014”, IAB Europe/IHS, settembre 2015

passo avanti verso la semplificazione? O non sta accadendo invece il contrario, con una pletora di sigle e strutture dai ruoli diversi che, contendendosi quote anche minimali dei budget delle aziende, in realtà rendono il panorama molto più complesso di quanto non fosse precedentemente? Abbiamo rivolto queste domande ai main player del mercato italiano, raccogliendo smart data che ci aiutassero a leggere gli sviluppi futuri. Mainstream? La risposta è no. Il Programmatic non è mainstream per definizione, questo è chiaro. Ma sentire Alessandro Loro, Direttore Marketing IGPDecaux premettere di non essere un esperto, sembra piuttosto evidenziare come attorno al tema del programmatic permanga in qualche misura una punta di scetticismo. O forse solo la convinzione che la quota di mercato transata con questo meccanismo sia destinata a 42

rimanere minoritaria, di nicchia, perché automazione non sempre fa rima con semplificazione. Una riflessione che appare ancor più corretta nelle fasi iniziali di adozione di una nuova tecnologia, quando l’interfaccia è spesso tutto fuorché user-friendly. “Confesso di non essere un esperto su questo argomento, ma ciò che intuisco, e nella domanda in realtà c’è già una risposta, è che non necessariamente il processo di automazione del buying porterà alla semplificazione – dice Alessandro Loro -. Il buying era complicato prima, continua a essere complicato adesso e lo sarà anche in futuro seguendo percorsi diversi di quelli attuali. Da profano aggiungo che non capisco perché un’azienda che si è sempre fidata di un intermediario per fare e pianificare la sua comunicazione dovrebbe a questo punto integrarsi a valle per fare da sola. A quel punto dovrebbero fare tutto da sole, portandosi in casa non solo il buying


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3. PROGRAMMATIC VIDEO DISPLAY: FATTURATO PUBBLICITARIO NETTO EUROPEO 2014

(milioni di euro) Video desktop e mobile Fonte: “European Programmatic Market Sizing 2014”, IAB Europe/IHS, settembre 2015

ma l’intero processo. Se questo sta avvenendo, probabilmente è perché gli intermediari con cui parlano non dimostrano nei fatti di dargli un valore aggiunto e questo porta le aziende a percepirli puramente in termini di costo. C’è poi il fattore economico: una piccola azienda che investe magari 500.000 euro all’anno non ci penserà mai a fare una cosa del genere. Se investe 200 milioni allora forse ci sta che prenda due persone per fare questo lavoro. Alla fine, quindi, può darsi che Nestlè, Unilever o Procter si automatizzeranno in questo senso, perché hanno la forza per organizzarsi in proprio e gestiscono budget fantastici in termini di quantità di investimenti. Ma se guardo alla storia credo che resterà comunque una cosa minoritaria”. Del resto come spiega Alberto Cremaschi, Managing Director Kinetic: “Parlare in Italia di Programmatic Out of Home è ancora prematuro anche se, osservando i primi tentativi all’estero,

se ne sta già discutendo molto per capire quale sia il modello migliore da sviluppare e implementare. Un primo limite è sicuramente l’offerta ancora limitata presente sul mercato.

Alberto Cremaschi, Managing Director Kinetic

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4. I FORMATI PROGRAMMATICI CONTESTUALIZZATI

(milioni di euro) Fonte: “European Programmatic Market Sizing 2014”, IAB Europe/IHS, settembre 2015

Oltre agli ambienti dove siamo ormai abituati a vedere la videocomunicazione - stazioni, metropolitane, aeroporti - il Digital Out of Home si sta diffondendo anche per le strade cittadine, ma per ora solo a Milano. Quindi prima di parlare di Programmatic bisognerebbe incrementare il patrimonio digitale sul territorio e auspicabilmente gli investimenti su questa porzione dell’Out of Home che ad oggi rappresenta una piccola parte degli investimenti OOH totali (circa l’8%). In secondo luogo è importante definire quali sono i parametri di targetizzazione. In assenza dei cookie, la scelta su quali spazi acquistare verrà presa sulla base di dati demografici e di comportamenti caratterizzanti gli ambienti. Per esempio, in aeroporto è più probabile vengano acquistati prodotti di lusso o personal care, mentre in metropolitana un prodotto di largo consumo risulta sicuramente più appropriato ed efficace. La chiave di volta risiede nel stringere collaborazioni con data-partner capaci di trovare

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alte indicizzazioni geografiche o di location per specifiche caratteristiche demografiche o di comportamento per potere realizzare comunicazioni cross-media rivolte a colpire lo stesso target. È importante ricordare che nella maggior parte dei casi l’Out of Home è un media one-to-many e non one-to-one come il Web, quindi i clienti acquistando spot in OOH comprano un insieme di impression su una audience non identificabile in modo puntuale. Nei Paesi dove si fa già utilizzo del Programmatic OOH, le concessionarie forniscono dati di audience basati su trend, ma il grande passo avanti avverrà quando saranno in grado di fornire dati di audience in tempo reale basandosi su nuove tecnologie quali il riconoscimento facciale e i beacon”. Semplice, integrato, umano Dicevamo che il programmatic dovrebbe portare con sé una logica customer driven. E infatti come sottolinea Stefano Spadini, CEO Havas


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5. SHARE GENERATA DAL PROGRAMMATIC SUL FATTURATO TOTALE DI OGNI FORMATO

(milioni di euro) Fonte: “European Programmatic Market Sizing 2014”, IAB Europe/IHS, settembre 2015

Media, questo dovrebbe essere l’approccio che le società che offrono soluzioni programmatic dovrebbero tenere con il proprio cliente. “Se al prossimo incontro con un cliente mi mettessi a dissertare di DSP, DMP, SSP, AD Exchange etc... ai suoi occhi come apparirebbe la nostra industry – domanda Spadini –? Ai clienti non interessa tanto quello che sta dietro il nostro lavoro, esattamente come a coloro che acquistano una fuori serie non interessa come è costruita ma la sensazione che dà al volante. E la sensazione che diamo ai clienti con il nostro lavoro si esprime in tante forme diverse ed è questo quello che lo rende avvincente”. Di semplificazione parla anche Matteo Ferrara, Sales Manager e Membro del CDA NetMediaClick, quando ferma l’attenzione su punti di contatto con il consumatore. “In parte l’automazione dei processi sta semplificando l’intermediazione tra i diversi players coinvolti, ottimizzando le attività e i flussi operativi, ma allo stesso tempo sta frammentando ancor di

più l’offerta, con la presenza di nuovi attori in un mercato digital già conteso dai colossi dell’adv multicanale – dice Ferrara –. È innegabile quindi la necessità di concentrare i diversi access point esistenti oggi , a mio avviso troppi, per sfruttare le naturali economie di scala che ne deriverebbero. Vista la natura intrinseca altamente tecnologica del mercato, credo che assisteremo a una concentrazione del settore attorno a quei pochi soggetti che riusciranno a migliorare la propria offerta con continuità”. Semplificazione non significa però banalizzazione. Il campanello d’allarme viene suonato da Giovanna Loi, Managing Director Xaxis (GroupM): “Semplificando, alla base del programmatic c’è una tecnologia, una macchina e un algoritmo, e delle persone che danno a questo layer tecnologico le giuste istruzioni affinchè queste eseguano il loro compito. Gli obiettivi della comunicazione sono gli stessi e il compito del marketing non è cambiato: deve sempre raggiungere le persone. Quello che è

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6. FATTURATO PUBBLICITARIO NETTO DEL PROGRAMMATIC PER REGIONE

(milioni di euro) Fonte: “European Programmatic Market Sizing 2014”, IAB Europe/IHS, settembre 2015

Giovanna Loi, Managing Director Xaxis (GroupM)

cambiato è il modo di farlo, perché in un mondo digitalizzato si tratta di riconoscere anche e soprattutto i segnali deboli che le persone lasciano, nel consumo quotidiano 46

dei contenuti e dei servizi nelle diverse ore del giorno, su tutti i device in uso”. Perché ci sia semplificazione è necessario che dietro vi sia una strategia. Un termine che riporta immediatamente a concetti quali integrazione e know-how. “La parola magica è integrazione. La modalità di pianificazione in programmatic è, appunto, una modalità come ne esistono altre – afferma Marco Girelli, CEO Omnicom Media Group –. Sarà sempre più preponderante all’interno degli investimenti digitali per il fatto che permette di arrivare in maniera puntuale ed efficiente a target definiti in maniera precisa, quindi utile in tutti i casi in cui la strategia di comunicazione richieda una forte call to action su tipologie di utenti precisi. Ma ci sono casi in cui anche la dispersione gioca il suo ruolo, ci sono strategie di branding per le quali esistono scelte diverse, modalità diverse. Integrazione significa che la parte di comunicazione in programmatic deve essere, appunto, una parte all’interno di una


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7. PENTRAZIONE GLOBALE DEL PROGRAMMATIC (%)

Fonte: Magna Global, settembre 2015

strategia. Una componente, con il suo ruolo, ma coerente con la strategia complessiva della marca. L’automazione è inutile se non ha a monte e a valle una mente strategica che ne tira le fila”. E per sviluppare una strategia integrata, come sottolinea Massimo Fontana, CEO Amplifi (Dentsu Aegis Network), il fattore umano gioca un ruolo cruciale: “La tecnologia è un enabler, quello che fa la differenza sono le persone e le specifiche competenze che sono un qualcosa di dinamico in continua evoluzione. Il Programmatic è un ecosistema piuttosto complesso che ha al centro non tanto l’automazione ma piuttosto il ‘data management’. Non penso che modelli di Programmatic Buying ‘in-house’ da parte dei clienti potranno mai diventare un modello di questo mercato perché come abbiamo detto siamo di fronte ad un argomento ad elevata specializzazione dove anche la visione di insieme su scala è uno dei fattori distintivi… e nessun cliente se pure di grandi dimensioni avrà mai

Massimo Fontana, CEO Amplifi (Dentsu Aegis Network)

la forza di avere una scala significativa tale da avere una visione complessiva del mercato”. Make or buy? 47


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8. INVESTIMENTI GLOBALI VIA PROGRAMMATIC PER FORMATO

Fonte: Magna Global, settembre 2015

Il fattore umano porta sempre con sé una riflessione sul trade-off tra ‘make or buy’. Meglio affidarsi a mani esperte, consentendo a soggetti terzi di acquisire economie di apprendimento difficilmente raggiungibili da un singolo investitore, o meglio sviluppare internamente le proprie soluzioni, creando in seno al proprio gruppo una divisione che mantenga all’interno il know-how e l’expertise guadagnate con i propri investimenti? Il punto di vista di Xaxis è chiaro. “Volendo – dice Giovanna Loi –,molte aziende potrebbero portarsi in casa la tecnologia per far da sé, ma dovrebbero prima strutturarsi per avere le persone, i talenti e il know-how in grado di renderla non solo funzionale, ma di eccellenza. Oltretutto il media buying va sempre comunque considerato nell’ambito più ampio di tutti i canali di comunicazione: il digital display non vive separato dal piano televisivo o dal search. Alla fine, il programmatic deve mettere insieme tutti i ritorni sugli investimenti anche degli altri mezzi, 48

per andare a misurare, attraverso un modello di attribuzione complesso, anche tutto quello che è stato mosso ‘prima’ o insieme”. E la Tv che dice? Intanto cominciamo col puntualizzare che, come spiega Gian Paolo Tagliavia, Presidente e CEO IPG Mediabrands, automazione non corrisponde a programmatico. “Dobbiamo guardare con attenzione alla differenza che esiste tra automazione e programmatico – dice Tagliavia –. Preferisco non parlare di programmatic ma di data driven marketing o real time marketing, perché quello è l’effetto voluto: la ‘programmaticità’ è un mezzo, non un fine. Il fine è la modifica in tempo reale di una campagna rispetto alla reazione e al comportamento del consumatore. Già il fatto che, almeno nei prossimi 10 anni, l ’automazione coesisterà con le reti di vendita dirette, rende implicito che, sotto il profilo gestionale, lo scenario sarà complesso.


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Parliamo ad esempio di televisione, area in cui si stanno cominciando a fare i primi esperimenti non di programmatic ma di automazione: noi agenzie siamo chiamate a gestire contemporaneamente dei rapporti che possono essere basati su una piattaforma tecnologica o, come un tempo, su una telefonata. Fino a quando rimarrà anche solo una opportunità di compravendita basata sul modello tradizionale, le agenzie dovranno tenere in piedi due modalità, cosa che, evidentemente, non semplifica il lavoro”. Accanto a una riflessione sui meccanismi del programmatic e alla sua gestione nel rispetto delle reti vendita, il Presidente e CEO IPG Mediabrands opera una seconda considerazione: “in questa fase non esiste ancora un’aspirazione alla semplificazione. Ciò per un motivo molto semplice e strutturale: il programmatic è un mercato ancora nascente e, come sempre accade, non esiste un mercato nascente in cui fin da subito si riesca a contenere il numero degli attori. Tutti sanno che il marketing subirà, se già non è accaduto, una rivoluzione fondamentale per una industry come la nostra, che gestisce centinaia di miliardi di dollari. Tuttavia oggi le barriere all’ingresso sono ancora basse e quindi è evidente che ci sia una proliferazione di attori piccoli e grandi. Tutti ci si stanno buttando come in una corsa all’oro. Prendiamo due esempi classici come l’automotive e l’industria petrolifera: sappiamo perfettamente che prima del consolidamento di questi settori, i produttori di automobili e gli imprenditori dell’industria petrolifera erano centinaia…. Poi progressivamente il mercato ha cambiato volto. Nel nostro caso, è veramente troppo presto per parlare di consolidamento e semplificazione. Ma proprio per questo, a parte alcuni grandissimi clienti che possono ampliare con numerosi professionisti le proprie capacità interne, il ruolo delle agenzie continua a essere, anzi sarà, sempre più importante. In questa chiave, allora, proprio le agenzie

rappresentano per i clienti un elemento di semplificazione fondamentale. Si stima che in Italia quest’anno il programmatic varrà tra il 15% e il 20% dell’investimento digital. Ma considerando la quota del digital rispetto al totale degli investimenti complessivi siamo ancora lontani dal poterlo definire un mercato maturo. È convinzione diffusa, del resto, che il programmatic diventerà veramente lo standard quando la televisione diventerà programmatica: ma affinché si possa parlare di programmatic Tv è necessario che i televisori siano connessi. Fino a quel momento non si potrà lavorare ‘one to one’ perché non sarà disponibile un canale di ritorno. Per poter affermare la concreta ed effettiva diffusione di questa tecnologia, la chiave di svolta sarà il passaggio dalla televisione broadcast alla televisione on demand: ma quanti anni ci vorranno?”. Le posizioni non sono all’opposto ma i punti di vista variano da interlocutore a interlocutore. Nessuna censura, ma ancora uno sguardo cauto, sebbene le manovre di approccio al tema non manchino. Il più convinto appare Fabrizio Piscopo, Amministratore Delegato Rai Pubblicità: “Crediamo fermamente nel potere dell’automazione della pubblicità come dimostra la recente introduzione di questo metodo di compravendita per i nostri portali web e per le app. L’automazione della pubblicità non solo rende più efficiente il processo di acquisto e vendita ma assicura anche una maggiore efficacia grazie all’accuratezza nell’indirizzamento dei messaggi verso i consumatori. Indubbiamente il panorama diventa molto più complesso di quanto non fosse precedentemente, tuttavia riteniamo che questo strumento possa andare a beneficio di tutti gli operatori del settore e, per quanto ci riguarda, il tutto senza nulla togliere al vero valore aggiunto che offre Rai Pubblicità ai suoi clienti: versatilità nell’interpretare ogni specifica esigenza di comunicazione, stretta relazione fra clienti e rete

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vendita, grande affidabilità dei nostri servizi pre e post vendita”. Un po’ più cauto Giuliano Cipriani, Direttore Generale Discovery Media. “Quello della programmatic tv è un bel tema... Premesso che sul fronte digitale puro preferisco astenermi dai commenti e dico solo che spesso possiamo riscontrare una gestione poco trasparente dell’opportunità che la tecnologia ci ha offerto –, la mia personale posizione è che alla tecnologia non ci si può opporre ma bisogna cercare di capirla per sfruttarne quanto più possibile i vantaggi – dice Cipriani –. Per quanto riguarda la televisione al programmatic non diciamo un no categorico: non lo stiamo ancora facendo ma stiamo osservando i fenomeni e lo stiamo studiando. Anche dai colloqui con nostri colleghi all’estero, negli Stati Uniti, mi sembra che sul fronte strettamente televisivo sia una pratica ancora poco, pochissimo adottata. Noi in particolare siamo una realtà giovane e tutto sommato ancora abbastanza piccola in termini numerici, quindi spesso e volentieri andiamo per priorità e, in questo momento, il programmatic non lo è. Perciò ripeto: non diciamo di no ma vogliamo capire meglio. Credo in ogni caso che in televisione non ci siano ancora i presupposti perchè questo sia un processo utile a una realtà come la nostra, considerando che siamo in crescita e non ci interessa sfruttare il bacino invenduto – io preferisco non vendere che svendere. Di fatto, l’unico bacino che ho un po’ pieno, e solo in alcuni momenti della giornata, è Real Time: ma ci tengo a dire che preferisco non svendere a un cliente semplicemente perchè devo riempire il bacino, creando in quel modo un disagio ad altri clienti che magari hanno acquistato quegli spazi a prezzo pieno. Non sono un fautore della concorrenza sleale e per di più se i miei canali hanno meno affollamento i clienti che mi hanno scelto ne traggono un giovamento ulteriore. E aggiungo un’ulteriore considerazione: i bacini

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pieni a tutti i costi sono il fenomeno che ha generato la guerra dei prezzi fra i big player – che pare, e dico pare, si sia un po’ calmata ultimamente – il cui unico risultato è stato distruggere valore per tutta la industry. E non solo, perché ha consentito alle grandi aziende multinazionali di ri-distribuire all’estero risorse che sarebbero potute arrivare in Italia: perchè se un brand deve pianificare 100 GRP e al posto di pagarli 100 li paga 60, i 40 di differenza andranno altrove! Sappiamo che le multinazionali sono strutturate come vasi comunicanti, quindi secondo me non solo è stato creato un danno distruggendo valore e magari perdendo anche la faccia e la serietà in alcuni contesti, ma abbiamo consentito la fuoriuscita di risorse e quindi di ricchezza per tutto il paese”. Un punto di incontro tra i diversi punti di vista sull’argomento da parte dei player dell’ex tubo catodico è offerto da Jaime Ondarza, Senior Vice President and General Manager Turner South Emea and Africa: “Il programmatic può offrire interessanti opportunità per l’investitore, per i media e per le concessionarie. Per noi è molto importante continuare a porre l’accento sulla qualità dell’offerta, sui nostri brand e sull’attenzione alla pianificazione specifica e su misura per il consumatore. Non lo vediamo come una minaccia ma come un ulteriore strumento per favorire la pianificazione del cliente sul mezzo specifico”. Trasparenza ‘programmata’ Il digital è una delle aree vissute dalle aziende come maggiormente a rischio dal punto di vista della trasparenza. Il programmatic in particolare è ancora oggetto di dubbi e perplessità che a volte neppure la promessa di efficienza ed efficacia sembra sminuire. Per quali ragioni? E come è possibile sfatare anche questo falso mito? “Probabilmente – risponde Fides Tosoni, Chief Digital Transformation Officer di GroupM –


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questo timore deriva da quello che era il programmatic agli albori ossia una modalità di acquisto che si avvaleva come fonte di approviggionamento dell’open market e quindi della long tail. Ora il programmatic non è più soltanto quello, ovviamente in alcuni casi specifici deve essere anche quello per poter rispondere in maniera flessibile (e tattica) alle esigenze di picchi di inventory. Il programmatic in realtà è una modalità di gestione della pianificazione commerciale sul digitale che permette una grossa trasparenza sull’andamento della singola campagna perchè permette di essere a conoscenza in tempo reale di come la campagna sta andando e permette sempre real time di aggiustare e modificare l’andamento e la pianificazione della campagna. In questo modo il programmatic diventa un punto di vista neutro per l’interpretazione oggettiva di quello che è l’andamento delle campagne e quindi paradossalmente non crea un problema di trasparenza ma è una opportunità di trasparenza. Tuttavia l’overload di dati e informazioni potrebbe rischiare di essere più dannoso della mancanza di dati. Di qui sempre più il nostro ruolo di consulenti nella definizione all’inizio di quelli che sono gli obiettivi e i dati da misurare e nel corso della campagna nella modalità di lettura e interpretazione del dato.”. Un punto di vista forse meno ‘tecnico’ ma abbastanza condiviso è quello espresso da Paolo Dosi, CEO Clear Channel Italy. “In questo momento, al di là di tutto l’entusiasmo suscitato da questa nuova modalità di acquisto, trovo che manchi sicuramente una buona dose di trasparenza, e confesso di nutrire anche qualche perplessità a proposito dell’efficienza – vedi il discorso dell’ad blocking o delle problematiche legate alla privacy: ci vorrà ancora un po’ di tempo prima di trovare un punto di equilibrio e anche una maggior chiarezza sull’intero processo – dice Dosi –. Nello specifico settore dell’

Outdoor digitale occorre creare a livello di industry degli standard che consentano di raggiungere questi obiettivi e diano al mercato maggiori certezze su cosa davvero è possibile fare grazie a quello che, più di programmatic, io preferisco chiamare acquisto automatizzato. E questo, dal nostro punto di vista, significa cercare di fornire tutta una serie di dati ovviamente certificati e dare al tempo stesso al cliente e al pianificatore la massima libertà di poter acquistare anche direttamente quelli che sono gli asset che preferisce. Questo è ciò su cui ci stiamo concentrando in Clear Channel compiendo numerosi test, ma sempre con l’obiettivo di valorizzare i nostri asset, non di svalutarli o svilirli con una vendita senza valore. I nostri impianti sono tutti molto ‘reali’, ben ‘piantati per terra’ nel senso letterale dell’espressione! Non possiamo quindi permetterci di parlare come spesso accade nel mondo internet, fisso o mobile, di milioni di impression che nessuno sa se esistano davvero. Investimenti che magari danno l’impressione di essere stati abbastanza economici, ma che nell’economia di un budget annuale non raggiungono i risultati ipotizzati e si rivelano uno spreco di risorse. Ho sentito personalmente da molti clienti questa esigenza, non dico di fare un passo indietro ma comunque di riflessione, attrezzandosi internamente perché vogliono capire. Tutti, in ogni caso, sono molto interessati e orientati a investire in un futuro prossimo in questo ambito, ma la situazione oggi è molto fluida: sul principio di non scommettere contro la tecnologia mi trovo molto d’accordo, ma assicurandosi prima che questa tecnologia sia implementata nel modo più corretto e trasparente per tutte le parti in gioco”.

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Big Data e/o Big Audi? In un’epoca di media paid, owned ed earned, il media mix ‘classico’ ha perso buona parte della sua efficacia perché fondato su modelli di ricerca nati in epoca analogica e solo con molte difficoltà adattabili allo scenario digitale odierno. Ecco dunque che si va a caccia di nuovi dati e informazioni, da gestire però in una chiave completamente diversa: ma quale?

TOTAL AUDIENCE è da tempo, ormai, questi due lemmi cercano insieme di entrare nel linguaggio quotidiano della marketing communication. Ma ancora, almeno apparentemente, non ci sono riusciti. Paradossalmente, infatti, ogni mezzo sta cercando con fatica di arrivare alla sua specifica total audience: tutti gli spettatori di un programma televisivo che sia stato visto in Tv, online, in tempo reale o in differita, su piattaforme proprietarie del broadcaster piuttosto che su ‘canali online’ generalisti (se e quando ancora gli editori di riferimento lo concedono); l’intero universo degli ascoltatori della radio, che questo ascolto avvenga via Fm, web, app, podcast o perfino tv; lo stesso mondo digital – attraverso Audiweb – oggi parla di ‘total audience’ riferendosi alla navigazione via pc desktop, laptop, smartphone e tablet. Anche da questo punto di vista, però, la Digital Transformation non sta mancando di far sentire i suoi effetti: il ‘customer journey’ cui una volta corrispondeva un preciso ‘funnel’ di attività di marketing si è anch’esso frammentato e frastagliato in mille rivoli, e non è più possibile pensare in termini di step successivi – dalla brand awareness alla brand consideration al vero e proprio atto di acquisto di un prodotto o di un servizio – perché ogni persona 52

può saltare da un punto all’altro di questo viaggio secondo tappe influenzate dal clima, dall’interazione con i propri amici o da mille altri fattori. Non è più, in altre parole, un percorso lineare. Per investitori e pianificatori è diventato quindi necessario trovare soluzioni alternative nell’analisi degli individui che costituiscono il proprio target, consentendo loro di reagire in tempo reale in ogni possibile occasione di contatto e attraverso qualunque touchpoint. Come orientarsi in questo labirinto? La risposta è, ancora una volta, figlia della trasformazione digitale dell’intero ecosistema comunicativo: e la risposta è nei dati, i ‘grandi dati’. Cioè nelle tracce che ognuno di noi lascia come le briciole nella favola di Pollicino ogni volta che una di queste interazioni ha luogo. La complicazione è che il numero di queste tracce è diventato pressoché infinito, e alla loro interpretazione e alle conseguenti reazioni è affidato il successo o meno di qualsiasi attività di comunicazione. I dati, in altre parole, sono diventati la base essenziale di qualsiasi strategia. Aziende pronte ma a metà del guado A dimostrare quanto detto poc’anzi è uno


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studio condotto dalla World Federation of Advertisers, insieme all’istituto di ricerca e società di consulenza The Customer Framework e pubblicato a ottobre di quest’anno. Il 72% dei marketer intervistati (il campione comprendeva 32 aziende rappresentative di investimenti annuali in marketing e comunicazione superiori ai 35 miliardi di dollari complessivi) ha dichiarato di considerare i dati un asset strategico, anche se più della metà ha ammesso di essere solo all’inizio del processo di mettere proprio i dati al centro del proprio marketing. Il 31% dichiara di essere in una fase avanzata nel percorso di adozione del Data-Driven Marketing (DDM), utilizzando molteplici tecniche di personalizzazione e segmentazione attraverso l’uso di differenti tecnologie: soluzioni di Customer Relationship Management (CRM), Data Management Platforms (DMP), o altri sistemi di Analytics. Il 56% riconosce di essere solo all’inizio del viaggio e in una fase di planning che ancora non ha portato allo sviluppo di una vera strategia data-driven. Una delle ragioni principali è la fiducia relativamente bassa (il 50% è ‘abbastanza’ fiducioso, il 27% lo è ‘non molto’) nella capacità delle analytics di identificare e misurare correttamente il ROI dei propri investimenti. Nonostante ciò, l’89% del campione ha detto che aumenterà il proprio budget in questo ambito, e il 31% che lo farà ‘molto’. L’obiettivo è quello di spostare il centro dell’attenzione dall’analisi di ‘ciò che è stato’ verso approcci predittivi - che attualmente il 25% degli intervistati dice di aver già ottenuto con successo. La ricerca evidenzia il forte desiderio di costruire relazioni dirette con i consumatori utilizzando dati di prima parte: il 73% dei marketer li ritiene critici per il business e

l’88% intende farvi ricorso molto più che in passato. Una cosa che non sfugge alle aziende è che con il ricorso e l’utilizzo più frequente dei dati sui consumatori, ben oltre i problemi legali a ciò connessi, il tema della privacy è diventato un fattore determinante nel processo di costruzione della fiducia verso i brand. La nuova legislazione Europea, che dovrebbe entrare in vigore nel 2017, creerà obblighi supplementari per chi intende utilizzare i dati delle persone a fini di marketing: nonostante ciò, le marche riconoscono (almeno l’85% dei rispondenti) che poiché il successo delle loro strategie data-driven dipende da questo rapporto fiduciario, il semplice rispetto delle regole non è sufficiente. Dai device alle persone Da questo nuovo approccio strategico ai dati deriva una prima conseguenza: occorre smettere di focalizzarsi solo ed esclusivamente sui device e sull’esposizione ai media, superando il metodo ormai appartenente a un epoca che sembra remota di misurare le audience in un’ottica esclusivamente ‘analogica’. Come fare questo passo è uno degli interrogativi cruciali che aziende, agenzie editori e concessionarie si stanno ponendo. “La reale complicazione che i sistemi ‘tradizionali’ si trovano ad affrontare in questo particolare momento – conferma Fides Tosoni (GroupM) – è la frammentazione del vecchio customer jorney dovuta al fatto che l’utente utilizza un numero di device sempre maggiore e che va dalla televisione, al tablet, al pc, allo smartphone. Questo porta a far sì che nel processo decisionale l’atto di acquisto non sia più guidato da un singolo touchpoint o da un singolo mezzo di

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comunicazione – che è il sistema secondo il quale i grandi impianti di audience research ragionano attualmente –, ma è il risultato della combinazione del lavoro svolto da tutti i diversi device, nuovi o tradizionali che siano. Per quel che riguarda i sistemi di rilevazione nell’ambito digitale, le nuove tecnologie stanno rapidamente evolvendo in questa direzione. Per esempio superando il concetto di cookie che – estremizzando e semplificando – lavora solo sui pc desktop, trovando nuove modalità di tracciamento e rielaborando le informazioni attraverso i famosi modelli di attribuzione che lavorano lungo tutto il funnel e riescono a definire realmente qual è il contributo dei diversi device digitali al successo e all’efficacia di una campagna”. Di conseguenza, aggiunge Tosoni, “Poiché questo sta già avvenendo in ambito digitale, diventa sempre più importante ripensare ai sistemi di tracciatura dell’audience uscendo da una logica di silos, quindi attivando o realizzando lo stesso processo di trasformazione che si richiede a tutta la industry e adeguando perciò le proprie modalità di misurazione al nuovo scenario. Questo processo – fondamentale nell’economia della digital transformation – è già stato avviato. Sta a queste società trovare il giusto compromesso tra rapidità e precisione: da parte nostra non possiamo che auspicare che lo trovino in tempi abbastanza veloci”. “Penso che un modello non debba sostituire l’altro – riflette Massimo Fontana, CEO di Amplifi (Dentsu Aegis Network) –, ma bensì complementarsi, anche perché oggi non tutti i mezzi hanno a disposizione uguali strumenti di misurazione e ci sarà sempre bisogno di una ‘common currency’ di misurazione. La sfida più grande sarà invece quella di far evolvere le metriche e i KPI di

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misurazione, oggi quasi esclusivamente basate su Target Media Socio-demo, verso metriche di ‘Consumer Target’ che superano il socio-demo ed entrano in quelli che sono gli interessi e le attitudini di consumo delle persone. Motivo questo che ha portato la nostra agenzia prima di altre ad avere una infrastruttura di ‘Data Fusion’ che permette di unire i modelli tradizionali di valutazione dei media non addressable con quelli più evoluti data-driven degli addressable media”. Attenzione agli estremismi “Vale quanto detto in precedenza rispetto al programmatic – sostiene Gian Paolo Tagliavia (IPG Mediabrands) –: siamo tutti convinti che tra ‘x’ anni tutto sarà programmatico, ma bisogna mettersi d’accordo se questi x anni saranno: 20, 30, 10 o 5? Lo stesso per il rapporto tra le diverse ricerche: siamo tutti più o meno d’accordo che un approccio censuario è un approccio che dà più sicurezza nel valutare i dati, ma sappiamo perfettamente che l’approccio censuario del totale campione è possibile solo nel momento in cui si hanno dei mezzi interattivi in grado di andare a vedere il comportamento dei singoli utenti. Poiché siamo ancora lontani da questo risultato, è chiaro che le Audi continueranno ad avere un ruolo importantissimo. Il nostro compito è spingere evidentemente là dove ci è possibile su tutte le opportunità censuarie, quindi one to one, offerte dal mondo digitale, stando però attenti a non togliere valore a quelli che in questo momento sono alcuni degli elementi di Auditel, del cui consiglio peraltro faccio parte. Nonostante i problemi degli ultimi mesi, nessuno può disconoscere il fatto che Auditel sia stata un elemento fondamentale


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NIELSEN: REACH, RESONANCE E REACTION Ogni tipo di relazione con il consumatore – dichiara Alberto Dal Sasso, Advertising Information Service Business Director di Nielsen –, è governata da proprie regole, che sono basate sulle aspettative dei singoli client. Il segreto è conoscerle, perchè significa sapere anche come raggiungerli nel miglior modo e soprattutto nel modo in cui se lo aspettano. I big data sono uno dei paradigmi odierni che permettono di seguire il cliente meglio e capire la relazione che lo stesso richiede al brand. Molto semplicemente, l’offerta, dal mio punto di vista, deve cercare di rendere fruibili in modo chiaro le novità che la tecnologia propone. Appurato che esiste un gap informativo, la chiarezza e la trasparenza nel medio termine sono vincenti. Cosa può fare un fornitore di dati e informazioni come Nielsen da questo punto di vista? Da qualche anno – spiega Dal Sasso –, Nielsen ha iniziato a lavorare su questo asset anche nella propria organizzazione, basandola su specifiche practices areas. Questo consente ai nostri clienti di trovare soluzioni in ambito media che mettano insieme competenze diverse con al centro il consumatore, indipendentemente dalle aree di provenienza. Si parla dunque di marketing effecitveness con aree (‘tre R’) che forniscono servizi legati alla misura della Reach (come raggiungimento dei clienti), Resonance (come misurazione della efficacia) e della Reaction (efficienza). Non potendo certo dismettere sic et simpliciter il Sistema Audi su cui si regge gran parte del mercato in termini di currency, quali sono le possibili alternative nello spettro che va dai tool proprietari alle grandi ricerche multimediali ‘di sistema’? Non mi pronuncio sul sistema del JIC (Joint Industry Committee) che non è solo una realtà italiana ma comune in parecchi paesi in Europa e nel mondo, e soprattutto rappresenta un dettaglio organizzativo rispetto ai cambiamenti tecnologici in atto. Posso però anticipare che Nielsen ha un suo progetto sulla misurazione della Total Audience attraverso una piattaforma single source per la misurazione della visione totale (TV lineare, il DVR, il Video on Demand, i TV connected Devices, mobiles, PC e Tablets): questa piattaforma sarà disponibile a dicembre per alcuni importanti clienti negli Stati Uniti e lanciata nel primo trimestre 2016, per poi arrivare in Italia nei mesi successivi. Big data e tecniche behavioural saranno davvero il ‘deus ex machina’? Non credo. O meglio, credo che così come la radio non ha soppiantato la stampa e la Tv non ha soppiantato la radio, anche in questo caso sono sicuro ci sono dei cambiamenti che stiamo già rilevando nella visione (viewing behaviuor) in termini di modalità e tempistiche di organizzazione del palinsesto. Come si diceva, siamo in grado di misurare le audience cross platform e di metterle insieme e soprattutto non dobbiamo più parlare di distinzione tra live audience e time shifted viewing per dare un senso reale alla Total Audience: Live and DVR, PC, tablet e mobile sono sicuramente dominanti (negli USA) fra le fasce più anziane, ma molto meno nelle fasce più giovani che organizzano la visione in maniera molto articolata nel tempo. Behavioural, big data e tecniche classiche (panel) convivranno ancora a lungo.

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Fides Tosoni, Chief Digital Transformation Officer GroupM

di crescita per il sistema televisivo italiano. Facciamo attenzione agli estremismi: perché è vero che da un’analisi censuaria puntuale si possono, in maniera dinamica, vedere immediatamente i trend; ma ancora una volta, prima di poter parlare di una sostituzione delle Audi ci vorrà tanto tempo”. Nel frattempo Tagliavia consiglia di cominciare a ragionare in termini di integrazione fra le diverse fonti di dati. “Integrazione: è sempre quella la strada – ribadisce –. Dare a ciascuno strumento il proprio valore e integrarli fra loro quanto più possibile. Per questo sono convinto che, rispetto ai clienti, la qualità più importante di una agenzia media debba essere la capacità di integrare: integrare mezzi diversi, integrare statistiche diverse, integrare prodotti diversi, integrare dati diversi… Perché negli ultimi 5 o 10 anni ci siamo occupati tantissimo di verticalità: ma senza capacità integrative le verticalità sono mute”. Sulla stessa linea Giuseppe Vigorito (NetMediaClick): “Credo che sia ancora

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presto per dismettere completamente il sistema Audi, per tutti i soggetti coinvolti; è vero che grazie all’utilizzo dei big data abbiamo oggi la possibilità di profilare (almeno a livello teorico) in maniera più efficace, ma non si può prescindere totalmente da un sistema collaudato da tempo che ha prodotto ottimi risultati. La vera sfida sarà l’integrazione completa dei dati proprietari delle aziende e dei 3rd party, oggi ancora in fase di sviluppo, che permetterà di perseguire strategie media ancora più performanti”. “Le difficoltà del Sistema Audi ci sono e sono innegabili – osserva Vittorio Bonori (ZenithOptimedia) –: si tratta di strumenti tradizionali, nati e sviluppatisi letteralmente in un’altra epoca del mercato, il cui limite principale è quello di essere organizzate in ‘silos’ e di non parlarsi tra loro. Pur rimanendo indispensabili nel breve periodo – non potremmo lavorare senza ‘currency’ convenzionali per ciascun mezzo – non sono in grado di rispondere alle nuove sfide strategiche e alle domande che i nostri planner devono affrontare in merito alla miglior orchestrazione tra touchpoints. Per questo motivo gli editori, le concessionarie e alcune aziende stanno progettando una ‘data strategy’ personalizzata in funzione del proprio modello di business. Ma evidentemente una data strategy ha tanto più valore quanto più riesce a coprire capillarmente le audience di mercato e per fare questo servono approcci più ampi della pura orbita aziendale o del singolo player editoriale. Non solo, in alcuni casi i dati di prima parte pagano la mancanza di neutralità e autorevolezza laddove i dati di terza parte sono ancora lontani dall’aver dimostrato una qualità sufficiente per gli utilizzi strategici e commerciali degli stessi. Ancora una volta, quindi, emerge il ruolo strategico e centrale delle agenzie


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media che si stanno assumendo l’onore e l’onere di costruire sistemi capaci di gestire i big data da qualsiasi parte essi provengano. ZenithOptimedia Group sta lavorando da tempo su queste tematiche e dispone già oggi di soluzioni all’avanguardia sia a livello locale che internazionale”. Paolo Dosi (Clear Channel Italy), concorda con quanto affermato da Bonori: “Nel processo di analisi e interpretazione dei dati credo che ci sia la possibilità per le agenzie media di tornare a mostrare il loro vero valore aggiunto e a non essere più percepite meramente come intermediari di spazi… È chiaro infatti che una concessionaria non potrà mai essere chiamata a un lavoro di quel genere: noi saremo fornitori di dati specifici e specialistici ma per così dire di parte, mentre il ruolo delle agenzie sarà quello di raggruppare tutti i dati disponibili degli altri fornitori (editori e concessionarie) e degli stessi clienti prima di effettuare le loro decisioni di pianificazione, di acquisto e di allocazione dei budget”. Stefano Spadini (Havas Media), precisa però un aspetto importante: “I dati behavioural di prima parte, generati e gestiti da un’azienda relativamente ai propri clienti o prospect, sono una delle più potenti armi che si sono aggiunte alla lunga serie di strumenti di comunicazione. Non sono però sostitutivi a nulla: cambiano magari i pesi, ma tutti gli strumenti più o meno nuovi che si sono sempre usati tendenzialmente si continueranno ad usare. Big data e behavioural data sono soprattutto da sfruttare negli ultimi passi del customer journey: le prime fasi di questo percorso sono e probabilmente resteranno più appannaggio di un mondo di Audi che deve certo modernizzarsi come sistema ma resterà comunque prezioso per tutti. Non

Giuseppe Vigorito, Sales Manager e Membro del CDA NetMediaClick

dimentichiamoci poi che questa situazione cambia molto da settore a settore: in alcuni mercati le marche hanno già moli di dati di prima parte per la natura intrinseca del loro business model, in altri quella dei dati di prima parte è una sfida tutta da costruire e probabilmente non coinvolgerà mai grandi fette di consumatori che resteranno ancorati a processi di acquisto tradizionali senza particolari interazioni con il Brand”. Riferendosi allo specifico di Auditel, Jaime Ondarza (Turner), lo considera “Un sistema che ha tutt’ora una grandissima validità, prova ne è il fatto che viene utilizzato ed è il mezzo di riferimento di tutto il mercato televisivo. Non vedo una dicotomia tra Auditel Nielsen e Big Data. Auditel è un sistema che utilizza delle tecnologie e Big Data ne è un miglioramento, un arricchimento che può fornire nuove interessanti opportunità. Non parlerei di ‘deus ex machina’ ma di evoluzione. L’esigenza rimane la stessa, quella dei clienti, dei centri media e degli editori di monitorare la fruizione del media”.

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Stefano Spadini, CEO Havas Media

Il ‘caso’ AudiOutdoor “Nel suo ‘piccolo’, l’Out of Home quest’anno ha fatto un grande passo avanti – ricorda Alberto Cremaschi, Managing Director Kinetic –. È stata, infatti, lanciata la nuova AudiOutdoor che ha visto l’integrazione e l’ampliamento di nuovi ambienti e formati - aeroporti, metropolitane, autostrade, mezzi di superficie urbani – permettendo, così, a noi Specialist di dare valutazione più complete e strutturate delle pianificazioni. Era impensabile e molto limitativo fornire delle stime di audience riferendosi solo a poster e arredo urbano quando, la maggior parte delle volte, questi formati rappresentano solo una parte del planning. Alla luce di questo rinnovamento la Big Audi del nostro settore è sicuramente un riferimento importante, ma è solo un punto di partenza perché, purtroppo, non rappresenta ancora tutti i formati – un esempio su tutti le stazioni – e le principali concessionarie sul mercato. Kinetic sta spingendo affinché altre concessionarie aderiscano alla ricerca ma,

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nell’attesa, i dati di audience o di traffico che i singoli operatori riescono a produrre in autonomia sul proprio patrimonio fanno la differenza. Ogni formato di Comunicazione Esterna deve avere dei dati a supporto che ne avvalorino l’utilizzo”. Secondo Alessandro Loro (IGPDecaux), “La vera rivoluzione del digitale è che tutto si ‘partecipazionalizza’, tutto si ‘interattivizza’: quindi, teoricamente, non c’è più niente che non si possa misurare passo dopo passo e con la possibilità di attivare dei circuiti retroattivi per cui si fa una cosa, la si misura, si vede come funziona e immediatamente la si cambia, migliora e perfeziona in tempo reale. In una logica di questo tipo fornire dei meri dati di audience su un mezzo ha molto meno senso di una volta. Perché? Perché i dati di audience si rilevano sempre in un determinato momento che non è quello in cui il cliente pianifica. Quindi quando dico che un certo mezzo ha una certa audience devo pensare che avrà la stessa audience di quando ho fatto la ricerca: un esercizio che abbiamo sempre fatto tutti e che si basa sul presupposto che siccome in una certa fascia oraria quel tipo di programma ha sempre avuto 1 milione e mezzo di audience, anche nel giorno e nella fascia oraria pianificato dal cliente quel programma avrà sempre un 1 milione e mezzo di audience. Non è un ragionamento sbagliato ed è il migliore che si possa fare, ma alla fine è approssimativo”. Per questo, secondo Loro, presto o tardi anche le indagini di audience dovranno entrare nella nuova logica per essere usate come strumento predittivo, anche se poi il pianificatore sempre più si affiderà alla sperimentazione. “Oggi è possibile affinare il tiro così tanto che alla fine viene da dirsi chi se ne frega dei dati di audience: puoi


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andare direttamente a vedere cosa funziona e cosa non funziona della campagna grazie ai risultati immediati in termini di conversioni. Se ci pensiamo, non è un caso che molte aziende stiano dirottando quote sempre più importanti dei propri investimenti verso gli owned media, proprio perché i media ‘proprietari’ sono ipercontrollati da tutti i punti di vista, non solo da quello dell’audience ma anche – seppure entro certi limiti – del processo comunicativo”. “Stiamo parlando di una delle grandi sfide e opportunità che abbiamo di fronte a noi – afferma Paolo Dosi (Clear Channel Italy) –. Soprattutto con l’ultima release di AudiOutdoor sono stati fatti molti passi avanti nell’ambito della qualità dei dati di audience dell’Esterna e dei GRP’s, anche in un’ottica di copertura nazionale e multi asset. Ma come ho già avuto occasione di dire, è evidente che questo aspetto è necessario ma non più sufficiente: occorre infatti aggiungere a esso tutta una serie di altri dati e informazioni più precise che consentano di profilare chi passa accanto ai nostri impianti e che con questi interagisce. Di conseguenza tutte le aziende, le agenzie e gli specialist, e anche le concessionarie si stanno attrezzando e stanno investendo in questo senso soprattutto in termini di sviluppo delle risorse interne e del know-how. L’essenziale, infatti, non sarà tanto la costruzione e l’arricchimento dei database quanto la capacità di interrogarli, sintetizzarli, analizzarli e interpretarli per arrivare ad estrarre ciò che è rilevante ed efficace nel costruire la target audience per ciascuna campagna di ciascun cliente”. Ribadendo che le indagini di audience continueranno ad avere una loro validità Loro nota come non vada dato per scontato che nella pratica di tutti giorni resteranno l’elemento discriminante rispetto al quale

Alessandro Loro, Direttore Marketing IGPDecaux

si deciderà una pianificazione. “In fondo questa è la promessa della tecnologia, che spostandoti dall’audience alla conversione potrai scoprire come d’incanto che una volta strapagavi una trasmissione da 7 milioni di contatti ma avevi conversioni molto minori di quelle che si possono ottenere magari comprando una trasmissione che ha un decimo dell’audience ma costituita da un target più ‘committed’ e molto più disponibile a passare con facilità dall’esposizione all’acquisto. Quindi, per stare al caso dell’Out Of Home, analisti e data scientist utilizzeranno i dati AudiOutdoor come una delle fonti, non l’unica: il ruolo della ricerca in parte si ridimensionerà e il sistema non potrà più essere incentrato su questo genere di ‘costo pre-contatto presunto’. A quel punto – conclude Loro –, più che come strumento per valutare l’economicità di una campagna o la sua efficienza, l’indagine manterrà comunque la sua utilità nell’identificare e capire più a fondo il target a cui la marca si vuole rivolgere”.

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Sull’onda del cambiamento Abbiamo visto come la crescente disponibilità di dati e informazioni porta da un lato a una miglior conoscenza del consumatore e, contemporaneamente, a un incremento della misurabilità delle performance di ogni campagna: in questo scenario, perciò, anche i mezzi assumono una valenza e una funzione strategica ben oltre quella della pura e semplice copertura dei target

BBIAMO è parlato di trasformazione del mercato, di contenuti, dell’importanza dei dati e di programmatic. Ma una considerazione non ancora direttamente affrontata è quali conseguenze abbia avuto e stia avendo questa evoluzione sugli editori e le loro concessionarie. Non si può dire che si tratti di un ‘nuovo’ trend, perché i segnali sono visibili da tempo: è però un dato di fatto che, come è cambiata la domanda, così anche sul lato dell’offerta il digitale obbliga le loro strutture ad assumere un ruolo diverso e certamente più ‘consulenziale’. Una funzione che spesso, in passato, è stata assolta dalla concessionaria in occasione delle classiche ‘iniziative speciali’, ma che oggi in molti casi pare estendersi fino a coprire l’intero rapporto fra mezzo e cliente. È un’ipotesi azzardata? Qual è il percorso di innovazione da compiere in questo senso? E come si stanno adattando i protagonisti del mercato per rispondere a queste nuove esigenze alla velocità di un click? “Seguiamo attentamente questo trend – risponde Fabrizio Piscopo –, e anzi, più che seguire possiamo dire che ‘surfiamo’ sull’onda rapida dei cambiamenti del mercato. La rete vendita di Rai Pubblicità oggi è chiamata a svolgere un ruolo ‘consulenziale’ nei confronti del cliente unendo la tradizionale esperienza media a tutti i 60

nuovi saperi imposti dal mercato. Le nostra Direzione HR sta svolgendo un’azione straordinaria per formare, incrementare e accogliere, nuovo know-how all’interno della company”. In Rai Pubblicità, racconta Piscopo, è stato attivato ormai da tempo un processo di ripensamento dell’offerta commerciale per renderla sempre più cross-piattaforma e per creare sempre più coerenza tra i metodi di acquisto su tutti i mezzi di comunicazione: “Da quest’anno, per esempio, il nostro pubblico televisivo e radiofonico può interagire direttamente con i brand su stampa, tv, radio, cinema e media digitali mediante QR Code, Audio Tag, beacon Bluetooth e social media, arrivando anche a effettuare direttamente acquisti con un semplice touch. Sul fronte digital abbiamo introdotto la possibilità di acquistare in programmatic le inventory Rai di alta qualità delle app e dei portali Rai.tv e Rai.it. All’interno del nostro circuito cinematografico abbiamo introdotto il concetto di performance, vale a dire l ’acquisto di spazi a costo per contatto (CPC) su audience pregiate garantite e certificate Cinetel. In breve: siamo in continua evoluzione e visto che ormai è tutto estremamente dinamico abbiamo investito molto anche nel nostro Research, attento a


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Matteo Ferrara, Sales Manager e Membro del CDA NetMediaCLick

tutti i segnali, anche i più deboli, offerti dal mercato. Insomma guardiamo sempre con piacere i nuovi orizzonti: se le onde arrivano abbiamo imparato a sfruttare l’energia cinetica del nuovo senza timori reverenziali né particolare affezione per l’acqua passata”. “Cambiare ruolo nella direzione esplicitata dalla domanda è esattamente ciò che noi stiamo cercando di fare in Clear Channel –interviene il Ceo della concessionaria di esterna, Paolo Dosi –, dove da tempo abbiamo coniato l’espressione ‘from assets to audiences’, dagli impianti alle persone. In Europa questa è già recepita come realtà, mentre in Italia arriviamo sicuramente con un po’ di ritardo. In primis sul fronte della ricerca sul mezzo: come abbiamo già visto, non per la sua intrinseca qualità, ma per problemi legati alla frammentazione del mercato e alla mancata piena adozione da parte degli specialist. Ma sono aspetti che si stanno superando. Il nodo è ancora una volta

relativo ai dati: non possiamo più fermarci a quello che è semplicemente l’aspetto legato ai GRP’s e via dicendo, ma è fondamentale andare a integrare quei dati con altri più precisi e mirati. Torno a fare l’esempio delle informazioni recuperabili in ambienti come i centri commerciali, dove le persone sostano per oltre due ore, hanno ovviamente una fortissima propensione al consumo e sono assolutamente aperte a interagire con un brand se questo gli procura dei vantaggi prima dell’acquisto; e lo stesso vale negli ambienti aeroportuali, dove comunque le persone stazionano e sono aperte e ben disposte a interagire attraverso il telefonino con i messaggi pubblicitari”. Se quindi da questo punto di vista in Italia ci troviamo in una situazione in cui c’è parecchio terreno da recuperare, è anche vero, dice Dosi, che la strada è chiara e riusciremo velocemente a colmare questo gap: “Per noi un grosso contributo su questo fronte deriva dal supporto della casa madre, Clear Channel International, attraverso tutta una serie di case history originarie di altre parti d’Europa che per noi rappresentano un fortissimo acceleratore”.

Paolo Dosi, CEO Clear Channel Italy

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Fabrizio Piscopo, Amministratore Delegato Rai Pubblicità

Partnership di lunga durata La proposizione imprenditoriale di NetMediaClick, testimonia Matteo Ferrara, Sales Manager Saleas Manager Membro del CDA della concessionaria digital, ha già subito un forte cambiamento: “Nati 8 anni fa come concessionaria pura ed indipendente, focalizzata sull’e-mail marketing, oggi ci posizioniamo come dei veri e propri consulenti digitali. Grazie alle nostre competenze, i nostri servizi, le partnership esclusive e i progetti in house, siamo in grado di curareil cliente durante tutto il percorso, dall’ideazione della campagna fino al raggiungimento dei risultati desiderati. Lo possiamo supportare attraverso i principali canali (DEM e Lead Generation, Display e Video, Social e Progetti Speciali, Mobile) scegliendo le pianificazioni più idonee sfruttando il contributo di NetMediaLAB, il consorzio di reti di imprese istituito nel 2014. Attraverso il laboratorio offriamo ai clienti l’opportunità di capire, e soprattutto misurare, le potenzialità di uno strumento

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che agisce su alcuni parametri cognitivi difficilmente identificabili, quali la brand experience e la reazione in termini di percezione/attenzione/emozione nei confronti di uno stimolo pubblicitario, utilizzando le neurotecnologie”. E su questa strada NetMEdiaClick intende proseguire: “Nei prossimi anni vogliamo aumentare la fiducia dei clienti che con continuità hanno deciso di investire sulla nostra azienda e sulla nostra professionalità, ricercando nuovi servizi innovativi, in grado di offrire strumenti ad alto valore aggiunto”. Benché con una storia più lunga alle spalle, anche Turner ha puntato sulla partnership con i clienti sfruttando alcuni asset unici: “Il mercato – osserva Jaime Ondarza – si sta allineando a quella che è, in Turner, una filosofia sposata da tempo. Per fare un esempio eloquente, già dai primi Anni Novanta il nostro reparto commerciale si chiamava ‘Turner Media Solution’, perché avevamo intuito che nel rapporto con il cliente non è possibile porsi come venditore di spazi ma bisogna essere partner e sviluppare una collaborazione a 360°”. Ma non basta, prosegue, infatti: “Noi siamo fra le poche aziende al mondo ad avere dei brand, ricchi di contenuto, che non si limitano a un solo media ma che vivono in televisione, al cinema, nell’universo digitale e anche negli store grazie al nostro dipartimento Licensing & Merchandising. Il rapporto fra noi e i nostri clienti è una partnership di lunga durata dove il valore per i clienti è anche un valore importante per noi”. L’orientamento al marketing e la necessità di un gioco di squadra sono i tasti su cui insiste Alessandro Loro: “Come chiunque abbia letto o studiato Philip Kotler sa perfettamente, e parliamo di manuali di 40


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Se la mettiamo in termini cestistici diciamo che chi mette la palla nel canestro è sempre il venditore, mentre il marketing deve specializzarsi nel ruolo di playmaker, di chi fa gli assist o di chi disegna lo schema e lo fa imparare ai giocatori. E come sempre tutti i ruoli e tutte le componenti sono importanti nel fare canestro”.

Jaime Ondarza, Senior Vice President and General Manager Turner South Emea and Africa

anni fa, il marketing deve procurare domanda per i prodotti dell’azienda. Quindi che occorra ‘cambiar pelle’ ed essere più marketing oriented in IGPDecaux lo abbiamo capito da tempo. Diciamo che questa maggiore consapevolezza fa ancora fatica a tradursi in comportamenti: qualcosa abbiamo fatto cominciando a rivedere alcuni ruoli alla luce dell’innovazione tecnologica in atto, ma in modo occasionale, opportunistico e tattico anziché strategico. Abbiamo comunque cominciato a muoverci nella direzione che il marketing ha auspicato per anni, e questo già lo considero parte del percorso di innovazione. Un aspetto importante è che il ruolo del marketing cambia non solo rispetto ai clienti e ai prodotti, ma anche internamente, nei confronti delle vendite: procurare domanda, infatti, vuol dire anche procurare opportunità all’organizzazione commerciale che deve fare comunque ‘l’ultimo miglio’ e che resta il canale privilegiato di veicolazione di informazione al cliente.

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La scoperta dell’America Nel 2015 abbiamo assistito a un’esplosione inaudita di gare media. Partite dagli USA ma in gran parte globali, si stima che abbiano messo in gioco più di 25 miliardi di dollari di budget. Le ragioni? Il mutato scenario digitale e la ricerca di massima efficienza. Ma anche l’ombra scesa per la prima volta sul mercato statunitense in tema di ‘rebates’ e trasparenza

JON MANDEL: chi era costui? Nonostante nel giro di pochi mesi sia tornato nella semi-oscurità come un qualsiasi Carneade, ‘costui’ è l’ex manager della statunitense Mediacom che con alcune sue dichiarazioni potrebbe aver innestato un vero e proprio big bang. Pur non lavorando in seno a un’agenzia media da 10 anni, attualemnte è Ceo di una società di consulenza nell’ambito del media (Dogsled Enterprises) e Ceo di una società di marketing analytics (PrecisionDemand), Mandel ha specificato che le fonti delle sue dichiarazioni sono colloqui avuti con executive attualmente operativi nel settore che hanno parlato con lui a titolo confidenziale. Ma cosa ha detto Mandel di preciso? “Sono convinto che la media industry stia attraversando la fase meno trasparente della sua storia – ha affermato –. Le agenzie media non sono all’altezza della fiducia che i clienti ripongono in loro e spesso superano la linea dei comportamenti accettabili in una partnership. Le loro azioni non sono sempre trasparenti: a volte raccomandano o implementano strategie media non in linea con gli obiettivi o addirittura contrari agli interessi dei clienti per puro profitto personale”. Nel corso di una conference organizzata dalla ANA (Association of National Advertisers, omologa statunitense della nostra UPA), Mandel ha mostrato un documento in cui un’agenzia e 64

una concessionaria stipulavano una commissione standard del 2%, accordandosi però per un 9% extra stabilito sulla base dei volumi di investimento. Questi extra, ha aggiunto Mandel, non sono necessariamente riconosciuti ‘cash’ ma in spazi gratuiti che poi le agenzie rivendono ai clienti, sono oggetto di programmatic trading o liquidati attraverso operazioni di bartering. E questo avviene su larga scala su tutto il mercato americano, dal digital alla Tv. “Com’è possibile – ha proseguito – che nonostante il crollo dei fee i profitti delle agenzie siano continuamente aumentati? Il totale degli investimenti pubblicitari americani oscilla da sempre fra l’1% e l’1,25% del Pil USA: se le agenzie crescono a tassi di gran lunga superiori a quello del Pil è chiaro che il denaro debba arrivare loro da qualche altra parte”. La maggior parte di questi rebates avviene a livello di holding, secondo Mandel, dove sono molto meno tracciabili e anche gli auditor non riescono ad arrivare. Sulla scorta delle polemiche suscitate da queste dichiarazioni, la stessa ANA ha costituito una task force dedicata a chiarire se e quanto questo ‘lato oscuro’ del media business sia diffuso, ed eventualmente intervenire per risollevare l’indice di fiducia degli operatori della media industry lungo tutta la sua catena del valore.


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DICEMBRE 2014/MAGGIO 2015: 25 MILIARDI DI $ IN GARA SETTORE AZIENDE Automotive BMW Daimler Volkswagen Bevande Coca-Cola * Cosmetici Coty L’Oréal Servizi Finanziari Citigroup * Visa Wells Fargo * Media 21st Century Fox Largo Consumo General Mills J&J Mondelez Procter & Gamble SC Johnson Unilever Distribuzione Sears/Kmart * Altri BASF Sony Royal Caribbean Note: * solo USA Fonte: elaborazione ADC Group su news di stampa internazionale

Lo tsunami dei global pitch Come detto, le dichiarazioni di Mandel che abbiamo riportato sono state rese pubblicamente nel corso di uno speach dello scorso marzo, ma la sua prima uscita in proposito risale alla fine del 2014 quando fu ripresa da tutti i media di settore americani sollevando quindi, fin dall’inizio dell’anno, una prima serie di interrogativi su quanto tali pratiche non–trasparenti fossero davvero diffuse. Come non hanno mancato di osservare numerosi analisti del mercato americano, compresi consulenti specializzati nell’assistere le aziende nei processi di selezione dei propri media partner, esattamente in quei mesi è partita una

violentissima ondata di gare media – non solo USA, e anzi per la maggior parte globali – che ha fatto parlare di un vero e proprio Tsunami del valore complessivo superiore ai 25 miliardi di dollari. Solo per citare alcuni dei nomi più in vista: Procter & Gamble, L’Oréal, Johnson & Johnson, Unilever, 21st Century Fox, Sony, CocaCola, Volkswagen, Coty, BMW, Visa… A un certo punto, hanno scritto i media USA, ci si è trovati nella nuova e incredibile situazione in cui c’erano più gare aperte che agenzie disponibili a partecipare, vuoi per questione di conflitti di interessi, vuoi perché già impegnate su troppi fronti. 65


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La domanda che più o meno chiunque nel settore si è posto in quel periodo è stata su quali fossero le cause del fenomeno, ed è qui che il discorso – almeno in parte – è stato ricollegato alle affermazioni di Mandel. Secondo quanto dichiarato alla stampa americana da Greg Paull, CEO della società di consulenza R3 Worldwide, per esempio, “Almeno due terzi della gare indette negli ultimi mesi sono stati innescati dal dibattito sui rebates. Il management delle aziende chiede al proprio marketing di spostare una sempre maggior quota di risorse verso il digital, ed è quella l’area in cui gli accordi e le trattative sono più ‘variabili’ e a rischio”. Analoga opinione è stata espressa da Lesley Klein, senior vice president di MediaLink, altra società specializzata in consulenza nell’area del media e della comunicazione: “La trasparenza è uno dei fattori in discussione in tutte le gare di cui ci stiamo occupando – ha detto infatti –. Per alcuni clienti abbiamo steso contratti in cui si fa esplicita richiesta di ciò che l’azienda si aspetta dall’agenzia sul tema dei diritti di negoziazione fin dalla RFP (Request For Proposal), e in altri casi la richiesta di trasparenza ha portato a rinegoziare completamente il contratto fra cliente e agenzia entrando nello specifico del tema dei rebates, dei costi della online inventory, dei fee e dei compensi”. La replica delle holding “Non esiste una crisi sui rebates negli Stati Uniti – ha perentoriamente affermato il Ceo di WPP, Sir Martin Sorrell lo scorso giugno nel corso della sua conferenza stampa al Palais du Festival di Cannes –: sottintenderlo o suggerirlo equivale a fare dell’inutile quanto assurdo allarmismo”. La trasparenza è necessaria, ha aggiunto, “Ma tutti i numeri di WPP e delle sue agenzie, in termini di billing, fee, fatturato e risultati netti, sono già pienamente trasparenti. Mi piacerebbe che anche i nostri competitor lo fossero

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Sir Martin Sorrell, Ceo WPP

attrettanto… E non mi riferisco solo al perimetro delle agenzie, perché i problemi di trasparenza sono spesso altrove: chi sa come funzionano gli algoritmi di Facebook o di Google? In termini di profittabilità, il margine di un’agenzia media varia fra il 10% e il 16% al netto. Vogliamo parlare dei margini di Facebook e Google che si avvicinano spesso all’80%-90%?”. A un’ulteriore e più specifica domanda sui diritti di negoziazione Sorrell ha risposto che “I DN non ‘capitano’ sui mercati per caso. Quando sconti e rebates sono vietati – come in Francia dalla Loi Sapin, che proibisce alle agenzie l’acquisto di spazi ‘all’ingrosso’ da rivendere al dettaglio ai singoli clienti, e che fra l’altro è stata estesa pochi mesi fa per includere in questo discorso anche tutti i media digitali – il mercato e la remunerazione delle agenzie si adattano di conseguenza in termini di fee e commissioni, creando un differente equilibrio”. Anche il Ceo di Interpublic, Michael Roth, afferma senza mezzi termini che “Negli Stati Uniti non ci sono rebates. In altre parti del mondo sono una pratica diffusa e fanno parte della remunerazione delle agenzie, ma almeno per quel che riguarda IPG sono sempre parte di un processo contrattualizzato e alla luce del sole con ciascun cliente”. Non sempre è stato così, ha ammesso Roth:


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Michael Roth, Ceo Interpublic

“Quando sono entrato in Interpublic, 10 anni fa, il Gruppo era sotto la lente investigativa della SEC per diverse ragioni, una delle quali proprio il discorso dei rebates non contabilizzati. Ma nell’ultima decade le cose sono sempre state completamente trasparenti”. Dando il loro parere sulle ragioni che hanno spinto così tante aziende a indire un pitch media, Sorrell e Roth hanno entrambi evidenziato come la prima causa sia da ricercare nello scenario mediatico sempre più complesso che costituisce una sfida per i clienti, unito al desiderio da parte loro di poter avere a disposizione strumenti e talenti di prima catgoria per ogni loro esigenza di planning e buying. Altro fattore rilevante, ha detto Roth, è che molte gare sono partite per la semplice scadenza contrattuale che periodicamente, di solito ogni tre anni, porta alcune aziende a verificare la propria posizione nei confronti di diversi partner. Ultimo ma non ultimo, hanno notato i due Ceo, il fatto che alcune delle grandi multinazionali coinvolte hanno deciso di razionalizzare il numero di sigle specializzate di cui si servono abitualmente, in favore di agenzie capaci di fornire soluzioni integrate nell’intero range di discipline che fanno capo al marketing aziendale. Non mancano in effetti esempi di gare dichiaratemente intenzionate a consolidare

il business affidandosi a un minor numero di agenzie – una su tutte quella indetta da Procter & Gamble –, con un chiaro duplice scopo: da un lato ridurre gli sprechi e fare saving, dall’altro facilitare la gestione dei rapporti con l’AOR (la Agency Of Record, cioè la sigla di ‘riferimento’), assicurandosi da parte sua il maggior coinvolgimento possibile in termini di tool, tecnologie e talenti. Nelle gare di quest’anno, conferma Joanne Davis, Presidente della società di consulting che porta il suo nome, la motivazione dei clienti è andata oltre il taglio dei costi: “La priorità è diventata l’efficacia in un ecosistema di marketing completamente nuovo rispetto al passato. I marketer hanno bisogno di partner in grado di aiutarli nel passaggio sempre più serrato verso il digitale, e lo hanno chiaramente espresso nei brief consegnati alle agenzie, dove inoltre si trova spesso la richiesta esplicita di una consulenza su come strutturarsi internamente per lavorare in partnership con l’agenzia stessa nel miglior modo possibile”. Le ‘reazioni’ in Italia Tornando dentro i nostri confini ci domandiamo dunque se, come e quanto questo fenomeno globale sia stato avvertito anche ai ‘confini dell’impero’ dalle sigle italiane? Mentre possiamo davvero dire che le problematiche ‘nostrane’ sul fronte della trasparenza siano definitivamente risolte? “La citata esplosione di gare ha riguardato in particolare il mercato americano, con minori ricadute su quello europeo – risponde Vittorio Bonori (ZenithOptimedia) –. Per quanto riguarda ZenithOptimedia, siamo molto felici ed orgogliosi di aver riconquistato la fiducia di clienti importanti che, a seguito di una gara, ci hanno riconfermato come il miglior partner strategico su questo mercato. Mi riferisco a eni, Lactalis ed Eurobet. Queste sono state le sfide ‘in difesa’

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per il 2015. Sul finire dell’anno siamo ancora impegnati in importanti consultazioni ‘in attacco’ che mi auguro ci possano consegnare ulteriori grandi soddisfazioni per il 2016. Diversa la sensazione di Gian Paolo Tagliavia: “IPG Mediabrands nell’ultimo triennio è stata molto attiva per quanto riguarda le gare, ma su questo fronte credo che il 2015 sia stato un vero bagno di sangue! Io lavoro in questa industry soltanto da due anni, ma posso garantire che nessuno di quelli che conosco nel settore ricorda una situazione come questa per le gare media. La stragrande maggioranza è stata globale: l’unica gara locale, che peraltro ci ha ‘premiato’, è stata quella Coca-Cola vinta da UM lo scorso agosto negli Stati Uniti. Francamente sono stupito di come qualcuno possa sottovalutare questo dato: la stragrande maggioranza delle gare è stata indetta a livello globale. Molti dei pitch ci hanno visto e ci vedono ancora impegnati a livello locale con un grande impegno dei diversi team. Siamo attivi su diverse gare globali sia con l’ufficio di Milano sia con quello di Madrid”. Secondo Tagliavia ci sono due aspetti da considerare in proposito: “Uno molto concreto, legato alla ricerca di efficienza da parte degli headquarter delle grandi multinazionali a caccia di saving, in un panorama economico che da poco ha superato un periodo di recessione e mostra nuove opportunità di business. L’altro che riguarda la ricerca del ‘vero volto dell’agenzia del futuro’ da parte delle aziende che fronteggiano trasformazioni radicali del mercato, ovvero la Digital Trasformation di cui abbiamo parlato prima. Si tratterà quindi di un’agenzia media che integra più prodotti? Di un’agenzia media ‘fusa’ insieme a un’agenzia creativa? Di un’agenzia digitale? Di un’agenzia a servizio completo?” A ben guardare, prosegue, entrambi gli aspetti convivono: “Si cerca di capire non soltanto quale potrà essere il partner di comunicazione, ma anche quale forma esso dovrà avere nei prossimi

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anni, cercando allo stesso tempo di fare saving. Dirò di più: non mi stupirei, infatti, se soprattutto nei paesi più avanzati le aziende invitassero ai pitch creativi anche agenzie media, e alle gare media anche agenzie creative. Quest’ultima cosa, peraltro, mi risulta sia già successa negli Stati Uniti più di una volta”. Come si partecipa quindi a una gara ‘diversa’ di questo genere? “Mettendo a fattor comune tutte le componenti di tutte le agenzie del gruppo e abbattendo i muri, mettendo insieme dei team interdisciplinari all’interno delle diverse agenzie – risponde Tagliavia –. E per farlo una delle caratteristiche più importanti è avere dei Ceo disposti a mettersi al servizio delle agenzie piuttosto che voler necessariamente guidare il processo”. Nessun ‘effetto rebates’ “In Italia i DN sono un normale elemento negoziale, contrattualmente regolato – chiosa Stefano Spadini (Havas Media Group) –: non so dire se questo elemento abbia generato negli Stati Uniti l’ondata di gare di questi ultimi mesi. Certamente non è stata una causa delle gare locali”. L’ottimizzazione del budget è una legittima aspettativa delle aziende, aggiunge Spadini, ma sottolinea come queste dovrebbero “Prestare altrettanta attenzione al valore dell’investimento media, oltre che al semplice sconto ottenibile: credo infatti che si verificherà un aumento dei prezzi particolarmente pronunciato per gli spazi media qualitativamente più meritevoli e a una sostanziale tenuta degli spazi meno qualitativi. Assisteremo a un ampliarsi di questa forbice e sono convinto che gli investitori più accorti sapranno cogliere questa opportunità”. “Per quanto riguarda il discorso su rebates, DN e trasparenza – conferma Bonori –, credo che non si possano fare raffronti tra il mercato USA e quello italiano. Riferendomi a quest’ultimo, posso dire solo che il tema dei diritti di


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negoziazione è stato ampiamente affrontato con i clienti e nelle sedi associative. Siamo società quotate in Borsa e sottoposte a continui audit e controlli, interni ed esterni. Si tratta di una materia contrattualizzata da diversi anni e gestita nel rispetto delle più severe regole di trasparenza!”. “Anch’io ho seguito le polemiche americane sui rebates – racconta Tagliavia –, ma ho l’impressione che fino a questo momento non abbiano trovato più di tanto seguito: da quanto mi risulta, infatti, sul mercato americano i r ebate non esistono. Non credo verosimile che le gare siano state indette perché c’era questo sospetto, non vedo un nesso tra le due cose. Per me le gare sono state chiamate per i due

motivi sostanziali detti prima. Le polemiche internazionali di cui ho notizia sono due e hanno riguardato da un lato l’intervento dell’ex manager di un centro media USA e dall’altro una diversa vicenda in Spagna. Ma negli ultimi mesi il fuoco iniziale si è gradualmente spento”. Non per nulla, ricorda Tagliavia, in Italia il dibattito sui diritti di negoziazione si è ormai talmente affievolito da essere praticamente scomparso: “È una cosa ormai regolata contrattualmente con i clienti e non c’è davvero motivo di fomentare ulteriori discussioni. Il tema è stato affrontato qualche anno fa, oggi è assolutamente trasparente ed è un elemento, oserei dire, strutturale del mercato”.

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A caccia di competenze Dopo decenni in cui si è parlato di frontiera tecnologica, oggi l’attenzione e la sfida si sposta nella selezione e formazione di profili specialistici in ambito digitale. È il capitale umano che si conferma asset principale e imprescindibile per lo sviluppo delle aziende italiane, e in particolare delle media agency.

CHE PIACCIA o meno esiste sempre più un’Italia a due velocità: quella della popolazione ancora vittima di un digital divide che, complice un territorio tra i più complessi d’Europa, è ancora una cruda realtà, e quella delle aziende, e in particolare delle grandi aziende nazionali e multinazionali, che stanno per essere investite da quella che è stata definita Digital Transformation. Rivoluzione o evoluzione che sia, il processo di costante e crescente inserimento di figure professionali ad alto tasso digitale, rischia paradossalmente di trovare ostacoli, non per una carenza di posti di lavoro, ma per una difficoltà a reperire sul mercato figure già formate. Una specie di provocazione per nulla divertente in un mercato del lavoro che langue ormai da anni, vittima di una delle recessioni più dure e tristemente longeve della storia. Il tutto con il rischio di creare una divisione anche in ambito corporate, non tra aziende connesse e non, ma tra aziende con competenze adeguate e altre che si troveranno a dover sopperire con formazione interna. Secondo la ricerca “HR Digital Leadership: nuove competenze e professionalità per guidare la trasformazione digitale” dell’Osservatorio HR Innovation Practice del MIP, la Business School del Politecnico di Milano, nel 2016 il 47% delle direzioni HR delle principali aziende saranno impegnate a inserire nuove figure ad alto tasso 70

Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice

digitale. Per avere la meglio nella corsa agli specialisti del digitale, una direzione su tre delle aziende italiane ha approvato un aumento di budget ICT a disposizione della propria divisione HR.


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1. NUOVE COMPETENZE E PROFESSIONALITÀ

Fonte: Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano, maggio 2015

E tuttavia questo incremento di budget potrebbe non bastare. Il 44% dei responsabili risorse umane intervistati dall’Osservatorio sostiene infatti di trovare difficoltà a reperire un Chief Digital Officer, così come profili di Data Scientist

e Chief Innovation Officer (32%) o ancora di Digital Strategist (24%). Un po’ più facili da reperire sul mercato sembrerebbero Digital Marketing Manager, eCommerce Manager, Chief Security Officer e Digital Media Specialist. 71


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A guidare le direzioni nella ricerca di esperti del digital è come sempre la direzione marketing che in una azienda su due (48%) inserirà nuove risorse con questo tipo di profili. Seguono appaiate, secondo le dichiarazioni aziendali, la direzione ICT e quella delle Risorse Umane. Staccate ma comunque coinvolte, con gradi diversi, appaiono tutte le altre divisioni aziendali, confermando che l’anglismo Digital Trasformation affibbiato al processo in atto non pare questa volta un’iperbole quanto piuttosto un processo in corso e rallentato solo da una ridotta disponibilità sul mercato delle risorse umane. Qualunque sia il ‘nuovo’ modello di business adottato, la trasformazione digitale implica per qualsiasi organizzazione il ricorso a nuove figure professionali: non più venditori o media planner, ma Data Scientists, Business Intelligence Analysts, DMP Technicians, Data Architects, Product Developers e via elencando… Anche questo è un passo per superare i ‘silos’ entro i cui confini ci si è mossi finora. Ma dove e come recuperare queste nuove figure professionali che è fra l’altro assai difficile formare internamente? Come aggiornare chi è invece cresciuto, professionalmente parlando, in un’epoca completamente diversa? In questo contesto di forte cambiamento i grandi player della comunicazione italiana hanno un punto di vista privilegiato. AAA cercasi digital expert Ma da dove deriva la carenza di profili digitali? Come spesso accade, è proprio il mondo accademico, che pur anticipando e studiando i trend, fatica in alcuni casi a organizzarsi per fornire al mondo del lavoro figure sufficientemente specializzate e tecniche. E infatti, come spiega Clear Channel, tranne in specifici casi, il mondo accademico stenta a tenere il passo con le richieste delle aziende, continuando a offrire corsi di laurea distanti dalle reali esigenze del mondo del lavoro. “Non è semplice, perché tranne forse la facoltà

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di Ingegneria che si è più avvicinata alle esigenze del mondo del lavoro, non tutte le università si sono evolute in questo senso – dice Paolo Dosi (Clear Channel) –. Qualcuno ha appena iniziato e sta elaborando una specializzazione in marketing che vada oltre le classiche analisi sulle variabili come prezzo, prodotto e via dicendo, ma focalizzandosi proprio sull’analisi e gestione dei dati. Nel nostro mondo in particolare ma credo non solo, chi svilupperà queste competenze sulla gestione dei dati non avrà grossi problemi a trovare un posto di lavoro nei prossimi anni. Oltre a questo, però, la cosa un po’ più sottile che noi stiamo cercando e che darà il vero valore aggiunto è la capacità di anticipare i trend o di individuarli. Di nuovo, quindi, persone con grandissime capacità di sintesi e di capire come di fatto si muova il mercato giorno per giorno, proprio per aggiustare iniziative di comunicazione che, a mio avviso, sono e saranno sempre più tattiche, o per meglio dire a breve e dal ritorno sull’investimento certo, piuttosto che strategiche e di più ampio respiro”. Se le università faticano a rispondere alla domanda, fornendo nuove leve pronte a essere arruolate nelle aziende, queste non restano con le mani in mano, ma trovano soluzioni alternative. I brand multinazionali, come spiega Turner, risolvono la cosa al proprio interno. “La nostra azienda, anche in questo ambito, beneficia della fortuna di lavorare su una scala internazionale – dice Jaime Ondarza –. Internamente possiamo contare su figure professionali di alto profilo e su una costante formazione volta a valorizzare ed aggiornare le risorse già presenti”. Una questione di confini Se Turner risolve il problema travalicando i confini nazionali, la questione richiede di essere affrontata anche secondo altri punti di vista, e in particolare con una ridefinizione delle linee di demarcazione tra on e offline che non possono


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2. NUOVE COMPETENZE E PROFESSIONALITÀ

Fonte: Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano, maggio 2015

più essere considerati mondi a sé stanti. Un concetto che viene ben rappresentato da Stefano Spadini (Havas Media): “Havas Media è stata tra le prime agenzie ad abbattere i silos tra on e offline e oggi anche le verticalità (search, performance, social e mobile) condividono spazi e progetti. Questo ci dà due vantaggi: a) una filiera di comando molto corta per meglio rispondere alle esigenze dei clienti; b) la possibilità di far lavorare a fianco di professionisti già esperti, giovani talenti che cresceranno insieme al business. È stato così per il search e il social, sarà così per mobile, data analyst e così via”. Se Havas suggerisce di cancellare la linea tra l’above e il below, Alessandro Loro (IGPDecaux) riprende lo spunto sui termini ‘centro media’ e

‘agenzia media’ già toccato in un precedente capitolo per sottolineare come sia anacronistico riferirsi alla divisione risorse umane, come ‘direzione del personale’. “Ci sono ancora tante aziende che continuano a chiamare chi si occupa delle risorse umane, ‘direzione del personale’, e non è solo una questione di etichetta. Come fra centro media e media agency, a cambiare è proprio il concetto: il centro media compra ‘bulk’ e l’unica cosa che deve fare è far valere la quantità per comprare bene; parlare di media agency vuol dire riconoscere che il media oggi è creatività pura – afferma –. Ed è chiaro che tra la prima impostazione e la seconda c’è un mondo che le divide. Lo stesso vale tra personale e risorse umane, soprattutto per aziende di servizi come la nostra dove il

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fattore umano è ciò che fa la differenza. Ciò premesso, noi da un lato ci siamo rivolti al mercato del lavoro cercando figure con competenze un po’ diverse, che provenissero da ambienti professionali differenti da quelli nei quali abbiamo pescato finora; dall’altro stiamo lavorando moltissimo su tutte le risorse interne per ‘riconvertirle’, e il processo di acculturamento è un processo ongoing, mai terminato, che riguarda e pesantemente anche il sottoscritto. Anzi, in ragione della mia veneranda età sono quello che più di tutti ha bisogno di un aggiornamento professionale continuo. Se per esempio dobbiamo dotare della necessaria infrastruttura tecnologica una stazione della metropolitana perché quella stazione possa erogare un servizio di wi-fi alla persona, abbiamo di fronte più strade: trovare un esperto di network che però difficilmente conoscerà il modo in cui una rete va implementata a fini pubblicitari in ambienti come metropolitane o aereoporti; oppure utilizzare qualcuno che già lavora qui e sa tutto degli ambienti ma non sa nulla della tecnologia. Entrambi avranno bisogno di un percorso di formazione, in un senso o nell’altro, ed entrambi dovranno dimostrare di possedere la capacità e la voglia di affinare quotidianamente le proprie competenze professionali. Infine, lavorando nel mondo della consulenza, una terza via è quella di avvalersi comunque del parere di esperti: ma anziché andare sul mercato del lavoro a cercare risorse da assumere, si possono cercare le competenze offerte dagli specialisti aggregandoli in gruppi di lavoro misti, composti in parte di persone che lavorano qua e in parte da persone esterne”. Un percorso aziendale La crisi ci ha abituato a vedere immagini di lavoratori digeriti ed espulsi dalle aziende. Esattamente il contrario del percorso che stanno facendo oggi le media agency con le proprie

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risorse umane. Perché sia che li si trovi in ambito accademico, o che li si selezioni sul mercato del lavoro, i professionisti e le professioniste del digitale devono essere inserite in percorsi di continuo aggiornamento e formazione. E la formazione non riguarda solo questi profili, ma il complesso delle risorse umane, che devono alimentare la transizione verso il digitale di ogni cellula aziendale. Un principio che sembra stampato nel Dna di IPG Mediabrands: “È sempre un tema molto importante perché oggi, evidentemente, c’è bisogno di profili che non sono tipici di questa industry. Banalmente: le risorse da impiegare nell’area dei contenuti si andranno a cercare in case di produzione o addirittura dagli editori – il fenomeno del producer che passa dalla casa di produzione al centro media è ormai abbastanza consolidato. Sul fronte dei dati si cercano per esempio esperti di CRM che vengano a lavorare da noi dopo aver lavorato in una agenzia specializzata – dice Gian Paolo Tagliavia –. Poi c’è la parte altrettanto importante della formazione, in cui il lavoro principale va fatto su chi gestisce i clienti, perché sono questi i profili che devono avere la capacità di orchestrare le diverse discipline, sono loro che devono diventare non dei tuttologi, perché non sarebbe corretto, ma specialisti multidisciplinari, capaci cioè di impadronirsi degli aspetti essenziali di tutti i diversi vertical dell’agenzia. Come fare? Andandoli a prendere dove esistono e integrandoli in azienda, tenendo conto che la vecchia divisione fra off e on line sta diventando obsoleta e che sempre di più cerchiamo figure in grado di pianificare a 360 gradi. La strategia deve essere olistica, quindi anche nel caso dei planner servono persone il più possibile ‘complete’. Per i giovani che entrano nel nostro gruppo lavoriamo su programmi di formazione ‘non verticali’: facciamo cioè in modo che nel primo periodo in azienda possano passare più tempo possibile in tutte le diverse realtà, affinché


capitolo8

ricevano un primo bagaglio di conoscenze che gli sarà comunque utile quando entreranno in una unit verticale specifica. Tutto, però, dipende dai livelli seniority: perché una cosa è gestire il percorso professionale di un direttore clienti con 20 anni di esperienza, ben altra è lavorare su una persona appena assunta e sul tipo di percorso che può fare soprattutto nella sua prima fase di apprendimento”. Cliente sempre al centro Quale che sia la trasformazione questa deve mantenere al centro di tutto il cliente. Perché il punto focale, come conferma Amplifi, è sempre lo stesso: garantire valore aggiunto al cliente. “In un contesto in cui il media sempre di più sta diventando una commodity la vera sfida si sposta sulle capabilities e sulla capacità di creare valore aggiunto, Business Value, dove centrale è il ruolo delle persone – argomenta Massimo Fontana –. Sul cliente abbiamo sempre di più bisogno non di sola sensibilità media ma di veri e propri ‘Client Partner’ in grado di seguire il cliente per le diverse capabilities che a loro volta devono essere demandate a degli Specialist. Questa è la ragione per cui il nostro gruppo prima di altri ha deciso di darsi una forte trasformazione e riorganizzazione interna che va proprio in questa direzione. In termini di risorse umane da un lato stiamo reinventando le persone, nel senso più positivo del termine creando quindi tanta nuova energia, dall’altro abbiamo iniziato ad inserire in organico nuove professionalità che fino a qualche anno fa non avrebbero di certo trovato collocamento in una organizzazione di una Agenzia Media. Il contagio tra le culture sta creando qualcosa di veramente unico e vincente!” E così, anche una trasformazione digitale risulta customer centred piuttosto che technology centred e value driven anziché product driven. In un’ottica che, come chiarisce NetMediaClick, non può che essere di consulenza a tutto tondo.

“NetMediaClick sta affrontando un ampio processo di upgrade delle risorse interne grazie a un approccio consulenziale che ci consente di essere al passo con i nuovi trend e le nuove dinamiche. La ricerca di figure esterne – avverte Giuseppe Vigorito – è sicuramente molto complessa; le Università sono ancora indietro sulla formazione di figure professionali digital oriented, iniziano a nascere alcuni Master specifici o corsi di formazione, ma è ancora presto per parlare di cambiamento culturale. Ovviamente è fondamentale individuare persone pro-attive e curiose, prevalentemente giovani, con una forte passione ed una grande determinazione che possano contribuire in maniera costruttiva al cambiamento. NMC nel corso degli anni ha dato l’opportunità a circa 50 neo laureati di collaborare al raggiungimento dei nostri obiettivi e crescere professionalmente”. “Tecnologia, dati e talenti rappresentano per GroupM i tre assi fondamentali del suo posizionamento – dichiara Fides Tosoni –. Credo che oggi la vera difficoltà sia nella necessità di passare da una logica di ricerca e reperimento delle ‘giuste’ competenze a una logica di gestione dei talenti e della conoscenza. Non c’è dubbio che si richiedano alle agenzie media nuove competenze, nuove figure professionali e un modo di lavorare diverso, più integrato, ma proprio per questo ritengo sia fondamentale sviluppare sistemi che favoriscano la crescita di tali competenze all’interno dell’azienda, assicurando sharing e condivisione delle informazioni, delle lesson learned e della knowledge in senso allargato. Come? Assicurando una gestione dei talenti che sia cross aziendale e che abbracci l’intera organizzazione, in modo da portarli a una continua crescita professionale e a una formazione a tutti gli effetti always on, che sia fatta non solo in modalità tradizionale da accademia, ma che sia veramente on the job e che riguardi sempre più l’intera organizzazione e non specifici ruoli o individui.

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Tutti i numeri del mercato Nelle pagine seguenti, le tavole e i grafici con alcuni dei principali forecast sull’andamento del mercato italiano e mondiale degli investimenti pubblicitari per il 2015 da parte delle grandi agenzie media internazionali e non solo.

1. RECMA: OVERALL ACTIVITY BILLINGS 2014 (BY HOLDING) 2. RECMA: OVERALL ACTIVITY BILLINGS 2014 (BY COMPANY) 3. CARAT: LA CRESCITA DEGLI INVESTIMENTI ADV WORLDWIDE 4. CARAT: INVESTIMENTI WORLDWIDE PER MEZZO (Δ%) 5. CARAT: LA MARKET SHARE DEI MEZZI 6. CARAT: CRESCITA DEGLI INVESTIMENTI TV vs. DIGITAL 7. CARAT: MARKET SHARE TV vs. DIGITAL 8. MAGNA GLOBAL: FATTURATI PUBB LICITARI GLOBALI DEI MEDIA OWNER (2014–2016) 9. MAGNA GLOBAL: TOP 10 AD MARKETS 10. MAGNA GLOBAL: CRESCITA DEI FATTURATI PUBBLICITARI PER REGIONE (2014-2015) 11. CARAT: I KEY TRENDS NEL 2015/2016 12. MAGNA GLOBAL: I KEY TRENDS NEL 2015/2016
 13. PWC: SPESA PUBBLICITARIA NEL SETTORE ENTERTAINMENT & MEDIA IN ITALIA, 2010-2019

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1. RECMA: OVERALL ACTIVITY BILLINGS 2014 (BY HOLDING) Holding Company 2014 Ranking Ranking

Industry share % without indep.

Overall activity Growth rate Billings 14 vs. 13

1 1 GroupM/WPP 30,8% 106.041 8,3% Mindshare (2) 9,8% 33.659 7,0% Mediacom (3=) 9,5% 32.700 11,5% MEC (6) 7,8% 26.764 5,4% 2 // Publicis (Media agency branch) 23,1% 79.482 7,4% 4 SMG Starcom MediaVest Group 12,6% 43.257 7,7% Starcom MV (7) 7,7% 26.603 6,3% 6 ZenithOptimedia Group 10,5% 36.225 7,0% ZenithOptimedia (5) 8,4% 28.949 8,0% 3 2 OMG Omnicom Media Group 16,1% 55.393 7,6% OMD (1) 10,8% 37.197 6,9% 4 3 DAN Dentsu Aegis Network 13,4% 46.147 11,0% Carat (3=) 9,5% 32.700 6,6% 5 5 Mediabrands (Interpublic) 10,8% 37.152 6,9% 6 7 Havas Media Group 5,7% 19.628 9,1% TOTAL COMPANIES 100,0% 343.843 8,2%

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2. RECMA: OVERALL ACTIVITY BILLINGS 2014 (BY COMPANY) Ranking 2014 1

OMD

Omnicom Media

9,7%

37.197

6,9%

100

2 Mindshare GroupM

8,8% 33.659 7,0% 90

3=

Dentsu Aegis

8,6%

GroupM

8,6% 32.700 11,5%

88

7,6%

78

Carat

3= Mediacom 5

78

Industry Overall Activity Growth Rate Competition Share % Billings 2014 vs. 2013 Index

ZenithOptimedia Publicis

32.700

28.949

6,6%

8,0%

88

6 MEC

GroupM

7,0% 26.764 5,4% 72

7

Publicis

7,0%

Starcom MV

26.603

6,3%

72

8 UM

Mediabrands 4,9% 18.780 4,7% 50

9

Havas

4,5%

10 Initiative

Mediabrands

4,1% 15.548 8,6%

42

11

Omnicom Media

3,5%

36

12 Maxus

GroupM

3,0% 11.341 10,5%

30

13

Vizeum

Dentsu Aegis

2,5%

9.691

29,1%

26

14

Dentsu Media

Dentsu Aegis

0,6%

2.484

11,1%

7

15 Arena

Havas

0,6%

2.298 12,3%

6

16 BPN

Mediabrands

0,3%

1.186 20,0%

3

Havas Media

PHD

17.330

13.519

8,7%

10,0%

47


capitolo9

3. CARAT: LA CRESCITA DEGLI INVESTIMENTI ADV WORLDWIDE (% di crescita anno su anno a prezzi correnti)

2015f 2016f

NORTH AMERICA USA CANADA

4.2 4.5 4.3 4.5 2.5 3.0

WESTERN EUROPE UK GERMANY FRANCE ITALY SPAIN

2.6 2.9 6.4 5.5 1.6 1.7 0.1 0.7 0.5 0.7 6.9 6.9

C&EE RUSSIA

-6.0 1.6 -14.0 0.0

ASIA PACIFIC AUSTRALIA CHINA INDIA JAPAN

4.1 4.7 2.4 2.8 6.0 6.5 11.0 12.0 1.4 1.6

LATIN AMERICA BRAZIL

12.7 13.6 6.0 8.4

GLOBAL

4.0 4.7

Fonte: Carat Ad Spend Report, settembre 2015

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4. CARAT: INVESTIMENTI WORLDWIDE PER MEZZO (Δ%) TV QUOTIDIANI PERIODICI RADIO CINEMA OUTDOOR DIGITAL

2015 2016 2,6% 3,3% -4,4% -2,6% -2,0% -1,9% 1,3% 1,9% 4,7% 2,4% 3,4% 4,3% 15,7% 14,3%

Fonte: Carat Ad Spend Report, settembre 2015

5. CARAT: LA MARKET SHARE DEI MEZZI TV QUOTIDIANI PERIODICI RADIO CINEMA OUTDOOR DIGITAL

2015 2016 42,0% 41,3% 12,8% 11,9% 6,9% 6,5% 6,5% 6,4% 0,5% 0,5% 7,0% 6,9% 24,3% 26,5%

Fonte: Carat Ad Spend Report, settembre 2015

6. CARAT: CRESCITA DEGLI INVESTIMENTI TV vs. DIGITAL 2012 vs 2011 2013 vs 2012 2014 vs 2013 2015 vs 2014(f) 2016 vs 2015 (f)

TV DIGITAL 2,8 22,6 3,5 17,0 4,4 17,2 2,6 15,7 3,3 14,3

Fonte: Carat Ad Spend Report, settembre 2015

7. CARAT: MARKET SHARE TV vs. DIGITAL 2012 vs 2011 2013 vs 2012 2014 vs 2013 2015 vs 2014(f) 2016 vs 2015 (f)

TV DIGITAL 43,0 17,4 42,7 19,5 42,6 21,8 42,0 24,3 41,3 26,5

Fonte: Carat Ad Spend Report, settembre 2015

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capitolo9

8. MAGNA GLOBAL: FATTURATI PUBBLICITARI GLOBALI DEI MEDIA OWNER (2014–2016) TRADITIONAL MEDIA 2014 2015 2016 TV 195.653 197.916 208.407 %Δ 3,9 1,2 5,3 Market Share 39,6% 38,6% 38,6% QUOTIDIANI 68.090 64.103 60.005 Δ% -6,6 -5,9 -6,4 Market Share 13,8% 12,5% 11,1% PERIODICI 27.794 25.562 23.821 Δ% -8,1 -8,0 -6,8 Market Share 5,6% 5,0% 4,4% RADIO 32.379 32.654 32.711 Δ% 1,0 0,8 0,2 Market Share 6,6% 6,4% 6,1% OUT OF HOME *** 29.847 30.636 3.635 Δ% 4,3 2,0 3,3 Market Share 0,6% 0,6% 0,5% CINEMA 2.718 2.850 2.905 Δ% 3,2 4,9 1,9 Market Share 0,6% 0,6% 0,5% TOTALE MEZZI TRAD. 356.481 353.722 359.484 Δ% 0,5 -0,8 1,6 Market Share 72,2% 69,0% 66,6% TOTALE 493.975 512.994 539.745 Δ% 4,9 3,9 5,2

DIGITAL MEDIA 2014 2015 2016 SEARCH * 66.658 76.126 84.939 Δ% 15,0 14,2 11,6 Market Share 13,5% 14,8% 15,7% ONLINE VIDEO * 11.155 15.347 20.714 Δ% 46,4 37,6 35,0 Market Share 2,3% 3,0% 3,8% DISPLAY * 28.679 30.448 31.709 Δ% 7,8 6,2 4,1 Market Share 5,8% 5,9% 5,9% SOCIAL * 16.476 22.663 29.023 Δ% 60,9 37,6 28,1 Market Share 3,3% 4,4% 5,4% ALTRI FORMATI * 14.526 14.689 13.875 Δ% 6,8 1,1 -5,5 Market Share 2,9% 2,9% 2,6% MOBILE ** 32.729 49.959 68.149 Δ% 89,8 52,6 36,4 Market Share 6,6% 9,7% 12,6% TOTALE DIGITAL 137.494 159.272 180.261 Δ% 18,5 15,,8 13,2 Market Share 27,8% 31,0% 33,4%

(miliardi di dollari) * Include advertising desktop–based e mobile–based **Spesa pubblicitaria digitale su tablets e smartphone, in qualsiasi formato (search, display, video, social). *** OOH include formati Outdoor tradizionali e Digitali. Esclude la pubblicità cinematografica on-screen. Fonte: MAGNA GLOBAL, giugno 2015

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9. MAGNA GLOBAL: TOP 10 AD MARKETS Rank 2014 1 Stati Uniti 2 Cina 3 Giappone 4 Germania 5 UK 6 Brasile 7 Francia 8 Canada 9 Australia 10 Italia

$bn 2015 $bn 2019 $bn 163.7 Stati Uniti 166.2 Stati Uniti 190.9 45.9 Cina 49.7 Cina 62.7 40.7 Giappone 42.1 Giappone 44.7 25.1 UK (+1) 26.1 UK 29.5 24.7 Germania (-1) 25.6 Germania 27.9 17.3 Brasile 18.1 Brasile 23.8 13.9 Francia 13.9 Canada (+1) 15.0 12.8 Canada 13.1 Francia (-1) 15.0 11.6 Australia 12.0 Australia 13.9 9.3 Italia 9.3 India (+1) 12.8

(miliardi di dollari) Fonte: MAGNA GLOBAL, giugno 2015

10. MAGNA GLOBAL: CRESCITA DEI FATTURATI PUBBLICITARI PER REGIONE (2014-2015)

Fonte: MAGNA GLOBAL, giugno 2015

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11. CARAT: I KEY TRENDS NEL 2015/2016 • Nel 2016 l’advertising a livello globale subirà un’accelerazione e crescerà del +4,7%, in linea con le attese di una maggior crescita economica mondiale per il prossimo anno, spinta anche dagli eventi quadriennali (Olimpiadi ed elezioni USA) • Le stime di crescita formulate a marzo sono state ribassate dal +4,6% al +4% in seguito al peggioramento della previsioni per la pubblicità nelle regioni dell’Europa Centrale e dell’Est e nell’AsiaPacifico, raffreddate da un andamento più lento del previsto nei mercati Russo e Cinese. • La situazione dell’Europa Occidentale è stabile con una crescita consistente anno su anno del +2,6% nel 2015 e del +2,9% nel 2016, spinta dall’ottimo momento della Gran Bretagna e della Spagna • La crescita del mercato USA nel 2015 sarà del +4,2%, marginalmente superiore alla media globale del 4,0%, fino a superare i 203 miliardi di dollari. • Nella regione dell’Asia-Pacifico brilla in positivo il mercato indiano, con prospettive di crescita del +11% nel 2015 e del +12% nel 2016. • Gli investimenti nel settore digital continueranno a crescere a doppia cifra: +15,7% nel 2015 e +14,3% nel 2016, superando le previsioni formulate lo scorso marzo e nonostante la riduzione delle previsioni globali. • La quota del digital sul totale investimenti adv continua a crescere anno dopo anno e raggiungerà il 24,3% nel 2015, salendo al 26,5% nel 2016 e ancora una volta superando le previsioni dello scorso marzo. • La crescita del digital è trainata da Online Video, Programmatic e Mobile. Alla fine del 2015 le transazioni programmatiche varranno il 52% degli investimenti digital (escludendo la search) del mercato USA, e continueranno a crescere di circa il 20% all’anno. Complessivamente, il Mobile è fra tutti i mezzi quello in cui si registra una maggior crescita degli investimenti: secondo Carat tale crescita sarà del +51,2% nel 2015 e del +44,5% nel 2016. • La Tv rimane il mezzo dominante a livello globale, mantenendo a fine 2015 una quota del 42% del totale investimenti pubblicitari mondiali.

12. MAGNA GLOBAL: I KEY TRENDS NEL 2015/2016 • Globalmente, i fatturati pubblicitari dei venditori di spazi media cresceranno del +3,9% nel 2015, raggiungendo i 513 miliardi di dollari. Questa previsione è di circa un punto inferiore rispetto alla precedente (Magna Global stimava un +4,8% a dicembre 2014), e rappresenta un rallentamento rispetto al +4,9% segnato lo scorso anno • Il rallentamento del 2015 rispetto all’anno precedente è in gran parte da attribuire all’assenza in un anno dispari di grandi eventi come le elezioni USA di mid-term, i Mondiali di Calcio o i Giochi Olimpici Invernali che hanno generato una maggior spesa nel 2014. Escludendo la spesa incrementale dovuta a questi eventi, la crescita globale sarebbe sullo stesso livello del 2014. • Dei 73 paesi analizzati da Magna Global, in 55 casi le stime di crescita nel 2015 sono state riviste al ribasso. I contributi principali a questa riduzione hanno origine in due dei paesi ‘BRIC’: la Russia, dove ora si prevede un calo del -11% dei fatturati pubblicitari, e il Brasile, che quest’anno crescerà

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del +4,4% rispetto al +5,9% stimatto in precedenza. Anche se in misura minore, le stime sono state ridotte anche per gli USA (da +2,7% a +1,6%), la Cina (da +8,6% a +8,1%) e il Canada (da +3,4% a +2,7%). • Sul fronte opposto, le revisioni al rialzo più marcate riguardano la Spagna (da +5,6% a +8,6%), e la Gran Bretagna (da +4,7% a +5,6%), grazie a mercati pubblicitari più vivaci rispetto alle atese di inizio anno. Meglio del previsto sono andati anche la Francia (+0,3% rispetto al -1,1%) e Giappone (da +2,7% a +3,4%). • Negli USA, i fatturati pubblicitari dei media cresceranno del +1,6% nel 2015 toccando i 166,2 miliardi di dollari. Escludendo i driver della crescita stagionale del 2014 (elezioni e olimpiadi invernali), il risultato diventa del +3% – mostrando quindi un’accelerazione rispetto al +1,6% del 2014, dovuto al continuo miglioramento del quadro macro-economico degli Stati Uniti. • Come previsto, la spesa adv crescerà in Europa Occidentale per il secondo anno consecutivo per untotale del +3%. Ciò sarà il risultato di crescita più elevate in UK, Spagna, Portogallo e Grecio che controbilanceranno gli andamenti ancora piuttosto lenti di Francia e Italia. • La previsione 2015 per l’Europa Centrale e dell’Est è stata ribassata al -1,8% per riflettere i massicci problemi economici che Russia e Ucraina stanno affrontando. In effetti, escludendo la Russia, il risultato complessivo di questa regione nel 2015 sarebbe un ben diverso +5,9%. • Grazie ai mercati di Cina, Australia e Giappone, la regione Asia-Pacific crescerà quest’anno del +6,3% (toccando i 147,2 miliardi di dollari complessivi). Il rallentamento del Brasile nel primo semestre di quest’anno ha portato Magna Global a tagliare le stime per il mercato Latino Americano, che crescerà del +9,9% anziché del +12,9% previsto inizialmente. • Il rallentamento di Russia, Brasile e, anche se minore, Cina, vuol dire che i BRIC non sono più il potentissimo propulsore del mercato pubblicitario degli ultimi 5 anni: la crescita complessiva di questi 4 paesi (India inclusa) sarà del +5,5% nel 2015 anziché del +7,2% previsto inizialmente. • L’advertising sui media digitali crescerà ancora una volta a doppia cifra: +16% nel 2015 (per un totale di 149 miliardi di dollari), trainato da Mobile (+53%, pari a 50 miliardi di dollari), formati Video (+38%, 15,4 miliardi di dollari) e Social (+38%, a quota 22,7 miliardi). Il fatturato complessivo del digital raggiungerà globalmente una market share del 31% sulla spesa totale. Al suo interno, Il Mobile rappresenterà a fine 2015 una quota del 30%, per arrivare al 55% entro il 2019. • Nel 2014 il digital era già la prima categoria media per fatturato in 13 dei 73 paesi analizzati da Magna Global, fra i quali UK, Germania, Australia, Canada, Cina, Svezia e Olanda. Tale numero salirà a 14 nel 2015 e a 23 entro il 2018. E sempre entro il 2018, con un anno di anticipo sulle previsioni di lungo periodo, il digital ci sarà il sorpasso sulla televisione a livello globale, con una quota del 38% per il digital e del 37,7% per la tv. Negli USA tale sorpasso avverrà già nel 2017. • A fine 2015 la crescita delle revenue televisive risulterà più lenta rispetto all’anno precedente per la mancanza di ‘grandi eventi’ ma anche per la continua erosione di ascolti della tv lineare nella maggior parte dei mercati considerati e per la crescente competizione da parte dei formati video digitali: tale crescita si assesterà al +1,2% (198 miliardi di dollari). • Le revenue della Stampa continueranno il loro lungo e lento declino: -5,9% per i quotidiani e -8% per i periodici. La Radio rimarrà stabile (+0,8%, 32,7 miliardi di dollari) e l’Out Of Home crescerà del +2,8% (raggiungendo i 33,5 miliardi di dollari). Per la prima volta dopo la crisi del 2008/2009, il fatturato combinato dei media tradizionali sarà negativo: -0,8%.

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Fonte: PwC, Ovum

NB: le stime e i forecast prodotti dai modelli econometrici applicati da PwC, oltre che perimetri non totalmente coincidenti per i diversi mezzi, non sono confrontabili con i dati e le informazioni di tipo censuario raccolte da altri istituti di ricerca: nel caso dell’Outlook, infatti, ciò che conta non è tanto il dato sul singolo anno ma il trend evolutivo che i modelli disegnano sul medio periodo.

Total advertising market (€ millions) Historical data Forecast data CAGR % 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2014/2019 Business-to-business 1.753 1.683 1.356 1.182 1.087 1.046 1.008 983 964 954 y-o-y growth -4,0% -19,4% -12,8% -8,1% -3,8% -3,6% -2,5% -2,0% -1,0% -2,6% Filmed entertainment 45 38 34 29 24 25 26 26 27 27 y-o-y growth -15,0% -10,0% -15,8% -18,2% 5,0% 3,8% 2,5% 1,3% 0,0% 2,5% Internet 1.177 1.408 1.503 1.466 1.497 1.487 1.531 1.599 1.685 1.787 y-o-y growth 19,6% 6,8% -2,5% 2,1% -0,7% 3,0% 4,5% 5,4% 6,0% 3,6% Magazines 821 851 707 607 531 484 457 445 445 460 y-o-y growth 3,6% -16,9% -14,2% -12,5% -8,8% -5,6% -2,8% 0,2% 3,3% -2,8% Music 131 130 123 113 107 103 100 98 97 96 y-o-y growth -1,1% -5,7% -7,7% -5,4% -3,8% -2,7% -1,9% -1,4% -1,4% -2,2% Newspapers 1.235 1.159 971 857 781 721 674 637 609 589 y-o-y growth -6,2% -16,2% -11,7% -8,9% -7,7% -6,5% -5,4% -4,3% -3,3% -5,5% Out Of Home 229 205 180 170 168 170 169 170 172 176 y-o-y growth -10,8% -12,3% -5,3% -1,3% 1,4% -0,6% 0,4% 1,3% 2,5% 1,0% Radio 478 433 389 353 347 345 343 342 340 339 y-o-y growth -9,4% -10,2% -9,3% -1,8% -0,5% -0,5% -0,4% -0,4% -0,3% -0,4% TV 3.449 3.352 3.290 3.071 3.055 2.988 3.110 3.264 3.361 3.495 y-o-y growth -2,8% -1,8% -6,7% -0,5% -2,2% 4,1% 5,0% 3,0% 4,0% 2,7% Video games 28 30 32 29 26 27 28 30 31 33 y-o-y growth 7,5% 6,3% -8,8% -8,5% 3,2% 4,4% 4,3% 4,0% 5,3% 4,3% Total advertising 8.748 8.499 7.908 7.233 4,3% 6.750 6.756 6.847 6.920 7.084 y-o-y growth -2,8% -7,0% -8,5% 7.003 -3,6% 0,1% 1,4% 1,1% 2,4% 0,2%

13. SPESA PUBBLICITARIA NEL SETTORE DELL’E&M, 2010-2019 (MILIONI DI €)

capitolo9

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digitaltransformation

i protagonisti centri media

iquadernidellacomunicazione


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L’algoritmo siamo noi! Un nuovo modo di lavorare oltre l’intermediazione e l’acquisto di spazi: grazie a un sistema di partnership, Amplifi cura infatti la gestione strategica delle gare delle agenzie del Gruppo Dentsu Aegis Network, rappresentando un asset strategico e differenziante in ogni loro attività di new business, e costruendo soluzioni Media e Data and Content ad hoc per ciascun cliente

INTERVISTA a Massimo Fontana, CEO Amplifi Italia. Investimenti media, media partnership globali, programmatic buying: queste le principali aree specialistiche che Amplifi si propone di coprire anche sul mercato italiano. Potete illustrarci come e quando è nata la società, quali sono gli obbiettivi e i traguardi che vi siete posti e, soprattutto, quali servizi e soluzioni offrite esattamente ai clienti in ciascuna delle tre aree indicate? Parte di Dentsu Aegis Network, Amplifi rappresenta la centralizzazione delle attività di buying su tutti i mezzi, sia tradizionali (Tv, Stampa e Radio) che Digital. È una struttura globale già presente in 34 Paesi con una precisa missione: ‘reinventing the supply side’. Questa espressione sta a significare il passaggio da una semplice attività di intermediazione sull’acquisto degli spazi pubblicitari a un vero e proprio nuovo modo di lavorare con i media. Come? Attraverso un sistema di partnership che ha lo scopo di costruire soluzioni Media e Data and Content ad hoc per ciascun cliente delle nostre agenzie, e che allo stesso tempo permettono di esprimere il meglio dell’offerta di ogni mezzo. 88

Massimo Fontana, CEO Amplifi Italia

Oggi Amplifi, che gestisce la quasi totalità degli investimenti media di tutte le agenzie del gruppo Dentsu Aegis Network, è strutturata in 4 divisioni: Investments, Global Media Partnership, Programmatic (Amnet) e TheStoryLab.


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AMPLIFI ITALIA Via Bracco, 6 – 20159 Milano Tel. 02 87334100 – Fax 02 87334019 amplify.italia@legalmail.it www.amnetgroup.com

Board di direzione: Giovanna Scutari, Chairman; Massimo Fontana, CEO. Servizi offerti: Media Investments Management; Product and Media Partnership; Programmatic Buying and Data Driven ADV. Anno di fondazione: 2015

Giovanna Scutari, Chairman Amplifi Italia

• Investments: controlla centralmente le strategie di Media Investment per tutto il gruppo, ha lo scopo di gestire le relazioni con tutti i mezzi a beneficio dell’intero gruppo sviluppando soluzioni ad alto valore per i nostri clienti. • Global Media Partnership: sviluppa partnership strategiche con i grandi player internazionali (Google, Facebook, Amazon, etc.) per creare prodotti e soluzioni Media & Data che possano portare valore ai nostri clienti. • Programmatic (Amnet): è il team preposto al presidio e allo sviluppo dei modelli di Programmatic Buying e di Data Driven Advertising. Configurandosi fin dalla nascita come tech agnostic, lavora su tutte le migliori tecnologie di mercato cercando di adattarle alle singole esigenze dei clienti. Ma non si può dimenticare che

il suo asset principale è la specializzazione e la formazione delle persone: ‘We are the algorithm’ è una specie di mantra per chi lavora in Amnet, e vuol significare che la tecnologia è solo enabler: sono le persone che la guidano e la gestiscono a fare la differenza. • TheStoryLab: il suo compito è quello di ispirare e fornire prodotti innovativi ‘content driven’ che possano creare valore sia di business che di brand equity per i clienti e i partner di Amplifi. Qual è il background del vostro management team e quali professionalità fanno parte della squadra Amplifi in Italia? Penso sinceramente si possa dire che ci troviamo di fronte a qualcosa di veramente nuovo ed unico nel panorama delle strutture che si occupano di media in Italia: siamo riusciti a fondere gli skills media tradizionali presenti in azienda con profili del tutto nuovi che provengono da ambiti 89


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differenti quali piattaforme tecnologiche, centri di ricerca, attività imprenditoriali o società di consulenza. Il tutto, come già anticipato, nell’ottica di poter fornire ai clienti del nostro gruppo le soluzioni di investimento ad hoc più efficaci e più efficienti. Insistendo sul tema delle risorse umane: dove e come recuperate le nuove figure professionali che sono necessariamente alla base di questo vostro modello operativo? In un contesto in cui il media sempre di più sta diventando una commodity, la vera sfida si sposta sulle capabilities e sulla capacità di creare valore aggiunto, Business Value, dove centrale è il ruolo delle persone. Abbiamo sempre di più bisogno non di sola sensibilità media ma di veri e propri ‘Client Partner’ in grado di seguire il cliente per le diverse capabilities che a loro volta devono essere demandate a degli Specialist. Questa è la ragione per cui il nostro gruppo, prima di altri, ha deciso di darsi una forte trasformazione e riorganizzazione interna che va proprio in questa direzione. In termini di risorse umane, da un lato stiamo ‘reinventando’ le persone nel senso più positivo del termine, creando quindi tanta nuova energia; dall’altro abbiamo iniziato a inserire in organico nuove professionalità che fino a qualche anno fa non avrebbero di certo trovato collocamento in un’organizzazione come quella di un’agenzia media. Il contagio tra le culture sta creando qualcosa di veramente unico e vincente! Riassumendo… Che cosa rende Amplifi ‘differente’ da una ‘normale’ agenzia media e quali sono stati i suoi risultati

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in questa prima fase di attività? La vera differenza tra Amplifi e una normale agenzia media è che Amplifi... non è una agenzia media ma una struttura di offerta a supporto e al servizio delle agenzie media del gruppo Dentsu Aegis Network, che sempre di più dovranno focalizzarsi sul client management. Su quali clienti siete già operativi? Vi occupate solo di clienti già in seno al Gruppo o avete una vostra struttura dedicata al new business? E come funziona il rapporto ‘interno’ fra voi e le altre sigle del Gruppo? Possiamo dire che ad oggi la quasi totalità dei clienti di Gruppo beneficia dei servizi di Amplifi. Essendo una divisione di offerta rivolta appunto all’interno e quindi ai clienti delle nostre agenzie, Amplifi non ha un suo modello di business development isolato. Per la specificità delle attività gestite Amplifi diventa invece un asset strategico e differenziante in ogni attività di new business del gruppo, ed è l’organo preposto per la gestione strategica delle gare di agenzia. Quali tipologie di aziende e/o settori merceologici stanno rispondendo meglio alla vostra offerta? Non esistono settori merceologici che rispondano meglio di altri, proprio perché Amplifi è in grado di offrire prodotti e soluzioni Media & Data tailor made mirate e costruite sulle diverse esigenze di ogni specifico cliente, a qualsiasi settore merceologico appartenga. Chiudiamo con due domande praticamente obbligate. La prima: c’è qualche particolare o specifica case history recente che rappresenta e simboleggia


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al meglio le capacità di Amplifi di portare valore aggiunto ai brand dei clienti? Potete illustrarcela? Penso che la ‘case history’ più di successo e più significativa sia l’esistenza stessa di Amplifi, perché superando i limiti di un operating model basato sulle singole sigle/agenzie, riesce a creare una vera e propria offerta integrata di capabilities a beneficio di tutti i clienti di gruppo. La seconda: parlando del mercato in generale, qual è la vostra visione del suo andamento nel corso di quest’anno e come ipotizzate si chiuderà il 2015? Dopo ormai parecchi anni di segno sempre

negativo, possiamo finalmente azzardare una chiusura del 2015 in controtendenza, quindi con un leggero segno positivo. Il Digital continua a crescere in modo consistente, anche se la sua composizione e la distribuzione degli investimenti fra le diverse voci è oggi molto diversa rispetto a qualche anno fa. In particolare, il Programmatic sta certamente guadagnando quote di share sempre maggiori. Fra i mezzi tradizionali, però, anche la Tv gode in questo momento di ottima salute, anche in virtù del fatto che è sempre più integrata a livello di ecosistema con i mezzi digitali.

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Digital innovation leader Tecnologia, dati e talenti sono gli asset fondamentali del posizionamento di GroupM, reso ancor più evidente dall’inserimento di un ‘Chief Digital Transformation Officer’ il cui compito è assicurare lo sviluppo e la gestione di questi asset per garantire la leadership delle agenzie della media holding del Gruppo WPP nel guidare l’innovazione digitale dei loro clienti per gli anni a venire

NON BASTA parlare del processo di trasformazione che caratterizza oggi il settore della comunicazione: il leitmotiv di fondo è che stiamo vivendo un nuovo paradigma, ma questo paradigma lo dobbiamo guidare e governare, anziché subire, soprattutto quando la trasformazione la si vuole accelerare e rendere immediatamente efficace ed impattante sul mercato. A guidare internamente tale processo GroupM ha chiamato Fides Tosoni nel ruolo di Chief Digital Transformation Officer: “L’esperienza che ho maturato in una società di consulenza come McKinsey prima – spiega Tosoni – unita a un periodo immediatamente successivo in ambito editoriale e media, è ciò che mi permette di combinare in maniera molto accelerata le competenze di trasformazione con una forte componenente di business. Una trasformazione non fine a se stessa ma volta a massimizzare l’interesse dei player che operano nella industry”. Quale, in concreto, la mission che le è stata affidata? Definire quali sono le priorità, le modalità operative e gli strumenti su cui GroupM deve focalizzare la propria attenzione per essere leader nel mondo digitale. Ciò si concretizza nel definire e gestire un offerta digitale innovativa, quindi differenziante, per conto delle agenzie del gruppo – prime beneficiarie di questi strumenti. Il tutto 92

Fides Tosoni, Chief Digital Transformation Officer GroupM

Giovanna Loi, Managing Director Xaxis.


groupm

GROUPM Via del Mulino, 4 – 20090 Milanofiori Assago (MI); Tel. 02.30573200 - Fax 02.30573257 direzione.italy@groupm.com www.groupm.com

Board di direzione: Massimo Beduschi, Chairman e CEO; Salvatore Grasso, CFO; Adriano Corbella, Direzione Commerciale; Norina Buscone, Vice President Research GroupM

permeando l’intera organizzazione in maniera indistinta, guidando la sua trasformazione culturale da tradizionale a digitale e assicurando lo sviluppo e la gestione degli strumenti tecnologici e dei dati che possono garantire la piena leadership di GroupM e delle sue agenzie nel guidare l’innovazione digitale dei loro clienti per gli anni a venire. Tutto questo – nuovi modi di lavorare, nuovi processi, trasformazione culturale – ha l’obiettivo ultimo di rendere visibile e concreto sul mercato il posizionamento di GroupM, grazie alle tecnologie all’avanguardia di cui siamo dotati e ai Big Data di cui disponiamo e la cui quantità e qualità, soprattutto sul mercato italiano, sono unmatchable. Tecnologia, dati e soprattutto competenze anch’esse ineguagliabili nel contesto nazionale, data la dimensione e la rilevanza del gruppo a livello globale. Capitalizzare al massimo l’esperienza internazionale, infatti, vuol dire metterci sullo stesso piano dei grandi player digitali, per affrontare il gioco sul piano globale e non più solo locale.

Servizi offerti: GroupM è la media holding del gruppo WPP. Sono «powered by GroupM» attraverso Xaxis, Connect, Research, GME e Trading - le agenzie media Mec, Mindshare, Mediacom, Maxus, Mediaclub, Media Insight e la struttura specializzata nell’Out of Home Kinetic. GroupM è partner delle Agenzie e dei loro clienti in tutte le attività fondamentali all’interno del business media. Per creare, implementare e misurare soluzioni vincenti di comunicazione, l’approccio delle agenzie media di GroupM prevede oggi un sistema integrato che garantisce le più innovative competenze nelle aree dell’acquisto e pianificazione pubblicitaria, delle ricerche e dei modelli econometrici, del performance marketing, del digital media, del mobile, del big data management, di entertainment e content, degli eventi, della creatività, oltre alla puntuale analisi del ritorno degli investimenti. Anno di fondazione: 2005 Addetti: oltre 850

Partiamo dal primo elemento della trasformazione: cosa vuol dire e che cosa implica mettere il consumatore al centro dei processi di comunicazione di una marca? Vuol dire essere in grado di avere un’organizzazione flessibile e in grado di orientare tutte le componenti del marketing – dalla strategia, al prodotto, alla comunicazione – verso il consumatore, affinché siano realmente in grado di rispondere in maniera tailor made agli specifici segmenti di clientela o di consumatori. Ciò richiede che l’intera struttura di un’azienda 93


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sia trasformata per agire in maniera più rapida, più efficace ed efficiente, modificando il proprio modo di lavorare, i sistemi e soprattutto le metriche che si utilizzano per definire la propria strategia, misurare i propri risultati e prendere le decisioni chiave. Questo cambiamento di organizzazione, di processi e di sistemi non può prescindere dalle nuove tecnologie e dal mondo dei dati. Perché le tecnologie rendono tutto più flessibile, mentre i dati permettono di generare insight evoluti in maniera continuativa e frequente nel tempo – ed è proprio questo l’aspetto che forse in passato è mancato. Questo è particolarmente vero per noi – e mi riferisco a GroupM e a tutte le sue agenzie – che abbiamo sempre più il compito di capire in real time che cosa stimola gli utenti e di conseguenza modellare l’attività di comunicazione e quindi la pubblicità, ottimizzando la pianificazione attraverso un processo in grado di imparare e agire immediatamente dopo proprio sulla base di quello che ha imparato. In altre parole, imparare ciò che agli utenti piace e ‘ottimizzarsi’ di conseguenza, nel momento in cui accade. Alla base di tutto ciò c’è una Data Management Platform che in modalità dinamica – quindi oggi per oggi – capisce e definisce gli interessi dei diversi utenti analizzando i dati di geolocalizzazione e quelli raccolti da diverse ricerche che sono poi modellate attraverso processi di look-a-like e altre tecniche sofisticate. Così facendo definiamo segmenti sempre più precisi e puntuali di clientela che poi andremo a raggiungere con il messaggio corretto, il mezzo corretto e nel momento corretto – dove per corretto intendiamo quello che è in grado di attivare in maniera produttiva la reazione da parte del consumatore. A Giovanna Loi, Managing Director Xaxis, chiediamo quindi: come funziona esattamente la vostra DMP?

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Loi – Partiamo col dire che la Data Management Platform proprietaria di Xaxis, la programmatic media company del Gruppo WPP, si chiama Turbine, e ha come sua mission principale quella di raggiungere le audience e interagire con esse attraverso i dati e la tecnologia per pianificazioni data driven. Il punto di partenza è la raccolta di dati anonimi attraverso tecnologie che misurano cambiamenti rilevanti e identificabili nel comportamento e nei bisogni quotidiani dei consumatori, classificati poi per interessi, utilizzando la tassonomia dello IAB e quindi una currency comune a tutta la industry. I dati sono utilizzati per la clusterizzazione dei target di comunicazione e la pianificazione delle campagne. Oltre a questo, Turbine si avvale soprattutto dell’integrazione di tutti i dati di prima parte dei clienti, che sono utilizzati a loro uso esclusivo. Proprio questi dati diventano sostanzialmente il punto di riferimento da cui imparare che tipo di utenza apprezza i prodotti del cliente e quali sono gli interlocutori possibili perché più somiglianti a chi è già consumatore del brand, per andarli poi a ricercare nel più ampio panorama digitale, personalizzando i messaggi creativi in modo mirato, combinando gli attributi provenienti da tutte le fonti di dati in segmenti di audience. C’è un altro aspetto, oltre a quello dei dati, strettamente legato al concetto di ‘integrazione’: altra conseguenza della digitalizzazione pervasiva è infatti l’aver sfumato i confini tra ideazione, produzione e distribuzione dei contenuti e quindi i ruoli dei diversi anelli della catena… Tosoni – Per quel che ci riguarda, ciò che ha portato a una reale trasformazione nel modo di comunicare e personalizzare i contenuti è stato proprio l’avvento del programmatic, che permette di utilizzare tecnologia e soprattutto dati per personalizzare davvero i messaggi, in un


groupm

particolare momento e in un contesto ben specifico, seguendo l’utente nella sua evoluzione e quindi organizzando ciò che si vuole comunicare in una sorta di storytelling che lo segue appunto nella sua evoluzione. Ma non solo. Il sistema infatti è in grado di misurare e comprendere la reazione dell’utente e di utilizzarla non più in una logica di ‘one fits all’ ma per confezionare messaggi sempre più mirati, puntuali e precisi. Questo vuol dire che la distribuzione di creatività e contenuti è realmente personalizzabile in un’ottica customer centric. Affinchè questo sia possibile è necessario orchestrare la collaborazione di tutti i diversi attori presenti nella filiera di comunicazione, dall’azienda cliente all’agenzia creativa, dal design fino alla tecnologia. Tutte queste funzioni, ruoli e competenze devono lavorare assieme, e noi dobbiamo essere in grado di orchestrarle in maniera coerente e armoniosa perché solo così è possibile massimizzare i risultati di una campagna di comunicazione. Nel caso di campagne a perfomance, oltretutto, è indispensabile strutturare e pensare il sito del cliente con una user experience in grado effettivamente di cogliere al massimo tutta l’attività di ‘incanalazione’ raggiunta. Ciò vuol dire lavorare con tutte le diverse anime dell’azienda cliente e non solo con il marketing. L’automazione dei processi di buying è davvero, come molti sostengono, un passo avanti verso la semplificazione? Le piattaforme di programmatic buying ‘fatte in casa’ dalle grandi multinazionali possono essere una soluzione da questo punto di vista? Loi – La frammentazione dell’offerta e dell’intero ecosistema è un dato di fatto, ed è un elemento che non aiuta a semplificare. Negli ultimi mesi sono nati (o sono stati inglobati all’interno di altri ecosistemi…) nuovi sistemi per la misurazione, il targeting, il buying, la verifica…. Tutti sistemi che cercano di portare in evidenza funzioni e

dati che sono di fatto intersecati fra di loro e che necessitano di una chiave di lettura comune per poterli interpretare correttamente. Quello che abbiamo cercato di fare con Xaxis è fornire una soluzione all inclusive proprio per semplificare il processo della comunicazione audience based. Abbiamo quindi costruito Turbine e l’abbiamo messa a disposizione di tutti i nostri clienti, che di fatto cercano di ottenere un vantaggio competitivo attraverso l’uso intelligente di dati. Ogni volta che un cliente implementa nuove campagne acquisisce sempre nuovi tasselli con i quali arricchire il proprio mosaico. Ogni campagna, anche quella che contiene elementi meno performanti, porta nuove istruzioni per quella successiva, creando così un circolo virtuoso di perfezionamento delle strategie di comunicazione in atto. Fin dal momento del brief chiediamo quali sono i goal e i KPI di riferimento e attiviamo tutti gli strumenti e le leve a nostra disposizone per poter ottimizzare nel day by day: audience, giorno, ora, device… Infatti, nella valutazione di una campagna è sempre importante misurare gli outcome ottenuti tenendo sempre d’occhio tutti i parametri per assicurarsi che siano in linea con i goal prestabiliti. In altre parole, chiediamo al cliente di lasciarci guidare la macchina per portarla a destinazione nel migliore dei modi possibili, forti del fatto che abbiamo in casa tutto il know-how, le tecnologie e gli esperti in grado di farlo.

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Una proposizione differente Rafforzatasi nell’area ricerche e media information, raddoppiati gli addetti al mobile, implementate importanti partnership nei settori strategici dei contenuti e dei dati, Havas Media si rivolge agli investitori con una proposizione differenziante rispetto alla concorrenza e simboleggiata dall’Havas Village, molto più di un insieme di uffici riuniti sotto lo stesso tetto

INTERVISTA a Stefano Spadini, CEO Havas Media. Qual è la vostra opinione sull’andamento generale del mercato e su come si chiuderà l’anno? Dopo una partenza ‘stop&go’, il 2015 è stato un anno di assestamento e di timidi segnali di ripresa. Diciamo che dopo tante previsioni sulla forma che avrebbe assunto la crisi del nostro settore (a V, ossia una caduta veloce seguita da una ripresa veloce, o a W, con una falsa ripartenza seguita da una seconda crisi), abbiamo finalmente scoperto che si trattava di una forma ad L, che indica sostanzialmente una lenta ripresa. Come si tradurrà questo trend nel vostro consuntivo di fine anno? Siamo soddisfatti del lavoro svolto anche se la spinta a migliorarsi è la costante che ci consente di guardare con ottimismo al futuro. L’ultimo trimestre del 2015 ci vedrà concentrati a gettare le basi per gli importanti cambiamenti che poi verranno implementati nel corso del 2016. Qual è stato il risultato delle vostre attività di new business fino a questo momento? Quali sono oggi i principali ostacoli da superare su questo fronte? Il new business ha avuto un andamento positivo sia sul fronte delle acquisizioni sia per quanto riguarda 96

Stefano Spadini, CEO Havas Media

l’ampliamento dello scope of work di clienti importanti come Hermès e Mediobanca. Questo contribuirà a chiudere il 2015 con una crescita superiore alla media mercato. In generale, questi anni di forte tensione, che impattano soprattutto sui risultati a breve, hanno


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HAVAS MEDIA GROUP Via San Vito, 7 – 20123 Milano Tel. 02 67443201 - Fax 02 67443222 elena.cannatelli@havasmg.com www.havasmediagroup.it

incrementato l’importanza del ruolo degli uffici acquisti in tutte le principali gare. Di per sè questo non sarebbe un ostacolo, il loro ruolo è senza dubbio fondamentale, ma a volte si ha la netta impressione che sia il fattore decisivo per la scelta del partner, cosa che non accade nella maggior parte degli altri settori. Il compito delle agenzie media è quello di riaffermare il valore del nostro bel lavoro e in Havas Media ci stiamo impegnando in questa direzione. Parlando di gare: a quali avete partecipato negli ultimi mesi? Con quali esiti? Più in generale, cosa serve oggi per vincerne una? Di quali doti o asset specifici deve dotarsi un’agenzia media? Abbiamo vinto e perso gare locali e internazionali, abbiamo avuto acquisizioni dirette e stiamo accompagnando 3 player dell’online ad entrare nel mercato italiano. Tra i clienti con cui abbiamo recentemente iniziato a lavorare cito ad esempio Affinity, Axa, Electronic Arts e Secret Escapes. Cerchiamo di gustarci le vittorie e imparare dalle sconfitte. Il documento di gara è solo l’ultimo pezzo di un puzzle affascinante dove entrano in gioco preparazione meticolosa, forte dedizione, empatia con il prospect e la capacità di costruire una relazione prima del fatidico giorno. Non ho la pretesa di parlare per il settore, in Havas Media puntiamo a reclutare bravi professionisti che possono contare su un management motivato e determinato. Quali aree di business oggi richiedono una maggiore attenzione in termini di sviluppo e innovazione? Su quali state investendo di più da un punto di vista ‘strutturale’, e quali priorità vi siete dati per continuare a crescere?

Board di direzione: Isabelle Harvie-Watt, Country Manager & Global CEO LuxHub; Stefano Spadini, CEO Havas Media; Nicola Thellung, Chief Financial Officer; Guido Surci, Chief Strategy & Innovation Officer; Maurizio Bertoli, Chief Commercial Officer & Client Management; Raffaele Calia, Managing Director Havas Sports & Entertainment; GianMario Motta, Global Business Director LuxHub. Servizi offerti: strategy media planning and buying; market, brand and consumer consultancy; performance marketing, search & data analytics; social media strategies & community management; mobile communication; fashion, luxury & retail expertise; brand engagement (PR, Blogger outreach, experiential, long & short form content, sponsorship activation). Anno di fondazione: 2001 Addetti: 140 Fatturato 2014: 294 mio di euro (fonte RECMA) Clienti (principali): Affinity, Agos, Axa, CheBanca!, Disney, Emirates, Ente Turismo Turchia, Fendi, Federazione Italiana Rugby, Findus, Gruppo Generali, Hugo Boss, Heineken, Hermès, Hyundai, Kia, JDE, LG, Mediobanca, PalZileri, Puig, Secret Escapes, Star, Showroomprive.com, Total Erg, Electronic Arts, Unilever. Non inseguiamo il cambiamento ma ne cogliamo gli aspetti più utili per i nostri clienti, stringendo partnership nei settori strategici dei contenuti e dei dati, i due asset sui quali continueremo a crescere. Le partnership con Universal Music Group, NewsCred – piattaforma di content marketing che gestisce contenuti provenienti da oltre 5.000 editori di tutto il mondo – sul fronte dei contenuti e quella con Atlas – la piattaforma ad 97


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Socialyse, il team interno di Havas Media Group che lavora sulle strategie integrate nell’ambito social, lo scorso 28 maggio ha ha seguito e supportato in tempo reale per tutta la giornata CheBanca!, presenting sponsor di ‘Radio Italia Live–Il Concerto’, selezionando tra i tweet del profilo quelli più meaningful che venivano poi amplificati dal Promoted Trend

serving e di misurazione di Facebook che permette ai brand di raggiugere le persone attraverso i device digitali – sul fronte dati, per citarne alcune, ne sono l’esempio. Come il vostro management si sta adattando a queste nuove esigenze? Ci sono state novità all’interno della vostra agenzia da questo punto di vista? Insieme al management di Havas Worldwide attiveremo in modo sempre più concreto l’Havas Village, che è molto più di un insieme di uffici riuniti sotto lo stesso tetto e che credo sarà un elemento 98

determinante per costruire una proposizione differenziante nel nostro settore. Nel corso dell’anno abbiamo inoltre rafforzato l’area ricerche e media information, raddoppiato gli addetti al mobile e stiamo lavorando a implementare anche altre aree chiave. Nell’era della ‘commoditizzazione’ di buying e planning determinata dalla crescente digitalizzazione, che cosa permette a un’agenzia come la vostra di distinguersi? Andrò controcorrente ma parlare di buying e planning come commodity vuol dire non aver


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compreso i cambiamenti che questi anni hanno attraversato il nostro settore. Per fare un esempio, pochi anni fa da più parti si parlava del declino della televisione mentre oggi assistiamo ad un’evoluzione dell’offerta Tv senza precedenti, dove contenuti e dati diventano uno l’alleato dell’altro. Per non parlare dell’evoluzione del digitale. Per affrontare questo scenario, le attività di Planning e Buying sono ancora più importanti, altro che commodity! I clienti più arguti sanno distinguere tra un piano fatto bene e un piano fatto male, perché questi sono il punto di arrivo di un lavoro sempre più complesso fatto a monte. Planning & buying non sono dunque delle commodity, ma i fondamentali imprescindibili sui quali si basa un’agenzia media. A questo negli anni sono state aggiunte aree di differenziazione strategicamente importanti, per garantire una diversificazione dei servizi offerti. Siamo orgogliosi, ad esempio, dei numeri che Havas Sports & Entertainment, l’agenzia di brand engagement del Gruppo, ha raggiunto e siamo concentrati a rendere ancora più competitiva questa parte del nostro business. Quale fra le case history più recenti rappresenta e simboleggia al meglio le vostre capacità di portare valore aggiunto ai brand dei clienti? Potete illustrarcela? Vorrei citare due esempi di attività che abbiamo sviluppato per clienti di cui gestiamo il media: CheBanca! e Disney. Grazie a Socialyse, team di esperti all’interno di Havas Media Group che lavora sulle strategie integrate nell’ambito social, abbiamo presidiato l’evento del 28 Maggio ‘Radio Italia Live–Il Concerto’ con presenting sponsor CheBanca!: durante tutta la giornata il Promoted Trend #rilive, decretato anche l’hashtag più twittato (89 mila menzioni: fonte Twitter), è stato utilizzato dal cliente per condividere sul canale social i momenti di preparazione e attesa del concerto, oltre al Live tenutosi in piazza Duomo a Milano. Il team di Socialyse, nello specifico, ha seguito e supportato il cliente in tempo reale per

Per Disney, Havas Sports & Entertainment ha sviluppato il piano di comunicazione e di attivazione dello Star Wars Day, evento che ha raccolto in un’unica giornata 30.000 partecipanti all’Arena Civica di Milano

tutta la giornata fino alla fine del concerto, selezionando tra i tweet del profilo quelli più meaningful che venivano poi amplificati dal Promoted Trend. Per Disney invece abbiamo lavorato con Havas Sports & Entertainment per riportare il mito di Star Wars nell’immaginario popolare: è stato sviluppato un piano di comunicazione e di attivazione con l’obiettivo di coinvolgere tutti i fan in un’unica giornata – il Star Wars Day – di grandi esibizioni gratuite tenutasi all’Arena Civica di Milano. L’evento, costruito sia per i grandi che per i più piccoli, ha registrato 30.000 partecipanti durante le attività, previste dal mattino fino a mezzanotte, trasformando i fan in protagonisti di sfilate, giochi ed esibizioni fino a godere del concerto dei Planet Funk previsto in serata. I risultati sono stati straordinari: la news è stata riportata dai maggiori notiziari nazionali ed internazionali e in soli 3 giorni le pagine dei social hanno registrato oltre 5.000 fan. Ma la cosa che ci rende più orgogliosi è che Star Wars è indubbiamente tornato ad essere un’icona.

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‘Vertical’ integrati IPG Mediabrands, la struttura cui fanno capo tutte le agenzie media del Gruppo Interpublic, prosegue il suo percorso di crescita nel nostro Paese e si avvia a chiudere il 2015 con crescita dei ricavi e dei margini entrambi a doppia cifra. Al centro del suo impegno e del suo successo l’effettiva ed efficace integrazione fra l’area dei dati e quella dei contenuti

INTERVISTA a Gian Paolo Tagliavia, Presidente e Ceo IPG Mediabrands. A due mesi dalla fine dell’anno, quali sono le vostre stime per la chiusura del 2015 per l’intero mercato e quali le prospettive di IPG Mediabrands? Come diceva il presidente dell’UPA fin da luglio, anche noi vediamo un mercato pubblicitario in moderata ripresa con una chiusura fra il +1% e il +2%. Devo dire che negli ultimi mesi abbiamo visto comunque una ripresa ancor più vigorosa soprattutto per il comparto televisivo: il risultato finale potrebbe quindi ancora essere più vicino al 2 che all’1 percento. Per quanto riguarda IPG Mediabrands, che come è noto è una società quotata, non possiamo parlare di cifre: quella che posso dire, come indicazione di massima, è che prevediamo una chiusura 2015 a doppia cifra, sia dal punto di vista dei ricarichi che dei margini. Un anno, perciò, sicuramente positivo. A quali gare avete partecipato negli ultimi mesi? Dal punto di vista delle gare credo che il 2015 sia stato un vero bagno di sangue! Io lavoro in questa industry soltanto da due anni, ma posso garantire che nessuno di 100

Gian Paolo Tagliavia, Ceo IPG Mediabrands

quelli che conosco nel settore ricorda una situazione come questa per le gare media. La stragrande maggioranza è stata globale: l’unica gara locale, che peraltro ci ha


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IPG MEDIABRANDS ITALY Via Valtellina, 15/17 – 20159 Milano Tel. 02 0066041 – Fax 02 85292605 info@mbww.com www.mediabrandsww.com

Board di direzione: Gian Paolo Tagliavia, Ceo IPG Mediabrands Italy; Marco Rapuzzi, CFO; Luca Carrozza, General Manager Reprise Media; Alessandra Giaquinta, Managing Director UM; Vita Piccinini, Managing Director Initiative Servizi offerti Communication Planning, Media Strategy, Media Planning & Buying, Performance Marketing, Web Strategy, Social Strategy, Brand Reputation, Brand Protection, Digital Creativity, Video Communication, Audience Planning, Affiliation, Mobile Marketing, Direct Marketing, Promotions, Shopper Marketing, Geomarketing, Co-marketing, CRM Strategy. Anno di fondazione: 2013 Clienti (principali): Ikea, Red Bull, Amazon, Johnson & Johnson, Zurich, Galbusera, Bridgestone. ‘premiato’, è stata quella Coca-Cola vinta da UM lo scorso agosto negli Stati Uniti. Noi siamo stati direttamente attivi su molti pitch globali con gli uffici di Milano e Madrid: tutte o quasi le grandi gare di cui si è parlato sulla stampa nazionale e internazionale ci hanno visto, o ancora ci vedono, coinvolti con un grande impegno dei team locali a supportare e a integrare la partecipazione delle nostre differenti agenzie. Un esempio significativo è quello di LATAM ( la linea aerea nata dalla fusione di due realtà, la cilena LAN e la brasiliana TAM: ndr ). Per la maggior parte la gara ha visto impegnato il Sud America, del resto si tratta del gruppo più importante in quella regione, ma siamo stati chiamati a partecipare anche noi gestendo il tutto da Madrid, dove ha sede il quartier generale

per l’Europa. Trasferendo il discorso dalle gare globali alle gare più strettamente italiane, cosa serve oggi per vincerne una? Di quali doti o asset specifici deve dotarsi un’agenzia media? Sicuramente serve sempre quel ‘qualcosa in più’… Inutile nascondersi: i costi continuano a essere importanti, ma sta crescendo molto la richiesta, da parte dei dipartimenti marketing dei clienti, di capire bene – da un punto di vista operativo – come funziona l’agenzia e qual è la sua capacità di mettere a fattor comune i vari ‘verticali’ presentati in gara, per comprendere come funzionerà la loro effettiva integrazione. Dicendolo in maniera molto schematica: è chiaro che il procurement e l’ufficio 101


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acquisti continuano a essere estremamente attenti all’efficienza, questo è un dato sostanziale che non potrà cambiare. D’altra parte assistiamo a un ritorno del marketing come stakeholder all’interno del processo di decisione: e posto che la questione saving è saldamente nelle mani del procurement, ovviamente al marketing spetta poi occuparsi della qualità del servizio che gli viene erogato e quindi anche dei processi attraverso cui questo avviene, compreso l’aspetto dell’integrazione. Alla fine è questo il nodo fondamentale: evitare la proliferazione di soggetti esperti solo su singoli aspetti, per avere un punto di riferimento unico che poi sia in grado di attivare le diverse componenti dell’agenzia come e quando servono. Quali aree di business oggi richiedono da parte vostra una maggiore attenzione in termini di sviluppo e innovazione? Su quali state investendo di più da un punto di vista ‘strutturale’, e quali sono le priorità che vi siete dati per poter continuare a crescere? I primi due sono quasi scontati: l’area dei contenuti e delle professionalità specifiche; e l’area dei dati, dove già lo scorso anno avevamo lanciato Marketing Sciences, la nostra unit legata proprio all’integrazione delle diverse e complementari discipline specialistiche: crm, geomarketing, modelling, direct marketing e below the line. Ma ci sono anche altri due ambiti che ci vedranno impegnati nei prossimi mesi: il primo dei quali sarà sicuramente su una sigla dedicata al mobile in un’accezione non soltanto ‘media’, perché andrà a occuparsi di tutto quello che riguarda il mobile oltre il semplice display fatto di banner, video e così via. A questo si aggiungerà poi un

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ulteriore investimento su Cadreon, la piattaforma proprietaria di IPG Mediabrands specializzata in servizi di marketing digitale. Attenzione però: noi non siamo e non vogliamo essere un’azienda di tecnologia ma sviluppiamo e continueremo a investire sulla tecnologia che ci consente di integrare i diversi fornitori, i diversi provider e i diversi vendor. Quindi, ancora una volta, siamo convinti non sia necessario per un’agenzia come la nostra investire sull’intera filiera, perché questo ci toglierebbe flessibilità. È centrale dal punto di vista tecnologico presidiare alcuni snodi fondamentali che consentano di integrare, nell’ottica complessiva, i diversi vendor, ma vogliamo continuare ad avere flessibilità nella scelta dei partner ed è proprio in quest’area che – ovviamente a livello globale – IPG Mediabrands sta investendo tantissimo. Come il vostro management si sta adattando a queste nuove esigenze? Ci sono state novità, da questo punto di vista, all’interno delle agenzie che fanno capo al vostro gruppo? L’unica novità di rilievo di quest’anno è l’ingresso di Giuseppe Oliva, arrivato da Rai Pubblicità prima dell’estate per occuparsi della parte marketing e business developement. IPG Mediabrands è nata in Italia alla fine del 2013, il 2014 è stato l’anno in cui abbiamo creato e plasmato la sua infrastruttura e il suo management, mentre nel 2015 ci siamo concentrati sull’ampliamento dell’organico. In un’era definita come quella della ‘commoditizzazione’ di buying e planning determinata dalla crescente digitalizzazione, che cosa permette a un’agenzia come la vostra di distinguersi?


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Prima di tutto non sono affatto d’accordo che planning e buying siano diventate commodity. Avere come interlocutore in agenzia una persona brava a negoziare e a ottenere il meglio per il cliente è un valore aggiunto: e questa è quasi un’arte, non certo una commodity. Non ci dimentichiamo che il mercato italiano è abbastanza diverso rispetto a quello di altri paesi: si sa che lo sconto è fissato cliente per cliente, quindi il fatto di migliorare lo sconto è una attività certosina che va fatta ogni giorno. Questo è un aspetto fondamentale del buying. Al tempo stesso il planning è assolutamente legato alle capacità strategiche e, quindi, ancora una volta, non si tratta di una commodity. L’elemento chiave per distinguersi diventa quindi proprio la capacità di integrazione strategica fra contenuti e dati. Ne abbiamo discusso recentemente nel corso di un evento che abbiamo organizzato che si chiamava proprio ‘Contenuti e dati: matrimonio d’amore o convivenza forzata?’. Abbiamo invitato a parlare Alessandro Militi, Vice President Marketing & Sales di Fox International Channels Italy, Luca Colombo, Country Manager di Facebook Italia, e Andrea Santagata, Ceo di Banzai Media. Ciò che è emerso è che oggi sul mercato si stanno facendo strada due posizioni contrapposte: da una parte gli editori, che ritengono fondamentale il contesto in cui si colloca l’advertising; dall’altra i soggetti che lavorano con i dati, chiamiamoli i ‘pasdaran del programmatic’, che prestano invece maggiore attenzione alla targetizzazione, che può avvenire a prescindere dal contesto. La soluzione? Come ho già detto non può che essere l’integrazione tra i due approcci.

Ultima domanda: quale fra le case history più recenti rappresenta e simboleggia al meglio le vostre capacità di portare valore aggiunto ai brand dei clienti? Potete illustrarcela? La case history più interessante è probabilmente quella già citata di Latam: è nuovissima e perfettamente chiarificatrice rispetto alla nostra capacità competitiva, che in questo momento è uno dei plus più importanti di un’agenzia media, e mette insieme tanti aspetti diversi. Una linea aerea infatti si poggia su due elementi: da una parte c’è la pura performance, la necessità cioè di vendere i biglietti; dall’altra la fusione di due brand esistenti da tanti anni, quindi la necessità di lavorare a livello di equity del nuovo brand. Una gara vinta proprio riuscendo a dimostrare la capacità di integrare entrambi questi aspetti all’interno di un team. È anche una case history abbastanza significativa rispetto a ciò che noi vediamo come il futuro del lavoro per e con i clienti.

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Un approccio consulenziale Conoscenza del territorio, delle potenzialità dei diversi formati e della loro performance sul target sono i requisiti indispensabili per uno specialist dell’OOH, ma non bastano: per aumentare la considerazione e il ruolo strategico del mezzo nei planning di clienti e agenzie, infatti, Kinetic sta investendo anche sul fronte della velocità, del servizio e dei dati

INTERVISTA ad Alberto Cremaschi, Managing Director Kinetic. Qual è la vostra opinione sull’andamento generale del mercato e su come si chiuderà l’anno? Quale il vostro consuntivo fino a questo momento rispetto agli obbiettivi e ai traguardi che vi siete posti per la fine del 2015 Il mercato pubblicitario quest’anno chiuderà finalmente con segno positivo, +0,9% (stime GroupM), e l’Out of Home farà anche meglio con una previsione del +4,2%. Possiamo ricondurre questa crescita da un lato a EXPO che, soprattutto su Milano, ha generato una straordinaria richiesta di visibilità, e dall’altro al rinnovamento del settore in essere da qualche anno. Per quanto riguarda l’andamento Kinetic, siamo contenti dei risultati sin qui raggiunti: alcuni clienti hanno incrementato i loro investimenti credendo nell’importanza dell’OOH per colpire target dinamici sempre più sfuggenti e difficili da raggiungere, altri hanno confermato la loro fedeltà al mezzo e, in momenti di tagli di budget anche consistenti, è un bel traguardo. Qual è stato il risultato delle vostre attività di new business fino a questo momento? Più in generale, cosa serve oggi per vincerne una? Di quali doti o asset specifici deve dotarsi un’agenzia media specializzata come la vostra? Quest’anno abbiamo acquisito Pellini Caffè per il quale abbiamo realizzato una campagna sui taxi di 104

Alberto Cremaschi, Managing Director Kinetic

Milano durante i mesi di EXPO e Il Fatto Quotidiano che ha comunicato il suo restyling a Milano e Roma con una strategia multiformato: impianti digitali in stazioni, metropolitane, aeroporti, autobus e tram integralmente decorati, e percorsi di floor graphic che conducevano i passanti verso alcune edicole in stazione e in città. In entrambi i casi, e in generale per fare new business, crediamo sia vincente un approccio consulenziale basato sulla conoscenza del territorio, delle potenzialità dei diversi formati Out of Home e della loro performance sul target. Quali aree di business oggi richiedono da parte


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KINETIC Viale del Mulino, 4 - 20090 Assago (MI) Tel. 02 4335951 – Fax 02 433595595 italia@kineticww.com www.kineticitalia.it

Board di direzione: Alberto Cremaschi, Managing Director; Carlo Grillo, Chief Financial Officer; Michaela Zanardi, Chief Operating Officer. Servizi offerti: Out of Home/Strategia, Planning, Buying, Controlli, Creatività Anno di fondazione: 2001 vostra una maggiore attenzione in termini di sviluppo e innovazione? Su quali state investendo di più e quali sono le priorità che vi siete dati per poter continuare a crescere? Gli ambiti di sviluppo e innovazione che ci stanno particolarmente a cuore sono la velocità, il servizio e i dati. Stiamo lavorando a un tool che darà la possibilità ai nostri clienti di navigare interattivamente le campagne e il patrimonio impianti sul territorio con insight socio-demografici. Inoltre, stiamo sviluppando delle ricerche per aiutare ad aumentare la considerazione e il ruolo strategico dell’OOH nei planning di clienti e agenzie fornendo insight e argomentazioni da affiancare ai dati di audience forniti da AudiOutdoor. Nell’era della commoditizzazione di buying e planning determinata dalla crescente digitalizzazione, che cosa permette a un’agenzia come la vostra di distinguersi? In Italia l’Out of Home non è stata ancora oggetto di questo cambiamento, ma se ne sta parlando tanto visti i primi tentativi fatti in America e alcuni paesi europei. In questo contesto, crediamo sia più che mai cruciale fornire ai Clienti servizi a valore aggiunto e per la Comunicazione Esterna uno di questi è sicuramente la conoscenza puntuale dell’impiantistica sul territorio da un punto di vista sia quantitativo sia qualitativo. Quale fra le case history più recenti rappresenta e simboleggia al meglio le vostre capacità di

Addetti: 34 Fatturato 2014: 11,7 milioni Clienti (principali): Telecom, Vodafone, Ritter Sport, SKY, Unilever, FCA Group, Coca-Cola, VW Group, Lavazza portare valore aggiunto ai brand dei clienti? Potete illustrarcela? Diverse campagne rappresentano il nostro modo di lavorare. Abbiamo realizzato un progetto speciale per Coca-Cola con la brandizzazione delle stazioni di Bike Sharing di Milano; abbiamo acquisito nuovi clienti, fra cui Pellini Caffè e Il Fatto Quotidiano, a dimostrazione della nostra forza sul mercato; ed, infine, Ritter Sport ha rinnovato la fiducia nei confronti di Kinetic e dell’Out of Home adottando anche quest’anno un approccio mono-media, e questo non può che renderci orgogliosi.

Un soggetto della campagna multiformato pianificata da Kinetic per annunciare il restyling de Il Fatto Quotidiano su Milano e Roma 105


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Tecnologie, dati... e persone Planning e buying, nel giusto mix e nella corretta integrazione fra automazione e manualità, restano funzioni determinanti di un’agenzia media, ma ad essi si affiancano nuovi strumenti e canali – CRM, relazioni esterne, branded entertainment, eventi... – uniti alla capacità di fondere un approccio consulenziale ‘tailor made’ e i valori ‘global’ del gruppo Omnicom

INTERVISTA a Marco Girelli, Ceo Omnicom Media Group. Come giudicate il 2015 per il mercato? Prima della crisi potevamo affermare che l’andamento degli investimenti fosse pari a quello dei consumi: oggi l’equazione non funziona più per due motivi. Innanzitutto perché durante la recessione le aziende hanno avuto una grande motivazione per trovare soluzioni di comunicazione alternative e più economiche. Contemporaneamente, l’esplosione delle opportunità legate al mondo digitale ha permesso di fare buone attività di comunicazione a costi molto più contenuti che in passato. Un buon prodotto, con un posizionamento distintivo, può mirare i target in maniera più precisa e decidere che livello di dispersione ottenere. Insomma, un ribaltamento del paradigma: se prima era fisiologica una grande dispersione, oggi si possono usare i media ‘chirurgicamente’ e i beni caratterizzati da un alto acquisto di impulso e da un alto valore di brand più che di servizio, possono decidere il livello di dispersione che vogliono. Non possiamo quindi affermare che, automaticamente, con il calo della crisi il mercato si riprenderà: gli investimenti, piuttosto, si frammenteranno in modalità differenti e sempre di più saranno dirottati su canali diversi dai soliti. Prevediamo comunque la fine dell’anno con un piccolo segno positivo. Come chiuderà il 2015 OMG e i suoi obiettivi per il 2016? 106

Marco Girelli, Ceo Omnicom Media Group

Il 2015 e il 2016 sono anni in cui si confermerà il vero cambiamento. Tutto ciò che riguarda il mondo dei servizi legati a data driven, clustering e affini è diventato un vero e proprio business, generando significativi profitti: non sono più chiacchiere, e finalmente le aziende prendono in considerazione la possibilità di investire con queste modalità. Noi dobbiamo fare ancora un lungo percorso di integrazione di tutte queste attività: la discrasia tra vecchio e nuovo è ancora evidente e la coesistenza tra i due mondi, dalle caratteristiche strutturali molto diverse, è difficile. Abbiamo ancora bisogno di entrambi, ma se prima il media seguiva una logica sequenziale, oggi tutto si svolge in maniera fluida, con adattamenti in real time: il che ha un impatto enorme in termini di organizzazione e di strumenti necessari,


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OMNICOM MEDIA GROUP che richiedono forti investimenti. Definire i processi che vadano incontro a questo cambiamento e siano allo stesso tempo compatibili col business: questo il nostro l’obiettivo... Quali sono i principali risultati delle vostre attività di new business? Al di là di nuovi importanti clienti come SC Johnson, il vero ‘new business’ oggi è essere realmente vissuti dai clienti come partner: ciò ci consente di fare sviluppo attraverso l’implementazione nelle strategie delle aziende di nuovi strumenti e nuovi canali, dal CRM alle relazioni esterne, dal branded entertainment agli eventi. A quali gare avete partecipato? Cosa ritenete indispensabile oggi per vincere? Le nostre sigle OMD e PHD hanno partecipato a gran parte delle grandi gare che ci sono state. Siamo ancora in un mondo in cui la parte dell’efficiency per i clienti rimane un drive fondamentale senza capire che un progetto, efficiente in termini di costi ma fragile da un punto di vista strategico e di qualità del team di lavoro, sia destinato a fallire. Quali aree di business oggi richiedono da parte vostra una maggiore attenzione in termini di sviluppo e innovazione? Stiamo investendo molto in formazione lavorando a un nuovo progetto, già in stadio avanzato, perché in un mondo sempre più globalizzato, dove le parole d’ordine sono tecnologia e dati, rischiamo di non capire che il valore della persona è ancora centrale per tante aziende. Noi siamo per il ‘tailor made’, seppur con valori ‘global’ su cui un Gruppo internazionale come il nostro può contare. Alcuni clienti soffrono la globalizzazione. Nell’era della ‘commoditizzazione’ di buying e planning cosa permette a un’agenzia come la vostra di distinguersi?

Via Spadolini, 5 - 20141 Milano Tel. 02 833071 Fax 02 83307215 infoitaly@omnicommediagroup.com www.omgitaly.it

Board di direzione: Marco Girelli, CEO; Paolo Spada, CFO; Marcello Arosio, Out of Home Director; Paola Aureli, Trading & Accountability director; Graziana Pasqualotto, Managing Director OMD; Francesco Blini, General Manager OMD Roma; Vittorio Bucci, Managing Director PHD. Servizi offerti: Analisi, strategia, Planning e Buying di tutti i mezzi offline, online e Btl. Anno di fondazione: 1989 Addetti: 300 Biling 2014: 710 Milioni Clienti (principali): marchi nelle seguenti categorie merceologiche: alimentare, ristorazione veloce, abbigliamento, automotive, homecare, personal care, giocattoli, tecnologia, turismo, luxury goods. Abbiamo formato un gruppo di lavoro su questo tema, ma non bisogna fare confusione: non è corretto parlare di commoditizzazione, ma piuttosto di un’enorme differenziazione delle modalità di buying, ciascuna delle quali caratterizzate da diversi elementi positivi e negativi. Il Programmatic, per esempio, ha il pro di raggiungere efficacemente e con precisione target definiti… ma di contro rischia di essere troppo mirato, in particolare per alcune categorie merceologiche, o alcune strategie, per le quali ha invece senso parlare a un pubblico più ampio. L’acquisto disintermediato ha il pro di essere efficiente e veloce, ma non c’è il perfetto controllo degli spazi che si vanno a pianificare a pacchetto. E con l’acquisto al rialzo bisogna definire prima fino a quanto si è disposti a pagare. Insomma, con l’aumento della complessità chi ha la responsabilità del buying diventa consulente per aiutare il cliente a capire qual è il giusto mix per cavalcare al meglio tutte queste nuove opportunità. 107


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10 anni di trasformazione Anche il 2015 si chiuderà per ZenithOptimedia Group con una crescita a doppia cifra, grazie alla difesa di budget importanti come eni ed Eurobet, all’acquisizione di nuovi importanti incarichi e alla forte spinta all’innovazione trainata dalle sue esclusive business unit– Performics, Newcast e Ninah – e dal lancio di Blue 449, la nuova agenzia “Open Source” del Gruppo

INTERVISTA a Vittorio Bonori, CEO ZenithOptimedia Italia e regional chair for South Med, Middle East & North Africa. Qual è la vostra opinione sull’andamento generale del mercato pubblicitario? Come pensate si chiuderà l’anno? Le nostre previsioni sono certamente a favore di un outlook positivo, anche se i segnali di ripresa e di inversione di tendenza sono stati fino a oggi ancora piuttosto deboli e disomogenei. Soprattutto nella prima parte dell’anno abbiamo continuato a vedere un calo dei volumi di investimento e a registrare una diminuzione dei budget. Tuttavia mi sembra che questi ultimi mesi siano stati ‘positivi’ – una chiara proxy di questa inversione di tendenza è la situazione di overbooking che ha caratterizzato numerose settimane televisive – arrivando a controbilanciare l’andamento negativo iniziale. Stimerei perciò una chiusura d’anno attorno al +1%, e soprattutto un consolidamento di questo trend per arrivare a un 2016 più robusto. Qual è il risultato delle vostre attività di new business e quale pensate sarà il vostro consuntivo per il 2015? Anche il 2015 sarà per ZenithOptimedia un anno di crescita – il decimo consecutivo – per una molteplicità di fattori: in primis il lato gare e new business che ci ha visto da un lato difendere con 108

Vittorio Bonori, CEO ZenithOptimedia Italia, South Med, Middle East & Africa

successo alcuni dei nostri clienti più importanti (e fra questi citerei eni ed Eurobet), e dall’altro conquistare nuovi territori (è il caso di Grandi Navi Veloci, azienda che avevamo già in portafoglio per il mercato italiano e che ci ha affidato anche tutte le sue attività estere, che saranno coordinate da Milano). Il secondo, non meno importante, è la digitalizzazione e la conseguente diversificazione delle revenue di agenzia. Disponiamo di un asset unico e strategico come Performics che, se dovessimo scorporare da ZenithOptimedia Group, rappresenterebbe senza dubbio la più


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grande agenzia italiana di performance marketing digitale. Allo stesso modo continua il percorso virtuoso di Newcast, i cui ricavi sono fortemente cresciuti grazie alle sempre più mirate ed efficaci soluzioni per le aziende sul fronte del native advertising e del performance content. L’ingresso della tecnologia nel perimetro dei contenuti stra trasformando le opportunità di comunicazione delle Imprese e Newcast può oggi essere considerata una brand di riferimento sul mercato Italiano ed Internazionale. Anche Ninah, la divisione interna che si occupa dello sviluppo di modelli econometrici e attribution modelling, a distanza di circa 2 anni dal lancio, ha consolidato un set di prodotti e soluzioni che siamo in grado di fornire ai nostri clienti, ma anche ad aziende che si trovano al di fuori del nostro portafoglio. E infine Vivaki che, grazie alla sue divisioni VivaKi Exchange e VivaKi Operating System, supporta i nostri clienti sia in ambito trading che in quello fortemente tecnologico del Programmatic Marketing, mediante un approccio che ci caratterizza per la sua accessibilità e trasparenza. Parlando di gare: a quali avete partecipato e con quali esiti? E più in generale, di quali doti o asset specifici deve dotarsi un’agenzia media per vincerne una? Nella prima parte dell’anno il numero dei grandi budget messi in gara è stato abbastanza limitato, mentre è in questi ultimi mesi che si sono aperte diverse competizioni importanti. Per quanto riguarda l’elenco delle gare vinte, posso citare eni, Eurobet e GNV. La lista si è nel frattempo ulteriormente arricchita e avremo modo a breve di divulgare i recenti importanti successi. La nostra offerta ha cominciato ad attrarre aziende di medie e anche piccole dimensioni che si affacciano alla comunicazione e a soluzioni integrate di performance marketing;

ZENITHOPTIMEDIA GROUP Via G. Borsi, 9 - 20143 Milano Tel. 02 752991 - Fax 02 70121957 info@zenithoptimedia.it www.zenithoptimedia.com

Board di direzione: Vittorio Bonori, CEO ZenithOptimedia Italia, South Med, Middle East & Africa; Gianluca Dibilio, Finance Director. Servizi offerti: Soluzioni di Comunicazione a 360° per il miglior ritorno sull’investimento (ROI Agency): consulenza strategica, media planning & buying, digital performance marketing (Performics), branded content solutions (Newcast), attribution ed econometric modeling (Ninah). Anno di fondazione: 1998 Addetti: 220 Clienti (principali): Ferrero, L’Oréal, eni, Toyota, Daimler, EKABE, 20th Century Fox, Sanofi, SCA. mi riferisco ai settori della domotica, del betting, del fitness e della farmaceutica di avanguardia. Ciò ha reso ZenithOptimedia un’agenzia a ‘trazione italiana’ molto più di quanto non fosse in passato, e di questo siamo contenti e orgogliosi. Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, la risposta è che oggi, sempre di più, le gare richiedono scientificità. Naturalmente servono team di esperienza comprovata, una capacità di pensiero strategico capace di lavorare in modalità ‘data driven’ e un’implementazione ‘brillante’, a conferma dell’importanza di consegnare ai clienti ‘ impeccable basics’. Anche la disciplina della negoziazione, nelle sue diverse forme, è diventata sempre più scientifica: all’interno di Vivaki abbiamo un reparto productivity specializzato in tutti gli aspetti negoziali e di benchmarking, il cui compito è proprio definire obiettivi di buying sfidanti ma raggiungibili in modo sostenibile che il team dell’agenzia si

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occuperà di raggiungere e garantire al cliente mediante l’implementazione di una strategia negoziale di lungo e breve termine. In particolare, a proposito delle gare ‘in difesa’ di cui parlavo prima, un aspetto fondamentale è la serietà con cui si è lavorato e si è costruita la relazione con il cliente: non credo sia un caso, infatti, che aziende del calibro di eni e L’Oréal ci abbiano riconfermato rispettivamente dopo sei e ventidue anni di proficua collaborazione. La trasformazione della nostra industry premia la voglia di rimettersi in gioco, ed è questo lo spirito con cui competiamo sia in difesa dei nostri clienti che nella conquista di nuove partnership. Quali aree di business oggi richiedono da parte vostra più attenzione in termini di sviluppo e innovazione? Su quali investite di più e quali priorità vi siete dati per continuare a crescere? Tutte le aree di business richiedono oggi grande cura e capacità di re-invenzione, e la trasformazione in atto ci chiama a operare al crocevia tra media, dati, tecnologia e contenuti, in cerca della giusta alchimia strategica. Pensiamo alla spinta innovatrice del Programmatic, nuova frontiera della marketing communication a trazione tecnologica e guidata dalla scienza dei dati, piuttosto che all’innesto di nuove tecnologie nel mondo dei contenuti. Come il vostro management si sta adattando a queste nuove esigenze? Ci sono state novità all’interno della vostra agenzia da questo punto di vista? Abbiamo già da qualche tempo allargato il board a una quindicina di manager molto giovani e motivati, ma per quanto riguarda i ruoli chiave non ci sono state novità sostanziali: lo sviluppo di ZenithOptimedia su questo fronte è all’insegna di una grande continuità e stabilità. La cura e l’attenzione ai nostri talenti è decisamente l’elemento che ci ha permesso di

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crescere in questi dieci anni, garantendo ai clienti i migliori professionisti che questo mercato può vantare. Detto ciò, stiamo studiando un nuovo modello organizzativo in collaborazione con un advisor: è ancora presto per entrare nei dettagli, ma vogliamo affrontare il futuro dotandoci di un progetto ancora più organico, che prenda in considerazione tutti gli asset che il Gruppo Publicis ci mette a disposizione. La linea di pensiero è quella già dettata dalla creazione di Blue 449, l’agenzia media ‘open source’ lanciata dal Gruppo ZenithOptimedia a marzo 2015. Crediamo sia giunto il momento di ripensare il modello di agenzia al quale siamo stati abituati fino a oggi, senza perdere gli elementi vincenti e sperimentando metodologie, approcci e soluzioni capaci di creare sempre più valore per il cliente finale: c’è molto spazio consulenziale da conquistare, se avremo la capacità di incidere sempre più sulle performance commerciali dei clienti. Si parla spesso della ‘commoditizzazione’ del buying e del planning determinata dalla crescente digitalizzazione: che cosa oggi permette a un’agenzia media di distinguersi? Il posizionamento di ZenithOptimedia è chiaro, unico e distintivo: siamo l’agenzia del ROI e promettiamo ai clienti soluzioni capaci di trasformare le loro performance di business. Cerchiamo di dimostrarlo giorno per giorno, studiando le migliori strategie per incidere sulla customer experience e sull’ottimizzazione delle performance di vendita. Non credo che si possa parlare di commoditizzazione del ruolo delle agenzie, direi anzi l’esatto contrario. In uno scenario in cui i mezzi si sono moltiplicati e frammentati in modo esponenziale, planning e buying sono diventate specializzazioni estreme. Pensiamo all’esplosione del web o al mobile, ma anche alla stessa Tv: oggi non si tratta più di ‘scegliere’ fra una decina di canali televisivi ma fra centinaia e centinaia. Corretto


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Il video storytelling di ZenithOptimedia ha aiutato Galbani a posizionarsi come marca vicina al consumatore di tutti i giorni, a quelle persone ‘che in cucina si sporcano le mani’. Il remarketing ha permesso una narrazione in continuità grazie alle diverse pillole sugli errori in cucina, che hanno accompagnato gli utenti durante tutta l’attività, venendo mostrati ad ognuno in sequenza

dunque definirle attività consolidate, in alcuni casi, forse, addirittura date per scontate dai clienti. Ma è sbagliato definirle commodity! Una recente case history che può rappresentare al meglio le vostre capacità di portare valore aggiunto ai brand dei clienti? Per la campagna Lactalis ‘Errori in cucina’, abbiamo costruito una piattaforma tecnologica capace di erogare a ciascun singolo consumatore un proprio percorso di storytelling. In pratica, abbiamo inserito i video del brand Galbani in una narrazione che utilizzava 25 errori in pillole (10”) e una video-raccolta da un minuto: è stata quindi creata una trama di remarketing e mostrati gli episodi in sequenza ai singoli utenti attraverso YouTube, il programmatic buying di

Audience On Demand e video su Facebook. In sintesi, una comunicazione capace di somministrare il giusto messaggio al giusto target nel momento giusto. I risultati? Oltre 4,6 milioni di visualizzazioni complete dei video: il 56% in più rispetto alle stime iniziali, un risultato ancora migliore considerando il 36% di risparmio sul cost per view. Anche la narrazione in remarketing ha dato i suoi frutti: oltre il 50% dei video è stato guardato dall’inizio alla fine, con una crescita negli ultimi episodi (+8% visualizzazioni complete su YouTube, +12% su Audience On Demand) e ulteriore visibilità virale gratuita per i video-errori guardati direttamente sul canale YouTube di Galbani.

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Il futuro è digital L’ottima performance del segmento Aeroporti, le nuove implementazioni nel circuito dei Centri Commerciali, lo sviluppo del Bike Sharing e il ruolo trainante del Digital Out Of Home compenseranno l’andamento flat o in lieve calo dei settori Arredo Urbano e Poster, consentendo a Clear Channel di chiudere ancora una volta l’anno con una crescita a doppia cifra.

INTERVISTA a Paolo Dosi, Ceo Clear Channel Italy. Qual è la vostra sensazione sull’andamento generale del mercato dell’advertising e quali le proiezioni per la chiusura di quest’anno? In generale, il totale mercato pubblicitario – comprendente anche la parte digitale non misurata da Nielsen – dovrebbe fare il + 1% circa. Escludendo i big player come Google, però, il dato risulterebbe ancora negativo, perché i media classici sono ancora in calo dell’1,5%, quasi un punto e mezzo in meno sul 2014. Nell’ambito dell’Out Of Home mi sembra evidente ci sia un deciso orientamento verso il consolidamento: ma anche qui il mezzo è tendenzialmente in una situazione di crescita zero se consideriamo il suo reale perimetro. Realisticamente, infatti, va sottolineato come anche in questo caso Nielsen intercetti solo una parte del totale mercato, quella legata ad AudiOutdoor (cioè noi, IGPDecaux e IPAS), che è quella che in questo momento cresce di più. Per quel che ci riguarda direttamente, infine, prevediamo di chiudere il 2015 crescendo ancora una volta a doppia cifra, quindi molto meglio rispetto al mercato nel suo complesso. Dal generale al particolare: potete fare un consuntivo mezzo per mezzo o diciamo pure ‘ambiente per ambiente’ dei vostri risultati fino a questo momento rispetto agli obbiettivi e ai 114

Paolo Dosi, Ceo Clear Channel Italy

traguardi che vi eravate posti per la fine del 2015? Partendo da quelli tradizionali, per Arredo Urbano e Poster non sono state implementate particolari novità, e il mercato, anche dal punto di vista dei prezzi, non regala nulla… Se il primo è quindi stabile, il segmento dei Poster ha invece perso qualche punto nella quota del nostro fatturato principalmente a causa del cambio dei formati imposto a Roma che ha


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creato qualche problema a diversi clienti nazionali. Positivo è stato sicuramente l’andamento degli Aeroporti, perché è stato l’anno in cui siamo andati a regime rispetto alle novità introdotte alla fine del 2014. Il Digital è complessivamente l’asset sul quale stiamo investendo di più e dal quale ci aspettiamo anche per il futuro il tasso di crescita più elevato in termini di revenue: se oggi vale circa il 10% del nostro fatturato, nel 2015 la sua quota arriverà infatti al 15%. Non ultimo l’ambito dei Malls, nel quale siamo entrati da poco ma che è sicuramente un altro asset in crescita e che soprattutto nel 2016 avrà un’ulteriore spinta: oltre ai 10 grandi centri commerciali attualmente attivi andremo infatti ad aggiungerne almeno altri 15, per un foot-fall complessivo pari a circa 200 milioni di consumatori, quindi con una copertura ormai quasi nazionale. Dal punto di vista dell’offerta commerciale, quali sono state le principali novità introdotte quest’anno? La principale è sicuramente il circuito Digital su Milano, che è ormai una realtà: abbiamo più di 90 ‘facce’ da 72 pollici che entro fine anno diventeranno 120, tutte nel cuore di Milano, e questo è uno dei prodotti che ci sta dando maggiori soddisfazioni perché è veramente molto impattante e molto richiesto dai clienti. Ho già accennato ai centri commerciali e a quelli che andremo ulteriormente a implementare, così come nuova è l’acquisizione dello scorso aprile nel settore aeroportuale che riguarda lo scalo di Bologna e al quale a breve, anche se non posso ancora ufficializzarlo, se ne aggiungeranno altri. Anche questo, quindi, sarà un altro dei capisaldi del nostro sviluppo. Il 2015, però, è stato anche l’anno della consacrazione del Bike Sharing, un servizio sul quale abbiamo scommesso da tempo e che è diventato a tutti gli effetti un nuovo prodotto pubblicitario molto forte del nostro portafoglio, come testimoniano le case history di Coca-Cola in occasione dell’Expo e quella attualmente in corso di Ferrero per Pocket-Coffee.

CLEAR CHANNEL ITALIA Via G. Giulini, 2 - 20123 Milano Tel. 02 802791 - Fax 02 72010592 info@clearchannel.it www.clearchannel.it

Board di direzione: Paolo Dosi, CEO; Alessia Luciani, HR Director; Sergio Verrecchia, Contracts Management & Development Director; Massimo Da Ros, Technical & Operations Director; Jonathan Goldsmid, Airports Director; Andrea Belli, Division Director Specialists & Media Buyers, Malls & Milano Digital; Enrico Milano, Division Director Direct Clients; Pierpaolo Nave, Marketing & Strategy Director Servizi offerti: Out-of-Home Media Company Addetti: 160 Agenti: 50 Anno di fondazione: 1963 Fatturato 2014: 103 milioni di euro Clienti (principali): Telefonia, Moda, Distribuzione e Auto

La campagna interattiva Lufthansa pianificata sui Digitotem Clear Channel di Milano

Quali invece le novità previste per il 2016? Per il prossimo anno intendiamo concentrarci su un aspetto molto importante del digitale, l’interazione e

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La campagna Ferrero sul grande Sentinel dell’Aeroporto di Fiumicino

l’engagement del consumatore, e quindi su tutte le modalità con cui dobbiamo lavorare in questo ambito. Per esempio stiamo implementando sistemi di face recognition nei centri commerciali che permetteranno all’impianto, in base a chi guarda il pannello, di trasmettere messaggi diversi. Oppure ci sono casi come quello di Lufthansa, attualmente operativo a Milano su alcuni pannelli, in cui un sensore rileva il passaggio di una persona vicino allo schermo e l’immagine della hostess si anima invitandolo a non fare rumore… Ma le interazioni possibili, passive ma anche attive, sono infinite e vanno inquadrate in una logica secondo cui i nostri pannelli non sono altro che un ulteriore schermo a disposizione del consumatore. La sfida – ma anche la strategia – è quella di far parte in modo attivo e rilevante del percorso di acquisto delle persone: per esempio attraverso notifiche push verso lo smartphone o il tablet di chi passa accanto a un nostro schermo, inviandogli un coupon e l’invito a recarsi nel punto vendita a poche decine o centinaia di metri dalla sua posizione in quel momento. La seconda ma non meno importante sfida per il

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prossimo anno riguarda la sperimentazione di nuove modalità di vendita programmatiche: perché ci è chiaro che sempre più quello sarà il futuro anche del nostro mezzo, che si sta spostando verso modalità di utilizzo e di acquisto automatizzate più semplici per i clienti o i centri media. E questi test non li faremo da soli ma a livello di Clear Channel International, stando molto attenti a non perdere valore. Quali aree di business oggi richiedono da parte vostra una maggiore attenzione e su quali state investendo da un punto di vista ‘strutturale’? Lo sviluppo dei nuovi asset, e mi riferisco in particolare a quelli digitali – che poi toccano un po’ tutti gli ambienti: strade, aeroporti, centri commericali –, ci impongono di acquisire nuove risorse che abbiano un know-how a 360 gradi in questo ambito: persone con esperienza digitale nell’ambito della vendita e dell’elaborazione dei dati. Anche noi andremo infatti a costruire, a sviluppare e ad alimentare database importanti per poter da un lato lavorare in ottica programmatic e dall’altro costruire le opportunità di interagire con i consumatori di cui parlavo prima.


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Noi siamo e certamente rimarremo una azienda Out Of Home a tutto tondo in cui Arredo Urbano e Poster sono ancora il core business: ma nel contempo c’è questo segmento digitale che sta crescendo e che ci obbliga a strutturarci opportunamente. Non dimentichiamo che l’anno prossimo ci sarà la gara per la privatizzazione di Grandi Stazioni che è ovvio rientri fra i nostri obiettivi primari perché andrebbe a completare perfettamente la nostra offerta: dare al mercato e ai clienti la possibilità di interagire con le persone che si muovono sulle autostrade, negli aeroporti e nelle stazioni costituirebbe una value proposition molto importante. Anche la domanda di chiusura è un classico ‘obbligato’: c’è una recente case history che rappresenta e simboleggia al meglio le vostre capacità di portare valore aggiunto ai brand dei clienti? Potete illustrarcela? Mi piace partire da una case history legata all’asset più tradizionale e che riguarda un lancio di prodotto fatto da Ferrero sul territorio della Sicilia con un investimento abbastanza importante e tutto dedicato all’Esterna: i risultati sono stati eccellenti – si parla di una crescita dei consumi di oltre il 65% durante la campagna – tanto che il cliente sta pensando a un nuovo lancio in cui l’Esterna classica si affiancherà al digitale (inteso come web). A questo nuovo progetto stiamo lavorando insieme all’azienda e all’agenzia, e credo rappresenti perfettamente proprio il tema del valore aggiunto che il mezzo Out Of Home può portare a una marca. Ho già citato prima la sponsorizzazione del Bike Sharing milanese da parte di Coca-Cola, che è un grande esempio di come un brand abbia sposato un nuovo mezzo in modo importante ottenendo risultati straordinari: durante i sei mesi dell’Expo, con oltre 2.000 biciclette, 10 stazioni e tutta una serie di altri prodotti che abbiamo messo a sua disposizione, Coca-Cola è stato il brand il più visto a Milano e quello che ha ottenuto il maggior successo dal punto di vista dei costi-benefici. Un esempio virtuoso di utilizzo del mezzo digitale è

Grazie alla sponsorizzazione del servizio BikeMi, nei sei mesi dell’Expo Coca-Cola è stato il brand il più visto a Milano

quello che stiamo realizzando con Sky, che fra l’altro sta usando in modo molto importante tutti i mezzi dell’Esterna e in particolare gli FSU e i 72 pollici di Milano che sono fra l’altro uno dei pochi prodotti in Europa dove è possibile anche la messa in onda di video e non solo di immagini statiche. Dopo un inizio in cui sostanzialmente metteva on air solo immagini fisse, Sky si è man mano appassionata e ha cominciato a sfruttare molto meglio il suo enorme portfolio di contenuti: è un chiaro esempio di come non basti solo utilizzare il nuovo mezzo, ma di come lo si interpreta e sfrutta al massimo sotto l’aspetto della creatività che, noi lo ribadiamo da sempre, è fondamentale.

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Il ‘luogo’ dell’eccellenza Discovery è un caso di straordinario successo nel panorama Tv, ottenuto in brevissimo tempo grazie a un posizionamento lontano da quello dei ‘venditori di pubblicità’: i suoi non sono ‘canali’ ma veri e propri brand, consolidati come Dmax o Real Time, o in costruzione come Giallo, Focus e DeeJay Tv, i cui valori coincidono con quelli che le marche possiedono o inseguono

INTERVISTA a Giuliano Cipriani, Direttore Generale Discovery Media. Qual è la vostra sensazione sull’andamento generale del mercato dell’advertising e quali proiezioni sulla chiusura di quest’anno? Credo che la situazione sia sotto gli occhi di tutti: un anno ancora una volta non facile almeno fino all’inizio dell’estate. Mentre da agosto in avanti la percezione è che siano state messe in campo un po’ più di risorse, forse motivate dalla parziale ripresa dei valori macroeconomici di cui l’informazione ci sta dando notizia da qualche mese: le cose non vanno così male, la fiducia è cresciuta, i consumi stanno lentamente riprendendo… Evidentemente questa nuova aria che tira ha rimesso in circolazione un po’ di capitale da investire sulla comunicazione. Dopodiché le situazioni sono sempre molto precarie, perché siamo minati costantemente da fattori esogeni, prima la Grecia, poi la Cina, poi la VolksWagen. Quest’alea è ormai una costante con la quale ci confrontiamo quotidianamente. Prova ne sia che la capacità previsionale è ridotta veramente all’osso, quindi formulare dei forecast è davvero difficile. Ciò premesso, diciamo che dopo un’estate positiva anche l’autunno è andato più che bene. Dal generale al particolare: potete fare un consuntivo dei vostri risultati fino a questo 118

Giuliano Cipriani, Direttore Generale Discovery Media

momento rispetto agli obbiettivi e ai traguardi che vi eravate posti per la fine del 2015? Nello scenario che ho descritto, la nostra situazione è abbastanza ‘particolare’. Come editore televisivo siamo cresciuti rapidamente e siamo ormai una realtà rilevante: ma sull’asse temporale delle pianificazioni e delle prenotazioni rispetto all’on air, abbiamo ancora margini di crescita sui player principali. La cosa è curiosa,


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DISCOVERY MEDIA Via Visconti di Modrone, 11 – 20122 Milano www.discovery-italia.com

perché ormai potremmo entrare a pieno titolo nel processo strategico di pianificazione, ma tradizioni e abitudini sono sempre difficili da scardinare. A parte questo aspetto, Discovery rappresenta comunque un elemento un po’ distonico rispetto all’andamento generale del mercato, in parte forse per fortuna ma soprattutto per capacità. E mi riferisco alla capacità in primis dei miei colleghi che sono riusciti a creare un fenomeno editoriale e direi anche sociale di enorme rilievo: basti considerare le nostre community social e il fatto che, banalmente, anche solo andando in giro per la strada o parlando con amici e conoscenti salta subito all’occhio quanto Real Time, Focus, Giallo, Dmax e DeeJay Tv, i nostri canali, siano un fenomeno che accompagna il nostro intrattenimento a livello quotidiano. I mesi estivi in particolare, durante i quali noi non paghiamo il rilassamento dei palinsesti, ci hanno dato soddisfazioni incredibili aumentando ulteriormente le share. Di conseguenza stiamo monetizzando con soddisfazione questi straordinari risultati editoriali: in meno di quattro anni – siamo partiti il 1 gennaio del 2012 – abbiamo registrato in termini di crescita la progressione più veloce della storia contemporanea delle concessionarie televisive, più veloce di qualsiasi altra. Sono convinto che il 2015 sarà un altro anno gratificante e che riusciremo a confermare tale importante trend di crescita continuando a viaggiare a doppia cifra e, verosimilmente, neanche con l’1 davanti… Quali sono le ragioni di questo trend di grande successo e quali sono state le principali novità introdotte nella vostra

Board di direzione: Giuliano Cipriani, Direttore Generale

offerta commerciale nel corso di quest’anno? Ci premiano due cose fondamentalmente: prima di tutto il profilo dei nostri utenti sicuramente molto interessante per gli inserzionisti, perché parliamo di una porzione di popolazione rilevante sia in termini quantitativi che di abitudini di consumo. In sintesi: un pubblico alto-consumante, molto fedele e culturalmente vivace. Un secondo importantissimo fattore di successo è che noi non siamo venditori di pubblicità, di réclame come si sarebbe detto una volta, ma ci reputiamo piuttosto dei ‘portatori di valore di marca’. I nostri non sono ‘canali’ ma veri e propri brand consolidati come Dmax o Real Time. Anche su Giallo, Focus e DeeJay Tv stiamo lavorando, e quindi incarnano valori per così dire di aspirazionalità, ai quali le marche che decidono di investire con noi si vogliono congiungere. Non siamo un mezzo: siamo invece un luogo di eccellenza fatto di profili interessanti, di contenuti interessanti e di valori interessanti che coincidono con i valori che le marche possiedono o inseguono. Questo è l’aspetto di percezione e di realtà che portiamo sul mercato, cercando di proporci operativamente nella maniera più originale possibile. Sicuramente siamo stati tra i primi a scegliere la strada del branded entartainment, coniugando la massima sublimazione tra marca e contenuto brandizzato, e quindi costruendo a quattro mani i contenuti o abilitando la massima integrazione della marca all’interno dei nostri contenuti. Questo ha fatto sì che il successo della divisione Brand Solution incida oggi per oltre il 20% dei nostri ricavi: è un elemento di posizionamento 119


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Dplay è il servizio di streaming video che permette di guardare o riguardare on demand, su pc o device mobile, il meglio della programmazione dei canali free di Discovery Italia – Real Time, Dmax, Focus, Giallo e DeeJay Tv

commerciale ma che è capace di solleticare la curiosità degli investitori, perchè oggi le aziende hanno bisogno di fare cose anche piccole, non necessariamente grosse, ma che funzionino, che

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siano mirate e che rispondano a bisogni specifici. E noi ci poniamo al mercato con questo tipo di attenzione, proponendo loro cose studiate


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Da sinistra, Clelia d’Onofrio, Benedetta Parodi ed Ernst Knam, conduttori di Bake Off Italia, giunto alla terza edizione su Real Time

La ricerca dell’anima gemella diventa un esperimento sociale vero e proprio nell’innovativo dating show ‘L’isola di Adamo ed Eva’, condotto da Vladimir Luxuria

ad hoc ma con una prerogativa fondamentale e la conditio sine qua non che funzionino editorialmente.

piattaforme di distribuzione. Provo a rendere visivamente il concetto: Dplay, la nostra piattaforma di streaming video – che in realtà è riduttivo definire come una normale piattaforma OTT – rappresenta il continuo, l’estensione, il filo rosso che unisce tutte le piattaforme. È un’illusione parlare di televisione oggi: sono convinto che nell’arco di ancora pochissimi anni ci saranno molte più connessioni. Quindi avere una piattaforma OTT di valore, bella come la nostra – e lo dico davvero con grande onestà e senza arroganza, perchè è stata recensita da tutti come un prodotto altamente qualitativo –, costituirà certamente un elemento distintivo ma non solo: sarà infatti l’elemento che racchiuderà i nostri contenuti su tutte le piattaforme,senza soluzione di continuità e senza più distinzioni di sorta. Saranno le persone a decidere se guardare i nostri contenuti – anche brandizzati – su uno schermo da 50 pollici appeso al muro di casa propria o sul loro telefonino mentre si muovono in metropolitana. Per noi non ci sarà alcuna differenza, perché ciò che conterà sarà in ogni caso avere utenti connessi a un sistema di brand.

Da un punto di vista tecnologico e commerciale, come gestite la vostra presenza sulle diverse piattaforme? Come ho detto poc’anzi, l’indirizzo che ci stiamo dando come Discovery Media è quello di essere portatori di valori di marca: da questo posizionamento deriva che non facciamo più alcuna distinzione in merito alle

Chef Rubio conduce su Dmax “Unti e bisunti”, girando in lungo e in largo l’Italia alla ricerca di chioschi alimentari on the road dove ambientare un’appassionante sfida culinaria per stomaci forti

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GRUPPO PUBBLIEMME

Nasce nel 2000, registrando negli anni successivi una rapida e consistente crescita in aree localizzate. Gruppo Pubbliemme risponde a tutte le esigenze delle aziende che hanno necessità di implementare, sul p.d.v., attività complesse che richiedano pianificazione, coordinamento tra le funzioni, unità d’immagine sul territorio, controllo operativo costante, monitoraggio delle attività, qualità totale. Pubbliemme investe in formazione e ricerca per migliorare la qualità e la specializzazione dei servizi, mentre lo studio e l’aggiornamento costante consentono di anticipare le esigenze di un mercato in continua evoluzione. Missione: servizi di marketing operativo; obiettivi: la soddisfazione del cliente. Pubbliemme ha creato l’unica struttura diretta, esistente in Italia, per la gestione dei servizi del comparto, articolata in quattordici sedi. Affianca i clienti nel conseguimento dei loro obiettivi di marketing e di vendita, garantendo il giusto rapporto qualità/prezzo. Uffici commerciali: Via Montecatini, 13 - Milano Tel.02 42.29.64.17 Fax 02 47.71.77.28 infomilano@pubbliemmegroup.it Sede Legale e Amministrativa: Via di S. Claudio, 69 (angolo P.za S. Silvestro) 00187 - Roma - Tel. 06.69.92.12.37 Tel. 800.08.28.18 - Fax 800.68.08.33 Sito internet: www.pubbliemmegroup.it. Servizio Clienti: info@pubbliemmegroup.it Direzione: direzione@pubbliemmegroup.it Ufficio Grafico: grafica@pubbliemmegroup.it Resp. Settore Affissioni: affissioni@pubbliemmegroup.it

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Resp. Action Marketing - Piani: marketing@pubbliemmegroup.it Resp. Amministrazione: amministrazione@pubbliemmegroup.it Segreteria Direzione: segreteria@pubbliemmegroup.it Ufficio Controllo impianti: controlli@pubbliemmegroup.it Depositi: Via Longobardi - Vibo Valentia Marina Tel. 0963 57.77.35. Uffici Vendite locali: Via Ungaretti snc Rende - Cosenza Tel.0984 46.67.55 Fax 0984 46.83.22 Vibo V. Marina (VV) - Via Stazione, 6 Tel. 0963.57.77.77 Fax 0963.57.73.53 marketing@pubbliemmegroup.it Viale Crotone 37/R - Catanzaro Tel. 0961 73.11.48 marketing@pubbliemmegroup.it Board di direzione: Domenico Maduli, Presidente CDA e Amministratore Delegato; Maria Grazia Falduto, Direttore Finanziario; Liliana Dehò, Direttore Commerciale Italia; Fausto Laganà, Responsabile Commerciale Area Calabria; Piera Nocciolo, Responsabile Pianificazioni Outdoor Italia; Lorenzo Merletti, Sales Manager; Egidio Garofano, Responsabile Logistica. Numeri: Addetti: 20 (personale interno); 15 (personale esterno). Fatturato: consolidato Gruppo 2012: 12.000.000 di euro Servizi Offerti: Concessionaria spazi esterna: affissioni dirette in Comunale; servizi action marketing; servizi in-store; deposito e smistamento materiali sul Centro-Sud Italia; grandi dimensioni pubblicitarie. Copertura Territorio: diretta nel Centro-Sud Italia; indiretta nel Nord Italia. Clienti: Nazionali: l’azienda opera attraverso accordi di partnership annuali con le concessionarie e centri media nazionali. Clienti con copertura georeferenziata: Auchan, Burger King, Oviesse, ENEL, Despar, MD Discount, Sidis, Fabbri, CEPU, Decathlon, Wind, Calzedonia, Piazza Italia, TIM, Clayton, Vueling, Fastweb, Vodafone, Mercedes.


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Grazie Expo! Per la prima volta, secondo le stime di IGPDecaux, l’anno che sta per chiudersi non avrà un segno negativo, il che rappresenta già un successo. Una crescita ancor più marcata per il comparto Outdoor, la cui vitalità, combinata al ‘fattore Expo’, ha favorito chi dispone di mezzi capillarmente diffusi su tutto il territorio milanese e lombardo.

INTERVISTA a Flavio Biondi, Consigliere Delegato alla Direzione Commerciale, IGPDecaux. Qual è la vostra sensazione sull’andamento generale del mercato dell’advertising e quali le proiezioni sulla chiusura di quest’anno? Al momento sembrerebbe un mercato in linea con quello dello scorso anno, e se così fosse sarebbe la prima volta dopo anni di decrescita. Teniamo anche presente che una parte degli investimenti sul web non vengono rilevati e sappiamo che sono oramai una parte consistente dei budget dei nostri clienti. Per quanto riguarda l’Outdoor stimiamo un mercato in crescita dovuto sia alla vitalità che offre questo comparto media sia all’evento Expo che ha favorito chi aveva patrimonio sull’area di Milano. Dal generale al particolare: potete fare un consuntivo mezzo per mezzo (Affissioni, Dinamica, ecc.) dei vostri risultati fino a questo momento rispetto agli obbiettivi e ai traguardi che vi eravate posti per la fine del 2015? Chiuderemo l’anno con tutti i nostri mezzi in crescita, significativa quella del sistema Aeroportuale lombardo (Linate, Malpensa, Orio al Serio), ma tutt’altro che trascurabile l’occupazione che abbiamo avuto anche per l’Arredo Urbano, le Metropolitane e i mezzi di 124

Flavio Biondi, Consigliere Delegato alla Direzione Commerciale IGPDecaux

trasporto di superficie. Grande successo hanno riscontrato presso i nostri clienti le vetture decorate di Milano: abbiamo avuto in alcuni momenti più di 200 vetture decorate in circolazione, con apprezzamento non solo da parte dei clienti ma anche dai cittadini che vedono una pubblicità di qualità, non invasiva ma di sicura efficacia.


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IGPDECAUX

Quali sono state le principali novità introdotte nella vostra offerta commerciale nel corso di quest’anno? Non abbiamo introdotto particolari novità, abbiamo lavorato sul mercato dei clienti e delle agenzie media con lo scopo di far cultura del mezzo, mostrandone tutte le potenzialità e cercando di far capire come un circuito di Pensiline o la Domination di una stazione della Metropolitana possano essere sfruttate in maniera creativa, utilizzando dove possibile la sinergia con le nuove applicazioni digitali. Quali aree di business oggi richiedono da parte vostra una maggiore attenzione in termini di sviluppo e innovazione? Su quali state investendo e quali priorità vi siete dati per continuare a crescere? Lavoriamo su tutti i fronti e non escludiamo nulla: siamo convinti che l’innovazione e le tecnologie coinvolgeranno tutti i nostri mezzi. Nel mondo è in atto un cambiamento sulla fruizione della città. IGPDecaux, che da sempre si occupa di infrastrutture al servizio del cittadino, in questo cambiamento avrà un ruolo determinante. Come il vostro management si sta adattando a queste nuove esigenze? Ci sono state novità all’interno della vostra struttura da questo punto di vista? Siamo in ‘formazione’ continua, sicuramente andremo ad implementare la nostra organizzazione con nuove figure professionali. Al momento abbiamo da poco aperto un’unità per la creazione di domanda (demand generation) sia dal punto

Centro Direzionale Milanofiori Strada 3, Palazzo B10 – 20090 Assago (MI) Tel. 02 624981 Fax 02 6599037 servizioclienti@igpdecaux.it www.igpdecaux.it

Board di direzione: Fabrizio du Chène, Falvio Biondi, Jean Charles Decaux, Alessandro Loro. Servizi offerti/Mezzi in concessione: Concessionaria Out-Of-Home Anno di fondazione: 2001 Addetti: 280 collaboratori Fatturato 2014: 103 milioni di euro Clienti (principali): Esselunga Lombardia, Tim-Telecom, Sky Italia, Vodafone Omnitel, Alfred Ritter, Giorgio Armani, Ferrero, LVMH Italia S.p.A., Dental Franchising, H&M Hennes & Mauritz. di vista dell’inbound marketing che dell’event marketing. Questa unità è guidata da Benedetta Arlati che già aveva la responsabilità della Comunicazione. Quali fra le più recenti case history illustrano al meglio le vostre capacità di portare valore aggiunto ai brand dei clienti? Le campagne di successo sono innumerevoli, e potremmo citarne alcune come esempi di case history che pianificando l’OOH hanno portato valore aggiunto al brand. La prima è quella per il Consorzio per la Tutela del Formaggio Gorgonzola DOP: una campagna declinata su tutti i prodotti IGPDecaux con un presidio territoriale di oltre 6 mesi. L’obiettivo del cliente era quello di focalizzare gli investimenti in un contesto territoriale circoscritto in occasione del periodo EXPO. Questo obiettivo è stato meglio raggiunto attraverso l’OOH. La case Esselunga non rappresenta solo una grande operazione di corporate identity orchestra 125


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Il Consorzio per la Tutela del Gorgonzola DOP ha pianificato una campagna declinata su tutti i prodotti IGPDecaux per oltre 6 mesi, focalizzando gli investimenti in un contesto territoriale circoscritto in occasione del periodo EXPO

Orchestrata dal critico d’arte Philippe Daverio insieme a IGPDecaux, la campagna Esselunga ha trasformato i binari delle stazioni della metropolitana di Milano in una straordinaria galleria di opere d’arte 126


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In occasione dell’apertura del primo Flagship Store Nespresso in Italia, dal 14 al 27 maggio, IGPDecaux ha trasformato la stazione di Duomo in una vera e propria Boutique dedicata al caffè, una Station Domination cui si è accompagnata un’attività di sampling

ta da Philippe Daverio per il cliente insieme a IGPDecaux, ma si tratta di una mostra che porta ai binari delle stazioni della metropolitana di Milano una straordinaria collezione di opere d’arte che raccontano la storia dell’alimentazione. La galleria, che si è estesa da Duomo a Turati, da Lotto a Sesto Marelli, da Porta Genova a Cadorna, in 240 posizioni distribuite su 70 stazioni, per il critico d’arte è ‘la mostra più vista nella storia, con oltre 20 milioni di visitatori’. Un’ultima operazione è quella Nestlé/Nespresso: in occasione dell’apertura del primo Flagship Store

Nespresso in Italia, dal 14 maggio al 27 maggio la fermata Duomo è stata trasformata in una vera e propria Boutique dedicata al caffè, uno spazio nel quale concedersi un attimo di pausa per scoprire i prodotti del brand Nespresso. Toccare con mano il mondo Nespresso è stato ancora più facile per i viaggiatori della Metropolitana Milanese perché oltre alla Station Domination è stata svolta anche un’attività di sampling: tutti i passanti sono stati omaggiati di una tazzina coupon per invitarli a scoprire il loro Grand Cru Nespresso preferito nel nuovo Flagship Store. 127


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Programmatic & Performance NetMediaClick chiuderà il 2015 con un tasso di crescita superiore al +25% grazie ai due fattori che stanno caratterizzando l’intero mercato dell’adv digitale: l’entrata a regime del programmatic e il trend crescente del mondo performance. L’offerta della concessionaria è inoltre stata arricchita da due grandi novità: un’esclusiva piattaforma social e NetMediaLab.

INTERVISTA a Giuseppe Vigorito e Matteo Ferrara, Sales Manager e membri del CDA di NetMediaClick. Come si chiuderà il 2015 per il mercato e per voi direttamente? Matteo Ferrara – Rispetto al 2014 è stato un anno di ripresa e di rivoluzione: il mercato si è risollevato e le aziende hanno ricominciato a investire ma in modo diverso, utilizzando prodotti e metodologie differenti. Programmatic e RTB hanno iniziato a lavorare a pieno regime, sostituendo in parte il ruolo delle logiche tradizionali di pianificazione. Si è confermato il trend crescente del mondo performance che ha sempre più un peso rilevante nel media mix di agenzie e clienti. Questi elementi hanno giocato anche per noi un ruolo chiave nel raggiungimento del nostro ambizioso obiettivo, e stimiamo una chiusura molto positiva al +25%/30%. Giuseppe Vigorito – Siamo ampiamente soddisfatti del 2015: abbiamo consolidato la nostra offerta commerciale soprattutto in ambito Performance e Social, e con il progetto NetMediaLAB (nato nel 2014) è stata introdotta un’esclusiva e innovativa soluzione a supporto dei clienti. Ci eravamo ripromessi di fidelizzare un portfolio costituito da Top Clients e New Business che investisse su di noi continuativamente, e al termine del secondo quarter l’obiettivo è stato raggiunto. Inserendo nuove competenze e nuove risorse abbiamo ampliato ulteriormente la struttura NMC su scala nazionale, e grazie a partnership 128

Giuseppe Vigorito e Matteo Ferrara, Partner e Sales Manager di NetMediaClick

esclusive con fornitori leader di tecnologia siamo in grado di rispondere a un mercato sempre più esigente. Quali sono state le principali novità introdotte nel corso di quest’anno? MF – La prima è il già citato NetMediaLAB, attraverso il quale è possibile effettuare Test di Neuro Web Marketing che forniscono la possibilità di ottimizzare la produzione dei materiali (creatività, landing page, ecc.) in modo veloce, misurabile, e scientifico. NML misura infatti le reazioni dei soggetti in target (visitatori, utenti, consumatori), in relazione a stimoli percettivi (creatività, interfacce, contenuti, prodotti), mediante neurotecnologie (sistemi di rilevazione movimento oculare). La seconda novità è una piattaforma social che


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NETMEDIACLICK

(Mailclick – Videoclick Advertising) Via Pietrasanta, 12 – 20141 Milano Tel. 02 36515010 info@netmediaclick.it www.netmediaclick.it

Board di direzione: Giulio Valiante, Presidente; Valerio Ginnasi, CEO; Giuseppe Vigorito e Matteo Ferrara, Partners e Sales Managers. Servizi offerti/Mezzi in concessione: Dem, Display, Mobile, Social, Programmatic/RTB, Video. Anno di fondazione: 2007 Addetti: 12 permette a qualsiasi utente con un profilo attivo di diventare nano-publisher/influencer e guadagnare per il traffico qualitativo generato attraverso la condivisione di contenuti. La sua vera innovazione è nella profilazione degli influencer e nel controllo dei contenuti e dei click attraverso l’anti-fraude system di cui è dotata la piattaforma: controlla gli IP da cui provengono tutti i click, valida solo quelli provenienti dal paese della campagna, avvia il robot click control per accedere alla condivisione di post, richiede all’utente di inserire un codice captcha. Clienti di diversi settori merceologici (automotive, Gdo, finance e cosmesi) hanno già avuto l’occasione di pianificare campagne utilizzando questo prodotto. In quali aree di business state investendo di più e quali priorità vi siete dati per il 2016? GV - Le nostre priorità sono indirizzate a Programmatic, Performance e Mobile. Lato Programmatic, abbiamo già chiuso dei contratti con partner molto verticali nei settori tecnologia e grande distribuzione, che ci permettono di avere qualità ma allo stesso tempo numeriche molto interessanti. Per il mondo Performance abbiamo una piattaforma proprietaria, con dashboard visibile sia lato publisher che lato cliente per ottimizzare al meglio tutte le campagne che gestiamo. Sul mercato Mobile – ormai diviso fra grandi editori con app di proprietà da un lato e Ad Network dall’altro

Clienti (principali): Genertel, Allianz, FCA, BMW - Mini, Kiko, Vodafone, Eni, Enel, ALD, Johnson & Johnson, Telecom, Wind, Gruppo Volkswagen, Unicredit, Mercedes, Nestlè, Poste italiane, Samsung, 20th Century Fox, Warner, Eagle – vogliamo inserirci nel ‘centro’ acquisendo in esclusiva una o due app per settore, per poter dire chiaramente ai clienti dove saranno presenti e con che frequenza. Su tutte e tre queste aree stiamo assumendo risorse specializzate con forte know-how ed expertise, oltre che figure junior da far crescere insieme a noi e al progetto. Per chiudere: una recente case history? MF – Nel 2015 abbiamo realizzato attraverso il canale DEM attività di grande successo per i settori Insurance e Automotive, con alcuni dei clienti più importanti del segmento: Genertel, Allianz, Zurich, Genialloyd, Direct Line, FCA, BMW–Mini, Mercedes, Toyota, Peugeot, Skoda, Nissan, Audi. In particolare, abbiamo generato oltre 20.000 lead mensili di richiesta preventivo Polizza e oltre 3.000 lead mensili di richieste di test drive. Abbiamo riscontrato un tasso di approvazione da parte dei clienti coinvolti superiore al 90%, a testimonianza della qualità delle liste utilizzate, a discapito di un benchmark di mercato che si attesta intorno al 75%. 129


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Qualità,dinamismo,integrazione A rendere unica l’offerta di Rai Pubblicità è il mix fra la qualità dei contenuti (che attirano audience e rendono i suoi i canali appetibili al mercato), il dinamismo della sua struttura (nel realizzare partnership di rilievo), e la proposta agli investitori di soluzioni tailor made, crossmediali e integrate su qualsiasi piattaforma: Tv, Radio, Cinema, Digital e Out Of Home.

INTERVISTA a Fabrizio Piscopo, Amministratore Delegato Rai Pubblicità. Potete stilare un consuntivo mezzo per mezzo – Televisione, Radio, Digital, Cinema e, per la prima volta, anche Out Of Home – dei vostri risultati fino a questo momento, sia rispetto all’andamento del mercato nel suo insieme, sia rispetto agli obbiettivi e ai traguardi che vi eravate posti per la fine del 2015? È stato sicuramente un anno molto positivo che ha registrato una domanda crescente di spazi fino a giungere a una situazione di overbooking per alcuni dei nostri mezzi. La nostra crescita segue del resto un trend finalmente positivo del mercato come emerge dagli ultimi dati Nielsen che indicano per il totale Tv una crescita del +10,8% per il singolo mese (agosto 2015), portando il periodo cumulato gennaio-agosto a -2,7%, una tendenza positiva che sembrerebbe proseguire anche nei mesi successivi. Molto buone anche le performance della Radio, in particolare nel terzo trimestre, che crescono a doppia cifra e sono proporzionali ai trend positivi per gli ascolti delle reti radiofoniche Rai Radio. I palinsesti solidi e di qualità hanno dato ampio respiro anche alle nostre iniziative speciali, in particolar modo con le offerte legate ai grandi eventi televisivi che hanno impreziosito la già ricchissima offerta Rai con una corona di 130

Fabrizio Piscopo, Amministratore Delegato Rai Pubblicità

importanti appuntamenti nel corso di tutto l’anno: da Sanremo alle partite della Nazionale A; dalla Formula 1 al Giro D’Italia, i grandi show


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RAI PUBBLICITÀ Via Giovanni Carlo Cavalli 6, Torino Tel. 011 7441111 Fax 011 7441200 Ufficio.StampaRaiPubblicita@raipubblicita.it www.raipubblicita.it

musicali come The Voice, la grande fiction È arrivata la felicità e Il Giovane Montalbano, senza dimenticare l’amatissimo show di intrattenimento Tale e quale show e l’adventure Pechino Express. Anche il digital dopo un avvio di 2015 un po’ in sordina, è cresciuto straordinariamente: nel primo semestre abbiamo registrato una crescita importante. Il video si conferma il formato più apprezzato dal mercato con trend molto positivi in particolare nel segmento mobile. Sul fronte Cinema, la recente introduzione della vendita a performance, partita a luglio 2015, è stata accolta dal mercato favorevolmente permettendoci di raccogliere riscontri molto positivi. L’introduzione di un CPC in contesto cinematografico nasce dalla volontà di allineare anche il grande schermo alle logiche di acquisto degli altri mezzi di comunicazione, con il valore aggiunto della certificazione. Con il 45% degli spettatori, rappresentiamo il principale player del mercato e vogliamo offrire ai clienti la massima efficienza sugli investimenti in questo canale. Infine, quest’anno, grazie all’accordo tra Rai Com ed Expo 2015, abbiamo introdotto nella nostra offerta anche l’Out of Home seppure per il periodo limitato di Expo 2015. Il progetto si è strutturato su diverse attività di near digital marketing (app, beacon) e di video comunicazione (totem, e-wall interattivi), e si è integrato in maniera coerente all’interno dell’offerta commerciale complessiva dimostrando che per eventi straordinari Rai Pubblicità può cimentarsi molto bene anche in segmenti normalmente non tradizionali per la concessionaria del broadcaster pubblico.

Board di direzione: Giuseppe Pasciucco, Presidente; Fabrizio Piscopo, Amministratore Delegato; Luciano Flussi, Direttore generale. Mezzi in concessione: Televisione, Radio, Cinema, Digitale OOH (per Expo 2015) Anno di fondazione: 1926 (ex Sipra)

Quali sono state le principali novità introdotte nella vostra offerta commerciale nel corso di quest’anno? Sul fronte digital merita certamente una menzione l’accordo firmato recentemente, a settembre 2015, con Rubicon Project, grazie al quale abbiamo introdotto la possibilità per i nostri investitori di pianificare in programmatic su Rai.tv, Rai.it (sia in versione desktop che mobile) e sulle App firmate Rai. Questa scelta rende il processo di acquisto e vendita più efficiente ma anche più efficace, perché in tal modo i consumatori vengono esposti a contenuti mirati e messaggi pertinenti basati proprio sui loro interessi. Come già anticipato, anche sul fronte Cinema abbiamo rinnovato l’offerta rendendola più in linea con gli orientamenti del mercato della comunicazione grazie all’introduzione della già citata vendita a performance vale a dire la possibilità di acquistare gli spazi a costo per contatto (CPC) su audience garantite e certificate Cinetel. Degno di nota l’accordo con Powa Technologies Limited che ci ha permesso di introdurre le soluzioni di mobile commerce PowaTag sui nostri canali: si tratta di un sistema che consente ai consumatori di eseguire acquisti in tempo reale 131


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con lo smartphone, interagendo con i messaggi pubblicitari su stampa, Tv, radio, cinema e media digitali tramite l’utilizzo di QR code, audio tag, beacon Bluetooth e social media. Infine, sul fronte Out of Home, abbiamo costruito un progetto ambizioso e complesso in grado di valorizzare gli spazi pubblicitari outdoor di Expo 2015 grazie alla combinazione intelligente di attività promozionali in loco basate su tecnologie avanzate (e-wall, totem, beacon) e combinate con abbinamenti ad hoc anche con altri mezzi di comunicazione come la televisione e la radio. Con oltre 1,7 milioni di contatti al giorno stimati da GFK Eurisko, l’offerta commerciale messa a disposizione dei clienti è stata irrinunciabile. Quali aree di business oggi richiedono da parte vostra una maggiore attenzione in termini di sviluppo e innovazione? Su quali state investendo da un punto di vista ‘strutturale’, e quali sono le priorità che vi siete dati per poter continuare a crescere? Le nostre parole d’ordine rimangono qualità, dinamismo e integrazione. Da un lato continuiamo a investire in termini di qualità in tutti i contenuti, certi che il pubblico ci premi con audience di rilievo che ci rendono appetibili per il mercato; dall’altro lato puntiamo all’integrazione dell’offerta sui nostri canali, proponendo agli investitori soluzioni commerciali cross-piattaforma in grado di seguire i consumatori in tutte le loro abitudini di consumo. Siamo l’unico player, infatti, a poter garantire una proposta commerciale in grado di integrare Tv, radio, cinema, digital e, per grandi eventi istituzionali, per questi 6 mesi, l’Out Of Home. Infine, ogni nostro cliente può contare sul supporto della rete vendita che riceve ed elabora i brief fornendo proposte di pianificazione tailor made e nativamente cross-mediali con grande professionalità ed efficienza.

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Come il vostro management si sta adattando a queste nuove esigenze? Ci sono state novità all’interno della vostra struttura da questo punto di vista? Rai Pubblicità cerca di essere sempre molto flessibile e rapida nel seguire i segnali del mercato, ad esempio sono state perfettamente in time le scelte di accorpare le vendite web e radio, due mezzi assolutamente sinergici ed entrambi molto innovativi. Anche le scelte di cambiamento sulle modalità di vendita del cinema e la capacità di stringere sinergie con partner esterni – l’accordo con UCI per il cinema, con Rubicon per il programmatic della display digital, e con Powa per il second screen – sono indicatori di un’azienda snella e molto versatile, adatta al dinamismo e alla fluidità degli attuali mercati. C’è una recente case history che rappresenta e simboleggia al meglio le vostre capacità di portare valore aggiunto ai brand dei clienti? Potete illustrarcela? Fra le altre iniziative speciali create ad hoc nel corso dell’anno, una per tutte, citiamo la case history Wind. Abbiamo sviluppato ex novo per Wind un progetto legato al mondo della musica per promuovere il nuovo servizio Wind All Inclusive Music. Le piattaforme coinvolte sono state, oltre alla televisione, la radio, il web e i social network, così da raggiungere anche i target più giovani e più attivi su tablet e telefonini, quindi clienti di punta per Wind. I programmi, perno dell’intero progetto, sono stati The Voice e Sanremo 2015, rappresentativi per Rai del mondo della musica con due declinazioni diverse ma complementari: più dinamico e trendy il pubblico di Rai Due, più esperto e preparato/legato alla tradizione quello di Rai Uno.


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Partnership a 360° La multi-distribuzione dei canali sulle piattaforme pay e sul Digitale Terrestre Free permette ai partner di Turner di raggiungere target diversi e aggiuntivi, sia attraverso la comunicazione tabellare, sia attraverso progetti tailor made, integrati nella continuity dei canali e nella programmazione editoriale su Tv e web, massimizzando il coinvolgimento del target

INTERVISTA a Jaime Ondarza, Senior Vice President and General Manager Turner South Emea and Africa. Come si chiuderà l’anno per Turner e i suoi canali? Nonostante la crisi che ha investito il mercato pubblicitario negli ultimi anni siamo riusciti a mantenere un trend positivo: avvantaggiati da un’offerta distintiva e specifica, abbiamo avuto meno difficoltà di altri canali televisivi o di altri mezzi. In un momento di riduzione dei budget i clienti hanno scelto media molto targettizzati, ben finalizzati e quantificabili, e grazie ai nostri buoni ascolti e alla distribuzione sia sul Digitale Terrestre che sul pay abbiamo ottenuto risultati più che soddisfacenti. La proiezione per il 2015 è positiva: con Boing continuiamo a essere primi tra i canali per bambini e inoltre, insieme a Cartoonito, raggiungiamo sul totale individui una share di oltre il 2% nella fascia 7-22, garantendo così all’editore Boing un ottimo posizionamento nel ranking complessivo delle reti televisive. Anche i canali pay Cartoon Network e Boomerang vanno molto bene. Cartoon Network, in particolare cresce di oltre il 30% negli ascolti del back to school 134

Jaime Ondarza, Senior Vice President and General Manager Turner South Emea and Africa

posizionandosi in modo stabile al numero due fra i canali kids più visti della Pay Tv e indiscutibilmente primo, ormai da tempo, sul


turner

target maschile 4 -14 anni. Quali sono state le principali novità introdotte nella vostra offerta commerciale nel corso di quest’anno? Per i canali free, Boing e Cartoonito, lavoriamo con la concessionaria per capitalizzare al meglio le audience sviluppate grazie all’ascolto condiviso e offrire moduli interessanti per il clienti che si rivolgono al target famiglia. Abbiamo previsto la realizzazione di format specifici per l’extrasettore, ad esempio automotive, abbigliamento o alimentare, e siamo in grado di realizzare progetti ad hoc per il singolo cliente. Mettiamo a disposizione degli investitori progetti ‘tailor made’ creando attività sinergiche su Tv e Web che permettono di sfruttare al meglio le specificità di ciascun media. Le attività concorsuali e i progetti crossmediali sono in costante crescita, a riprova dell’efficacia di questo sistema nel coinvolgimento dei ragazzi. Nel primo semestre abbiamo registrato un forte incremento delle iniziative speciali sia in valore assoluto che in termini di peso sulla raccolta totale. Lato pay, per rispondere alle esigenze del pubblico e dei clienti, Cartoon Network e Boomerang hanno sviluppato nuove proposte digital e multipiattaforma. Abbiamo lanciato siti internet ottimizzati per la fruizione mobile e App gratuite in cui è possibile ospitare pubblicità con formati innovativi e altamente performanti, con un CTR di circa il 40%. Tutto questo ci permette di offrire pianificazioni impattanti, coinvolgenti e su tutti i mezzi usati dal nostro target. Inoltre continuiamo a sviluppare proposte commerciali che si integrano con il

TURNER Via dei Magazzini Generali, 20 - 00154 Roma Tel. 06 696651 – Fax 06 6966528 www.cartoonnetwork.it www.boomerangtv.it www.boingtv.it www.cartoonito.it

palinsesto editoriale e fanno della frequenza e dell’engagement il loro punto di forza. Quali asset e aree di business richiedono oggi una maggiore attenzione in termini di sviluppo e innovazione? Su quali state investendo? Lo sviluppo del mercato dei media, dell’entertainment e dell’informazione sta enfatizzando l’importanza della qualità del prodotto e della catena dei diritti. La nostra società, parliamo di Turner ma anche di Time Warner, si è configurata sempre di più come una delle più forti Content Company a livello mondiale. Siamo usciti dal ruolo di aggregatori di prodotto concentrando i nostri sforzi soprattutto nella creazione di 135


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contenuto di valore di cui controlliamo tutti i diritti. Abbiamo la possibilità di raggiungere tutti i target e di raccogliere le sfide del futuro, accompagnando gli spettatori delle piattaforme di tutti i tipi, dalla Pay Tv tradizionale ai nuovi operatori OTT, nella fruizione di un contenuto che va al di là della modalità tradizionali. Time Warner oggi è organizzata sostanzialmente attorno a tre gruppi: Turner, HBO e Warner Bros., tutti numeri 1 nei loro settori. Fanno parte di Turner brand molto forti e riconoscibili come Cnn, leader nell’informazione, TNT e TBS leader nel general entertainment e Cartoon Network e Boomerang leader nei kids insieme a brand locali come Boing e Cartoonito presenti in Italia, Spagna, Francia e Sud Africa. Recentemente, come annunciato da Kevin Reilly, President TNT and TBS & Chief Content, abbiamo intensificato la produzione di contenuto originale per i nostri canali di general entertainment TNT, TBS e True Tv. Anche per i canali kids abbiamo incrementato la produzione pur mantenendo alto il livello qualitativo dei nostri contenuti. I Cartoon Network Studios si distinguono da sempre come fucina di creatività e innovazione. Inoltre, è sempre più strategica e forte la partnership con Warner Bros. per assicurare a Boomerang un contenuto di qualità e un ruolo prioritario anche a livello globale. Qual è oggi il posizionamento di Turner nello scenario televisivo? In altre parole, come una pianificazione sui suoi canali porta un concreto valore aggiunto ai brand dei vostri clienti? Creiamo per loro attività che consentono di sviluppare partnership a 360°. Integriamo i progetti nella continuity dei canali e nella programmazione editoriale usando

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in maniera complementare i nostri media nell’ottica di massimizzare il coinvolgimento del target sulla property e di garantire così ai nostri partner la più efficace esposizione possibile. In generale, possiamo dire che uno dei valori aggiunti della nostra offerta è proprio la multi distribuzione dei canali, presenti sulle piattaforme pay e sul Digitale Terrestre Free, che permette ai nostri partner di raggiungere target diversi e aggiuntivi.


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La forza della crossmedialità Flessibilità è la parola chiave per comprendere spirito e dinamiche dell’attività di Level 33, ‘hub’ specializzato nell’ideazione e produzione di progetti di branded content e product placement in collaborazione con agenzie media, editori e concessionarie. La sua ricetta? Contenuti crossmediali per allargare l’audience e garantire performance e risultati stupefacenti

INTERVISTA a Umberto Chiaramonte, Founder Level 33. Level 33 è la nuova società di comunicazione che fa capo al gruppo indipendente MN Holding: quando è nata e con quali specifici obiettivi? Level33 è un hub di comunicazione nato 3 anni fa e dedicato al branded content e al product placement. Cerca, infatti, di creare valore attivando una relazione virtuosa tra i centri media e i brand da loro gestiti, da una parte, e, dall’altra, gli editori web e televisivi con le loro concessionarie di pubblicità. E in più aggiunge il talent giusto nel formato giusto. Il talent oggi è diventato un vero e proprio media, un influencer, una leva che moltiplica l’audience del progetto. Qual è il background della società e del suo management? Il management di Level33 ha esperienze nel branded content televisivo quasi decennali. A metà degli anni 2000 produsse quasi tutto il poker televisivo per i grandi operatori di gioco quali Lottomatica, Sisal, Snai, Pokerstars in onda su Sky, Mediaset e La7. In seguito, dopo aver venduto la società che produceva il poker a Magnolia, ha continuato a dedicarsi a progetti di branded content con Level33. 138

Umberto Chiaramonte, Founder Level 33

Che cosa vi ha spinto a entrare nell’arena del branded content? Da una parte, la profonda conoscenza degli editori web e Tv e la loro crescente domanda di contenuti, determinata dalla moltiplicazione di canali pay e free e delle piattaforme web. Dall’altra, la scarsa attitudine del mercato a considerare i progetti editoriali e le operazioni di branded content come opportunità di comunicazione efficace ed efficiente. Sono i due binari sui quali muove Level33.


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LEVEL 33 Via Andrea Appiani, 9 – 20121 Milano Tel. 02 89015519 idee@level33.tv www.level33.tv

Aziende, editori/concessionarie, agenzie media: a chi si rivolge esattamente la vostra offerta? Flessibilità è la parola chiave per comprendere spirito e dinamiche della nostra attività. Noi utilizziamo tutte le porte d’ingresso del media market. Spesso è il centro media con il suo brand che ci chiede visibilità su un contenuto video per la Tv o il web. Altre volte è l’editore che individua un contenuto con potenzialità di successo e ci chiede il supporto di un brand per finanziarne la produzione. In tutti i casi, il dialogo con la concessionaria è fondamentale. Ci sono differenze nell’approcciare e nell’interagire con gli uni o gli altri? Assolutamente sì! Le differenze sono tante e di natura culturale. L’editore accetta il brand, ma giustamente non può snaturare la sua linea editoriale e l’abitudine del suo pubblico. Il centro media e il suo brand nel diventare un contenuto video non devono uscire dalle strategia di marketing sul prodotto. E la concessionaria dell’editore deve stabilire le regole di ingaggio e non deve essere tenuta fuori nella gestione del brand. Anzi, supportare il branded content con una campagna adv è una chiave del successo del progetto. Quale tipologia di strutture è più avanti sotto il profilo del know-how e dell’esperienza nell’ambito del branded content? Più che di strutture parlerei di interlocutori. Ce ne sono alcuni restii al cambiamento che, di fatto, rimangono ancorati alle logiche dell’adv e non vogliono entrare in quelle innovative del

Board di direzione: Matteo Maffucci, Mario Maffucci, Massimo Donelli, Umberto Chiaramonte Servizi offerti: Progetti di comunicazione basati su branded content e product placement Anno di fondazione: 2012 Addetti: 15 Fatturato 2014: circa 2 milioni di euro

branded content. Altri, che definirei più ‘audaci’, capiscono la forza esplosiva di questo processo e lo sposano in toto. Con grande soddisfazione. Il branded content non è una disciplina ‘nuova’: ma è certo che oggi la qualità dei progetti in questo ambito è sempre più alta e i progetti si fanno via via più sofisticati… Qual è, dal vostro punto di vista, il giusto approccio a questo lavoro? La nostra ricetta, se vogliamo chiamarla così, è tutta in due parole: multimedia format. Un progetto, un contenuto che non è più solo televisivo, ma ha nella crossmedialità e nella crosscomunicazione due leve potentissime, capaci di allargare l’audience in maniera importante e garantire performance altrimenti non immaginabili. Crediamo fermanente che parte del successo del progetto sia l’aggregazione di editori diversi in grado di generare un forte boost di comunicazione. Per esempio, su Alessandro Borghese Kitchen Sound abbiamo coniugato la Tv (Sky), il web (Yahoo.it e Rds.it), tutti i social, la radio (Rds) e un evento sul territorio. E Alessandro, con il suo enorme seguito sul web, è diventato una sorta di media aggiuntivo. 139


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Quali i meccanismi per conciliare le esigenze di tutte le parti in gioco? Il progetto è vincente solo se porta valore a tutte le parti coinvolte. Quindi, di volta in volta, il driver è diverso. Questo è il bello: una sfida continua che poggia, sistematicamente, su basi creative, e deve generare appeal per il pubblico; e, nello stesso tempo, conquistare sia il centro media, con il suo brand, che l’editore web e televisivo. Le iniziative di Level 33 sono costruite per uscire dallo schermo tv e per svilupparsi organicamente su più mezzi: ritenete necessario questo tipo di approccio? È la nostra cifra distintiva. Più mezzi, chiaramente non in contrapposizione tra loro, oltre a garantire più audience danno al brand la possibilità di utilizzare più linguaggi, ognuno consono al target da raggiungere. A chi spetta gestire l’‘integrazione’ fra le diverse declinazioni del progetto? Direi che spetta proprio a noi: Level33 è più un hub di comunicazione che un produttore televisivo. Un hub in grado di generale trasversalità mediatica.

• Alessandro Borghese Kitchen Sound – SKY Uno, Yahoo!, RDS Di sicuro il fiore all’occhiello di Level33 per la capacità di sposare product placement e crossmedialità in un unico progetto, traghettati da un talent e con una serialità senza precedenti. 200 pillole di cucina presentate dallo chef Alessandro Borghese in onda per 9 mesi su SKY Uno e visibili sul sito Yahoo.it e RDS.it. Una comunicazione integrata che si sviluppava dalla Tv per poi passare dal web e la radio e finire a un temporary restaurant. A tutto questo si aggiungeva la forza di comunicazione del talent attraverso i suoi social. Beko, Pengo, Regina, Diners, Kimbo e Morettini sono solo alcuni dei brand che sono stati inseriti nel racconto delle puntate.

Come nasce e si sviluppa al vostro interno un progetto di branded content sia dal punto di vista strategico che da quello creativo? Lo start del progetto è sempre creativo. Level33 ha un team di autori ed esperti di comunicazione a Milano e Roma che lavora sul brief di un centro media o di un editore, delineando il contenuto, i mezzi di distribuzione e i talent da coinvolgere. La parola ai progetti: quali fra le vostre case history testimoniano concretamente il vostro posizionamento e il vostro metodo? Nonostante i progetti realizzati negli ultimi anni siano svariati, sono questi quattro quelli che racchiudono tutti gli asset di Level33.

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• RDS Academy - SkyUno Il primo talent sul mondo della radio, un mondo fino a pochi anni fa esclusiva di chi ci lavorava e che non aveva mai aperto le porte al grande pubblico, fortemente voluto da RDS e Level33


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che è arrivato quest’anno alla terza edizione. Un formato branded content ma con forte accento sulla crossmedialità che Level33 ha potuto mettere a punto proprio in questa occasione: il progetto è nato infatti in collaborazione con Vanity Fair e SKY Uno. Per la prima volta, quindi, il mondo della Tv si trova allo stesso tavolo con quello dell’editoria e della radio, ognuno con le rispettive concessionarie. Solo grazie a un lungo lavoro focalizzato sul mantenimento degli equilibri tra tutti i partner è stato possibile procedere a una ‘vendita’ combinata di product placement e campagne adv integrate su differenti media. Anche questa volta due importanti aziende hanno creduto nel progetto: CheBanca! e Toyota.

• Che Trucco! - La5 La nostra prima importante case history di product placement: un progetto dalla lunga gestazione perchè per la prima volta un produttore esterno entrava nel mondo ‘conservatore’ del makeup. In collaborazione con Publitalia e senza in alcun modo incidere sulle campagne adv, da sempre care al mondo del beauty, aziende del calibro di Chanel, Dior, Estée Lauder e YSL hanno deciso di percorrere una strada diversa. È nata così la serie Che trucco!: oltre 100 puntate tutorial su metodi e tecniche di applicazione dei prodotti, coadiuvate da consigli e insegnamenti di make-up artist internazionali. Dopo 3 stagioni, da Che trucco! è nato anche Makeup Master, primo talent sul mondo del make-up realizzato sempre da noi: non solo una presentazione dei prodotti, ma una dimostrazione pratica e

concreta di utilizzo su persone comuni. Il tutto con un taglio veloce e dinamico, attivando attraverso i canali de La5 un casting che ogni anno contava centinaia di richieste, massimizzato nell’ultima edizione dal parere in puntata di una nota blogger per dar vita a quella crossmedialità a noi cara. Che trucco! ha tra l’altro segnato un dato fondamentale per una delle aziende coinvolte, che dopo la prima edizione ha incrementato le vendite di uno specifico prodotto del 300%.

• Muro-SKY Arte HD Un progetto per SKY Arte HD composto da otto documentari sull’opera dei più importanti street artist internazionali, impegnati a riqualificare con i loro murales le aree degradate di alcune città italiane. Il progetto, coprodotto con SKY e Il Fatto Quotidiano, ha visto la partecipazione delle Gallerie d’Italia di Piazza della Scala a Milano (Banca Intesa) che hanno ospitato le anteprime delle puntate. I documentari seguono tutte le fasi della realizzazione dell’opera, dall’ispirazione dell’artista alla sua interazione con i luoghi e le persone della città. Tra gli artisti coinvolti Axel Void (USA), Zio Ziegler (USA), Nicola Verlato (Italia/USA), Bezt degli Etam Cru (Polonia), Ella & Pitr (Francia), Jim Avignon (Germania) e Natalia Rak (Polonia).

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