NC Speciale Brand Idendity

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Allegato alla rivista NC dicembre-gennaio 2011 n°27 Società Editrice ADC Group

Poste Italiane Spa - Spedizioni in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004) Art. 1 comm. 1 DCB Milano

il giornale della nuova comunicazione


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LA MARCA RITORNA REGINA In uno scenario caratterizzato da una crescente frammentazione dei media e dall’elevata ripetibilità dei prodotti e servizi sempre più facilmente ‘clonabili’, il campo dove si gioca la vera partita, per conquistare e fidelizzare il consumatore, è quello della marca. È attraverso di essa che è possibile distinguersi dai competitor, sottolineando la propria unicità e specificità. Per ottenere questo risultato differenziante appare necessario possedere un’adeguata Brand Identity, che sappia comunicare in maniera efficace attraverso i mezzi tradizionali, i nuovi canali digitali, e attraverso il punto vendita, ambiente sempre più determinante nella veicolazione dei valori della marca. Insomma, aumenta la complessità e, allo stesso tempo, aumenta il ‘rumore’ che assedia le marche. Un ‘rumore’ generato anche dagli stessi consumatori, che oggi possono interloquire con i brand e avere una voce determinante nella loro reputazione. Avvalersi, dunque, dei professionisti più competenti nella creazione della Brand Identity è semplicemente indispensabile. In questo contesto, nasce un nuovo prodotto editoriale collegato a NC, uno Speciale che, insieme ai protagonisti del settore, intende fare il punto sull’argomento. Abbiamo svolto un’indagine sulle più efficaci operazioni di costruzione e rimodulazione dell’identità della marca, cercando il modo in cui essa si pone nei confronti della strategia complessiva di comunicazione. Un rapporto che deve essere regolato da una legge fondamentale: la coerenza. Nel senso che qualsiasi forma o iniziativa di comunicazione non coerente con i codici visivi, testuali ed evocativi dell’identità di marca finirebbe col ridurre l’efficacia della comunicazione stessa. Inoltre, data la natura multidimensionale del concetto di marca, questo Speciale non poteva non affrontare il tema della percezione che i consumatori hanno della marca e della sua identità. Diventa indispensabile, quindi, parlare ‘brand image’ e di ‘brand loyalty’. Aspetti che abbiamo approfondito con l’ausilio dei più autorevoli strumenti di indagine disponibili sul mercato. A cominciare dalla classifica BrandZ che, realizzata ogni anno da Millward Brown, misura l’equity di migliaia di marche a livello globale e raccoglie il feedback di più di un milione di consumatori nel mondo. Passando per il Brand Asset Valuator (Bav) dell’agenzia Y&R Brands, che valuta lo stato di salute di una marca tramite la combinazione di quattro percezioni dei consumatori: Diversità, Rilevanza, Stima e Familiarità. Fino allo studio Best Global Brands che, presentato annualmente da Interbrand, classifica i 100 brand globali a maggiore valore economico. Senza trascurare il Country Brand Index di FutureBrand, che interpreta le nazioni come fossero brand. Il nostro impegno in questo ambito non finisce qui. Vi comunicheremo presto le nostre prossime iniziative. Nel frattempo buona lettura e buon 2011. Salvatore Sagone direttore responsabile e presidente ADC Group

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SCENARIO

a cura di Mario Garaffa

06_LA SPINA DORSALE DEL BRAND

36_BESANOPOLI LA BOUTIQUE PER BRAND

39_BRUNAZZI&ASSOCIATI

11_CRISI E STRATEGIE DI BRANDING

RISPOSTE IMPREVEDIBILI

14_INTERBRAND_ IL DIGITALE INSEGUE COCA-COLA

UNA TIGRE IN GIACCA E CRAVATTA

20_MILLWARD BROWN_ TECNOLOGIA, TRIONFO WORLDWIDE

STUPIRE CON INTELLIGENZA

24_Y&R_ VALORI DI TASCA E DI NIDO

46_CARRÉ NOIR

27_ITALIA. BEL PAESE, CATTIVA IMMAGINE

48_FUTUREBRAND

28_ENI_IDENTITÀ DINAMICA

40_CABIRIA BRANDUNIVERSE 42_CACAO DESIGN 58_META IDEA IL VALORE DELLA MARCA

44_CARMI E UBERTIS

60_RBA

IMMAGINARE IL FUTURO

APPROCCIO MULTIVITAMINICO

62_SIGNDESIGN

LA MAGIA DEI SEGNI

SPECIALIZZAZIONE3 TRADURRE I TREND IN STRATEGIE

50_INAREA

64_SYNESIA CREATIVI ‘CON CRITERIO’

66_UNIVISUAL

30_MOLTO PIÙ DI LUOGHI DI VENDITA

REGISTI DI SE STESSI

32_LA RESPONSABILITÀ SOCIALE CONVIENE

IL MOTORE DEL CAMBIAMENTO

68_VITTORIO MANCINI & ASSOCIATI

54_LUMEN

L’ATELIER DEL DESIGN

I PLAYER

a cura di Marina Bellantoni

LA CULTURA DEL BRANDING

52_LANDOR

DIALOGO E RISULTATI

EPPUR È BRAND

34_ARTEFICE

57_MAD

INTEGRAZIONE E CREATIVITÀ

ESTRO PRAGMATICO

70_BRAND RESPONSIBILITY

DIRETTORE RESPONSABILE

ACCOUNT MANAGER

COORDINAMENTO EDITORIALE

Alessandra Cellina alessandra.cellina@adcgroup.it Elisabetta Zarone elisabetta.zarone@adcgroup.it Andrea Gervasi andrea.gervasi@adcgroup.it (Roma)

Salvatore Sagone salvatore.sagone@adcgroup.it Marina Bellantoni marina.bellantoni@adcgroup.it

ABBONAMENTI

REDAZIONE

Mario Garaffa mario.garaffa@adcgroup.it

Paola Morello paola.morello@adcgroup.it (Resp.) Paola Antonacci paola.antonacci@adcgroup.it

SEGRETERIA DI REDAZIONE

MARKETING E COMUNICAZIONE

Francesca Chittaro francesca.chittaro@adcgroup.it

marketing@adcgroup.it

ART DIRECTION E REALIZZAZIONE

Marzia Bevilacqua marzia@be-studio.it

PERIODICO MENSILE

HANNO COLLABORATO

allegato al n° 27 dic-gen 2011 reg. trib. di Milano n° 93 del 20/02/2007

Chiara Pozzoli.

SOCIETÀ EDITRICE ADC GROUP srl presidente: SALVATORE SAGONE; amm. delegato: GIULIO BORTOLUSSI Red. e pubbl.: via Fra Luca Pacioli, 3 - 20144 Milano tel: +39 02 83102315/6 fax: +39 02 36592735 info@adcgroup.it Sede legale: via Freguglia, 2 - 20122 Milano NC© Copyright 2009 ADC Group srl

DIRETTORE COMMERCIALE

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ACCOUNT DIRECTOR

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FOTOCOMPOSIZIONE E STAMPA Lasergrafica Polver via Kramer, 17/19 - 20129 Milano Finito di stampare nel mese di dicembre 2010 Progetto grafico: Davide Lopopolo

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LA SPINA DORSALE DEL BRAND INIZIAMO QUESTO SPECIALE PARTENDO DALLA DEFINIZIONE DEI CONFINI CHE CARATTERIZZANO IL CONCETTO DI BRAND IDENTITY. INSIEME AI PROTAGONISTI DEL SETTORE FAREMO IL PUNTO SULL’ARGOMENTO, SULLE ANALISI DISPONIBILI PER UNA CORRETTA VALUTAZIONE DELLA MARCA, TENENDO CONTO ANCHE DI VARIABILI COLLEGATE, COME LA BRAND IMAGE E LA BRAND EQUITY. INOLTRE, RAGIONEREMO SU COME GLI APPROCCI ETICI INFLUENZINO LA BRAND IDENTITY E SUL RUOLO RILEVANTE SVOLTO DAI PUNTI VENDITA NELLE STRATEGIE DI BRANDING.

Per formarsi, crescere, affermarsi, o anche solo per sopravvivere, occorre differenziarsi. Nel campo delle marche, questo significa darsi una particolare brand identity. Quest’ultima sta a monte di tutto, precede i prodotti e i servizi della marca, così come qualsiasi forma di marketing. La brand indentity, per dirla con Gaetano Grizzanti, fondatore e brand strategy director Univisual e docente di branding dal 1988 in diverse università e istituti italiani, “è un insieme di codici comunicativi che caratterizzano l’interfaccia linguistica di una marca”. Si tratta, fondamentalmente, di ‘codici vi-

sivi’, caratterizzati da specifici colori, un certo logo o un carattere tipografico; ‘codici testuali’, come un nome, un pay off o un messaggio da trsmettere; e ‘codici evocativi’, che rimandano a un mondo meta-

Cabiria ha ridisegnato il marchio Yamasushi, riposizionando il brand da ‘food’ a ‘lifestyle’ e puntando sull’ampliamento delle occasioni di consumo

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forico da trasmettere, a sensazioni da comunicare. Parlare di brand identity significa immergersi nel linguaggio di una marca, affrontare il modo in cui essa si pone nei con-


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della sua identità. Introducendo, quindi, l’aspetto qualitativo delle immagini, delle idee, delle conoscenze e delle aspettative che i consumatori sviluppano in riferimento a una certa marca. Senza trascurare la ‘brand equity’, che è il valore della marca, o meglio, per dirla con Marco Lombardi, presidente Y&R Italia, “il valore che il consumatore annette al percepito di una marca, rimandando a un misto di atteggiamenti e comportamenti, che riguardano anche la ‘brand loyalty’”, ossia il grado di fedeltà dei consumatori nei confronti della marca, e la loro disponibilità sia a ripetere l'acquisto rifiutando di comprare i prodotti dei concorrenti sia a raccomandare il prodotto a terzi. Si tratta di dimensioni e variabili diverse, ma così profondamente connesse che, non certo a caso, un altro esperto del tema, Antonio Marazza, amministratore delegato Landor, suggerisce di considerare superate alcune definizioni e di utilizzare il più semplice termine ‘branding’, “che si riferisce a tutte le attività che investono la marca, sia dal punto di vista concettuale sia da quello della sua espressione”.

Il punto vendita come luogo cruciale nelle strategie di branding. Nespresso si è affidata a FutureBrand per ‘vestire’ le sue vetrine

fronti del mondo esterno, del pubblico. “Il brand - afferma Grizzanti - è un’entità che diventa concreta nel momento in cui inizia a porsi sul mercato grazie alla brand identity. Senza brand identity, una marca non sarebbe tangibile”.

Data la natura multidimensionale del concetto di marca, occorre precisare che il presente Speciale affronta il tema della brand identity analizzandolo in rapporto ad altre variabili collegate, che assieme contribuiscono a definire il profilo di un certa marca. Se infatti la ‘brand identity’ è la carta d’identità di una marca, la fotografia di ciò che un brand è, e rimanda a ciò che l’impresa vorrebbe che i consumatori percepissero in riferimento a quel particolare brand, dall’altra parte c’è anche la ‘brand image’, che ha che vedere con la percezione che i consumatori hanno della marca e

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Non c’è comunicazione efficace senza brand identity Vera e propria spina dorsale della marca, la brand identity svolge dunque un ruolo centrale nel definire le strategie e le mosse dell’azienda sul mercato, influenzando anche le linee guida della comunicazione. Per comprendere quale sia la natura del rapporto tra brand identity e comunicazione, occorre tener presente che la prima precede e influenza la seconda. O meglio, senza un’adeguata e preliminare definizione e presa di coscienza dei tratti distintivi della prima, la seconda perde inevitabilmente di efficacia. Qualsiasi forma o iniziativa di comunicazione deve infatti essere coerente con i codici visivi, testuali ed evocativi della brand identity, altrimenti, se così non fosse, si rischierebbe solo di buttare via i soldi investiti, o quantomeno di abbassare il valore performante della comunicazione stessa. Come afferma Pietro Rovatti, socio fon-


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datore e direttore creativo corporate branding Lumen, “non possiamo più considerare la brand identity come una parte della strategia di comunicazione, va intesa piuttosto come l’inizio di tutta la strategia stessa, espressione autentica e duratura del posizionamento della marca. Mi è capitato, in certe occasioni, di assistere a riposizionamenti della marca che sono iniziati tramite attività di advertising, e solo dopo ci si è concentrati sull’identità del brand. Una vera follia”. Sulla stessa linea anche Ilaria Scardovi, amministratore delegato Carré Noir, la quale sottolinea che il rispetto delle brandguidelines individuate assume un’importanza centrale nelle iniziative di comunicazione, e ancora di più in uno scenario, come quello attuale, caratterizzato dalla multicanalità. Inoltre, aggiunge Scardovi, la brand identity è “l’essenza della marca, la sintesi dei suoi valori, il primo modo attraverso il quale si crea un rapporto con il pubblico. Come suggerisce il termine stesso, senza ‘identity’ non si può essere identificati sul mercato”, la sua definizione ed esplicitazione è il modo per essere riconosciuti, e quindi scelti dai consumatori. Sì perché, come afferma Alberto Zavatta, general manager Vittorio Mancini & Associati, la brand identity corrisponde “all’essenza della marca, non solo un logo, un pack, un’immagine, un colore identificativo o un elemento simbolico capace di ricondurre ai valori del brand, bensì un vero e proprio ‘percorso’ attraverso i valori della marca, che sia in grado di toccare l’emozione del consumatore”. La brand identity è il cuore della strategia aziendale, l’insieme delle linee guida filosofiche e concettuali tramite le quali parlare al mondo esterno. Ma, come aggiunge Zavatta, vista la sua importanza, prima ancora che all’esterno la brand identity deve essere condivisa internamente, dal management direzionale e da tutte le persone che orientano il messaggio della comunicazione. La questione chiave, sostiene Marazza (Landor Milano), è che “le aziende si so-

no rese conto che, quasi sempre, un semplice posizionamento o una copy strategy non possono guidare la costruzione della marca nel lungo periodo attaverso molteplici discipline di comunicazione. È invece indispensabile mettere a fuoco una strategia e una idea di marca ‘channel neutral’, in grado di guidare e ispirare l’attività non solo dell’advertising ma anche del Crm, delle relazioni pubbliche e istituzionali, e l’intera esperienza di marca con cui si interagisce con il consumatore, online e in ambienti fisici. Ideare e tenere tutto questo sotto control-

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Eni ha affidato l'immagine corporate e la comunicazione dei valori istituzionali alla creatività di giovani talenti. Nella foto: l'annuncio stampa firmato Kazuko Nomoto

lo è oggi il ruolo del branding”. Come evidenziato da Mauro Pastore, direttore creativo e socio fondatore Cacao Design, il modo in cui un’azienda si presenta agli occhi dei consumatori - dal marchio al sito, passando per la brochure, il tone of voice e l’immagine complessiva - ha un ruo-


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All’inizio del 2010 il Consorzio per la tutela del Franciacorta ha deciso di rivedere la propria identità in modo da valorizzare un’immagine di elevata qualità e la credibilità presso i consumatori

lo focale nella strategia di comunicazione, in quanto sono i valori a determinare ogni scelta strategica e di posizionamento. E ogni scelta deve essere coerente e coordinata prima di tutto con i valori della marca. Inoltre, nel sottolineare il ruolo svolto dal-

lo strategic brand design, Fabrizio Bernasconi, senior partner & managing director Rba Branding & Design, ricorda che “loghi, naming, company profile e packaging sono gli elementi base dell’identità di marca. Si tratta di elementi durevoli nel tempo, che richiedono necessariamente una solida base strategica che identifichi i valori che la marca dovrà comunicare. Ecco quindi che le competenze strategiche rappresentano un corretto e indispensabile processo di creazione di brand identity”. Tuttavia, visto che la definizione di brand identity, nel corso del tempo, si è sempre più dilatata, per effetto di una sorta di ‘stretching concettuale’ spesso indebito, Alessandra Iovinella, chief growth officer FutureBrand, sottolinea che “il punto di

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partenza corretto resta comunque il cosiddetto ‘BrandWorld’, cioè i caratteri pregnanti e più significativi dell’immagine di marca: la palette cromatica, la tipografia, lo stile visivo, i segni grafici, i materiali e le forme. Il BrandWorld prenderà poi vita attraverso la sua espressione su tutti i touch point nelle diverse aree di riferimento corporate, prodotto, retail e web. Un insieme di applicazioni molto ampio che, nella sua totalità, costituirà la brand identity di una marca. Molto più, quindi, del semplice disegnare un logo”. Non c’è identità senza relazione Secondo Francesca Abate, new business development manager Mad, la brand identity guadagna oggi un valore ancora mag-


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Per il lancio di ProFamily, Banca Popolare di Milano si è affidata a Univisual, che ha curato un sistema di branding a 360 gradi, dalla modalità di porsi sul mercato alla scelta del marchio e del payoff

giore, “perché le aziende hanno finalmente capito quanto un brand forte, e percepito come tale, possa consentire di affrontare con minori difficoltà un periodo di crisi, come quello che abbiamo vissuto negli ultimi due anni e dal quale stiamo faticosamente uscendo”. E infatti, continua Abate, l’attenzione alla rappresentazione visiva, testuale e valoriale della marca è sempre più alta, in quanto vissuta come un potente strumento di comunicazione nei confronti dei propri target. Il concetto espresso da Abate evidenzia quanto importanti siano, in questo discorso, le dinamiche relazionali. Come ricordato da Francesco Mastro, presidente Artefice Group, i consumatori chiedono alle marche maggiore coinvolgimento, collaborazione, moltiplicazione dei punti di contatto e costruzione di una relazione. “La marca - ricorda Mastro - non è più solo dell’azienda che la possiede, è anche di chi la consuma, ovvero i consumatori, i quali, proprio per questo, voglio-

no partecipare al processo evolutivo legato all’identità della marca stessa”. Un processo sempre più dinamico, che supera gli approcci verticistici e monodirezionali, per coinvolgere gli utenti in incessanti processi dialogici. Ecco perché, sostiene Mastro, la brand identity “deve diventare, sempre più, il cuore della ‘messa in scena’ del sistema marca. Il compito di chi costruisce sistemi di comunicazione è quello di avere un approccio non più segmentato e diviso in compartimenti stagni, ma una visione complessiva della strategia della marca. Tutti i punti e i momenti di contatto devono, infatti, portare una firma unica e riconoscibile, e devono saper ricondurre l’esperienza vissuta, sia essa l’acquisto e il consumo di un prodotto o la navigazione su un sito web o un’attivazione sul territorio, a una identità chiara, coesa e unica in ogni sua forma di espressione. Above, below, cross e through the line sono suddivisioni sorpassate, la base di partenza è un territorio unico in grado di crea-

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re forme espressive di comunicazione, che utilizzano canali diversi ma che hanno un obiettivo condiviso”. Sulla stessa lunghezza onda anche Valentina di Robilant, socio e responsabile produzione Besanopoli, che sottolinea come “nei dieci anni del nuovo millennio, i consumatori siano diventati ‘utenti’ della marca, con la quale dialogano, flirtano e bisticciano. L'immagine che si ha di un brand non è più solo quella creata dalla reclame del prodotto, ma è frutto dell'insieme delle azioni che una marca mette in opera. Inoltre, non è un caso che oggi la pubblicità sia sempre meno sul prodotto, che cambia ogni giorno, e sempre più sulla sua marca, che rimane e si evolve”. Con il passare del tempo, afferma Carlo Aliverti, socio Carmi e Ubertis, “le aziende hanno compreso sempre più l’importanza delle percezioni che i consumatori hanno di una marca e quanto ciò possa influire sul valore economico di una azienda. Non è un caso, infatti, che oggi si parli sempre di più di investimenti sulla marca piuttosto che di costi di marketing”. La strategia di marca è fondativa e impone all’azienda di prefigurare un percorso verso il miglior futuro possibile. “Una volta definito l’obiettivo - continua Aliverti - si può pensare a come arrivarci e considerare così anche la migliore strategia di comunicazione. È un percorso estremamente logico, e il risultato è un risparmio delle risorse”. nc


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CRISI E STRATEGIE DI BRANDING QUALCOSA DI BUONO LA CRISI ECONOMICA L’HA PORTATO, ALMENO NEL CAMPO DELLA BRAND IDENTITY. NON POTENDO PIÙ VIAGGIARE SU PARAMETRI POCO SOSTENIBILI, LE IMPRESE HANNO AVVIATO UN RIPENSAMENTO DELLE LORO STRATEGIE, A COMINCIARE DA UNA RIMODULAZIONE DELLE OPERAZIONI DI BRANDING. SI È COMPRESO, IN PARTICOLARE, CHE SENZA UN’ADEGUATA RAZIONALIZZAZIONE DEI PROFILI IDENTITARI E VALORIALI DELLA MARCA, QUALSIASI INIZIATIVA RISULTEREBBE SFOCATA.

Viviamo in un’epoca in cui è sempre più difficile differenziarsi tramite i prodotti e i servizi che si offrono sul mercato, perché tutto è diventato facilmente ‘clonabile’, ripetibile. E può capitare, con facilità, che un competitor diretto proponga prodotti e servizi, magari non identici, ma facilmente percepibili come equivalenti. Ma allora qual è il campo in cui si gioca la vera partita per conquistare e fidelizzare i consumatori? Si tratta dell’unico ambito in cui è davvero possibile distinguersi da tutti gli altri, sottolineando la propria unicità e specificità. È il campo della marca.

Ma per ottenere questo risultato differenziante occorre attivare specifiche ed efficaci operazioni di costruzione o rimodulazione della brand identity, basate su una serie di passaggi fondamentali. Strategie ancora più importanti in un periodo, come quello attuale, condizionato dagli effetti della crisi economica, che ha ridimensionato le capacità di spesa delle aziende.

Artefice ha affiancato Findus nella creazione della nuova identità visiva di 4 Salti in Padella

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Lo scenario di maggiore austerity in cui si muovono le imprese impone, infatti, la necessità di valutare con maggiore attenzione ogni investimento, compresi quelli nel campo del branding. Riprendendo alcune considerazioni di Grizzanti (Univisual), il primo passaggio da realizzare per una corretta operazione di brand identity consiste in un’attenta analisi dello status e del vissuto dell’azienda,


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Per riaccendere il desiderio dei consumatori nei confronti di Citroën, Landor ha sviluppato un ‘look and feel’ che valorizza i due valori chiave della casa automobilistica: creatività e tecnologia

il che significa individuare i valori fondamentali che fino a quel momento hanno caratterizzato la marca, e come essi siano stati comunicati sul mercato. La seconda fase, quella più pedagogica, prevede di lavorare “sul creare consapevolezza, all’interno dell’azienda su cosa significhi evolvere il modello di business in una mentalità orientata al brand”. Si tratta di un’attività che deve essere realizzata e condivisa con il management direzionale, perché non c’è brand identity che tenga se il vertice aziendale non ha capito in quale direzione si sta procedendo e perché lo si sta facendo. Il terzo momento è quello in cui si definiscono, concreta-

mente, i cambiamenti da effettuare e si razionalizza la brand equity, cioè il (nuovo) patrimonio valoriale della marca, che può confermare o trasformare gli elementi che erano emersi nel corso della prima fase. Poi, nella quarta fase, si definiscono le linee guida che la creatività dovrà seguire per realizzare forme di comunicazione coerenti con la mappa dei valori del brand. È sulla base di queste linee guida che, per esempio, qualora ce ne fosse bisogno, saranno realizzati tutti gli elementi distintivi del brand, dal nome al logo, passando per il pay off, senza trascurare l’iconografia, il carattere tipografico o la cura e concettualizzazione dei punti vendita. Il quinto e ultimo stadio consiste nella messa in opera concreta del processo creativo, per individuare le soluzioni che traducano quanto definito nelle fasi precedenti. D’altra parte, come sottolinea Zavatta (Vittorio Mancini & Associati), per la costruzione di un’identità di marca solida è fondamentale che l’impresa sviluppi un’ade-

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guata ‘visione strategica’, che abbia “sempre presente lo scenario competitivo, tenendo in considerazione l’evoluzione dei trend, e prestando attenzione alle dinamiche del ‘consumer behaviour’. In questo discorso, la creatività è centrale nella misura in cui sia in grado di interpretare l’idea e l’essenza del brand. Non, dunque, una creatività puramente estetica, bensì una creatività che interpreti le attese del consumatore”. La partita per influenzare il processo di acquisto a favore di una certa marca si gioca proprio qui, e consiste nella capacità del brand di entrare a far parte del lifestyle del singolo consumatore, completandone e arricchendone l’esperienza quotidiana, a prescindere dal prodotto o servizio comperato. Anche perché, come ricorda Marazza (Landor Milano), “l’impatto del branding nel processo d’acquisto è elevatissimo soprattutto nel caso del packaging e della esperienza online: si pensi ai pochi secondi che il consumatore passa mediamente davanti allo scaffale o davanti a una scher-


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mata prima di decidere se passare oltre o considerare l’acquisto. In quel momento non si possono fare errori”. Se la crisi porta qualcosa di buono In questo scenario, caratterizzato dalla messa in opera di complesse strategie di definizione dell’identità dei brand, si può dire che la crisi economica, per un volta, anziché far danni, abbia svolto un ruolo sostanzialmente positivo, o almeno costruttivo. La questione centrale è che l’assestamento imposto dall’esplodere della crisi ha favorito l’avvio di salutari operazioni di riflessione sulle modalità in cui le imprese si pongono nei confronti del mondo esterno, a cominciare dai profili identitari e valoriali dell’azienda, che a loro volta condizionano tutto il resto, dall’organizzazione dell’impresa alla modalità di porre un prodotto sul mercato, passando per le strategie di comunicazione da adottare. “La crisi - afferma Scardovi (Carré Noir) è stata per molte aziende un’occasione per ripensare criticamente i propri valori e i propri obiettivi, attraverso riflessioni strategiche che spesso portano a una evoluzione del brand”. Inoltre, aggiunge Iovinella (FutureBrand), “è proprio in periodi difficili che si deve cogliere l’occasione per valutare l’immagine delle proprie marche a mente fredda, per decidere se hanno bisogno di una rifocalizzazione che aiuti a parlare con maggiore incisività e rilevanza al proprio target”. Ancora più esplicito, Grizzanti (Univisual) afferma che “la crisi economica ha avuto effetti migliorativi sul settore. È stata una sorta di assestamento, si era su parametri non più sostenibili. La crisi ha obbligato le aziende a fermarsi un attimo, a ragionare e valutare meglio le loro azioni. Tutto ciò le ha portate a rivedere la propria identità, per comprendere come rendere più performante la comunicazione, anche scegliendo un canale piuttosto che un altro su cui investire”. Inoltre, come ricordato da Zavatta (Vittorio Mancini & Associati), “nella condizione generalizzata di ‘austerity’ dovuta alla crisi, le aziende hanno dovuto farsi ve-

nire nuove idee per veicolare il proprio messaggio utilizzando anche canali nuovi. Si può dire che la crisi ha sicuramente colpito, ma ha anche stimolato nuovi modi di fare brand identity”. In particolare, afferma Paolo Rossetti, direttore creativo e designer Rossetti Design, “in questa fase di contrazione dei consumi e di revisione dei comportamenti, la brand identity sostiene il brand, perché valorizzare tutte le forme delle manifestazioni della marca si traduce nel riconoscimento dei suoi valori e della sua promessa”. A investire nelle operazioni di branding sono in particolare quelle aziende che, come ricorda Marazza, (Landor Milano), “hanno

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Il rilancio di Alemagna è stato firmato da Carmi e Ubertis, che ha curato la nuova strategia di marca attualizzando l’immagine dei prodotti, ma mantenendo il legame con la tradizione

capito che è in questi momenti che ci si deve preparare al futuro e costruire un vantaggio competitivo difendibile”. Semmai il problema è che, continua Marazza, “molte aziende stanno procedendo con molta cautela nella effettiva implementazione dei progetti, che spesso comporta costi molto elevati, soprattutto quando si prevede una forte presenza retail”. nc


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IL DIGITALE INSEGUE COCA-COLA PRESENTATA ANNUALMENTE DA INTERBRAND, SOCIETÀ INTERNAZIONALE DI BRAND CONSULTANCY, LA CLASSIFICA GLOBALE 2010 DEI 100 BRAND A MAGGIORE VALORE ECONOMICO CONFERMA IL PRIMATO DI COCA-COLA CON OLTRE 70 MILIARDI DI DOLLARI. A SEGUIRE IBM (64,7 MLD) E MICROSOFT (60,8 MLD). FORTE LA CRESCITA DEI BRAND DEL SETTORE TECNOLOGIA, CON GOOGLE CHE BALZA AL QUARTO POSTO GRAZIE AL +36% SUL 2009. BENE ANCHE APPLE (+37%) E BLACKBERRY (+32%).

Ed è proprio la convinzione che i brand siano un asset di rilievo per le aziende, che ha spinto Interbrand a realizzare, annualmente, da 11 anni, lo studio Best Global Brands, che presenta i 100 brand globali a maggiore valore economico, con l’obiettivo di illustrare come il branding abbia un impatto diretto sul valore creato per gli azionisti. Ne parliamo con Manfredi Ricca, managing director, e Sergio Infuso ed Emanuela Ferrandi, entrambi senior designer Interbrand.

Nata nel 1974, quando il termine ‘brand’ era ancora un sinonimo di ‘logo’, Interbrand ha contribuito in modo decisivo allo sviluppo della moderna concezione di brand come asset ed è oggi una delle principali società di brand consultancy a livello internazionale, con oltre 1.200 professionisti in quasi quaranta uffici in tutto il mondo. Fedele alla propria mission ‘creating and managing brand value’, Interbrand combina il rigore della consulenza strategica e dell’analisi con lo spirito creativo del branding e del design. In Italia come all’estero, Interbrand ha messo la propria expertise al servizio di clienti assai diversificati, con progetti che vanno dal design alla costruzione di modelli econometrici, dal posizionamento al naming, dal retail design alla valutazione economica del brand.

Quali sono i principali risultati della classifica Best Global Brands 2010, presentata a settembre da Interbrand? (Ricca) L’ultima edizione della classifica mette l’accento sui rischi e opportunità dei brand nell’era digitale, enfatizzando quelli che sono i tre valori della nostra epoca: ‘sempre’, ‘immediatamente’ e ‘ovunque’. Un’epoca in cui non è possibile nascondere alcunché ai consumatori, e in cui è bene essere sostenuti da un’organizzazione in grado di reagire in modo istantaneo, e in cui si ha l’opportunità di costruire relazioni profonde con i consumatori attraver-

Manfredi Ricca, managing director Interbrand

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so i media sociali. Se il podio della classifica si riconferma solido - con Coca-Cola stabilmente in prima posizione con oltre 70 miliardi di dollari, Ibm seconda con un valore del brand pari a 64,7 miliardi, e Microsoft terzo con 60,8 miliardi -, a variare sostanzialmente sono le posizioni all’interno della top ten, con la forte crescita di Google (+36%) e Intel (+4%), il crollo di Nokia (-15%) e l’ingresso di HP. Qual è il segreto del successo di un brand come Coca Cola, che continua a confermare, anno dopo anno, il primo posto in classifica? (Ricca) Coca-Cola detiene la prima posizione fin dalla prima edizione della classifica e deve questa performance non solo

Sergio Infuso e Emanuela Ferrandi, senior designer Interbrand

alle sue dimensioni e alla sua presenza globale, ma anche alla capacità di rinnovarsi continuamente sia da un punto di vista di prodotto sia per quanto riguarda le strategie di comunicazione. Come, per esempio, le attività pensate e realizzate per gli 11 milioni di fan su Facebook e l’iniziativa Healthy Active Living. In un decennio, il brand è passato da un valore pari a 68,9 miliardi di dollari a 70,4 miliardi; ciò dimostra la capacità del gruppo di Atlanta di gestire con coerenza ed efficacia il proprio asset a più alto valore economico. Le migliori performance rispetto al 2009 sono state compiute da brand del settore tecnologia come Google,Apple e BlackBerry. Quali sono le ragioni di questi risultati? (Ricca) Le prime dieci posizioni si confermano ‘all’insegna della tecnologia’ e, in par-

La classifica Best Global Brands 2010 è stabilmente guidata da Coca-Cola (70,4 miliardi di dollari), Ibm e Microsoft, che si posizionano sui tre gradini più alti del podio, come nel 2009

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ticolare, cinque dei primi dieci brand in classifica appartengono al mondo dell’information technology, così come i tre brand con i maggiori incrementi di valore economico. Tutto ciò è una chiara testimonianza di come i nuovi modi di lavorare, informarsi, comunicare e divertirsi giochino un ruolo ormai centrale nelle nostre vite. I portavoce di questo fenomeno sono sicuramente Google (43,5 miliardi di dollari, +36%), che balza in quarta posizione salendo di tre gradini rispetto all’anno scorso,Apple (n. 17, 21,1 miliardi, +37%) e Samsung (19,4 miliardi, +11%). Google è uno dei ‘fenomeni’ della classifica: il suo ingresso nella top 100 risale al 2005 con un valore di 8,4 miliardi di dollari, e oggi è a un passo dal podio, avendo più che quintuplicato il valore del proprio brand. Ciò è stato possible anche grazie alla sua ubiquità sul fronte servizi e prodotti, che vanno da internet alla telefonia mobile. Il valore brand della ‘mela’ ha raggiunto il successo grazie a una strategia di assoluta coerenza tra comunicazione, prodotto e canali, che le ha permesso di far fronte anche ai problemi tecnici dell’iPhone. Il brand Blackberry ha debuttato in classifica nel 2008 in 73esima posizione, con un valore di 4,8 miliardi di dollari e oggi, nell’edizione 2010, registra un valore di 6,7 miliardi di dollari e una crescita del 32% rispetto all’anno scorso. Qual è l’andamento dei singoli settori e quanto pesano gli effetti della crisi economica? (Ricca) Lo studio di quest’anno testimonia il ritorno dalle sabbie mobili della recessione globale. La classifica è infatti un fedele fotografia del ritrarsi dell’ondata di crisi nei servizi finanziari. Non a caso, il brand Allianz (n. 67, 4,9 miliardi) ha un alto tasso di crescita (+28%), risultato di una strategia basata sulla riduzione della complessità, la concentrazione sulla customer experience, l’attenzione agli aspetti della sostenibilità, nonché l’utilizzo efficace dei social media. Buone anche le prestazioni degli altri brand

finanziari: JP Morgan sale del 29% (n. 29, 12,3 mld), mentre rimane sostanzialmente stabile Goldman Sachs (n. 37, 9,3 mld). Ma sono soprattutto le nuove entranti a confermare la ripresa: Santander (n. 68, 4,8 mld), Barclays (n. 74, 4,2 mld), Credit Suisse (n. 80, 4 mld) e Zurich (n. 94, 3,5 miliardi di dollari), che mostrano come le crisi presentino sempre delle opportunità per emergere. Di grande interesse sono, inoltre, i movimenti nel settore automobilistico. La classifica ha rivelato, infatti, come il valore economico di questi brand sia più elastico rispetto al passato, anche per effetto della rapidità e basso costo di circolazione delle informazioni. Un lancio di successo o un richiamo di veicoli possono avere un impat-

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All’interno della top ten si registra la crescita di Google (+36% con 43,5 miliardi di dollari) e Intel (+4%), il crollo di Nokia (-15%) e l’ingresso di HP

to decisivo, a testimonianza dell’alta competitività di questo settore. Toyota (n. 11, 26,1 miliardi), per esempio, ha visto il valore del proprio brand considerevolmente ridimensionato (-16%) principalmente a causa del richiamo dei prodotti del gennaio 2010. Positive invece le prestazioni degli altri brand automotive presenti in classifica: Ford, Mercedes, Bmw, Audi, Porsche e Ferrari, brand automobili-


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li di vita eterogenei e indipendenti dall’estrazione sociale o dalla situazione macroeconomica. In questo contesto, la presenza dei brand italiani è confinata al settore lusso, con Gucci, Ferrari e Armani... (Ricca) Il confinamento dei nostri brand al settore del lusso rappresenta una fotografia fedele del nostro paese, caratterizzato da una forte capacità creativa e stilistica, ma meno capace di affermare a livello globale tecnologia e innovazione. La compagine italiana conta Gucci, Ferrari e Armani, brand di indiscusso ‘allure’ globale. Gucci (n. 44, 8,3 miliardi, +2%) ha fortemente investito nel sofisticato revival di alcuni elementi storici nei prodotti, nel canale di proprietà e nelle opportunità digitali. Ferrari (n. 91, 3,5 mld, +1%) trae profitto anche dall'apertura ai paesi emergenti (si pensi al Ferrari World ad Abu Dhabi) e da una domanda poco sensibile alla congiuntura. Armani (n. 95, 3,4 mld, +4%), con un’offerta molto articolata, combina le opportunità di una clientela più ampia con i rischi di una diluizione del brand.

Le migliori performance rispetto all’anno precedente sono state compiute da brand del settore tecnologia come Google (+36%), Apple (+37%) e BlackBerry (+32%)

stico di nascita ma di lusso per vocazione. È interessante anche l’analisi che la classifica suggerisce sui brand del lusso: l’andamento del valore dei brand di questo comparto dimostra che l’impatto della crisi è stato relativamente contenuto. I brand di lusso, infatti, sono stati capaci di fidelizzare i propri clienti nel tempo, di costruire e mantenere valore nell’arco degli anni.

Le migliori performance sono state segnate nei ‘prodotti dna’, ad esempio la pelletteria per Louis Vuitton (n. 16, 21,9 mld) ed Hermès (n. 69, 4,8 mld). Bene anche Cartier (n. 77, +2%),Tiffany & Co (n. 76, +3%) e Burberry (n. 100, stabile). Le griffe presenti nella nostra top 100 sono per lo più accomunate dal fatto di avere saputo gestire con estrema oculatezza il proprio brand, anche a scapito dei risultati immediati. Da segnalare, infine, le buone performance di H&M (n. 21, 16,1 miliardi, +5%), Ikea (n. 28, 12,5 mld, +4%) e Zara (n. 48, 7,5 mld, +10%). Questi brand mostrano come il low cost stia avvertendo un fisiologico rallentamento rispetto al boom degli ultimi anni, ma sia ormai parte integrante e stabile di sti-

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Quali sono i criteri e i parametri di brand valuation utilizzati per stilare la classifica? (Ricca) Utilizzata per oltre vent’anni in migliaia di valutazioni in tutto il mondo, la metodologia di brand valuation di Interbrand deriva dal modo in cui vengono normalmente valutati asset e aziende. Coerente con la teoria e la prassi della finanza aziendale, il metodo è considerato come lo standard nella valutazione dei brand. Non a caso, è di recente stata certificata Iso 10668. Il valore del brand, espresso in termini monetari, è dato dal valore attuale netto dei flussi economici attesi attribuibili esclusivamente al brand, scontati per un tasso in grado di rifletterne il profilo di rischio. Le valutazioni che appaiono in questa classifica si basano su dati pubblicamente disponibili e fanno riferimento alle condizioni di utilizzo attuali dei brand da parte degli attuali proprietari.


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La compagine italiana conta Gucci in 44esima posizione con 8,3 miliardi di dollari, Ferrari (n. 91) e Armani (n. 95), tutti brand relativi al settore lusso, in incremento rispettivamente del 2%, 1% e 4% rispetto al 2009

maniera viva, dinamica, aperta e libera. Creare un patrimonio specifico e flessibile, utilizzando anche stili visivi diversi, ma che partano sempre dalla stessa storia e significato, piuttosto che fossilizzarsi in una rappresentazione unidimensionale. Quattro, sviluppare un’espressione in continua evoluzione, in grado di mantenere rilevanza per il pubblico e non rimanere immobile nel tempo. In che modo, secondo lei, le nuove opportunità digitali influenzano la brand identity? (Infuso) Il mondo digitale fa evolvere più rapidamente i bisogni e desideri, avvalorando più che mai la necessità di essere flessibili, rapidi, curiosi, oltreché coraggiosi e orgogliosi delle proprie scelte.

Quali sono, secondo lei, i passaggi fondamentali da seguire per gestire correttamente le operazioni di brand identity? (Infuso) I grandi brand riescono a catturare l’essenza di come si muove e muoverà il mondo da oggi a domani, ad anticipare i nostri bisogni e trasformare i desideri. La visione di Interbrand è che i brand hanno la possibilità di cambiare il mondo. Per creare brand con questo potere, dobbiamo istigare la nostra curiosità per capire i cambiamenti e comprendere perché ne abbiamo bisogno, stimolare un dialogo aperto che generi una cultura della partecipazione, creare modi di esprimersi liberi e vivi in costante evoluzione per stare al passo con le nostre speranze e sogni. Solo allora potremo costruire brand davvero importan-

ti, in grado di creare domanda e desiderio, brand vivi, evoluti e coinvolgenti. Spesso si confonde il concetto di brand identity con quello di logo, e questo è normalmente il segreto dell’insuccesso. In realtà, un programma di brand identity non ha un inizio e una fine, ma dovrebbe essere un ciclo continuo, caratterizzato da alcuni aspetti principali. Uno, definire un cambiamento che crei realmente domanda, creando e anticipando ciò che il pubblico e i mercati vogliono, desiderano e si aspettano, piuttosto che un cambiamento stilistico e di facciata. Due, lavorare con coinvolgimento, partecipazione e dialogo, piuttosto che chiudersi in un monologo arido che non guarda alle vere necessità del cliente. Tre, fare in modo che il brand si esprima in

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Ritiene che gli aspetti etici e il tema della sostenibilità siano entrati nel perimetro della struttura identitaria dei brand? (Ferrandi) Sicuramente l’aspetto della sostenibilità è ormai parte integrante della progettazione e dello sviluppo dell’identità, sia dal punto di vista strategico, sia dal punto di vista dei vari touchpoint sui quali la brand identity si riflette. I consumatori oggi hanno più sensibilità e attenzione rispetto ai temi dello sviluppo sostenibile. Questo li porta a scegliere prodotti e servizi selezionati non soltanto per le loro caratteristiche estetiche e funzionali, ma anche per valori legati alla sostenibilità, come il risparmio energetico, il riciclo delle materie, le minori emissioni di CO2, le attività sociali, e così via. La sostenibilità è ormai, in molte categorie, un driver di domanda. nc



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TECNOLOGIA, TRIONFO WORLDWIDE UNISCE I DATI FINANZIARI CON LE PERCEZIONI DEI CONSUMATORI. STIAMO PARLANDO DELLO STUDIO BRANDZ CHE, CONDOTTO OGNI ANNO DA MILLWARD BROWN, MISURA L’EQUITY DI MIGLIAIA DI MARCHE A LIVELLO GLOBALE E RACCOGLIE IL FEEDBACK DI PIÙ DI UN MILIONE DI CONSUMATORI NEL MONDO. DALL’INDAGINE 2010 EMERGE LA FORZA DEI BRAND TECNOLOGICI, CON GOOGLE CHE GUIDA LA CLASSIFICA, SEGUITO DA IBM, APPLE E MICROSOFT.

Ne parliamo con Luca Belloni, amministratore delegato Millward Brown.

Presente con 78 uffici in 51 paesi, Millward Brown si occupa di marche da più di 35 anni ed è un’agenzia di ricerca specializzata nei settori della pubblicità, del marketing, dell’analisi sui media e della brand equity. Oggi, l’agenzia opera in tutte le tipologie di mercato e si propone come consulente nella gestione di ogni aspetto che riguardi la marca e le sue dinamiche. La vision dalla quale Millward Brown parte per offrire servizi di consulenza su tematiche che ruotano intorno all'equity di marca e alla comunicazione è riassumibile nella formula ‘The Research power behind great Brands’, in linea con l'obiettivo perseguito di massimizzare il Roi di marketing delle società clienti. Ogni anno Millward Brown realizza lo studio BrandZ che misura l’equity di migliaia di marche a livello globale e raccoglie il feedback di più di un milione di consumatori nel mondo.

In cosa consiste la classifica ‘BrandZ top 100’? Ci descrive i tratti essenziali di questo strumento? Si tratta dell’unica classifica di brand che unisce dati di performance finanziaria con dati di percezione dei consumatori tratti dalla studio BrandZ del gruppo Wpp. In particolare, il punto di vista dei consumatori sulle marche rappresenta un input essenziale per determinarne il valore, in quanto le marche, di fatto, sono una combinazione di perfomance finanziaria, qualità del prodotto, chiarezza di posizionamento e capacità di leadership. Pubblicata annualmente ad aprile in collaborazione con il ‘Financial Times’, ‘BrandZ Top 100’ rappresenta il più ampio studio sulla brand equity a livello mondiale. La sua rilevanza si basa sulla credibilità delle sue tre fonti principali: i dati finanziari forniti da Bloomberg, gli indicatori di mercato raccolti da Datamonitor e le valutazioni espresse da più di un milione di consumatori su oltre 50.000 marche monitorate da BrandZ.

Luca Belloni, amministratore delegato Millward Brown

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Top 100 Most Valuable Global Brands 2010

* The Brand Value of Coca-Cola includes Lites, Diets and Zero ** The Brand Value of Nintendo includes Wii and Nintendo DS *** The Brand Value of Budweiser includes Bud Light **** The Brand Value of Pepsi includes Lites, Diets and Zero ***** The Brand Value of Red Bull includes sugar-free and Cola ****** The Brand Value of Starbucks includes stores as well as coffee sold at the supermarket ******* Brand Value includes Playstation 2 and 3, as well as PSP Source: Millward Brown Optimor (including data from BrandZ, Datamonitor and Bloomberg)

La classifica ‘BrandZ top 100’ 2010 è guidata da marche tecnologiche, a cominciare da Google, seguito da Ibm, Apple e, al quarto posto, Microsoft

Quali sono le variabili prese in considerazione per stilare la classifica? Il valore delle marche è determinato dalla combinazione di tre variabili. La prima, ‘Intangible Earning’, rappresenta i dati finanziari aziendali riconducibili a ciascuna marca e in ciascun paese, estratti da report aziendali e da analisi finanziarie di soggetti terzi, come stime di revenue, quote di mercato, ecc. (fonti Bloomberg e Datamonitor, ndr). La seconda,‘Brand Contribution’, ha a che vedere con la parte del valore intangibile riconducibile alla marca. Diretta-

Fonte: BrandZ top 100 2010, Millward Brown

mente derivata dalla BrandDynamics Loyalty Pyramid e dalla segmentazione della categoria resa disponibile dallo studio BrandZ (fonte BrandZ, ndr). La terza, ‘Brand Multiple’, è la misura del potenziale della marca. Calcolo basato sull’analisi del mercato, sul potenziale di crescita di ciascuna marca e il Voltage, indice reso disponibile dal modello di Brand Dynamics (fonti BrandZ e Bloomberg, ndr). Quali sono i principali risultati emersi dall’ultima edizione dell’indagine? La classifica BrandZ Top 100 del 2010 evidenzia alcuni fenomeni. Innanzitutto,‘la tecnologia al centro’, nel senso che i brand tecnologici costituiscono una presenza costante nella vita di tutti i giorni. Una tendenza

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che trova immediato riscontro nella top three della classifica con Google in testa, seguito da Ibm, Apple e Microsoft. Poi ‘l’importanza dei social media’ con Facebook, il popolare sito di social networking, che è entrato nella classifica del settore hi-tech per la prima volta. Un esordio che non stupisce, data la grande diffusione dei social network e il peso che questi media hanno avuto nel determinare il successo di altri marchi. La terza tendenza è ‘l’ascesa dei Bric’, dato che per il primo anno tutti i paesi che formano l’acronimo (Brasile, Russia, India, Cina, ndr) sono rappresentati all’interno della classifica da almeno un’azienda, grazie all’ingresso, al 45esimo posto, del marchio indiano Icici. Oltre a new entry anche per brand di Cina, Brasile e Rus-


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I 4 key driver Millward Brown per il successo della marca

sia. Il quarto trend è riassumibile nella frase ‘i brand più forti recuperano meglio’, dato che la classifica ha evidenziato come i business supportati da marche a elevato valore siano in grado di far fronte meglio e più velocemente alle congiunture economiche negative. Nel corso degli ultimi cinque anni, nonostante la crisi economica globale, il valore complessivo delle principali 100 marche in classifica è cresciuto complessivamente del 40%. Qual è il rapporto tra la brand identity, brand image e brand equity dei marchi e il loro posizionamento in classifica? La peculiarità della classifica di Millward Brown è proprio quella di misurare il valore economico dei brand valutando il diverso contributo portato dagli asset finanziari e dall’immagine/reputazione. Più nello specifico, brand identity, brand image e brand equity vengono misurate attraverso un indicatore di sintesi definito ‘brand contribution’. Nell’ultima classifica i marchi che beneficiano maggiormente della brand contribution sono Moët & Chandon, Baidu e Wrigley’s. In generale, non a caso, i marchi del lusso sono quelli per i quali la brand contribution determina una quota più significativa del valore complessivo della marca. È risaputo, infatti, che marche come Moët & Chandon, Louis Vuitton o Hermès, fon-

dano il proprio successo economico proprio sul valore percepito molto elevato che i consumatori riconoscono loro. Quali sono gli elementi fondamentali di una corretta operazione di costruzione o modifica della brand identity? È un tema ampio e articolato. Millward Brown da sempre cerca di affrontare questo argomento con un approccio ad hoc da definirsi caso per caso in relazione alle esigenze specifiche del cliente, mantenendo tuttavia una visione olistica che consenta di non sottovalutare nessuno degli aspetti che possono portare al successo di marca. In estrema sintesi, potremmo citare quattro key driver: projected leadership, great brand experience, strong business basics, clarity of association. Dei quattro, la ‘chiarezza’ rappresenta certamente un elemento chiave intorno al quale impostare una corretta operazione di brand identity. Comunicazione, packaging, interazione nel punto vendita devono tenerne conto e cercare di lavorare in modo sinergico. Ritiene che gli aspetti etici e il tema della responsabilità sociale siano entrati nel perimetro della struttura identitaria delle marche? Molte marche hanno cominciato a guardare i temi ambientali non solo come un vin-

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colo o responsabilità, ma anche come un’opportunità per migliorare la propria reputazione nei confronti dei consumatori. Nell’ambito specifico della brand identity e in particolare del packaging, molti importanti player stanno cercando soluzioni per minimizzare l’impatto che il materiale di confezione genera su larga scala sull’ambiente. Quali sono le strategie da seguire per far spiccare l’identità della marca all’interno dei punti vendita? Millward Brown non ha una specializzazione nella gestione delle strategie all’interno dei punti vendita. A nostro parere, il punto vendita è uno dei tanti punti di contatto tra marca e consumatore. Importante ma non, appunto, unico. L’identità della marca deve essere costruita e modellata anche al di fuori del punto vendita, con una strategia di comunicazione che comprenda tutti gli aspetti e tutti i canali di contatto, e lo faccia in modo coerente. In che modo,secondo lei,le nuove opportunità digitali influenzano la brand identity? I nuovi touch point, che in particolare la rete sta aiutando a sviluppare e a rendere sempre più numerosi, offrono importanti opportunità per le marche e per la loro capacità di consolidare la relazione con i consumatori. Quindi, il primo aspetto è l’incremento delle opportunità di contatto. Un secondo aspetto, sempre legato all’evoluzione digitale, riguarda il tipo di relazioni che le marche possono ambire a instaurare: sempre meno impersonale e unidirezionale, e sempre più individuale, impostato ad hoc e bidirezinale, cioè non solo da marca a consumatore, ma anche in senso opposto. Interazione ed empowerment sono certamente due temi su cui lavorare. I social network, per esempio, offrono alla marca l’opportunità di entrare in contatto con i consumatori ponendosi sullo stesso piano dialettico, riducendo in questo modo lo spazio che divide dal mondo dei consumatori, o meglio dal mondo di ciascun consumatore, che, per contro, risultano sempre meno facilmente classificabili all’interno delle categorie tradizionali del marketing. nc


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VALORI DI TASCA E DI NIDO VALIDO STRUMENTO DI CONOSCENZA DEL VALORE E DELLE POTENZIALITÀ DELLE MARCHE, IL BRAND ASSET VALUATOR, MESSO A PUNTO DALL’AGENZIA Y&R BRANDS, FOTOGRAFA UNO SCENARIO CARATTERIZZATO DAL CALO DELLA BRAND LOYALTY, SOPRATTUTTO NEI PERIODI DI CRISI. MA ALCUNE MARCHE ESCONO DAI MOMENTI DI DIFFICOLTÀ MEGLIO DI ALTRE. COME? PUNTANDO SU VALORI DI ‘TASCA’ (RAPPORTO PREZZO-QUALITÀ) E DI ‘NIDO’ (MARCA COME LUOGO IN CUI RIFUGIARSI E TROVARE SICUREZZA).

Diversità, Rilevanza, Stima e Familiarità. Sono queste le quattro dimensioni da prendere in considerazione per valutare lo stato di salute di una marca, comprenderne le evoluzioni, le possibilità di crescita e i rischi di declino. A dircelo è il Brand Asset Valuator (Bav), valido strumento strategico messo a punto dall’agenzia Young & Rubicam Brands, che da oltre 14 anni fotografa il panorama delle marche a livello internazionale. In sintesi, la teoria Bav sottolinea l’importanza di due asset di marca, la Forza e la Statura, a loro volta riconducibili alla combinazione delle quattro percezioni dei consumatori prima citate: Diversità, Rilevanza, Stima e Familiarità. In particolare, la Forza è considerata come risultante delle caratteristiche distintive della marca (Diversità)

e di quanto queste siano importanti per il consumatore (Rilevanza). Mentre la Statura deriva dalla somma della considerazione in cui è tenuta la marca (Stima) e di quanto essa sia ritenuta parte integrante

Marco Lombardi, presidente Y&R Italia

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dell’ambiente del consumatore (Familiarità). Inoltre, nella prospettiva Bav, ogni marca segue un ciclo di vita come un vero e proprio essere vivente, dal momento della nascita a quello della eventuale scomparsa dall'orizzonte percettivo, dando così origine a una sorta di ‘genetica’ della marca, con diverse età, fisiologie e potenziali patologie. Giunta alla settima edizione, la ricerca è supportata da rilevazioni periodiche effettuate in 49 paesi con una metodologia comune e confrontabile.A oggi sono state intervistate oltre 800.000 persone in riferimento a 38.000 marche, per 120 categorie merceologiche, considerate come un unico universo, uno stesso ‘brandscape’ che circonda l’individuo e dove ogni marca compete, anche al di fuori della propria arena merceologica. Per quanto riguarda l’Italia, in attesa della prossima indagine fissata per febbraio 2011, si fa riferimento all’ultima rilevazione (febbraio 2009), quando furono intervistati 2.600 adulti (18-74enni) in riferimento a 1.429 marche. Ne parliamo con Marco Lombardi, presidente Y&R Italia.


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La teoria del BAV®

Italia 2009 -1.429 marche - Adulti

Quali sono i principali risultati dell’ultima rilevazione Bav? Nel corso dell’ultima edizione abbiamo indagato, in particolare, la relazione esistente tra crisi economiche e brand loyalty. In un contesto generale già caratterizzato dalla progressiva diminuzione, negli ultimi 20 anni, della brand loyalty, l’indagine ha messo in risalto che, nei periodi di crisi, essa si riduce con maggiore intensità. Ma il discorso non vale per tutte le marche, alcune vanno decisamente meglio, e addirittura registrano un aumentato della ‘loyalty’. In particolare, abbiamo valutato che le marche che uscirono bene dalla crisi del 1993, che era di natura prevalentemente economica, furono quelle che fecero leva su valori pragmatici, come per esempio il rapporto prezzo-qualità. Mentre le marche che uscirono bene dalla crisi del 2000/2001, che fu di natura pre-

Fonte: Young & Rubicam Brands, Bav

valentemente finanziaria, con tanto di messa in discussione delle istituzioni, furono quelle che dettero peso soprattutto alle questioni relative alla fiducia. Per quanto riguarda la crisi attuale, scoppiata nel 2008/2009, il nostro pensiero è che, trattandosi di una crisi dotata di doppia natura, sia economica sia finanziaria, a essere avvantaggiate sono e saranno le marche che sapranno far leva sia su valori pragmatici sia su questioni relative alla fiducia. Oggi c’è la necessità di un mix degli elementi che furono vincenti nel passato. Sono quelli che noi chiamiamo ‘pocket’ e ‘nest’ value, ossia valori di ‘tasca’, fondati su un buon rapporto prezzoqualità, e di ‘nido’, che identificano la marca come un valore in cui rifugiarsi e trovare sicurezza. È evidente che per raggiungere due leve così diverse è necessario attivare un siste-

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ma di comunicazione complesso, integrato, che vada dall’online all’offline. Partendo dalle differenze tra brand identity, brand image e brand equity, quali sono gli ambiti maggiormente presi in considerazione dal metodo Bav? La brand identity è un processo che riguarda l’azienda e rimanda a ciò che una marca è, alla sua carta d’identità reale. La brand image ha a che vedere con le percezioni che i consumatori hanno della marca e della sua identità. E la brand equity è il valore che il consumatore annette a questo percepito, rimandando a un misto di atteggiamenti e comportamenti, che riguardano anche la brand loyalty. Tenendo conto di ciò, si può dire che il Bav interviene nelle dimensioni a cavallo tra la brand image e la brand equity. Nel senso che le nostre rilevazioni misurano gli attivi di diver-


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La classifica delle migliori marche secondo gli italiani 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

= é é ê é ê é é é é = é é ★ ê ê é ★ ★ ★

Nutella Ferrari Ferrero Rocher Coca-Cola Barilla Baci Perugina Lindt Mulino Bianco Pocket Coffee Kinder Nokia Cons. Prosciutto S. Daniele Algida Geox Mercedes Canale 5 Viennetta Scottex Lindor Kinder Cioccolato

21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40

é ê ★ ê ê é = ★ é ê é ★ ê ★ ê ★ ★ ê ê ê

Ikea Cons. Parmigiano Reggiano Italia 1 Mon Cheri Giorgio Armani Nike Rolex Dash Findus Disney Parmacotto Ray-Ban 2009 vs 2007 Porsche é In salita Rai 3 ê In discesa Bmw ★ New Entry Fanta Aspirina Cons. Grana Padano Sony Carte d'Or

Fonte: Young & Rubicam Brands, Bav, rilevazione del 2009

sità, rilevanza, stima e familiarità che contribuiscono a definire l’immagine di marca, ma che hanno anche un nesso molto forte con la fedeltà di marca. Si tratta, dunque, di un ambito propedeutico alla brand equity. Quali sono i passaggi da seguire per gestire correttamente le operazioni di definizione e modifica della brand identity? L’elemento strategico più importante è il

saper dire no quando si vuole modificare l’identità della marca oltre il legittimo. Dire no all’indebita estensione dell’identità, che genera una ingiustificata mutazione della marca. Dire no alla genericità, a chi vuole un target troppo vasto, indifferenziato. Non si può promettere tutto e il contrario di tutto. Occorre saper dire no a queste banalizzazioni. Anche perché il consumatore è sempre più intelligente.

NUTELLA E FERRARI AL TOP DELLE PREFERENZE DEGLI ITALIANI_ La categoria prevalente nelle preferenze degli italiani è quella food. Elemento imprescindibile del nostro quotidiano, il cibo diventa fonte di piacere e di immediata soddisfazione soprattutto quando, come nel caso di alcune delle top brand presenti in classifica, è destinato a un consumo di stampo prettamente edonistico, capace di svolgere un ruolo compensatorio rispetto all’instabilità sociale dominante. Come nel caso di Nutella (primo posto), simbolo di autenticità sia nell’origine ‘artigianale’ della ricetta (ingredienti e luogo d’origine) sia nell’appagamento semplice che fa riferimento a un mondo di ‘innocenza domestica’. Infine, da segnalare che, in un contesto segnato dal generale declino delle marche di auto (che perdono posizioni rispetto alla precedente rilevazione) si registra la buona performance di Ferrari (secondo posto), grazie al valore aggiunto fornito dal suo essere percepita come una leggenda sportiva, un pezzo di orgoglio nazionale, ben al di là del semplice settore delle auto.

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Ritiene che gli aspetti etici e il tema della responsabilità sociale siano entrati nel perimetro della struttura identitaria delle marche? Sì, è un aspetto oggi irrinunciabile. Ma è importante che gli aspetti etici entrino nel profondo dell’identità di marca, e non rimangano solo a un livello superficiale, di semplice posizionamento. Gli investimenti sugli aspetti etici e di responsabilità sociale sono cruciali per la strategia e lo sviluppo della marca. Per esempio, se un’azienda produce prodotti alimentari, non può non occuparsi di salute e obesità. Il consumatore vuole potersi fidare. E poi ci vuole coerenza in tutte le attività e iniziative che l’azienda realizza, a cominciare da quelle di comunicazione. Gli aspetti etici non possono essere contraddetti. Quali sono le strategie da seguire per far spiccare l’identità di marca all’interno dei punti vendita? Il punto vendita è il luogo dove brand identity, brand image e brand equity dovrebbero incontrarsi, ma non tutti i punti vendita lo concedono. La grande distribuzione, per esempio, non lo permette, perché ha la propria identità da mostrare e lascia poco spazio alle altre marche. La grande distribuzione non concede alla marca di esprimersi, non le permette praticamente nulla, tranne che l’apparire attraverso il proprio packaging. Però l’esperienza dell’incontro tra consumatore e marca può trovare altre modalità di espressione, mi riferisco, per esempio, ai temporary shop, ai flagship store, agli show room. Punti vendita, questi sì, che riescono pienamente a essere luoghi di espressione dell’identità della marca. In che modo le nuove opportunità digitali influenzano la brand identity? Il digitale incrementa le possibilità di espressione di una marca. La sua forza consiste nel portare il consumatore in piazze virtuali, dove il brand può mostrare gli elementi chiave della sua identità. nc


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ITALIA. BEL PAESE, CATTIVA IMMAGINE ITALIA 12a NEL ‘COUNTRY BRAND INDEX 2010’ DI FUTUREBRAND. IL BEL PAESE PERDE QUOTA E LA RESPONSABILITÀ È DELLA CONFLITTUALITÀ POLITICA INTERNA, E DELLA RELATIVA RISONANZA MEDIATICA INTERNAZIONALE. LA CUCINA, L’ARTE E LA STORIA, INSOMMA, NON BASTANO PIÙ. L’ITALIA HA BISOGNO DI UNA STRATEGIA D’IMMAGINE, E DI BUSINESS, DAVVERO EFFICACE.

Anche una nazione è, a tutti gli effetti, un brand, perché il Paese è una destinazione da promuovere, un luogo che, al pari delle marche commerciali, vive di immagine. E quest’ultima è il risultato di molti fattori: dalla gastronomia alle infrastrutture, dalla musica al patrimonio delle tradizioni, dai siti di interesse artistico al business, che si identifica nella presenza di marchi forti, conosciuti e riconosciuti nel mondo. Il tutto passa attraverso i media, responsabili di trasmettere l’im-

magine di un Paese all’estero. Lo sa bene l’Italia, che, secondo l’indagine Country Brand Index 2010 realizzata da FutureBrand (in partnership con Bbc World News), ha pagato molto caro il battage sulla stampa estera relativo alle conflittualità e agli scandali del mondo politico. Ecco, allora, che il Bel Paese, nella classifica delle nazioni, scivola al dodicesimo posto, perdendo ben sei posizioni rispetto al 2009 e confermando il trend decrescente in atto dal 2005 (anno in cui era

COUNTRY BRAND INDEX - FUTUREBRAND_ 2010 rank 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

country brand Canada Australia New Zeland United States Switzerland Japan France Finland United Kingdom Sweden Germany Italy Norway Spain Singapore Maldives Ireland Bermuda Denmark Austria

2009 rank 2 4 3 1 11 7 5 16 8 21 9 6 22 10 13 19 12 15 23 28

change +1 +2 -3 +6 +1 -2 +8 -1 +11 -2 -6 +9 -4 -2 +3 -5 -3 +4 +8

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in testa); dopo essersi piazzata, cioè, terza nel 2006 e quinta nel 2007. Lo studio di FutureBrand, che valuta 110 nazioni in base a 26 parametri e sei criteri di valutazione, vede al primo posto il Canada, che ha goduto del riflesso di notorietà generato dalle Olimpiadi Invernali 2010 di Vancouver, seguito da Australia e Nuova Zelanda. Nonostante gli innegabili sforzi compiuti per incentivare la destinazione Italia (non ultimo, la nuova strategia di comunicazione di Enit-Agenzia Nazionale del Turismo), il nostro Paese perde di attrattività; la sua immagine, insomma, risulta compromessa. Mantiene sì la leadership in settori come arte, storia, cibo, spiagge, vita notturna, ma non rientra neppure tra le prime 20 nazioni quando si parla di business. Certo la crisi non è stata provvidenziale in questo senso, ma l’esempio di Paesi come il Canada e l’Australia dimostra che una buona, valida ed efficace strategia di promozione dell’immagine può essere davvero vincente, a prescindere dalle congiunture negative. Tra i Paesi coinvolti nella ricerca FutureBrand, gli Stati Uniti, al quarto posto, mantengono la leadership in parametri quali la ‘Considerazione’, mentre la Francia, in settima posizione, nonostante la caduta di due ‘gradini’ rispetto al 2009, resta ben salda nella graduatoria ‘Patrimonio e Cultura’, grazie alla presenza di marchi commerciali forti e di grande prestigio e riconoscibilità nel mondo, come Chanel o il Gruppo Lvmh. nc


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IDENTITÀ DINAMICA CON L’UNIFICAZIONE DI TUTTI I MARCHI COMMERCIALI SOTTO IL NOME ENI, L’AZIENDA HA AVVIATO UN IMPORTANTE PERCORSO DI RIDEFINIZIONE DELLA PROPRIA IDENTITÀ DI MARCA. IL MOTORE DEL CAMBIAMENTO È UNA RIVISITAZIONE DEL FAMOSO LOGO CARATTERIZZATO DA UN CANE A SEI ZAMPE, CHE LIBERATO DA QUALSIASI CONFINE SI AVVICINA AI CONSUMATORI E ASSURGE A ICONA DELL’INTERA AZIENDA, PIETRA MILIARE DELLA SUA RICONOSCIBILITÀ INTERNAZIONALE.

Innovazione, cultura, sostenibilità, efficienza e, soprattutto, partnership. Questi i valori chiave su cui Enrico Mattei ha fondato Eni, e che ancora oggi animano e indirizzano il cammino dell’azienda. Un’azienda dinamica, capace di trasformarsi per stare al passo con i tempi, anzi per anticiparli, senza mai tradire i caratteri fondamentali del proprio dna. In particolare, il nuovo corso inaugurato di recente prevede l’abbandono del marchio Agip e la riunificazione di tutti i brand commerciali sotto il nome Eni. Come spiegato da Lamberto Dolci, responsabile pubblicità e immagine Eni, “a differenza di quanto accade per i più importanti competitor, che hanno lo stesso marchio sia in borsa sia nelle stazioni di servizio, Eni operava con una gamma estesa di nomi e, in alcuni casi, anche con marchi diversi. L’esigenza di affermare un’identità univoca era

ineludibile e avvertita a tutti i livelli. Per farlo occorreva ripensare l’azienda come un’unica realtà che, sebbene operasse in settori diversi, si esprimesse attraverso un solo nome e un solo marchio”. Quali sono le linee guida di questo cambiamento strategico? Le decisioni in merito alla ridefinizione del marchio e la base su cui costruire le strate-

gie di identità sono state: l’orgoglio della propria storia come piattaforma valida per il futuro, rappresentato dalla continuità del cane a sei zampe; l’adozione del nome Eni, perché più internazionale, più adatto a parlare di tutte le energie, più proiettato nel futuro; e il cambio grafico del marchio, per liberare il cane, renderlo più vicino ai consumatori e più amichevole. Quali agenzie vi hanno accompagnato nel percorso di ridefinizione identitaria? Come valuta il loro contributo? Nel progetto di rinnovo della brand identity abbiamo lavorato a stretto contatto con due società di consulenza,Tbwa e Inarea di Antonio Romano. Con queste due importanti realtà della comunicazione e dell’advertising abbiamo collaborato fianco a fianco per costruire una strategia innovativa di comunicazione del brand. Il cane a sei zampe ha sempre sottolineato le evoluzioni di Eni,ci descrive i cambiamenti del logo e il loro significato? La storia del logo inizia nel 1953, quando lo scultore Luigi Broggini diede vita al cane a

Lamberto Dolci, responsabile pubblicità e immagine Eni

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Sopra, il nuovo logo di Eni, con il cane a sei zampe ‘liberato’ verso l’alto e la scritta con l’iniziale minuscuola, per esprimere maggiore vicinanza ai consumatori. A destra, immagine dell’annuncio stampa firmato da Eduardo Recife

sei zampe. Un’opera di cui lo scultore non riconobbe immediatamente la paternità e per questo soggetta a tante interpretazioni, che finirono per alimentarne il mito. Il cane ha sempre sottolineato i grandi cambiamenti della storia di Eni. Nel 1992, con la trasformazione in società per azioni e la conseguente privatizzazione, fu il cambio del marchio a segnare il cambiamento di assetto. Cane ed Eni furono legati in maniera indissolubile all’interno di un quadrato giallo. Ogni società aveva il cane accompagnato da Eni nel proprio marchio. Poi, tre anni fa, l’idea di percorrere una nuova via che ha portato alla fusione, in una sola identità, del vissuto e dei valori di Agip e di Eni. ‘Liberare’ il cane è stato un passo fondamentale. Fino a quel momento il cane era solo un simbolo grafico, statico, immutabile, chiuso nel quadrato giallo. Adesso, invece, è libero di muoversi, mentre la scritta ‘eni’ tutta in minuscolo vuole esprimere vicinanza alle persone. Una volta definita, la nuova identità di marca occorre comunicarla. Quali mosse state facendo in questa direzione?

Scelto il marchio unico, era necessario trovare anche un linguaggio unico, un filo rosso capace di tenere insieme comunicazione istituzionale e di prodotto - luce, gas, carburanti - attraverso forme di espressione innovative. Un linguaggio che può essere definito ‘2.0’, per indicare l’alto tasso di interattività con le varie categorie di interlocutori. Da qui il ruolo centrale affidato a eni.com come luogo di incontro e dialogo con gli stakeholder, e la scelta di affidare le nostre campagne pubblicitarie a giovani talenti, che hanno interpretato in totale libertà il marchio Eni. Un ruolo importante nel nuovo corso di Eni è svolto da Enizyme, fucina creativa

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della comunicazione aziendale. Enizyme (www.enizyme.com, ndr) è il luogo ideale dove far incontrare chi si interessa al nostro modo di fare comunicazione, e creare una vera e propria ‘community’. Per noi il mondo del web è una parte costitutiva della comunicazione, sempre, qualsiasi cosa facciamo. Enizyme ne è un esempio. Abbiamo affidato la comunicazione a coloro che sono giovani e bravi, perché crediamo che in essi vi sia una creatività e una potenzialità che non c’è altrove. E, seguendo l’esempio di Mattei, diamo loro una fiducia incondizionata. Il nostro è un marchio che si modifica venendo a contatto con pubblici diversi e, in tal senso, il luogo migliore per creare questa interazione è proprio il web. nc


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MOLTO PIÙ DI LUOGHI DI VENDITA LUOGO MATERIALE E SIMBOLICO DI INCONTRO TRA MARCA E CONSUMATORE, IL PUNTO VENDITA RIVESTE UN RUOLO CHIAVE NELLE STRATEGIE DI BRANDING MESSE A PUNTO DALLE IMPRESE. MA È IMPORTANTE CHE VENGA CONCEPITO RISPETTANDO ALCUNI PRINCIPI FONDAMENTALI: DALLA COERENZA RISPETTO ALL’IDENTITÀ DI MARCA ALLA CAPACITÀ DI RAPPRESENTARNE E TRADURNE I VALORI, PASSANDO PER LA CHIAREZZA ED EFFICACIA DEL MESSAGGIO TRASMESSO IN NEGOZIO.

Il fatto che il punto vendita non sia solo un luogo dove ci si limita a vendere prodotti o servizi è ormai una certezza. Ma come sia possibile valorizzare l’esperienza d’acquisto fino a renderla davvero unica attraverso un’adeguata gestione del brand è ancora una questione in fase di dibattito. Il punto vendita riveste un ruolo fondamentale perché in esso l’identità del brand incontra l’immagine e la rappresentazione che i consumatori hanno della marca, e non è affatto scontato che questo incontro si risolva in un lieto fine. Soprattutto è essenziale concepire punti vendita che siano coerenti all’identità di marca che è stata costruita, facendo in modo che nessun elemento dello spazio retail contraddica lo spirito del brand. Il punto vendita è il luogo dove il patrimonio valoriale del-

la marca può finalmente trovare espressione fisica, una sorta di casa abitata dai prodotti e servizi messi in vendita e a disposizione del consumatore. Come affermato da Ferrandi (Interbrand), “i punti vendita sono il punto di contatto più importante attraverso cui la filosofia del brand entra nel cuore, nelle menti e,

artworkR è partita dall'osservazione approfondita degli spazi e delle installazioni presenti per dare valore aggiunto ai portali adidas nei punti vendita Cisalfa

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soprattutto, nelle abitudini dei consumatori. Questa è, infatti, la differenza sostanziale tra una semplice insegna e un ‘retail brand’: se la prima è un nome e un logo al servizio di un punto vendita, il secondo è invece un concept al servizio di un’idea”. Secondo Tiziana Beretta, designer Meta Idea, “il punto vendita è il luogo di appro-


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Per Sephora, Interbrand ha sviluppato un concept innovativo nel settore della profumeria basato sull’organizzazione alfabetica sull’uso di codici cromatici come linee guida per le diverse categorie di prodotto

do dove deve emergere il ‘calore’ della marca, ma anche l’attenzione al cliente, dando vita a una customer relationship evoluta e quasi personalizzata sul target”. Fino a poco tempo fa, come evidenzia Iovinella, chief growth officer FutureBrand, “si pensava che fosse sufficiente replicare all’infinito il logo all’interno di uno spazio commerciale per ‘brandizzarlo’. Oggi anche i clienti hanno capito che l’effetto ‘timbro’ non basta, ma bisogna declinare la marca attraverso un uso attento di forme, materiali, luci, decori, segnaletica e di tutti quanti gli elementi a disposizione. È stato così, per esempio, per Spizzico Caffè, il nuovo bar di recente inaugurato a Milano in Stazione Centrale e curato da FutureBrand per Autogrill: ogni dettaglio è stato studiato per far parlare la marca e far sentire a proprio agio quanti desiderano bere un buon caffè o mangiare un panino, mentre si spostano per lavoro o per svago”.

Inoltre, ricorda Valeria Raffa, vicepresidente e strategic & creative head Cabiria BrandUniverse, “per i designer poter far sbocciare la brand identity sul punto vendita è una opportunità entusiasmante, perché rappresenta una sorta di estrusione del proprio lavoro. Considerato che sul punto vendita pare vengano prese più del 70% delle decisioni di acquisto, si evince che l’identità di marca gioca un ruolo fondamentale di attrazione. Si pensi solo al modello ‘shop in shop’, che va per la maggiore nei department store, che consente di creare piccoli microcosmi legati a marche differenti che convivono sotto lo stesso tetto e che sono identificabili grazie alla loro brand identity. In Italia non sono ancora molte le aziende che lavorano con un approccio di ‘branded environment’ nel retail, ovvero mettendo in comunicazione esperti del brand

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e architetti per una progettazione che sia davvero in linea con il brand positioning. Differente è, invece, l’approccio che si stabilisce nella Gdo (grande distribuzione organizzata, ndr), dove lo shopper marketing ha il compito di delimitare spazi di pausa fra gli innumerevoli brand che urlano dallo scaffale, facendo leva appunto sui codici di marca e sulla brand identity”. Sul tema interviene anche Stefano Gangli, direttore creativo SignDesign, il quale evidenzia che “l’introduzione nei punti vendita di occasioni di coinvolgimento, magari legate all’arte o a particolari installazioni scenografiche, fa sì che la brand identity contribuisca oggi, come mai in passato, alla costruzione della reputazione di una marca”. Complessivamente, si può dire che se la marca e il consumatore interagiscono tra loro attraverso una serie di esperienze, il retail rappresenta uno dei canali attraverso cui costruire questa esperienza. La quale, ovviamente, deve essere coerente con tutte le altre e ispirata dalla medesima strategia di marca. Troppo spesso tuttavia, come evidenziato da Antonio Marazza, amministratore delegato Landor Milano, “le aziende gestiscono questo tema in modo separato rispetto alla marca, anziché far discendere l’esperienza retail, che si traduce nella scelta di colori, materiali, layout, grafiche, sistemi di illuminazione, finiture, etc., direttamente dalla strategia di marca”. E un punto vendita o una catena retail che non riuscisse a trasferire la personalità e i messaggi della marca rappresenta un’occasione sfumata e un investimento sprecato. nc


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LA RESPONSABILITÀ SOCIALE CONVIENE ATTUARE UNA STRATEGIA ORIENTATA ALLA CORPORATE SOCIAL RESPONSIBILITY È UTILE. NON SI TRATTA DI UN COSTO, MA DI UN ASSET DI SVILUPPO. AVERE UN’IDENTITÀ DI MARCA ETICA E TRASPARENTE FACILITA L’INTERAZIONE CON I CONSUMATORI, PERCHÉ LE PERSONE COMPRANO I PRODOTTI E I SERVIZI DI CHI ISPIRA LORO FIDUCIA. MA OCCORRE STARE ATTENTI. LE OPERAZIONI DI FACCIATA SONO FACILMENTE SMASCHERABILI, E DUNQUE CONTROPRODUCENTI.

L’area di (inter)azione del brand si estende ben oltre la semplice transazione economica tra azienda e cliente. La posta in gioco è molto più alta e ha a che vedere con la creazione, costruzione e mantenimento di un rapporto di fiducia con l’utente, fondato sull’empatia e sulla trasparenza. Quando questo rapporto è instaurato, e dunque il consumatore si fida del brand, allora l’atto di acquisto dei prodotti e servizi di quella certa marca risulterà essere una naturale conseguenza. Ma come possono fare le imprese a costruire questa relazione di fiducia con il consumatore? La via maestra è sicuramente quella dell’incorporare nel proprio dna aziendale principi e comportamenti orientati all’eticità e alla responsabilità sociale. Tuttavia, come affermato da Grizzanti (Univisual), “essere etici non significa solo sponsorizzare un giardino pubblico, un evento a sfondo umanitario o fare una donazione a un’associazione senza scopo di lucro. Per far sì che si crei fiducia e credibilità tra le parti, è necessario che il brand si faccia interprete dei nuovi paradigmi della co-

munità, i quali non sono solo riferiti alla salvaguardia dell’ambiente, ai diritti dei lavoratori o alle attività di solidarietà sociale, valori importanti ma prerequisiti oggi fondamentali, bensì riguardano una richiesta esplicita da parte delle persone: quella della trasparenza. Avere un comportamento etico, perciò responsabile, significa essere prima di tutto trasparenti”. Alle aziende viene richiesto di essere più chiare nel modo di porsi, di avere il coraggio di trasmettere un’identità netta e senza compromessi. “Anche perché - continua Grizzanti -, per un brand nulla è più dannoso del fatto di creare dubbi e perplessità. Il consumatore, che è il cittadino del ‘mondo delle marche’, è stanco di assistere a comportamenti distonici e opportunistici, non si fida più di istituzioni autoreferenziali, ha bisogno di punti di riferimento che siano in grado di persistere nel tempo senza tradire il bisogno di fiducia, coerenza e promesse mantenute”. Ecco perché, conclude Grizzanti, “se un brand vuole dimostrare una reale responsabilità sociale, il primo degli obiettivi da raggiungere è quello di aumentare il pro-

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prio grado di trasparenza. E ciò vuol dire anche ammettere i propri errori. Sbagliare è umano. E un po’ di umanità è tutto quello che, in effetti, ognuno di noi vorrebbe dai brand”. A sottolineare con forza l’importanza della responsabilità sociale nella progettazione e sviluppo dell’identità dei brand è anche Emanuela Ferrandi, senior designer Interbrand, la quale evidenzia come i consumatori siano oggi portati a scegliere prodotti e servizi selezionati non soltanto per le loro caratteristiche estetiche e funzionali, ma anche per i valori legati alla sostenibilità, come il risparmio energetico, il riciclo delle materie, le minori emissioni di CO2, le attività sociali, e così via. “Si pensi - commenta Ferrandi - ad alcuni fashion brand che spesso lanciano collezioni disegnate ad hoc per sostenere fondazioni benefiche o realizzano capi e accessori con materiali riciclati, oppure alle compagnie aeree e di trasporti che prevedono nel costo del biglietto una ‘pollution charge’ per le emissioni di CO2. Un ulteriore esempio è rappresentato da McDonald’s, per cui è stata costruita una brand strategy a livello globale, che


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Quando si parla di sostenibilità non si può non entrare anche nel campo delle tematiche ambientali, che rivestono un ruolo sempre più centrale

ha intrapreso negli ultimi anni un netto cambio di direzione rispetto al passato. Il brand è riuscito ad anticipare le esigenze del consumatore e dei mercati, prendendo una posizione forte rispetto ai temi della corretta nutrizione e dell’obesità infantile. Questa nuova ‘rotta’ si è tradotta, prima di tutto, nell’integrazione nell’offerta di McDonald’s di cibi freschi e a minor contenuto di grassi e, inoltre, nella riprogettazione dei ristoranti, con un ripensamento dell’interazione e una comunicazione più contemporanea”. La sostenibilità è green Quando si parla di sostenibilità non si può non entrare anche nel campo delle tematiche ambientali, che rivestono un ruolo sempre più centrale nelle vite dei consumatori e, di conseguenza, anche nelle scelte delle imprese. Come ricorda Rovatti (Lumen), “i continui cambiamenti che ci troviamo ad affrontare a livello mondiale stanno trasformando le modalità di sviluppare il business. La recente crisi ha rivelato un mer-

cato dai tratti imprevedibili, dove il consumatore non solo consuma, ma interagisce, giudica e crea. Sempre più spesso viviamo il forte disequilibrio tra la scarsità di risorse naturali e la crescita della popolazione, ed è proprio a seguito di questa nuova situazione che l’adattabilità e la capacità di percepire i cambiamenti dell’ambiente sono diventati i valori fondamentali per mantenere la competitività e la sostenibilità economica delle aziende. Un brand forte deve essere in grado di interagire con l’ambiente in cui è presente e creare valore per tutte le persone coinvolte, non limitarsi a fare solo promesse, ma essere fonte di ispirazione per un cambiamento comportamentale”. Tuttavia, come sostenuto da Abate (Mad), occorre tenere a mente che, soprattutto nell’ultimo periodo, il tema ‘green’ è entrato particolarmente in voga, anche se non tutti i brand sono ancora riusciti ad affermarsi in questo universo in continua evoluzione. “Qualcuno - afferma Abate ha declinato la sua vocazione green attraverso campagne di sostenibilità, altri hanno optato per l’utilizzo di un packaging riciclabile, ma, qualunque sia il modo in cui un brand scelga di procedere, è importante ricordare che, per i consumatori di oggi, essere ‘green’ non è una moda, bensì un cambiamento nel comportamento e nel

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modo di pensare a lungo termine”. Sulla stessa linea anche Scardovi (Carré Noir), la quale sottolinea che “il boom della green economy si nota già dalla enorme quantità di marchi ispirati alla natura che sono stati registrati in questi ultimi due anni. Bisogna però distinguere tra chi si limita a ‘imitare’ i codici espressivi della ‘green communication’ e chi invece li utilizza per comunicare i propri valori profondi”. In merito, Marazza (Landor Milano), aggiunge: “In un contesto in cui la presenza di uno o più ‘loghini verdi’ sembra essere diventata un obbligo, il problema è quello di emergere differenziandosi, sempre che si abbia qualcosa di speciale da dire. Dunque, non fermarsi al semplice ‘loghino’, ma farne il portabandiera di un vero cambiamento organizzativo”. Infine, occorre sottolineare che, come ricordato sia da di Robilant (Besanopoli), sia da Iovinella (FutureBrand), per quanto il tema dell’ecologia sia molto sentito dalle aziende, i costi restano ancora un problema, al punto da disincentivare le imprese a realizzare talune operazioni legate, appunto, al ‘green’. Ma questo è uno dei peggiori errori che si possano commettere, perché la sostenibilità e l’approccio green sono uno dei principali driver per l’innovazione, lo sviluppo e l’espansione del potere economico e sociale della marca. nc


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INTEGRAZIONE E CREATIVITÀ DAL 1996, ARTEFICE GROUP SI FA INTERPRETE DI UN PERCORSO PROFONDO NELLA MARCA E NEL SUO ASSETTO VITALE, AFFIANCANDO LE AZIENDE NELLA COSTANTE RICERCA DI UN EQUILIBRIO TRA LE PROPRIE RADICI STORICHE E L'ESIGENZA D'INNOVAZIONE. GRAZIE ALLE SUE TRE SOCIETÀ INTEGRATE È IN GRADO DI GESTIRE L'INTERO CICLO PROGETTUALE, DALLA DEFINIZIONE DELLA STRATEGIA DI MARCA ALLO STUDIO DEL SUO SISTEMA DI COMUNICAZIONE, FINO ALLA PRODUZIONE DI TUTTI I MATERIALI.

Artefice Laboratorio Creativo nasce nel 1996 e si trasforma in Artefice Group nel 2009. Un gruppo indipendente, un nuovo modello organizzativo che definisce tre società specializzate e integrate nell’ambito della comunicazione e del design in grado di presentare soluzioni innovative, strategiche, idonee alle differenti esigenze di comunicazione della marca in quanto realizzate attraverso un processo integrato di progettazione, sviluppo creativo e produzione. “Artefice - racconta Francesco Mastro, presidente - ridefinisce i confini delle strategie di comunicazione della marca, adattando i cambiamenti del mercato, del consumatore e degli approcci dei clienti agli investimenti in attività below e across the line. Osa05 è la creatività applicata ai nuovi media e alle forme di comunicazione che sfruttano la tecnologia più avanzata, le soluzioni software e hardware per i nuovi canali di comunicazione. artworkR, infine, è un interlocutore diretto capace di interpretare la creatività proposta e di gestire tutte quelle attività legate alla stampa e/o alla produzione di pack e materiale di visibilità”.

Quali sono gli elementi immancabili in una corretta operazione di brand identity? Quanto conta la creatività nel processo di acquisto? Fare brand identity è un percorso verso l'essenza propria della marca con l'obiettivo di proiettarla in modo diretto ed esteso in tutto il territorio di contatto con il mondo e i target di riferimento. Coerenza con il vissuto e transito evolutivo sono i cardini Vitali di una marca senza i quali ogni operazione di brand identity è destinata a fallire. L'acquisto è un rito che si evolve in dif-

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ferenti tipologie e la creatività interviene in queste ritualità attualizzando il rapporto tra venditore e acquirente e nutrendo di sempre nuove motivazioni la relazione tra esigenze e attese, in una proiezione temporale sedativa e seducente. Il confronto tra i diversi attori della comunicazione è cresciuto rispetto al passato? Direi proprio di no: se possibile, si è ulteriormente ridotto. Oggi, marciano le integrazioni interne, lo sforzo di presidiare il maggior numero possibile dei nodi della


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filiera senza riferimenti al di fuori. Il che, in un mercato in fulmineo cambiamento, appoggiato su un rapporto sempre più complesso con il tempo e su una tecnologia in radicale espansione, rende più difficile la gestione della qualità dei servizi offerti. Artefice ha scelto da tempo di lavorare sulla propria specializzazione distinguendosi e integrandosi in tre società autonome e consolidate che ottimizzano i processi di lavoro con l'obiettivo di produrre un vantaggio qualitativo per il cliente. Inoltre, la scelta di questi ultimi mesi è stata quella di generare un ulteriore integrazione aprendo una sede in Brasile, a Curitiba, per governare la duplice necessità di specializzazione interna e di apertura sul mondo. Findus, Artsana e Cisalfa.Tre esempi della creatività Artefice. Ce ne parla? Artefice ha affiancato Findus per la creazione della nuova identità visiva di 4 Salti in Padella. Il dinamismo del gusto e del piacere di mangiare ha trovato il suo nuovo percorso sul pack a partire dagli ingredienti di base offerti nella loro naturalità, al centro di un ideale congiungimento con il

artworkR ha dato grande valore aggiunto ai portali adidas nei punti vendita Cisalfa

piatto finito, saldato dal logo di brand aperto che sovrintende e garantisce la qualità e la tradizione. Qualità, gusto e piacere di mangiare si sono incontrati in un unicum di grande appeal che mantiene vivo il legame con i valori tradizionali del brand e allo stesso tempo porta al centro del dialogo il gusto in un tono familiare e rassicurante. Osa05 ha invece firmato, per Artsana, il sito e la realtà aumentata di Chicco I-feel e Chicco I-sit. Il sito accoglie il visitatore in un ambiente funzionale in gra-

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Osa05 ha sviluppato per Artsana il sito e la realtà aumentata di Chicco I-feel e Chicco I-sit

do di rendere immediatamente fruibili tutti i contenuti informativi. Particolare cura è stata riservata all'area 'Realtà aumentata': ponendo il marker (un quadratino, ndr) presente sul pieghevole e sulla pagina stampa di fronte alla webcam di un computer, la sdraio e il seggiolone possono essere visualizzati da ogni angolazione possibile sullo schermo, in un'immagine tridimensionale. artworkR, infine, ha dato grande valore aggiunto ai portali adidas nei punti vendita Cisalfa. Partendo dall'osservazione approfondita degli spazi e delle installazioni presenti, è stato studiato per adidas lo sviluppo di nuove strutture modulari, in grado di adattarsi alle diverse esigenze e di ospitare l'intercambiabilità delle grafiche nei differenti momenti dell'anno. Il risultato è passato attraverso la realizzazione di veri e propri portali destinati al football e al running in grado di adattarsi attraverso un focus centrale dedicato di volta in volta al prodotto o alla comunicazione della stagione. nc


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LA BOUTIQUE PER BRAND AGENZIA CREATIVA FONDATA NEL 1996 DA DAVIDE BESANA E VALENTINA DI ROBILANT, BESANOPOLI È UNA BOUTIQUE PER BRAND DI ALTO VALORE AGGIUNTO. GRANDE ATTENZIONE ALLA VISIONE STRATEGICA DELLA COMUNICAZIONE E ALLA COLLABORAZIONE, UN’INNATA CAPACITÀ ESTETICA E UNA SPICCATA VERSATILITÀ RAPPRESENTANO I SUOI PUNTI DI FORZA. ECCO PERCHÉ TRA I PROPRI CLIENTI ANNOVERA AZIENDE DELL’ALIMENTARE, TESSILE, DESIGN, CHIMICA, LOGISTICA E NAUTICA.

Il team Besanopoli è costituito da un gruppo affiatato di professionisti che si dedica con entusiasmo a progetti che hanno il fine di aggiungere valore ai prodotti e alle aziende con cui collaborano. Efficacia, trasparenza, continuità, chiarezza ed eleganza sono le caratteristiche che definiscono i lavori dell’agenzia creativa. “In questi anni - afferma Valentina di Robilant, socio e responsabile produzione - l'offerta di servizi si è modificata, abbiamo imparato a non accettare più certi lavori, a non aver paura del confronto con colleghi dal nome importante, perché, in molti casi, siamo i più forti, i più motivati e i più onesti. Vogliamo fare quello che sappiamo fare, non per maleducazione o arroganza, ma per poter aiutare i clienti”.

tegica della comunicazione, e abbiamo un’innata capacità estetica. Siamo uguali nel privato e sul lavoro, siamo spontanei. Questi due elementi ci hanno fatto lavorare fin dall’inizio, con naturalezza, nella co-

Quali plus e know-how mettete a disposizione dei clienti? Poniamo grande attenzione alla visione stra-

municazione di prodotti ad alto valore aggiunto in settori diversi come l’alimentare, il tessile, il design, la chimica, la logistica, la nautica. Ci aiuta la grande conoscenza del mondo editoriale. Non vediamo il settore dell'informazione come antagonista, ma come partner, con il quale collaborare e confrontarci. Il nostro know-how? Forte conoscenza e presenza nel mondo della vela grazie alla passione di Davide Besana, creativo, vignettista, comunicatore. Siamo presenti nel comparto dell'enogastronomia grazie a 12 anni di collaborazione con aziende come S.Pellegrino, Nespresso,Aspi,Asi e tanti amici viticultori, e poi c'è la comunicazione sostenibile. Due anni di studio e approfondimenti su materiali e attori nella green communication, hanno portato alla collaborazione con Celery Design. Quali sono gli elementi immancabili in una corretta operazione di brand identity? L’identificazione di un prodotto coinvolge i sensi, primo fra tutti la vista, dopodiché si passa a emozioni più profonde e personali, che riguardano la sfera psicologica e sociale. La creatività consiste nel dar vita a nuo-

Valentina di Robilant, socio e responsabile produzione Besanopoli

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La nuova brand image di Acqua Panna firmata da Besanopoli creata allo scopo di esaltare i valori della marca, tra cui la provenienza e l’affinità con l’alta ristorazione

ve associazioni di idee, immagini, concetti, suoni. Far vedere il vecchio con una nuova prospettiva, ma nel campo della brand identity deve essere condizionata da un grande rigore e non portare su sentieri senza uscita. Chiarezza e coerenza sono fondamentali per un’operazione di brand identity, che devono proseguire su tutto il progetto, creatività compresa. Credete nel confronto tra i diversi attori della filiera? Quanto interagisce oggi un’agenzia che si occupa di brand identity con gli altri partner di comunicazione? Crediamo fortemente nella collaborazione e nell’unione delle forze. Ognuno deve fare ciò che sa fare bene, inutile proporsi come tuttofare. È fondamentale cooperare, dare ognuno il meglio di sé, senza pestarsi

i piedi quando si tratta di agenzie complementari, per garantire un progetto impeccabile sotto ogni punto di vista. Però, bisogna stare attenti, la crisi ha reso affamati i lupi: abbiamo visto diversi nostri progetti vincere premi importanti presentati da altre agenzie, e decine di presentazioni di ex collaboratori che millantano la direzione artistica di progetti di Besanopoli. Una tristezza, a volte ti rivolgi a un avvocato, ma dopo due mesi siamo da capo, pazienza. A seguito della rivoluzione digitale e dei cambiamenti nel comportamento dei consumatori, in che direzione sta evolvendo la brand identity? L'essenza della marca deve essere codificata e comunicata utilizzando gli strumenti più coerenti per perseguire la strategia impostata. Non possono mancare i media digitali, approcciati con consapevolezza e know-how costantemente aggiornati. Possiamo immaginare un circolo virtuoso, in cui la comunicazione offline contribuisce a creare una forte identità sul medium digi-

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tale, influenzando l'atteggiamento del consumatore verso la comunicazione online, e di conseguenza verso la marca, e quindi incidendo sulla brand identity. Può citare una recente case history esplicativa del vostro modus operandi? Possiamo citare l'immagine di Acqua Panna, che ha subito quest'anno un’evoluzione, staccandosi da quella di S.Pellegrino, con cui ha convissuto dal 2000, quando è divenuta uno dei prodotti mondiali di Nestlé Waters, per assumere una sua identità più marcata. Besanopoli è stata incaricata di creare la nuova brand image che mettesse in risalto i valori della marca: la provenienza dalla riserva naturale di Panna, l’affinità con l’alta ristorazione, la cultura della Toscana in cui è nata e si è evoluta. È stato creato un sistema piuttosto complesso, in cui l'elemento principale è la bottiglia attraverso la quale si vede, di volta in volta, il paesaggio toscano, una grande cucina, testimonianze della cultura rinascimentale. nc


Il fatto che tu stia provando a fare lo sforzo di leggere quello che c’è scritto qui, è segno che un primo obiettivo lo abbiamo raggiunto: suscitare la tua curiosità. Il fatto che tu stia continuando a leggere, è il segno che la curiosità ti porta a capire cosa ti stiamo dicendo, e questo è un altro successo. Ma farti capire cosa cerchiamo di dirti è il compito vero della comunicazione. Guai a lasciar capire messaggi diversi ad ogni ascoltatore, quella è roba da arte, la lasciamo agli artisti. Lo sforzo che stai facendo nel leggere è lo stesso che noi facciamo ogni giorno nel cercare di capire cosa uno dei nostri clienti vuole dire ai suoi stessi clienti. C’è una differenza però. Noi ti stiamo parlando con parole chiare, scritte piccole, ma pur sempre chiare in un linguaggio comprensibile e dettagliato. Un cliente invece ci parla con concetti espressi in un linguaggio soggettivo, costruito al momento e soprattutto non universale. “Mi piace”, “non mi piace”, “ho visto che è fatto così”, “mi hanno detto che è meglio questo”, “è di tendenza”. Ecco la chiarezza con la quale abbiamo a che fare. Sbagliata? No, serve solo la perfezione della nostra professione: trasformare questi segnali in concetti chiari, in un linguaggio comprensibile dal target, in cui segni, parole, modi diventano essenziali per trasformare un obiettivo in una operazione compresa da tutti. Sì, perché nella comunicazione brand nessuna operazione vale se è compresa solo da pochi. Ecco, questo è lo sforzo che facciamo ogni giorno. Dieci anni trascorsi a cercare di capire, poi capire, tradurre e far capire. Per questo ti facciamo fare uno sforzo, per dirti che il linguaggio di un brand è difficile da creare ma, soprattutto, è difficile da far capire. Ma dieci anni sono tanti, e oggi riusciamo a comunicare provocando in ognuno la voglia di riferire ad altri. I linguaggi si evolvono ma siamo certi che comunicazione visiva, virale, digitale, new, green, policy, corporate sono nulla senza l’aspetto fondamentale: generare un testimonial in ogni persona che rappresenta il target. Bene, ti sei sforzato abbastanza, e come vedi sulla comunicazione cartacea non c’è zoom che tenga, o ti sforzi o usi un altro media. Questa è comunicazione. Integrata.

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RISPOSTE IMPREVEDIBILI OPERATIVA DAL 1985, BRUNAZZI&ASSOCIATI È UN’AGENZIA SPECIALIZZATA NEL FORNIRE RISPOSTE CREATIVE ALLE QUESTIONI DI COMUNICAZIONE. TRATTO DISTINTIVO DEL SUO MODUS OPERANDI È L’ATTITUDINE A CONSIDERARE OGNI BRAND COME UNA PERSONALITÀ, UN’IDENTITÀ UNICA CHE DEVE ESSERE VALORIZZATA AL MEGLIO PER OTTENERE RISPOSTE POSITIVE DAI CONSUMATORI.

Dalla pubblicità alla promozione, passando per le relazioni esterne e l’identità visiva, Brunazzi&Associati opera nel campo della comunicazione utilizzando una molteplicità di leve. Per descrivere la linea guida dell’agenzia, Giovanni Brunazzi, presidente Brunazzi&Associati, cita Marco Vecchia, pubblicitario e docente universitario, e afferma: “La creatività è una risposta imprevibile a un problema posto razionalmente”. Quali sono gli elementi chiave per una corretta operazione di brand identity? L’identità di marca si basa su più elementi, dal prodotto al logo, passando per il marchio, i colori e i caratteri utilizzati. Il concetto chiave della brand identity è quello di ‘movimento’, che deve essere innanzitutto visivo, perché tutte le marche devono saper evolvere nel tempo.

In che modo, secondo lei, le nuove opportunità digitali influenzano la brand identity? La diffusione dei mezzi digitali ha ampliato le possibilità di comunicare. Nel caso dell’e-commerce, la sfida dei designer che fanno brand identity consiste nel tratteggiare online il prodotto da comprare nel modo più accattivante possibile. È il potere attrattivo dell’immagine. Ritiene che gli aspetti etici e la questione ‘green’ influenzino l’identità ? È ormai diffusa la consapevolezza che un approccio rispettoso dell’ambiente sia sem-

pre più richiesto dai consumatori, che sono portati a discriminare le aziende che non tenessero conto di questi elementi di eticità. Non a caso, nei contenuti delle pubblicità, sono sempre più diffusi i riferimenti alla ‘riciclabilità’ delle confezioni o alla natura biologica del prodotto. Quali sono le strategie da seguire per far spiccare l’identità della marca all’interno dei punti vendita? Nei supermercati esiste una forte gerarchia nella distribuzione e allocazione dei prodotti. Insieme alla messa a punto del packaging, il consumatore può essere guidato e coinvolto emotivamente da una sapiente disposizione del prodotto e da un’adeguata segnalazione delle offerte. Può citare una recente case history esplicativa del vostro modus operandi? Recentemente il nostro partner inglese SiebertHead ha realizzato il progetto di re-design dell’identità visiva della birra Carlsberg, dalla messa a punto della forma della bottiglia all’etichetta, passando per il logo, i colori scelti e il design dello spillatore. Cambiamenti indirizzati a trasmettere un’immagine di eccellenza. nc

Giovanni Brunazzi, presidente Brunazzi&Associati

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UNA TIGRE IN GIACCA E CRAVATTA PRAGMATISMO, CONCRETEZZA E RIGORE SONO LE CARATTERISTICHE CHE MEGLIO DEFINISCONO IL MODUS OPERANDI DI CABIRIA BRANDUNIVERSE. UN’AGENZIA CHE VANTA, PERÒ, ANCHE UNA GRANDE CREATIVITÀ ISTINTIVA, TANTO DA VENIR PARAGONATA DAL MANAGEMENT AZIENDALE A UNA TIGRE, DAL COLLETTO BIANCO, CAPACE DI AFFRONTARE IL MERCATO CON CORAGGIO E GRINTA DA VERA PROBLEM SOLVER STRATEGICA, INNOVANDO, IMMERSA NELLO SPIRITO DEL TEMPO.

Nata nel 2007 con il nome di Governance Adv come agenzia di corporate advertising specializzata nella comunicazione istituzionale e finanziaria. Nel 2009 sceglie di ri-posizionarsi, come Cabiria BrandUniverse, aprendo sempre più al mercato delle aziende e dei prodotti di marca. Nel primo anno di attività ha acquisito importanti incarichi di branding, nel mondo consumer (Costa Crociere, F.I.L.A. e Gruppo Tenua con i brand Yamasushi e Natui) e corporate, e di employee branding per marchi già esistenti tra i quali Banca Etruria, E.ON e Prysmian. Cabiria è una tigre - spiega Massimo Rosa, ad -, un organismo capace di esprimere una forte creatività istintiva con una buona dose di coraggio e di grinta, ma non di-

mentichiamoci che si tratta di una tigre in giacca e cravatta...”. Pragmatismo, concretezza e rigore sono le caratteristiche che definiscono il modo di operare dell’agenzia. Valori condivisi con i clienti che la scelgono. Cabiria BrandUniverse è una struttura semplice, priva di tutte quelle sovrastrutture tipiche delle grandi agenzie internazionali. “Integriamo al nostro interno - continua

Massimo Rosa, amministratore delegato e Valeria Raffa, vicepresidente e strategic & creative head Cabiria BrandUniverse

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Rosa - tutte le competenze necessarie, dalla strategia alla produzione, e dedichiamo molte risorse al presidio del nostro processo per garantire efficienza, efficacia e rispetto dei tempi. Un elemento ulteriore che caratterizza Cabiria è la capacità e la volontà di formulare in modo indipendente il giusto mix di discipline e di media per un’efficace comunicazione dell’universo della marca.


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Cabiria ha ridisegnato il marchio Yamasushi trasformando il pittogramma nelle pieghe di un chimono e la tipografia in bacchette essenziali e moderne

struisce il racconto legato al mondo della marca, ma va implementata con rigore per creare una comunicazione efficace. A seguito dell’evoluzione tecnologica,della rivoluzione digitale, in che direzione sta evolvendo la brand identity? (Raffa) La brand identity risponde all’equity della marca, deve quindi essere pensata come un organismo polifunzionale. Come ormai accade alle persone, anche il brand ha una doppia esistenza: reale e virtuale. Il media digitale è strategicamente importante in quanto punto di contatto col pubblico, così come lo è il punto vendita. Nel disegnare la digital brand identity bisogna tenere in considerazione il media digitale con i relativi vincoli tecnici, trasformando i codici della marca senza però mai perderne l’identità, ancora una volta la coerenza innanzitutto, ma anzi sfruttandone le potenzialità come un vero e proprio brand booster.

“Anche la nostra metodologia è semplice - incalza Valeria Raffa, vicepresidente e strategic & creative head -: Know ,Think, Create. Come gli attori, ci immedesimiamo nella marca e nella sua audience, approcciamo i progetti come veri problem solver strategici, innovando, immersi nello spirito del tempo. Quali sono gli elementi immancabili in una corretta operazione di Brand Identity? Che peso ha la creatività? (Raffa) La brand identity di successo si fonda su asset che penetrano spontaneamente nella mente del consumatore influen-

zando certamente il processo d’acquisto. Teniamo presente che soprattutto in un punto vendita affollato il consumatore cerca nella marca un approdo rassicurante e uno ‘short-cut’ risparmia tempo. È appurato che l’individuo è propenso a cercare la ‘sua marca’ preferita a discapito degli aspetti di poligamia e migrazione dati dal proliferare delle offerte. Penso che gli ingredienti principali per una corretta operazione di brand identity siano: Empatia, Creatività e Rigore. Per costruire tale operazione è necessario entrare in contatto con la marca e i suoi codici semiotici. La creatività è chiave perché co-

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Può citare una recente case history esplicativa del vostro modus operandi? (Raffa) Yamasushi, prima azienda italiana che produce su vasta scala migliaia di confezioni di sushi fresco per la grande distribuzione, si è da subito distinto per la cura e attenzione nel confezionamento del prodotto. L’opportunità di un restyling del brand ha origine dalla percezione generale di una marca troppo fredda e industriale, forse a causa di un look&feel product oriented. Cabiria ha riposizionato il brand spostandolo da food a lifestyle puntando sull’ampliamento delle occasioni di consumo. Il marchio è stato ridisegnato trasformando il pittogramma nelle pieghe di un chimono e la tipografia in bacchette essenziali e moderne. Il ‘tone of voice’ nella comunicazione sul punto vendita è sempre diretto e lievemente ironico, il copy è genuino e semplice come lo sono il riso e il pesce crudo. nc


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STUPIRE CON INTELLIGENZA CACAO DESIGN, FONDATA NEL 2004 DA MASA MAGNONI, ALESSANDRO FLORIDIA E MAURO PASTORE, È UN'AGENZIA DALLA FORTE SPECIALIZZAZIONE IN BRANDING, WEB E BELOW THE LINE. L'ESPERIENZA VENTENNALE DEI SOCI E LA VOGLIA DI CONTINUE E NUOVE SFIDE LA RENDONO UNA REALTÀ IN GRADO DI RIVOLGERSI AD AZIENDE DI QUALSIASI DIMENSIONE E OPERANTI NEI SETTORI PIÙ DISPARATI, CON L'ECCELLENZA E L'ATTENZIONE AL DETTAGLIO COME UNICI COMUNI DENOMINATORI.

Tra i punti di forza di Cacao Design vi sono l’esperienza pluriennale dei soci fondatori (Masa Magnoni, Alessandro Floridia e Mauro Pastore) e la grande capacità di confronto. “Ci caratterizziamo - spiega Pastore -, per una maniacale attenzione al dettaglio e siamo estremamente esigenti: se le cose non ci soddisfano totalmente, non arriveranno mai ai clienti”. Nel tempo, il modo di affrontare il lavoro da parte dell’agenzia non è particolarmente cambiato. “Pensiamo di avere la fortuna di fare uno dei lavori più belli del mondo - aggiunge Floridia - e la passione rappresenta il collante che da 20 anni ci unisce e ci fa divertire, ogni giorno”. A essere evoluti sono stati soprattutto i clienti: in una prima fase solo agenzie di pubblicità che subappaltavano lavori di branding, per poi passare quasi esclusivamente a clienti

diretti, sempre più prestigiosi e, come li definisce Pastore ‘giganti’, nonostante l’agenzia sia rimasta nel tempo una struttura di piccole dimensioni, quasi un team di ‘artigiani del design’. “Quanto ai futuri obiettivi di sviluppo - precisa Magnoni -, ci fac-

ciamo pochi castelli. Qualcuno ha detto “trova un lavoro che ti piace fare, non lavorerai neanche un giorno della tua vita”. Noi molto semplicemente speriamo di poter continuare a divertirci facendo quel che ci piace, ogni giorno. Quali sono gli elementi immancabili in una corretta operazione di brand identity? Che peso ha la creatività? (Pastore) Non ci sono regole. Ogni cliente/prodotto/servizio ha i suoi obiettivi di marketing e in funzione di quelli, e del suo target di riferimento, si devono definire gli elementi immancabili. Il peso della creatività è il più delle volte immenso, essendo il più delle volte il vero ‘point of difpuò dare al che ference’ cliente/prodotto/servizio una marcia in più rispetto ai competitor. Quanto un’agenzia di brand identity oggi interagisce con gli altri player di comunicazione? Ritiene che l’interazione sia cresciuta rispetto al passato? (Magnoni) L’interazione rispetto al passato è decisamente cresciuta, le aziende in

Masa Magnoni, Alessandro Floridia, Mauro Pastore, direttori creativi e soci fondatori Cacao Design

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primis hanno capito che ci deve essere un coordinamento e una coerenza tra tutti gli elementi, che siano Atl o Btl, online ed offline. E di conseguenza tra i vari attori che concorrono a definirli. Quindi il confronto è più che necessario. A seguito dell’evoluzione tecnologica e digitale in che direzione sta evolvendo la brand identity? (Floridia) La brand identity deve essere sempre coerente e coordinata, digitale o meno che sia. E non è la brand identity che sta evolvendo, stanno evolvendo gli strumenti e le tecnologie che la veicolano. Nel digitale valgono gli stessi principi, cambiano semplicemente più in fretta le mode, i codici e i linguaggi ed è più difficile restare attuali. Ma il futuro è quello, già oggi i clienti si muovono con un mouse - ancora per poco, anche quello sarà superato dalla tecnologia touch - per orientarsi se non addirittura per effettuare i propri acquisti. Quindi bisogna esserci, ed esserci nella maniera giusta.

In che modo la nuova visione green della comunicazione viene declinata nella brand identity? (Pastore) Purtroppo il green è diventato uno dei tanti valori chiave da trasmettere e non una necessità generata da una vera e sincera visione/coscienza ecosostenibile da parte delle aziende. Quindi la comunicazione generalmente tende a trasmettere questo ‘green’ utilizzando supporti riciclati - non necessariamente ecologici, anzi - se non addirittura veicolando immagini o frasi retoriche attraverso strumenti che sono di per sé poco igienici per l’ambiente, creando paradossi poco positivi agli occhi dei più esperti ed esigenti sul tema ecologico. Può citare una recente case history esplicativa del vostro modus operandi? (Floridia) Il progetto realizzato per un’azienda del settore industriale: Boldrocchi. Aveva richiesto un libro monografico, si è ‘trovata’ un oggetto di design (una brochure con la copertina in metallo calandrato, ndr) con foto assolutamente emozionali grazie

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Progetto di Cacao Design per Boldrocchi: più di un libro monografico, un vero e proprio oggetto di design con foto emozionali di Matteo Gastel e un’originale copertina in metallo calandrato

alla scelta coraggiosa di utilizzare un fotografo di moda, Matteo Gastel, per ritrarre delle ventole industriali. La stampa, a opera di Fontegrafica, stampatore tra i più rinomati a livello mondiale, è stata poi impreziosita dall’intervento di un argento al titanio nelle quadricromie, che ha reso gli acciai assolutamente realistici. Chi ha lavorato sul progetto? (Magnoni) È stato un vero lavoro di team, che ha coinvolto, e divertito prima di tutto, il nostro cliente che certo non poteva immaginare una risposta così oltre ogni aspettativa. Credo possa essere esplicativo del nostro modus operandi: divertirsi e far divertire, sorprendere, stupire ed emozionare, ma mai gratuitamente. E non parliamo di soldi, parliamo di intelligenza! nc


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IMMAGINARE IL FUTURO CARMI E UBERTIS NASCE DALL'ESPERIENZA DI ELIO CARMI, ALESSANDRO UBERTIS E CARLO ALIVERTI, MATURATA IN OLTRE VENT'ANNI DI COLLABORAZIONE CON PRIMARIE SOCIETÀ NAZIONALI ED INTERNAZIONALI. LA SUA MISSION È AFFIANCARE LE IMPRESE NEL PROCESSO DI VALORIZZAZIONE DELLA MARCA, UTILIZZANDO LE LEVE DELLA COMUNICAZIONE E DEL DESIGN E COSTRUENDO PERFORMANCE DI MARCA TANGIBILI E CONCRETE PER OTTIMIZZARE I RISULTATI.

Società specializzata nella creazione e nella gestione dell'immagine di marca, Carmi e Ubertis da sempre punta su buon senso, spirito propositivo, professionalità e creatività per costruire sistemi di comunicazione coerenti in ogni loro espressione, distintivi rispetto ai competitor e rilevanti per il pubblico. “Vantiamo 25 anni di storia - afferma Carlo Aliverti, da tre anni socio dell’agenzia e precedentemente ai vertici di FutureBrand GioRossi e di RobilantAssociati -, ma ancora oggi abbiamo obiettivi di crescita. Per fare una battuta, ed esorcizzare così il momento di crisi, spero li abbiano anche le aziende italiane... Siamo sempre in prima linea, impegnati direttamente su ogni progetto-cliente. Con ciò, le aziende hanno la certezza di non essere mai trascurate”.

Quali sono gli elementi immancabili in una corretta operazione di brand identity? Innanzitutto, il pensiero, la strategia della marca. Oggi assistiamo, più che a una crisi, a un vero cambiamento, in cui i paradigmi di consumo si sono trasformati. Io dico, definitivamente. Ebbene, oggi le aziende si devono porre, innanzitutto, la domanda:

‘Che cosa stiamo facendo per assecondare il mutamento del nostro mercato? Quali strategie stiamo mettendo in atto?’. Quanto contribuisce la creatività nel processo di acquisto? Dipende da che cosa si intende per creatività. La creatività è un’impostazione del pensiero; capace, quindi, di influire su tutti i processi aziendali e, se ben coordinata, con una strategia comune, in grado di portare la marca verso un miglior livello differenziazione, in cerca di quell’unicità che oggi rappresenta l’unico valore attraverso il quale un’azienda può permettersi di non combattere solo sulla leva del prezzo. Quali sono le interazioni tra gli attori che lavorano sulle diverse espressioni della strategia di comunicazione? Il coordinamento del pensiero viene fatto attraverso la strategia di marca, quello delle azioni è invece spesso delegato alle aziende, nella funzione del marketing. Noi ci proponiamo anche come registi delle operazioni, ma non sempre questo ruolo ci viene assegnato.

Carlo Aliverti, socio Carmi e Ubertis

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Carmi e Ubertis si è occupata del rilancio del brand Alemagna: un progetto dedicato al riposizionamento e alla rivisitazione dell’identità di marca e dei prodotti, nonché dei vari strumenti di comunicazione: il packaging, il sito, il punto vendita e il catalogo

Il digitale e la brand identity in che rapporto sono? La brand identity è un pensiero, una strategia, mentre il digitale è uno dei più importanti strumenti a disposizione delle aziende per mettere in atto le strategie stesse. E per quanto riguarda la nuova visione green della comunicazione? Come viene declinata nella brand identity? È uno degli aspetti di maggiore attualità e che giustamente, e finalmente, fa parte delle nuove strategie aziendali. Ciò sta accadendo poiché finalmente esiste una domanda da parte del consumatore, che solo recentemente ha preso in considerazione questo argomento. Fino a pochissimi anni fa,

sembravamo tutti interessati ma nessuno era disposto a fare anche solo un piccolo sforzo per avere un mondo più ‘green’. Come è possibile far spiccare la marca all’interno dei punti vendita? Se l’azienda dispone di spazi propri, il gioco è relativamente semplice; altrimenti si tratta di investire, acquistando spazi e visibilità sul punto vendita. E tra tutti gli investimenti di marketing possibili, quelli destinati al punto vendita sono senz’altro tra i migliori. La comunicazione nel punto vendita, infatti, agisce esattamente nel momento in cui il consumatore decide gli acquisti. Può citare una recente case history esplicativa del vostro modus operandi? In questi giorni è uscita sul mercato la nuova Alemagna, il rilancio dello storico brand della pasticceria italiana, oggi del gruppo Bauli. L’azienda ci ha incaricato, circa un anno fa e a seguito di una gara tra agenzie, di realizzare dapprima la nuova strategia di

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marca e successivamente, sulla base di quanto trovato, la nuova corporate identity e la nuova immagine degli oltre 30 prodotti in offerta. Il brief fornito all’agenzia chiedeva di rendere attuale l’immagine dei prodotti, mantenendo il legame con la storia, i valori e la tradizione della marca. Abbiamo lavorato a una strategia e a un’immagine in grado di comunicare il sottile equilibrio fra storia e attualità. Capitalizzando la tradizione del brand e i suoi significati, abbiamo deciso di valorizzarli come talenti ed espressione di alta qualità. Abbiamo puntato su temi e valori coerenti con la storia e il ricordo del brand, declinandoli però in modi coerenti agli stilemi più moderni e contemporanei, esplorando atmosfere cromaticamente evocative e aspirazionali. I prodotti della nuova gamma Alemagna richiamano mood allegri, moderni e attuali, strizzando l’occhio alla moda e al design, coerentemente ai valori tradizionali della città Natale, Milano, ma capaci di coinvolgere efficacemente anche un target giovane e dinamico. nc


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LA MAGIA DEI SEGNI CARRÉ NOIR NASCE NEL 1973 A PARIGI E SI AFFERMA SUBITO PER LA CAPACITÀ DI INTERPRETARE IL DESIGN COME STRUMENTO AL SERVIZIO DELLA COMUNICAZIONE DI MARCA. UN’AGENZIA DI ‘STRATEGIC DESIGN & CONSULTING’ PRESENTE IN ITALIA DAL 1992, IL CUI MODUS OPERANDI È COSTITUITO DA GRANDE ESPERIENZA E PROFESSIONALITÀ NEL DESIGN E INTUIZIONE CREATIVA, SUPPORTATE DALLA PROFONDA RIFLESSIONE SUL BRAND E SULLE SUE POTENZIALITÀ.

Point of difference di Carré Noir è da sempre la capacità di affiancare il cliente dalla definizione del pensiero strategico alla scelta del percorso creativo, fino alla produzione. Il ruolo consulenziale riveste dunque per l’agenzia di ‘strategic design & consulting’ un asset importante. “Abbiamo una posizione precisa sul mercato - spiega Ilaria Scardovi, amministratore delegato - e i numerosi clienti che si rivolgono a noi ne sono la conferma. Per il 2011 abbiamo importanti obiettivi di sviluppo, con l’inserimento di nuove figure in ambito digital e planning”.

da o il servizio di cui siamo chiamati a creare l’identità, il nostro pensiero parte sempre da un momento di analisi per individuare lo scenario in cui si contestualizza e arrivare alla definizione di concetti distintivi

da esprimere con la creatività. La vera ‘magia’ del nostro lavoro è riuscire a tradurre un percorso concettuale complesso in pochi e affascinanti segni. Come interagiscono oggi i diversi attori della comunicazione? Il rapporto costante con gli altri attori della comunicazione non è molto frequente, ma all’interno del nostro gruppo cerchiamo di coordinarci, sempre mantenendo ciascuno la propria specializzazione. Il dialogo tra diverse discipline non può che arricchire il contributo che diamo al cliente e la sua efficacia. Il progetto ‘Kimbo Coffee Hour’ sviluppato da Carré Noir insieme a Republic è una buona dimostrazione dei risultati di successo che si possono ottenere.

Quali sono le fasi fondamentali di un progetto di branding? Un progetto di branding prevede tre fasi fondamentali: analisi strategica, sintesi concettuale ed esplorazione creativa.Tutte hanno lo stesso valore e sono profondamente correlate. Qualsiasi sia il prodotto, l’azien-

Alla luce dell’evoluzione tecnologica e della nuova visione green della comunicazione,in che direzione sta evolvendo la brand identity? Oggi, lo stesso messaggio viene veicolato attraverso più media con approcci diversi. È chiaro quindi che il programma di branding deve evolvere, prevedendo anche l’uti-

Ilaria Scardovi, amministratore delegato Carré Noir

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lizzo dell’identity in contesti digitali. A oggi la parola ‘digital branding’ è ancora piuttosto vuota, ma sicuramente rappresenterà una chiave di crescita importante, perchè sono proprio i consumatori a essere sempre più digital. Stiamo lavorando per sviluppare una conoscenza approfondita dei nuovi contesti: non siamo chiamati a trasformarci in web agency o in sviluppatori di App, quello che è importante è ragionare in una ‘chiave’ digital, conoscendo adeguati strumenti atti a potenziare la vitalità del brand. Il boom della ‘green economy’ si nota proprio dalla enorme quantità di marchi ispirati alla natura che sono stati registrati in questi ultimi due anni. Bisogna però distinguere tra chi si limita a ‘imitare’ i codici espressivi della ‘green communication’ e chi invece li utilizza per comunicare i propri valori profondi. È questo il caso dell’identità ‘Pensiamo Naturale’, da noi ideata come sintesi della filosofia Valfrutta. Un’espressione semplice, ricca di significati, che espri-

me il ‘credo’ di un’azienda cooperativa legata alla terra e alle tradizioni contadine, rispettosa della natura e affidabile per la qualità dei suoi prodotti. Un concetto ancora più ‘forte’ perché registrabile sia come marchio, sia come dominio (www.pensiamonaturale.it, ndr).

Progetto ‘Kimbo Coffee Hour’ sviluppato da Carré Noir insieme a Republic

Può citare una recente case history esplicativa del vostro modus operandi? La case history Valfrutta ben rappresenta il

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Obiettivo del progetto Valfrutta firmato da Carré Noir era quello di rendere visibile attraverso il packaging l’impegno di Valfrutta: una cooperativa di 17.000 soci-agricoltori uniti dall’amore per l’ambiente e dal giusto riconoscimento del lavoro dell’uomo

nostro metodo e la nostra capacità di valorizzare l’immagine di marca. L’obiettivo del progetto era quello di rendere visibile attraverso il packaging il concreto impegno di Valfrutta: una cooperativa fatta di 17.000 soci-agricoltori, uniti dall’amore per l’ambiente (metodi di produzione integrata, utilizzo di energia eolica, ndr) e dal giusto riconoscimento dato al lavoro dell’uomo (valori tipici del mondo cooperativo, ndr). Il facing presenta oggi un key-visual ‘esclusivo’: un paesaggio tra campi e cielo, con contadini al lavoro e una pala eolica in lontananza. Una raffigurazione dei valori di marca, che individua un system grafico trasversale (rossi, conserve vegetali, succhi di frutta, ecc.) fortemente riconoscibile. Anche il retro è decisamente ‘atipico’: otto soci Valfrutta sono stati scelti come ‘testimonial’ e diventano protagonisti di questo spazio per comunicare tutta la ‘verità’ della marca, facendo vedere chi c’è realmente dietro i prodotti. In questo modo, abbiamo dato la parola ai contadini: un concetto che ha portato il presidente di Conserve Italia, Maurizio Gardini, a ‘metterci la faccia’ in una recente promozione televisiva. nc


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TRADURRE I TREND IN STRATEGIE L’AGENZIA INTERNAZIONALE DI BRANDING FUTUREBRAND ITALY VANTA UN TEAM DI CIRCA 60 PERSONE, UN’ESPERIENZA E UNA STORIA DI PIÙ DI 45 ANNI, UN NETWORK DI 25 AGENZIE NEL MONDO E, SOPRATTUTTO, UN’APPROFONDITA CONOSCENZA DEL CONSUMATORE, FRUTTO DI ANALISI E STUDI SUI SUOI BISOGNI E DESIDERI. L’OBIETTIVO È DA SEMPRE LO STESSO: LAVORARE A FIANCO DELLE IMPRESE PER DARE VALORE ALLE MARCHE E GARANTIRNE LA LONGEVITÀ.

FutureBrand vanta una storia di 45 anni, e oggi è un network internazionale che può contare su 25 agenzie nel mondo. Da sempre, la presenza di professionisti provenienti da culture ed esperienze diverse rappresenta un vantaggio per i clienti, per i quali l’agenzia è in grado di offrire un punto di vista veramente local, glocal o global, lavorando loro fianco a fianco, per dare valore alle marche, garantendone lunga vita. “La dimensione internazionale - afferma Alessandra Iovinella, chief growth officer FutureBrand - è la vera ricchezza di FutureBrand, unita a una conoscenza del mercato italiano che non ha uguali. La capacità di analizzare i trend e tradurli in strategie di marca personalizzate è un punto di forza innegabile della nostra offerta alquanto articolata in grado di dare espressione alle marche in tutte le sfaccettature”.

Parliamo di creatività. Quanto è fondamentale per la brand identity e quanto aiuta concretamente nel processo di acquisto? Noi di FutureBrand non ci stanchiamo mai di dire che la creatività applicata alle marche deve essere strategica, così come la consulenza deve saper essere creativa. Il design fine a se stesso non garantisce la durata nel tempo di una marca, che oggi deve affrontare i mercati di tutto il mondo e la concorrenza di brand internazionali. La creatività è parte integrante di un progetto di brand identity, ma sempre supportata dallo studio del contesto in cui un brand si muoverà. Ritiene che oggi l’interazione tra un’agenzia che si occupa di brand identity e gli altri partner di comunicazione sia cresciuta? Certamente l’interazione tra le diverse figure professionali è cresciuta molto rispetto al passato, ci auguriamo che questo trend continui a tutto vantaggio della forza con cui le marche si presentano e comunicano con il loro pubblico. Comunica-

Alessandra Iovinella, chief growth officer FutureBrand

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FutureBrand ha vestito le vetrine Nespresso per presentare Lungo, la gamma di caffè lunghi che regalano la medesima intensità d’aroma e gusto dell’espresso tradizionale

zione che deve essere univoca e coerente a tutto tondo. Identità di marca e web. In che rapporto sono? L’identità di marca oggi non può prescindere dal raccontare i propri valori anche nel web: l’ambiente digitale come quello fisico devono parlare in modo coerente con il mondo offline della marca, pur nel rispetto di altre regole e soprattutto del tono di voce.

Può citare una recente case history esplicativa del vostro modus operandi? FutureBrand ha di recente vestito le vetrine Nespresso per presentare Lungo, la gamma di caffè lunghi che regalano la medesima intensità d’aroma e gusto dell’espresso tradizionale. La gamma Lungo (tre caffè lunghi e un decaffeinato), rilanciata nel 2009, era percepita dai consumatori come ‘un caffè un po’ annacquato e non abbastanza forte’. L’obiettivo del progetto era perciò duplice: informare i membri del Club Nespresso e i prospect delle qualità intrinseche del prodotto - un caffè lungo, sì, ma con la medesima intensità di un espresso tradizionale e capitalizzare su un momento di consumo strategico quale la prima colazione. Abbiamo così creato un universo visivo di forte impatto, impiegando le icone della marca Nespresso, le capsule e la tazza, per

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dar vita a un gioco visivo basato sulla luce, il formato e i colori per svelare la promessa del prodotto. Il personaggio utilizzato simboleggia l’intensità degli aromi e la ricchezza del caffè Lungo. La vetrina rappresenta una forma di comunicazione integrata. Per le marche che dispongono di una rete di negozi come Nespresso, oltre 200 in tutto il mondo, le vetrine sono un mezzo particolarmente efficace per comunicare e lanciare nuovi prodotti. Da un lato, nutrono la brand equity della marca, favorendo le vendite, dall’altro diventano oggetto di una vera e propria campagna, che comunica direttamente a ‘casa’ della marca. Così facendo, la marca non si esprime attraverso un mezzo ‘disincarnato’, ma impiega la sua stessa location. La vetrina non è più solo un messaggio distaccato, ma un vero invito a entrare e sperimentare il prodotto. nc


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REGISTI DI SE STESSI SE C’È UNA COSA CHE I CLIENTI LE RICONOSCONO È LA CAPACITÀ DI ELABORARE UNA SAPIENTE ED EFFICACE ‘REGIA’ NELLA MODALITÀ DI RAPPRESENTAZIONE DELL’IMPRESA, RICONDUCENDO I DIVERSI ELEMENTI, DAL RETAIL AL WEB, ALL’INTERNO DI UN UNICO PENTAGRAMMA. STIAMO PARLANDO DI INAREA, NETWORK INTERNAZIONALE SPECIALIZZATO NELLA CREAZIONE E GESTIONE DI SISTEMI DI IDENTITÀ, CHE FORNISCANO VALORE AGGIUNTO AI CLIENTI. COME DIMOSTRA LA CASE HISTORY ENI.

Rete internazionale e indipendente di designer, architetti, strategist e consultant, Inarea Identity and Design Network propone processi articolati per migliorare le performance dei clienti, definendo la loro identità. Il network è coordinato da 22 partner con uno staff di oltre cento persone, in otto paesi, con dieci uffici. In Italia, è presente con due società: Inarea Strategic Design, con sede a Roma, e Inarea Identity Architecture, con base a Milano. “I valori fondanti - dichiara il presidente Antonio Romano - sono il senso della comunità, anteposto al senso di impresa, che rimanda al considerare il lavoro come un valore in sé, non qualcosa che deve essere fatto perché lo chiede un cliente o un capo. Inoltre, puntiamo a dare vita a progetti che abbiano immediati riscontri in termini di significato, con la capacità di ricondurre la complessità alla semplicità, sottraendo peso, puntando alla leggerezza”.

Quali sono gli elementi chiave in una corretta operazione di brand identity? Noi costruiamo una rappresentazione dell’idea di futuro del cliente, senza dimenticarne la storia e portando alla luce tutti i contenuti che permettano a una marca di porsi in termini di unicità e irripetibilità. In che modo, secondo lei, le nuove opportunità digitali influenzano la brand identity? La digitalizzazione ha modificato prima i processi poi i prodotti del nostro mestiere. Il web, per esempio, è per sua natura un integratore di media e, grazie a questa funzione, consente la lettura rapida di una qualsiasi realtà, e un conseguente snellimento dei processi che si richiedono per definire una brand identity. Ritiene che gli aspetti etici influenzino l’identità delle marche? Assolutamente sì. Quando si spinge una struttura a censire i propri patrimoni e valori, allora l’attenzione che si pone sugli oggetti marcati cambia e aumenta. A questo punto o si è consapevoli della marcatura

Antonio Romano, presidente Inarea

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Inarea ha firmato il progetto, iniziato nel 2006, di ridefinizione della brand identity Eni, che ha dato nuova vita al famoso cane a sei zampe, logo del Gruppo

che si sta operando o si rischia un effetto boomerang. Quali sono le strategie da seguire per far spiccare l’identità della marca all’interno dei punti vendita? Nell’era della rete immateriale, per quanto possa sembrare paradossale, le reti fisiche hanno trovato nuovo slancio, al punto da sostituire, in certi casi, l’advertising classico. Se un tempo gran parte degli investimenti erano concentrati sulla ‘p’ di promotion, oggi la ‘p’ più ricca sta diventando quella di placement, perché lo spazio all’interno del quale si genera il contatto diretto con le varie categorie di stakeholder diventa il mio spazio di relazione. Oggi si sta recuperando il valore della relazione come momento centrale, superando quelle leggi del marketing che, invece, puntavano sul-

la centralità della vendita. Quest’ultima può essere una ricaduta della relazione, ma non è l’elemento prioritario. All’interno di una dimensione dialogica, si creano le condizioni ideali per una vendita che non ha più il sapore spietato del ‘piazzare a tutti i costi qualcosa’. Cosa rende diversa la sua società e quali sono gli strumenti e il know how professionale che offre ai suoi clienti? I nostri clienti ci riconoscono una capacità di ‘regia’ nella modalità di rappresentazione dell’impresa. La capacità di ricondurre diversi elementi - dall’architettura del retail al web, passando per il corporate behaviour - a una unica struttura in grado di leggerli, intepretarli e definirne gli aspetti chiave di rappresentazione, per il cliente è un grande valore. Può citare una recente case history esplicativa del vostro modus operandi? A partire dal 2006 abbiamo realizzato per Eni un’operazione progressiva che ha traghettato il marchio da una dimensione stret-

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tamente finanziaria, in cui era confinato, a quella più vicina alla vita quotidiana delle persone. Dal nuovo logo con il cane a sei zampe alla progettazione e realizzazione della nuova brand identity, abbiamo contribuito ad affermare un’idea di Eni come realtà ‘open energy’ a 360 gradi. In particolare, la prima fase del progetto ha previsto la catalogazione di tutti gli elementi che definivano le identità delle varie strutture societarie del Gruppo. Poi siamo passati a realizzare alcune interviste ‘one to one’ con l’upper management, per capire quale idea di futuro era condivisa dalle persone che guidavano l’impresa. Contestualmente, abbiamo effettuato delle ricerche con Gfk Eurisko sul mercato domestico e internazionale, per cogliere gli universi di percezione rispetto a Eni e Agip. Successivamente abbiamo realizzato un lavoro di benchmark sui più importanti player dell’energia e del petrolio. Così siamo passati a una fase di strategia: abbiamo coinvolto nuovamente tutti i manager per definire l’architettura di brand, oltre alla filosofia e ai linguaggi che questa architettura avrebbe prodotto. nc


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IL MOTORE DEL CAMBIAMENTO L’OBIETTIVO DI LANDOR È AFFIANCARE IN MODO SEMPRE PIÙ EFFICACE I PROPRI CLIENTI IN PROCESSI DI BRAND-LED TRANSFORMATION, DOVE LA MARCA E LA RELAZIONE CON IL CLIENTE RAPPRESENTANO IL MOTORE PRINCIPALE DEL CAMBIAMENTO. IL SUO METODO? UNIRE RIGORE E CREATIVITÀ PER RENDERE LE SCELTE DI DESIGN CONSEGUENZA DI UN PENSIERO STRATEGICO VOLTO A PRODURRE UN IMPATTO REALE SUL CONSUMATORE E QUINDI SUI RISULTATI DI BUSINESS.

“Landor Associates, creata dal pioniere del branding Walter Landor oltre 70 anni fa, è oggi la maggiore, più autorevole e conosciuta società del mondo nel campo del branding e copre tutte le attività relative alla consulenza strategica sulla marca e al design di tutte le sue manifestazioni (naming, identità istituzionale, packaging, design di ambienti, applicazioni digitali, editoria, ecc.), fino all’allineamento della cultura dell’organizzazione ai valori e allo scopo della marca”. Così Antonio Marazza presenta la società di cui è amministratore delegato. “Il metodo sviluppato da Landor - continua -, unendo rigore e creatività, rende le scelte di design la conseguenza di un pensiero strategico volto a produrre un impatto reale sul consumatore e quindi sui risultati di business”.

Dal punto di vista più operativo, Landor non è mai cresciuta attraverso acquisizioni: questo permette oggi di mettere a disposizione dei clienti una comunità multiculturale e multidisciplinare di oltre 750 professionisti in 22 uffici nel mondo assolutamente omogenea nell’approccio, nel metodo e nella condivisione delle esperienze. Quali sono gli elementi immancabili in una corretta operazione di brand identity? Qual è l’impatto del branding nel processo d’acquisto? Nell’impostazione di Landor il branding è una perfetta combinazione di rigore metodologico e visione creativa. In tutte le fasi di un intervento tipico, dall’analisi preliminare dell’azienda e dei concorrenti, allo sviluppo della strategia, alla ideazione della identità e della esperienza di marca, fino alla implementazione, agiscono sempre team congiunti di brand strategist e designer con varie specializzazioni. L’impatto del branding nel processo d’acquisto è elevatissimo soprattutto nel caso del packaging e della esperienza online, se pensiamo ai pochi secondi che il consumatore passa

Antonio Marazza, amministratore delegato Landor Milano

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Per rilanciare l’immagine di Citroën, Landor ha sviluppato una piattaforma strategica di marca, rielaborato l’identità del brand e sviluppato un ‘look and feel’ ispirato ai princìpi di marca: creatività e tecnologia

A parole il consumatore esprime una sensibilità green ma quando si tratta di mettere mano al portafoglio tutto è ancora troppo difficile.

mediamente davanti allo scaffale o davanti a una schermata prima di decidere se passare oltre o considerare l’acquisto. In quel momento non si possono fare errori.

Cosa rappresenta il digitale per chi si occupa di branding? La marca interagisce con il consumatore sulla base di una serie di esperienze: il digitale è semplicemente uno dei canali attraverso cui costruire questa esperienza. Che ovviamente deve essere coerente con tutte le altre e ispirata dalla medesima strategia di marca. Per chi fa branding il digitale è semplicemente una nuova grandissima opportunità in più per far vivere la marca.

In che modo la nuova visione green della comunicazione viene declinata nella brand identity? Da un lato la presenza di uno o più loghini ‘verdi’ sembra diventata un obbligo: in questo contesto il problema è emergere differenziandosi, sempre che si abbia qualcosa di speciale da dire. In altre parole, non fermarsi al loghino ‘green’ ma farne il portabandiera di un vero cambiamento organizzativo. Dall’altro, in alcuni paesi abbiamo avuto esperienze di brand creati esplicitamente per rispondere a istanze ecologiste; in Italia siamo ancora un po’ in ritardo da questo punto di vista.

Brand identity e retail, come è possibile far spiccare la marca all’interno dei punti vendita? Vale quanto detto a proposito del digitale: una catena retail che non trasferisce i messaggi e la personalità della marca è un’occasione e un investimento sprecato. Troppo spesso, tuttavia, le aziende gestiscono questo tema in modo separato rispetto alla marca, anziché fare discendere l’esperienza retail, che si traduce nella scel-

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ta di colori, materiali, layout, grafiche, sistemi di illuminazione, finiture, ecc. direttamente dalla strategia di marca. Può citare una recente case history esplicativa del vostro modus operandi? Un esempio può essere Citroën; la sfida di Landor è stata quella di rilanciare il brand riaccendendo il desiderio del consumatore per un marchio iconico, riaffermando il suo ruolo nel mercato nazionale e guidando l’entrata del brand in nuovi mercati internazionali. Per rilanciare l’immagine della casa automobilistica, abbiamo dapprima sviluppato una piattaforma strategica di marca. Poi, insieme ai designer dell’azienda, abbiamo rielaborato l’identità della marca, donandole una maggiore visibilità e un maggiore impatto, e sviluppato un ‘look and feel’ che si ispira ai princìpi che hanno sempre guidato Citroën: creatività e tecnologia. Gli showroom Citroën, fondamentali per rafforzare la relazioni con i clienti, sono stati completamente ridisegnati. La nuova identità di marca è stata lanciata nel febbraio 2009 e dopo soli otto mesi le vendite sono aumentate in misura considerevole. Citroën è oggi la marca di automobili preferita dai francesi. nc


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DIALOGO E RISULTATI LUMEN NASCE NEL 2003, PROPONENDOSI AL MERCATO COME L’AGENZIA DI BRANDING IN GRADO DI CONIUGARE INNOVAZIONE ED ESPERIENZA NELLA GESTIONE DI GRANDI PROGETTI CON FLESSIBILITÀ, ATTENZIONE AL CLIENTE E VISIONE GLOBALE INTERNAZIONALE. IN POCHI ANNI È RISULTATA TRA LE AGENZIE DI BRANDING PIÙ DINAMICHE E PREMIATE DEL DECENNIO. NEL SUO FUTURO? UN ULTERIORE SVILUPPO INTERNAZIONALE E UN ACCRESCIMENTO QUALITATIVO E DI COMPETENZE A LIVELLO NAZIONALE.

ti a disposizione, cito gli IlLUMENation Days e il Brand Activation Program”.

Flessibilità, attenzione al cliente e visione globale internazionale sono le caratteristiche che, in pochi anni, hanno fatto crescere in modo esponenziale l’agenzia di branding Lumen, tanto che oggi vanta un team di oltre 50 professionisti, uffici a Milano, Londra, Doha e un’importante partnership a Mosca. “La differenza sta nell’approccio al cliente - spiega Pietro Rovatti, socio fondatore e direttore creativo corporate branding Lumen -, nella convinzione che ogni progetto meriti una metodologia ‘customizzata’, nella ricerca continua dell’innovazione (grazie all’Innovation Centre della sede di Londra, ndr), nei molteplici successi di mercato e nell’avere un team composto da quindici nazionalità diverse. Tra i vari strumen-

Quali sono gli elementi immancabili in una corretta operazione di brand identity? Che peso ha la creatività? Analizzare correttamente la strategia aziendale, ma senza farsi troppo coinvolgere dalle dinamiche interne dell’azienda che spesso non ne riflettono l’immagine esterna; pensare e agire in modo globale: ogni singolo item di comunicazione deve essere connesso e collegato agli altri; concertare le soluzioni: coinvolgere e farsi coinvolgere dagli altri attori della comunicazione; creare emozioni: non pensare solo in modo razionale e diretto; suscitare interesse: le vendite si stimolano quando si risulta belli, coerenti e diversi. Esiste un processo più creativo di questo? Quanto è fondamentale l’interazione tra gli attori della marca? L’interazione tra gli attori della marca è un lento processo, ma inesorabile e prezioso. La difficoltà è trovare copiloti disposti a mettersi in gioco senza senso di rivalità o

Pietro Rovatti, socio fondatore e direttore creativo corporate branding Lumen

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Per celebrare il nuovo posizionamento di Bottega Verde, ‘Dalla ConoScienza della Natura, la Bellezza NaTUrale’, Lumen ha rielaborato la communication platform, il design system, il packaging design architecture, il catalogue design e la retail communication

volontà preventiva di difesa delle proprie posizioni. Non credo che neanche i grandi gruppi possano da soli assolvere a tutti gli aspetti della creazione e comunicazione di marca.

Può citare una recente case history esplicativa del vostro modus operandi? Citerei la recente e ancora in corso case history di Bottega Verde, azienda leader

Secondo lei, il digitale può estendere i confini della brand identity? La brand identity non ha confini. Essa si deve esprimere coerentemente dalla presenza su una matita allo stile da usare nel contesto digitale. Faccio una domanda: il tono di voce è diverso se sto illustrando i dati societari sull’annual report da quello usato su un blog tematico? La marca è una, ma i vestiti che usa a seconda delle circostanze possono essere diversi; nella definizione di queste circostanze e delle relative applicazioni sta la difficoltà della gestione della marca oggi; gli scenari sono molto più aperti e dinamici; occorre stare attenti perché l’ambito digitale e il mondo reale non sono più due cose distinte! Penso sia capitato a tutti di dire: “Non ho trovato il sito, quindi non esiste”. Digito ergo sum...

La typeface, disegnata ad hoc da Lumen per Bottega Verde

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della cosmetica naturale. Oltre un anno fa siamo stati contattati dal direttore generale dell’azienda con diverse tematiche: dal riposizionamento della marca alla strategia di comunicazione, dalla caratterizzazione del Punto Vendita alla valorizzazione della presenza internazionale. Il progetto inizia con un approfondito dialogo con l’azienda, per poi proseguire con la progettazione del nuovo posizionamento ‘Dalla ConoScienza della Natura, la Bellezza NaTUrale’ che, insieme alla valorizzazione dell’origine toscana, getta le basi per la valorizzazione della bellezza naturale, della ricerca scientifica e del rapporto diretto con le clienti. Abbiamo lavorato con il nostro team multinazionale e multiculturale, con architetti esterni, con istituti di ricerca qualitativa, con nuove forme di comunicazione (in fase di sviluppo, ndr) e con tutti i reparti dell’azienda. Il progetto ha rielaborato la communication platform, il design system, il tono di voce, la typeface, disegnata ad hoc, il packaging design architecture, il catalogue design (recente vincitore di un primo premio nella sua categoria, ndr), la retail communication e, in collaborazione con l’azienda, è stato rivisto il sito di e-commerce. Un progetto simile non può essere svolto senza un’attiva partecipazione della proprietà, con cui abbiamo dialogato costantemente, come è nello stile di Lumen: dialogo e risultati per l’innovazione e l’evonc luzione della marca.



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ESTRO PRAGMATICO NATA PIÙ DI TRENT’ANNI FA COME AGENZIA DI COMUNICAZIONE E DESIGN, CON IL PASSARE DEL TEMPO MAD SI È FOCALIZZATA SEMPRE PIÙ SUL DESIGN E SULLA SUA APPLICAZIONE STRATEGICA AL BRAND. IL SUO OBIETTIVO È CONSOLIDARE LA PROPRIA POSIZIONE PER ESSERE SEMPRE PIÙ PERCEPITA COME PUNTO DI RIFERIMENTO NELL’AMBITO DEL DESIGN DI MARCA. LA CAPACITÀ DI SVILUPPARE TUTTO INTERNAMENTE RAPPRESENTA, INFINE, LA SUA MARCIA IN PIÙ.

soprattutto da parte delle agenzie di comunicazione che tendono in genere ad assorbire anche una parte delle attività che invece sarebbero proprie di un’agenzia di branding. Ma a volte è il cliente stesso che opta per la scelta di affidarsi a un unico attore pur trattandosi di competenze e know-how ben diversi, pensando probabilmente di ottenere così una maggiore efficienza.

Mad unisce internamente competenze fortemente creative con una conoscenza approfondita dell’intero processo produttivo, incluse attività di photoshooting, illustrazioni, produzione di chromaline, controllo stampa. “Il nostro approccio - spiega Francesca Abate, new business development manager Mad - è molto concreto, pragmatico e unito alla capacità di sviluppare tutto internamente, dall’ideazione del concept fino alla fine del processo, credo ci differenzi in questo momento rispetto agli altri player del mercato italiano”. Che peso ha la creatività in un’operazione di brand identity? E quanto contribuisce concretamente al processo di acquisto? A costo di sembrare banale, la mia risposta è che sicuramente la creatività ha un peso rilevante, ma la sua efficacia è tanto maggiore quanto più è forte la componente di pensiero strategico che ci sta dietro, al fine di creare un vero e proprio dialogo con il cliente, consentendogli di vivere un’esperienza di acquisto positiva, che equivalga a fiducia e fedeltà al marchio. Questo discorso vale ancora di più se riferito a brand che operano nell’ambito del retail.

Che importanza ha la collaborazione con gli altri player della comunicazione? Ritiene che l’interazione sia cresciuta rispetto al passato? Sì, credo di sì, ci si guarda forse con minor sospetto perché è probabilmente più chiaro il ruolo di ognuno nell’ambito della filiera, e si è più consapevoli del valore aggiunto che si può fornire al cliente con una reale e valida collaborazione. Tuttavia, per esperienza, posso dire che non è un atteggiamento ancora molto diffuso,

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In che modo la nuova visione green della comunicazione viene declinata nella brand identity? Il tema è particolarmente in voga nell’ultimo periodo, ma non molti brand sono riusciti finora ad affermarsi in questo universo in continua evoluzione. Qualcuno ha declinato la sua vocazione green attraverso campagne di sostenibilità, altri hanno optato per l’utilizzo di un packaging riciclabile, ma la verità da non dimenticare è che, qualunque sia il modo in cui un brand scelga di procedere, importante è che ricordi che per i consumatori di oggi essere ‘green’ non è una moda, bensì un cambiamento nel comportamento e nel modo di pensare a lungo termine. nc


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IL VALORE DELLA MARCA META IDEA È UN’AGENZIA DI MARKETING COMMUNICATION A FORTE VOCAZIONE STRATEGICA E CREATIVA, CHE TRAE ISPIRAZIONE DA VALORI QUALI CREATIVITÀ, STRATEGIA, TECNOLOGIA, RICERCA, NEW TREND E SOSTENIBILITÀ. ATTRAVERSO UN APPROCCIO DESIGN ORIENTED, HA SVILUPPATO TRE PRINCIPALI AREE DI COMPETENZA, VISUAL & BRAND DESIGN, EXHIBIT & SPACE DESIGN, EVENT & NEW FORMAT, ATTRAVERSO LE QUALI PROPONE PROGETTI CREATIVI E DI MARKETING INNOVATIVI.

La design philosophy di Meta Idea si basa sulla convinzione del valore del brand, attorno al quale, come in una cucina sapientemente organizzata e diretta, si sviluppano strategie e strumenti in grado di soddisfare i differenti palati. Grazie al lavoro integrato di tre business unit, sperimenta e abbina strumenti e tecniche per offrire progetti di comunicazione appetibili e sfiziosi, originali e nutrienti, appaganti e unici. ‘Marketing design’ elabora e individua strategie mirate e strumenti efficaci in area marketing communication: analisi strategica e progettazione si fondono nel lavoro di un team integrato di designer e creativi in grado di ideare, proporre e realizzare iniziative e attività misurabili e di successo e sempre in linea con

il posizionamento dei clienti. La business unit ‘event design’ è composta da un team di creativi, event manager e producer che sfruttando tutti gli strumenti progettuali e tattici offre soluzioni innovative, unendo unicità ed esclusività. La terza business unit, ‘new format’, è un laboratorio composto da creative & strategic planner, attenti alle nuove tendenze e ai nuovi sce-

Tiziana Beretta, designer Meta Idea

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nari e pronti a ideare e sviluppare progetti e format destinati a valorizzare il brand su specifiche attività. Anticipa il brief del cliente proponendo iniziative studiate su target specifici, concepisce e realizza attività trasversali, in modo da avvicinare brand fra loro affini su iniziative di co-branding. “Meta Idea - spiega Tiziana Beretta, designer - propone ai propri clienti progetti


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ideati e sviluppati con un approccio snello basato su micro team dedicati e con un posizionamento che risponde ai sei valori principali dell’agenzia: creativity, strategy, technology, research, new trend, sustainability che sono alla base del nostro pensiero creativo e innovativo”. Quali sono gli elementi immancabili per rendere efficace un progetto di brand identity? La creatività è sempre la base di ogni progetto e deve raggiungere il consumatore, nel processo di acquisto, attraverso molteplici codici e linguaggi. Gli elementi immancabili che rendono un progetto efficace: originalità, funzionalità, misurabilità. Ritiene che l’interazione tra i partner che lavorano sulle diverse espressioni della strategia di comunicazione sia un valore? Le interazioni possibili sono molte e sempre più abituali nei progetti di brand identity. È però necessario superare la logica dell’opportunità e individuare relazioni nuove, meccanismi virtuosi del cambiamento capaci di creare innovazione, identità e partecipazione. La moltiplicazione

del profitto non può essere la meta finale delle interazioni possibili. In che modo la nuova visione green della comunicazione viene declinata nella brand identity? La visione green è un valore che dovrebbe permeare buona parte dei progetti di brand identity. Occorre sensibilizzare consumatori e clienti ad assumere atteggiamenti eco-sostenibili ed eco-compatibili. In questo le agenzie possono svolgere un ruolo importante ed essere le prime a veicolare idee e strumenti ‘green’. E il digitale? La brand identity è sempre più fluida e in grado di adattarsi ai nuovi scenari. La rivoluzione digitale ha incrementato nei consumatori la consapevolezza di essere soggetti attivi nel processo legato alla percezione di un brand. I messaggi devono pertanto essere sempre chiari e trasparenti. Le nuove dinamiche relazionali prevedono quasi sempre un primo approccio alla marca tramite canali digitali e solo a seguire un avvicinamento nel punto di contatto reale. Il punto vendita è quindi il luogo di

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Per l’assessorato alle Politiche Giovanili del comune di Monza, Meta Idea si è occupata dell’ideazione del brand e del logo Monza Giovani, e della progettazione dei materiali a supporto delle iniziative che alimentano il calendario di eventi territoriali

approdo dove deve emergere il ‘calore’ della marca, ma anche l’attenzione al cliente. Una customer relationship evoluta e quasi personalizzata sul target. Può citare una recente case history esplicativa del vostro modus operandi? Un esempio rappresentativo è certamente la brand activation ideata, e ancora in esecuzione, per l’assessorato alle Politiche Giovanili del comune di Monza. Un progetto modulare che ha attivato le differenti competenze dell’agenzia in ambito strategico, creativo, grafico e organizzativo. Dall’ideazione del brand e del logo Monza Giovani, alla progettazione di tutti i materiali a supporto delle iniziative che alimentano il calendario di eventi territoriali. Dal programma di partnership allo sviluppo del canale web e social media. nc


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APPROCCIO MULTIVITAMINICO MULTISPECIALIZZAZIONE NEI SERVIZI PER L’IDENTITÀ DI MARCA, PROPOSITIVITÀ E INNOVAZIONE, VELOCITÀ DI REAZIONE E SOPRATTUTTO UNA FORTE E RINNOVATA VICINANZA AL CLIENTE E AL CONSUMATORE. ECCO LA VISIONE D’AGENZIA CON CUI RBA GROUP SI PROPONE DA OLTRE 15 ANNI AL MERCATO, PER RISPONDERE EFFICACEMENTE IN CONTESTI SEMPRE PIÙ COMPLESSI E COMPETITIVI. EFFICACE LA METAFORA CHE VEDE L’AGENZIA COME UNA VERA E PROPRIA ‘VITAMINA’ PER IL BRAND.

Un approccio integrato e specialistico che fa del Gruppo una realtà con 35 addetti, dedicati principalmente alla corporate e brand identity e al packaging design e 40 clienti attivi. “Rba è indipendente e italiana - afferma Fabrizio Bernasconi, senior partner & managing director Rba Branding & Design -, ma aperta all’internazionalità grazie alla presenza nel board Pda (Pan European Brand Design Association, ndr) e allo sviluppo di numerosi progetti internazionali. Collabora con le più importanti aziende nazionali e multinazionali, presenti oggi in diversi mercati, dal mondo dei servizi a quello consumer”.

Rba nasce nel 1995 dall’incontro di Stefano Fabrucci e Fabrizio Bernasconi, provenienti uno dal mondo delle aziende e uno da quello della pubblicità. Un pensiero comune, colmare uno spazio libero del mercato con una struttura capace di coniugare nel design di marca pensiero strategico e qualità creativa, velocità e cura. L’idea Rba coinvolge nel 1999 Nicola Mincione, direttore creativo e partner, che, grazie alla sua grande esperienza di packaging designer allarga la specializzazione ai settori vitivinicolo e spumantistico. A completare i servizi per una visione strategica della marca, nel 2001 nascono Rba Interactive, specializzata nella progettazione e gestione di siti web, e nel 2004 Rba Advertising, agenzia di pubblicità.

Quali sono gli elementi immancabili in una corretta operazione di brand identity? Che peso ha la creatività? La strategia, parte di un metodo, di un processo in cui la creatività rappresenta la scintilla, importante, ma solo in quanto giusta, ossia migliore interprete di una strategia. Nel caso di brand identity inoltre la creativtà deve avere anche caratteristiche di adattabilità sui diversi strumenti di comunicazione su cui trova espressione.

Fabrizio Bernasconi, senior partner & managing director Rba Branding & Design

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Rba ha firmato il progetto di revisione dell’identità di marca per il Consorzio per la tutela del Franciacorta

senta quindi un imprescindibile valore di costruzione di marca e quindi da considerare certamente in una strategia di brand identity.

I diversi protagonisti della comunicazione dialogano tra loro? Purtroppo ancora troppo poco, penso che il confronto sia fondamentale per il bene della marca affinchè possa sempre più comunicare in modo coerente, soprattutto oggi in cui la marca è chiamata più che in passato a utilizzare più mezzi, alcuni dei quali (per esempio, eventi, social network, ndr) divenuti importantissimi per la costruzione della marca. Come viene declinata oggi la brand identity in chiave digitale? Sfruttando strategicamente il 2.0, gesten-

do quindi le grandi potenzialità d’interazione con i consumatori E rispetto alla nuova visione green? Purtroppo quello del ‘green’ è ancora un tema generalmente ancora poco sentito in Italia; per esempio, parlando di packaging design in molti altri paesi europei, e soprattutto in Usa, i prodotti che utilizzano una comunicazione ‘green’ sul package registrano vendite superiori mediamente del 20% rispetto a prodotti analoghi non ‘green’. Una semplice dimostrazione di una crescente sensibilità dei consumatori occidentali vs il tema ecologico che rappre-

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Può citare una recente case history esplicativa del vostro modus operandi? All’inizio del 2010 il Consorzio per la tutela del Franciacorta ha deciso di rivedere la propria identità in modo da poter rappresentare meglio la leadership qualitativa delle ‘bollicine italiane’, un’immagine di elevata qualità e credibilità presso i consumatori, la distribuzione e gli opinion leader. Il punto di partenza di questo progetto è stata la definizione di un nuovo logo Franciacorta che, ‘liberandosi’ della denominazione legale di Consorzio per la tutela del marchio, potesse immediatamente identificare il territorio e il prodotto, con i suoi valori di qualità, prestigio, affidabilità, semplicità e italianità, mantenendo riconoscibilità attraverso il noto simbolo della F merlata. Il nuovo logo riparte proprio da questo emblema rendendolo ancora più protagonista attraverso ‘l’abbraccio’ di due segni morbidi che disegnano simbolicamente un bicchiere. Un tratto semplice, elegante, rappresentativo che aggiunge una componente di emotività, evocata e rafforzata dal nuovo claim: ‘Unione di passioni’. Un’espressione verbale meno centrata sull’organizzazione e più sulla visone delle persone che si incontrano nel Consorzio. Franciacorta esprime un rapporto stretto e indissolubile fra la terra, gli uomini e i suoi prodotti. Il nuovo marchio non modifica l’identità del Consorzio, ma aggiunge elementi grafici e verbali che lo rendono più espressivo dei suoi valori di personalità, ricchezza, prestigio, orgoglio, e del suo stile, semplice ed elegante. nc


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SPECIALIZZAZIONE3 NATA DIECI ANNI FA COME AGENZIA DI CREATIVITÀ E IMMAGINE, SIGNDESIGN SI È EVOLUTA NEL TEMPO E, OGGI, LO SVILUPPO DI NUOVI BRAND, LA COSTRUZIONE DELLA LORO IMMAGINE, L’ADVERTISING, LA DIREZIONE CREATIVA, LA PROGETTAZIONE DI INNOVATIVI STRUMENTI DI COMUNICAZIONE E LE RELAZIONI MEDIA RAPPRESENTANO IL SUO CORE-BUSINESS. L’OBIETTIVO? AVERE DOMANI UN’IDEA MIGLIORE DI OGGI. SEMPRE ALL’INSEGNA DELLA SPECIALIZZAZIONE.

Per SignDesign la comunicazione non è una parola, ma un atto efficace. Il payoff aziendale, ‘creatività per la comunicazione’, testimonia appunto l’integrazione delle aree create in agenzia dalla sua nascita a oggi, tutte al servizio della comunicazione d’impresa. Il format professionale è innovativo e dedicato a tutti quei brand che hanno capito che un’azienda che non comunica, non c’è. Tutte le discipline di cui SignDesign ha un know-how consolidato vengono applicate alla comunicazione dei migliori brand del design italiano, anche grazie alla costruzione di un network di contatti specifico. “La maggior parte delle nostre energie è focalizzata nella ricerca e cura dei brand del settore design - spiega Stefano Gangli, direttore creativo -. Il futuro ha per noi solo una parola d’ordine: specializzazione, spe-

cializzazione, specializzazione”. Le sue carte vincenti? Un team design-oriented, la rivista edita dall’agenzia stessa, ‘Livingroome, interior design magazine’ e l’offerta strutturata anche per eventi, attività di retail e contract. “Tre anni fa - continua Gangli -, desiderosi di realizzare un progetto

autonomo, abbiamo ideato un free-press magazine sull’interior design che ha pubblicato finora 26 numeri, distribuito a livello nazionale in luoghi dove nessun altro design magazine arriva e dove i brand vorrebbero farsi vedere. È il miglior ‘account’ dell’agenzia: lavora sempre, weekend compresi. Oltre alle pianificazioni media, molte aziende legate al mondo del design, e non solo, sono diventate nostre clienti (Boffi, Valcucine, Falper, Mion, Manifatture Sigaro Toscano, ecc., ndr), affidandoci progetti integrati di ampio respiro. La rivista ci ha, infine, consentito di fidelizzare i clienti acquisiti. Dimostrando come un coraggioso atto di ragionata creatività, il magazine appunto, possa diventare un valido strumento di mercato". Come viene declinata oggi la brand identity in chiave digitale? La ‘chiave’ di oggi non è quella di domani, ma intendo domani, fra 24 ore insomma. Una volta tutto era incentrato sul ‘sito internet’ e si facevano studi di mesi per decidere se e come farlo. Oggi arriva l'App del competitor e devi farne una entro 48 ore

Stefano Gangli, direttore creativo SignDesign

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per il tuo cliente, altrimenti sei out! Posti un ‘event’ su Facebook e dopo mezz’ora hai già perso utenti perché c’è un ‘event’ più recente. Ecco gli spunti per declinare la brand identity sul digitale. L’importante è che domani tu abbia un’idea migliore di oggi e, possibilmente... tu sia il primo ad averla. In che modo la nuova visione green della comunicazione viene declinata nella brand identity? Oggi, più che in passato, l’attenzione del mercato intorno alla parola ‘green’ è molto elevata. Il pubblico è più attento, si fa domande e, quindi, anche nelle campagne è necessario che ci sia coerenza tra il messaggio e la modalità in cui si sceglie di comunicarlo. Anche, e specialmente, se si parla di ecosostenibilità. La brand identity è green se è green il concept che il brand cliente propone sul mercato. Come è possibile far spiccare la marca all’interno dei punti vendita? Ecco una delle richieste più frequenti del

settore del product design. Le modalità spesso vengono proprio dalla filosofia della marca. Ed ecco, ad esempio, che il concetto di ‘sostenibilità’ di una marca può diventare il modo per farla spiccare in un flaship store. Il co-branding è un’altra delle chiavi strategiche in un retail che mira sempre più a far vivere un’esperienza memorabile in cui brand identity complementari si supportino per attirare un target a volte diffidente. L’introduzione nei punti vendita di occasioni di coinvolgimento, magari legate all’arte o a particolari installazioni scenografiche, fa sì che la brand identity contribuisca oggi, come mai in passato, alla costruzione della reputazione di una marca. Ci stiamo occupando proprio in quest’ultimo periodo di un evento che vedrà Poltrona Frau portare in showroom le note poltrone ‘Vanity Fair’ vestite da stilisti. Un efficace esempio di come il retail stia diventando sempre più l’attore principale della identità di marca.

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Una cover del magazine ‘Livingroome, interior design magazine’ edito dall’agenzia SignDesign

Può citare una recente case history esplicativa del vostro modus operandi? Grazie alla nostra pluriennale esperienza e ai contatti con aziende di prestigio come Bialetti, Olivetti, Poltrona Frau, siamo stati scelti dal ministero dello Sviluppo Economico per l’organizzazione e realizzazione dell’immagine coordinata di una mostra sui più noti oggetti di design italiani brevettati. Ci siamo occupati della relazione con le aziende, progetto editoriale e grafico del catalogo, ideazione dell’immagine coordinata di comunicazione, organizzazione evento e incontri con designer di fama mondiale, attività di ufficio stampa a livello nazionale e internazionale. Il tutto esposto per quattro mesi all’Ara Pacis di Roma. Crediamo che sia un chiaro esempio di creatività per la comunicazione integrata. nc


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CREATIVI ‘CON CRITERIO’ NATA DALL'INIZIATIVA DI BÉATRICE FERRARI, SYNESIA RIUNISCE PROFESSIONISTI ALTAMENTE SPECIALIZZATI E COMPETENTI NELL'AMBITO DEL BRANDING. CHE SIANO CREATIVI, GIURISTI, COMMERCIALISTI O RICERCATORI, QUESTI ESPERTI RISPONDONO A UNA SERIE DI CRITERI DI SELEZIONE E SI IMPEGNANO A LAVORARE SECONDO PRECISI STANDARD QUALITATIVI. INDIPENDENTI, VOLENTEROSI ED ENTUSIASTI DI GARANTIRE AL CLIENTE PROGETTI COMPETITIVI SU MISURA.

“Sono ormai 25 anni che lavoro esclusivamente nel brand naming. Attraverso Synesia, opero in squadra con altri consulenti specializzati in branding e identity, con l’obiettivo di proporre ai clienti, aziende e agenzie, figure ‘di nicchia’ dall’esperienza consolidata”. Così esordisce Béatrice Ferrari, esperta di brand naming, presentando la società di cui è fondatrice. “In Synesia - continua - la nostra peculiarità è quella di radunare e formare squadre di esperti tagliate a seconda delle esigenze del cliente. Siamo tutti liberi professionisti con un minimo di 10 anni di esperienza, spesso ‘iper specializzati’. Siamo indipendenti, volenterosi di lavorare insie-

me, di imparare a vicenda e soprattutto di servire il cliente con una prestazione su misura e di ottimo valore qualità/prezzo”. Quali sono gli elementi immancabili in una corretta operazione di brand identity? Una corretta brandi parte da un’identificazione chiara del posizionamento e del-

Béatrice Ferrari, esperta di brand naming e fondatrice Synesia

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la personalità del progetto che poi viene espressa attraverso i vari componenti di identità: un nome, un logotipo, dei colori, un simbolo, un packaging, ecc... La creatività è fondamentale, ma deve rispondere a precisi obiettivi strategici. Non stiamo parlando di arte dove la creazione può esplodere a random, ma di commercio e di obiettivi economici: la creatività deve servire a uno scopo commerciale. Non sarà certo romantico, ma si tratta di un dato concreto che non va perso di vista. Essere creativi ‘con criterio’ significa essere capaci di comunicare al cliente-target: se scelgo un nome impronunciabile dal mio target, potrà essere creativo a piacere, ma non raggiungerò il mio obiettivo di essere pronunciato e quindi memorizzato facilmente dal mio cliente. Come farà il mio cliente a raccomandare il mio prodotto se non riesce a pronunciarne il nome? Ricordiamo il grande flop di Toys ’r’us, catena di negozi di giocattoli presenti nel mondo intero, che ha incontrato moltissimi ostacoli in Italia, tra i quali anche quello di aver un nome difficile da leggere, decifrare e pronunciare. Il passaparola è un


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Synesia ha firmato il brand naming delle caramelle gommose a marchio Horvath (Lindt & Sprüngli)

vettore di vendita da non sottovalutare, ed è indispensabile che il cliente sia in grado di appropriarsi il nome. Come viene declinata oggi la brand identity in chiave digitale? Sulla rete si arriva alla marca ricercata attraverso specifici link oppure tramite parole digitate per lo più nei motori di ricerca. L’utilizzo di parole generiche come identità di marca porta il cliente a identificare tutta la sfilza dei concorrenti che utilizzano le stesse parole per identificare la propria attività. Per quanto riguarda il brand

naming, la rivoluzione digitale ha inoltre fortemente contribuito a complicare la disciplina: oggi i nomi non solo devono essere disponibili come marchi di proprietà, ma anche come nome a dominio. E siccome la rete è di per sé mondiale, la disponibilità dei nomi si è drasticamente rarefatta. Inoltre, la rete comunica a un pubblico multilingue e costringe all’identificazione di nomi semplici, brevi, internazionali. La sfida poi è riuscire a creare nomi coerenti, internazionali e disponibili legalmente anche sulla rete. Un rompicapo a volte molto scoraggiante.

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Può citare una recente case history esplicativa del vostro modus operandi? La più recente è quella di Moramor, caramella gommosa, punta di diamante dell’assortimento di Horvath (Lindt & Sprüngli). Un nuovo posizionamento, accompagnato dal restyling del marchio Horvath e dalla creazione di un nuovo payoff, ‘Dolci Tradizioni’, ha portato anche alla decisione di battezzare con un nome specifico le caramelle gommose, protagoniste del brand Horvath e finora vendute con una descrizione generica. Synesia ha quindi portato avanti uno studio semiotico e di marketing, con l’obiettivo di identificare un nome che fosse in grado di conferire maggiore personalità al prodotto stando vicino alla forma dello stesso (la forma a ‘mora’, ndr), dare la possibilità al prodotto di confrontarsi meglio con i concorrenti e iniziare la formalizzazione della strategia nominale Horvath in modo da renderla più specifica e chiara. Il prodotto è stato battezzato Moramor, in coerenza con gli obiettivi aziendali dichiarati: il nome è composto dall’unione dei due sostantivi ‘mora’ e ‘amore’, il primo a richiamo della forma della caramella, e il secondo a evocazione della sua dolcezza, la sua deliziosità e la sua morbidezza. La ripetizione delle lettere finali e l’amalgama delle due parole creano un’assonanza forte e distintiva, memorizzabile e accattivante che può essere letta sia come ‘moramor’ che come ‘mora-mor’. nc


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LA CULTURA DEL BRANDING SOCIETÀ INDIPENDENTE SPECIALIZZATA NELLA CONSULENZA DI DIREZIONE PER LA BRAND IDENTITY, UNIVISUAL È STATA COSTITUITA CAPITALIZZANDO UN'ESPERIENZA INIZIATA NEL 1986 DA GAETANO GRIZZANTI. OGGI, È TRA LE REALTÀ ITALIANE PIÙ RICONOSCIUTE PER LA COSTRUZIONE, RIVITALIZZAZIONE E GESTIONE DELL'IDENTITÀ DI MARCA E D’IMPRESA. PERFETTA INTEGRAZIONE TRA CULTURA DI DESIGN E CONSULENZA NELLE STRATEGIE DI COSTRUZIONE DELL’IDENTITÀ DEI BRAND.

Fin dalla sua nascita, nel 1996, Univisual aiuta i propri clienti nella creazione di identità di successo, offrendo assistenza strategica e operativa a supporto di scelte evolutive, distintive e durevoli. La metodologia d'intervento si fonda su modelli propri dedicati e su servizi mirati allo sviluppo di innovativi sistemi di brand identity. “Univisual - spiega Gaetano Grizzanti, fondatore e brand strategy director - ha contribuito all'affermazione della moderna cultura di branding nel nostro Paese, grazie alla qualità e al forte spirito innovativo dei suoi progetti, premiati dai principali riconoscimenti del settore. L'approccio consulenziale, l’efficacia del metodo strategico, l'esclusivo pensiero progettuale, il rigore del suo design, la creatività innovativa e l'esperienza nella costruzione di un brand system sono le caratteristiche differenzianti di Univisual, unite

all’italianità e alla visione internazionale che le consentono di rispondere alle esigenze del mercato e del branding moderno con risposte business-oriented e qualità d'alto profilo”.

Gaetano Grizzanti, fondatore e brand strategy director Univisual

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Quali sono gli elementi immancabili in una corretta operazione di brand identity? Che peso ha la creatività? La creatività è un anello del processo strategico. Per un’azienda già esistente, una strategia di brand identity deve basarsi su una serie di passaggi. La prima attività o fase è quella di analisi dello status, del vissuto dell’azienda, significa individuare i valori di impresa e come sono stati fino a oggi posti sul mercato. Fase due, bisogna lavorare sul creare consapevolezza all’interno dell’azienda su cosa significa evolvere il modello di business in una mentalità orientata al brand. È un’attività pedagogica da fare innanzitutto sul management direzionale. Non c’è brand identity che tenga se l’azienda non ha capito perché deve agire in termini di branding. Terza fase, definire quali cambiamenti effettuare e razionalizzare la brand equity, cioè non più i valori del prodotto, ma i valori della marca. La brand equity rappresenta quindi il patrimonio valoriale della marca. Quarta fase, definita la mappa dei valori del brand, si razionalizzano le linee guida che la crea-


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Univisual ha firmato strategia identitaria, logo, payoff e corporate/retail identity di ProFamily, nuova società nel credito al consumo di Banca Popolare di Milano

tività dovrà seguire per creare un nome, un logo, ecc... Quinta fase, parte il processo creativo, per individuare le soluzioni che traducano quando definito nelle fasi precedenti. Anche in questa attività lavoriamo comunque con una creatività brandoriented: per noi la marca è sacra. Gli effetti della rivoluzione digitale influenzano in qualche modo anche la brand identity? Il digitale è un media come gli altri, e come tutti gli altri non deve influenzare la brand identity. È quest’ultima che deve influenzare i media. La brand identity precede qualsiasi comunicazione pubblicitaria, e la pubblicità deve essere quanto più possibile coerente con la brand identity. Ritiene che gli aspetti etici e il tema della responsabilità sociale siano entrati nel perimetro della struttura identitatria delle marche? Gli aspetti etici, rispetto al passato, stanno entrando sempre di più nel ragionamento strategico d’impresa, e quindi nel-

la struttura identitaria dei brand. Se un marchio si muove sul mercato come una marca, cioè come entità esplicita, evidente, diretta, è bene che prenda in considerazione anche gli aspetti etici, che influenzano il modo in cui ci si pone verso il proprio pubblico. Essere etico non significa solo sponsorizzare un giardino pubblico, significa essere al 100% trasparenti. È una cosa difficile. Essere trasparenti significa non creare dubbi quando ci si muove sul mercato, non creare equivoci, essere aperti al confronto, pronti a rispondere a ogni sollecitazione, sia interna sia esterna. Essere chiari, fare una scelta di campo ben precisa. Può citare una recente case history esplicativa del vostro modus operandi? L’intervento fatto per Banca Popolare di Milano nell’ottobre 2010. Abbiamo sviluppato un sistema di branding per un busi-

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ness in start-up del Gruppo. Si tratta di ProFamily. Abbiamo curato, a livello strategico, le modalità identificative con cui ProFamily doveva porsi sul mercato, definito la strategia di identità che ha basato il modo di porsi nei confronti delle famiglie, target privilegiato di ProFamily, evidenziando gli aspetti etici, in riferimento al tema dei prestiti. Il payoff che abbiamo individuato è ‘Credito genuino’ e il marchio è un ‘cuor di pulcino’. Il nostro obiettivo e risultato è stato quello di rivoluzionare, con un marchio innovativo, un settore come quello finanziario, in un modo fortemente atipico. Abbiamo curato tutto tranne il nome: dalla strategia alla brand identity, passando per il logo, il payoff, l’iconografia, il carattere tipografico e i punti vendita. Il lavoro complessivo ci ha impegnato quasi un anno. nc


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L’ATELIER DEL DESIGN INDIPENDENTE, PER SCELTA, E, QUINDI, NON ASSOCIATA AI GRANDI GRUPPI DELLA COMUNICAZIONE, CON L’OBIETTIVO DI MANTENERE UNA PERSONALITÀ AUTONOMA, VITTORIO MANCINI & ASSOCIATI PUNTA, DA SEMPRE, ALLA QUALITÀ E ALL’ORIGINALITÀ, CON PASSIONE E LUNGIMIRANZA. L’ANALISI COSTANTE DEI MERCATI INTERNAZIONALI, IL CONFRONTO CONTINUO CON I CONSUMATORI E UN NETWORK DI CORRISPONDENTI DA VARI PAESI NEL MONDO NE COMPLETANO IL PROFILO.

Vittorio Mancini & Associati crede nel proprio stile. Ci tiene a interpretare le richieste dei clienti, non snaturando i valori e i principi che regolano il proprio modo di fare design. “Questo è un ‘added value’ importante continua Zavatta -, perché non basta fare ‘cose belle’ ma anche ‘cose che funzionino’. Al di là della forte competenza in questo settore, a un team di esperti creativi, alle più recenti tecnologie abbiamo una struttura in grado di affrontare la ‘visione strategica’. Monitoriamo costantemente le evoluzioni dei mercati internazionali, ci confrontiamo con i consumatori attraverso brainstorming creativi periodici, abbiamo un network (Trendlab,ndr) di corrispondenti da vari paesi nel mondo, diamo un supporto di marketing sempre orientato: tutto ciò si riversa nei nostri progetti creativi dando soluzioni che si contraddistinguono per originalità.

Vittorio Mancini & Associati è un’agenzia storica milanese che negli ultimi trent’anni ha fatto un percorso creativo volto all’eccellenza. Ha scelto di essere una realtà indipendente ai fini di mantenere una personalità autonoma e ben caratterizzata. Un ‘atelier del design’, con uno spirito da sempre orientato al cliente. “Per il futuro - spiega Alberto Zavatta, general manager Vittorio Mancini & Associati -, vogliamo riconfermare il nostro approccio di qualità, cura e passione, continuando a operare nei mercati a noi da sempre più vicini (food/beverage, ndr), potenziare quelli nuovi, ma già attivi per noi (detergents/ body care/pharma, ndr), e aprire nuove relazioni con clienti forse non così abituali per noi, ma che credano nelle nostre capacità creative.

Quali sono gli elementi immancabili in una corretta operazione di brand identity? Elemento immancabile è avere una ‘visione strategica’. Questo significa intrapren-

Alberto Zavatta, general manager Vittorio Mancini & Associati

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dere fin da principio un viaggio nel brand che parta dall’idea, la sappia motivare, riesca a infonderle caratteri chiari e appropriabili. Avere presente sempre lo scenario competitivo, osservare l’evoluzione dei trend, essere attenti alle dinamiche del ‘consumer behaviour’ sono aspetti imprescindibili per la costruzione di un’immagine di marca solida. La creatività è centrale nella misura in cui sia in grado di interpretare l’idea e l’essenza del brand. Non una creatività puramente estetica ma bensì una creatività che interpreti le attese del consumatore. In tal senso, il processo di acquisto può essere fortemente influenzato, soprattutto laddove la marca entra a far parte del lifestyle della persona e non è più solamente prodotto o servizio: è invece un completamento dell’esperienza quotidiana. Oggi si può parlare di integrazione tra i diversi attori della comunicazione? Sicuramente si assiste a una maggior dinamica di ‘integrazione’. Quanto più gli attori sono vicini tanto maggiori sono le oppor-

tunità di successo. Integrazione, inoltre, non vuol semplicemente dire potenziamento della marca in sé, ma anche, e soprattutto, potenziamento dei network di business all’interno del comparto specifico. La digitalizzazione dell’immagine apre nuovi orizzonti anche in termini di brand identity? È una dimensione ancora non totalmente esplorata e che, ogni giorno, offre nuove soluzioni o semplicemente nuovi stimoli da cogliere. Estremamente interessanti due fenomeni, a mio avviso: il primo risiede nella capacità dei ‘social network’di generare nuovi canali mediatici e spesso di sostituirsi, a un costo inferiore, ai canali tradizionali; il secondo è la crescita del fenomeno delle agenzie creative ‘on-line’ che offrono servizi di design, ma non solo, con un semplice click e a prezzi decisamente competitivi rispetto al mercato classico. Può citare una recente case history esplicativa del vostro modus operandi? Una case history importante è quella del

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Per il gruppo Colussi, Vittorio Mancini & Associati ha sviluppato interventi di riposizionamento e di new design di alto valore grafico, ma, soprattutto, strategico per la marca

gruppo Colussi per il quale abbiamo nell’ultimo anno sviluppato interventi di riposizionamento e di new design di indubbio valore grafico ma soprattutto strategico per la marca. Tra questi: il restyling del brand Agnesi e del suo packaging, il restyling del brand Riso Flora e della linea di prodotti Parbolied e Classici, il rilancio del brand Colussi, con la revisione del logo e dell’intero pack design partendo dal frollino Gran Turchese, il redesign di Misura e di tutte le sue gamme con l’obiettivo di conferire alla marca modernità, gusto e quotidianità, la rivisitazione della tradizione del logo Sapori di Siena e il redesign della linea di prodotti. nc


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IL TEMA DELLA CSR È UNA QUESTIONE CHE DI RIFLESSO COINVOLGERÀ SEMPRE PIÙ ANCHE IL MONDO DEL BRANDING. PER APPARIRE SENSIBILI AI PROBLEMI SOCIALI, NON È PIÙ SUFFICIENTE SPONSORIZZARE UN EVENTO UMANITARIO, NÉ FARE UNA DONAZIONE A UN’ASSOCIAZIONE SENZA SCOPO DI LUCRO. MA COME PUÒ UNA MARCA, IN MANIERA CONCRETA, FAR PROPRIO IL VALORE DELL’ETICITÀ?

BRAND RESPONSIBILITY Il mondo cambia. La globalizzazione, forse nata per fare business, sta creando una cultura civica migliore, senza precedenti nella storia dell’umanità. Gli interessi sociali, prima raramente diffusi, sono adesso condivisibili dalla massa. Però, ciò che oggi risulta ancora difficile, è associare il brand alla parola ‘eticità’. Non tutti i marchi hanno un comportamento etico, ma le marche, in quanto tali, sono obbligate ad averlo. Quando parliamo di marca dobbiamo pensare che, attraverso di essa, un’impresa ha la possibilità di antropomorfizzarsi.Attuare una strategia orientata alla corporate-social-responsibility conviene, perché un marchio che riesce a incarnare uno spirito umano sviluppa un potere economico senza limiti. Le persone comprano da chi dà loro fiducia e si fidano di più di uomini che hanno dei valori. Una marca deve agire da individuo consapevole delle proprie possibilità, ma anche dei propri doveri. L’Enciclopedia Treccani definisce ‘responsabile’chi risponde delle proprie azioni e dei propri comportamenti, rendendone ragione e subendone le conseguenze. Se proviamo ad accostare questa accezione al concetto di brand, in quanto persona, ci accorgiamo immediatamente di essere giunti al punto nevralgico del concetto. L’area di azione del brand, infatti, non è più la semplice transazione economica tra azienda e cliente, ma è il processo che porta alla creazione di un rapporto di empatia con il ricevente, costituito da una precisa serie di sensazioni e atteggiamenti in cui l’azione, per esempio l’acquisto di un prodotto, diventa una naturale conseguenza. Per far sì che si crei fiducia e credibilità tra le parti, è neces-

sario che il brand si faccia interprete dei nuovi paradigmi della comunità, i quali, per esempio, non sono solo riferiti alla salvaguardia dell’ambiente, ai diritti dei lavoratori o alle attività di solidarietà sociale (valori importanti ma oggi prerequisiti fondamentali), ma riguardano una richiesta esplicita, apparentemente facile, da parte delle persone: quella della TRASPARENZA. Insomma, a un’azienda di marca oggi è richiesto di essere più chiara nel modo di porsi, di avere il coraggio di trasmettere un’identità netta e senza compromessi. Effettivamente, per un brand, nulla è più dannoso del fatto di creare dubbi e perplessità. Il consumatore è come un cittadino. E il cittadino del ‘mondo delle marche’ è stanco di

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assistere a comportamenti distonici e opportunistici. Non si fida più di organizzazioni autoreferenziali, ha bisogno di punti di riferimento in grado di persistere nel tempo senza tradire il bisogno di fiducia, di coerenza e di promesse mantenute. Se un brand vuole dimostrare davvero una reale responsabilità sociale, il primo degli obiettivi da raggiungere è dunque quello di aumentare il proprio grado di trasparenza. Essere trasparenti può voler dire anche ammettere i propri errori. Sbagliare è umano. E un po’ di umanità è tutto quello che, in effetti, ognuno di noi vorrebbe dai brand. Gaetano Grizzanti, consulente di branding, fondatore Univisual


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