i Quaderni della comunicazione
N° 71, settembre 2009 - Poste Italiane Spa - Spedizioni in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comm.1 DCB Milano
la guida per orientarsi nel mondo dei media, della pubblicitĂ e del marketing
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direttore responsabile Salvatore Sagone - salvatore.sagone@adcgroup.it coordinamento editoriale Tommaso Ridolfi - tommaso.ridolfi@adcgroup.it segreteria di redazione iquadernidellacomunicazione@adcgroup.it redazione Tommaso Ridolfi art direction e realizzazione Davide Lopopolo, Loredana Cattabriga davide.lopopolo@fastwebnet.it - loredana.cattabriga@fastwebnet.it fotocomposizione e stampa Lasergrafica Polver direttore commerciale Maria Cristina Concari - cristina.concari@adcgroup.it account director Andrea Parmigiani - andrea.parmigiani@adcgroup.it account manager Alessandra Cellina - alessandra.cellina@adcgroup.it Bianca Chiejdan - bianca.chiejdan@adcgroup.it Andrea Gervasi - andrea.gervasi@adcgroup.it abbonamenti Paola Morello - paola.morello@adcgroup.it Natalia Cavina - natalia.cavina@adcgroup.it marketing e comunicazione Alessia Bianchi - alessia.bianchi@adcgroup.it I Quaderni della Comunicazione periodico mensile n° 71 settembre 2009 registrazione tribunale di Milano n° 679, 30/11/2001 Società Editrice ADC Group Srl presidente: Salvatore Sagone amministratore delegato: Giulio Bortolussi sede legale: via Freguglia, 2 - 20122 Milano; sede operativa: via Fra Luca Pacioli, 3 - 20144 Milano redazione: tel: +39 02 83.10.23.45 - pubblicità: tel: +39 02 83.10.23.17 - fax: +39 02 36.59.27.35 info@adcgroup.it La collana de I Quaderni della Comunicazione è disponibile esclusivamente in abbonamento annuale. Abbonamento ai Quaderni della Comunicazione euro 105,00 Abbonamento ai Quaderni della Comunicazione + Nc - Il mensile della Nuova Comunicazione euro 275,00 Abbonamento ai Quaderni della Comunicazione + Nc - Il mensile della Nuova Comunicazione + Advexpress euro 415,00 I Quaderni della Comunicazione© Copyright 2009 ADC Group Srl Finito di stampare nel mese di settembre 2009 da: Lasergrafica Polver, via Kramer, 17/19 - 20129 Milano
Editoriale
Oltre la responsabilità COME EMERGE da una recente indagine sulla responsabilità sociale di impresa, condotta da IBM a livello globale tra numerosi senior business executive, continua infatti a essere evidente il divario significativo tra gli obiettivi di Csr che le aziende si prefiggono di raggiungere e la capacità effettiva di realizzarli. E questo per tre ragioni fondamentali. In primo luogo, le aziende non raccolgono e non analizzano tutte le informazioni relative alla Csr, o non le aggregano con sufficiente frequenza: non sono quindi in grado di implementare cambiamenti reali che potrebbero aumentare radicalmente l’efficienza, abbassare i costi, ridurre l’impatto ambientale e migliorare la reputazione dell’impresa presso gli stakeholder di riferimento. Secondo, solo una minoranza di aziende si preoccupa di raccogliere dati sufficienti dai partner globali della propria catena di fornitura, perdendo così un’importante occasione per ridurre incoerenze, inefficienze, sprechi e rischi che possono diffondersi attraverso una supply chain globale. Terzo, la maggior parte delle aziende continua a non comprendere i timori degli stakeholder, in particolare i clienti, e non li coinvolge attivamente nelle scelte dell’azienda, perdendo così l’occasione di acquisire elementi di conoscenza preziosi, che potrebbero migliorare l’impresa e fornire accesso a nuove opportunità. Quale futuro, allora, per la responsabilità sociale d’impresa? Come sostengono Luigi Ferraris, Sebastiano Renna e Rossella Sobrero, autori del volume ‘Oltre la Csr’ (vedi pag. 29), occorre superare la tradizionale accezione di responsabilità sociale, legata alle buone azioni, per intraprendere la via della ‘stakeholder vision’, ovvero gestire l’azienda avendo presenti fin dall’inizio gli interessi di tutti i diversi stakeholder. Occorre, cioè, trasformare la Csr, vissuta fino a oggi spesso come una leva di marketing in funzione dell’immagine, in un asset effettivamente strategico e di sostanza. È anche su questi temi che si discuterà alla V° edizione del Salone Dal Dire Al Fare, all’Università Bocconi di Milano il 28 e 29 settembre, di cui ADC Group è ancora una volta media partner. Salvatore Sagone direttore responsabile e presidente ADC Group
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indice
Indice Editoriale, di Salvatore Sagone
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PRIMA PARTE: LA GEOGRAFIA DEL MERCATO Capitolo 1. Sotto la lente della crisi
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Capitolo 2. Voglia di sostenibilità
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Capitolo 3. Un miliardo di buone ragioni
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Capitolo 4. Comunicare la Csr
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Capitolo 5. Percorsi di responsabilità
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Capitolo 6. Creare e condividere valore
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Capitolo 7. Csr si è, non si fa
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Capitolo 8. I green events prendono piede
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SECONDA PARTE: I PROTAGONISTI Action Aid. Etica e concretezza
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Aegis Media Italia. Un partner qualificato
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AstraZeneca. Far business nel ‘modo giusto’
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BAT. Un dialogo continuo
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Chiquita. Valori fondamentali
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Coca-Cola. Responsabilità a 360 gradi
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Holcim. Solide fondamenta per il futuro
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Koinetica. Un fenomeno di cultura
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Lottomatica. Giochi di strategia
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Sebach. L’engagement nel Dna
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Simonetti Studio. Rispetto e consapevolezza
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UM. Una vision strategica
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DOVE TROVARLI Gli indirizzi
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la geografia del mercato
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Sotto la lente della crisi Numerose ricerche, in Italia e nel mondo, hanno esplorato le diverse facce della responsabilità e della sostenibilità fra i cittadini e fra le imprese. Ne emerge un quadro in chiaroscuro: è vero, infatti, che cresce l’attenzione di aziende e consumatori, ma la crisi economica non sempre ha consentito a questa attenzione di tradursi in comportamenti pratici.
LA CRISI psicologica, prima ancora che economica, che stiamo vivendo creerà con ogni probabilità una grande discontinuità con il passato, costringendoci a rivedere il modello delle ‘aspettative crescenti’ (crescita irreversibile, prosperità per tutti…) che ha guidato le società dell’Occidente negli ultimi 50 anni. È questo il punto di partenza di uno stimolante intervento di Remo Lucchi e Paolo Anselmi, rispettivamente amministratore delegato e vicepresidente di Gfk Eurisko, pubblicato pochi mesi fa sul notiziario dell’istituto, “Social Trends”. Lucchi e Anselmi osservavano infatti come il nostro sistema socio-economico sia fondato sul mondo della produzione, e che “Le persone oggi si aspettano che le imprese trovino soluzioni, prendano la guida, si assumano responsabilità sociale, ovvero consapevolezza del loro ruolo verso la collettività”. Se fino a qualche tempo fa ci si attendeva dalle imprese ‘solamente’ attenzione al prodotto (in termini di qualità e sicurezza), attenzione al benessere dei dipendenti e attenzione all’ambiente (rispetto delle regole e qualche ‘bel gesto’ volontario al di là di quanto prescritto dalle leggi), oggi, proseguivano i ricercatori, “I criteri di valutazione del valore dell’impresa si sono allargati sino a comprendere la capacità che la stessa ha di agire in sintonia con il contesto sociale in cui opera, e di rispondere alle aspettative di tutti i suoi 10
Remo Lucchi, amministratore delegato Gfk Eurisko
stakeholders”. Dalle imprese ci si attende insomma la consapevolezza dei mutamenti in atto, la capacità di interpretarli correttamente e soprattutto di indirizzarli verso un esito positivo. Per rispondere a questa attesa, destinata a crescere ulteriormente, le imprese devono ripensare il proprio rapporto con i consumatori e più in generale con la società - dimostrando
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un’assunzione di responsabilità verso i problemi che preoccupano i consumatori e i cittadini, con conseguenze e ripercussioni non indifferenti anche in termini di comunicazione. ?In generale - scrivevano Lucchi e Anselmi - la comunicazione, nei contenuti, pare sia caratterizzata da un forte volano di inerzia rispetto al passato”. E si domandavano se, a fronte del cambiamento intervenuto nel consumatore, che per primo comincia a sentirsi investito di una nuova responsabilità, non fosse auspicabile “una comunicazione più matura, meno one up - one down, più rispondente ai bisogni veri della gente. Ci si chiede, in altri termini, se la comunicazione delle aziende non debba tener conto di queste nuove prospettive”. Ma il processo di ottimizzazione che sta caratterizzando le modalità di pianificazione dei mezzi (compresi i ‘nuovi’), non sembra, al momento, riguardarne i contenuti. Da questo punto di vista, non si intende mettere in dubbio la necessità di una comunicazione tabellare attraverso i mezzi classici e nuovi: “È certamente il momento di investire - prosegivano infatti i manager di Gfk Eurisko -, ma anche di rendere il linguaggio, il tono e i contenuti della comunicazione più sintonici con le nuove sensibilità e le nuove domande dei consumatori”. Il punto è: come? Se alla comunicazione pubblicitaria sono storicamente affidati tre obiettivi - creare awareness al brand, creare un posizionamento e indurre direttamente all’acquisto - ecco che “Tematiche come: responsabilità sociale, sviluppo sostenibile, corporate welfare e green marketing possono risultare molto più coinvolgenti (se ben dette) per un nuovo cittadino che sta elaborando una cultura diversa, dalla quale molto probabilmente non tornerà più indietro”. Ecco perché, si concludeva l’intervento, è giunto il momento di aprire nuovi capitoli di studio e ricerca, approfondendo: come le persone - con
L’edizione 2009 della ricerca Sustainable Futures promossa da Havas Media, che ha intervistato più di 20.000 persone in dieci paesi, interrogandole sulle loro abitudini di consumo e sulle opinioni in merito alla sostenibilità di circa 50 brand
particolare riferimento ai segmenti che creano opinione - si rapporta con queste tematiche; come le aziende, di fatto, si rapportano con esse; come le aziende sono vissute dal pubblico - e dai segmenti trainanti l’opinione - in dipendenza del loro rapporto con queste tematiche. A tale invito di Lucchi e Anselmi sembrano rispondere, su scala globale, numerosi studi e approfondimenti apparsi negli ultimi mesi. Premesso che approfondiremo sensibilità e comportamenti degli italiani nel capitolo successivo, grazie a una ricerca ad hoc realizzata 11
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Guy Champniss, director of business insights di Havas Media Intelligence
da Aegis Media Italia, vediamo una rassegna di alcune delle indagini più interessanti proprio alla luce dello scenario economico che stiamo attraversando. Havas: Sustainable Futures 09 Per l’edizione 2009 della ricerca Sustainable Futures (della quale ci eravamo occupati ampiamente nello scorso Quaderno), Havas Media ha intervistato più di 20.000 persone in una decina di paesi, interrogandoli sulle loro abitudini di consumo e sulle opinioni in merito alla sostenibilità di circa 50 brand. Questi, in estrema sintesi, i risultati principali emersi dall’indagine. • Quasi la metà dei consumatori (il 48%) si 12
dichiara disposto a pagare fino al 10% in più per merci sostenibili. Nonostante ciò emerge una chiara mancanza di fiducia nei confronti di molti brand, tanto che il 64% dei consumatori ritiene le comunicazioni che fanno riferimento alla sostenibilità un mero ‘strumento di marketing’. • Il 70% è convinto che la responsabilità di trovare soluzioni alla sfida della sostenibilità sia delle imprese, mentre solo il 30% si aspetta che siano i governi ad assumersi la guida di questo processo. Un evidente mandato alle marche perché si muovano in questo senso. • L’80% afferma di premiare le aziende che lavorano seriamente in quest’area, rispetto al 72% che invece le punisce per mancanza d’impegno. Un’indicazione interessante, secondo i ricercatori di Havas, perché mostra una via d’uscita dalla cultura della colpa verso un nuovo atteggiamento maggiormente improntato all’ottimismo e all’incoraggiamento. In altre parole, finalmente ci si muove davvero verso la ‘responsabilità’. • Quasi il 75% dei consumatori è convinto di poter efficacemente influenzare marche e aziende per costringerle a comportarsi più responsabilmente. • Più dell’80% dei consumatori dichiara di rispettare maggiormente le aziende impegnate sul fronte della sostenibilità. Un’analoga percentuale, oltre a richiedere l’impegno aziendale, accetta il fatto di doversi impegnare in prima persona, anche cambiando il proprio stile di vita, se e quando necessario. Il messaggio è chiaro: i consumatori chiedono alle aziende di adoperare la propria esperienza e dimensione non solo per cambiare, ma anche per essere aiutati a cambiare personalmente. • Quasi il 90% degli intervistati dice di conoscere il termine sostenibilità. L’awareness è assai più alta nei mercati emergenti: l’89% dei consumatori cinesi sente utilizzare spesso il termine, rispetto al 21% degli statunitensi. Un gap assai ampio fra due delle economie più
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significative per il loro potenziale impatto sulla sostenibilità del pianeta. • Infine, meno del 30% associa la sostenibilità ai prezzi alti, ai sacrifici e ai sensi di colpa del passato. Risulta evidente che per i consumatori gli sforzi verso pratiche maggiormente sostenibili sono altamente illuminanti e positive, sia per le marche sia individualmente. Tanto che il 70% li associa a parole come equilibrio, integrità, salute, community, opportunità e futuro. Proprio perché realizzata nel pieno della crisi economica globale, il field si è svolto all’inizio di quest’anno, la ricerca evidenzia come, nonostante i tempi difficili, i consumatori non abbiano perso di vista l’importanza della sostenibilità - definita nel suo senso più ampio: come le aziende e le marche utilizzano i propri capitali (naturale, umano, sociale, finanziario e produttivo) per creare valore, e quanto il loro uso di questi capitali sia difendibile e rinnovabile. Particolarmente significativo è il primo dei risultati evidenziati: nonostante il 48% dei consumatori dichiari di essere disposto a pagare un premium price per prodotti sostenibili, di fatto ciò non succede. Una discrepanza fra intenzioni e comportamenti al momento di acquistare davvero beni o servizi ‘responsabili’ che si può spiegare proprio con il fatto che il 64% consideri le comunicazioni che fanno riferimento alla sostenibilità un mero ‘strumento di marketing’. Non siamo, cioè, di fronte a un atteggiamento incoerente delle persone, ma alla scarsa credibilità di molte aziende. Non appare dunque sorprendente - osserva il curatore della ricerca, Guy Champniss, director of business insights di Havas Media Intelligence -, che molte di esse stiano compiendo grandi sforzi per misurare e gestire questa sfida sul piano comunicativo, nel tentativo di ridurre il gap fra il sempre maggior impegno (anche economico) sul fronte delle pratiche sostenibili e ciò che i consumatori percepiscono.
Sull’impianto della ricerca, Havas ha messo a punto un tool estremamente pratico, il Sustainability Futures Quotient (SFQ), in grado di monitorare e misurare le performance di una marca su più fronti - Csr, sviluppo di nuovi prodotti, marketing e comunicazione identificando l’apporto di ciascuna di queste attività al valore di un brand. Qualche evidenza: alimentari e largo consumo sono, fra i settori merceologici, quelli dove si è registrato il maggior numero di marche con un alto SFQ, fra le quali primeggiano Danone, Nestlè, Unilever e Procter & Gamble. Spiccano però esempi differenti: EDF (Energia) ha ottenuto il più altro SFQ di Francia, mentre Tesco e Marks & Spencer (distribuzione) sono ai primi posti della graduatoria britannica. Se ovunque nel mondo le istituzioni finanziarie non brillano, la China Merchants Bank è invece, clamorosamente, al primo posto in Cina. Sul fronte delle problematiche sociali e ambientali, non c’è da sorprendersi se, secondo i consumatori, le aziende automobilistiche e petrolifere hanno il quoziente più basso. Il punto, osserva però Champniss, è che la maggior parte dei consumatori continua, di fatto, a non tenere in considerazione i temi ambientali rispetto ai brand automotive. Performance ambientali anche pessime, quindi, non hanno più di tanto impatto negativo sulle marche del settore: ciò significa che lavorando su questi temi i produttori potrebbero migliorare moltissimo la percezione e la differenziazione dei propri brand value. Infine, il settore del food (insieme a distribuzione e telecomunicazioni) è quello cui i consumatori attribuiscono il minor impatto sull’ambiente e la società, ed è vissuto - grazie all’ormai solida tradizione di offerte bio e organiche - come il più progressivo e proattivo in quest’ottica. Il suo merito? Aver trasferito direttamente al consumatore il valore della sostenibilità, abilitandone le capacità e le possibilità di scelta. 13
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Mitch Markson, presidente global consumer brands practice di Edelman e fondatore di goodpurpose
Edelman: 2 anni di buoni propositi 7 consumatori su 10 (il 68%) dichiarano che, anche in tempi di recessione, intendono rimanere fedeli a una marca se questa sostiene iniziative benefiche. Analoga quota (il 71%, per l’esattezza), dichiara di aver speso in ‘buone azioni’ la stessa quantità di tempo e di soldi del periodo ante-crisi. Anzi, qualcosa in più. Questi e altri risultati dell’aggiornamento di fine 2008 della ricerca goodpurpose, realizzata da Edelman, sembrano confermare - alla pari di ciò che afferma Havas - che l’andamento negativo dell’economia non ha impattato negativamente l’attenzione dei consumatori verso le problematiche di sostenibilità e responsabilità. Anche questa seconda edizione di goodpurpose, 14
per la quale i ricercatori hanno intervistato oltre 6.000 individui in 10 paesi, conferma l’interesse e il desiderio da parte dei consumatori di vedere le marche impegnate sui fronti della società e dell’ambiente, tanto che il 42% di loro attribuisce a tali impegni un fattore decisivo - più del design, dell’innovazione e della fedeltà alla marca - nel momento in cui si tratta di scegliere fra due prodotti o servizi dalle analoghe caratteristiche e qualità. Anche la ricerca Edelman evidenzia come gran parte di consumatori si senta direttamente coinvolta nel processo di migliorare la società e l’ambiente: l’87% degli intervistati lo ritiene un dovere a livello personale; l’82% dice di essere in grado di fare la differenza; l’83% di essere disposto a cambiare le proprie abitudini di consumo. Di nuovo, critico è iul giudizio sulla comunicazione aziendale: il 63% ritene che le marche spendano troppi soldi in advertising e marketing, e troppo poco in buone cause. Secondo Mitch Markson, presidente della global consumer brands practice di Edelman e fondatore di goodpurpose, “È più che mai evidente che oggi serve riempire il marketing di contenuti e di significati. I risultati della ricerca dimostrano che le marche hanno l’opportunità di impegnarsi con i consumatori sul terreno di una ‘reciproca responsabilità sociale’, in cui aziende e clienti lavorino insieme allo stesso fine, ottenendone in cambio un nuovo Roi: un return on involvment, o ritorno sull’impegno, grazie al quale misurare l’impatto della partecipazione e del coinvolgimento sulla loyalty”. Quando una marca diventa una ‘citizen brand’ e contribuisce alla community e alla società all’interno della quale opera oltre le sue normali funzioni, ‘fare del bene’ si trasforma in ‘fare bene’, e ciò consente di costruire un legame emozionale più forte con i propri consumatori”. Lo studio indica comunque la necessità di migliorare la comunicazione: solo il 40% dei
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QUANTO VI INTERESSATE PERSONALMENTE DEI SEGUENTI TEMI?
Fonte: Edelman GP global study 2008
consumatori a livello mondiale sa indicare il nome di un’azienda che supporta attivamente qualche buona causa, dato che scende al 33% quando si tratta di indicare una marca. L’eccezione è ancora una volta la Cina, dove anche grazie ai Giochi di Pechino dello scorso anno, la awareness è generalmente cresciuta dal 55% del 2007 al 68% del 2008. Goodpurpose evidenzia poi un altro elemento: per i consumatori, le buone cause sono in primo luogo quelle locali, e l’ambiente si conferma la tematica più urgente (88%). Il 65% degli intervistati è d’accordo sul fatto che è inaccetabile non impegnarsi, almeno nella propria comunità, per la difesa del territorio; il 61% dichiara di aver agito in questa direzione influenzato dai suoi figli o da quelli di qualche amico. Fra i temi, la salute (86%) rimane al secondo posto, seguita dalla riduzione della povertà (84%) e dalle uguali opportunità di istruzione
(82%) - e in queste tre aree la ricerca mostra il convincimento delle persone che assumere un ruolo guida spetti ai governi e alle istituzioni. Rispetto all’edizione precedente sembrano invece scendere la preoccupazioni per la lotta all’Aids (73% vs. 83% nel 2007) e per la difesa e la tutela dei diritti umani e civili (80% vs. 87% lo scorso anno). Dal ‘green thinking’ alla ‘green action’ Un’altra indagine, realizzata da Gfk Roper fra 2.000 americani sopra i 18 anni, mette in luce un quadro leggermente diverso: secondo l’istituto, infatti, la recessione ha avuto un indubbio duplice effetto sui consumatori di oltre oceano. Da un lato, infatti, se nel 2007 il 69% degli intervistati si dichiarava maggiormente preoccupato per per l’ambiente rispetto all’economia, la percentuale è scesa nel 2008 al 55%. Dall’altro, però, a questo calo corriponde 15
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LE LEVE DELLA CSR NELLE IMPRESE USA Nei prossimi due o tre anni, pensate che le seguenti considerazioni incoraggeranno l’adozione di pratiche sostenibili da parte della vostra azienda/organizzazione? Reputazione aziendale
73%
Cultura aziendale
69%
Innovazioni tecnologiche
71%
Argomenti di marketing
60%
Totale delle risposte “incoraggeranno molto” o “incoraggeranno abbastanza”
Fonte: American Marketing Assoc. & Fleishman-Hillard Survey 2009
un passaggio dal ‘green thinking’ a una più diffusa ‘green action’. Fra gli argomenti legati all’ambiente, la distruzione delle foreste poluviali, l’inquinamento delle acque o l’inquinamento dell’aria dovuto alle fabbriche hanno perso importanza; per contro è cresciuta l’enfasi sulla riduzione delle scorte energetiche e quella per lo sfruttamento eccessivo di risorse non rinnovabili come carbone, gas e petrolio, nella produzione di energia. Questi spostamenti, sostengono i ricercatori, indicano che i consumatori, attenti al risparmio quotidiano, si stanno preoccupando più di prima degli effetti di breve e di lungo periodo dei propri comportamenti d’acquisto. Il problema è che nonostante la crisi abbia innescato meccanismi di attenzione e di pratiche più sostenibili da parte dei consumatori americani, se non si tradurranno in risparmio effettivo sarà molto probabile che le persone tornino rapidamente sui propri passi. Fra le attività più diffuse ci sono l’acquisto di lampadine e di apparecchiature più efficienti da un punto di vista energetico, mentre l’81% del 16
campione dice che per il prossimo acquisto di una vettura farà sicuramente molta più attenzione al consumo di carburante (era il 66% nel 2007). Dai consumatori alle aziende Se le ricerche che abbiamo citato fino a questo punto forniscono un quadro di sostanziale tenuta dell’attenzione dei consumatori nei confronti della sostenibilità, come vanno invece le cose dal punto di vista delle imprese? Restiamo per il momento negli Stati Uniti, dove una recente indagine dell’American Marketing Association (realizzata in collaborazione con Fleishman-Hillard) fra 270 top manager, marketer e comunicatori aziendali indica che il 58% di loro prevede, a dispetto della crisi, di incrementare il proprio impegno nell’area delle iniziative di sostenibilità ambientale nell’arco dei porossimi 2 o 3 anni. Più della metà dei manager interpellati considera infatti la sostenibilità un elemento essenziale della reputazione di un brand: il 75% ritiene che proprio la reputazione, insieme alla cultura aziendale e all’innovazione
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I PROGETTI SVILUPPATI DALLE AZIENDE ITALIANE
Fonte: elaborazioni Gfk Eurisko sulla banca dati Sodalitas Social Solutions (ottore 2008)
L’analisi è stata effettuata su 541 aziende e 972 progetti tratti dalla banca dati Sodalitas (www.sodalitas.socialsolution.it), che comprende aziende di grandi dimensioni (64%), piccole medie imprese (19%) e Pubblica Amministrazione (17%): il 51% dei progetti realizzati dal campione riguarda la relazione tra l’impresa e il territorio (partnership con organizzazioni non profit, iniziative di cause related marketing). Significativa l’attenzione verso le tematiche ambientali (12%), in linea con la rilevanza che il tema sta assumendo a livello nazionale
tecnologica, rappresenti il principale driver per l’accelerazione delle pratiche sostenibili. Anche le policy dell’amministrazione Obama (secondo il 63% degli intervistati) favoriranno una più diffusa implementazione di programmi di Csr. La ricerca evidenzia poi come l’atteggiamento verso la comunicazione di queste pratiche è destinato a cambiare. Il 43% prevede di aumentare gli investimenti marketing dei propri programmi sostenibili per diverse ragioni: • perché è la cosa giusta da fare; • perché i consumatori richiedono più informazioni; • perché si tratta di un supporto della cultura aziendale;
• perché la sostenibilità offre vantaggi chiari e unici in termini di business Detto ciò, risulta evidente che oltre la metà degli intervistati non intende aumentare gli investimenti in quest’ottica. Fra gli altri elementi evidenziati dall’indagine, i dipendenti (per l’82%) e i consumatori (per il 74%), rappresentano i target d’elezione per la comunicazione sostenibile, molto più di analisti e investitori (52%). Back to basics Una delle ultime indagini sull’atteggiamento e le convinzioni delle imprese italiane è quella realizzata da Gfk Eurisko per Fondazione 17
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LE INIZIATIVE REALIZZATE NEGLI ULTIMI 2-3 ANNI
Fonte: Gfk Eurisko - “La CSR in Italia: il punto di vista delle imprese” (ottore 2008)
L’indagine è stata condotta da Gfk Eurisko su un campione di 84 imprese (30 socie di Sodalitas, 54 non socie), per rilevare le conoscenze, le pratiche e gli orientamenti futuri in tema di CSR
LE INIZIATIVE DA REALIZZARE NEI PROSSIMI 2-3 ANNI
Fonte: Gfk Eurisko - “La CSR in Italia: il punto di vista delle imprese” (ottore 2008)
Sodalitas alla fine dello scorso anno su un campione di 84 imprese. Fra i risultati spiccava come, per l’80% delle aziende interpellate, la Csr ricopra un ruolo di primaria importanza: tanto che il 54% intendeva farla diventare parte integrante della propria cultura d’impresa. 18
A tutti gli effetti, le organizzazioni maggiormente attive in Corporate Responsibility si dichiaravano d’accordo sul considerare proprio la Csr una leva strategica per uscire dalla crisi, e ben il 77% delle imprese dichiarava di voler aumentare nei prossimi anni gli investimenti in responsabilità
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IL LIVELLO DI INVESTIMENTO NELLA CSR IN FUTURO
Fonte: Gfk Eurisko - “La CSR in Italia: il punto di vista delle imprese” (ottore 2008)
sociale. Ancor più in dettaglio, secondo l’Osservatorio sulla Csr realizzato da Il Sole 24ORE in collaborazione con la stessa Sodalitas, il CSR Manager Network e Anima, la maggioranza delle aziende dichiarava che pur non intendendo tagliare i propri programmi di Csr, si sarebbe concentrta su quelli interni, quelli rivolti alle proprie comunità e sulla rendicontazione. Come nota Paolo Anselmi (Gfk Eurisko), “C’è però uno scarto fra la percentuale di chi ritiene la Csr molto importante e chi invece dichiara di averne una conoscenza approfondita e di praticarla. Resta da verificare su un più lungo periodo se il nuovo scenario determinatosi con la crisi finanziaria agirà nel senso di confermare o di attenuare l’orientamento verso la Csr da parte delle imprese”. Una risposta a tale quesito viene da Luciano Martucci, presidente e amministratore delegato di IBM Italia: “L’82% delle imprese, come mostra l’indagine, ha investito soprattutto nel supporto al non profit, ma una conseguenza diretta della stretta creditizia sarà la mancanza di fondi per atteggiamenti di tipo filantropico. Anche per chi utilizza la Csr con finalità quali il miglioramento della reputazione e delle relazioni
con gli stakeholder (ndr: le due voci, rispettivamente con il 67% e il 60%, sono state indicate ai primi due posti dai rispondenti all’indagine Eurisko), il rischio è quello di veder scomparire nel nulla gli investimenti. Per chi invece ragiona in termini di Csr ‘integrata’ nei propri processi aziendali, questa potrà rivelarsi un ottimo strumento se non per uscire dalla crisi quanto meno per sopravvivere”. “La crisi finanziaria ci deve insegnare che l’autoregolamentazione dei mercati non ha funzionato - è la conclusione di Elio Borgonovi (professore ordinario dell’Università Bocconi) , così come non hanno funzionato i sistemi di rating e di controllo. I problemi chiave oggi sono sintetizzabili in parole come responsabilità, trasparenza, fiducia, credibilità e coerenza. È arrivato il momento di tornare tutti l’accademia, le imprese, le banche - a ragionare in termini di economia e relazioni reali, anziché virtuali, di carta. Ciò vuol dire tornare al significato originario di fare impresa, diversificando il rischio, che non significa affatto diffonderlo e distribuirlo ovunque. Perché questa è la negazione stessa del concetto di responsabilità sociale”.
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Voglia di sostenibilità Un’indagine realizzata da Aegis Media Expert e Clownfish mette a fuoco la sensibilità dei consumatori sui temi ambientali e sociali: perché per comunicare al meglio i temi legati a Csr e sostenibilità occorre acquisire nuove competenze e strumenti, comprendendone gli aspetti più tecnici ma anche i bisogni e le esigenze dei destinatari del messaggio.
INTRAPRENDERE e comunicare al meglio un percorso di Csr richiede, innanzitutto, la piena comprensione delle aspettative che i diversi stakeholder ripongono nell’agire responsabile dell’azienda. Per far sì che la Csr diventi un valore aggiunto, e non un semplice ‘nice to have’, è infatti necessario che essa sia perfettamente integrata nel percepito e nel Dna dell’impresa, così da trasferire un messaggio credibile e coerente. Oggi che la Csr e la sostenibilità assumono una crescente importanza nelle strategie delle aziende, è fondamentale acquisire le competenze e gli strumenti per poterle comunicare al meglio. Per chi si occupa di comunicazione questo significa da una parte comprendere la Csr fin nei suoi aspetti più tecnici (per esempio: la riduzione dell’impatto ambientale e sociale), dall’altra comprendere i bisogni e le esigenze dei destinatari del messaggio. Per rispondere al meglio a questa nuova esigenza, Clownfish, la divisione di Aegis Media che si occupa di sostenibilità avvalendosi di un team tecnico dedicato, ha messo a punto una ricerca sul consumatore capace di dare alle imprese strumenti operativi e regole di comunicazione per comunicare al meglio il loro impegno ambientale e sociale. La ricerca, realizzata in collaborazione con Aegis Media Expert e basata su un panel di 5.000 rispondenti rappresentativi della popolazione 20
italiana 14-64 anni, mette in luce la grande importanza che le tematiche legate alla sostenibilità stanno assumendo presso i consumatori Cosa rappresenta la sostenibilità per gli italiani? Dalla ricerca emerge che il 57% degli intervistati la considera ‘una necessità’, il modello da perseguire per garantire al nostro sistema una visione di lungo periodo. La seconda definizione più citata dipinge la sostenibilità come ‘un’opportunità’, vero per il 38% del campione, che vi scorge la possibilità di creare un contesto più solido e stabile per uscire dall’attuale crisi. Secondo gli italiani, quindi, la sostenibilità non è né ‘una costrizione’ (vero solo per il 2% dei rispondenti) né ‘una moda’ (vero solo per il 3% degli intervistati). Del resto, l’agire sostenibile, grazie alla sua capacità di tenere in equilibrio i costi ambientali, sociali ed economici, risponde perfettamente ad alcune di quelle che sembrano essere oggi le maggiori preoccupazioni degli italiani. La ricerca ha infatti approfondito le criticità più rilevanti in ciascuna delle tre aree sopra elencate. Dal punto di vista ambientale, ad esempio, emerge come l’attenzione si focalizzi soprattutto sull’inquinamento dell’aria (indicato come il primo o il secondo motivo di preoccupazione in ambito ambientale dal 72% dei rispondenti)
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AREA AMBIENTALE
Fonte: Aegis Media, CCS-Sustainability (n=5.000)
seguito dal riscaldamento globale (42%) e dal problema rifiuti (32%). Dal punto di vista economico emerge una certa sensibilità per le problematiche legate alla crisi energetica (43%). Per quanto riguarda l’ambito sociale è invece alta l’attenzione per la crescita della povertà (57%) e la disoccupazione (46%). I cluster individuati Come reagiscono allora in consumatori a questa situazione? Per rispondere alla domanda la ricerca analizza in dettaglio i loro comportamenti quotidiani (es: l’abitudine al riciclo, l’utilizzo dei mezzi pubblici, l’abitudine a non lasciare in stand-by i dispositivi elettronici di casa etc.) ed i comportamenti d’acquisto (es: la frequenza di acquisto di prodotti equo-solidali, la tendenza a informarsi sulle politiche di Csr dei brand etc.). Questo dettaglio informativo ha permesso di operare una segmentazione statistica che ha individuato cinque cluster, ovvero cinque diverse
tipologie di consumatori: I Pionieri (12% della popolazione, pari a 4.526.000 di persone): sono le persone più sensibilizzate alle tematiche della sostenibilità e che ne incorporano i principi nel loro vivere (e acquistare!) quotidiano. Si tratta di coloro che scelgono di utilizzare la bicicletta e che si tengono informati sull’agire delle aziende, evitando di comprare quei prodotti che non ritengono in linea con il loro sentire. I pionieri sono un segmento in preponderanza femminile (59%) e di età tendenzialmente giovane/adulta, compresa fra i 25 e i 45 anni (45%). Gli Attenti (21% della popolazione, pari a 7.930.000 di persone): sono coloro che, informati sulle problematiche legate alla sostenibilità, cominciano a ripensare ai loro comportamenti quotidiani, partendo dalle cose più semplici (come ad esempio spegnere il televisore ed utilizzare luci a risparmio energetico), ed intraprendendo solo 21
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AREA SOCIALE
Fonte: Aegis Media, CCS-Sustainability (n=5.000)
saltuariamente step piĂš impegnativi (come ad esempio la rinuncia alla macchina, se possibile). Dal punto di vista degli acquisti emerge altrettanta attenzione nel selezionare prodotti sostenibili, ad esempio a kilometro zero o non
testati su animali. Gli Attenti sono un segmento in leggera preponderanza femminile (53%) e di etĂ tendenzialmente giovane/adulta, compresa fra i 25 e i 45 anni (46%) Gli Occasionali (29% della popolazione, pari a
AREA ECONOMICA
Fonte: Aegis Media, CCS-Sustainability (n=5.000)
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LA SOSTENIBILITÀ PER GLI ITALIANI
Fonte: Aegis Media, CCS-Sustainability (n=5.000)
11.340.000 di persone): si tratta di un segmento baricentrico tipico di coloro che abbracciano scelte sostenibili solo quando non richiedano sforzi personali o economici ritenuti eccessivi. Questo segmento, che percepisce l’importanza della sostenibilità ma che non è “votato” alla sua causa, sceglie soluzioni sostenibili a patto che siano facili ed economiche. Non è un caso che questo segmento risulti poco impegnato sul fronte dei comportamenti quotidiani, prediligendo invece il fronte degli acquisti, ad esempio includendo nel paniere di acquisti prodotti biologici o carni/uova provenienti da allevamenti all’aperto. Anche le certificazioni ambientali, ad esempio sui prodotti per la cura della casa, sono ritenuti importanti nel determinare l’acquisto. Gli Occasionali sono un segmento bilanciato per quanto riguarda la
presenza uomini/donne. Il profilo di età è invece prevalentemente adulto, fra i 35 e i 55 anni (42%) Gli Obbligati (23% della popolazione, pari a 8.618.000 di persone): è quella fascia di popolazione che raramente agisce in maniera sostenibile. Gli unici comportamenti quotidiani che mettono in pratica sono quelli dettati dai vincoli normativi, come la raccolta differenziata o lo smaltimento dei rifiuti tossici, mentre dal punto di vista degli acquisti dimostrano di scegliere molto raramente prodotti sostenibili in quanto tali. Gli Obbligati sono a predominanza maschile (58%) e possono essere considerati trasversali a tutte le fasce di età. I Non Interessati (15% della popolazione, pari a 5.711.000 di persone): sono coloro che non hanno abbracciato comportamenti sostenibili né 23
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LE 5 TIPOLOGIE DI CONSUMATORI
Fonte: Aegis Media, CCS-Sustainability (n=5.000)
come cittadini, né come consumatori. I Disinteressati sono un segmento leggermente più maschile (52%) e per lo più trasversale per età, eccezion fatta per una lieve concentrazione sui giovanissimi di età compresa fra i 15 e i 24 anni (26%). Tutti i segmenti individuati con CCSSustainability sono perfettamente integrabili nelle strategie di comunicazione e per ognuno di essi sono state individuate regole operative per i brand e per la comunicazione. Ad esempio per entrare in contatto con i Pionieri, il segmento più sensibile alla sostenibilità, il brand/azienda deve assumere il ruolo di “catalizzatore”, essere cioè in grado non solo di attirare l’attenzione del consumatore ma di trasformarsi in un volano che permetta di esprimere il proprio impegno di 24
sostenibilità. Le parole d’ordine sono allora ‘Partecipazione’ e ‘Pragmaticità’. Partecipazione perché è necessario coinvolgere questo tipo di consumatore nella mission stessa del brand, permettendogli di dire la loro. Tutto il mondo del web partecipativo (es: dal social network al blog aziendale) è quindi fondamentale, con la finalità ultima di instaurare il passaparola e utilizzare il consumatore come testimonial del brand. Tutto questo in un’ottica di piena Pragmaticità: il prodotto/servizio deve rappresentare un benefit concreto per questo tipo di consumatore, che non è disposto a sentire vuoti discorsi, ma che pretende fatti. Fondamentale in primis il web, questa volta nella sua funzione esplicativa e di approfondimento, in cui l’azienda potrà spiegare
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e chiedere un parere sulle sue azioni di Csr. Inoltre tutti i contenuti informativi, che siano riportati sul packaging, in un leaflet, un advertorial o altro, risultano fondamentali. CCS-Sustainability aiuta a individuare il registro stilistico e i migliori veicoli media da utilizzare per coinvolgere il consumatore. Rimane il presupposto che a monte di qualsiasi strategia di comunicazione o di qualsiasi analisi di target è fondamentale adottare sempre e comunque una posizione trasparente, in cui il brand accetti di darsi in mano al consumatore, permettendogli di conoscerlo a fondo e, in ultima istanza, giudicarlo.
CCS (Consumer Connection Study) è un’indagine singlesource esclusiva di Aegis Media Expert per le analisi su consumatore, media e brand. Alle informazioni sociodemografiche e attitudinali, la ricerca affianca un preciso approfondimento sul ruolo dei media (con insight specifici su atteggiamenti, abitudini di fruizione, etc.) e sulla capacità dei singoli touch point di creare visibilità e consenso attorno al brand. La ricerca permette di condurre approfondimenti su specifiche aree di interesse, come nel caso del focus sulla sostenibilità, o su settori merceologici di riferimento. La metodologia utilizzata è CAWI (Computer Assisted Web Interview) e l’indagine sulla sostenibilità è stato condotto su un campione rappresentativo della popolazione italiana 15-64 anni (5.000 casi).
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Un miliardo di buone ragioni Nonostante i dati disponibili si riferiscano ormai a due anni fa (il 3° Rapporto Nazionale sull’Impegno Sociale di Errepi Comunicazione e Swg), o si limitino ai soli aspetti di comunicazione (Osservatorio sul Marketing Sociale NMR/Sodalitas), le due ricerche contribuiscono a inquadrare l’entità degli investimenti in Csr delle aziende italiane.
IL TERZO Rapporto Nazionale sull’Impegno Sociale delle aziende realizzato da Errepi Comunicazione e Swg, riporta dati aggiornati all’anno 2007, anche se con qualche proiezione per il 2008: il suo interesse è però, oltre le cifre, nell’evidenza in termini di trend e di sviluppo dovuta alla possibilità di confronto con le rilevazioni precedenti, rispettivamente del 2001 e del 2003. Il Rapporto, pubblicato lo scorso anno, quantificava gli investimenti complessivi delle 8.618 imprese italiane con più di 100 dipendenti (questo l’universo di riferimento preso in esame) in poco meno di 1 miliardo di euro. Per la precisione, 951 milioni di euro, in crescita sul 2003 (845 milioni di euro) nonostante un calo numerico dei soggetti: rispetto al 69,5% del 2003, infatti, solo il 65% delle aziende aveva investito in iniziative di carattere sociale a vantaggio dei diversi stakeholder nel 2007. Il trend positivo degli investimenti nel corso del tempo è evidente anche dal punto di vista dell’importo medio pro-capite, passato dai 110.000 euro del 2001 ai 169.000 euro del 2007 (un balzo del +50%) e, stando a quanto riferito da coloro che avevano già definito un budget per l’anno successivo al momento dell’intervista, tale tendenza puntava ad un ulteriore rialzo (207.000 euro). “Che la responsabilità sociale non sia più una tematica di nicchia - concludevano gli autori 26
della ricerca - lo si evince dal trend del flusso globale di investimenti che dal 2001 ad oggi si è più che raddoppiato. È evidente che per le aziende ‘responsabili’ investire nel sociale non rappresenta più solo un costo ma una reale opportunità su cui vale la pena di scommettere per crescere”. L’Osservatorio sul CRM L’Italia è il primo paese al mondo in cui Nielsen Media Research rileva e misura le campagne di Cause Related Marketing. Per farlo ha creato insieme a Fondazione Sodalitas l’Osservatorio sul Marketing Sociale, il cui scopo è appunto la misurazione e la documentazione di tutti gli annunci pubblicitari nei quali sono presenti almeno due protagonisti che ricavano beneficio dalla comunicazione: l’azienda che investe e l’organizzazione umanitaria che usufruisce dell’iniziativa. Pur se, come detto, limitato ai soli investimenti sui media, l’Osservatorio fotografa probabilmente con buon dettaglio anche un trend più generale. Il confronto fra i dati degli ultimi due anni evidenzia infatti i tagli che le aziende hanno operato sull’investimento per affrontare la crisi: ma quella che emerge è una decrescita tutto sommato contenuta, sia nell’investimento lordo in attività di cause related marketing (-1,2%) sia nel numero di annunci realizzati (-5,4%).
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GLI INVESTIMENTI IN CSR IN ITALIA (2001-2003-2007) 2001 8.618 3.792 110 417.000
Universo aziende con oltre 100 dipendenti Hanno investito Importo medio investito (migliaia di euro) Flusso globale degli investimenti (migliaia di euro)
2003 8.618 5.990 141 845.000
2007 8.618 5.628 169 951.000
Fonte: III° Rapporto Nazionale sull’Impegno Sociale delle Aziende (Errepi Comunicazione-Swg, 2008)
In evidenza la crisi della carta stampata: quotidiani e periodici hanno subito infatti un notevole calo nel numero di annunci pubblicati (11,6%), nonostante l’investimento sia rimasto medio alto. Televisione e radio si confermano i mezzi più utilizzati nel 2008, per numero di annunci, mentre anche gli investimenti per affissioni e
internet sono aumentati notevolmente. Movimenti importanti fra i top spender: con un investimento di 15,8 milioni di euro, Luis Vuitton sostituisce Fiat (leader nel 2007 e nel 2006, assente dalla top ten del 2008) al primo posto. La seguono Toyota Italia (14,7 milioni), Benetton Group (11,7 milioni) e RCS Div. Quotidiani (8,3 milioni).
IL CAUSE RELATED MARKETING IN ITALIA (2008 VS 2007) 2008 4.474 33.935
Totale annunci Investimento lordo (euro ‘000)
2007 4.715 34.323
Differenza -5,4% -1,2%
Fonte: Osservatorio sul marketing sociale NMR/Fondazione Sodalitas
I MEZZI UTILIZZATI (2008 VS 2007)
Televisione Quotidiani Periodici Radio Affissioni Cinema Internet
Investimenti Lordi (%) 33,3 26,8 25,2 2,9 2,7 1,6 7,5
2008 Numero di annunci (%) 30,6 6,5 5,1 30,3 21,7 5,7 0,0
2007 Investimenti lordi (%) 2,7 63,7 30,1 3,0 0,5*
Numero di annunci (%) 6,4 21,9 9,4 60,5 1,8*
* Nel 2007, il dato era unico per Affissioni + Internet. Il Cinema non era rilevato. Fonte: Osservatorio sul marketing sociale NMR/Fondazione Sodalitas
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Comunicare la Csr Comunicare la Csr è tutt’altro che facile. Per molte organizzazioni, infatti, significa cercare i linguaggi, gli strumenti, i modi più idonei per comunicare con i propri pubblici senza eccessiva enfasi quanto realizzato. Significa quindi mettere in gioco la propria capacità di rinnovarsi, di affrontare nuove sfide, di sperimentare nuove modalità e nuovi canali.
COMUNICARE la Csr e i suoi valori non è facile: lo sanno le imprese e i comunicatori che si trovano a dover affrontare quella che rappresenta spesso una sfida molto impegnativa. Anche il fatto stesso che non esistano campagne ‘esemplari’ capaci di sintetizzare l’impegno responsabile e che non esista un vero dibattito sul ruolo della comunicazione nello sviluppo della Csr sono chiare dimostrazioni che l’argomento è difficile. Perché è difficile ‘parlare’ di Csr? Per molte organizzazioni significa cercare i linguaggi, gli strumenti, i modi più idonei per comunicare con i propri pubblici senza eccessiva enfasi quanto realizzato. Significa quindi mettere in gioco la propria capacità di rinnovarsi, di affrontare nuove sfide, di sperimentare nuove modalità e nuovi canali. A volte esiste una naturale ritrosia ad abbandonare il noto (la comunicazione commerciale che utilizza schemi consueti) per l’ignoto (la comunicazione sui nuovi media, la scelta di linguaggi differenti, la presentazione di valori e di aspetti fino a oggi poco evidenziati). Anche a causa di questa complessità, la comunicazione si è spesso limitata a valorizzare le ‘buone prassi’ delle imprese e solo raramente è stata considerata uno strumento strategico in grado di contribuire allo sviluppo di una politica aziendale orientata alla Csr. 28
Rossella Sobrero, presidente Koinètica e docente di Comunicazione Pubblica e Sociale all’Università degli Studi di Milano
La comunicazione come fattore tattico Come abbiamo detto si è assistito in questi anni a un uso prevalentemente tattico della comunicazione: in molti casi questa leva è stata utilizzata, per esempio, per la promozione di progetti di marketing sociale avviati dall’impresa con le organizzazioni non profit (non sempre inseriti in un piano di intervento organico e
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OLTRE LA CSR Pubblicato da ISEDI, il volume “Oltre la Csr. L’impresa del Duemila verso la Stakeholder Vision”, di Luigi Ferrari, Sebastiano Renna e Rossella Sobrero, con il contributo di Paolo Anselmi (352pp, 24 euro), affronta il tema della Responsabilità Sociale da un’ottica diversa dal solito, partendo dal presupposto che troppo spesso si tratti di un concetto ambiguo, che può avere risvolti negativi: rimanda infatti a ‘sociale’ nel senso di assistenza in presenza di ‘svantaggio’, ed è spesso interpretata come una pratica utilizzata dalle imprese per ‘compensare’ in qualche modo i danni che esse stesse arrecano alla società e all’ambiente in cui operano. Csr come ‘restituzione’, quindi, spesso accompagnata da una certa dose di opportunismo. Alla base di questa concezione sta il convincimento che, poiché gli obiettivi dell’impresa sono antagonisti e inconciliabili con quelli delle altre parti sociali (ambiente compreso), è buona cosa per l’impresa e per la sua reputazione ‘riparare’, ‘compensare’, concedere qualcosa, in un gioco tipicamente a somma zero. Per questo, sostengono gli autori, occorre andare oltre tale tradizionale accezione di Csr, legata alle buone azioni, e intraprendere la via della ‘stakeholder vision’, ovvero gestire l’azienda avendo presenti fin dall’inizio gli interessi di tutti i diversi stakeholder, interessati direttamente o indirettamente dall’attività e dai risultati dell’azienda stessa. Questa cultura ha il suo fondamento nel rifiuto della concezione dominante secondo cui gli interessi dell’impresa sono sempre e ineluttabilmente antagonisti di quelli degli stakeholder esterni all’impresa stessa (consumatori, fornitori, ambiente ecc.) e sostiene invece che il bene dell’impresa, in un sistema aperto e globale come è diventato il mondo attuale, non possa essere raggiunto appieno senza porre attenzione al ‘bene comune’, in una logica di benefici reciproci e progresso di sistema. La Csr si trova dunque di fronte ad un bivio. Deve scegliere se prendere la strada della semplificazione (restando prigioniera dei luoghi comuni in precedenza citati, che ne precludono ogni potenzialità strategica), o quella della complessità (che rimette in discussione alcune presunte verità acquisite), per dare maggior profondità al ruolo che essa può giocare all’interno dell’impresa e della società. “Oltre la Csr” è un libro importante per il manager a cui si richiede di saper gestire l’attività d’impresa rapportandosi con la società e il mondo in cui vive, ed è anche un sicuro punto di riferimento per capire come l’economia degli anni a venire debba e possa rinnovarsi attraverso modelli sempre meno basati sullo sfruttamento a oltranza delle risorse e dei mercati.
continuativo), oppure per valorizzare alcune sponsorizzazioni in ambito sociale. Anche se non c’è nulla di sconveniente in tutto ciò, l’organizzazione che comunica singole iniziative senza inserirle in un progetto strategico (vale a dire senza collegarle strettamente al proprio core business) utilizza solo in parte le potenzialità esistenti.
Inoltre, l’uso tattico della comunicazione rischia di incorrere in una serie di ‘inconvenienti’ di cui parleremo più avanti. Quando la comunicazione diventa fattore strategico La comunicazione, ne siamo convinti, deve assumere un ruolo strategico se vuole contribuire 29
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a modificare le scelte dell’impresa e diventare uno strumento importante sia per gestire il rapporto con il pubblico interno sia per avviare o consolidare il dialogo con i diversi pubblici esterni dell’impresa. Deve essere considerata uno strumento importante, quindi, capace di orientare le politiche dell’impresa verso i valori base della Csr e di gestire le complesse relazioni che l’impresa ha con stakeholder e influenti. Potenzialità e criticità La comunicazione della Csr deve essere sempre chiara, diretta, trasparente se vuole raggiungere il suo scopo: trasmettere e diffondere valore per l’organizzazione che la promuove. Se progettata e gestita correttamente, aiuta a migliorare i rapporti con i propri pubblici, a consolidare la presenza sul territorio, a migliorare i rapporti con dipendenti e collaboratori oltre a mettere al riparo da eventuali rischi per la reputazione. Tra le potenzialità della comunicazione della Csr vogliamo ricordarne alcune: ‘distinzione’, la possibilità di distinguersi dai propri concorrenti; ‘fiducia’, la capacità di migliorare il sistema di relazioni con i propri interlocutori; ‘coinvolgimento/partecipazione’, la possibilità di aumentare il livello di collaborazione costruttiva degli stakeholder alle scelte dell’organizzazione stessa.
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Tra le maggiori criticità ricordiamo invece il ‘greenwash’, il tentativo di utilizzare la comunicazione per ripulire l’immagine di un’organizzazione che ha avuto comportamenti non proprio cristallini; la ‘eccessiva enfasi’, l’esagerata valorizzazione di qualità del prodotto o del servizio al solo scopo di promuovere un’immagine più positiva del reale; la ‘opacità’, la mancanza di chiarezza e trasparenza; la ‘incoerenza’, che significa comunicare principi e valori che nella pratica vengono disattesi. Aria nuova nella comunicazione grazie alla Csr Cosa significa aria nuova nella comunicazione grazie alla Csr? Secondo noi la Csr può portare un reale cambiamento nel modo di comunicare delle organizzazioni, proponendo un’alleanza con la parte più matura dei consumatori, che sono sempre più attenti e critici, soprattutto in tempi come quelli attuali. La comunicazione della Csr, infatti, produce nuovi contenuti, crea nuove alleanze, consente di valorizzare i valori. In sintesi, permette di dare più forza al brand, obiettivo a cui tutte le imprese tendono. Rossella Sobrero presidente Koinètica e docente di Comunicazione Pubblica e Sociale all’Università degli Studi di Milano
Congo, Kinshasa. Costruiamo insieme il centro di accoglienza Talitha Cum per bambine di strada.
Fotografo: Piero Pomponi
Basta una mano.
C/C POSTALE n째 72960131 C/C BANCARIO IBAN: IT21 A 03211 01001 052876651990
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Percorsi di responsabilità Innovazione, cultura, coinvolgimento, efficacia, concretezza, futuro: sono queste le parole chiave attraverso le quali la 5° edizione del Salone Dal Dire al Fare (Milano, Università Bocconi, 29 e 30 settembre) approfondirà i temi più attuali legati alla CSR. Oltre alla nuova sede, il Salone presenta quest'anno la prima mostra italiana sulla Responsabilità Sociale.
TORNA IL 29 E 30 SETTEMBRE Dal Dire al Fare - il Salone della Responsabilità Sociale d’Impresa, con una quinta edizione ricca di novità (www.daldirealfare.eu). Grazie alla collaborazione scientifica dell’Università Bocconi di Milano, che ospita la manifestazione negli spazi di via Roentgen, il Salone 2009 sarà dedicato in particolare ai risultati ottenuti dalle imprese socialmente responsabili. Promosso da Milano Metropoli Agenzia di Sviluppo, BIC La Fucina, Provincia di Milano, Regione Lombardia, Fondazione Sodalitas e Koinètica, il Salone prevede un percorso attraverso i temi della RSI, che si svilupperà intorno a sei parole chiave: innovazione, cultura, coinvolgimento, efficacia, concretezza, futuro. Anche per il 2009 il Salone conta su un autorevole Comitato d’Onore (vedi box) formato da rappresentanti del mondo dell’impresa, delle istituzioni, della cultura e della formazione. Il Programma 2009 La definizione del programma ha visto un importante contributo scientifico dell’Università Bocconi. La manifestazione si apre il 29 settembre con un convegno internazionale sulla sostenibilità delle imprese inquadrata in un modello economico che sta cambiando, mentre nella giornata del 30 settembre è previsto un incontro sul marketing sostenibile con due panel: il primo di aziende e il secondo di comunicatori. 32
Varie le tematiche affrontate nei 14 laboratori (incontri di due ore che approfondiranno temi specifici): spazio alla leadership femminile, al sostegno per le PMI, ai sistemi di qualità, agli investimenti etici, al green rating, alla gestione integrata dei rifiuti etc.
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La sede di via Roentgen dell'Università Bocconi, inaugurata nel 2008, ospita la 5° edizione del Salone 'Dal Dire Al Fare'. (Foto: Paolo Tornato)
Interazione, dialogo e scambio saranno agevolati dal Matching responsabile, una serie di appuntamenti e incontri faccia a faccia tra espositori che desiderano conoscersi meglio per collaborare e realizzare progetti comuni. Per gli incontri con il pubblico tutte le
organizzazioni presenti al Salone avranno accesso ai Temporary stand, in cui a rotazione, saranno a disposizione per due ore per informazioni e distribuzione materiali. Tra le novità dell’edizione 2009, una serie di eventi collaterali organizzati all’interno del
IL COMITATO D’ONORE Elio Borgonovi e Giorgio Fiorentini, Università Bocconi; Francesco Bettoni, Unioncamere Lombardia; Filippo Antonio De Cecco, De Cecco; Silvio De Girolamo, Autogrill; Pietro Foschi, Bureau Veritas Italia; Elio Franzini, Università degli Studi di Milano; Emanuele Invernizzi, Università IULM di Milano; Sergio Marelli, Associazione ONG; Mario Molteni, Università Cattolica di Milano; Augustin Mujyarugamba, AIPEL; Paola Peretti, Natuzzi; Andrea Prandi, Edison; Fulvio Rossi, Terna; Lorenzo Sacconi, Università di Trento; Aldo Soldi, Ancc Coop; Raffaele Tognacca, ERG; Stefano Zamagni, Agenzia per le Onlus; Domenico Zambetti, Regione Lombardia.
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Salone e un seminario formativo organizzato dall’Università Bocconi e riservato agli espositori. L’area espositiva, infine, prevede la Mostra "Dal Dire al Fare: Percorsi di Responsabilità Sociale" la prima in Italia su questo argomento - che si svilupperà attraverso pannelli in cui ogni organizzazione illustrerà le proprie attività e i risultati raggiunti. Il programma completo dell’evento è disponibile sul sito ufficiale www.daldirealfare.eu. L’attenzione ai giovani I giovani come protagonisti attivi del Salone: è questo uno dei punti di forza della quinta edizione della manifestazione. Alcuni studenti di diversi corsi di laurea e master dell’ateneo saranno impegnati come 'ciceroni' nell’area espositiva, altri parteciperanno, insieme a studenti provenienti da vari atenei italiani e da alcune scuole superiori, allo Spazio Giovani, rinnovato nella formula e nei contenuti. I giovani lavoreranno all’interno di alcuni laboratori creativi. Ciascun laboratorio avrà come protagonista un gruppo di ragazzi che approfondirà un brief proposto da una delle organizzazioni presenti al Salone, con l’obiettivo di realizzare un prodotto finale - presentazione ppt, video etc. - da presentare in un momento conclusivo di confronto tra giovani e imprese.
Elio Borgonovi, professore ordinario di Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche dell’Università Bocconi
I brief, definiti preventivamente, saranno annunciati durante il convegno di apertura, in modo da permettere sia ad altri studenti presenti di partecipare sia al pubblico di essere informato sulle attività e di partecipare al momento finale.
GLI ESPOSITORI DEL SALONE Agos, Arjowiggins Graphic, Autogrill, Autostrada Pedemontana Lombarda, Autostrade per l'Italia, Barilla, BCC di Sesto San Giovanni, Best Nest, BIC La Fucina, Bureau Veritas Italia, Camera di Commercio di Rimini, CiAl, Coca Cola, Coop Lombardia, COOPI, De Cecco, Edison, ERG, Fondazione Pelucca, Fondazione per la Diffusione della Responsabilità Sociale delle Imprese, Fondazione Rava, Fondazione Sodalitas, Gruppo Nestlé in Italia, Gucci, Holcim Italia, Illycaffè, In Produzione, Koinètica, Loreto Print, Luxottica, Meraviglia, Microsoft, Milano Metropoli Agenzia di Sviluppo, Monnalisa, Naba, Natuzzi, Novartis Farma, Palm, Pensieri e Colori, Provincia di Milano Settore Attività Economiche, Provincia di Milano Settore Economato, "ArticoloVentisette" Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria, Regione Lombardia, Regione Piemonte, RES Artigiana, Società Cooperativa S. Martino, Sogin, Tangenziale Esterna, Terashop, Terna, UNAR (Ufficio Antidiscriminazioni Razziali), Unioncamere Lombardia, Valore Sociale, Vodafone Italia.
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L'Aula Magna dell'Università che ospiterà i due convegni centrali del programma 2009: quello di apertura, il 29 settembre, dedicato alla sostenibilità delle imprese inquadrata in un modello economico che sta cambiando; e quello del 30 settembre centrato sul marketing sostenibile. (Foto: Paolo Tornato)
Il ruolo dell’Università Bocconi A Elio Borgonovi, professore ordinario di Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche dell’Università Bocconi, abbiamo chiesto di spiegarci perché il suo ateneo ha deciso di ospitare la manifestazione, collaborando alla definizione dei contenuti. “Il primo motivo è legato alla stessa denominazione del Salone - risponde Borgonovi -, nel senso che i docenti dell’Università Bocconi intendono confrontare le proprie teorie e ricerche direttamente con gli operatori. Inoltre, è una
occasione per comunicare con un mondo più ampio e diverso rispetto a quello per noi usuale, il mondo rappresentato dai partecipanti al Salone. Infine, è una occasione per noi docenti di coordinarci e presentare i diversi aspetti su cui ognuno di noi si è concentrato. Anche per l’Università è una occasione importante per comunicare alla opinione pubblica qualcosa di diverso dallo stereotipo che spesso la caratterizza come università che si occupa solo di business o di finanza in senso tradizionale. Al segue a pagina 38 35
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I MAIN SPONSOR DEL SALONE De Cecco Il Gruppo De Cecco è leader di qualità in Italia e nel mondo nei settori delle paste alimentari, dell’olio extravergine d’oliva, sughi pronti e derivati del pomodoro. Fondato nel 1886 a Fara San Martino, in provincia di Chieti, continua a produrre una pasta di qualità superiore, a testimonianza di un legame sempre vivo con il territorio, nel rispetto dei metodi tradizionali di produzione e secondo la stessa ricetta di 123 anni fa, coniugando tutto ciò con le garanzie di un processo industriale tecnologicamente all’avanguardia e di un prodotto certificati. Oggi il Gruppo conta circa 780 dipendenti. Ha quattro filiali all’estero (U.S.A., Francia, Inghilterra e Germania) ed è presente in 96 Paesi del mondo. Nel 2004 ha festeggiato 111 anni di presenza negli Stati Uniti dove è stato il primo produttore a sbarcare e che oggi assorbono circa il 30% della sua esportazione totale. Proprio a Chicago nel 1893 la World Columbian Commission premiava la pasta De Cecco “Macaroni Vermicelli” “for superior manufacture, color and firmness of form after cooking”. L’Azienda vanta numerose certificazioni: ISO 9001; H.A.C.C.P.; BRC; IFS; ISO-14001; SA8000; Kosher; PC-FOOD Certificazione di Prodotto per la pasta; Certificazione di prodotto per l’olio extravergine di oliva Solo olive italiane; da Agricoltura Biologica (nuova linea di pasta) e di Kamut da Agricoltura Biologica (nuova linea di pasta). In particolare De Cecco è il primo produttore di pasta in Italia ad aver ricevuto la Certificazione di Prodotto e la Certificazione etica e di responsabilità sociale SA8000. www.dececco.it
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ERG ERG S.p.A., quotata alla Borsa di Milano (segmento Midex), opera in diversi settori di attività. Raffinazione Costiera – Attraverso la controllata ERG Raffinerie Mediterranee S.p.A. (ERG Med) svolge le attività relative all’approvvigionamento di greggi, la loro lavorazione e la vendita dei prodotti raffinati sul mercato cargo; le lavorazioni dei greggi avvengono presso la Raffineria ISAB di Priolo (Sicilia) di proprietà della joint venture ISAB S.r.l. (51% ERG Med – 49% LUKOIL); Downstream Integrato – Attraverso la controllata ERG Petroli S.p.A., svolge le attività di commercializzazione di prodotti petroliferi, prevalentemente in Italia attraverso il canale Rete ed Extra Rete; Energia (Rinnovabili) – Attraverso la controllata ERG Renew S.p.A. (77,4% ERG, dal 1° ottobre 2008), quotata alla Borsa di Milano, opera nel settore della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili; Energia (Termoelettrico) – Attraverso la controllata ERG Power & Gas S.p.A. gestisce e sviluppa le attività di produzione e commercializzazione di energia termoelettrica e gas. Questi i numeri di ERG alla fine del 2008: 1.580 dipendenti, 84 milioni di euro di utile netto di Gruppo a valori correnti, 351 milioni di euro di investimenti, 274 milioni di euro di indebitamento di gruppo, 540 milioni di euro di Margine operativo lordo a valori correnti adjusted, 11.563 milioni di euro di ricavi consolidati, 2.299 milioni di euro di capitale investito netto, 2.357 milioni di euro di capitalizzazione massima di borsa, 326 migliaia di barili al giorno, 1.973 stazioni di servizio, 6,9% di quota di mercato rete, 5.189 MWh di energia elettrica prodotta. www.erg.it
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I MAIN SPONSOR DEL SALONE Natuzzi Il Gruppo Natuzzi, fondato nel 1959 da Pasquale Natuzzi, attuale Presidente, CEO e stilista del Gruppo, ha sede a Santeramo in Colle (BA) ed è il più grande produttore italiano nel settore dell’arredamento e leader mondiale nel settore dei divani in pelle, con un fatturato pari a 666 milioni di euro (2008). Oggi è presente in 123 Paesi nei 5 continenti e conta più di 7300 dipendenti, quasi 800 negozi e 11 unità produttive. La holding Natuzzi S.p.A. è l’unica azienda non americana del settore arredamento quotata a Wall Street dal 1993. Il Gruppo Natuzzi possiede le certificazioni ISO 9001 e 14001 e ogni giorno un team di professionisti all’interno dell’azienda lavora per assicurare elevati standard di qualità. Nel settore dell’arredamento, il Gruppo Natuzzi è inoltre tra i maggiori investitori in ricerca e innovazione e vuole continuare a distinguersi per questo, garantendo standard elevati in termini di qualità, rispetto dell’ambiente e del territorio. www.divaniedivani.it Vodafone Italia Vodafone Italia fa parte del Gruppo Vodafone, il più grande gruppo internazionale di comunicazioni mobili al mondo, presente in 31 Paesi e in altri 40 con accordi di Network Partnership. Vodafone Italia è stato il primo operatore privato di telefonia mobile in Italia. Al 31/3/09 Vodafone Italia conta 29.812.000 milioni di clienti mobili. L’azienda ha 8 Call Center distribuiti sull'intero territorio nazionale e più di 7.000 punti vendita. Il bilancio, a marzo 2009, ha registrato ricavi totali per 8.647 milioni di euro. A maggio 2008 Vodafone Italia ha lanciato i suoi servizi di telefonia fissa e banda larga consolidandosi come operatore di comunicazione
totale: un solo marchio, una sola infrastruttura di rete integrata, una sola rete commerciale e un solo servizio assistenza per soddisfare tutti i bisogni di comunicazione dei clienti. A marzo 2009 Vodafone Italia registra 921 mila clienti ADSL e 2.307.650 clienti di rete fissa, includendo anche il contributo di Tele 2, acquistata nel 2007. Da aprile 2007 ad oggi Vodafone Italia ha siglato accordi per l’operatore mobile virtuale con Carrefour Italia, Poste Italiane, BT Italia, Conad, Daily Telecom e ERG Petroli. Vodafone garantisce ai 6 nuovi operatori l’accesso a una gamma completa di servizi: voce, sms, roaming, traffico dati. Nel 2004 Vodafone Italia ha aperto la rete UMTS, mentre nel 2006 è stata lanciata la banda larga mobile (HSDPA) che ha raggiunto una copertura superiore all’80% della popolazione. A marzo 2009 le Vodafone Internet Key e i terminali UMTS/HSDPA hanno raggiunto quota 9,8 milioni di unità registrate sulla rete Vodafone. Vodafone Italia ha accordi di roaming internazionale con 545 operatori in 241 Paesi. La Rete GSM-GPRS copre oltre il 97% del territorio, pari al 99.4% della popolazione. Dal 1995, anno della nascita con il nome Omnitel, l’azienda si è sempre distinta per l’approccio innovativo, per i servizi al cliente e per la comunicazione. www.vodafone.it
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contrario essa è una istituzione nella quale convivono varie voci e molteplici interessi”. L'Università Bocconi ha offerto anche la propria collaborazione scientifica alla definizione del programma culturale: quali aspetti saranno maggiormente approfonditi? “Credo che saranno approfonditi gli aspetti riguardanti il rapporto tra economia reale, economia finanziaria e, mi permetto di aggiungere, economia virtuale. Cercheremo di sottolineare che per affrontare questa fase difficile dell’economia e della società occorre ritornare ad alcuni principi fondamentali quali: il successo deve essere ottenuto tramite l’impegno e la professionalità vera e non tramite opportunismi di diversa natura; la ricerca è significativa se si collega ai problemi reali delle imprese e delle istituzioni pubbliche; non esiste una contrapposizione tra interessi particolari e interesse generale ma, al contrario, esistono ampi spazi di sinergia. Credo che il messaggio centrale possa essere riassunto nei seguenti termini: nell’economia del futuro, la sostenibilità e la responsabilità nei confronti dei diversi portatori di interessi (stakeholders) dovranno diventare concetti prevalenti e diffusi e non tematiche di avanguardia e specifiche di un numero limitato di imprese illuminate, come è stato nel recente passato e come forse è ancora oggi”. Durante la manifestazione si prevedono attività specifiche per coinvolgere gli studenti. Che ruolo possono avere i giovani per lo sviluppo della Responsabilità Sociale d’Impresa? “Il principio secondo cui 'il futuro è dei giovani' è per certi aspetti banale, ma per altri aspetti è fondamentale o tutt’altro che scontato. Infatti, il futuro dipende dalla cultura che anche, e a volte soprattutto, nelle Università viene trasmessa ai giovani. Tramite l’organizzazione del Salone Dal Dire al Fare, la Bocconi intende portare per due giorni nel proprio campus un’iniziativa che faccia percepire ai giovani come la ricerca di una buona 38
carriera e del successo personale debba essere sempre collegata anche alla creazione di opportunità per gli altri. Responsabilità Sociale significa tener conto che si progredisce e si arretra tutti insieme e che le eccellenze individuali producono benefici per le imprese, per le istituzioni pubbliche e per il Paese se sono inserite in un tessuto di alta professionalità e di correttezza dei comportamenti. Cercheremo di far partecipare ai vari momenti del Salone il maggior numero possibile di studenti, alcuni dei quali saranno anche coinvolti in varie attività”. La voce dei protagonisti Abbiamo chiesto alle imprese main sponsor del Salone il ruolo della Responsabilità Sociale nella loro strategia d’impresa e le ragioni che li hanno spinti a partecipare a questa manifestazione. De Cecco Nella vostra azienda la ricerca della qualità del prodotto non si limita al perimetro dell’impresa, ma investe l’intera filiera. Come affrontate, da questo punto di vista, il tema della sostenibilità? Essere un’impresa sostenibile - risponde Filippo Antonio De Cecco, presidente De Cecco - per noi significa essere capaci di generare ricchezza duratura non solo per l’impresa stessa e per gli azionisti, ma anche per i dipendenti e per il territorio in cui operiamo, dal rapporto simbiotico che ha sempre legato De Cecco al suo comprensorio, fino a dissolverne i confini nella contemporanea economia globalizzata. In tale contesto, l’orientamento all’eccellenza qualitativa, valore primario De Cecco, si traduce in un approccio sistemico pervasivo ed integrato attraverso l’adozione volontaria di modelli di gestione e di pratiche di RSI per il governo ed il controllo dei processi aziendali e della catena di fornitura. De Cecco è una realtà imprenditoriale impor-
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tante per il territorio in cui opera. Quali sono le strategie di coinvolgimento degli stakeholder del territorio a partire dal pubblico interno (dipendenti e collaboratori)? Fin dalla ricostruzione in loco dello stabilimento originario raso al suolo dai bombardamenti tedeschi, nel secondo dopoguerra, De Cecco potè contare sul know-how accumulato negli anni precedenti e sulla qualità del lavoro dei suoi dipendenti: l’arte di fare la pasta tramandata di padre in figlio ed il costante orientamento all’eccellenza qualitativa rendono da sempre i dipendenti, e i collaboratori, coprotagonisti della valorizzazione del Marchio e compartecipi della crescita sostenibile del Gruppo. Essi vivono l’esperienza diretta e quotidiana del prodotto e dell’ambiente di lavoro ed esprimono la qualità del sistema-azienda. È, quindi, fondamentale che si sentano parte integrante dell’impresa condividendone, in primis, la visione etica. Quali sono le ragioni che vi hanno condotto ad essere sponsor del Salone Dal Dire al Fare? Si tratta senz’altro di una vetrina importante per le aziende che desiderano stare sul tema ma è anche un esercizio di responsabilità sul 'come' starci perché qui 'ci si racconta'. La formula innovativa proposta dagli organizzatori del Salone, fuori dalla logica dell’evento mediatico puro, esprime, in concreto, la complessa dimensione culturale della CSR e questo è molto vicino al nostro modo di sentire e vivere la CSR. Abbiamo, pertanto, la grande opportunità di confrontare e approfondire con i pubblici di riferimento il nostro percorso socialmente responsabile, e dare, con ciò, un contributo al dibattito sul 'fare responsabile' nei confronti della società, dell’ambiente e delle generazioni future. Erg I temi della sostenibilità e della responsabilità sono per voi temi 'forti' e qualificanti. Quali
Filippo Antonio De Cecco, presidente De Cecco
sono i criteri o, se preferite, la strategia con cui affrontate questi argomenti? Crescere in modo sostenibile e competere responsabilmente - afferma Angelo Riccio, responsabile sostenibilità e governance ASSQ -; ERG ha deciso di fare impresa adottando la doppia formula della sostenibilità e della responsabilità. Formula che non è solo una lodevole dichiarazione di intenti ma sopratutto una maniera innovativa, trasversale e condivisa di creare valore allargato e sostenibile nel tempo. In sintesi, a livello strategico, un approccio del genere si traduce nell’integrazione, all’interno del ciclo della pianificazione, dei due concetti sopracitati. Il vostro sito web è stato recentemente rivisto e aggiornato. Qual è il ruolo che assegnate a questo strumento di comunicazione e di coinvolgimento degli stakeholder? 39
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PARTNERSHIP E SPONSOR DEL SALONE Bureau Veritas Bureau Veritas è fra i leader a livello mondiale nella valutazione di conformità e certificazione della Qualità, l’Ambiente, la Salute, la Sicurezza e la Responsabilità Sociale (QHSE-SA). Nato nel 1828, il Gruppo opera in 140 paesi con 40 000 dipendenti ed un volume d'affari di oltre 2,5 miliardi di Euro (dati 2008). Bureau Veritas Certification, divisione del Gruppo, è ai vertici mondiali nel settore della certificazione. Il Gruppo, riconosciuto e accreditato dai più importanti Enti ed Organismi internazionali, è quotato dall'ottobre 2007 alla borsa di Parigi. In Italia, Bureau Veritas conta più di 325 dipendenti e 20 uffici dislocati su tutto il territorio nazionale e affianca oltre 15.000 Clienti nazionali e internazionali. www.bureauveritas.it Autogrill Autogrill è il primo operatore al mondo nei servizi di ristorazione e retail per chi viaggia. Con un giro d'affari di circa ? 5,8 miliardi nel 2008, è presente in 43 Paesi, con oltre 5.500 punti vendita distribuiti in oltre 1.200 location e 70.000 addetti. Il Gruppo è attivo prevalentemente nei canali aeroporti, autostrade e stazioni ferroviarie. www.autogrill.com
Sistema Viabilistico Pedemontano. La nuova autostrada collegherà la provincia di Varese a quella di Bergamo attraversando 5 province (Bergamo, Monza e Brianza, Milano, Como, Varese), e sarà composta da 67 km di autostrada, 20 km di tangenziali e 70 km di opere stradali connesse. I lavori per la realizzazione del progetto inizieranno nel marzo 2010 e termineranno nel 2015. Trasparenza, correttezza e legalità sono i valori a cui si ispira l’operato di Autostrada Pedemontana Lombarda e che hanno guidato una serie di pratiche che i media hanno definito “modello Pedemontana Lombarda”: i road show sul territorio, l’attenzione all’ambiente e agli impatti dell’opera, l'accessibilità alle informazioni tramite il sito web, la qualità e l’innovazione del Progetto e della comunicazione, l’apertura al contributo di competenze esterne. Con questo approccio “responsabile” la Società intende dare alla Lombardia un’opera innovativa, condivisa con le popolazioni e i territori, bella e sicura. www.pedemontana.com
Autostrada Pedemontana Lombarda Autostrada Pedemontana Lombarda S.p.A. ha come scopo la promozione, lo studio, la progettazione, la realizzazione e la gestione del
Coop Lombardia È una impresa di distribuzione organizzata in forma giuridica di cooperativa. I soci aderenti alla cooperativa a fine anno 2008 erano 818.416. I Comitati di Zona dei soci sono il principale strumento di partecipazione dei soci alla vita della cooperativa. Organizzano numerose iniziative nel territorio dove operano, dal tempo libero alla solidarietà attiva.
Chi sono i nostri utenti? E cosa si aspettano? Queste le domande che hanno guidato la riprogettazione del sito. L’obbiettivo? Creare un canale di comunicazione sempre più completo, puntuale ed efficace, indispensabile per
un’azienda quotata in borsa e soprattutto per un’impresa che ambisce a un dialogo continuo e strutturato con i suoi stakeholder. Volevamo traghettare dal sito inteso come contenitorevetrina a una piattaforma di contenuti e scambio
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PARTNERSHIP E SPONSOR DEL SALONE Coop Lombardia è presente in regione con 38 supermercati e 10 ipermercati e ha 4.098 dipendenti. Opera nell’interesse dei soci ai quali garantisce sicurezza sui prodotti e il miglior rapporto qualità – convenienza. Negli ultimi anni ha dato vita a numerosi servizi per i soci, tesi a soddisfare i bisogni più diversi nell’ambito della famiglia e della persona, sul risparmio e la finanza, per il consumo consapevole, per la cultura e il tempo libero. Nel campo dell’educazione al consumo Coop Lombardia ha collaborato nello scorso anno scolastico con 1.250 classi di ogni ordine e grado. Scopo sociale dell’azienda è la difesa degli interessi del consumatore che persegue oltre che con la propria politica commerciale e di servizi, anche con diverse iniziative, destinando importanti risorse all’impegno sociale e ad iniziative di solidarietà. In quest’ottica Coop Lombardia partecipa anche nel 2009 a Dal Dire al Fare come sponsor della manifestazione. www.e-coop.it
produzione da fonti rinnovabili, e degli idrocarburi. Edison da sempre adotta buone pratiche di responsabilità sociale e da qualche anno sta sviluppando processi più evoluti e formalizzati per la gestione della corporate responsibility. www.edison.it
Edison È uno dei principali operatori italiani nel settore dell'energia: la società è attiva dall'approvvigionamento, alla produzione, alla vendita di energia elettrica e gas. Con la realizzazione di nuove infrastrutture di importanza europea nel campo del gas e con servizi innovativi per la clientela, Edison punta a consolidare il proprio ruolo di operatore leader nei settori dell’energia elettrica, dove intende promuovere una forte accelerazione nella
Terna Sostenibilità significa per Terna operare ogni giorno con responsabilità: rispettare i propri stakeholder nella sfera diretta del business e integrare nelle politiche e nei sistemi di gestione un’attenta considerazione delle ricadute ambientali e sociali della propria attività. Nello sviluppo della rete elettrica, Terna adotta un approccio di concertazione con le regioni e gli enti locali al fine di individuare, di volta in volta, le soluzioni migliori anche in termini di rispetto ambientale e di tutela del territorio. Anche in assenza di obblighi derivanti dal Protocollo di Kyoto o da schemi di emission trading, Terna è secondo il Rapporto 2008 del Carbon Disclousure Project - tra le sette società italiane dell’S&P MIB che hanno elaborato una strategia di contenimento delle emissioni. Parte della responsabilità è il sostegno alle cause sociali, anche grazie alla segnalazioni di progetti meritevoli da parte dei dipendenti. Forte in particolare l’impegno per la cultura, soprattutto grazie al Premio Terna per l’arte contemporanea italiana, nato nel 2008 in partnership con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali. www.terna.it
in grado anche di creare relazioni con gli utenti. A servizio degli obiettivi di chiarezza, trasparenza e tempestività, una nuova grafica, 'pulita', puntuale rispetto alle aspettative ed ariosa per una navigazione davvero semplice ed intuitiva.
Quali sono le ragioni che vi hanno condotto ad essere sponsor del Salone Dal Dire al Fare? In 70 anni di storia, il Gruppo ha preferito sempre mantenere un approccio estremamente 41
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Angelo Riccio, responsabile sostenibilità e governance ASSQ ERG
Paola Peretti, vice president corporate communication Natuzzi
pragmatico; il 'fare' è sempre stato considerato prioritario. Crediamo che oggi i tempi siano sufficientemente maturi per ampliare l’approccio e per iniziare anche a 'dire', lasciando, si intende, immutato il ruolo che l’azione da sempre ricopre. Vogliamo cioè arricchire il processo 'del fare' di un ulteriore e strategico elemento: una comunicazione più strutturata. Parafrasando lo slogan del Salone 'Dal Fare al Dire'! Ebbene la concretezza che informa la manifestazione, ci ha convinto che questo fosse uno spazio particolarmente adatto, nonché riconosciuto, per iniziare a veicolare, più compiutamente, un modo di essere che crediamo ci contraddistingua.
Da anni il Gruppo Natuzzi si impegna ad adottare una condotta rispettosa dell’ambiente e non dannosa per l’uomo - sostiene Paola Peretti, vice president corporate communication dell'azienda -. Gli aspetti ambientali di ogni attività aziendale sono costantemente monitorati ed è in atto una razionalizzazione dell’uso delle risorse con programmi mirati alla riduzione dei consumi energetici e delle materie prime. Oltre alle consuete attività legate alla certificazione ISO 14001 (monitoraggio delle risorse, recupero dei materiali, scelta di fornitori certificati), in azienda si studiano, a livello di attività di ricerca, rivestimenti e materiali innovativi.
Natuzzi Il tema della sostenibilità ambientale entra indubbiamente in modo significativo nella vostra attività e nelle vostre produzioni. Quali sono, al riguardo, le strategie con cui lo affrontate? 42
Nel vostro Codice Etico affermate preliminarmente che vi siete assegnati il compito di creare valore con integrità. Il che significa 'agire con onestà, lealtà, trasparenza, nel rispetto delle persone. Ciò implica innanzitutto la totale osservanza della legge ed anche un forte
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senso di responsabilità verso l'azienda e verso tutti i soggetti coinvolti'. Come traducete tutto ciò nella pratica quotidiana? Il Gruppo Natuzzi ha portato il suo impegno etico direttamente nella catena del valore, cercando di sviluppare percorsi e leve competitive coerenti con uno sviluppo sostenibile per la collettività. Consapevoli della nostra responsabilità nei confronti del territorio in cui operiamo, dell’ambiente e della società, stiamo cercando di attuare un percorso che, attraverso la ricerca continua della qualità dei nostri prodotti, l’utilizzo di fornitori in linea con le norme espresse dal Codice Etico e le certificazioni di cui disponiamo, possa rispondere
in maniera efficace alle aspettative di tutti i portatori di interesse che ruotano intorno alla nostra attività. Quali sono le ragioni che vi hanno condotto ad essere sponsor del Salone Dal Dire al Fare? Con il Salone Dal Dire al Fare, il Gruppo Natuzzi manifesta la sua volontà di portare avanti un piano di Corporate Social Responsibility attraverso il quale gestire efficacemente le problematiche d’impatto sociale ed etico dedicato alla tutela dell’ambiente, alla valorizzazione del territorio e all’innovazione sostenibile.
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Creare e condividere valore L’università deve fornire un supporto concreto nel produrre innovazione, trasformando il sapere in opere e concretizzando le conoscenze per generare sviluppo in sinergia col mondo del lavoro. Da tali premesse è nato Progetto Axìa, promosso da CRUI e Nestlé, su tre temi della responsabilità sociale: alimentazione, sostenibilità e multiculturalità.
LA CREAZIONE di Valore Condiviso è il modo in cui Nestlé interpreta la responsabilità sociale d’impresa: creare valore per l’azienda, creando nel contempo valore per la società. Con questo spirito è nato il progetto Axía, promosso dal Gruppo Nestlé in Italia e dalla CRUI Conferenza dei Rettori delle Università italiane, dando avvio a un nuovo approccio alla ricerca accademica attraverso la diffusione di sapere e di conoscenze scientifiche. Il progetto Axía ha origine all’interno di un’importante strategia di responsabilità sociale e mira alla diffusione della conoscenza tramite l’avvio di un circolo virtuoso di collaborazione tra impresa e università. Il Gruppo Nestlé in Italia ha investito in questo progetto circa un milione di euro. Come dichiara Manuela Kron, direttore corporate affairs del Gruppo, “Con Axía siamo convinti di aprire una nuova strada per il supporto alla ricerca universitaria del paese. Avviamo un percorso che mi auguro possa, in un prossimo futuro, essere seguito anche da altre aziende”. In quest’ottica, nel maggio 2008 Nestlé e CRUI hanno commissionato a due università una ricerca su tre temi di grande attualità e di rilevanza socio-economica, in accordo con le priorità identificate dall’azienda, quali alimentazione, sostenibilità e multiculturalità: in questo modo, l’azienda ha chiesto all’accademia di essere promotrice del cambiamento per 44
generare sviluppo a favore della collettività. In questo senso il ‘valore’ (axía, in greco) è nella ricerca di nuove strade da percorrere nell’ottica di un miglioramento continuo: nell’investimento e nella visione a lungo termine orientata al futuro, risiede il grado di innovazione della strategia di responsabilità sociale e del progetto di ricerca in generale. Lo studio ha coinvolto due gruppi di ricerca: l’Università IULM di Milano da una parte, relativamente ai saperi culturali/economico/psicosociali, e l’Università Federico II di Napoli dall’altra, per quanto riguarda l’area dei saperi scientifico/naturalistici economici. Due gli obiettivi fondamentali: in primo luogo quello di ampliare il dialogo fra due sistemi complessi quali quello accademico e quello aziendale per contribuire alla diffusione di
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PROGETTI PRESENTATI IN RELAZIONE ALLA DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA
Fonte:
conoscenze e progettualità con la raccolta e la condivisione di temi innovativi intorno ai tre ambiti dell’alimentazione, della sostenibilità e della multiculturalità; e in secondo luogo l’individuazione di temi di attualità e di rilevanza socio/economica riconducibili ai tre ambiti con lo scopo di definire un elenco di proposte tali da individuare e circoscrivere un gruppo di università equilibrato per il sostegno diretto delle proposte. Le fasi del progetto di ricerca Il progetto si è articolato fin dall’inizio per passi successivi. Queste le diverse fasi svoltesi finora e i loro primi risultati. Analisi Desk L’analisi desk è il risultato della ricerca bibliografica e dello studio dei progetti di ricerca sviluppati dalle università italiane. L’analisi ha offerto una panoramica circa le principali aree di approfondimento sviluppate nell’ambito della ricerca negli atenei italiani in riferimento ai temi
della sostenibilità, dell’alimentazione e della multiculturalità, evidenziando le aree di maggiore vocazione accademico-scientifica nei rispettivi contesti di indagine. Analisi Field Questa fase ha coinvolto in prima persona opinion leader selezionati sulla base della loro esperienza accademica e professionale rispettivamente al loro ambito di afferenza: alimentazione, sostenibilità e multiculturalità. La somministrazione di interviste a testimoni privilegiati ha fornito una panoramica da cui partire per rilevare una mappatura teorica approfondita che, se da una parte ha consentito di procedere in modo più consapevole avendo chiaro il quadro di riferimento generale, dall’altra ha permesso di sviluppare i criteri più adeguati per la valutazione dei progetti di ricerca. Call for Ideas La fase della raccolta dei progetti di ricerca ha coinvolto direttamente gli atenei italiani attraverso una specifica comunicazione. Le idee 45
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DALLA TEORIA ALLA PRATICA Cinzia Sciangula, autrice dell’articolo in queste pagine, ha partecipato in prima persona al progetto Axía come membro del gruppo di lavoro dell’Università IULM. Nel giugno 2008, dopo aver conseguito il diploma al Master in Comunicazione Pubblica presso l’Università IULM di Milano, ha iniziato la collaborazione con il team di lavoro dell’università coordinato dal professor Vincenzo Russo, incaricato da Nestlé Italia e da CRUI di contribuire allo sviluppo del progetto Axía. “Sono diverse le ragioni per cui ho scelto di partecipare a un progetto di ricerca a lungo termine così impostato – spiega Cinzia –: da un lato per l’approccio interdisciplinare e multidisciplinare che caratterizza il progetto e che ne dà ragione dell’originalità e della complessità; dall’altro per la proposta di una nuova sinergia tra azienda e università, in grado di portare al connubio tra ricerca e azione per contribuire al benessere della società attraverso la diffusione di valore. È questo lo spirito che ha guidato l’intero gruppo di lavoro: l’idea di creare qualcosa attraverso la propria attività che fosse liberamente fruibile e condiviso, una conoscenza disponibile”. Il progetto ha rappresentato la conclusione di un percorso formativo ai fini del raggiungimento del diploma di master, e al tempo stesso ha reso possibile approfondire le diverse tematiche attraverso il confronto diretto e critico con i ricercatori autori degli articoli presenti nel report. “Occuparsi di responsabilità sociale da un punto di vista accademico ha significato operare in più realtà contemporaneamente – aggiunge Sciangula –: è stato possibile apprendere e osservare diverse tipologie e approcci
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professionali a livello contenutistico e relazionale. Ha rappresentato il trait d’union con il mondo dell’editoria per la fase della pubblicazione del report; con il mondo della comunicazione e delle relazioni pubbliche; con il mondo dell’impresa per la scrittura in accordo con la missione e la visione aziendale; e da ultimo con il mondo universitario: il lavoro di gruppo, la scrittura accademica, le relazioni con ricercatori più esperti da cui apprendere nuove metodologie”. L’esperienza pragmatica ha dato la possibilità a una studentessa neodiplomata come Cinzia di portare le conoscenze teoriche acquisite in un anno di master universitario direttamente sul campo, chiarendo e approfondendo la definizione di RSI così difficilmente circoscrivibile in un termine preciso. “Le sole lezioni – è infatti la sua conclusione – non bastano a cogliere l’essenza di un progetto di responsabilità sociale d’impresa, a spiegarne le ragioni sottostanti e le spinte motivazionali, a individuare le risorse coinvolte e i dettagli da considerare, oltre le date da far coincidere e le tabelle di marcia da rispettare. L’unico modo per imparare è sperimentare in prima persona ciò che si è imparato in aula. Pragmaticità ed esperienza sul campo dovrebbero essere momenti integranti il percorso formativo sia in termini di supporto all’azienda sia in termini di riscontro e di apprendimento, di bagaglio che lo studente porta con sé per il confronto con il mondo del lavoro. Non posso quindi che suggerire a chi ora e in questo campo si affaccia al mondo del lavoro di esperire ed errare con perseveranza”.
Capitolo6
AMBITO DI APPARTENENZA
Fonte:
sono state raccolte per mezzo di un form online appositamente predisposto sul sito dell’Università IULM di Milano. Sono pervenute 117 proposte di progetto per un coinvolgimento di 31 Atenei italiani e circa 500 docenti. Questo alto grado di partecipazione dimostra come l’Università italiana sia in grado di reagire attivamente: come sottolinea Giovanni Puglisi vice presidente CRUI e Rettore Università IULM, “È la conferma che nonostante le oggettive difficoltà in cui esso versa, il nostro sistema accademico è vivo e reattivo agli stimoli”. Hanno, infatti, risposto alla chiamata circa il 40% delle università italiane appartenenti al circuito CRUI. Come si può vedere dai grafici riportati, si è rilevata una maggiore partecipazione delle università del Nord e l’ambito alimentazione ha raccolto il maggior numero di progetti. La valutazione delle proposte I progetti sono stati valutati da un gruppo di
docenti universitari ed esperti della professione con l’obiettivo di definire un elenco di 12 proposte progettuali tra tutte quelle pervenute (4 per area). Ogni singolo progetto è stato valutato secondo diversi criteri specifici quali la qualità scientifica, la rigorosità metodologica, la sua articolazione, l’autorevolezza del coordinatore, la qualità dei risultati attesi e la sostenibilità finanziaria. La pubblicazione Il volume “Alimentazione, Sostenibilità, Multiculturalità. Azioni, Riflessioni e temi di ricerca”, ha raccolto i risultati dello studio di fattibilità e si è posto un duplice obiettivo: da un lato raccogliere le idee e le proposte progettuali riconducibili ai tre ambiti creando condivisione di sapere; dall’altro rendere fruibili i risultati del lavoro, diffondendo il testo nella comunità scientifica e professionale e nel circuito universitario per favorire lo sviluppo di ricerche future. 47
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Questo volume è l’esempio concreto della volontà di condividere le progettualità nel territorio e tra le aziende interessate ai tre ambiti oggetto della ricerca. La pubblicazione raccoglie i materiali reperiti, le bibliografie ragionate, gli articoli critici a cura di esperti ricercatori, le interviste agli opinion leader oltre alla sintesi dei progetti pervenuti al call for ideas. La scelta e il finanziamento Tra i 12 progetti di ricerca selezionati, Nestlé ha deciso di sostenerne finanziariamente quattro, incentrati sui temi dell’alimentazione e della sostenibilità. I risultati delle ricerche finanziate saranno patrimonio della collettività nel prossimo biennio. In questo senso il progetto Axía, ovvero l’idea di responsabilità sociale come creazione di valore, non si esaurisce in questa
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ricerca e con il finanziamento da parte dell’azienda dei progetti finalisti, ma condivide con aziende e istituzioni i dati raccolti per lo sviluppo di ricerche future a cura delle università italiane. Tutti i progetti pervenuti al Call for ideas, e raccolti nel report, rappresentano un esempio di valorizzazione consapevole della ricerca e sono testimonianza esplicita delle energie presenti nelle università italiane. Questi i titoli dei progetti e i team universitari sostenuti da Nestlé: 1. “La reputazione dei cibi nei processi di decisione di consumo alimentare” (Università degli Studi di Roma La Sapienza, Università di Roma Tre, Libera Università Maria SS Assunta - Lumsa di Roma, Università degli Studi di Cagliari); 2. “Nuovi materiali polimerici per l’imballaggio rigido e flessibile di alimenti (Università degli Studi di Napoli Federico II); 3. “I principi della sostenibilità: dai valori dichiarati ai comportamenti di consumo alimentare. Analisi del ruolo dei media nella costruzione e diffusione della rappresentazione sociale della sostenibilità (Università di Palermo, Università IULM di Milano, Università di Catania, Università di Pavia, Università Statale di Milano); 4. “Verso l’individuazione di indicatori precoci dello stress idrico e carenza di nutrienti in agricoltura: sviluppo di metodi innovativi di telerilevamento iperspettrale da aereo” (Università degli Studi di Firenze, Università di Napoli Federico II, Università degli Studi Milano Bicocca). Per seguire la pubblicazione dei progetti di ricerca finanziati da Nestlé e per maggiori informazioni su tutti i progetti pervenuti al Call for ideas è possibile consultare i siti www.crui.it, www.axia.iulm.it o www.nestle.it. Cinzia Sciangula c.sciangula@gmail.com
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CSR si è, non si fa Proseguendo il ragionamento sulla ir-responsabilità sociale avviato sul precedente Quaderno dedicato alla CSR, Paolo D’Anselmi propone in questo suo nuovo intervento un modello, un template, per analizzare la reportistica socio-ambientale. E attraverso la sua applicazione a casi concreti dimostra che, volenti o nolenti, responsabili si è, non lo si diventa.
COME Don Abbondio sostiene che ‘il coraggio uno non se lo può dare’, così sostengo che la CSR non ce la si può appiccicare addosso facendo questa o quella opera buona. Pervicace nel suo convincimento, Don Abbondio respinge ogni tentativo del Cardinal Federigo di accedere alla sua coscienza e risvegliare in lui un senso di responsabilità delle proprie azioni. A differenza di Don Abbondio, le organizzazioni di buona volontà possono lavorare e darsi un po’ di responsabilità del lavoro che svolgono. La CSR uno se la può dare. In realtà il ‘darsela’ è solo per infrangere il paradosso di Don Abbondio: il primo passo, infatti, è comprendere la CSR che c’è già, che c’è comunque, anche se non la si riconosce. CSR si è, non si fa. Sullo scorso Quaderno avevo scritto: “Resta a questo punto da capire il metodo per scoprire le social issues” (“CSR - Il momento della verità”, numero 64, settembre 2008, capitolo 11, “Il guadagno della CS(ir)R”, pagine 90-97). Le social issues sono quelle quattro cose che è importante dire e che rendono la CSR degna di attenzione da parte del top management, aldilà di tutti i questionari e l’ottemperanza - pur necessaria - alle linee guida e agli standard internazionali. E aggiungevo: “Non c’è una formula chiusa per scannerizzare gli angoli del sistema economico”. Si possono spendere migliaia di pagine nel dar conto di cose vere e buone e alla fine mancare 50
Paolo D’Anselmi è analista di politiche pubbliche. Lavora per ‘Alfa Scarl - controlli e benchmark’. Ha lavorato per McKinsey, Datamat e il Consiglio Nazionale delle Ricerche. È ingegnere elettronico e ha un master dalla Harvard Kennedy School di Harvard
appunto - quelle quattro cose che fanno la differenza tra un report stereotipato e un report significativo e con valore aggiunto anche per gli
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scettici. Avevamo lavorato - in quel numero dei Quaderni della Comunicazione - ad attuare il metodo di Porter e Kramer (Harvard Business Review, dicembre 2006). Anche quegli studiosi danno atto dell’approccio attraverso checklist che è portato avanti dalla GRI - Global Reporting Initiative e dagli altri estensori di linee guida, sostenendo che è compito dei manager locali, di medio livello, seguire il paradigma per creare la lista delle iniziative che saranno poi messe in ordine di priorità. La redazione di liste è il modo intelligente di rendere additivo il sapere euristico. È altresì euristico il processo di identificazione delle social issues di (ir)responsabilità sociale per cui tutte le fonti sono buone: la ricerca e il dibattito interni all’impresa, le mosche cocchiere esterne all’impresa, la stampa. I valori dell’(ir)responsabilità Sentendo il limite metodologico di quelle affermazioni - in particolare: “Non c’è una formula chiusa per scannerizzare gli angoli del sistema economico” - vorrei qui lavorare alla ricerca di un template. Aperto quanto vogliamo, ma un template. Lo scopo non è darsi una CSR più ‘nobile’. Rifuggiamo da ogni aspetto di valutazione e di bontà. Fare impresa è nobile di per sé. Basta la consapevolezza. Deciderà poi il top manager che ha avuto la bontà di seguire il cammino, dove vorrà portare la sua impresa. Noi lo ringraziamo di averci seguiti fin qua. Tale cammino è fatto da uno schema, un template, costruito attorno a quattro valori, da comprendere e attuare nell’esaminare il comportamento organizzativo. C’è ancora un passo da fare prima di declinare i quattro valori. L’analisi che ci apprestiamo a svolgere sul comportamento organizzativo deve essere un contrappello, un counter roll, un’analisi volta a trovare i buchi nella responsabilità e non
IL BARBIERE DI STALIN Come il barbiere di Stalin, che non si sentiva responsabile dei crimini del dittatore, ciascuno si sente pulito e pensa sinceramente di non aver nulla a che fare con misfatti e inadempienze che constata ogni giorno: eppure anche noi flirtiamo con il male. Qualche volta lo serviamo. Politici e cittadini, pensionati e lavoratori, pubblici e privati, dipendenti e popolo delle partite Iva siamo l’un contro l’altro armati, convinti che altri siano i responsabili. In questo suo nuovo lavoro, Il barbiere di Stalin Critica del lavoro (ir)responsabile (Università Bocconi Editore, 16,00 euro), Paolo D’Anselmi se la prende invece con le personali responsabilità di ciascuno. Il messaggio finisce per essere tuttavia ottimistico e non catastrofista, perché riconsegna a ciascuno la chiave della propria felicità. Puntando l’attenzione sul lavoro delle imprese e delle istituzioni l’autore svolge un’analisi puntuale dei diversi settori dell’economia e del sociale, crea un database sterminato di scempiaggini che si perpetrano e di cose buone che si fanno, e presenta così uno spaccato della nazione e l’agenda per una cultura dell’attuazione. le cose positive. Solo con un atteggiamento negativo possiamo trovare le (poche) cose che non funzionano e non perderci nelle tantissime che pur si fanno, ma che non rilevano, se sinceramente vogliamo mettere in discussione l’organizzazione. Elencando il buono, rischiamo di anestetizzarci. Occorre dunque prendere consapevolezza delle azioni di lavoro che sono a rischio di irresponsabilità. La irresponsabilità, infatti, è fertile di informazione: l’errore - reale o potenziale - è propulsivo. In altre parole, si tratta 51
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Il Sustainability Report 2008 di British Petroleum ha dimensioni ridotte, poche decine di pagine, e illustra i dati più rilevanti in una tabella dove uno degli indicatori è il numero dei morti durante l’anno: un elemento di Disclosure
di prendere consapevolezza che le imprese cercano il proprio egoistico benessere e dove possono scantonano dal benessere altrui. Ciò non è né buono né cattivo: è. Per questo il template lavora al negativo: dimostrare che ‘non sono irresponsabile’. I quattro valori su cui voglio lavorare sono ‘Stakeholder Ignoto’, ‘Rivelazione’,’Attuazione’ e ‘Microetica’. Dalle iniziali inglesi nasce il nome del template, l’acronimo USDIME. Unknown Stakeholder: difendere chi non è in grado di farlo, chi non ha voce, chi ha un interesse in ballo ma non lo sa. Prima di tutto 52
bisogna identificare il contesto competitivo e il quadro regolamentare che circonda un’organizzazione pubblica o privata, Poi si devono stabilire specifici benchmark rispetto alla concorrenza. I casi specifici di assenza di competitor vanno trattati singolarmente: le sovvenzioni governative vanno spiegate, mentre istituzioni governative e monopolisti devono misurarsi con benchmark internazionali. Disclosure: Fornire informazioni che solo apparentemente sono segreto industriale - ogni violazione dei diritti umani o ‘excusatio non petita’ è più che benvenuta. Le informazioni devono essere chiare e sintetiche, brevi e non nascoste in un cumulo di carte. La chiave è identificare la minima quantità di informazione necessaria. Implementation: Sviluppare indicatori di performance, perché le cifre contabili non danno conto della complessità. Per superare la crisi economica benchmark e risultati finali contano più di piani e previsioni; i progetti affidabili per il futuro sono quelli che si basano sull’accuratezza dei risultati del passato; le misure dell’efficacia dell’intervento pubblico piuttosto che i volumi di spesa - la misura della qualità del servizio e dei prodotti per il settore privato. È la cultura della attuazione vs. la politica dell’annuncio: la differenza è che una è politica, l'altra è cultura. Micro-Ethics: si rifugge esplicitamente dall’uso della parola etica. Non servono eroi, sacrifici personali o pubbliche ammissioni di colpa. È sufficiente evitare la disinformazione, l’uso sistematico di eufemismi, i ricami e gli abbellimenti superflui, il conformismo aziendale. Basta una pratica etica minimalista, applicabile decine di volte ogni giorno, piccoli contributi al funzionamento quotidiano dell’azienda. L’applicazione del template USDIME Aziende e corporation - più delle istituzioni governative - compiono enormi sforzi per mostrarsi ‘responsabili’ agli occhi del pubblico.
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Sforzi che sono riassunti e presentati in documenti simili ai bilanci finanziari (che in fondo hanno il medesimo obiettivo) tanto da condividerne parte del nome: bilanci di sostenibilità, bilanci sociali o socio-ambientali, appunto. Documenti fra le 50 e le 200 pagine, spesso arricchiti da illustrazioni ispirate al bello e al buono, che descrivono le performance economiche, sociali e ambientali dell’organizzazione nei confronti della società circostante: clienti, dipendenti, ambiente, azionisti. Questa reportistica costituisce la base empirica del template USDIME, che aiuta a identificare le aree di potenziale irresponsabilità nei bilanci, individuando allo stesso tempo le aree di responsabilità. Da ogni valore del template derivano diverse domande, generali o specifiche, sulle informazioni e i dati che un bilancio sociale deve fornire, un questionario con cui testare sistematicamente il bilancio sociale - quando ne studiamo uno realizzato da altri - ma anche una guida per realizzarlo quando ne prepariamo uno noi stessi. Scandagliando le aree di potenziale irresponsabilità, si può verificare ciò che l’organizzazione ha da dire in proposito. Lo ritengo un metodo più efficace ed efficiente di quelli attualmente in uso, e per dimostrarne la validità ho esaminato numerosi bilanci sociali, di grandi corporation mondiali così come di aziende locali/nazionali più piccole. Negli esempi che seguono riporto alcuni dei molti spunti e informazioni che ne ho tratto e che ritengo importanti per il template proposto, evidenziando ciò che nei report mi fa pensare che nel business di ciascuna azienda ci siano aspetti di consapevolezza e responsabilità. British Petroleum Il Sustainability Report 2008 di British Petroleum fornisce una visione complessiva del mercato
Nel bilancio sociale 2007/2008, anziché il fatturato, Toyota indica per ogni area geografica il più significativo margine lordo: un interessante passo avanti nella comunicazione ai propri stakeholder
globale del petrolio, illustrando le quote di mercato delle maggiori società mondiali. Per farlo deve necessariamente citare il nome dei suoi competitor, cosa che non accade di frequente. Si tratta di un’informazione che incarna il valore dell’Unknown Stakeholder, fornendo cioè il quadro competitivo in cui l’azienda si muove. Il report di BP ha dimensioni ridotte, poche decine di pagine, e illustra i dati più rilevanti in una tabella dove uno degli indicatori è il numero dei morti durante l’anno: un elemento di Disclosure. 53
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Infine, BP dichiara esplicitamente che i suoi profitti per il 2008 derivano dall’andamento altalenante dei prezzi del petrolio nel corso dell’anno. Un caso di Micro-Ethics: le persone lo sanno già, ma lo si dice e si ottengono giudizi positivi. Toyota Toyota indica i margini lordi per area geografica, e ciò rappresenta un interessante passo avanti nella comunicazione ai propri stakeholder rispetto ai dati di fatturato forniti di solito. Il margine è molto più significativo del semplice fatturato, perché tiene in considerazione i prezzi e illustra la profittabilità della compagnia in ogni regione. Anche il report Toyota è molto breve (2007/2008, visto che il loro anno fiscale non coincide con l’anno solare), ed è ricco di tabelle e immagini che lo rendono facile da consultare e divertente da leggere. Un segno di Disclosure.
Nel pieno della crisi finanziaria dell’ultimo biennio, il colosso olandese Ing Group è riuscito a non citare neppure la parola Lehman nel suo CSR Report 2008/2009
L’azienda dimostra inoltre particolare attenzione alla sostenibilità del suo business quando fornisce i dati sul tasso di sostituzione delle sue riserve petrolifere. È un dato chiave per un report di questo genere, un modo estremamente basico di implementare il concetto di sostenibilità (valore dell’Attuazione). Altre società petrolifere come ENI o Total leggono piuttosto la sostenibilità in relazione alle comunità locali. Un aspetto certamente importante ma, a mio parere, il punto centrale per chi si occupa di petrolio è che il petrolio ci sia. 54
WalMart La catena distributiva americana è stata spesso criticata per la pessima policy verso il personale: salari bassi, atteggiamento antisindacale e tutto il resto. Nel report 2009 - non lo chiama CSR Report - WalMart fornisce i dati sulle paghe orarie dei suoi dipendenti a tempo pieno. Un segno di Disclosure, benché parziale: perché la paga oraria citata è sicuramente superiore a quella dei dipendenti part time o dei collaboratori. Più in generale, poi, il problema va oltre: ci sono interi settori dell’economia o industrie i cui i dipendenti sono remunerati meglio di quelli di altri. Credo che un aspetto della CSR sia proprio rendere pubblico questo genere di dati che devono essere considerati parte della responsabilità sociale di un’azienda. Secondo quanto sostiene l’Economist - nella sua famosa indagine critica sulla CSR del 2005 questo genere di informazioni, una volta
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considerate confidenziali, non ha nulla a che fare con la CSR e sarebbe solamente una corretta prassi di management e di uso dei media. Ma io leggo qualcosa di più di una semplice pratica manageriale in simili eventi comunicativi. Dopo che l’onda dei media è passata, qualcosa che prima non c’era rimane sulla spiaggia: una nuova abitudine, una discontinuità che caratterizza l’innovazione. Ing Group In seguito ai postumi della crisi finanziaria del 2008 e del 2009, è stato quasi scontato andare a cercare informazioni sul possesso di titoli Lehman Brothers nei bilanci di sostenibilità delle istituzioni finanziarie. E ho scoperto che il colosso olandese Ing Group è riuscito a non citare neppure la parola Lehman nel suo CSR Report 2008/2009. A confronto del quale, anche istituzioni meno sofisticate e italiane si sono comportate meglio: Unicredit ha indicato infatti il numero totale di clienti che avevano in portfolio titoli della società fallita, anche se non chiarisce quanti fossero questi titoli. Monte Paschi, per esempio, ha fornito sì un'indicazione, ma meno trasparente: la percentuale dei suoi clienti che possedevano azioni Lehman. Unicredit Caso unico nel panorama del reporting della CSR. Nel suo bilancio sociale per il 2008 (pubblicato nel 2009), Unicredit illustra la procedura attraverso la quale gestisce i contenziosi fra impiegati. Non è cosa da poco: tutti sanno che all’interno di qualsiasi organizzazione ci sono lotte interne e partigianerie. È umano. Ma riconoscerlo apertamente e cercare di lavorarci su è un ottimo esempio di dubbio e vulnerabilità, entrambi elementi di Disclosure ma anche di Micro-Ethics. Fra l’altro, i dati sono interessanti perché dettagliati - il numero di casi formalmente aperti durante l’anno, quelli che si sono chiusi e come è
Nel bilancio sociale 2008, Unicredit illustra la procedura per gestire i contenziosi fra i dipendenti: dati interessanti e dettagliati - il numero di casi aperti e chiusi durante l’anno, e come è andata a finire -, che forniscono un esempio del valore di Implementation
andata a finire -, e perché forniscono un esempio del valore di Implementation. Intesa San Paolo Un’altra istituzione finanziaria italiana ed europea, Intesa San Paolo, nel suo bilancio sociale 2008/2009 ha misurato il livello di customer satisfaction rispetto alla media del mercato, concludendo: siamo al di sotto della media del settore, ma abbiamo controllato e i nostri competitor vanno comunque peggio di 55
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noi. Ottimo esempio di assenza di Microetica: citare la concorrenza solo indirettamente, senza dati e in modo negativo è il classico comportamento di chi tira il sasso ma nasconde la mano. Micro-Ethics vuol dire anche evitare argomenti così squallidi. Fra l’altro, dal punto di vista dell’industria bancaria, la dichiarazione di Intesa San Paolo ha risvolti interessanti: la performance dei grandi istituti è sotto la media. Ciò significa che le banche più piccole sono considerevolmente migliori delle big: il che fornisce un ottimo argomento ai report di banche centrali e analisti... Come volevasi dimostrare...? Come si è comportato dunque il template USDIME rispetto a ciascun bilancio sociale? È stato effettivamente utile a identificare le aree chiave dell’irresponsabilità? Purtroppo, è difficile stabilire scientificamente ciò che ci si attendeva di trovare e ciò che si è davvero trovato (non siamo nel campo della fisica): in ogni caso, durante lo studio dei bilanci ci sono state diverse occasioni in cui ciò che ho letto mi è sembrato esattamente ciò che pensavo avrei trovato, contenuti che io stesso avrei scritto in quel modo se fossi stato l’autore di quel documento. Momenti di insight, quelli in cui si esclama: “Ahah!”. Eccone alcuni. Unknown Stakeholder - Quasi sempre, nei bilanci sociali come in quelli finanziari, sembra che le aziende operino in un vuoto, un mondo senza competitor. I concorrenti non fanno mai parte della schiera degli stakeholder. BP ha spezzato questa catena omertosa e fornito un quadro globale del mercato petrolifero: nulla di particolarmente eccitante o fantasioso, informazioni già disponibili sui siti web specializzati. Ma è comunque importante che lo abbia fatto dicendo: non siamo soli. Negli spazi bianchi sulle pagine di tutti i bilanci sociali che ho analizzato, dove si citano i dati di 56
revenue per regione, mi sono sempre appuntato che i che i dati sui margini sono più importanti di quelli sul fatturato. Quindi sono stato ben felice di trovare nel bilancio Toyota proprio l’informazione più rilevante. Per contro, è deplorevole, secondo il valore dell’Unknown Stakeholder, che nessuna azienda fornisca dati espliciti e dettagliati sulle tempistiche di pagamento dei propri fornitori. Dovrebbero farlo soprattutto le grandi, perché sono loro che hanno la più alta influenza sul mercato e spetterebbe a loro fissarne gli standard. Disclosure - Come ho detto, cercare la parola ‘Lehman’ nei bilanci sociali degli istituti finanziari è stato un passo ovvio: molto meno ovvio, almeno credo, è stato scoprire che alcuni istituti non la citavano neppure una volta. Unicredit mi ha colpito per quanto ha divulgato sui conflitti interni dei propri dipendenti, e ancora oggi ho il dubbio di aver davvero compreso ciò che ho letto. Implementation - Il valore dell’Attuazione richiede molta creatività per immaginare indicatori e metodi non determinabili con strumenti standard. Da questo punto di vista, tutti gli istitui finanziari esaminati fino ad oggi si collocano piuttosto nell’area dell’irresponsabilità: tutti parlano della necessità di controllare il rischio insito nei titoli azionari e negli strumenti finanziari più moderni, ma da nessuna parte si accenna a una misura di tale rischio - anche se ‘misurazione’ è una parola chiave del valore di Implementation. Micro-Ethics - Parlare di etica è sempre un azzardo. Provoca reazioni di scetticismo. Comunque, di fronte alla frase “La nostra performance è stata al di sotto della media del mercato, ma abbiamo verificato e i nostri competitor erano più in basso di noi”, ho avuto la certezza di aver affrontato un argomento etico. Come nel famoso pronunciamento di un giudice
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- “Non so definire la pornografia, ma so riconoscerla quando la vedo!” - così io non so definire un ‘buon’ bilancio sociale, ma la sensazione generale è che è meglio quando sono specifici e sintetitici, quanti più dati forniscono e quanto più sono facili da leggere. Una modello ‘open source’ Il template USDIME può tornare utile per ‘classificare’ i bilanci sociali. A ogni domanda del questionario può corrispondere un voto da 1 a 5: 1 è negativo, 5 è molto positivo, 3 è sufficiente. Ogni valore può quindi essere confrontato con la media raggiunta da ciascun item, ottenendo un voto complessivo per il bilancio. Dopo aver misurato in questo modo più bilanci è possibile stilare una classifica. Procedura pericolosa, si sa. I numeri nudi e crudi non significano alcunché. Ma aiutano a ragionare e ad inquadrare le proprie valutazioni. Mettendo in pratica questo metodo mi sono posto spontaneamente alcune domande: per quale ragione avevo dato 5 ai dati sulle riserve petrolifere di BP e solo 4 alla procedura interna del personale di Unicredit? Quest’ultima è in realtà molto più creativa e innovativa, ma i dati BP sulle scorte di petrolio sono certamente molto più centrali rispetto al core business aziendale. Inoltre, mi ha fatto piacere notare come la bassa posizione in classifica degli istituti bancari non derivava dai risultati economici negativi per il 2008, ma dalla reticenza nell’affrontare i rischi sottesi al loro stesso business, che rappresentano una delle cause, non una conseguenza, della crisi finanziaria internazionale. Un’ultima osservazione: la responsabilità è la stessa per chiunque. Non esiste una graduatoria a priori fra le diverse industrie. Un banchiere è responsabile al pari di un giornalista, un fabbricante di auto o chi esplora i giacimenti petroliferi. Tutte le valutazioni implicano un metro di giudizio, di feeling e di priorità personali. Non vi
è alcun dubbio. L’aspetto più interessante del template che propongo è che definisce una procedura, spiegabile e quindi falsificabile: scientifica. Si può chiaramente dissentire dalle mie valutazioni, ma queste nascono da un sistema aperto. E qualsiasi intesa si riesca a raggiungere su ciascuna valutazione può essere cumulata all’intero sistema. I criteri di classificazione dei bilanci sociali sono di per sé proprietari - come la maggior parte delle informazioni corporative tende a essere - e questo ostacola lo sviluppo dell’analisi e della trasparenza dei mercati. Sul template USDIME si può costruire la base di una comunità open source della classificazione della CSR. Aperto ai contributi di esperienza e di insegnamento da parte di chiunque, per primi dagli investitori. Conclusioni Riassumendo: le aziende sembrano sforzarsi di raccontare la propria storia onestamente. Molto lavoro e moltissime risorse sono spese nell’impegno di raccogliere le informazioni necessarie, dargli una forma comunicabile, pubblicarle e disseminarle. Eppure rimangono ampi margini di miglioramento. Perciò propongo il template come un mezzo per sfruttare meglio la risorsa costituita dal bilancio aziendale. È deleterio per qualsiasi organizzazione avere bilanci superficiali, finanziari o meno. La teoria ‘debole’ che propongo contiene un elemento implicito di immodestia, una sfacciataggine e una sfrontatezza che non si trovano in altri modelli di analisi della CSR: management strategico, cause related marketing, filantropia strategica o condivisione di valore con il settore del no profit. La CSR definita operativamente attraverso il template USDIME è differente da tutto ciò. CSR si è, non si fa. Paolo D’Anselmi paoloanselmi@gmail.com 57
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I green events prendono piede Le tavole rotonde e i workshop organizzati da ADC Group sull’argomento dimostrano che il mondo degli eventi è sempre più competente e propositivo in tema di sostenibilità. Perchè l’organizzazione di meeting e convention a ridotto impatto ambientale si traduca in reale vantaggio, è necessario però che la sostenibilità investa tutta la filiera organizzativa.
DALLA CREATIVITÀ alla produzione, dall’allestimento al riciclo dei materiali, le regole ‘verdi’ per realizzare eventi davvero ecosostenibili sono ogni giorno più numerose: eliminare gli inviti cartacei, limitare gli sprechi di energia, costruire stand con materiale riciclato, scegliere location ad hoc o compensare le emissioni nocive causate dall’evento stesso (per esempio calcolando il consumo di carburante necessario al viaggio fino alla sede dell’incontro di tutti i partecipanti)... Al di là degli atteggiamenti pratici, però, i diversi panel di esperti intervenuti alle tavole rotonde e ai workshop organizzati da ADC Group, in occasione del Bea Expo Festival (a Torino) e del Bea Educational (a Roma), hanno unanimemente indicato che il futuro ecocompatibile degli eventi passa attraverso la consapevolezza che i criteri di sostenibilità non siano più una semplice ‘scelta’, ma una vera e propria nuova linea di comportamento. Di ‘filosofia green’ parla Stefania Squeglia, presidente Iperbolegroup, anche se, sostiene, un tema di questo genere può apparire fin troppo banale o scontato: adottare la sostenibilità come filosofia è questione di impegno quotidiano, di piccoli e grandi gesti, ma soprattutto di coraggio, il coraggio di guardare oltre, di proporre e adottare l’innovazione, come sta facendo Iperbolegroup nella gestione sia degli eventi che del consorzio in genere. 58
Stand in cartone riciclato e fibra di mais per gli allestimenti del festival ‘Talenti per Natura’, firmati Piano B
“È una scelta a monte - conferma -, che non va sbandierata al cliente; la ‘direzione eco’ non è demandata, di volta in volta, al cliente in termini di decisioni, ma è stata presa dal consorzio una volta per tutte, in partenza”. Da qui, allora, è possibile parlare di ciò che Iperbolegroup opera o può operare: dagli accordi con la nettezza urbana per raccolta e riciclo alla donazione del cibo alle comunità più bisognose, fino alle
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EVENTI A IMPATTO ZERO “Impatto Zero - spiega Manuela Crotti, business development manager della società creata da Marco Roveda, fondatore di LifeGate - è nato 10 anni fa con l’obiettivo di concretizzare gli intenti del protocollo di Kyoto, quantificando, riducendo e compensando con l’accrescimento di foreste in Italia e in Costa Rica le emissioni di CO2 causate da eventi, prodotti, servizi e qualsiasi genere di attività. Oggi sono 500 le aziende italiane che hanno aderito a questo progetto e 2 milioni i prodotti ‘a impatto zero’ sul mercato”. Come aggiunge Flavio Santoro, responsabile della sede romana di LifeGate, “Gli eventi, in particolare, si prestano ad abbracciare questo progetto. Alcune case history esemplificative sono concerti come il tour 2007 e 2008 di Ligabue o la manifestazione ‘MiTo Settembre Musica’, che grazie a Edison ha raggiunto la certificazione Impatto Zero. L’azienda, con questa operazione, ha ottenuto una visibilità molto più elevata rispetto a una semplice sponsorizzazione”.
soluzioni più tecniche, come evitare l’utilizzo di gruppi elettrogeni piuttosto che di corpi riscaldanti a gas. Gli spunti offerti da Squeglia sono numerosi, con un atteggiamento di grande sincerità: “Eco sì, ma sempre client-oriented: non possiamo creare nuovi impegni per il cliente quando il nostro scopo è l’opposto: togliere ‘pesi’ in termini di attività o decisioni da prendere”. Come conferma il direttore comunicazione dell’agenzia, Alessandra Lanza, anche Piano B è partita dai piccoli gesti e dagli atteggiamenti quotidiani del suo personale trasferendoli poi nel lavoro al servizio dei clienti. Per esempio, in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente, ha collaborato alla realizzazione e all’allestimento del festival musicale “Talenti per natura” organizzato da LifeGate (vedi box: ‘Eventi a Impatto Zero’): dal palco con illuminazione a basso consumo, agli stand in
cartone riciclato e fibra di mais, fino a un’apposita area parcheggio bici custodita con servizio di ciclo-officina e drink gratis per i ciclisti. Tutto, naturalmente, azzerando le emissioni di CO2. Gli aspetti critici “Ciò non toglie - aggiunge però Alessandra Lanza -, che ci siano ancora delle difficoltà da superare: spesso i brand manager percepiscono i contenuti ambientali come invasivi e devianti rispetto agli obiettivi di comunicazione. Manca ancora in Italia una vera e propria cultura dell’evento ecosostenibile”. “Non solo - concorda Nicola Corricelli, amministratore delegato MenCompany, che ha in cantiere un interessante progetto in collaborazione con il Ministero Politiche Agricole e Forestali, volto proprio a diffondere la cultura della sostenibilità -: è importante anche che gli 59
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FATTI, NON PAROLE Per testimoniare con i fatti le possibilità e i vantaggi dell’applicazione di una strategia sostenibile agli eventi, Nicola Corricelli, amministratore delegato MenCompany, illustra due case history eccellenti: il ‘Tram di Luce’ Coca-Cola (vincitore a Cannes 2009 del Leone di Bronzo nella categoria ‘Best Use of Ambient Media’) e la mostra fotografica ‘La Salute è Bella’ per Vichy. “Abbiamo condotto tre anni di ricerca sugli eventi green e sulle soluzioni sostenibili e queste case history ci hanno ripagato di tutto il lavoro. Nel caso di Coca-Cola, abbiamo progettato un tram illuminato da 31.000 led a impatto zero con cui abbiamo allietato le notti del Natale 2008 dei milanesi e che, nel 2009, arriverà anche a Roma”. La case history Vichy, invece, rappresenta un esempio di come le tradizionali strutture si possano adattare per abbracciare soluzioni ecosostenibili e vantaggiose al tempo stesso: “Le fotografie della mostra - conferma Corricelli -, realizzate nel corso del tour ‘Centro per la Pelle Sana’ (firmato sempre da MenCompany, ndr), sono state posizionate su pannelli capaci di catturare l’energia solare di giorno per restituirla di notte, in autonomia rispetto alla rete elettrica per l’illuminazione notturna, con un risparmio del 40% sui costi dell’anno precedente”. eventi ecosostenibili siano comunicati in modo adeguato. Altrimenti, a uno sguardo disattento, possono essere percepiti come ‘poveri’ rispetto agli altri, soprattutto se le aziende sono mediopiccole”. “Dal trasporto al catering, dalla documentazione agli audiovisivi, tanti sono gli elementi su cui si può intervenire - ricorda anche Carlo Hermes, amministratore unico Hermes & Partners, che non risparmia una riflessione sulle maggiori criticità -: l’applicazione di sostenibilità e responsabilità ambientale agli eventi è però sporadica; vi è ancora, tra le agenzie e gli organizzatori, scarsa informazione e competenza 60
sul tema”. Soprattutto, aggiunge, la comunicazione deve valorizzare questo tipo di scelta: “Noi siamo comunicatori e il nostro compito è quello di esaltare e rendere funzionali, di fronte ai pubblici di riferimento, i comportamenti sostenibili delle imprese”. Big in prima fila “Sono le grandi multinazionali ad avere, per ora, più consapevolezza dell’importanza della sostenibilità degli eventi - aggiunge Richard Davis, client and project manager di Clownfish, responsabile del progetto Green Bean di Aegis Media Italia che consente alle
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Stefania Squeglia, presidente Iperbolegroup
Nicola Corricelli, amministratore delegato MenCompany
varie sedi dell’agenzia, attraverso una metodologia scientifica, di calcolare e ridurre il proprio l’impatto ambientale -. Le grandi marche sono in grado di instaurare una relazione più profonda con il consumatore e sono proprio i consumatori finali a richiedere alle aziende di riferimento un’attenzione maggiore all’ambiente. Aegis Media ha scelto di appoggiare la sostenibilità aziendale a tutto tondo, proprio per questo ha acquisito Clownfish che la aiuta a raggiungere questo obiettivo fornendo l’expertise tecnica necessaria”. Fra le multinazionali, una case history interessante è quella illustrata da Gianni Oliosi, direttore comunicazione e pr Bmw Italia, ‘Efficient Dynamic Press Experience’, un press tour ideato per dimostrare l’avanguardia della
ricerca Bmw sulla frontiera dell’idrogeno. Nel settembre scorso, Bmw Italia ha organizzato un tour da Venezia a Capo Nord per la stampa del settore automotive. “In Europa - spiega infatti Oliosi -, il trasporto su auto produce il 12% delle emissioni di CO2, contro il 39% dell’industria elettrica. Ma quando si parla di inquinamento atmosferico si pensa quasi esclusivamente alle auto. L’impressione di chi opera nell’automotive è che più si comunica, più si diventa colpevoli. Come spiegare, allora, l’avanguardia tecnologica di Bmw? Certo non raccontando che siamo leader, né dimostrando che i concorrenti sono più deplorevoli di noi... Seguendo un approccio integrato, abbiamo deciso di portare la stampa di settore a visitare altre realtà eccellenti nella ricerca delle energie rinnovabili: i giornalisti sono 61
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Alessandra Lanza, direttore comunicazione Piano B
Carlo Hermes, amministratore unico Hermes & Partners
stati trasportati su auto Bmw a idrogeno, e a ogni tappa è stato calcolato il consumo e paragonato con quello dei vecchi modelli”.
‘sostenibile’, in ogni caso, è necessario che rispetti una serie di regole, e diversi operatori del settore stanno mettendo a punto vari strumenti per certificarne l’effettiva ecosostenibilità. Ad esempio, Tangram ha elaborato con Punto Tre un progetto - ‘Eventi Sostenibili’ - che prevede l’utilizzo di un software abilitato a individuare gli aspetti che hanno un impatto sull’ambiente prima, durante e dopo l’evento. “Il primo step - spiega Valentina Gnudi, che di Tangram è amministratore delegato -, è la valutazione del ‘peso’ delle singole attività attraverso il Ses (Sustainable Event Screening); dal Ses si ottiene il Sustainability Quotient, quoziente che indica il livello di sostenibilità raggiunto e in base al quale viene attribuito un marchio, che ha gradi diversi a seconda del livello reale di sostenibilità. L’intero processo è certificato dall’ente Certiquality”. Tangram e Punto Tre gestiscono Eventi Sostenibili
Le regole del gioco Anche l’Eurac Convention Center è attivo nell’implementazione di criteri di sostenibilità. Come sede di meeting, infatti, pone attenzione a tutti gli aspetti rilevanti in tema di impatto aziendale: dai trasporti allo smaltimento dei rifiuti, dal catering alla gestione della piattaforma tecnologica. “Inoltre - dichiara Pier Paolo Mariotti, meeting manager Eurac - il centro si pone anche una mission educativa, cercando di stimolare i lavoratori a comportamenti corretti. Si tratta di un compito molto difficile, poiché spesso è più semplice promuovere criteri di salvaguardia ambientale all’esterno che non presso i propri dipendenti”. Perché un evento possa essere definito 62
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Richard Davis, client and project manager di Clownfish
Valentina Gnudi, amministratore delegato Tangram
in modo flessibile: “Possiamo certificare un evento su richiesta di un’agenzia o direttamente di un’azienda - dice Gnudi -, oppure offrire consulenza per la riduzione dell’impatto ambientale di un evento. Di certo in questo momento il mercato è in fermento: le aziende cominciano a tenere conto della sostenibilità nei loro piani e a capire i vantaggi che l’organizzazione di un evento ecosostenibile può avere, come la risonanza mediatica, il rafforzamento del brand e l’acquisizione di vantaggio competitivo”. D’altra parte molte imprese, non avendo sufficiente know-how in merito, sono ancora frenate dalla paura. Soprattutto, è opinione piuttosto diffusa che organizzare un evento a ridotto impatto ambientale costi di più. Ciò può essere vero se si considerano certi tipi di tecnologie,
effettivamente più costose, ma è altrettanto vero che sono allo studio delle soluzioni capaci di ridurre i budget, e che a una maggior spesa per un aspetto può corrispondere un risparmio su altri fronti. Fra aziende e agenzie, in fondo, è ampiamente diffusa la convinzione che l’attenzione all’ambiente debba accomunare tutti gli operatori della filiera, e che serva un adeguamento dell’offerta o ogni livello. Per esempio, quando necessario, facendo attenzione - ed eventualmente ‘pressione’ - sui propri fornitori perché anche loro condividano la via della sostenibilità. Solo in questo modo si potrà rendere più semplice e meno gravosa la scelta di perseguire i propri obiettivi di business nella completa salvaguardia dell’ambiente
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i protagonisti
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Etica e concretezza Veramente responsabile è solo l’azienda che presta attenzione alla dimensione sociale delle proprie attività: per questo, ai propri partner, ActionAid non chiede beneficienza ma comportamenti etici, condivisione dei valori e un profondo coinvolgimento nei temi della sua organizzazione, interamente dedicata alla lotta alla povertà in ogni angolo del globo.
INTERVISTA a Patrice Simonnet, direttore marketing ActionAid Italy. Sono numerose e impegnative le tematiche di cui ActionAid Italy si occupa ormai da 20 anni: lotta alla povertà, uguaglianza dei diritti, diritto al cibo, all’acqua, alla salute e all’educazione... Quali ritenete siano stati i più importanti risultati che avete raggiunto? Il risultato più importante è sicuramente l’aver mobilitato centinaia di migliaia di italiani nella lotta alla povertà. L’abbiamo fatto in modo estremamente concreto, con lo strumento dell’adozione a distanza, che ci ha consentito di finanziare progetti in decine di paesi in via di sviluppo. Grazie a ciò, milioni di persone povere hanno potuto vedere maggiormente rispettati i propri diritti nel campo dell’educazione, dell’alimentazione, della salute, dell’uguaglianza tra i sessi. Spesso siamo dovuti intervenire in occasioni di catastrofi, com’è il caso dello Tsunami che ha colpito il sudest asiatico nel dicembre del 2004. Ma abbiamo ottenuto risultati importanti anche nel dialogo nei confronti delle istituzioni, che molta responsabilità hanno nella lotta contro la povertà. Siamo riconosciuti da tutte le forze politiche come interlocutori autorevoli, che vanno ascoltati quando si tratta di valutare l’impegno dell’Italia nella cooperazione allo sviluppo. 66
Patrice Simonnet, direttore marketing ActionAid Italia
Moltissimo resta da fare: basti pensare che nel giugno scorso il numero di persone che soffre la fame ha superata la soglia del miliardo, una quota impressionante. In quali aree siete non solo impegnati, ma anche maggiormente ‘aiutati’ (e non solo in sen-
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so economico) dalle imprese più attente in termini di responsabilità sociale? Quanto è cresciuta, nella vostra esperienza, l’attenzione e la sensibilità alla CSR delle imprese italiane? E quali ritenete i requisiti indispensabili proprio da un punto di vista di RS delle aziende con cui collaborate? Il tema della responsabilità sociale è cresciuto notevolmente, nel nostro paese, anche se in modo non sempre lineare: ci sono infatti diversi modi di intendere l’essere ‘socialmente responsabili’. Noi crediamo che sia ‘socialmente responsabile’ l’azienda che presta attenzione anche alla dimensione sociale delle proprie attività. In altre parole, un’impresa deve rendersi conto che quello che fa può avere ricadute fondamentali – sia positive sia negative sull’ambiente e sui diritti dei lavoratori. Per noi, che un’azienda riconosca ciò è condizione indispensabile per fare un percorso insieme. In ogni caso, non esiste un’area particolare su cui operiamo con le imprese, nell’ampio spettro di attività contro la povertà. Diverse aziende hanno attivato con noi l’adozione a distanza, altre ci aiutano a finanziare progetti specifici nei paesi del Sud in cui siamo presenti. In futuro vorremmo sempre più sviluppare la relazione con le aziende del settore agroalimentare, visto il ruolo che possono giocare nella lotta alla fame. Le ricerche realizzate nell’ultimo anno in tema di sostenibilità e responsabilità sociale evidenziano un quadro contraddittorio: l’attenzione di aziende e consumatori è in crescita, ma è poco chiaro quanto questa, in virtù della crisi economica, si traduca in comportamenti pratici. Qual è, dal vostro osservatorio, il polso della situazione? Se pensiamo alla responsabilità sociale come semplice beneficienza va da sé che l’attuale crisi avrebbe un impatto deleterio. Non si fa beneficienza quando mancano i soldi. Ma essere ‘socialmente responsabili’ non si riduce al fare
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ActionAid è un’organizzazione internazionale indipendente impegnata nella lotta alla povertà che basa il suo lavoro sul rispetto dei diritti umani. Combatte per garantire a ogni persona migliori condizioni di vita e il rispetto dei diritti fondamentali. Il suo obiettivo è costruire un mondo senza povertà dove ogni persona possa essere rappresentata all’interno dei processi decisionali che la riguardano. In Italia, ActionAid è attiva da 20 anni operando in oltre 40 paesi dell’Africa, Asia e America Latina. Nel 2008 ha raccolto 43,9 milioni di euro grazie al sostegno di privati cittadini, aziende, fondazioni e istituzioni. Questi fondi hanno permesso di realizzare 194 progetti in 32 paesi. Dal 1994, ActionAid coinvolge nel proprio lavoro le imprese e le istituzioni per rendere la Responsabilità sociale di Impresa protagonista di progetti di successo a favore delle comunità più emarginate del Sud del mondo.
beneficienza, bensì, più in generale, al tenere comportamenti etici. L’attuale crisi, dunque, dovrebbe essere un’ulteriore spinta a essere socialmente responsabili perché tra le sue cause vi è proprio la mancanza di etica, il perseguimento del profitto immediato ad ogni costo. Dobbiamo invece renderci conto che occorre costruire una società più giusta e dobbiamo rendercene conto tutti insieme, organizzazioni non governative, istituzioni, imprese, singoli cittadini. I segnali che riceviamo non sono negativi: le imprese continuano a essere interessate ad operare con noi, le persone partecipano alle nostre azioni contro la fame e per un sistema di regole mondiali più giusto. 67
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Che ruolo gioca in seno ad ActionAid la comunicazione? Attraverso quali canali, con che obiettivi e quali partner è declinata? La comunicazione è il nostro principale strumento di lavoro. Comunichiamo con chi ancora non ci conosce, per chiedergli di unirsi a noi nella nostra lotta contro la povertà; comunichiamo con chi già ha con noi un’adozione a distanza o ha partecipato alle nostre azioni (e parliamo di oltre 150.000 persone) per mantenere viva una relazione preziosa; comunichiamo nei confronti di istituzioni, forze politiche, altre associazioni e, naturalmente, imprese. Se dicessi che la quasi totalità di ciò che spendiamo ogni anno è spesa in comunicazione non andrei troppo distante dal vero. Dobbiamo infatti considerare nel suo insieme le spese per l’acquisto di spazi promozionali, di creatività, di produzioni di rapporti, di lavoro di ufficio stampa, di customer care, di marketing, di test, di campaigning, di attività sul web… in quanto ai partner a cui ci affidiamo, tra di essi vi sono agenzie di creatività, media buyer, grafici e altri consulenti. Quello che stiamo cercando di fare è differenziare molto il tipo di comunicazione a seconda dei target che vogliamo raggiungere e dei canali che utilizziamo.
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Quali sono le vostre campagne più recenti, e come le imprese vi hanno sostenuto nel realizzarle? Potete illustrarci alcune case history d’eccellenza? Sicuramente la partnership con Avis Autonoleggio ha avuto un notevole rilievo: l’azienda ha sostenuto un progetto educativo nella favela di Ciudade de Deus in Brasile e, a seguito di un concorso interno tra i dipendenti, è stato creato un team di ‘ambasciatori’ dell’azienda che hanno potuto visitare il progetto. Il valore di questa partnership è anche legato alla reale condivisione dei valori e al profondo coinvolgimento nei temi della nostra organizzazione. Ma ci sono tanti esempi di aziende che hanno voluto impegnarsi direttamente: da Poste Italiane che ha coinvolto i propri dipendenti nel sostegno a un progetto attraverso la formula del payroll giving, a Veratour che ha promosso il proprio impegno nelle nostre iniziative all’interno dei propri villaggi in Tanzania, Madagascar e Kenya. Quando un’azienda decide di fare una scelta di Responsabilità Sociale cerchiamo di studiare insieme una strategia di intervento ad hoc per coinvolgere tutti gli stakeholder della sua realtà di impresa.
Foto: Mark Phillips/ActionAid Grafica: Marco Binelli
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Un partner qualificato La comunicazione sostenibile richiede expertise specifiche che esulano dal Dna classico delle agenzie e passano attraverso la piena comprensione di tutta la catena del valore ad essa legata. Per questo, attraverso Clownfish, Aegis Media Italia si presenta al mercato con la necessaria credibilità per essere un partner di comunicazione sostenibile qualificato.
“L’INTERESSE di Aegis Media Italia per la sostenibilità - esordisce il suo presidente e ceo, Walter Hartsarich -, nasce dalla consapevolezza che le aziende del futuro saranno quelle in grado di includere nella loro vision non solo la gestione delle risorse economiche, ma anche le risorse ambientali e sociali. Per questo abbiamo intrapreso in prima persona un percorso di sostenibilità interna dando il via al progetto ‘Green Bean’, che a meno di un anno dal suo inizio ha portato in tutte le sedi energia rinnovabile (Renewable Energy Certificate System: mediante l’acquisto di certificati RECS, Aegis finanzia la produzione di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili), e carta certificata FSC (Forest Stewardship Council: marchio che identifica i prodotti contenenti legno proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici)”. Aegis si presenta quindi sul mercato con la necessaria credibilità per essere un partner di comunicazione sostenibile qualificato. “Come si può infatti affiancare un cliente nel comunicare la sostenibilità - prosegue Hartsarich - senza aver in prima persona intrapreso un percorso in tal senso? Ma non basta. Oltre alla credibilità, la comunicazione sostenibile richiede expertise specifiche che fino ad oggi esulavano dal Dna classico delle agenzie. Comunicare al meglio l’impegno sostenibile di un brand passa 70
Walter Hartsarich, presidente e ceo Aegis Media Italia
infatti attraverso la piena comprensione di tutta la catena del valore ad esso legato, così da costruire messaggi solidi e credibili. Non basta appiccare un’etichetta verde a un prodotto perché il consumatore lo percepisca come sostenibile. Non basta utilizzare parole come
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AEGIS MEDIA ITALIA Via Durini, 28 - 20122 Milano Tel. 02 76011917 Fax 02 77696357 www.aemedia.com
Board di Direzione.Walter Hartsarich, presidente e ceo di Aegis Media Italia; Paolo Cimbro, chief financial officer di Aegis Media Italia; Giorgio Tettamanti, chief operating officer di Aegis Media Italia; Alessandro Villoresi, chief operating officer di Vizeum Italia.
Richard Davis, client and project manager di Clownfish per l’Italia
Società collegate e Dip. Specializzati. Carat, Vizeum, Aegis Media Expert, Posterscope, Isobar, Geoconsulting, deepblue, Global Sponsorship Solutions, Morgagni33, Aegis Comunicazione d’Impresa, Aegis Direct, Aegis TV Department, ACT Europe - J&J Media Care, Clownfish. Numeri. Addetti: 450. Billing 2008: 1.411.329 (valori euro x.000) auditato Nielsen.
‘ecologico’, ‘eco-friendly’ o ‘sostenibile’ per riuscire a catalizzare gli acquisti. Bisogna invece capire a fondo tutte le implicazioni che il prodotto ha sull’ambiente e la società del consumatore, per scegliere poi quale tipologia di messaggio e di veicolo utilizzare. E per fare questo, oltre alle capacità di comunicazione, bisogna allora avere competenze tecnologiche, ambientali, di eco-design e Csr. E queste competenze non si improvvisano. Per questo Aegis Media ha acquistato Clownfish, un’agenzia di consulenza nata sette anni fa a Londra e da sempre dedicata esclusivamente alle tematiche di sostenibilità. Clownfish, da poco arrivata in Italia, mette a disposizione delle aziende il suo team tecnico così da rendere Aegis Media Italia un valido partner di comunicazione di sostenibilità con una struttura guidata da Richard Davis”. A Davis chiediamo dunque che cosa voglia dire per Aegis ‘comunicazione sostenibile’... “Nella visione di Clownfish - risponde il client
and project manager di Clownfish per l’Italia - la comunicazione diventa sostenibile quando è in grado di trasferire in maniera credibile, trasparente e rilevante gli effettivi benefit che il prodotto/servizio ha nella vita e nella società del consumatore. I fatti e le azioni concrete sono quindi il primo e irrinunciabile prerequisito per qualsiasi comunicazione sostenibile, tanto che l’approccio di Clownfish è che ‘i fatti valgono più di mille parole’. Si tratta di una comunicazione onesta, in cui il brand si rimette nelle mani del consumatore, costruendo con esso un patto trasparente in cui sono messe in luce non solo le azioni positive intraprese, ma anche i punti deboli da migliorare. La comunicazione sostenibile porta il rapporto con il consumatore a un livello superiore, in cui il brand da prodotto diventa servizio capace di apportare reale differenza nel vissuto degli acquirenti. È un obiettivo ambizioso, che richiede una visione a tutto tondo delle tematiche ambientali, sociali ed economiche su cui il brand va ad impattare. 71
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Tralasciarne alcune significherà non riuscire a fare la reale differenza, né a comunicarla. Ecco perché a monte di qualsiasi progetto di comunicazione sostenibile, Clownfish passa sotto la sua lente di ingrandimento sostenibile l’intero operare del brand o dell’azienda. La nostra consulenza può muoversi allora in diverse direzioni: dalla consulenza strategica in cui tracciare insieme un percorso di sostenibilità mettendo a punto degli obiettivi di corto-medio e lungo termine, fino alla definizione di una piattaforma di comunicazione in cui vengono definiti messaggi e veicoli, sempre a seguito di una precedente valutazione tecnica. Come si calcola il Roi di un investimento in sostenibilità? Attraverso quali strumenti? Ogni azione e ogni comunicazione sostenibile ha un suo tipo di percorso e di modalità, che varia a seconda di quello che l’azienda ha effettivamente fatto. Generalizzare parlando di una sola tipologia di calcolo del Roi della comunicazione sostenibile diventa quindi difficile. Questo non vuol dire abbandonare la misurazione, ma solo considerarla in relazione al tipo di messaggio. Proviamo a pensare ad un paio di situazioni tipo. Il caso forse più facile riguarda le comunicazioni legate a un’innovazione di prodotto, in cui si utilizzano materiali o processi differenti con l’intento non solo di contenere i costi di produzione ma di attirare un più largo pubblico. In questo caso, data la netta discontinuità del nuovo prodotto rispetto a quello passato, viene spontaneo pensare di prendere in considerazione i dati di vendita, analizzati e considerati alla luce di tutte le variabili di un opportuno modello statistico. In questa fase storica della sostenibilità, però, più che di innovazione di prodotto spesso si parla di diminuzione dell’impatto attraverso azioni mirate su determinati anelli della filiera del brand. Si tratta quindi di operazioni da legarsi maggiormente al percepito e alla brand 72
consideration. Ricerche sull’immagine del brand possono allora essere la giusta risposta, o ancor meglio modelli più sofisticati e capaci di dimostrare come la comunicazione abbia agito sul percepito del brand e, in ultima istanza, sulla scelta d’acquisto. Quando invece la riduzione dell’impatto è a livello corporate e non di singolo brand sono allora i parametri più tecnici (diminuzione di emissioni, piuttosto che di costi legati a sprechi energetici) la metrica necessaria. Quali sono le regole da seguire per una comunicazione efficace senza cadere nel rischio del cosiddetto ‘greenwashing’? Comunicare la sostenibilità significa innanzitutto conoscere la sostenibilità in tutti suoi aspetti, con una capacità di lettura a 360°. A differenza della comunicazione classica si tratta di comprendere le ricadute positive (e negative!) che il brand ha sui consumatori, la società e il pianeta. Si tratta di ricadute concrete, e come tali vanno analizzate e misurate. Oltre a questi aspetti più tecnici, necessari per garantire solidità ai messaggi, si tratta anche di avere conoscenza sulle regole più squisitamente comunicative legate alla sostenibilità. Con questo connubio si scamperà il pericolo del Greenwashing, cioè la situazione in cui l’azienda mette a repentaglio la propria reputazione associando messaggi o immagini a sfondo ambientale a fronte di uno scarso impegno in questo campo (es: prati, fiori o alberi a testimoniare la sostenibilità di mezzi di trasporto per loro stessa natura inquinanti). Non si tratta di una questione etica, ma dell’incapacità di tali messaggi di trasferire alcun benefit al consumatore e di dare alcun vantaggio competitivo al marchio. Ogni brand ha una sua storia di sostenibilità e un suo pubblico di riferimento, ed è quindi necessario vagliare, per ogni specifico caso, cosa dire e come dirlo. Per questo la comunicazione sostenibile è una vera e propria consulenza, in cui bisogna di volta in
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volta fare una situation analysis della sostenibilità del brand. Alla base di tutto questo processo rimane l’estrema importanza della trasparenza come regola guida per qualsiasi comunicazione, una completa aderenza fra messaggi e azione concrete del brand. Quali sono i media più adatti per la comunicazione della sostenibilità di un’impresa? La comunicazione sostenibile passa attraverso la condivisione del brand fra azienda e consumatore. Se essere sostenibili significa infatti dare un contributo positivo alla vita delle persone, ecco che a queste persone bisogna dare ascolto. Il web, per la sua capacità di operare in tempo reale e per la sua logica di comunicazione a doppio senso (dall’azienda al consumatore, ma anche dal consumatore all’azienda) è sicuramente il luogo di elezione per parlare di sostenibilità. Sarà attraverso i feedback e le discussioni delle persone che si creeranno in maniera spontanea storie positive di brand. Chi saprà fare e comunicare in maniera rilevante la sostenibilità troverà in ogni consumatore un testimonial disponibile a sposare e propagare il suo messaggio. Ma c’è un ulteriore e sempre più rilevante aspetto del web che bisogna tenere in considerazione parlando di comunicazione sostenibile: il search. Le persone cercano e si informano su tematiche di interesse o su prodotti specifici attraverso i motori di ricerca. Intercettare sul nascere le curiosità e i bisogni dei consumatori, presidiando i motori in quelle aree in cui il brand sta effettivamente dando un concreto aiuto al consumatore, diventa importantissimo. Essere ai primi posti della ricerca organica significa per il brand dare una risposta ai bisogni più veri delle persone e diventare per loro rilevanti proprio nel momento ‘del bisogno’. Questo, ovviamente, a patto che il marchio compaia nei risultati riguardanti le aree d’azione in cui esso agisce effettivamente in
Per ridurre l’impatto ambientale della spesa settimanale dei propri clienti, la catena di supermercati inglesi Tesco ha chiesto a Clownfish di progettare una borsa riutilizzabile e sostenibile lungo tutta la sua filiera: dall'uso di bottiglie in PET riciclate per la produzione, fino alla donazione di parte dei proventi alla fondazione “Marie Curie”, che aiuta le donne affette da cancro al seno. La vendita delle borse, firmate Cath Kidston, ha permesso in soli sei mesi di donare oltre 400.000 sterline, superando di gran lunga il target prefissato di 250.000 sterline.
senso positivo. Si tratta, anche in questo caso, di analizzare con occhio esperto la tipologia di sostenibilità del marchio e capire per quali parole chiave esso può essere rilevante. Generare conversazioni spontanee, non solo online ma anche offline (ad esempio con azioni di PR), diventa quindi la principale modalità per acquisire la credibilità. 73
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Far business nel ‘modo giusto’ La sostenibilità di un’impresa è il punto di arrivo di un viaggio, fatto di tante piccole mete: ne è convinta AstraZeneca, che per proporsi a tutti i propri stakeholder - pazienti, investitori e dipendenti - come un’azienda che fa business nel ‘modo giusto’, interpreta la responsabilità sociale come parte integrante di ogni sua attività.
UN’AZIENDA che fa business nel ‘modo giusto’: così AstraZeneca vuole essere riconosciuta dai pazienti, dalla società, dagli stakeholder, dagli investitori e dalle persone che lavorano in azienda. “Per questo - afferma Elena Sala, corporate & internal communication manager - la responsabilità sociale è parte integrante di ogni nostra attività. Occorre saper gestire le priorità aziendali, in termini economici, ambientali e sociali, per garantire un futuro sostenibile. AstraZeneca, attraverso lo sviluppo di farmaci innovativi, vuole migliorare la salute e la qualità di vita delle persone, e il successo di questo impegno nel lungo termine dipenderà dalla nostra capacità di integrare efficacemente gli obblighi finanziari con le nostre responsabilità sociali”. Nel perseguire una crescita sostenibile, abbiamo definito e promuoviamo elevati standard in tutto il mondo, che si traducono in: • conformità alle leggi e alle normative nazionali ed internazionali; • attenzione alle problematiche relative a sicurezza, salute e ambiente; • contributo positivo alle comunità nelle quali operiamo; • corretta gestione delle attività di commercializzazione dei nostri prodotti; • trasparenza ed efficacia nella gestione delle questioni etiche; 74
Elena Sala, corporate & internal communication manager AstraZeneca
• riconoscimento e valorizzazione delle individualità, delle differenti capacità e del potenziale creativo che ogni singola persona porta in azienda”. Oltre ai processi interni, la CSR riguarda anche
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quelli esterni all’azienda, dai fornitori ai consumatori finali: qual è il vostro impegno nei loro confronti? Svolgere la nostra attività in modo sostenibile è il punto di arrivo di un viaggio, fatto di tante piccole mete: un percorso che passa dallo sviluppo e commercializzazione di farmaci innovativi, sicuri e di reale beneficio per il paziente; da una informazione scientifica di qualità; dallo sviluppo sociale delle comunità in cui operiamo. In particolare, dedichiamo notevole impegno e attenzione alla sensibilizzazione dei cittadini sul corretto utilizzo dei medicinali, alla ‘promozione’ di uno stile di vita maggiormente rispettoso della nostra salute e del nostro equilibrio interno, al rispetto degli standard ambientali, etici e di responsabilità sociale. In questo ambito, rientrano le attività di partnership con le associazioni di pazienti. Tali associazioni rivestono un ruolo fondamentale per i malati e per le loro famiglie rappresentando e sostenendo i loro diritti; noi crediamo nel valore della collaborazione con queste associazioni con le quali condividiamo l’interesse comune per il benessere del paziente - a sostegno delle loro attività e dei loro programmi, anche attraverso un confronto costruttivo tra i soggetti che interagiscono nel settore della salute. Per garantire trasparenza, integrità, rispetto e indipendenza reciproca, ci siamo dotati di un codice deontologico e di una serie di principi che rispecchiano la visione dell’azienda nei rapporti con le associazioni di pazienti. Questo nostro impegno riflette il ‘credo’ di AstraZeneca a livello globale che, in quanto società consapevole della propria responsabilità sociale, sostiene diversi progetti umanitari a
AstraZeneca è un’azienda leader a livello internazionale nel settore della salute, impegnata nella ricerca, sviluppo, produzione e commercializzazione di importanti prodotti farmaceutici etici (con prescrizione). Rappresenta una delle maggiori aziende farmaceutiche al mondo, con una posizione di leadership consolidata nelle aree terapeutiche gastrointestinale, cardiovascolare, neuroscienze, respiratoria, oncologica e antinfettivi e nell’offerta di servizi in ambito sanitario Abbiamo reso disponibili farmaci che sono diventati dei ‘gold standard’ nelle loro aree terapeutiche ed altri sono in fase di studio, anche attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie applicate in particolare alla genetica e all’informatica. Il nostro obiettivo è semplice: trasformare ‘buone idee’ in farmaci efficaci, in grado di fare una reale differenza nella cura di importanti malattie. In Italia AstraZeneca è presente con una organizzazione commerciale, con Sede a Basiglio (in provincia di Milano). AstraZeneca è quotata al Dow Jones Sustainability Index (Global) e al FTSE4Good Index. favore delle popolazioni soprattutto dei paesi in via di sviluppo. Dal punto di vista della rendicontazione, quali strumenti adoperate? Le nostre attività a livello globale nell’area della responsabilità sociale sono periodicamente pubblicate in un report con la descrizione dei temi che AstraZeneca affronta ed il dettaglio dei progressi raggiunti (www.astrazeneca.com/responsibility/reporting-performance). 75
life inspiring ideas AstraZeneca e le Associazioni di Pazienti: insieme per soddisfare i bisogni di cura Le Associazioni di Pazienti rivestono un ruolo fondamentale per i malati e per le loro famiglie rappresentando e sostenendo i loro diritti.
AstraZeneca Italia riconosce l’importanza di queste Associazioni – con le quali condivide l’interesse comune per il benessere del paziente – e crede nel valore della collaborazione, a sostegno delle loro attività e dei loro programmi, anche attraverso un confronto costruttivo tra i soggetti che interagiscono nel settore della salute. società consapevole della propria responsabilità sociale, sostiene diversi progetti umanitari a favore delle popolazioni soprattutto dei paesi in via di sviluppo. Per garantire trasparenza, integrità, rispetto e indipendenza reciproca, AstraZeneca Italia si è dotata di un codice deontologico e di una serie di principi che rispecchiano la visione dell’azienda nei rapporti con le associazioni di Pazienti
Dalle idee creiamo soluzioni. anestesiologia
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malattie infettive
e
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Un dialogo continuo La CSR per British American Tobacco Italia è prima di tutto una modalità, un obiettivo, uno stile, una cultura che l’azienda volontariamente adotta e che determina un insieme di codici etici, procedure e iniziative per garantire un approccio responsabile, rigoroso e strutturato che incide sulla governance aziendale e sulle attività di tutte le sue funzioni.
INTERVISTA a Massimiliano Di Domenico, head of corporate communication and reputation BAT Italia. Le ricerche realizzate nell’ultimo anno in tema di CSR presentano un quadro abbastanza contraddittorio: il tema guadagna attenzione da parte di aziende e consumatori, ma è poco chiaro quanto l’attuale crisi economica consenta a questa attenzione di tradursi in comportamenti pratici. Qual è il vostro polso della situazione? E quale, soprattutto, il vostro atteggiamento? La crisi che ha investito recentemente i mercati e l’economia reale ha senza ombra di dubbio modificato in modo sostanziale la percezione del concetto di sostenibilità che ora appare non più come una visione alternativa al modello di sviluppo corrente ma, al contrario, ‘via maestra’ di uscita dalla crisi, decisiva sia per aprire una nuova fase di crescita che per ricostruire su basi nuove un rapporto di fiducia tra impresa e società. Sul come, poi, tutto ciò possa tradursi in termini concreti, vi sono delle considerazioni che non possono essere trascurate. In primis che la Responsabilità Sociale d’Impresa costa. Per di più in un sistema come quello italiano, sempre più globalizzato dove le imprese (per lo più piccole e medie) cercano, tra l’altro, di sopravvivere alla forte concorrenza di mercati emergenti, l’essere socialmente responsabili assume un carattere 78
Massimiliano Di Domenico, head of corporate communication and reputation BAT Italia
elitario su cui solo grandi imprese riescono a cimentarsi. Ma è proprio in un contesto come questo che la sfida della CSR assume un carattere prioritario. Dal canto nostro la crisi non ha arrestato il nostro impegno in materia.
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BRITISH AMERICAN TOBACCO ITALIA Via Amsterdam, 147 - 00144 Roma Tel. 06 52871 - Fax 06 52876021 www.batitalia.com
CSR & Reputation Manager: Luisa Zotti.
Per un’azienda operante nel settore del tabacco come la nostra, investire in politiche di CSR costituisce, infatti, un presupposto fondamentale non solo per la sostenibilità del business ma anche per operare insieme ai nostri stakeholder su una piattaforma di valori condivisi. La Corporate Social Responsibility per British American Tobacco è prima di tutto una modalità, un obiettivo, uno stile, una cultura che l’Azienda volontariamente adotta e che determina un insieme di codici etici, procedure e iniziative per garantire un approccio responsabile, rigoroso e strutturato che incide sulla governance aziendale e sulle attività di tutte le sue funzioni. La CSR è parte dei processi ‘strategici’ che guidano un’impresa: siete d’accordo? Come questa tematica è praticata all’interno della vostra azienda? Riteniamo che la CSR debba necessariamente essere integrata nella strategia d’impresa affinché abbia successo e non si traduca in un’attività marginale. In British American Tobacco Italia la responsabilità è integrata nella strategia aziendale e, attraverso il dialogo con gli stakeholder, perseguiamo i nostri obiettivi commerciali nel rispetto dei più alti valori di onestà, trasparenza, attendibilità. Per diffondere e consolidare al nostro interno un approccio socialmente responsabile quale base
L’azienda: British American Tobacco Italia S.p.A. è nata ufficialmente il 1 giugno 2004 dalla fusione con ETI S.p.A. British American Tobacco Italia S.p.A., con la sua forte connotazione di azienda dai fondamenti italiani ma dal respiro internazionale, ha assunto un ruolo di grande valore strategico per il sistema economico nazionale collocandosi al secondo posto tra gli operatori del settore in Italia, il secondo mercato più importante d’Europa, una presenza di oltre 30 marchi internazionali (tra cui Lucky Strike, Pall Mall, Rothmans, Kent, Vogue e Dunhill) e nazionali (tra cui MS). di tutte le attività, è stata costituita una struttura di governance della CSR composta da un Comitato di CSR, costituito dai responsabili delle funzioni aziendali che indicano le strategie da seguire, dai Comitati Operativi di CSR che implementano le iniziative e da un CSR manager che propone, sviluppa, monitora i progetti riportando le valutazioni dei risultati al Comitato di CSR. Tale struttura interagisce con le omologhe presenti nelle altre società del Gruppo a livello europeo e globale per assicurare uniformità nelle azioni intraprese sfruttando al meglio possibili sinergie. Quali sono gli ambiti della CSR interni alla vostra azienda? Gli ambiti strategici della CSR in British American Tobacco Italia riguardano innnanzitutto il processo di Social Reporting che, mediante la mappatura e la classificazione degli stakeholder, mira a sviluppare una strategia di dialogo continuo e di coinvolgimento degli stessi; la gestione dei rischi reputazionali dell’azienda, 79
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Il sito web di BAT Italia - www.batitalia.com - è solo uno degli strumenti che l’azienda adopera per comunicare le proprie iniziative e i progetti di responsabilità sociale secondo lo slogan ‘behavior plus communication equal reputation’: una condotta eticamente corretta, veicolata nel modo giusto all’interno e all’esterno dell’azienda contribuisce alla giusta reputazione
attraverso il monitoraggio e la gestione di tutte le attività che potenzialmente possono avere un impatto sulla reputazione dell’azienda stessa; ci sono, inoltre, le politiche di Corporate Social Investment atte a sviluppare e monitorare la strategia degli investimenti nelle comunità di riferimento. Altri ambiti, non meno importanti, in cui si manifesta l’impegno di BAT Italia in tema di CSR 80
sono la prevenzione del fumo minorile, i programmi relativi relativi alla salvaguardia dell’ambiente, alla salute e alla sicurezza sul lavoro, nonché specifici progetti riguardanti i dipendenti. I traguardi che ci siamo prefissi sono il risultato di processi in continua evoluzione che traggono linfa vitale dal costante confronto e dal dialogo aperto con la nostra comunità di riferimento.
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La pratica della CSR riguarda anche processi esterni all’azienda, da un lato quello dei propri fornitori (industriali o di servizi) e dall’altro quello dei consumatori finali: qual è il vostro impegno su entrambi i fronti? È corretto dire che spesso il vero problema è quello di informare o addirittura ‘educare’ questi stakeholder? Come affrontate la questione? Relativamente alla catena di fornitura stiamo adottando un approccio sempre più strategico e globale nei confronti della stessa. Come? Promuovendo tra i nostri partner continui miglioramenti in termini di efficienza, qualità, innovazione e pratiche di business. Abbiamo una chiara filosofia di gestione della catena di fornitura basata sui nostri Principi Aziendali e su alcuni strumenti per la gestione della stessa finalizzata non solo alla fase dell’approvvigionamento ma all’incremento di valore della catena stessa. Per questo ricerchiamo una collaborazione sempre maggiore con i nostri fornitori per identificare e gestire le criticità comuni e per cogliere le opportunità di reciproco vantaggio. Per quanto riguarda, poi, i consumatori crediamo che questi abbiano il diritto di ricevere informazioni dettagliate sui prodotti del tabacco e che queste debbano riguardare sia le caratteristiche intrinseche dei prodotti stessi che i rischi per la salute collegati al fumo. Crediamo che le Istituzioni governative abbiano la responsabilità primaria di comunicare al pubblico informazioni precise sulle questioni attinenti ai prodotti del tabacco e al loro consumo. Dal canto nostro riteniamo corretto che le società che operano nel settore del tabacco forniscano un supporto, mettendo a disposizione informazioni rilevanti. Ne è testimonianza la realizzazione di un apposito sito web che fornisce informazioni di dettaglio sugli
ingredienti dei prodotti a base di tabacco: www.bat-ingredients.com. Dal punto di vista della rendicontazione, quali strumenti adoperate? Il processo di social reporting nasce dall’impegno nel rendere i nostri stakeholder partecipi delle decisioni aziendali permettendo la condivisione di interessi e valori con il territorio in cui operiamo. Le nostre attività di social reporting a livello globale sono conformi agli standard AA1000 e alle indicazioni della Global Reporting Initiative (GRI). Ogni report è sottoposto a verifica indipendente ed è condotto da un’agenzia qualificata di ricerca esterna. Vengono verificati principalmente: la raccolta, la valutazione e la diffusione dellle informazioni presenti nel report, ponendo particolare attenzione sull’analisi dei processi aziendali che hanno portato all’elaborazione dei dati riportati. Un’ultima domanda: come e quanto comunicate le vostre iniziative e i vostri progetti di CSR? Il nostro slogan è ‘behavior plus communication equal reputation’. Tre gli elementi presenti in questa uguaglianza: condotta, comunicazione e reputazione. Una condotta eticamente corretta, veicolata nel modo giusto all’interno e all’esterno dell’azienda contribuisce alla giusta reputazione. Noi comunichiamo attraverso i nostri progetti, attraverso le nostre attività. Comunichiamo attraverso il nostro sito BAT Italia (www.batitalia.com); attraverso il nostro social report, frutto di un processo basato sul dialogo, come volontà di ascoltare e capire i nostri stakeholder con l’obiettivo finale di modulare le nostre attività sulle loro ragionevoli aspettative. Comunichiamo, infine, attraverso le nostre campagne istituzionali.
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Valori fondamentali Per Chiquita, da molti anni la Csr rappresenta un valore fondamentale, che ispira governance e processi operativi, e a cui sono destinati ingenti investimenti, concentrati in particolare sul benessere dei propri lavoratori e sulla tutela ambientale. Valori che, anche in uno scenario di economia in crisi, i consumatori riconoscono e sono disposti a premiare.
INTERVISTA a Maurizio Pisani, direttore marketing Chiquita Italia. Dalle ricerche realizzate nell’ultimo anno sulla Csr emerge un quadro contraddittorio: il tema guadagna attenzione fra aziende e consumatori, ma ancora poco chiara è l’influenza dell’attuale crisi economica su quanto questa attenzione si traduca in comportamenti pratici. Qual è il vostro polso della situazione? L’attenzione di pubblico e istituzioni è indizio di quanto oggi la Csr sia considerata importante. Per Chiquita, da molti anni la Csr rappresenta un valore fondamentale, che ispira governance e processi operativi, e a cui sono destinati ingenti investimenti. Tra il 1994 e il 2000 abbiamo investito 20 milioni di dollari solo per la modernizzazione delle aziende agricole in America Latina e destiniamo circa 10 milioni di dollari all’anno per l’adeguamento agli standard più severi in materia di sicurezza alimentare. Per i miglioramenti conseguiti, nessun altro player dell’industria della frutta ha fatto quanto Chiquita per garantire la sostenibilità a lungo termine delle attività produttive e il benessere dei lavoratori. Valori che, anche in uno scenario di economia in crisi, i consumatori riconoscono e sono disposti a premiare. Quali sono le vostre priorità fra i molteplici ambiti della Csr? 82
Maurizio Pisani, direttore marketing Chiquita italia
La responsabilità d’impresa è per definizione un processo interdisciplinare, ma per un’azienda con le nostre caratteristiche l’uomo e l’ambiente sono le priorità. Ci siamo quindi concentrati sul benessere dei lavoratori e sulla tutela ambientale. Nella prima area, abbiamo realizzato progetti di housing che hanno permesso a più di 5.000 famiglie dei nostri lavoratori di vivere in case di proprietà. Nel campo della tutela dell’ambiente, realizziamo
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CHIQUITA ITALIA Via Clemente Prudenzio, 16 - 20138 Milano Tel. 02/ 554021 - Fax 02/ 58012115 info@chiquitaitalia.it
Le priorità di Chiquita nell’area della responsabilità sociale si concentrano sul benessere dei lavoratori e sulla tutela ambientale: nella foto, uno dei progetti di housing che hanno permesso a più di 5.000 famiglie di vivere in case di proprietà
Chiquita Brands International, Inc. (NYSE: CQB) è una società internazionale leader nella produzione e commercializzazione di prodotti alimentari freschi di alta qualità e ad alto valore aggiunto. Dalle banane e altra frutta fresca ai mix di insalate già pronti, l’azienda distribuisce i suoi prodotti freschi e nutrienti con i marchi di qualità Chiquita®, Fresh Express® ed altri. Con un giro d’affari di circa 4 miliardi di US$ e più di 90 sedi operative, impiega approssimativamente 23.000 persone.
iniziative di conservazione ambientale come il Chiquita Nature & Community Project, iniziato 6 anni fa insieme a Migros, GTZ e Rainforest Alliance a Nogal (Costa Rica), e il REWE-Chiquita Biodiversity Project avviato nel 2009 a Panama.
Si tratta di argomenti che stimolano il consenso e l’interesse di clienti e consumatori finali, ai quali spieghiamo, attraverso iniziative di pubbliche relazioni e strumenti di comunicazione anche non convenzionali, che questo tipo di interventi strutturali e il miglioramento delle tecniche agricole si riversano sulla qualità dei prodotti e ne accrescono il valore.
La pratica della CSR riguarda anche processi esterni all’azienda, quello dei fornitori e quello dei consumatori finali: qual è il vostro impegno su entrambi i fronti? È corretto dire che spesso il problema è quello di informare ? Siamo convinti che parte del successo di un’azienda dipenda dall’affidabilità e dalla correttezza dei propri fornitori e partner commerciali. I criteri che utilizziamo per selezionarli, in particolare quando si tratta di frutta, sono quelli suggeriti dagli standard di responsabilità che abbiamo adottato. Ad esempio, il 90% delle banane che acquistiamo da terzi, e il 100% dell’ananas, proviene da piantagioni certificate da Rainforest Alliance. Sa8000 attualmente copre poco meno del 50% del prodotto acquisito, mentre Global Gap è sul 100% della produzione di ananas e banane.
Dal punto di vista della rendicontazione, quali strumenti adoperate e con quali effetti? Misuriamo i nostri miglioramenti sulla base di standard prestazionali elevati. In materia di lavoro abbiamo adottato Sa8000 ritenendo che grazie ai requisiti che impone e alla chiarezza dei materiali guida sia attualmente lo standard sociale più verificabile. Per le questioni inerenti l’ambiente invece, il protocollo di Rainforest Alliance ci è sembrato il più adatto a guidarci in un processo di trasformazione delle nostre attività produttive. Global Gap (Ex EurepGap) infine, è lo standard di tracciabilità che trova più seguito a livello internazionale. Per la comunicazione dei risultati utilizziamo gli indicatori della Global Reporting Initiative e, periodicamente, pubblichiamo un rendiconto scaricabile anche dal nostro sito web. 83
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Responsabilità a 360 gradi L’impegno di Coca-Cola HBC Italia sul fronte della responsabilità sociale è a tutto campo: coinvolgimento di dipendenti e fornitori, impegnativi programmi di tutela ambientale, con un occhio particolarmente attento all’educazione delle nuove generazioni, massima attenzione alla salute dei consumatori e alla comunicazione. E i risultati non mancano.
INTERVISTA ad Alessandro Magnoni, direttore affari generali Coca-Cola HBC Italia. Dalle ricerche realizzate nell’ultimo anno in tema di CSR emerge un quadro abbastanza contraddittorio: il tema guadagna sicuramente attenzione da parte di aziende e consumatori, ma è poco chiara l’influenza dell’attuale crisi economica su quanto questa attenzione si traduca in comportamenti pratici. Qual è il vostro polso della situazione? E quale, soprattutto, il vostro atteggiamento? Più esplicitamente: il livello dei vostri impegni e del vostro investimento in questo ambito è cresciuto o ha subito una battuta d’arresto? Per quali ragioni? L’impegno di Coca-Cola HBC Italia verso la CSR non fa sconti neanche all’attuale crisi economica. Anzi, è ferma convinzione del management dell’azienda che, ancor di più in questo momento di crisi e sfiducia, sia importante continuare a costruire il successo dell’impresa su un sistema di valori condiviso in grado di guidarci nelle scelte di tutti i giorni. Ciò significa percorrere, talvolta, la strada più lunga e complessa mettendo in difficoltà l’organizzazione. Allo stesso tempo, sappiamo che tale scelta costituisce una straordinaria leva motivazionale per tutte le nostre persone. Una recente indagine interna ci conferma che siamo sulla strada giusta. Infatti, il sondaggio ha evidenziato che anche i dipendenti di Coca-Cola HBC Italia ritengono che lo sviluppo 84
Alessandro Magnoni, direttore affari generali Coca-Cola HBC Italia
di attività legate alla CSR possa costituire una leva per la competitività nel mercato. La CSR, dovrebbe ormai essere considerato un dato di fatto, è parte dei processi ‘strategici’ che guidano un’impresa. Siete d’accordo? Quali sono a vostro giudizio i suoi obiettivi? Come questa tematica è praticata all’interno della vo-
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COCA-COLA HBC ITALIA Viale Monza, 338 - 20128 Milano Tel. 02 270771 Fax 02 27005761 www.coca-colahellenic.it
Coca-Cola HBC Italia, società controllata da Coca-Cola Hellenic, produce e distribuisce i prodotti a marchio della The Coca-Cola Company. Impiega 3.300 dipendenti e dispone di 6 stabilimenti per la produzione di soft drink, situati a Nogara (Vr), Gaglianico (Bi), Oricola (Aq), Corfinio (Aq), Marcianise (Ce) ed Elmas (Ca). Altri due impianti dedicati all’imbottigliamento di acqua minerale sono situati a Rionero in Vulture e a Monticchio (Pz). È inoltre attiva nel settore della distribuzione automatica attraverso la società Eurmatik. Nel 2008 Coca-Cola HBC Italia è stata riconosciuta la terza migliore azienda in Italia per la gestione e lo sviluppo dei dipendenti dal Great Place to Work Institute, l’istituto internazionale che si occupa dell’individuazione dei migliori luoghi di lavoro.
Le iniziative ed i progetti di CSR di Coca-Cola HBC Italia sono rendicontati in un report annuale scaricabile dal sito internet aziendale (www.cocacolahellenic.it)
Communications. Il responsabile di tale direzione risponde direttamente all’amministratore delegato di Coca-Cola HBC Italia e partecipa al Board che si riunisce con frequenza settimanale. Dal 2006, è stato costituito il Corporate Social Responsibility Team, a cui partecipano i rappresentanti di tutte le funzioni aziendali, che ha il compito di definire il piano annuale di CSR. Inoltre, il sistema incentivante per top management e senior management considera esplicitamente gli obiettivi aziendali di responsabilità sociale.
stra azienda? E quale struttura ha la responsabilità finale della sua governance? Il tema della CSR in Coca-Cola HBC Italia è coordinato dalla direzione General Affairs e, in particolare, dalla funzione Public Affairs &
Gli ambiti della CSR sono molteplici. Quali sono da questo punto di vista le vostre priorità? In quali di queste aree siete intervenuti maggiormente nel corso dell’ultimo anno? Attraverso quali strumenti? Quali concreti passi avanti avete fatto? Per quanto riguarda i dipendenti, Coca-Cola HBC 85
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nella riduzione dei consumi idrici, ottenendo nel 2008 la riduzione del 22% dei consumi rispetto al 2007. Inoltre, l’azienda ha promosso il progetto Water Programme che, rivolgendosi alle giovani generazioni, si pone l’obiettivo di educare al rispetto e alla tutela dell’acqua e di stimolare l’applicazione di pratiche virtuose per ridurre gli sprechi. Il progetto ha previsto, oltre all’organizzazione della festa ‘Acquando’ nei comuni ove sono presenti i siti di produzione di Coca-Cola HBC Italia e alla realizzazione della Tana della Lontra nel Parco Nazionale dell’Abruzzo, la pubblicazione (circa 400mila copie) e distribuzione di un libro e di un cartone animato “Il mistero dell’acqua scomparsa”, premiato recentemente al Giffoni Experience.
La pubblicazione del libro “Il mistero dell’acqua scomparsa” fa parte del progetto ‘Water Programme’ promosso da Coca-Cola HBC Italia e si rivolge alle giovani generazioni con l’obiettivo di educare al rispetto e alla tutela dell’acqua, stimolando l’applicazione di pratiche virtuose per ridurre gli sprechi
Italia ha realizzato un nuovo sistema di performance management, che prevede un sempre maggiore coinvolgimento del singolo nella definizione del proprio piano di formazione e di crescita. L’obiettivo è quello di ideare e realizzare percorsi utili a creare leader con competenze e conoscenze in grado di ispirare, nei membri dei rispettivi staff, quell’entusiasmo e slancio che si traducano in performance eccellenti, raggiungendo traguardi sempre più ambiziosi. Tra le iniziative per la riduzione degli impatti ambientali, Coca-Cola HBC Italia si è focalizzata 86
La pratica della CSR riguarda anche processi specifici del mercato, da un lato quello dei propri fornitori (industriali o di servizi) e dall’altro quello dei consumatori finali: qual è il vostro impegno su entrambi i fronti? È corretto dire che spesso il vero problema è quello di informare o addirittura ‘educare’ questi stakeholder? Come affrontate la questione? Il coinvolgimento dei fornitori e l’attenzione alla salute dei consumatori sono due delle aree prioritarie identificate dal Gruppo Coca-Cola Hellenic per il 2008 e fatte proprie da Coca-Cola HBC Italia. Già nel 2007 è iniziato un progetto, tuttora in corso, per l’allestimento di un Portale Fornitori. Nella parte finale del 2009, Coca-Cola HBC Italia si occuperà dell’analisi delle valutazioni svolte per ciascun fornitore con l’obiettivo di definire dei punteggi minimi richiesti ai propri fornitori al fine di sensibilizzarli a un miglioramento delle proprie prestazioni, ivi comprese quelle di responsabilità sociale e governance. Per quanto riguarda i consumatori, per assicurare una comunicazione ancor più chiara e trasparente, a partire dal 1° maggio 2007, le confezioni dei principali prodotti Coca-Cola
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riportano una serie informazioni nutrizionali volontarie volte a facilitare le scelte dei consumatori. Ci si riferisce, in particolare, alle cosiddette GDA (Guideline Daily Amount) che permettono al consumatore di valutare l’apporto nutrizionale di un prodotto alimentare rispetto alle quantità giornaliere indicative dei singoli nutrienti sulla base di una dieta di 2.000 Kcal. Ci sono agenzie, strutture o consulenti cui vi affidate nel vostro percorso di CSR? Quali? E per quali requisiti e caratteristiche li avete scelti come partner? Come, quando, e quanto intervengono nelle diverse fasi del processo? Ormai dal 2004, Coca-Cola HBC Italia si avvale di una società di consulenza per quanto riguarda le attività di CSR: dalla definizione del primo piano strategico di CSR al supporto per la redazione del rapporto socio-ambientale. RGA - Environment Safety & Corporate Responsibility è una società di consulenza che oltre ad essere focalizzata nel business della responsabilità sociale si è dotata di un sistema di valori e di programmi di CSR i cui risultati sono monitorati, rendicontati e pubblicati annualmente. Dal punto di vista della rendicontazione, quali strumenti adoperate? E qual è il vostro parere sui marchi e le certificazioni di sostenibilità e responsabilità? Quali avete adottato o perseguito? Per quali ragioni e con quali effetti? Ormai dal 2005, Coca-Cola HBC Italia redige il proprio Rapporto Socio-Ambientale, il documento con cui l’azienda comunica ai suoi stakeholder interni ed esterni i risultati raggiunti e i programmi futuri in materia di sostenibilità. Nella rendicontazione, Coca-Cola HBC Italia si ispira nella scelta degli indicatori al più diffuso standard internazionale: la linea guida del Global Reporting Iniziative. Coca-Cola HBC Italia ha implementato ormai da parecchi anni, oltre ad un sistema di gestione della qualità, un Sistema di Gestione Integrato
Un momento di gioco nel corso della festa ‘Acquando’, organizzata da Coca-Cola HBC Italia nei comuni in cui sono presenti i suoi siti di produzione, parte anch’essa del progetto ‘Water Programme’
Ambiente e Sicurezza, certificato ai sensi delle norme internazionali UNI EN ISO 14001 e OHSAS 18001. Il sistema è stato sviluppato per affrontare e gestire le attività aziendali sia in materia di tutela dell’ambiente sia in termini di salute e sicurezza del personale al fine di assicurare il miglioramento continuo delle proprie prestazioni. Un’ultima domanda: come e quanto comunicate le vostre iniziative e i vostri progetti di CSR? Attraverso quali media? E come e quanto questa parte è integrata nei vostri programmi di marketing communication in generale? Al di là della comunicazione interna (house organ e intranet) le iniziative ed i progetti di CSR sono rendicontati in un report annuale scaricabile dal sito internet aziendale. La volontà di fornire informazioni sulle attività aziendali al numero più ampio possibile di stakeholder ci ha spinto a pubblicare il Rapporto in versione sintetica. 87
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Solide fondamenta per il futuro L’impatto della crisi mondiale sul settore dell’edilizia è stato particolarmente pesante. Nonostante ciò, se pur colpita dalla fase recessiva, Holcim (Italia) ha proseguito nella sua strategia di medio-lungo termine attraverso una gestione sostenibile e bilanciata delle performance economiche, ambientali e sociali, capaci di generare valore per i suoi stakeholder.
INTERVISTA a Manuela Macchi, head of sustainable development Holcim (Italia) S.p.A. Da ricerche dell’ultimo anno in tema di CSR emerge un quadro abbastanza contraddittorio: se il tema guadagna attenzione da parte di aziende e consumatori, poco chiara è l’influenza dell’attuale crisi economica su quanto questa attenzione si traduca in comportamenti pratici. Il livello di impegni e del vostro investimento in questo ambito è cresciuto o ha subito una flessione? La crisi dei mercati finanziari diffusasi globalmente con un’inaspettata accelerazione, in particolare negli ultimi mesi del 2008, ha impattato pesantemente l’economia reale, primo fra tutti il settore delle costruzioni. Holcim, come operatore globale e uno dei leader mondiali nel settore dei materiali da costruzione, non ha potuto evitare di esserne colpita. Tuttavia, la forza finanziaria del Gruppo, insieme alla diversificazione geografica, ha consentito di conseguire risultati migliori della maggior parte dei concorrenti globali. La nostra strategia di medio-lungo termine è confermata ma nel breve ci concentreremo, oltre che sui pilastri della sostenibilità, sulle attività a valore aggiunto, ottimizzando i processi di supporto e limitando i nuovi progetti a quelli strettamente necessari, con elevati ritorni dell’investimento. 88
Manuela Macchi, head of sustainable development Holcim (Italia) S.p.A.
La CSR, dovrebbe essere considerata un dato di fatto e parte dei processi ‘strategici’ delle imprese. Siete d’accordo? Com’è praticata la
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HOLCIM (ITALIA) Sede Legale: Corso Magenta, 56 - 20123 Milano Uffici Direzionali:Via Volta, 1 - 22046 Merone (CO) www.holcim.it
CSR all’interno della vostra azienda? Certamente la CSR è uno dei pilastri dello sviluppo sostenibile ed è al centro della nostra visione e della nostra missione: “assicurare solide fondamenta alla società del futuro” e “essere la Società più rispettata e più considerata del nostro settore per la sua capacità di creare valore per tutti gli stakeholder”. Ciò si traduce concretamente in una gestione sostenibile e bilanciata delle performance economiche, ambientali e sociali, generando valore per i nostri stakeholder. Gli ambiti della CSR interni all’azienda sono molteplici. Quali sono le vostre priorità? In quali aree siete intervenuti nell’ultimo anno? Quali concreti passi avanti avete fatto? Le priorità strategiche di Holcim (Italia) in tema di sviluppo sostenibile, verificate anche attraverso l’analisi di materialità condotta nel 2008, sono: • Emissioni in atmosfera e cambiamento climatico: riduzioni delle emissioni e degli impatti ambientali; • Sicurezza e Salute nei Luoghi di Lavoro: miglioramento delle performance azzerando gli infortuni; • Gestione delle risorse naturali: utilizzo di fonti rinnovabili nelle materie prime cemento e nei combustibili alternativi; • Gestione attuale e futura dei siti estrattivi con importanti attività di recupero ambientale parallele all’attività di coltivazione, con
Siamo la Group Company italiana di Holcim, uno dei leader mondiali nella produzione di cemento, aggregati, calcestruzzo e servizi legati al settore delle costruzioni. Condividiamo con la nostra Casa Madre la visione, la missione ed un concreto impegno nei confronti dello sviluppo sostenibile. La nostra struttura produttiva oggi è caratterizzata da: 4 unità produttive cemento, di cui 2 a ciclo completo (con forno), a Merone (CO) e Ternate (VA), e 2 stazioni di macinazione a Morano Po (AL) e a Ravenna (RA); 9 cave attive di estrazione di aggregati (sabbia e ghiaia), nelle provincie di Milano, Bergamo e Varese; 29 impianti per il confezionamento di calcestruzzo nelle provincie di Alessandria, Bergamo, Biella, Brescia, Como, Cremona, Milano, Pavia, Torino e Varese; 7 terminali di importazione cemento nel CentroNord Italia, tramite una joint-venture di cui deteniamo il 60%. particolare attenzione alla biodiversità; • Coinvolgimento delle comunità locali e relazioni con gli stakeholder: relazioni con una molteplicità di stakeholder, generando valore per ognuno di loro; • Edilizia sostenibile e prodotti/servizi eco-efficienti: utilizzo più efficiente e sostenibile dei prodotti con impiego di un minore quantitativo di clinker. Negli ultimi anni abbiamo conseguito alcuni progressi: • cambiamento climatico: -25% del valore delle emissioni di anidride carbonica (valori assoluti) rispetto al 1990 grazie a prodotti eco-efficienti con minore contenuto di clinker e all’utilizzo di combustibili alternativi in parziale sostituzione 89
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dei combustibili fossili; • emissioni in atmosfera: riduzione delle emissioni di polveri delle unità produttive cemento (-70% dal 2004) e delle emissioni di NOx (-35% dal 2006) grazie ad importanti investimenti realizzati ad inizio 2008; • sicurezza e salute nei luoghi di lavoro dei dipendenti nostri e di ditte terze: adozione di sistemi di gestione, con iniziative di infoformazione e con il miglioramento di circa il 20% degli indici infortunistici nel triennio in esame; • gestione delle risorse naturali: utilizzo di fonti rinnovabili nelle materie prime cemento e nei combustibili alternativi, riciclo dell’acqua e recupero dei rifiuti; • gestione attuale e futura dei siti estrattivi: importanti attività di recupero ambientale parallele all’attività di coltivazione per un valore pari ad oltre 2 milioni di euro a cui si somma il valore di un fondo per l’attività estrattiva cemento pari a 7 milioni di euro nel 2008; • progetti di responsabilità sociale per rinsaldare ulteriormente i rapporti con le comunità locali tra cui citiamo una maggiore informazione alle famiglie delle comunità locali con l’introduzione del periodico di informazione gratuita per le comunità locali Note di Fábrica, gli Open Day delle unità produttive cemento e il Community Day (giornata di volontariato aziendale). La pratica della CSR riguarda anche processi esterni all’azienda, quello con i fornitori e quello con i consumatori finali: qual è il vostro impegno su entrambi i fronti? Le relazioni con clienti e fornitori sono uno dei sei pilastri della nostra Politica di Responsabilità Sociale. Offriamo prodotti e servizi innovativi che
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incontrano i bisogni dei clienti e ci impegniamo ad estendere i principi dell’UN Global Compact e della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ai fornitori. Con i fornitori impostiamo un rapporto basato su regole chiare e trasparenti contenute nelle Condizioni di Acquisto, dettate anche dall’appartenenza a un grande Gruppo. A loro chiediamo come impegno prioritario il rispetto delle norme di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro e la tutela dell’ambiente. Dal punto di vista della rendicontazione, quali strumenti adoperate? Parlando di rendicontazione delle performance economiche, ambientali e sociali, noi pubblichiamo il Rapporto di Sostenibilità, quest’anno alla quarta edizione. La metodologia adottata nel Rapporto fa riferimento alla terza versione delle Sustainability Reporting Guidelines definite dal Global Reporting Initiative (GRI G3). Il Rapporto è stato sottoposto alla verifica indipendente da parte di KPMG S.p.A., che ha valutato la conformità del processo di rendicontazione alle linee guida di riferimento e la coerenza delle informazioni con la documentazione aziendale di natura contabile e le informazioni e i dati sociali e ambientali. Il livello di applicazione delle linee guida GRI G3 raggiunto dal Rapporto di Sostenibilità di Holcim (Italia) è A+. Un’ultima domanda: come e quanto comunicate le vostre iniziative e i vostri progetti di CSR? Attraverso quali media? La comunicazione segue la tempistica delle attività di CSR. I media utilizzati sono essenzialmente le testate locali e nazionali, il sito Internet e il periodico semestrale di informazione gratuita rivolto alle comunità locali (tiratura: 31.000 copie).
www.contattofebe.it Open Day 2008: laboratori di attività manuali legati al mondo delle costruzioni
Assicurando solide fondamenta alla società del futuro Le persone che lavorano in Holcim sanno che l’Azienda considera lo sviluppo sostenibile come un impegno di lungo periodo per soddisfare i bisogni della generazione presente senza compromettere quelli delle generazioni future. Holcim, infatti, ha posto lo sviluppo sostenibile al centro della propria strategia e della gestione delle proprie attività avviando iniziative di responsabilità ambientale e sociale oltre che economica, con l’obiettivo di generare valore sostenibile per tutti i propri stakeholder. Priorità strategiche in tema di sviluppo sostenibile In tema di sviluppo sostenibile le priorità strategiche di Holcim in Italia, identificate anche con l’ascolto degli stakeholder di riferimento e perseguite con forza, azione e passione, sono: • Riduzione delle emissioni in atmosfera e impegno per fronteggiare il cambiamento climatico; • Sicurezza e Salute nei Luoghi di Lavoro; • Coinvolgimento delle comunità locali e relazioni con gli stakeholder; • Gestione delle risorse naturali con utilizzo di fonti rinnovabili nelle materie prime cemento e nei combustibili alternativi; • Gestione attuale e futura dei siti estrattivi e tutela della biodiversità; • Edilizia sostenibile e prodotti / servizi eco-efficienti. www.holcim.it
Forza. Azione. Passione.
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Un fenomeno di cultura Per Koinètica, la prima struttura nata in Italia per sviluppare percorsi di comunicazione finalizzati a valorizzare comportamenti e attività socialmente responsabili e sostenibili, la RSI è anzitutto un fenomeno di cultura. Una cultura che privilegi la rendicontazione, fornendo dati e cifre, che però ancora stenta a farsi strada fra i comunicatori.
INTERVISTA a Giacomo Ghidelli, amministratore delegato di Koinètica. Come e quando è nato il vostro interesse per la comunicazione della sostenibilità e della responsabilità d’impresa? Come è strutturata la vostra agenzia per rispondere alle esigenze delle aziende in questo campo? Koinètica nasce nel 2002 - da una intuizione comune di Rossella Sobrero (l'attuale presidente dell'agenzia) e mia - con l'obiettivo di progettare e realizzare percorsi di sviluppo e di comunicazione finalizzati a valorizzare comportamenti e attività socialmente responsabili e sostenibili, con ritorni positivi per le Organizzazioni che li promuovono. In Italia Koinètica è stata la prima struttura a porre questo tema al centro del proprio core business. Un tema a cui oggi vediamo, con piacere, che anche altre strutture si accostano: la RSI è innanzitutto un fenomeno di cultura e giudichiamo positivamente il fatto che questa cultura si diffonda. Inoltre, alcuni anni fa abbiamo dato vita a KoinèticaAgriprojects, che nasce dall’unione delle competenze di Koinètica e di Agriprojects (network di consulenti e formatori che fa capo a Riccardo Pastore) per sviluppare progetti di marketing strategico e di comunicazione territoriale orientati allo sviluppo sostenibile. Che cosa vuol dire per voi ‘comunicazione so92
Giacomo Ghidelli, amministratore delegato di Koinètica
stenibile’? Di quali aspetti della CSR vi occupate in modo particolare e in quali fasi del processo aziendale intervenite? Per noi, comunicazione sostenibile significa comunicazione responsabile: vale a dire una
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comunicazione che sa rispondere (la parola deriva dal latino ‘responsare’, rispondere) delle conseguenze del proprio fare. Nadine Gordimer afferma che “la responsabilità è ciò che ci attende fuori dall’Eden della creatività”. Una affermazione che è un invito esplicito a considerare che anche i prodotti della creatività non sono mai innocenti, perché anch’essi inevitabilmente agiranno nel e per il mondo. La creatività ha infatti sempre conseguenze sociali. Per questo la comunicazione sostenibile (intesa nelle sue molteplici accezioni) non può che essere una comunicazione responsabile: come dice il sottotitolo della V° Conferenza Internazionale della Comunicazione Sociale promossa dalla Fondazione Pubblicità Progresso - che Koinètica sta coordinando e che prevede sette mesi di eventi sparsi in giro per l’Italia una comunicazione che contribuisce a dare vita a un futuro di valore. Per quanto riguarda ciò di cui ci occupiamo, sinteticamente diciamo che Koinètica fornisce supporto per l’analisi dei bisogni, la definizione e lo sviluppo degli strumenti e dei progetti di comunicazione, la progettazione e la gestione di percorsi formativi, la progettazione e la gestione di percorsi di coinvolgimento degli stakeholder, l’attuazione di programmi di partnership, l’organizzazione di eventi. Per tutta la comunicazione, uno degli aspetti fondamentali è la misurazione dei risultati. Come è possibile calcolare il ‘Roi’ di un investimento in questo ambito? Quest’anno, durante “Dal Dire Al Fare”, il Salone della Responsabilità Sociale d’Impresa promosso anche da Koinètica, tra i molti laboratori c’è anche quello da noi condotto dal titolo ‘Processo alla CSR’, in cui verranno messe a confronto - in un vero e proprio processo - le tesi dei sostenitori e dei detrattori della CSR. Sicuramente uno dei temi sarà proprio quello indicato dalla domanda. Dal nostro punto di
KOINÈTICA Via Settembrini 9 - 20124 Milano tel. 02.6691621 - 02.67078256 fax 02.67380608 koinetica@koinetica.net www.koinetica.net
Koinètica è nata nel 2002, progetta e realizza percorsi di comunicazione e formazione finalizzati a valorizzare comportamenti socialmente responsabili con ritorni positivi per chi li promuove. Come? Adottando un approccio originale, costruito in anni di attività ‘sul campo’, utilizzabile da tutte le organizzazioni, disegnando percorsi modulari e sviluppando un dialogo costruttivo con gli interlocutori, Koinètica mette a disposizione dei propri clienti: la propria esperienza nella comunicazione sociale e istituzionale, che si è focalizzata negli ultimi sei anni unicamente sulla Responsabilità Sociale; una struttura centrale e due unità specializzate (Koinètica l’altra e Koinètica Agriprojects); un’ampia rete di contatti con opinion leader che operano sui temi della Responsabilità Sociale d’Impresa e con le organizzazioni del Terzo Settore. Clienti: AGOS - Servizi finanziari; ASSIRM; AUSER Lombardia; Brioschi Sviluppo Immobiliare; Camera di Commercio di Rimini; FAI Fondo Ambiente Italiano; Fondazione Pubblicità Progresso; Fondazione Sodalitas; Gruppo Bastogi; La Fucina; Mani Tese; Provincia di Mantova; Regione Piemonte; Raggio di Luna Holding Finanziaria; Regione Puglia; Terre des Hommes.
vista, comunque, l’indagine sul capitale reputazionale dell’impresa è una delle vie per valutare i risultati: il capitale reputazionale è infatti il frutto della relazione tra l’impresa e gli stakeholder, aspetto centrale di tutte le iniziative di CSR. Capire come si evolve questo rapporto significa quindi comprendere - e misurare l’effetto delle iniziative di CSR. 93
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Due soggetti della campagna sulla sostenibilità promossa da Koinètica con IGPDecaux (e la collaborazione tecnica di ZetaLab), per sollecitare l’attenzione di cittadini, imprese, pubblica amministrazione, organizzazioni non profit su questo tema, da cui dipende la qualità della nostra vita presente e futura
Quali sono, secondo voi, i veri e propri “peccati” da evitare per non cadere nel rischio del cosiddetto ‘greenwashing’? Evitare dichiarazioni generiche. Oggi le iniziative e i prodotti green conquistano la scena e si propongono con forza al consumatore. Ciò che però non sembra stare al passo è la comunicazione, che sovente si attarda in schemi che non rispondono alle esigenze di un consumatore attento e informato, che non si accontenta più (come già veniva dichiarato nel Cluetrain Manifesto dl 1992) “di belle brochure illustrate”. In sintesi, quello che oggi si nota è ancora una scarsa cultura, nei comunicatori, di un approccio che privilegi la rendicontazione, fornendo dati e cifre. Faccio un esempio. In quanto consumatore, non mi basta sapere che un’auto “consuma di meno” o “emette meno CO2”. Ciò che mi interessa è sapere quanta CO2 questa nuova vettura emette in meno rispetto al modello 94
precedente; quanto è il suo reale consumo di gpl, tenendo conto, ad esempio, che il gpl consuma un 30% in più rispetto alla benzina. Anche nella comunicazione sul prodotto si ripropone il tema del Bilancio Sociale: non servono aggettivi, servono cifre, serve la materialità del dato. E questo perché il compito di una comunicazione sostenibile è da un lato spiegare il reale beneficio del prodotto e dall’altro aiutare il consumatore a crescere nel suo desiderio di essere sempre più responsabile. Fermo restando che ogni iniziativa ha obiettivi diversi, parlando di media quali sono a vostro parere i più adatti per la comunicazione della sostenibilità di un’impresa? Per quali ragioni? Recentemente, con IGPDecaux (e con la collaborazione tecnica di ZetaLab), abbiamo dato vita a una campagna sulla sostenibilità, che
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La campagna Sos-Sostenibilità vive sulle affissioni dinamiche che rinviano a un sito internet. Una scelta che deriva dalla necessità di riuscire a coinvolgere le persone, per farle diventare soggetti attivi e non solo destinatari dei messaggi
vuole sollecitare l’attenzione di cittadini, imprese, pubblica amministrazione, organizzazioni non profit su questo tema, da cui dipende la qualità della nostra vita presente e futura. Questa campagna vive sulle affissioni dinamiche che rinviano a un sito internet. Una scelta che deriva dalla necessità di riuscire a coinvolgere le persone, per farle diventare soggetti attivi e non soltanto destinatari dei messaggi. Sempre di più viene infatti sottolineata l’esigenza di passare dal ‘comunicare’ a al ‘comunicare con’. Oggi si parla sempre più spesso del ruolo del cittadinoconsumatore come soggetto attivo, come coautore del messaggio. Le più avanzate strategie di CSR pongono infatti il tema del coinvolgimento degli stakeholder come centrale della cultura d’impresa e delle strategie da adottare. L’ascolto e la condivisione delle scelte con i pubblici interni ed esterni è il primo segnale di questo mutato approccio. Per questo abbiamo percorso una strada che unisce due mezzi così diversi tra loro: da un lato si parla, dall’altro si ascolta. Così tutti possono veramente condividere. Per concludere, vi chiediamo di illustrare una vostra recente case history. Una finanziaria della famiglia Cabassi, di cui fanno parte il Gruppo Bastogi e Brioschi Sviluppo
Immobiliare, nel 2008 ci ha chiesto un intervento per la definizione del Codice Etico, del Codice di Comportamento e del Bilancio Sociale per il Gruppo Bastogi, a cui fanno capo diverse imprese. Grazie a una serie di interviste con la proprietà, e a un lavoro di scavo delle fonti, abbiamo ricostruito i cento anni di storia di questo Gruppo fondato da Giuseppe Cabassi, protagonista unico e atipico delle vicende del capitalismo italiano. L’elaborazione della storia è stata alla base della definizione della mission, della vision e della Carta Etica del Gruppo. Quindi, coinvolgendo tutte le principali funzioni aziendali, abbiamo raccolto le notizie necessarie alla elaborazione del Bilancio di Sostenibilità del Gruppo Bastogi. Il successivo passo (2009) è stata la costituzione di un gruppo di lavoro composto dalle più importanti funzioni aziendali, con cui, in una serie di workshop, abbiamo lavorato sui temi della responsabilità e della sostenibilità. Questo lavoro è stato alla base dell’elaborazione della nuova edizione del Bilancio di Sostenibilità e del progetto di comunicazione interna fondato sul tema ‘lavorare con le persone e per le persone’, grazie a cui sarà possibile sviluppare processi di coinvolgimento e di appartenenza in modo costante e produttivo, per un incremento del capitale reputazionale dell’impresa. 95
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Giochi di strategia Gioco responsabile, bilancio sociale, e numerose iniziative in ambito ‘good causes’: sono queste le tre aree prioritarie su cui si è concentrata l’attenzione di Lottomatica - principale operatore nel mercato dei giochi in Italia - per integrare la crescita del proprio business con la tutela e il rispetto nei confronti della comunità nella quale opera.
INTERVISTA a Giuliano Frosini, direttore european relations & public affairs Lottomatica Spa. La CSR dovrebbe ormai essere considerata parte dei processi ‘strategici’ che guidano un’impresa. Come questa tematica è affrontata all’interno di una azienda che si occupa di giochi? Quali sono a vostro giudizio i suoi obiettivi? Lottomatica persegue una politica di CSR che già da diversi anni è considerata prioritaria e che stiamo ulteriormente consolidando per raggiungere e garantire massimi livelli di integrità e trasparenza nei confronti dei nostri stakeholder e prima di tutto dei giocatori consumatori. In quanto principale operatore nel mercato dei giochi in Italia, abbiamo infatti scelto di integrare la crescita del nostro business con la tutela e il rispetto nei confronti della comunità nella quale operiamo: la nostra finalità è quella di costruire, insieme all’Amministrazione Autonoma Monopoli di Stato, un modello di gioco legale, equilibrato e sicuro, affinché questa crescita responsabile contenga risvolti positivi per tutti gli attori coinvolti. Le scelte relative alla CSR all’interno di un’azienda possono essere molteplici; quali sono le vostre priorità e come sono raggruppate le vostre azioni? Abbiamo scelto di impegnarci su tre diversi 96
Giuliano Frosini, direttore european relations & public affairs Lottomatica Spa
fronti: il gioco responsabile, il cui programma abbraccia concretamente diverse aree e ci permette di offrire un ambiente di gioco volto a proteggere il giocatore sia dall’illegalità che da comportamenti eccessivi; il Bilancio Sociale, il cui
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target è rappresentato da tutti gli stakeholder coinvolti, direttamente o indirettamente, nelle attività di Lottomatica; infine, le numerose iniziative in ambito good causes: sponsorizzazioni che riguardano l’arte, la cultura, lo sport, azioni di aiuto e di raccolta fondi, attraverso le quali ridistribuiamo alla comunità parte del valore aggiunto creato dall’azienda. Qual è il vostro parere sui marchi e certificazioni di responsabilità? Quali avete adottato o perseguito? Per quali ragioni e con quali effetti? Nel 2007 abbiamo deciso di sottoscrivere gli Standard in tema di gioco responsabile stabiliti dalla European Lotteries Association, associazione indipendente che dal 1999 raggruppa le lotterie di Stato e gli operatori di gioco presenti in Europa; ELA ha creato un piano di azione volto alla protezione del giocatore ed ha poi predisposto un percorso di certificazione per i propri membri, che è stato avviato per la prima volta in fase di test nel 2008 e ha visto la sua conclusione lo scorso giugno. Il percorso, oltre alla sottoscrizione e all’implementazione degli standard, ha richiesto l’intervento di un verificatore esterno incaricato di effettuare l’analisi di tutte le attività svolte; alla fine della verifica l’ente ha prodotto un report sulla base del quale l’ELA Certification Committee ha definito lo status di Lottomatica Group come “allineato” agli standard ed ha emesso la certificazione, che deve essere ripetuta ogni tre anni con parziale verifica annuale. Il nostro gruppo è il primo e unico operatore italiano ad avere ottenuto questa importante certificazione. Il Programma di Gioco Responsabile adottato da Lottomatica ci permetterà di ottenere anche la conformità al 4° livello del framework delineato dalla World Lotteries Association, associazione mondiale di operatori di gioco che si ispira ad analoghe linee guida sempre mirate alla protezione del giocatore; infine abbiamo ricevuto
LOTTOMATICA GROUP Viale del Campo Boario, 56/d - 00154 Roma Tel. 06 518991 Fax 06 51894300 csr@lottomatica.it www.lottomaticagroup.com
Lottomatica è l’operatore leader mondiale nel settore delle Lotterie in termini di raccolta complessiva e, tramite la propria controllata GTech, è oggi uno dei principali fornitori mondiali di soluzioni tecnologiche per lotterie e per giochi. E’ controllata direttamente dal gruppo De Agostini S.p.A. (59,8%). Presidente del gruppo Lottomatica è Lorenzo Pellicioli, amministratore delegato del Gruppo è Marco Sala, Direttore Generale di Lottomatica SpA è Renato Ascoli, mentre Jaymin Patel è il CEO e DG di GTech. Lottomatica è quotata alla Borsa Valori di Milano (S&P/MIB) e sul mercato over the counter degli Stati Uniti. Il gruppo Lottomatica, attivo in oltre 50 Paesi nel mondo con oltre 6.000 dipendenti, nel 2008 ha ottenuto ricavi consolidati per 2,06 miliardi di euro (+24% vs 2007) con EBIDTA di 756 milioni di euro (702 milioni di euronel 2007).
la certificazione internazionale di conformità dei due portali di gioco lottomatica.it e totosi.it da parte di enti terzi (G4 - Global Gambling Guidance Group) che garantisce la presenza delle caratteristiche per la protezione dei giocatori basate su parametri di autolimitazione ed autoesclusione. Anche nei confronti del Bilancio Sociale, le principali novità rispetto all'edizione 2007 riguardano le garanzie aggiuntive in termini di trasparenza e completezza delle informazioni rappresentate dalla certificazione da parte di Reconta Ernst&Young e dall'adozione dello standard GRI (Global Reporting Initiative), il più diffuso a livello internazionale. Quali risultati concreti avete ottenuto nell’ul97
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timo anno? In che modo? Abbiamo presentato con successo il nostro primo Bilancio Sociale diventando così la prima azienda in Italia nel mondo dei giochi ad esserne dotata. Il bilancio sociale rappresenta per noi lo strumento più importante di dialogo con l’esterno, al fine di costruire consenso e legittimazione sociale, rafforzare il rapporto con la comunità nonché dare informazioni sull’impatto sociale delle attività del gruppo, sugli avvenimenti e sui principali risultati raggiunti. Per questi stessi motivi la seconda edizione, appena presentata, è stata ulteriormente ampliata e approfondita, ed è stata affiancata da un’ampia sezione totalmente dedicata alla CSR sul sito istituzionale del gruppo. Nei mesi scorsi, come dicevo, abbiamo ottenuto la conformità agli Standard in tema di gioco responsabile definiti dalla European Lotteries Association; è stato un percorso articolato, che ci ha visto intervenire in diversi ambiti, quali la realizzazione e la promozione di ricerche finalizzate alla comprensione del gioco problematico, la collaborazione con organizzazioni che si occupano di gioco responsabile, lo sviluppo di piattaforme di gioco sicure e controllate ed il monitoraggio degli eventuali fattori di rischio prima del lancio di nuovi giochi. La pratica della CSR riguarda anche processi esterni all’azienda, da un lato quello dei propri fornitori (industriali o di servizi) e dall’altro quello dei consumatori finali: qual è il vostro impegno su entrambi i fronti? È corretto dire che spesso il vero problema è quello di informare o addirittura ‘educare’ questi stakeholder? Come affrontate la questione? L’abbiamo affrontata con il perseguimento e con la copertura degli standard; oltre alle aree già citate, ci siamo occupati anche di dare la giusta informazione al giocatore sul tema del gioco 98
responsabile, attraverso materiale appositamente redatto in collaborazione con esperti e psicologi e reperibile nei punti vendita. Siamo fortemente intervenuti nelle attività di advertising e marketing, principalmente con una campagna stampa informativa sui potenziali rischi legati al gioco eccessivo, che ripeteremo quest’anno; secondariamente adottando un codice di autodisciplina della pubblicità che integrasse con principi riguardanti la comunicazione sui giochi - la disciplina legislativa di riferimento e le disposizioni vigenti in materia, che si applicasse a tutti i mezzi utilizzati e che fosse comunicato a tutti i partner coinvolti, prime fra tutte le agenzie pubblicitarie che lavorano direttamente sulle singole campagne di prodotto. Infine, abbiamo inviato un kit con materiale specifico dedicato alla nostra rete di vendita ed abbiamo previsto per i rivenditori attività di formazione per sensibilizzarli su questa problematica. Un’ultima domanda: come e quanto comunicate le vostre iniziative e i vostri progetti di CSR? Attraverso quali media? Abbiamo previsto il coinvolgimento di tutti i dipendenti su questi temi, e una formazione specifica per tutti coloro che direttamente o indirettamente hanno a che fare con i giocatori. Reportistica, monitoraggio e aggiornamenti in merito alle attività di certificazione relative alla CSR si svolgono principalmente attraverso intranet, internet e la pubblicazione del bilancio sociale, nonché attraverso eventi diretti quali presentazioni alla stampa e conferenze, interviste e dichiarazioni costantemente presenti e riportate dai vari media. In questo modo, raggiungiamo tutta la comunità. È convinzione di Lottomatica, come dimostrato dagli ottimi risultati raggiunti, che la propria strategia di business sia ormai indissolubilmente legata alla propria capacità di impegno su questi temi.
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L’engagement nel DNA Nonostante la crisi, l’investimento in attività sociali e umanitarie di Sebach non ha subito battute d’arresto. Anzi, è cresciuto e vuole crescere ancora, perché al di là dei ritorni in termini di immagine, l’obiettivo della società toscana è quello di realizzare una piena integrazione fra orientamento al business e responsabilità sociale.
INTERVISTA a Cristina Serafini, commerciale & marketing Sebach. Dalle ricerche realizzate nell’ultimo anno in tema di CSR emerge un quadro abbastanza contraddittorio: se il tema guadagna sicuramente attenzione sia da parte delle aziende sia dei consumatori, è altrettanto vero che poco chiara è l’influenza dell’attuale crisi economica su quanto questa attenzione si traduca in comportamenti pratici. Qual è il vostro polso della situazione? E quale, soprattutto, il vostro atteggiamento? Più esplicitamente: il livello dei vostri impegni e del vostro investimento in questo ambito è cresciuto o ha subito una battuta d’arresto? Per quali ragioni? Responsabilità e sostenibilità sociale sono ai primi posti nell’agenda di Sebach. Possiamo dire, con una punta di orgoglio, che l’engagement fa parte del Dna aziendale. Per questo, malgrado l’attuale crisi economica, il livello del nostro impegno si è mantenuto alto. Lo dimostra il finanziamento di un importante progetto per lo sviluppo di migliori condizioni igieniche in Kenia. L’investimento in attività sociali e umanitarie di Sebach non ha subito battute d’arresto. Anzi, è cresciuto e vuole crescere ancora, perché questa è la nostra volontà e la nostra vocazione. La CSR, dovrebbe ormai essere considerato un dato di fatto, è parte dei processi ‘strategici’ 100
Una parte dello staff di Sebach
che guidano un’impresa. Siete d’accordo? Quali sono a vostro giudizio i suoi obiettivi? Come questa tematica è praticata all’interno della vostra azienda? E quale struttura ha la responsabilità finale della sua governance? Sì, assolutamente d’accordo. La Corporate Social Responsability fa parte dei processi strategici di un’impresa moderna. L’obiettivo di Sebach è quello di realizzare una piena integrazione tra orientamento al business e responsabilità sociale. Naturalmente, c’è un altro obiettivo: il ritorno di immagine. Sotto questo profilo, le iniziative sociali possono contribuire fortemente alla costruzione e alla definizione del branding, con riflessi positivi sull’immagine aziendale. Ma vorrei sottolineare un altro aspetto, che non
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SEBACH Via Fiorentina, 109 - 50052 Certaldo (FI) Tel. 0571 663455 Fax 0571 665383 info@sebach.it www.sebach.it
Board di direzione. Marta Dainelli, presidente; Cristina Galieni, responsabile commerciale; Sonia Morelli, responsabile amministrazione; Cristina Serafini, marketing e CSR.
Nel 2008, in coincidenza con l’Anno Mondiale dei Servizi Igienici proclamato dall’ONU, Sebach ha personalizzato alcuni dei propri bagni chimici con immagini dell’Africa e il logo AMREF, devolvendo alla fondazione una percentuale dei proventi del noleggio e finanziando la costruzione di nuovi servizi igienici in una provincia costiera del Kenya
deve essere sottovalutato: la crescita del personale interno all’azienda, chiamato ad occuparsi di iniziative di responsabilità sociale. Si tratta di un’esperienza formativa importante, di cui beneficia tutto uno staff di persone. Gli ambiti della CSR interni all’azienda sono molteplici: sociali, umanitari, ecologici, ecc... Quali sono da questo punto di vista le vostre priorità? In quali di queste aree siete intervenuti maggiormente nel corso dell’ultimo anno? Attraverso quali strumenti? Quali concreti passi avanti avete fatto?
Sebach è, in effetti, impegnata in molteplici campi. Attualmente la nostra priorità può essere individuata nel finanziamento di un progetto dell’AMREF (African Medical and Research Foundation). Tutto è nato nel 2008, in coincidenza con l’Anno Mondiale dei Servizi Igienici, proclamato dall’ONU. Sebach ha personalizzato alcuni dei propri bagni chimici con immagini dell’Africa e con il logo della fondazione, devolvendo all’AMREF una percentuale dei proventi del noleggio. Il distretto interessato dal progetto è precisamente quello del Kilifi, nella poverissima Provincia Costiera del Kenia. L’intervento si svilupperà su base triennale: nel periodo 2009 - 2011 saranno costruiti 24 servizi igienici, e 30.000 bambini potranno finalmente usufruire di condizioni igieniche accettabili, migliorando la qualità della loro vita. I passi avanti sono concreti, concretissimi. Basti pensare che la costruzione di servizi igienici adeguati riduce la mortalità infantile di un terzo, e addirittura di due terzi se accompagnata dalla promozione di norme igieniche – come nel caso dell’AMREF. Per questo, teniamo tantissimo al progetto che stiamo finanziando. Parallelamente, vorrei ricordare un altro impegno che Sebach considera prioritario: quello a favore della natura, dell’arte e della storia d’Italia. Per il terzo anno consecutivo abbiamo ricevuto dal FAI 101
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paesaggi è un’impresa che, davvero, ci coinvolge e ci gratifica molto.
Nel 2009, le pellicole dei bagni chimici Sebach hanno richiamato l’attenzione su due temi in particolare: il rispetto dell’ambiente, con lo slogan “Earth is not a toy” (nella foto), e la necessità di proteggere le api, colpite negli ultimi tempi da un’alta mortalità
(Fondo per l’Ambiente Italiano) l’attestato di qualifica come Corporate Golden Donor, per avere contribuito al finanziamento delle attività del Fondo, volte a proteggere, curare e far rivivere i tesori artistici e naturalistici del nostro paese. La difesa della nostra arte e dei nostri 102
La pratica della CSR riguarda anche processi esterni all’azienda, da un lato quello dei propri fornitori (industriali o di servizi) e dall’altro quello dei consumatori finali: qual è il vostro impegno su entrambi i fronti? È corretto dire che spesso il vero problema è quello di informare o addirittura ‘educare’ questi stakeholder? Come affrontate la questione? Informare, comunicare, educare: questi obiettivi, se centrati, possono determinare una presa di coscienza e, di conseguenza, una responsabilizzazione dei consumatori. Sebach sfrutta le pellicole dei propri bagni chimici come veicoli di messaggi di carattere sociale. E non soltanto nel caso dell’AMREF. Nel 2009, ad esempio, le pellicole dei nostri bagni chimici hanno voluto richiamare l’attenzione su due temi: il rispetto dell’ambiente, con lo slogan “Earth is not a toy”, e la necessità di proteggere le api, colpite negli ultimi tempi da un’alta mortalità. Ci siamo ispirati a una frase attribuita a Einstein, secondo cui lo stato di salute delle api indica lo stato di salute della terra stessa. Dei nostri ‘bagni parlanti’, se posso coniare questo termine, si è interessata molto la stampa. Tutto questo rientra nelle strategie di comunicazione e informazione, verso cui Sebach è molto attenta. Ci sono agenzie, strutture o consulenti cui vi affidate nel vostro percorso di CSR? Quali? E per quali requisiti e caratteristiche li avete scelti come partner? Come, quando, e quanto intervengono nelle diverse fasi del processo? Il percorso lo abbiamo iniziato con Oliviero Toscani – uno dei guru della comunicazione. Poi, dal 2009, ci siamo affidati all’agenzia Alta, che ci suggerisce le soluzioni creative più efficaci per comunicare i nostri messaggi di responsabilità sociale. Il segreto, in questo caso, credo sia l’empatia, perché è necessario che l’azienda e
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l’agenzia di comunicazione condividano una serie di valori che vanno oltre al mero aspetto professionale. Sebach e Alta, insomma, si trovano sulla stessa lunghezza d’onda: come potrebbe essere diversamente? I campi d’azione vengono stabiliti dal nostro management. L’agenzia interviene nel processo creativo: ad esempio, ideando le pellicole dei bagni chimici. Ne sono un esempio quelle realizzate quest’anno, sui temi delle api e del rispetto dell’ambiente, che hanno suscitato ampio consenso. Dal punto di vista della rendicontazione, quali strumenti adoperate? E qual è il vostro parere sui marchi e le certificazioni di sostenibilità e responsabilità? Quali avete adottato o perseguito? Per quali ragioni e con quali effetti? La nostra azienda è certificata ISO 9001. Ci sono poi gli importanti attestati sui singoli prodotti. Sebach Top-San è il primo bagno mobile chimico autopulente. Le sue innovative caratteristiche tecnologiche lo pongono, in termini di igiene, al primo posto sul mercato. Sebach Top San è conforme alle linee guida del Ministero della Salute in materia di igiene e di sicurezza come certificato dalla AUSL 11 - Regione Toscana. L’idoneità igienico-funzionale del dispositivo a nastro rotante Top San è attestata dall’Università degli Studi di Pisa. Un’ultima domanda: come e quanto comunicate le vostre iniziative e i vostri progetti di CSR? Attraverso quali media? E come e quanto questa parte è integrata nei vostri programmi di marketing communication in generale? Come dicevo, Sebach è estremamente attenta alla comunicazione. Si tratta di una comunicazione integrata a 360 gradi. Un veicolo molto valido per i nostri messaggi lo abbiamo individuato proprio nei nostri bagni chimici, che personalizziamo con pellicole di volta in volta diverse, con slogan e immagini ad hoc. C’è poi tutto il materiale a supporto (il cosiddetto below-
Un’immagine dei bijoux in plastica riciclata KIT PLASTIC: un’attività separata rispetto al core business, ma nata proprio con l’obiettivo di recuperare almeno in parte gli sfridi di produzione dei materiali plastici
the-line) e, naturalmente, c’è anche il fondamentale lavoro dell’ufficio stampa. Un discorso a parte merita il nostro sito: su www.sebach.it cerchiamo di stimolare la discussione intorno alle nostre iniziative di carattere sociale, anche attraverso il nostro blog. Vorremmo sempre di più stabilire una comunicazione non univoca ma biunivoca, un dialogo, perché tutti, fornitori e consumatori, non siano recettori passivi del messaggio ma divengano essi stessi parte integrante delle iniziative sociali di Sebach. 103
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Rispetto e consapevolezza Simonetti Studio opera da tempo nell’ambito della comunicazione ambientale e sostenibile: una comunicazione che rispetta innanzitutto chi la recepisce, ne comprende le aspettative, ne rispetta i valori ed espone con chiarezza i fatti, e che deve essere sostenibile anche nei mezzi, negli strumenti che si scelgono per raggiungere i destinatari.
INTERVISTA a Carlo Simonetti, direttore creativo Simonetti Studio. Come e quando è nato il vostro interesse per la comunicazione della sostenibilità e della responsabilità d’impresa? Abbiamo sviluppato una forte sensibilità verso questi temi e una metodologia strategica e creativa che definirei, se non fosse un termine inflazionato,’olistica’ grazie ai nostri clienti. Molti tra loro operano infatti nel settore delle public utilities, e per loro gli argomenti ‘sostenibilità e responsabilità d’impresa’, almeno nel nostro territorio, sono da sempre molto sentiti. Ci troviamo spesso nella condizione di affrontare progetti di comunicazione con il compito di evidenziare assunzioni di responsabilità da parte di società o di intervenire per modificare o correggere comportamenti che hanno una forte ricaduta ambientale e sociale. Di solito non si tratta di operazioni eclatanti, quanto piuttosto di forme di comunicazione discrete, ma puntuali e costanti, che svolgono un vero e proprio ruolo sociale. Come è strutturata la vostra agenzia per rispondere alle loro esigenze in questo ambito? Quante e quali persone se ne occupano? La nostra agenzia è oggi un gruppo di lavoro molto affiatato di sette persone. Condividiamo ogni progetto e siamo alla continua ricerca di 104
Carlo Simonetti, direttore creativo Simonetti Studio
nuovi modi di essere agenzia. I ruoli rigidi e immutabili dell’agenzia di un tempo che continua a crescere con l’aumentare del fatturato non fanno per noi. Il nostro assetto attuale ci consente di affrontare iniziative e campagne, anche molto delicate, strutturando e adattando il gruppo di lavoro intorno al progetto
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SIMONETTI STUDIO Via Mentana, 9 -10133 Torino Tel. 011 6601411 – Fax 011 6314904 info@simonettistudio.com www.simonettistudio.com
Board di direzione. Carlo Simonetti, titolare e direttore creativo; Milva Tasinato, responsabile amministrativo; Valentina Faussone, responsabile d’agenzia. Clienti. Amiat, Arforma, Arpa Piemonte, Barricalla, Cidiu, Colombini, Confservizi Piemonte, Jet Nails, Kaffa, Crai, Ferrero, Prontospesa, Safet, Sealy, Smat, Soremartec, Stievani.
La comunicazione ambientale è il campo in cui Simonetti Studio ha maturato le maggiori esperienze: nella foto, una locandina sulla raccolta differenziata dei rifiuti organici per PuntoAmbiente, parte di una campagna che ha previsto anche folder informativi, un sito e un dvd
e non viceversa. Spesso ci appoggiamo a consulenti esterni o a esperti del settore specifico per integrare le competenze mancanti o per verificare la correttezza delle proposte. Che cosa vuol dire per voi ‘comunicazione sostenibile’? Di quali aspetti della CSR vi occupate in modo particolare e in quali fasi del processo aziendale intervenite oltre alla vera e propria comunicazione dei progetti? Il nostro ruolo è spesso quello di aiutare l’azienda a raggiungere uno stadio di
Nell’ambito della sostenibilità Simonetti Studio ha ideato assieme agli organizzatori l’associazione “Vado al minimo” per la promozione di stili di vita incentrati sul risparmio energetico. L’agenzia cura ogni anno l’organizaazione e l’immagine coordinata del Concorso fotografico “Ecofocus”, oltre ad aver creato “Chiaro e Tondo”, un ciclo di incontri sul tema dello smaltimento dei rifiuti, a cui ha fatto seguito il programma “Terra Terra”. In ambito più strettamente amministrativo Simonetti Studio ha collaborato e collabora con varie aziende nella progettazione di iniziative legate al tema della sostenibilità e della responsabilità sociale d’impresa e nella realizzazione dei bilanci di sostenibilità.
consapevolezza maggiore e di saper valorizzare ciò che già sta facendo. La comunicazione ambientale è sicuramente il campo dove abbiamo maturato le maggiori esperienze. Una comunicazione sostenibile rispetta innanzitutto chi la recepisce: ne comprende le aspettative, ne rispetta i valori ed espone con chiarezza i fatti. La comunicazione deve essere sostenibile anche nei mezzi, negli strumenti che si scelgono per raggiungere i destinatari. Oggi è finalmente possibile con un investimento contenuto raggiungere risultati un tempo 105
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percezione da parte dell’opinione pubblica per misurare il livello di gradimento dell’azienda e dei servizi che offre.
Simonetti Studio ha operato il restyling integrale dell’immagine coordinata di Barricalla, un impianto modello nella provincia di Torino che si occupa di smaltimento di rifiuti pericolosi. In questo caso, oltre alla realizzazione di materiali per una costante e puntuale informazione e al nuovo sito web, l’agenzia ha realizzato anche un vero e proprio film in forma di talk show
impensabili. Per questo ritengo che un’agenzia che si occupi onestamente di sostenibilità debba essere in grado di amministrare con estrema attenzione ogni centesimo del budget per non sprecare le risorse che le sono state destinate. Per tutta la comunicazione, e ancor più in questo specifico settore, uno degli aspetti fondamentali è la misurazione dei risultati. Quali strumenti utilizzate a questo fine? Come è possibile calcolare il ‘Roi’ di un investimento in questo ambito? Non sempre è possibile. In questo specifico ambito, non sono le vendite a testimoniare il successo di una campagna o di un’operazione di riposizionamento. È possibile comunque utilizzare alcuni indicatori per registrare mutamenti di abitudini e assunzione di comportamenti virtuosi da parte del pubblico. Alcuni nostri clienti fanno ricerche sulla 106
Quali sono, secondo voi, gli errori più comuni, i veri e propri ‘peccati’ da evitare nell’ambito di una comunicazione realmente sostenibile e responsabile? O ribaltando la domanda: quali le regole da seguire per una comunicazione efficace senza cadere nel rischio del cosiddetto ‘greenwashing’? Personalmente, parlando come cittadino e come consumatore prima ancora che come pubblicitario, mi sento offeso quando una compagnia petrolifera, per esempio, fa campagne milionarie col pretesto di elargire consigli banali sul risparmio energetico. O quando vengono attribuiti nomi improbabili a prodotti o a operazioni commerciali che di ecologico hanno appunto soltanto il nome. Spesso l’impegno che viene esternato in comunicazione da simili aziende è direttamente proporzionale ai loro sensi di colpa: greenwashing, appunto. La prima regola d’oro è avere qualcosa di sostanziale da comunicare, cosa molto più frequente di quanto si creda. Moltissime imprese oggi sono profondamente consapevoli della loro responsabilità sociale e della ricaduta delle loro scelte imprenditoriali. Spesso, però, le più virtuose sono anche le più restie a parlarne. Perché non vedono il proprio impegno etico come un fattore da comunicare, spesso determinante, nell’orientare le scelte dell’utilizzatore finale dei loro servizi. Tre regole fondamentali sono: profonda conoscenza dell’argomento, linguaggio asciutto e chiaro e stile essenziale. Fermo restando che ogni iniziativa ha, di volta in volta, obiettivi diversi, parlando di media quali sono a vostro parere i più adatti per la comunicazione della sostenibilità di un’impre-
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sa? Per quali ragioni? Lo stile dell’impresa va valutato attentamente perché rivelatorio dei valori in cui crede davvero. In un certo senso è un mezzo di comunicazione al pari degli altri. Parlando di mezzi veri e propri internet è il più sostenibile: economico, sempre disponibile, aggiornabile in ogni momento. In grado di mirare con assoluta precisione o di diffondere i suoi messaggi contaminando aree vastissime. Un discorso a parte meriterebbero canali più informali come ambient e guerrilla: operazioni di comunicazione in cui lo stesso territorio viene posto in primo piano. Panchine, marciapiedi, edifici, fermate di autobus o metropolitana possono essere utilizzati non tanto come supporti, ma come protagonisti della comunicazione. Per concludere, vi chiediamo di illustrare una vostra recente case history, spiegando dettagliatamente il brief e gli obiettivi iniziali, a quali stakeholder si è rivolta, il metodo utilizzato e i risultati raggiunti... Un caso significativo è stato quello di ‘Chiaro e tondo’. A pochi chilometri dalle case degli abitanti di un’area specifica del torinese sarebbe sorto un termovalorizzatore. Un inceneritore. Avremmo avuto a che fare con prevedibili atteggiamenti ‘Nimby - Not-in-my-backyard’. Per questo si decise di affrontare il problema evitando un’opera di persuasione, ma mettendosi a disposizione degli abitanti. La società TRM, Trattamento Rifiuti Metropolitani, rappresentata dai suoi amministratori, decise coraggiosamente di investire la sua credibilità mettendosi a disposizione degli abitanti. Venne organizzato un ciclo di conferenze itinerante nei quartieri e nei comuni interessati. In ogni incontro veniva affrontato un singolo tema, andando così a chiarire tutti gli argomenti connessi all’attività del termovalorizzatore e rispondendo alle legittime ansie dei cittadini. Il
Mailing per il progetto ‘Chiaro e tondo’ ideato e realizzato da Simonetti Studio per la società TRM, Trattamento Rifiuti Metropolitani. Insieme ad affissioni e annunci stampa, la campagna pubblicizzava un ciclo di conferenze itinerante nei quartieri e nei comuni interessati alla costruzione di un nuovo termovalorizzatore, instaurando con la popolazione un dialogo aperto e sincero
coraggio fu proprio nell’esporsi anziché difendersi. Studiammo un nome semplice e memorizzabile per l’iniziativa, che ne esprimesse il significato sintetizzandone i valori. ‘Chiaro e tondo’, appunto. Il logo doveva esprimere semplicità e trasparenza oltre alla ovvia riconoscibilità e immediatezza. A questo punto, la campagna pubblicitaria - affissione statica, dinamica e stampa - non avrebbe enfatizzato gli aspetti positivi dell’impianto, ma si sarebbe limitata a pubblicizzare gli incontri. Da segnalare che il risultato fu esemplare. Un vero successo di comunicazione: la partecipazione fu intensa ed estremamente civile, tranne un solo caso di palese boicottaggio, tutti gli incontri si svolsero in un clima positivo in cui le competenze dei relatori riuscirono a colmare vuoti di informazione o a correggere pregiudizi. 107
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Una vision strategica Per UM, la comunicazione sostenibile parte da una visione strategica e non si esplica solo attraverso operazioni tattiche mirate a una serie di ‘buone azioni’ per migliorare la reputazione aziendale. Perché i consumatori la percepiscano come efficace, inoltre, occorre andare oltre l’awareness e mettere in piedi un progetto concreto e tangibile.
INTERVISTA a Gianfranco Piccolo, amministratore delegato UM. Come e quando è nato il vostro interesse per la comunicazione della sostenibilità e della responsabilità d’impresa? Come è strutturata la vostra agenzia per rispondere alle esigenze delle aziende in questo campo? Per quel che mi riguarda la Csr è uno degli aspetti della comunicazione che da moltissimi anni mi coinvolge. E con UM ci siamo avvicinati al mondo della sostenibilità d’impresa per curiosità, fedeli al nostro posizionamento (curious minds for surprising results) e spinti dalle richieste e dalle domande sempre più frequenti di alcuni dei nostri clienti. Sul piano strutturale non abbiamo una divisione vera e propria dedicata al sostenibile: tutta quanta UM guarda alla Csr come all’opportunità concreta per le aziende di prendere parte a un cambiamento epocale. È vero però che la nostra unit Unconventional Media si sta strutturando per captare e realizzare progetti centrati sulla sostenibilità. Che cosa vuol dire per voi ‘comunicazione sostenibile’? Vuol dire comunicare le decisioni di un’azienda in una vision strategica e non attraverso operazioni tattiche mirate a una serie di ‘buone azioni’ per migliorare la propria reputazione. 108
Gianfranco Piccolo, amministratore delegato UM
Vuol dire anche andare oltre l’awareness e mettere in piedi un progetto concreto, tangibile per i consumatori. Sono loro la chiave del successo e con loro la comunicazione sostenibile necessita più che mai di essere efficace per non correre il rischio di essere percepita come un atteggiamento di nicchia, costoso, gratificante individualmente ma inefficace dal punto di vista collettivo. La comunicazione sostenibile costituisce l’opportunità per uscire dalla crisi,
um
UM Via Valtellina, 15/17 - 20159 Milano Tel. 02 0066041 - Fax 02 85292605 Via dei Magazzini Generali, 18/20 - 00154 Roma Tel. 06 50099265 Fax 06 57289253 info@universalmccann.it www.universalmccann.it
Board di direzione. Graham Duff, presidente; Gianfranco Piccolo, amministratore delegato; Alessandra Giaquinta, direttore generale; Marco Rapuzzi, direttore finanziario. Lo spazio MyFuture. Il Temporary shop Vodafone in Corso Garibaldi a Milano
dando alle aziende le basi per ricreare un rapporto di fiducia con la società. Quali sono, secondo voi, gli errori più comuni, i veri e propri ‘peccati’ da evitare nell’ambito di una comunicazione realmente sostenibile e responsabile? Un’azienda non può certo pensare di entrare in un tema così attuale, delicato e distintivo solo per seguire un trend del momento. Sarebbe un atteggiamento poco utile che per primi i consumatori troverebbero inappropriato. Credo che nella comunicazione sociale deve valere ancora di più la regola della chiarezza e della trasgressione. Bisogna essere chiari sugli obiettivi sostenibili che un’azienda si pone, condividerli altrettanto chiaramente con i media e i consumatori, perseguire tali obiettivi nel medio/lungo termine senza l’ansia di ottenere risultati a brevissimo tempo. Per concludere, vi chiediamo di illustrare una vostra recente case history, spiegando detta-
gliatamente il brief e gli obiettivi iniziali, a quali stakeholder si è rivolta, il metodo utilizzato e i risultati raggiunti... Parliamo del primo Temporary Shop Vodafone. Il brief ci aveva posto un unico grande obiettivo: raccontare My Future, il progetto di Vodafone che raccoglie le iniziative per un business responsabile e a tutela dell’ambiente. La nostra strategia ha voluto che Vodafone raccontasse vis a vis ai suoi clienti il suo impegno concreto nella responsabilità sociale, facendo toccare con mano i risultati già ottenuti e quelli prefissi. L’approccio seguito è partito dall’individuazione del territorio come mezzo più adatto, arrivando alla ricerca del luogo/hot spot più idoneo per avvicinare meglio il nostro target. Lo abbiamo voluto coinvolgere con un Temporary Shop interattivo e ricco di contenuti, sfruttando tutte le opportunità che questo media poteva offrirci. L’operazione è durata 11 giorni a Milano ed ha avuto: migliaia di visitatori, più di 1.000 cellulari riciclati, decine di biciclette Vodafone MyFuture vinte riciclando il proprio telefonino, 3 laboratori sul riciclo creativo con le scuole (50 bambini per laboratorio), centinaia di eco-bag (ricavate ri-utilizzando il PVC delle affissioni Vodafone) vendute per la raccolta fondi MyFuture destinata alla costruzione di pannelli fotovoltaici per le scuole elementari e medie d’Italia. 109
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17-04-2009
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