NC Speciale Brand Communication 2013

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Allegato alla rivista NC dicembre-gennaio 2014 n°45 Società Editrice ADC Group

Poste Italiane Spa - Spedizioni in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004) Art. 1 comm. 1 DCB Milano

il giornale della nuova comunicazione

Speciale Brand Communication

Cover Story

Univisual

Business Identity, differenziazione e personalità


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QUESTIONE D’IDENTITÀ Per il quinto anno consecutivo, la rivista NC Nuova Comunicazione entra con entrambi i piedi nel campo della Brand Communication con uno Speciale interamente focalizzato sul tema. Il viaggio inizia con la cover story dedicata a Univisual, società indipendente specializzata nell’identità di marca, autentico punto di riferimento per il settore. Il concetto chiave è che il ‘prodotto’, da solo, non è più sufficiente a garantire lo sviluppo di un’azienda. In un contesto di sostanziale omologazione dell’offerta, solo la ‘marca’ è in grado di creare un percepito davvero positivo e una memorizzazione differenziante. Lo Speciale continua con un panoramica sui principali studi che, a livello mondiale, indagano il valore dei brand. A spiccare è soprattutto il primato raggiunto da Apple che, per la prima volta, conquista il gradino più alto del podio nell’indagine di Interbrand. Lo storico sorpasso ai danni di Coca-Cola, che guidava la Best Global Brands da tredici anni consecutivi, è la conferma della leadership mondiale conquistata dalla ‘mela morsicata’, che, dal 2010 al 2013, ha quasi quintuplicato il suo valore, fino a sfiorare la cifra di 100 miliardi di dollari. In particolare risalto anche l’ottima performance di Facebook, che ha pienamente superato l’esame di Wall Street, accrescendo del 43%, in un solo anno, il suo valore economico. Da segnalare anche il primato digitale di Eni, che conquista la vetta del Kwd Webranking 2013, ossia la classifica delle aziende italiane che comunicano meglio via internet. Nella seconda parte dello Speciale, coerentemente con la vocazione della nostra testata, che punta a fare informazione sulle principali tendenze che caratterizzano il settore, facilitando l’incontro tra domanda e offerta, abbiamo dato spazio ai protagonisti del comparto. Agenzie del calibro di Cappelli Identity Design, Cba, Inarea, Lumen e Mad hanno spiegato sulle nostre pagine le migliori strategie da mettere in atto per progettare identità di marca vincenti. La redazione

SOMMARIO COVER STORY

04_UNIVISUAL BUSINESS IDENTITY, DIFFERENZIAZIONE E PERSONALITÀ

I PLAYER

SCENARIO

08_APPLE SORPASSA COCA-COLA 12_LE SETTE STRATEGIE VINCENTI DEGLI ‘SMART BRANDS’ 16_BLOGMETER, FANPAGE.IT È LA PAGINA FACEBOOK CON PIÙ ENGAGEMENT 18_LA REGINA DEL WEB È ENI 22_LA MARCA IDEALE NELL’ERA DELLA CONVERGENZA MEDIALE

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24_CAPPELLI IDENTITY DESIGN IL BRAND È VIVO E DINAMICO

26_CBA MARCHE CREATE CON IL CUORE

28_INAREA IDENTITÀ E FUTURO

30_LUMEN I BRAND RISCOPRONO IL VALORE DELL’EMOZIONE

32_MAD PASSIONE E PRAGMATISMO


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UNIVISUAL. BUSINESS IDENTITY, DIFFERENZIAZIONE E PERSONALITÀ IL PRODOTTO NON BASTA PIÙ A GARANTIRE LO SVILUPPO DI UN’AZIENDA. PER DISTINGUERSI, OCCORRE PUNTARE SUL POTERE DIFFERENZIANTE DELLA MARCA E SULLA SUA CAPACITÀ DI COINVOLGERE EMOTIVAMENTE LE PERSONE, EVOCANDO UN INSIEME DI VALORI DISTINTI DAL PRODOTTO OFFERTO. PER RAGGIUNGERE QUESTO OBIETTIVO, COME INDICA IL CEO DI UNIVISUAL, GRIZZANTI, LA MARCA DEVE DOTARSI DI UN’IDENTITÀ CREDIBILE E AUTONOMA. DI MARIO GARAFFA

Gli attributi fisici e funzionali dei prodotti hanno perso gran parte del loro valore. Sappiamo che non compriamo un cibo solo per nutrirci e non scegliamo una determinata automobile perché è semplicemente un mezzo di trasporto, ma nemmeno per la sensazione promessa di cui dovremmo godere attraverso il prodotto stesso. C’è qualcosa di più importante e profondo. Nell’epoca della riproducibilità tecnica di qualsiasi cosa, tutti i settori merceologici hanno raggiunto una situazione di sostanziale omologazione dell’offerta. Per raggiungere una differenziazione credibile rispetto alla concorrenza è necessario puntare su qualcos’altro. Il primo prodotto che ogni azienda dovrebbe vendere è, infatti, la propria marca.

Solo attraverso un brand forte, dotato di un’identità riconoscibile e adeguatamente sedimentata nella mente delle persone, è possibile distinguersi sul mercato dai molteplici concorrenti che propongono prodotti o servizi simili. Dove con l’espressione

Gaetano Grizzanti, ceo e identity strategy director Univisual

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Brand Identity, come ricordato da Gaetano Grizzanti, docente di branding, nonché ceo e identity strategy director di Univisual, ci si riferisce a quell’insieme di codici interlinguistici (visuali, testuali, verbali, ecc.) che hanno il compito di rendere riconoscibile il brand e di costruire una memorizzazione differenziante. Detto in altre parole, la brand identity ha a che vedere con il modo in cui una marca si pone in pubblico, evocando l’unicità del proprio posizionamento, grazie a una visione totalmente rinnovata rispetto al passato. In questo senso, come aggiunto da Grizzanti, la marca si configura come “quell’entità concettuale che, presidiando il territorio mentale degli individui, evoca un insieme di valori predefiniti, profilando così la personalità sul mercato”. Pertanto, secondo questo approccio, il brand diventa l’asset principale a disposizione per lo sviluppo del valore d’impresa. La marca conferisce, infatti, il potere di differenziare se stessa e, di conseguenza, l’azienda e i suoi prodotti da ogni possibile imitazione. “Oggi inoltre - aggiunge il ceo Univisual - il posizionamento non dovrebbe più essere as-


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sociato all’offerta, ma alla marca, quale entità che vive nella mente del cliente, perché essa rappresenta, in una sintesi assoluta, il bisogno interiore del consumatore che dovrà essere soddisfatto, allo stesso modo di come agiva il prodotto tanto tempo fa; anzi molto meglio”. Il problema di base, ragiona sempre Grizzanti, è che sono pochissime le aziende che assegnano un compito al marchio, proprio come fosse una qualsiasi altra risorsa dell’impresa. Per intenderci, se il prodotto conferisce fisicità a ciò che viene comprato, il brand ha il dovere di coinvolgere emotivamente le persone, creando ‘emotional engagement’ e predisponendo positivamente il pubblico di riferimento. Puntare su condivisione e trasparenza Ma quali sono le regole fondamentali da rispettare per fare in modo che una marca possa svolgere al meglio il suo compito, contribuendo allo sviluppo del business? Ovviamente non esistono formule preconfezionate, ma alcune tendenze è possibile metterle in luce. Volendo riassumere, il

brand deve porsi sul mercato cercando di rispettare otto principi base: essere credibile, etico, empatico, coerente, distintivo, coinvolgente, espressivo e veritiero. La diffusione di massa di internet ha creato le condizioni per l’inizio dell’era della ‘condivisione’: le marche sono costantemente sotto il giudizio critico degli utenti e sono quindi obbligate a mantenere un comportamento coerente rispetto alle promesse fatte. “Le persone - aggiunge Grizzanti - tendono a fidarsi maggiormente di ciò che dicono e commentano gli altri consumatori, rispetto a quanto affermato dalla pubblicità classica”. Così la Rete e i social network fungono da cassa di risonanza delle opinioni degli individui, trasformando ciascun utente in un produttore di contenuti e non solo nel destinatario di un messaggio pubblicitario. Quanto agli approcci etici, pur confermandone l’importanza, il ceo di Univisual mette in guardia dalle facili mode: “Se alle spalle di una marca non

Con l’intento di supportare la creatività italiana nel mondo, Univisual ha assistito le startup Vanixa (settore arredamento) e Auronia (abbigliamento), curandone la business identity complessiva

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Univisual sta lavorando con la Cassa di Risparmio di Asti a un progetto che valorizzi la nuova identità del Gruppo, a seguito dell’acquisizione della Banca di Biella e Vercelli dal Monte dei Paschi di Siena

c’è un percepito credibile, ha poco senso investire una fetta del budget per qualche progetto di beneficenza; meglio evolvere un passo per volta e puntare inizialmente sul valore fondamentale della ‘trasparenza’, ossia, per esempio, facilitare l’accesso alle informazioni, azzerare l’ipocrisia e presentarsi per ciò che effettivamente si è”. L’approccio di Univisual Univisual dichiara di non essere un’agenzia e si distingue per il suo approccio business-oriented, anziché communicationoriented. Fondata nel 1996, capitalizzando l’esperienza maturata nel campo della corporate identity da Grizzanti, e specializzata nello sviluppo di strategie e sistemi per la brand identity, Univisual aiuta le organizzazioni a incrementare il loro potere identificativo sul mercato, guidandole nel cambiamento. Nel dettaglio, la metodologia della società, rigorosa e finalizzata al risultato, è basata su un processo di co-crea-


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zione e trasferimento di know-how mediante sessioni di confronto strategico e workshop creativi (il riferimento è il modello propretario di Univisual denominato ‘brand-storming’). “Insieme al cliente spiega Grizzanti - avviamo un processo dinamico basato su più fasi, che coinvolge l’intero management direzionale”. Il primo step è quello della Brand Analysis e consiste in un’attenta e pragmatica razionalizzazione e valutazione delle criticità e delle difficoltà che il business sta affrontando dal punto di vista commerciale. “Il nostro primo obiettivo - aggiunge il ceo Univisual - è minare una serie di convinzioni aziendali, per avviare la consapevolezza della necessità di un processo di cambiamento”. Il secondo passaggio è la definizione della Brand Architecture, rimandando all’analisi dell’organizzazione e del sistema di offerta dell’azienda nel suo insieme. Il terzo momento, quello della Brand Personality, si preoccupa di individuare il ‘credo d’impresa’ e, di conseguenza, la strategia di identità della marca. È, infatti, sulla base dei valori fondamentali definiti in questa fase che si afferma l’identità con cui la marca potrà lanciare le sue sfide, creando valore sul brand e marcando la differenza tra sé e i propri concorrenti. Infine, il quarto stadio è quello della creazione della Brand Identity vera e propria, e consiste nella declinazione della personalità di marca in una serie di codici (che coinvolgono tutti i sensi dell’uomo) necessari per relazionarsi con il pubblico, al fine di creare un percepito e una memorizzazione unica. Case history Tra i clienti di Univisual (che ha svolto consulenze per marchi italiani e internazionali come Pampers, il Gruppo Banca Popolare di Milano, Bayer, Comune di Milano, UniCredit, Telecom Italia, Bertolli, Star e Bancomat) affiancati nel 2013 troviamo Casa Modena, Corriere della Sera, Salmoiraghi & Viganò, e Imetec. Da segnalare anche due innovative startup italiane: si tratta di Vanixa, società fondata da Fabio Vannini (ex Sector e Unilever) operante nel settore dell’arredamento, che produce elementi origi-

nali creati sul concetto della ‘fiamma d’arredo’. E Auronia, griffe fondata da Francesca Del Sarto dopo una lunga esperienza nel marketing di Ferrero, operante nel campo dell’abbigliamento, che personalizza i capi con le immagini fornite dal cliente, puntando sulla condivisione dei momenti speciali della propria vita. Con l’intento di esportare la creatività italiana nel mondo, Univisual ha curato, per entrambe le startup, la

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L’intervento di Univisual a favore di Grandi Navi Veloci è stato richiesto in occasione del processo di riposizionamento dell’azienda, obbligato dal cambiamento dell’offerta e dall’espandersi del mercato internazionale

strategia complessiva, creando il naming e il marchio. Inoltre, tra i progetti attualmente in corso d’opera, è possibile citare Gran-


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Univisual ha sviluppato la nuova strategia di marca di Grandi Navi Veloci, con l’obiettivo di coinvolgere il pubblico internazionale e integrare il percepito di autorevolezza, già riconosciuto alla compagnia, con un nuovo codice identificativo, più informale e vicino al cliente

di Navi Veloci e il Gruppo Cassa di Risparmio di Asti. Soffermiamoci su queste due ultime iniziative. Fondata nel 1992 dai Grimaldi, nota famiglia di armatori italiani, Grandi Navi Veloci (Gnv) è una compagnia navale operante nel settore del cabotaggio, dedicata al trasporto di merci e passeggeri per il Mediterraneo. La consulenza di Univisual è stata richiesta in occasione del processo di riposizionamento dell’azien-

da, obbligato dal cambiamento dell’offerta e dall’espandersi del mercato estero. Nel dettaglio, Univisual ha supportato Gnv nell’evoluzione dell’approccio al consumatore, per chiarire la propria mission e il proprio ruolo. Cuore della sfida è stata l’individuazione di una strategia valoriale idonea a raggiungere due obiettivi fondamentali: coinvolgere un pubblico internazionale multiculturale e integrare il percepito di istitu-

zionalità e autorevolezza (già riconosciuto a Grandi Navi Veloci) con un nuovo codice identificativo, caratterizzato da uno spirito informale e ‘vicino’ al cliente. Quanto alla Cassa di Risparmio di Asti, a seguito dell’acquisizione della Banca di Biella e Vercelli dal Monte dei Paschi di Siena, si è venuto a creare, di fatto, un nuovo Gruppo. Univisual ha fornito il suo supporto gestendo il processo di fusione e i fattori critici derivanti dalla creazione di un’identità unitaria, capace di preservare le dimensioni territoriali storiche. In questo contesto è stata costituita la nuova denominazione ‘Banca di Asti’, alla quale è stata attribuita il ruolo di vero e proprio brand, e che verrà gradualmente utilizzata sul mercato. È stata quindi definita la brand strategy e il sistema d’identità di tutte le entità in campo: il Gruppo Cassa di Risparmio di Asti, la Banca di Asti e la Biver Banca (Cassa di Risparmio di Biella e Vercelli). nc

BRAND-IDENTIKIT.IT_ Con l’obiettivo di divulgare la cultura sulla brand identity, Univisual realizza Brand-Identikit.it, il primo magazine specializzato sulla disciplina, ispirato all’omonimo libro - firmato da Gaetano Grizzanti e pubblicato dalla Fausto Lupetti Editore - che si rivolge ad aziende, professionisti, addetti ai lavori, docenti e studenti di comunicazione, proponendo contenuti e approfondimenti legati all’identità di marca. In poco più di un anno, il magazine ha raggiunto quasi le 100.000 visite e la pagina Facebook, online da sei mesi, coinvolge un’utenza in crescita. Tra le sezioni del magazine, arricchito da funzioni interattive, troviamo l’area dedicata al Naming, la rubrica ‘Brand Evolution’ (dedicata ai cambiamenti che i marchi hanno conosciuto nel corso degli anni), la sezione ‘Marchi Estinti’ e un Brand Glossary costantemente aggiornato sui neologismi relativi al mondo del branding. Gli utenti, oltre a condividere i contenuti del portale sui principali social network, possono iscriversi al ‘Brand Identikit Club’, la community sulla brand identity, che permette di ricevere aggiornamenti, proporre temi, inviare contenuti e partecipare a iniziative ed eventi riservati.

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APPLE SORPASSA COCA-COLA DOPO TREDICI ANNI DI DOMINIO, IL COLOSSO DI ATLANTA PERDE IL PRIMATO DELLA CLASSIFICA DEI BRAND GLOBALI A MAGGIORE VALORE ECONOMICO, STILATA ANNUALMENTE DA INTERBRAND. COCA-COLA, NONOSTANTE I SUOI 79,21 MILIARDI DI DOLLARI (+2% RISPETTO ALL’ANNO PRECEDENTE), VIENE SORPASSATA SIA DA APPLE, CHE SALE AL PRIMO POSTO (QUASI 100 MLD, +28%), SIA DA GOOGLE (93,29 MLD +34%). SOLO TRE I BRAND ITALIANI IN CLASSIFICA, GUCCI, PRADA E FERRARI. DI MARIO GARAFFA (DA PAG. 8 A PAG. 23)

Fate spazio alla tecnologia. Dopo tredici anni di supremazia incontrastata, Coca-Cola perde il primato della Best Global Brands, la classifica delle marche globali a maggior valore economico, stilata ogni anno da Interbrand, società internazionale di brand consultancy. Nel 2013, il colosso di Atlanta nonostante i suoi 79,21 miliardi di dollari, che rappresentano una crescita del 2% rispetto all’anno precedente, deve ‘accontentarsi’ di posizionarsi sul terzo gradino del podio, alle spalle di due giganti dell’information technology, ossia Apple e Google. La ‘mela morsicata’, grazie a una crescita del 28% rispetto allo scorso anno, sfiora infatti la cifra di 100 miliardi di dollari (98,31 mld), conquistando il tetto del mondo. Il percorso compiuto da Apple in questi anni è esemplare: presente nella classifica di Interbrand fin dalla prima edizione del 2000, quando si posizionò in 36esima posizione con 6,6 miliardi di dollari di valore, oggi la marca vale quasi quindici volte la cifra del debutto. L’ascesa di Apple può essere attribuita principalmente alla capacità di creare per i clienti un’esperienza multicanale globale, in grado di estendersi oltre le mura domestiche,

accompagnando l’utente in mobilità attraverso tutte le fasi della sua vita quotidiana (lavorativa, amicale, familiare, ecc.), valorizzandone le relazioni sociali. Come spiegato da Manfredi Ricca, managing director Interbrand Italia, mettendo i consumatori e le loro esigenze al centro di tutto ciò che fa, Apple è in grado di anticipare i gusti e le necessità del mercato e di definire gli standard in termini di design e performance, come dimostrano i 72 milioni di Mac in uso e i nuovi record nelle vendite di iPhone e iPad. “A volte - afferma Jez Frampton, global chief executive officer Interbrand un’azienda è in grado di cambiare la nostra vita, non solo con i suoi prodotti, ma grazie al suo ‘ethos’. Una visione che ha permesso ad Apple di mantenere ripetutamente la sua promessa di innovazione”. Quanto all’Italia, anche quest’anno dobbiamo accontentarci di essere rappresentati solo da brand del settore lusso, ossia Gucci, Prada e Ferrari. La buona notizia è che tutti e tre vedono crescere il proprio valore economico rispetto alla precedente edizione: Gucci (38° posizione, oltre 10 miliardi di dollari, +7%), Prada (72°; 5,57 mld, +30%) e Ferrari (98°, 4,01 mld,

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+6%). La cattiva notizia è che i limiti del nostro Paese appaiono ormai strutturali. “La presenza ridotta dei brand italiani - precisa Ricca - si spiega con la dimensione relativamente contenuta delle imprese che compongono il nostro tessuto industriale. Questo aspetto, nell’ambito di una classifica stilata in base al valore economico penalizza i nostri brand” e fa riflettere sui limiti del nostro sistema aziendale e produttivo. Anche al di là delle tre marche presenti in classifica, i nostri brand risultano, nel complesso, particolarmente influenti, ma all’interno di economie aziendali ridotte. Il perché ciò accada, ragiona Ricca, è imputabile a diversi fattori, “come un mercato dei capitali relativamente poco sviluppato, l’assenza di player globali in settori strategici, come quello della tecnologia, e una certa tendenza alla non aggregazione”. Nel dettaglio, Gucci deve i suoi risultati a una crescente valorizzazione internazionale del suo Dna, ossia italianità e tradizione artigianale, e a un forte orientamento alle iniziative di responsabilità sociale. Prada, che, grazie al +30% di crescita ha registrato quest’anno la terza miglior performance dell’intero studio Best Glo-


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L’EVOLUZIONE DEL VALORE DEI PRINCIPALI BRAND

Fonte: Best Global Brands 2013, Interbrand

bal Brands 2013, ha il merito di continuare a guardare al futuro, puntando sulla sperimentazione in termini di prodotto, comunicazione ed eventi. Infine, Ferrari si conferma un caso esemplare di come, limitando volutamente l’offerta, si protegge la desiderabilità del brand e dunque il suo valore. Spazio alla tecnologia Quello tecnologico, con oltre 443 miliardi di dollari, è il settore a maggior valore economico dello studio 2013. Sette dei primi dieci brand e quattro tra quelli a maggiore crescita (Facebook, Google, Apple e Amazon) operano infatti in questo ambito. Si tratta di una tendenza strutturale che conferma il ruolo strategico che il digitale gioca nella trasformazione delle nostre vite, sia a livello personale sia professionale. Tuttavia, nonostante la buona performance della maggior parte dei player in questo settore, si osserva l’andamento negativo di alcuni brand che segnano perdite di valore o che addirittura escono dalla classifica. È il caso di Nokia (57° posizione), che registra una perdita di valore del 65% (la maggiore mai rilevata nella storia dello studio di Interbrand), e di Yahoo e Blackberry che escono dalla Best Global Brands. Anche i brand Nintendo (67° posto) e Dell (61°) segnano un calo del

proprio valore, rispettivamente del 14% e del 10%. Crescita a doppia cifra per i brand automotive Grazie alla presenza di ben 14 brand, il mercato delle auto è quello con la più ampia rappresentanza nella classifica. Da notare che, ben nove di questi hanno registrato una crescita a doppia cifra. Il comparto è guidato da Toyota (10° posto, 35,34 miliardi di dollari, +17%), a seguire Mercedes-Benz (11° posizione, 31,90 mld, +6%), Bmw (12°, 31,83 mld, +10%), Honda (20°, 18,49 mld, +7%), Volkswagen (34°, 11,12 mld, +20%), Ford (42°, 9,18 mld, +15), Hyundai (43°, 9 mld, +20%), Audi (51°, 7,76 mld, +8%), Porsche (64°, 6,47 mld, +26%), Nissan (65°, 6,20 mld,+25%), Kia (83°, 4,70 mld, +15%), Chevrolet (89°, 4,57 mld, new entry), Harley-Davidson (96°, 4,23 mld, +10%) e Ferrari (98°, 4,01 mld, +6%). Nel complesso, dopo anni di grandi difficoltà, causate soprattutto dalla crisi, il settore sembra sul sentiero del recupero. Inoltre, al di là di un progressivo miglioramento del contesto economico di mercati importanti come gli Usa, si osserva come la riduzione dell’impatto ambientale risulti essere un fattore critico di successo. Toyota, storicamente leader su questi fronti, continua infatti a essere il primo brand del settore, no-

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Il grafico evidenzia l’impennata di Apple che, dal 2010 al 2013, ha quasi quintuplicato il suo valore. Evidente, anche se più graduale, la crescita di Google. Stabilmente elevato, invece, l’andamento di Coca-Cola

stante abbia dovuto far fronte al più importante richiamo di autovetture mai avvenuto e al boicotaggio da parte della Cina. Servizi finanziari, in aumento la fiducia dei consumatori Otto degli undici brand del settore finanziario presenti nella Best Global Brands hanno segnato un incremento del proprio valore economico. American Express (23° posizione, 17,64 miliardi di dollari, +12%) conduce la categoria, seguita, in ordine di performarce, da Goldman Sachs (44°, 8,53 mld, +12%), Visa (74°, 5,465 mld, +11%), Allianz (63°, 6,71 mld, +8%), MasterCard (97°, 4,20 mld, +8%), Hsbc (32°, 12,18 mld, +7%), Citi (48°, 7,97 mld, +5%) e Axa (59°, 7,09 mld, +5%). Benché la maggior parte dei brand di questo comparto siano ancora impegnati nella riacquisizione della fiducia della clientela, i dati mostrano un miglioramento complessivo. Tuttavia in un settore che sembra soffrire l’assenza di vantaggi competitivi difendibili in termini di brand, la vera sfida la si gioca sul terreno della ‘differenziazione’.


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Fonte: Best Global Brands 2013, Interbrand

Le migliori performance: Facebook, Google, Prada, Apple, Amazon Facebook (52° posizione, 7,73 miliardi di dollari, +43%). Unico social network presente nella Best Global Brands 2013, Facebook ha incrementato sia i ricavi sia gli utili per azione rispetto all’anno scorso, superando le aspettative di Wall Street. Ha, inoltre, aumentato del 26% il numero di utenti globali rispetto all’Ipo del 2012; in particolare la crescita più sostanziale degli iscritti si è registrata nell’area Asia-Pacifico. L’accesso al social network da mobile ha raggiunto il 51% dell’utilizzo totale e rappresenta, a oggi, più della metà delle entrate pubblicitarie di questo gigante della Rete. Inoltre, con la nomina di Gary Briggs a Cmo e l’acquisizione di aziende come Instagram, è probabile che la crescita di Facebook continuerà anche per gli anni a venire.

Google (2°, 93,29 mld, +34%). Grazie alle costanti evoluzioni della propria offerta base (search, sistema operativo Android e posta elettronica Gmail) e alle innovazioni come i Google Glass e la driverless car, il valore del brand è aumentato del 34%, spingendo il colosso sul secondo gradino del podio nello studio di Interbrand. Puntando

sull’innovazione, e travalicando i confini classici del ‘motore di ricerca’, Google continuerà ad avere un impatto sul modo in cui i consumatori vivono in tutto il mondo, portando così il proprio brand a crescere ulteriormente. Prada (72°, 5,57 mld, +30%). Come già anticipato, il brand del lusso made in Italy ha

L’ORIGINE CONTINENTALE DEI 100 BEST GLOBAL BRANDS

I due continenti più rappresentati nella classifica delle marche globali a maggior valore economico sono il Nord e Sud America (57 brand su 100), a seguire l’Europa e l’Africa con 33 marche, chiude l’Asia con i restanti 10 brand

Fonte: Best Global Brands 2013, Interbrand

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Fonte: Best Global Brands 2013, Interbrand

registrato la terza miglior performance nello studio Best Global Brands 2013, aumentando il suo valore del 30%. La crescita riflette la capacità della marca di raggiungere un armonioso (e redditizio) equilibrio tra l’heritage dell’italianità e l’alta espressione del design. Intrecciando efficacemente i touch-point fisici e digitali, e grazie alle iniziative nel mondo dell’arte perseguite dalla Fondazione Prada, il brand ha interagito in modo significativo e coerente con i propri clienti, espandendo la sua presenza su base globale. Apple (1°, 98,31 mld, +28%). Nonostante qualche macchia nella reputazione a seguito di cause brevettuali e dello scandalo Foxconn, il brand Apple ha dato prova di grande solidità, e ha nuovamente dimostrato la propria capacità di interpretare e anticipare i desideri dei consumatori. Ma, per mantenere la prima posizione anche il prossimo anno, non dovrà perdere di vista ciò che sa fare meglio, il suo famoso ‘think different’, e allo stesso tempo dovrà tentare di rallentare lo slancio di Samsung nel mercato della telefonia mobile. Amazon (19°, 23,62 mld, +27%). L’inno-

vatore del comparto e-commerce continua a differenziarsi dai concorrenti, proponendo iniziative come l’Amazon Appstore, che offre un’esperienza mobile completa per gli utenti Android. Ha, inoltre, fatto l’ingresso in nuovi comparti, proponendo, per esempio, il tv-set-top box, una programmazione originale, uno smartphone 3D e il servizio di consegna in giornata di generi alimentari. Se queste innovazioni avranno il successo sperato, il brand potrà conquistare un ruolo ancora più importante e ‘olistico’ nell’esperienza d’acquisto dei consumatori. New entry: Discovery, Duracell, Chevrolet Discovery (70° posizione, 5,75 miliardi di dollari). La marca fa il suo debutto nello studio Best Global Brands dopo un anno da record. I canali Discovery, disponibili in 217 Paesi e tradotti in 45 lingue, raggiungono più di 1,3 miliardi di utenti al di fuori degli Stati Uniti. Nei sei anni in cui David Zaslav ha ricoperto il ruolo di amministratore delegato, l’azienda è passata da un fatturato totale di circa 720 milioni di dollari a un fatturato di 721 milioni di dollari derivante solo dalle attività internazionali. Inoltre, con

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lo sviluppo di contenuti come Deadliest Catch e Shark Week, Discovery è riuscita a creare, su scala globale, un legame con gli spettatori, diventando leader del settore. Duracell (85°, 4,64 mld). Il brand di proprietà di Procter & Gamble fa ritorno nella Best Global Brands dopo esserne uscito nel 2010. Duracell era presente nello studio fin dalla sua prima edizione e nel 2009 aveva raggiunto l’85esima posizione, con un valore del brand pari a 3,56 miliardi di dollari. Oggi Duracell detiene il 25% della quota di mercato globale delle batterie ed è considerato uno dei marchi principali di P&G. Chevrolet (89°, 4,57 mld). Con circa il 50% delle vendite di GM, Chevrolet entra per la prima volta nell’Interbrand Best Global Brands. Sotto la guida di Tim Mahoney, global Cmo, e Alan Batey, Svp/global head, Chevrolet ha allineato ingegneria, design e vendite sotto un’unica visione e piattaforma di comunicazione, riassunta dal claim ‘Find New Roads’. Ormai affermata nel mercato statunitense, Chevrolet si avvale di forti investimenti in comunicazione per incrementare le vendite in Paesi come Cina, India e nc Thailandia.


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LE SETTE STRATEGIE VINCENTI DEGLI ‘SMART BRANDS’ FAR PASSARE IL CONSUMATORE DALLA LOGICA DEL ‘QUANTO COSTA’ A QUELLA DEL ‘QUANTO VALE’. È QUESTO IL PRINCIPALE OBIETTIVO DELLE MARCHE INTELLIGENTI, CAPACI DI ENTRARE NELLA VITA QUOTIDIANA DELLE PERSONE, MIGLIORANDOLA. L’EDIZIONE 2013 DEL ‘BAV-BRANDASSET VALUATOR’ METTE IN LUCE LE SETTE STRATEGIE VINCENTI PER VALORIZZARE UNA MARCA OLTRE LA COMPONENTE STRETTAMENTE ECONOMICA.

La parole chiave è ‘value for money’, ossia convenienza, intesa come perfetta sintesi tra risparmio economico e benefici intangibili associati all’utilizzo di una certa marca. I brand vincenti, capaci cioè di incrementare il loro valore nel tempo, sono, infatti, quelli che riescono a puntare sul ‘value for money’ come driver di crescita. L’edizione 2013 del Bav (BrandAsset Valuator), promosso da Y&R Group, affronta proprio questo tema, individuando sette strategie vincenti per valorizzare una marca oltre la componente strettamente economica, sostenendo così la promessa di un prodotto che vale più del suo prezzo. Giunto a festeggiare i vent’anni di vita (1993-2013), il Bav è uno strumento che permette di elaborare ipotesi sull’evoluzione dello stato di salute della marca (dalla

crescita fino all’eventuale declino) e di individuare gli asset su cui la comunicazione dovrebbe fare maggiormente leva per conquistare o mantenere una posizione di leadership. Come spiegato da Laura Biagini, head of planning Young & Rubicam Group, dai dati dell’indagine Bav 2013 emerge che, nel medio/lungo termine (2007-2013), “le

Laura Biagini, head of planning, e Pietro Puleo, strategic planner Young & Rubicam Group

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30 marche con il più alto profilo di immagine risultano associate a un livello di ‘value for money’ superiore alla media, e che questo scostamento nel corso del tempo è significativamente cresciuto (valore indice di scostamento medio da 108 a 132, ndr)”. Analogamente, continua Biagini, “se consideriamo le 30 marche che hanno visto au-


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mentare maggiormente il proprio profilo percettivo, da marca ‘nuova’ a marca con ‘potenziale crescente’, emerge che la componente ‘value for money’ dell’immagine ha assunto nel medio/lungo termine un peso maggiore (valore indice di scostamento medio da 102 a 122, ndr)”. Se quindi l’attribuzione di un elevato ‘value for money’ si accompagna sempre più a livelli elevati di ‘equity percepita’, “quali sono - si domanda Pietro Puleo, strategic planner Young & Rubicam Group - le diverse modalità attraverso cui i cosiddetti ‘smart brands’ possono sostanziare il proprio valore al di là del prezzo accessibile?” La risposta la fornisce l’indagine Bav di quest’anno, che da un’analisi fattoriale eseguita sulle 246 marche con value for money più elevato (rank superiore a 80 in una scala da 1 a 100) fa emergere sette strategie vincenti, in corrispondenza di altrettante aggregazioni dei 48 item di immagine monitorati. Vediamole nel dettaglio.

Secondo l’approccio Bav, la Statura di un brand deriva della considerazione in cui è tenuta la marca (Stima) e di quanto essa è ritenuta parte integrante dell’ambiente del consumatore (Familiarità)

1. Resourceful Solutions Fanno parte di questa categoria le marche che riescono a offrire prodotti e servizi non troppo costosi in grado di risolvere i piccoli e grandi problemi della vita, in modo innovativo e ingegnoso. Nel momento in cui si riduce la disponibilità economica delle famiglie, risulta in crescita il fenomeno del ‘fai da te’. “Circa metà degli italiani - precisa Puleo - non chiama più gli artigiani per i piccoli lavori di manutenzione, uno su quattro

Nella teoria Bav, la Forza di una marca è la risultante delle caratteristiche distintive del brand (Diversità) e di quanto queste siano importanti per il consumatore (Rilevanza)

sceglie di arrangiarsi da sé per imbiancare le pareti di casa”. Un esempio concreto di brand che hanno abbracciato questo approccio è quello di Leroy Merlin, che ha lanciato sul proprio sito l’iniziativa, ‘Bricolage Mon Amour’, ossia una serie di video con idee e suggerimenti per migliorare l’aspetto e la funzionalità dell’ambiente domestico. Un altro esempio è quello di Ikea, che offre ai propri clienti la possibilità di diventare ‘interior designer’ grazie a ‘Ikea Planner’, un software per scegliere i mobili in base alle misure precise di casa. Le principali marche che compongono la categoria ‘Resourceful Solutions’ sono Ikea, Decathlon, GroupOn, Euronics, Ryanair, Wind e Leroy Merlin. 2. Confident choise Fanno parte di questo gruppo le marche note per la loro qualità e affidabilità a un prezzo ragionevole. Fiducia e sicurezza sono centrali nella proposta di valore di que-

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sti brand, tenuti in alta stima e considerazione da parte dei consumatori. “Un italiano su due - spiega lo strategic planner di Y&R Group - presta molta attenzione ai marchi agroalimentari di qualità (dop, doc, igt, ndr)”. Tra questi si distinguono Grana Padano e Prosciutto di Parma che parlano di qualità e rassicurazione, ma lo fanno in modo diverso. Il primo brand si concentra sul prodotto, raccontando con toni caldi ed empatici la filiera produttiva, come nel caso della campagna ‘Il buono che c’è in noi’, e contrastando il mercato dei ‘similgrana’, attraverso la promozione del tour ‘Gusta la qualità’. Dall’altra parte, Prosciutto di Parma ha scelto, invece, di adottare il punto di vista del consumatore, optando per una campagna integrata che sostenesse la qualità della vita città per città. La categoria ‘Confident choise’ è guidata da Barilla, Kinder, Rio Mare, Grana Padano, Prosciutto di Parma, Lavazza e Santal. 3. Fun at your fingertips La terza strategia vincente è quella delle marche che puntano a offrire momenti di divertimento e spensieratezza a costi contenuti. In questo caso, il consumatore acquista soprattutto un’esperienza ludica, capace di coinvolgerlo e divertirlo, senza un grande investimento economico. A facilitare l’adozione di questa strategia è la diffusione sempre più massiccia degli smartphone, soprattutto nelle fasce giovani della popolazione, che ha determinato una crescita delle applicazioni di giochi. “I brand - aggiunge Puleo - non si lasciano sfuggire l’occasione, lanciando a loro volta delle app che promuovono l’entertainment degli utenti. Circa l’80% degli italiani sembra gradire soprattutto questa funzione quando scarica l’app di un brand”. Tra le case history, è possibile citare Swatch Faces, l’app lanciata da Swatch, tramite la quale, scattando una foto del proprio viso e spostando le frecce per campionare i colori, è possibile trovare l’orologio più adatto per sé, e poi condividere la foto con gli amici. I principali esponenti di questa categoria sono Cornetto, Burger King, Kiko, Sammontana, Amica Chips, Swatch e Soffici Findus.

4. Chic & easy Si tratta di marche che assicurano stile ed eleganza senza costringere a spendere cifre folli. I brand di questa categoria seguono da vicino le ultime mode, rendono il fascino del lusso accessibile a tutti, e dimostrano quanto sia elegante e, al contempo, furbo il consumatore che le acquista. “Pur vivendo un periodo di recessione, il Belpaese - precisa lo strategic planner di Y&R Group - non rinuncia al fascino della moda: un italiano su due dichiara, infatti, che la moda rimane un fattore importante nella propria vita, e circa il 78% ritiene che la moda sia un biglietto da visita; che l’abito, quindi, continui a fare il monaco”. Tra i brand che costruiscono il proprio ‘value for money’ puntando sulla ‘trendiness’ e che costituiscono un vero e proprio fenomeno di massa dei nostri tempi, possiamo citare H&M e Zara. Il retailer svedese da anni si avvale della collaborazione di prestigiose maison di moda: l’ultima, in ordine di tempo, la stilista parigina Isabel Marant, che ha spinto una folla entusiasta di fan a fare la fila fin dalle quattro del mattino davanti ai negozi del Gruppo. In casi come questi, l’esclusività si basa sulla durata temporanea della collezione, che spesso è sold out in poche ore. Dall’altra parte, il modello Zara si basa su

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I brand ‘Chic & easy’ sono quelli che riescono ad assicurare stile ed eleganza senza costringere a spendere cifre folli. Come sanno fare, per esempio, H&M e Zara

presupposti diversi: location esclusive e prestigiose, e una lead time ‘dal bozzetto al negozio’ di sole due settimane, in modo da tenere il passo con qualsiasi nuova tendenza generata dalle grandi griffe. Ogni nuova collezione di Zara ha quindi vita breve e, di conseguenza, diventa ancora più esclusiva, conquistando la simpatia anche di consumatori high spending, come la principessa Kate Middleton, fotografata a fare acquisti nei negozi della catena spagnola. Le marche leader di questa categoria sono Deborah, Coin, Carpisa, H&M, Poltrone Sofà, Yamamay e Zara. 5. We care Fanno parte di questo gruppo vincente quelle marche che dimostrano un forte senso di responsabilità per il benessere del consumatore e dell’intera comunità. Questi brand hanno raggiunto nel tempo standard


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Birra Moretti e Nutella ben rappresentano il gruppo ‘Authentic stories’, ossia quello dei brand che possono vantare una credibilità consolidata, costruita nel tempo attraverso il contatto con diverse generazioni

nire consigli pratici sulla cura dei bambini, basandosi sull’expertise di pediatri e nutrizionisti. La categoria è guidata dalle seguenti marche: Neutro Roberts, Yomo, Nivea, Lidl, Ovs, Johnson’s Baby e Regina.

sempre più alti di qualità e un’elevata capacità di sintonizzarsi sui bisogni dei clienti. Gli italiani si dimostrano sensibili ai temi della social responsibility. “Circa il 44% degli intervistati - spiega Puleo - dichiara, infatti, di essere disposto a pagare di più per le marche che perseguono programmi di responsabilità sociale, mentre un italiano su quattro si interessa ai temi legati alla sostenibilità ambientale”. Per fare qualche esempio, Coop è da anni che si dimostra attenta ai problemi della sicurezza alimentare e della certificazione di origine, e oggi comunica questo suo impegno attraverso una serie di video divertenti, che si affiancano alla comunicazione tradizionale. Un altro brand attivo in questo senso è Mulino Bianco, che dimostra la sua attenzione per il benessere dei consumatori attraverso numerosi canali di comunicazione: “Sul pack - precisa lo strategic planner di Y&R Group - ci parla del prodotto, di quello che contiene o non contiene, e di ciò che l’azienda fa per renderlo sempre migliore. Sul web affronta i problemi legati al rispetto per l’ambiente, attraverso una serie di video che riprendono il format del mugnaio; infine, sul territorio intraprende varie iniziative rivolte alla famiglia e, in particolare ai bambini, per fare vivere da vicino l’esperienza del ‘mondo buono’.

I principali esponenti di questa categoria sono Mulino Bianco, Buitoni, Coop, McDonald’s e Ferrero. 6. Everyday help Marche senza fronzoli, scelte perché sanno fare bene il proprio lavoro e che diventano, grazie anche al prezzo conveniente, una presenza quotidiana nella vita del consumatore. I brand che perseguono una strategia d ‘everyday help’ possono aiutare il consumatore non soltanto attraverso i benefit concreti del prodotto ma, in alcuni casi, anche attraverso la condivisione di consigli pratici, come accade nelle community online. “Sono circa otto milioni - aggiunge Puleo - gli italiani che accedono alle community online gestite da un brand. Di questi, il 65% dichiara di acquistare con maggiore frequenza i prodotti della marca di cui frequenta la community”. Un esempio, in questo senso, è la community ‘Nivea vicino a te’, che vive sulla piattaforma Alfemminile.com; si tratta di un luogo virtuale in cui è possibile scambiarsi idee, esperienze e informazioni, anche grazie all’aiuto di coach esperti sulle tematiche femminili. Il secondo esempio è il website di Johnson’s Baby, che non è propriamente una community, ma uno spazio che il brand utilizza per for-

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7. Authentic stories Infine, l’ultima strategia vincente messa in luce dall’indagine Bav 2013 è quella delle marche che possono vantare una credibilità consolidata, costruita nel tempo attraverso il contatto con diverse generazioni. I consumatori scelgono questi brand perché sanno esattamente cosa aspettarsi a quel prezzo, e perché vogliono sentirsi parte della tradizione che viene raccontata. In un contesto in cui un italiano su due si dichiara legato ai marchi della tradizione, le marche, a loro volta, comunicano la loro autenticità e fedeltà alla tradizione in modi diversi. “C’è chi, come Birra Moretti - spiega Puleo -, racconta di abitudini semplici e schiette, come passare il proprio tempo libero in compagnia degli amici più veri, tra una bruschetta e una buona birra. Moretti presidia il territorio delle storie autentiche anche online, grazie all’applicazione social, ‘Che tifoso sei?’, che, tramite un quiz, fa leva sull’abitudine degli italiani a vivere con passione il calcio in tv. Diverso il discorso di Nutella, che sottolinea la sua autenticità con una comunicazione che rappresenta il prodotto accanto al consumatore in tutte le fasi della sua vita, da quando è bambino a quando è adulto. I principali brand di questa categoria sono Superga, Fiorucci, Fiat, Nutella e Birra Moretti. nc


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BLOGMETER, FANPAGE.IT È LA PAGINA FACEBOOK CON PIÙ ENGAGEMENT LA CLASSIFICA DELL’ENGAGEMENT 2013 PREMIA FANPAGE.IT COME LA PAGINA FACEBOOK CON IL TASSO DI COINVOLGIMENTO PIÙ ALTO, CON OLTRE 25,2 MLN DI INTERAZIONI, SEGUITA DA QUELLA DE ‘LA REPUBBLICA’ A QUOTA 25 MILIONI. CONSIDERANDO IL NUMERO DI FAN IL PRIMO POSTO È DI ‘AMAZON.IT’ (1,8 MLN DI FAN) SEGUITA DA SAMSUNG ITALIA (1,4 MLN). TRA I PROGRAMMI LA CLASSIFICA È GUIDATA DA ‘LE IENE’.

Blogmeter ha rilasciato l’annuale classifica (i cui dati sono rilevati attraverso il tool Social Analytics) relativa ai brand che hanno lavorato meglio su Facebook nell’anno appena concluso. La graduatoria è stata stilata sulla base di oltre 580 milioni di interazioni tra post, like, commenti e condivisioni che hanno avuto luogo su più di 5mila pagine Facebook gestite da brand o media che si rivolgono a un pubblico italiano. Il valore del ‘Total Engagement’ rappresenta il totale delle attività degli utenti sulla pagina Facebook (commenti, like, condivisioni, post spontanei). Il valore del ‘Response Time’, invece, indica il tempo medio che intercorre tra la pubblicazione di un post da parte di un utente e il commento del brand al medesimo post; vengono considerate solo le pagine che hanno risposto ad almeno 1.200 post. Tra i media la classifica dell’Engagement 2013 premia fanpage.it come la pagina Facebook con più engaging dell’anno, con oltre 25,3 milioni di interazioni, seguita da quella de ‘La Repubblica’ a quota 25 milioni, Roba da Donne (14,7 milioni), Il Fat-

Fonte: Blogmeter

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Fonte: Blogmeter

to Quotidiano (10,7 milioni), lo Zoo di 105 (10,2 milioni), BastardiDentro (10 milioni), Virgin Radio Italy (9 milioni), il sito ufficiale di Leggo (6,3 milioni) e Radio Italia (4,8 milioni). Fanalino di coda il Corriere della Sera con 4,2 milioni. Se non consideriamo il settore media, la pagina con più engaging d’Italia è Serie A Tim con 10 milioni di interazioni nel 2013 seguita da Comix (2,2 milioni), Audi Italia (1,8 milioni), Juventus (1,7 milioni), Federazione Italian Giuoco Calcio e la pagina ufficiale SSC Napoli (1,5 milioni), Giro D’Italia (1,4 milioni), Greenpeace Italia (1,3 milioni), Hub Social Design (1,2 milioni) e la pagina ufficiale SS. Lazio (1,1 milioni). Considerando il numero di fan il primo posto è di Amazon.it, che nel 2013 ha guadagnato 1,9 milioni di fan, seguita da Samsung Italia che ne ottiene 1,5 milioni, Kiko Cosmetics (1 milione), Philadelphia Italia (534,4 K), Bottega Verde (524,7 K), Nutella (472,4 K), Nokia (464,8 K), Lidl (461,3 K), Tim (458,6 K) e Italo (410,2 K).

Tra i media, cinque pagine su 10 sono di emittenti o show televisivi, a dimostrazione di come, anche su Facebook, sia ben presente il fenomeno della social tv. Nel settore media la classifica, guidata dal programma ‘Le Iene’ (1,1 milioni di nuovi fan), dimostra la sempre maggiore integrazione tra tv e Facebook. Seguono fanpage.it (844,6 K), Real Time (731,6 K), Radio Italia (466,7 K), Amici di Maria De Filippi (411,4 K), Dmax (391 K), Blogo (386,9 K), Uomini e Donne (371 K) e La Repubblica (365,8 K). La classifica del Response Time mostra, tra le pagine con risposte ad almeno 1.200 post in bacheca durante l’anno, quelle che hanno fatto attendere di meno i fan. Qui i brand, in particolare quelli del mondo telco e dei servizi finanziari, si dimostrano molto più attenti dei media (con la sola eccezione di Sky Sport F1 HD, con una media di 2h e 40 minuti). PosteMobile, infatti, batte tutti in velocità con una media di 31 minuti, seguita da Poste Italiane (1h 30m), Vodafone.it (1h

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31m), Postepay (1h 56m), Intesa Sanpaolo (3h 40m), Prezzofacile (3h 47m), Tim (3h 52m), che è stata anche quella che ha dato più risposte, oltre 36.400, Wind (4h 03m), Alitalia (4h 18m), Privalia (4h 28 m). Tra i media, citiamo Radio Italia (6h 07m), Qvc (7h 38m), Real Time (8h 37m), Rai Gulp (10h 33m), Dmax (13h 34m), Fox Life (15h 12m), Fox (16h 01m), GialloZafferano (23h 46m), Altroconsumo (24h 42m). La pagina Superflash.it ha dato seguito al 98,3% dei post pubblicati in bacheca dagli utenti. Concludendo la classifica di Blogmeter indica i post con più engaging del 2013. Entrambi sono due video: il primo è stato pubblicato il 12 febbraio sulla pagina di Baci Perugina fan club, in occasione di San Valentino, e ha fatto registrare oltre 167mila interazioni nella prima settimana dalla data di pubblicazione. Il secondo video è quello de Le Iene su Barbareschi (che ne aveva diffidato la diffusionc ne in tv).


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LA REGINA DEL WEB È ENI IL ‘CANE A SEI ZAMPE’ CONQUISTA LA VETTA DELLA CLASSIFICA DELLE AZIENDE ITALIANE CHE COMUNICANO MEGLIO VIA INTERNET, SCALZANDO TELECOM CHE SCENDE IN SECONDA POSIZIONE. LA MIGLIORE PERFORMANCE È QUELLA DI MONDADORI, CHE PASSA DAL VENTESIMO AL NONO POSTO. A DIRLO È LA NUOVA EDIZIONE DEL KWD WEBRANKING. IN CRESCITA STORYTELLING E UTILIZZO DI INFOGRAFICHE. DEBOLI I COLLEGAMENTI TRA SITI CORPORATE E PROFILI SOCIAL.

Le aziende italiane sono brave nel comunicare attraverso i propri siti web le informazioni istituzionali, ossia presentano bene la società, i risultati finanziari e i sistemi di governance, ma risultano deboli nel comunicare le proprie politiche di sostenibilità e le opportunità di carriera in azienda. Hanno migliorato alcuni aspetti della user experience, ma mancano ancora della capacità di creare uno storytelling coerente che trasmetta i messaggi e i valori di brand in una narrazione strutturata, fruibile dagli utenti e orientata alle prospettive future. Questo, in sintesi, lo stato dell’arte della comunicazione corporate che le aziende italiane sviluppano sul web attraverso i propri siti ufficiali, secondo lo studio Kwd Webranking. Al primo posto del ranking italiano torna quest’anno Eni, che si distingue sul web per l’eccellente presentazione di come opera l’azienda, per la valorizzazione della relazione fra sostenibilità e modello di business, e per il miglioramento della presenza del brand sui social media. Al secondo posto troviamo Telecom Italia (regina dello scorso anno), che ha rivisto il sito in ottica responsi-

ve, per adattarlo alla navigazione da mobile, e si è concentrata sul racconto delle storie e delle iniziative di brand. Sul terzo gradino del podio si colloca il gruppo Hera, che ottiene buoni punteggi nelle sezioni dedicate alle informazioni finanziarie, alla responsabilità sociale e alle opportunità di carriera in azienda. Seguono, nelle prime dieci posizioni, Snam, Pirelli, Terna, UniCredit, Generali, Mondadori e Piaggio. L’azienda che più di tutte ha migliorato il proprio posizionamento, facendo registrare la migliore performance dell’anno è Mondadori, che grazie a una nuova sezione dedicata alla Csr e a una più strutturata presenza sui social, è passata dal ventesimo al nono posto. Nel dettaglio, lo studio, realizzato da KW Digital in collaborazione con Lundquist, analizza i siti internet delle cento aziende italiane a maggiore capitalizzazione, valutando la comunicazione corporate online ed elaborando una classifica basata su 102 criteri e su interviste a utenti web professionali. L’edizione 2013 del ranking ha escluso in partenza dal campione 40 aziende che lo scorso anno avevano ottenuto punteggi molto bassi e che non hanno migliorato la qua-

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lità della propria comunicazione web (fra cui Banca Popolare di Milano, De’ Longhi, Fondiaria Sai, Impregilo, Società Aeroporto Venezia) e ne aggiunte due (Fiera Milano e Moleskine), per un totale di 62 siti corporate analizzati. In generale, il Kwd Webranking 2013 (lo studio esiste da 17 anni, 12 in Italia) ci dice che la qualità della comunicazione corporate online delle aziende italiane sta peggiorando: la valutazione media è, infatti, scesa di due punti rispetto all’anno scorso, per un totale di 42,2 punti, a fronte della media delle 100 maggiori aziende europee valutata in 45,3 punti. Solo un’azienda italiana su tre ha migliorato quest’anno il proprio punteggio. Come accennato precedentemente, nel complesso, le aziende italiane risultano deboli nel comunicare le informazioni sulle attività di Csr e nel mettere in luce il rapporto fra business e responsabilità sociale: solo il 56% presenta sul sito un bilancio di sostenibilità, contro l’86% delle aziende europee. Un altro fattore di debolezza è costituito dalla scarsità di informazioni sulle opportunità di carriera in azienda, il cosiddetto employer branding: l’8% non offre al-


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LE AZIENDE CHE COMUNICANO MEGLIO VIA WEB IN ITALIA

Note: Il punteggio massimo corrisponde a 100 punti. In corsivo le società nuove entranti. * Società incluse anche nella classifica Kwd Webranking Europe 500.

cuna informazione dedicata a chi cerca lavoro e la maggior parte fornisce informazioni generiche, quando invece le sezioni ‘lavora con noi’ o simili sono le più visitate dei siti istituzionali. La ricerca ha rilevato invece ambiti di miglioramento nella qualità della user experience. Sebbene ancora in misura limitata, i siti corporate italiani analizzati mostrano, infatti, di avere recepito i principali trend della comunicazione online: l’8% fa uso del responsive web design per adattare il sito alla navigazione da mobile (invece di utilizzare le più costose e impegnative app), mentre i nuovi siti rilasciati que-

st’anno (per esempio Finmeccanica, Piaggio e Campari) hanno introdotto elementi grafici più semplici e adatti al touch screen dei dispositivi mobili. In generale, il Kwd Webranking ha rilevato anche una maggiore attenzione dei brand verso la comunicazione visuale, con l’utilizzo di infografiche (Eni, Fiat) e la riduzione della comunicazione puramente testuale. Alcune aziende, fra cui Telecom Italia e Fiat, stanno inoltre esplorando nuove modalità di comunicazione web orientate allo storytelling, con homepage dedicate ai temi dell’innovazione, della ricerca o dei prodotti attraverso il raccon-

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Fonte: Kwd Webranking 2013 Italy

to di storie e iniziative aziendali. Permangono, comunque, alcune criticità. La prima è la prevalente mancanza, nei siti corporate italiani, di un collegamento strategico alle pagine social dell’azienda. Dove c’è (meno della metà dei casi) questo collegamento è costituito dalle semplici icone dei canali social, senza integrazione dei contenuti all’interno dei siti, quasi che i social non fossero coordinati con gli altri strumenti di comunicazione digitale. Inoltre, secondo il Kwd Webranking, le aziende italiane faticano a parlare di obiettivi, di visione del futuro, di strategie di crescita, rimanendo ancorate al-


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LE AZIENDE CHE COMUNICANO MEGLIO VIA WEB IN ITALIA

Note: Il punteggio massimo corrisponde a 100 punti. In corsivo le società nuove entranti. * Società incluse anche nella classifica Kwd Webranking Europe 500. ** Il nuovo sito del Gruppo Cnh Industrial è stato lanciato dopo la chiusura delle valutazioni.

la narrazione del presente e dei risultati del passato. Parallelemente, la ricerca rileva che molti siti corporate italiani sono costruiti come copia-incolla di documenti, e che

mancano di un filo narrativo attorno alle tematiche aziendali che possa raccontare la cultura e l’indentità del brand in uno storytelling chiaro e coerente.

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Fonte: Kwd Webranking 2013 Italy

Infine, nei siti scarseggiano gli strumenti di coinvolgimento emozionale: solo la metà del campione offre un video istituzionale e solo il 40% una galleria video. nc


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LA MARCA IDEALE NELL’ERA DELLA CONVERGENZA MEDIALE FATE SPAZIO AI ‘CONSUMATORI POTENZIALI CONVERGENTI’, OSSIA A QUELLA PARTE PIÙ EVOLUTA DEGLI UTENTI MULTICANALI, CHE UTILIZZANO UNA MOLTEPLICITÀ DI DEVICE, PER ENTRARE IN RELAZIONE CON I BRAND, PERCEPITI NON PIÙ SOLO COME EROGATORI DI PRODOTTI E SERVIZI, MA ANCHE COME EDITORI E NARRATORI DI STORIE. ANTICIPIAMO I RISULTATI DELLA NUOVA RICERCA DEL LABORATORIO CONME.

Dal Cluetrain Manifesto in poi (era il 1999) diversi studi, approcci e ricerche hanno evidenziato la necessità che le marche scendessero dalla torre di avorio per avviare conversazioni e un rapporto paritetico con i propri clienti attuali e potenziali. Il gruppo di ricerca dell’area marketing della School of Management del Politecnico di Milano, fin dal 2007, ha definito un nuovo paradigma di marketing, chiamato Marketing Reloaded, basato sulla co-creazione di esperienze di marca multicanale. In particolare, attraverso una serie di ricerche continuative, come l’Osservatorio Multicanalità, il gruppo di ricerca ha definito i nuovi profili del consumatore multicanale, alla luce del ruolo che i canali giocano nel processo decisionale di acquisto. Dal 2011, il laboratorio sulla convergenza mediale ConMe (frutto della cooperazione tra la School of Management del Politecnico di Milano e

l’istituto di ricerca Makno), sta inoltre studiando come una parte evoluta degli utenti multicanali, quelli a elevato consumo di contenuti mediali attraverso tutti i device (definiti ‘consumatori potenziali convergenti’), adottino approcci e pratiche convergenti nella fruizione di contenuti mediali nella loro giornata. Le pratiche convergenti non riguardano solo la fruizione di contenuti edi-

toriali, ma anche i contenuti prodotti e veicolati da marche, che sempre più diventano editori, e che progettano strategie di comunicazione su un molteplicità di canali sia pubblicitari, sia di proprietà, sia guadagnando visibilità sui social network con logiche di earned media. Abbiamo chiesto a Giuliano Noci, ordinario di Marketing al Politecnico di Milano e co-direttore insieme a Mario Abis del Laboratorio ConMe, alcune anticipazioni relative alla ricerca 2013, focalizzando l’attenzione sul rapporto dei consumatori potenziali convergenti con i contenuti di marche di prodotti e servizi. Innanzitutto, chi sono e quanti sono i ‘consumatori potenziali convergenti’? I ‘potenziali convergenti’ sono consumatori multicanale e multidevice, quindi con elevata dotazione tecnologica di device e alto accesso a internet, che fruiscono di contenuti mediali con intensità e frequenza superiore rispetto alla media della popolazione italiana. Le ultime nostre rilevazioni (novembre 2013, ndr) parlano di 23,4 milioni di individui, il 45% della popolazione italiana maggiore di 14 anni. Se ci focalizziamo

Giuliano Noci, ordinario di Marketing al Politecnico di Milano e co-direttore Laboratorio ConMe

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La marca ideale

Le aziende dovrebbero investire prioritariamente in...

Fonte: Ricerca 2013 del laboratorio sulla convergenza mediale ConMe

sulla popolazione attiva (16-64 anni), essi rappresentano il 55% di tale popolazione, in forte crescita: a gennaio 2013 rappresentavano il 50%. A livello socio-demografico, il picco massimo lo si ha nella fascia di età tra i 25 e i 34 anni, ove raggiungono il 72% della popolazione, ed è molto importante evidenziare anche crescite tra i cosiddetti ‘silver surfer’. Inoltre, come era prevedibile, il loro livello di reddito è superiore rispetto alla media italiana. Come si comportano tali consumatori nei confronti della marche? I ‘consumatori potenziali convergenti’ stanno in relazione con i contenuti che le marche veicolano su tutti i punti di contatto con un’intensità più elevata rispetto ai ‘non convergenti’, a cominciare dal punto vendita. Qui il consumatore convergente ottiene abitualmente le informazioni su marche e prodotti, a pari merito con la pubblicità, ma con una intensità più forte. Come spiega questo fenomeno? Il punto vendita rappresenta un formidabile medium esperienziale di contenuti e, non a caso, aumenta anche il cosiddetto fenomeno dello ‘showrooming’, ovvero il fatto che il consumatore tende a informarsi ulte-

riormente nel punto vendita, attraverso lo smartphone o il tablet o le tecnologie messe a disposizione dal punto vendita stesso. Inoltre, aumenta il tempo che i consumatori passano in questi luoghi, spinti da motivazioni di offerta, come per esempio le aperture domenicali, bisogni informativi e di relazione. Ecco quindi l’emblema della convergenza: fisico e digitale convergono in nuove esperienze mediali. Che cosa intendete, più specificatamente, per ‘pratiche convergenti’? Le ‘pratiche convergenti’ sono di fatto i legami che si creano tra i vari punti di contatto. Per esempio abbiamo studiato, in riferimento a diverse categorie merceologiche, cosa succede dopo la visione di uno spot televisivo o l’esposizione a un contenuto pubblicitario su internet. È emerso che circa il 50% delle persone esposte a uno spot tv di marche preferite (operanti nei settori alimentare, cura della persona e telefonia, ndr) si attiva nel mantenersi in relazione con contenuti legati alla marca su più piattaforme. Quindi, sito internet dell’azienda, profilo ufficiale su Facebook, magari scaricando l’app della marca o ricercando informazioni su internet tramite motori di ricerca e social network, o commentando sui social network, o

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Il consumatore si attende che la ‘marca ideale’ sia empatica, ossia che parli la sua stessa lingua, e che gli offra la possibilità di collaborare ad alcune decisioni relative al brand

addirittura andando a cercare lo spot televisivo su internet, come per esempio su YouTube, per poi condividerlo sui propri spazi social. In conclusione, il consumatore cosa si attende dalla ‘marca ideale’ nell’era della convergenza? Le parole chiave sono due, ‘empatia’ e ‘cocreazione’, non crowdsourcing. Empatia significa che il consumatore si attende che la marca parli la sua stessa lingua, ovvero si metta nei suoi panni e scenda dal piedestallo. Co-creazione significa possibilità di collaborare attivamente ad alcune decisioni relative al prodotto e alla comunicazione. Sarà interessante capire se finalmente le aziende top spender in advertising sapranno cogliere questi segnali, ormai non più deboli, decisamente manifesti, con vere e proprie strategie multicanale, abbandonando quelle campagne estemporanee a cui molti ci stanno abituando. nc


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CAPPELLI IDENTITY DESIGN, IL BRAND È VIVO E DINAMICO VALORIZZARE L’IDENTITÀ DEI CLIENTI IN PROGETTI DI COMUNICAZIONE COERENTI, FORTI E VINCENTI. QUESTA L’ESSENZA DELL’AGENZIA DI DESIGN FONDATA NEL 2008 DA EMANUELE CAPPELLI. ALLA BASE, L’IDEA CHE IL BRAND SIA VIVO, OSSIA CHE RAPPRESENTI L’ANIMA DI UN’ORGANIZZAZIONE, CON LA PROPRIA PERSONALITÀ, I PROPRI VALORI E UNA SUA REPUTAZIONE DI MARIO GARAFFA (DA PAG. 24 A PAG. 33)

L’identità è il punto di partenza per ogni attività di comunicazione. L’aspetto da chiarire è che non basta avere un logo o un’immagine per avere un’identità. La relazione tra persona e azienda rimanda a dinamiche più profonde. “L’obiettivo che ci poniamo - spiega Emanuele Cappelli, ceo e creative director Cappelli Identity Design - è guidare il cliente in un percorso di conquista o rafforzamento della sua posizione, disegnando segni che contribuiscano a far crescere brand in grado di costruire relazioni emozionali e sincere”. In che modo? “Prima di tutto - precisa Cappelli - puntiamo sempre al cuore, valorizzando l’identità dei clienti in progetti di comunicazione coerenti, forti e vincenti. Siamo mossi dalla curiosità, e proprio la ricerca dell’innovazione ha caratterizzato nel tempo lo stile dell’agenzia. Crediamo nella crescita e nell’arricchimento che nascono dalla con-

taminazione. E ciò si riflette anche all’interno del team: il confronto tra me, Claudia, Andrea, Emiliano e Francis, la squadra dei creativi, con Arianna, Emanuela, Marta e Sara, le nostre strategist, e Tommaso, il nostro cuore tecnologico, arricchisce ogni progetto rendendolo unico”.

Fondata nel 2008 dallo stesso Emanuele Cappelli, l’agenzia ha messo a punto un modus operandi molto particolare: “Il fascino dei nostri progetti - precisa il ceo e creative director - è nel progetto stesso, nel suo iter, nella sua evoluzione. La cosa più bella è iniziare un progetto - dal latino pro jacere, gettare avanti - senza sapere quale sarà il risultato. Liberarci da tutte le nostre memorie visive e procedere nei primi step progettuali con logica, scienza, conoscenza. Seguirà la seconda parte, la più conflittuale, intensa, imprendibile, che è quella creativa. Il guizzo fantastico all’interno di un percorso già tracciato dalla logica: è uno scontro forte, un big bang”. Il metodo dinamico della Cappelli Identity Design Il metodo progettuale seguito si articola in fasi ben definite: prima l’ascolto e confronto con il cliente, e poi la ricerca, l’analisi e la sintesi per raggiungere la consapevolezza. La consapevolezza di ciò che si andrà a progettare porta, infatti, alla definizione del concept, nucleo dal quale si svilupperanno coerentemente le attività di comunicazio-

Emanuele Cappelli, ceo e creative director Cappelli Identity Design

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ne finalizzate al raggiungimento di obiettivi precisi. E infine c’è il primordiale conflitto tra ‘conoscenza’ e ‘creatività’ che porta al ‘design’. Semplice e originale. L’agenzia sta lavorando molto sul concetto di ‘brand dinamico’, con il quale ha ottenuto numerose pubblicazioni internazionali. Sono circa tre anni che il team è impegnato a sperimentare questo nuovo linguaggio di comunicazione. “Non stiamo parlando semplicemente di logo dinamico - spiega il ceo e creative director - ma di brand dinamico, che, avendo un ciclo di vita più lungo, ha ripercussioni positive anche sugli investimenti di medio e lungo periodo in comunicazione. In questo sistema, la corporate identity diventa l’interprete principale dell’identità, e il logo, sollevato dalle sue responsabilità, può evolvere. Inoltre, l’utilizzo di tecniche e linguaggi di programmazione avanzati ci consente di passare dal brand dinamico al ‘brand generativo e interattivo’, per il quale stiamo approfondendo i concetti di ‘modularità’ e ‘automazione’”. A dimostrazione della libertà progettuale dell’agenzia è stato lanciato con il cliente, e ora anche partner, Geores, un servizio di video riprese aeree effettuate da droni che consente di acquisire immagini caratterizzate da una prospettiva ‘bird eye view’. Queste immagini, in seguito all’elaborazione con software professionali, per-

mettono di ottenere il modello 3D delle architetture e delle aree indagate. Nella visione della Cappelli Identity Design, il concetto di ‘transcodifica’ diventa il nuovo paradigma per proporre contenuti ad alto potere di vendita. “La comunicazione contemporanea - spiega il ceo e creative director dell’agenzia - si basa, come in un continuo rimbalzo, sull’aspetto culturale e su quello informatico che si traducono e si condizionano a vicenda. Da qui nascono progetti e idee. La continua transcodifica dei due linguaggi, da culturale a informatico e ritorno, genera un nuovo paradigma della comunicazione”. Travel Advisory Guru e Ikono. Due esempi di successo In questo discorso, occorre tener presente che Rete e social network hanno ribaltato le regole della comunicazione: i consumatori sono persone che, con la loro libertà di esprimersi, oramai contribuiscono alla definizione dell’identità di marche e prodotti. L’autonomia degli utenti nella generazione di contenuti se da una parte costringe le aziende alla trasparenza, dall’altra apre le porte al brand generativo e interattivo, in cui sono direttamente gli utenti a creare il brand. “Per fare un esempio - aggiunge Cappelli - abbiamo elaborato il progetto Tag (Travel Advisory Guru, ndr), presen-

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Alcuni dei progetti firmati dalla Cappelli Identity Design. Da sinistra, lo studio sul brand generativo per Ikono e il brand dinamico per la onlus Aidda

tato a Samsung e a New York Tab, che consente di mappare i flussi turistici all’interno di una città e di far variare la forma e l’intensità del marchio, visualizzato in tempo reale, in base all’affluenza dei turisti e al loro feedback sui punti di interesse”. Un’altra bella sfida è il progetto partito nel 2013 con Ikono, canale televisivo tematico sull’arte, una realtà internazionale con sede a Berlino. Nel ripensarne l’immagine in modo che la stessa esprimesse e sintetizzasse l’idea, semplice e potente allo stesso tempo, di verità assoluta dell’arte, è stato ideato un sistema di identità che prende le mosse dalle cromie e dalle proporzioni dell’opera d’arte di volta in volta presentata. Per Ikono è stato inoltre realizzato un portale che è sia piattaforma per la visualizzazione delle trasmissioni in live web stream, sia un contenitore di approfondimento su autori e opere d’arte ospitate dal canale televisivo. nc


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CBA, MARCHE CREATE CON IL CUORE PROGETTARE IDENTITÀ VISIVE CAPACI DI CREARE RELAZIONI AFFETTIVE CON I CONSUMATORI, METTENDO PASSIONE IN OGNI PROGETTO, PERCHÉ I BRAND CREATI CON IL CUORE SONO IN GRADO DI RENDERE IL MONDO UN POSTO MIGLIORE IN CUI VIVERE. È QUESTO L’IMPEGNO CHE CBA, AGENZIA DI BRAND DESIGN OGGI PARTE DEL GRUPPO WPP, METTE IN OGNI SUA INIZIATIVA. A COMINCIARE DAI PROGETTI PRO-BONO CHE REALIZZA ANNUALMENTE.

Vivere il branding in modo appassionato. È questa l’essenza di CBA, agenzia di brand design fondata a Parigi nel 1982 e oggi parte del gruppo Wpp. Con dodici sedi nel mondo, in cui impiega circa 250 persone, l’agenzia mette a disposizione dei clienti un network multiculturale capace di offrire una prospettiva globale. La specializzazione di CBA consiste nell’affiancare i clienti in progetti di corporate identity, packaging design e branded environment. “Noi crediamo che dei brand creati con il cuore - afferma Giacomo Colombo, client manager CBA Italia - possano rendere il mondo un posto migliore, per cui progettiamo identità visive capaci di creare relazioni affettive con i consumatori, mettendo passione in ogni progetto, perché questo è il nostro modo di concepire il design”. In realtà, CBA non affronta i progetti seguendo modelli o metodi predefiniti, “ogni brief - spiega Colom-

bo - è per noi una nuova sfida che raccogliamo con entusiasmo, mettendo al centro del processo il dialogo, anziché rigide metodologie”. Per dare un segno tangibile del

Giacomo Colombo, client manager CBA Italia

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suo posizionamento ‘appassionato’, CBA mette ogni anno la sua professionalità a servizio di un progetto pro-bono. L’impegno è iniziato nel 2012, in occasione del terremoto che ha colpito l’Emilia, aiutando il Consorzio Latterie Virgilio a valorizzare le forme di formaggio danneggiate dal sisma, progettando un Pack Special Edition in grado di raccontare l’operazione al consumatore. Nel 2013 CBA ha invece affiancato la Fondazione LaVerdi, una delle orchestre sinfoniche più importanti al mondo, nel ripensare la propria corporate identity, con lo scopo di ingaggiare una relazione emozionale più forte con i cittadini e diffondere in tutti gli strati sociali la conoscenza della musica di qualità. Ma quali sono le soluzioni di brand communication migliori per coinvolgere i consumatori e creare valore per la marca? “Lo storytelling - risponde Colombo - è il modo più efficace per instaurare un rapporto virtuoso tra brand e consumatore. Sin da quando siamo piccoli, infatti, siamo abituati ad ascoltare bellissime storie, e gli ingredienti fondamentali per una buona storia rimangono sempre gli stessi, ossia l’eroe, il conflitto e la morale. La marca diventa l’eroe


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della nostra storia, chiamata ad affrontare i conflitti e le sfide del mercato. È poi attraverso la morale che riusciamo ad individuare e comprendere quale messaggio un brand voglia portare ai propri consumatori, e attraverso quali prodotti veicolarlo. In definitiva, la chiave di un progetto che possa creare valore per la marca sta nell’individuazione della promessa che un brand può realmente garantire ai propri interlocutori”. Se una volta si avevano i contenuti di marketing, oggi si è passati al marketing dei contenuti. “Costruire un brand - aggiunge il client manager dell’agenzia - significa instaurare una relazione con il consumatore, il quale negli ultimi anni ha spostato la propria attenzione prima dal ‘prodotto’ alla ‘marca’, ed in seguito dalla ‘marca’ alla ‘storia’ che questa può raccontare. In questo discorso, l’avvento della Rete e dei social media ha cambiato radicalmente il ruolo di un brand come eroe al centro dello storytelling. Le nuove potenzialità di questi media stanno forzando le marche a essere estremamente attente a ciò che il target di riferimento dice loro, sia in termini positivi sia negativi, scardinando le logiche di una comunicazio-

CBA ha affiancato Percassi nel progetto Womo. Il nuovo brand è stato sviluppato con l’obiettivo di riportare l’identità maschile ai suoi valori cardine: pragmatismo ed essenzialità

Nel costruire l’immagine della linea ‘I Grani De Cecco’, CBA ha valorizzato l’impatto rassicurante delle cromie del pack della pasta, realizzando un’operazione di ‘brand stretching’ coerente con l’identità della marca

ne strettamente unidirezionale. In altre parole, precisa Colombo, “un’azienda può raccontare la propria storia, ma se questa non è in linea con le aspettative del cliente, non potrà che essere una criticità dal punto di vista competitivo”. Per comprendere con ancora maggiore precisione il modus operandi di CBA vediamo nel dettaglio alcune case history dell’agenzia. CASE HISTORY I Grani De Cecco, le cose buone nascono dal sapere Continuando a scommettere sulla capacità di selezionare le materie prime migliori e di farne prodotti di qualità, De Cecco entra nel segmento dei prodotti da forno e sostituti del pane. La nuova linea di prodotti ‘I Grani’ si posiziona in fascia premium. Obiettivo stra-

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tegico: diventare in cinque anni il secondo brand del mercato, subito dopo Mulino Bianco, puntando a raggiungere il 5% del fatturato del Gruppo con i nuovi prodotti. Da un punto di vista di branding, entrare in un mercato nuovo con un brand storico come De Cecco, vuol dire trovare il giusto equilibrio tra la riconoscibilità della marca e la coerenza dei codici di comunicazione visiva con quelli della categoria. Per questo motivo, nel costruire l’immagine della nuova linea di prodotti, si è capitalizzato sull’impatto rassicurante delle cromie del pack della pasta, adottando, nella parte sottostante, un linguaggio più contemporaneo e maggiormente coerente con la categoria. In altre parole, un’operazione di ‘brand stretching’ altamente coerente con l’identità della marca. Un Womo nuovo in città Il mercato dei prodotti beauty dedicati agli uomini è cresciuto molto negli ultimi anni, sia per qualità dell’offerta sia per la quantità di player che hanno deciso di puntare su questo segmento. Strutturare in modo efficace il proprio posizionamento e la propria strategia di comunicazione diventa quindi indispensabile per avere successo, soprattutto quando si parte da zero. È con questa attitudine che CBA ha affiancato Percassi nel progetto Womo, nuovo brand per la bellezza e la cura personale, dedicato agli uomini. I bisogni dei maschi per la cura della persona si legano alle loro necessità: tempo libero, sport, viaggi, lavoro. Semplicità e concretezza diventano quindi le parole chiave fondamentali. A partire dal marchio, passando per la definizione del linguaggio di marca, fino ad arrivare al pack dei prodotti e alla comunicazione, il nuovo brand è stato sviluppato con l’obiettivo di riportare l’identità maschile ai suoi valori cardine: pragmatismo ed essenzialità, con il giusto equilibrio tra tradizione e innovazione. nc


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INAREA, IDENTITÀ E FUTURO LAVORARE ‘CON’ E NON ‘PER’ IL CLIENTE, ACCOMPAGNANDOLO IN UN PERCORSO DI SCOPERTA, INDISPENSABILE PER IL RAGGIUNGIMENTO DEGLI OBIETTIVI. ALLA BASE L’IDEA CHE IL DESIGN SIA IL MEZZO PER VALORIZZARE L’INSIEME DEI TRATTI CARATTERISTICI DI UNA QUALSIASI REALTÀ, E CHE L’IDENTITÀ SIA IL FINE PER DETERMINARNE L’UNICITÀ. STIAMO PARLANDO DI INAREA, RETE INDIPENDENTE DI DESIGNER, ARCHITETTI, STRATEGIST E CONSULTANT, SPECIALIZZATA NELLA CREAZIONE DI SISTEMI DI IDENTITÀ.

Tutte le attività di Inarea ruotano intorno all’idea di futuro che un’impresa o un’organizzazione, così come un territorio o un prodotto/servizio, intendono rappresentare ai propri pubblici. “Noi facciamo questo - spiega il ceo Antonio Romano -: mettiamo in scena la vita, l’identità dei nostri clienti o, meglio, i loro programmi di sviluppo. Naturalmente, da quando abbiamo iniziato, nel 1980, a oggi, le trasformazioni sono state tante e nel mondo del brand è cambiato praticamente tutto, ma l’idea, il principio sono rimasti gli stessi. Se da oltre vent’anni siamo tra i leader del settore in Italia, il merito, con buona probabilità, va attribuito proprio a questa coerenza”. Ma non solo, a far la differenza è anche un modus operandi che concepisce ogni progetto come occasione di lavoro ‘con’ e non ‘per’ il cliente, che viene accompagnato in una sorta di percorso di scoperta, indispen-

sabile per il raggiungimento degli obiettivi da perseguire. “Disponiamo di processi aggiunge Romano - che mettono in relazione le nostre diverse competenze con quelle del cliente, e, dalla condivisione dei

contenuti, deriva poi una modalità di progettazione multipiattaforma, che consente di governare il sistema di identità praticamente in ogni aspetto”. Il successo più importante è quello della progressiva integrazione delle competenze all’interno dell’agenzia. La sana contaminazione, derivante dal mettere insieme profili molto diversi tra loro, ha costituito nei fatti la via maestra per operare in controtendenza rispetto alla crisi. Poiché sono cambiate tutte le categorie della comunicazione, è stato scelto un ruolo di regia, strutturato sugli obiettivi del cliente e sui contenuti da assegnare al brand. Su questa logica di networking, Inarea intende consolidare i traguardi raggiunti e aprire a ulteriori integrazioni nel corso del 2014. Contenuti, linguaggio, racconto Alla luce di quanto detto fin qui, quali sono i nuovi paradigmi della brand communication? “Alla fine degli anni ‘80, con l’avvento della marca relazionale - spiega il ceo Inarea -, si creò una sorta di grande divaricazione tra ciò che era ‘branded’ e ciò che restava ‘unbranded’.

Antonio Romano, ceo Inarea

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Inarea ha assistito la Salini Impregilo nel processo di fusione tra le due realtà, contribuendo alla ridefinizione del posizionamento, del nome e del brand della nuova azienda

Crebbe a dismisura il numero di marchi, fino alla cosiddetta ‘bolla’ di internet dei primi anni 2000. Da lì in poi è cambiato il paradigma: poiché tutto era diventato brand, il brand doveva diventare altro. Alla dimensione simbolica ed evocativa si è aggiunta quella ‘narrativa’, che deve essere adattata ai tempi e alle modalità dei nuovi e ‘vecchi’ canali. Giocando con le parole, si può dire che si è passati dalla ‘riconoscibilità’ al ‘riconoscimento’”. Inoltre, ragiona sempre Romano, non c’è più il ‘consumatore’, ma una ‘persona’ che, opportunamente coinvolta, interagisce con il brand o, meglio, con i suoi contenuti. Se se ne appropria e li interpreta, il brand ha vinto la sfida di quest’epoca. Le soluzioni vanno perciò ricercate nella capacità di presidio dei canali che consentano di raggiungere, nel modo migliore, le varie categorie di stakeholder. Sono proprio la Rete e i canali social ad aver permesso il cambiamento straordinario che stiamo vivendo. Quest’universo di integrazione mediatica ha aperto la strada a possibilità di relazioni prima impensabili. I vantaggi sono talmen-

te tanti ed evidenti da non richiedere spiegazioni. “Le criticità - chiarisce il ceo - nascono invece dal consueto fraintendimento tra mezzi e fini: essere sui social media non significa aver risolto i problemi di brand communication. Per contro, non è lo sfruttamento pedissequo del narcisismo dei social a conferire certezze. La matrice è sempre data dalla formula ‘contenuti-linguaggi-racconto’: se si affrontano questi ambiti a tutto campo, le probabilità di successo diventano molto più concrete. Tutto è racconto. Per questo, la capacità narrativa di un brand è ormai la misura del suo successo”.

Da segnalare anche il progetto di rilancio della città di Riccione, attraverso un intervento di branding che ha coinvolto tutte le possibili categorie di stakeholder, ruotando attorno al concetto de ‘il tuo star bene’

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Case history Tra le varie realizzazioni del 2013, ci concentreremo su due iniziative in particolare. Si tratta della Salini Impregilo e della città di Riccione. Nel primo caso, racconta Romano, “abbiamo assistito l’upper management nelle fasi immediatamente precedenti alla fusione tra le due realtà e, attraverso un processo tanto articolato quanto delicato, siamo riusciti a ridefinire il posizionamento, il nome e il brand. Ciò che ha colpito, sia noi sia il cliente, è stato il ritorno immediato in termini di consenso, in primo luogo da parte degli stakeholder interni, poi quello aggregato presso pubblici molto diversi in tutto il mondo, e infine l’accoglienza che la nuova proposizione ha avuto presso i media”. Quanto a Riccione, il tema era quello del rilancio di un nome storico del turismo italiano e mondiale, attraverso un intervento di branding che ha coinvolto tutte le possibili categorie di stakeholder, sul territorio in primis, e poi su quelli professionali, come partner e tour operator. Nella nuova rappresentazione, Riccione è divento il ‘brand ombrello’ in grado di coordinare tutte le possibili espressioni della città e del territorio circostante, attraverso logiche che ricuciono, con leggerezza e simpatia, l’araldica urbana con le singole categorie (alberghi, ristoranti, stabilimenti balneari, esercizi commerciali, attività sportive, culturali, ecc.). “Il processo impiegato - spiega il ceo Inarea - ha richiesto il coinvolgimento preventivo di tutte le categorie interessate al rilancio e, grazie proprio al quadro emerso da questi confronti, siamo arrivati a una nuova idea, incentrata sul concetto de ‘il tuo star bene’. L’idea di benessere, infatti, traguarda quella tradizionale di turismo balneare e dà vita a un universo di esperienze molto più ricco e destagionalizzato”. nc


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CON LUMEN, I BRAND RISCOPRONO IL VALORE DELL’EMOZIONE LE MARCHE VINCENTI SONO QUELLE CHE RIESCONO A ENTRARE NELLA VITA QUOTIDIANA DELLE PERSONE, ASSUMENDO UN VALORE DISTINTIVO. SOLO QUANDO IL CONSUMATORE ATTRIBUISCE A UN BRAND UNA RILEVANZA EMOTIVA, PUÒ ESSERE DISPOSTO A SPENDERE UN PO’ DI PIÙ PER AVERLO. QUESTO L’AMBITO IN CUI OPERA, DA DIECI ANNI, L’AGENZIA LUMEN.

Fondata nel 2003 da Drew Smith e Pietro Rovatti, Lumen è un’agenzia multidisciplinare dal dna spiccatamente internazionale, che si avvale di un team composto da oltre 50 persone provenienti da ogni parte del mondo. Dotata di tre sedi, a Milano, a Londra e a San Paolo, l’agenzia opera in tutti e cinque i continenti, privilegiando i Paesi emergenti e in espansione, dalla Turchia al Brasile, passando per la Russia, la Croazia e il Kazakistan. Il tratto distintivo di Lumen consiste nel valorizzare l’identità autentica dei brand, riempendoli di senso e amplificando la loro natura differenziante sul mercato, rispetto ai diretti competitor. “Il nostro impegno - spiega Drew Smith, founding partner Lumen - consiste nell’aiutare i clienti a capire meglio se stessi, intervenendo sulla relazione tra brand e consumatori, migliorandola”. Le due parole chiave dell’agenzia sono ‘flessibilità’ e ‘sensibilità culturale’. “La prima - precisa Smith - ci aiu-

ta ad adattarci alle esigenze specifiche dei vari mercati internazionali in cui operiamo, adottando sempre un approccio informale; la seconda è la qualità che ci permette di entrare in empatia con i clienti, comprendendo le esigenze di sviluppo del brand, le caratteristiche dei prodotti su cui lavoria-

Drew Smith, founding partner Lumen

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mo, e le dinamiche di funzionamento dei mercati locali in cui dobbiamo implementare la strategia”. È importante capire che il branding non risponde solo a dinamiche meramente di business, ma anche e soprattutto a logiche di creatività a servizio della strategia, “e spesso nei Paesi emergenti c’è un maggior spazio per la sperimentazione creativa - aggiunge il founding partner dell’agenzia -; noi, in qualità di partner, aiutiamo i clienti a far emergere la storia del loro brand, valorizzando con creatività la natura originale della marca”. La logica del ‘tutto a tutti’ non funziona più, il consumatore ricerca qualcosa di coinvolgente, che risulti - o almeno sembri - fatto su misura per lui: ‘personalizzazione’ ed ‘engagement’ sono, infatti, le due leve principali da attivare per creare una relazione positiva con le persone. I brand che riescono a entrare davvero nella vita dei consumatori sono quelli che saranno vincenti domani. Ma, affinché ciò possa accadere, occorre che tali marche assumano una ‘rilevanza emotiva’ agli occhi degli utenti: “Si è disposti a spendere di più - afferma Simith - se a un certo prodotto o brand si associa un benefit


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emotivo”. Quando questa associazione si realizza vuol dire che i consumatori sono passati dalla logica del ‘quanto costa’ a quella del ‘quanto vale’. In questo discorso, un aspetto da non trascurare è quello dell’’innovazione’: i brand non possono rimanere fermi troppo a lungo. Per risultare sempre interessanti e attraenti agli occhi degli individui, devono saper evolvere, anche anticipando i valori che portano alla soddisfazione dei consumatori. L’importante è non tradire mai l’identità di marca, “Lumen supporta i clienti nel trovare la ‘big idea’ capace di guidare il brand, aiutandolo a presentarsi in modo coerente su tutti i touch point, dal pack design al digitale, fino al punto vendita”. Per comprendere ancora meglio l’approccio di Lumen, vediamo ora alcune case history. CASE HISTORY Gavrilović Da oltre 300 anni nella città croata di Pirinja, la famiglia Gavrilović produce prodotti a base di carne di altissima qualità. Passando indenne attraverso varie guerre, la società si è evoluta in una delle aziende più rispettate, note e innovative della Croazia. A Lumen è stato chiesto di aiutarla a costruire una propria identità, che esprimesse i valori tradizionali in modo più forte, più coerente e contemporaneo. Il progetto ha

coinvolto la gestione del marchio e l’implementazione su un vasto assortimento di prodotti. Il risultato è stato un aumento sia della brand awareness (+97%), sia della qualità percepita tra i consumatori. Kozel Kozel, che in ceco significa ‘capra’, è una birra prodotta a Velké Popovice, non lontano da Praga, sin dal 1874. Le famiglie del posto lavorano al birrificio da generazioni. Con un occhio al mercato internazionale, Lumen ha portato un rinnovamento sostanziale dell’identità del brand e del packaging. Dal suo rilancio, Kozel è diventata la birra ceca più venduta fuori dalla Repubblica Ceca e uno dei brand di SabMiller dalla crescita più rilevante e veloce. Altos de Tamaron L’azienda vinicola spagnola Felix Solis ha af-

Le immagini di alcuni progetti firmati da Lumen. Il fil rouge delle varie iniziative è la valorizzazione dell’identità di marca e l’amplificazione della natura differenziante dei brand

fidato a Lumen lo studio della nuova identità visiva per la linea di vini a marchio Altos de Tamaron. L’obiettivo era quello di costruire una nuova immagine di linea, valorizzando la struttura organolettica dei prodotti e la loro armonia con il particolare terroir di produzione, la Ribeira del Duero. Questa terra, caratterizzata da una forte escursione termica tra il giorno e la notte, conferisce alle uve proprietà uniche, che trasformano i vini rossi in esperienze degustative di alto livello. Le bottiglie con la nuova veste grafica sono state accolte con entusiasmo sia dalla forza vendita sia dai consumatori. Eudora Prelude S Appartenente al gruppo brasiliano O’Boticário, il marchio di cosmesi Eudora ha incaricato Lumen dello studio dell’identità di una nuova linea di prodotti chiamata ‘Prélude S’. Il naming, insieme alla scelta di colori caldi ed elementi preziosi, raccontano il momento di preparazione all’intimità con il partner e caratterizzano un’offerta di tre prodotti per il trattamento e la cura del corpo. Ottimi i riscontri dei consumatori, che hanno dichiarato di esser rimasti affascinati dalle confezioni e dal loro linguaggio avnc volgente e sofisticato.

Per il rilancio della birra ceca, Lumen ha puntato sul rinnovamento della brand identity e del packaging

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MAD, PASSIONE E PRAGMATISMO CONIUGARE CREATIVITÀ, QUALITÀ E CAPACITÀ DI ASCOLTO DEL CLIENTE CON LE DOTI DELLA CONCRETEZZA, DELLA REATTIVITÀ E DELLA TEMPESTIVITÀ. SONO QUESTI GLI ELEMENTI CHIAVE DELL’APPROCCIO DELL’AGENZIA DI BRANDING, MAD, RIASSUMIBILE NELL’ESPRESSIONE ‘CREATIVE EXPERIENCE’. ALLA BASE, LA CONSAPEVOLEZZA DI COME PASSIONE, PRAGMATISMO E LA COSTRUZIONE DI UNA BRAND IDENTITY EFFICACE SIANO DETERMINANTI PER IL SUCCESSO DI OGNI AZIENDA.

Fornire un’esperienza creativa a tutto tondo, per il cliente e per il consumatore, garantendo coerenza stilistica, amore per il dettaglio e precisione esecutiva. Stiamo parlando di MAD, agenzia di branding. “Siamo diversi per stile e competenza tecnica spiega l’art director Laura Molteni -. La tradizione e il contemporaneo sono perfettamente allineati nel nostro stile: siamo designer/artigiani e visionari. Questa sinergia permette di lavorare in modo snello per piccole e grandi aziende. Tutto il processo è realizzato internamente, e ciò garantisce discrezione e professionalità. Niente processi elefantiaci, qualità alta dal primo layout, immagine di marca competitiva su qualsiasi scaffale, anche non italiano”. Essere un follower non funziona più. È rassicurante ma non paga in termini di fatturato. Ciò che conta per MAD è fornire al cliente una visione dei trend a lungo termine, e aiutarlo a distinguersi da subito, anche

nel breve termine, non solo nel mercato domestico, non solo sui canali tradizionali. “È per questo - precisa Molteni - che abbiamo istituito una divisione dedicata all’analisi delle tendenze nei settori sia food, sia non food. Il nostro stile è composto da audit, macro e micro trend, e sintesi, dove l’obiettivo è far ruotare il prodotto a scaffale”. Nel corso del 2013, MAD ha rafforzato l’ambi-

Laura Molteni, art director MAD

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to consulenziale, andando ad acquisire nuovi incarichi in settori chiave in cui già opera con forza, come il gluten free. Tra gli obiettivi a breve termine, consapevole dell’importanza di confrontarsi con nuove culture e settori in ascesa, l’agenzia punta ad aprire una sede all’estero. Da segnalare anche alcune novità, come, per esempio, le operazioni promozionali on pack e le digital pr, in


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Alcuni momenti di lavoro in agenzia. Qualità stilistica, amore per il dettaglio e precisione esecutiva gli ingredienti fondamentali del modus operandi di Mad

sviluppo dal 2014 con settori di interesse differenti o a supporto dei clienti già acquisiti. “L’anno prossimo - spiega l’art director - ci porterà a parlare di nuovi mood, non di portfolio acquisito, che interessa solo ai competitor. Pensiamo sia arrivato il momento di cambiare il modus operandi e tornare in modo nuovo nell’alveo della grande tradizione italiana del saper fare e del saper competere”. In comunicazione vince il politesimo Il ‘branded content marketing’ è uno dei metodi più efficaci per coinvolgere attivamente il target. “Il brand è ‘always on’ - aggiunge Molteni -, siamo passati da strumenti di comunicazione monoteisti, al politeismo più sfrenato e affascinante. La marca cerca il proprio interlocutore e gli dà del tu, lo chiama per nome, trasforma il suo logo

nel nome del consumatore (come nel caso di Coca-Cola e Nutella, ndr). La coincidenza è ormai compiuta e riguarda ogni momento di vita e consumo. Il consumatore diventa un evangelizzatore, un testimonial, un supporter in ogni momento della giornata. Il fattore vincente è senza dubbio la cura del contenuto, del racconto, della progressione. Trovo interessante il successo che ha avuto la serie ‘Una mamma imperfetta’, dove lo storytelling è rientrato nel solco della tradizione televisiva. Ciò significa che è possibile sperimentare e contaminare canali considerati ad oggi come ‘vecchi’, come appunto la tv. Il successo straordinario delle mamme blogger in Rete si è trasformato in una serie dove gli investimenti pubblicitari dei più importanti player non sono certo mancati. Dobbiamo tenerne conto”. Ma su quali leve occorre puntare per avere successo? “Credo - risponde Molteni - che la soluzione più interessante sia la ‘sincerità’, la coerenza e la continuità nel messaggio di marca. Non è possibile improvvisarsi in questo ambito. Vince tutto ciò che è straordina-

Uno studio di MAD sulle nuove tendenze del settore dolciario, con un focus sulla Pasqua dei prossimi anni. Supreme, collezione Uova Pasqua 2015

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rio e vero, misurabile e affascinante. Vince il messaggio di ‘pancia’”. In questo contesto, a internet viene riconosciuta la capacità di aprire un confronto partecipativo e un dialogo tra marche e consumatori. La Rete e i social network possono rapidamente portare al massimo splendore o, viceversa, distruggere un’azienda in un battito di tastiera. “Il processo di costruizione di un’identità di marca - spiega l’art director - deve quindi essere altamente ingegnerizzato - come un ponte o un grattacielo -, cioè in grado di resistere a fiammate improvvise, carichi di peso e terremoti. La Rete è materia viva, sentimento, quotidianità, ma anche tattica”. I vantaggi offerti da internet sono sicuramente legati alla possibilità di parlare in presa diretta con il proprio target. Viceversa, “gli svantaggi - ragiona Molteni - sono rappresentati da questo cordone ombelicale che permette, potenzialmente, al consumatore di aggredire la marca con modalità senza precedenti nella storia”. Ed è anche per questo che lo storytelling, anche sul web, svolge un ruolo tanto importante e strategico nella costruzione di un’efficace brand communication: “La nostra cultura - aggiunge l’art director - è impermeata di racconti, dalle religioni alle tradizioni, dalla letteratura alle storie private, passando per le favole di quando siamo bambini. Il filo rosso del racconto fa parte di ciascuno di noi ed è ovvio che sia diventato un elemento predominante anche in Rete”. Il tutto senza trascurare il retail e il brand design. “Abbiamo approcciato recentemente questi elementi su un nuovo packaging - afferma Molteni -, che prevede un accordo con una testata leader del settore cucina: periodicamente le ricette on pack cambiano e gli approfondimenti, ricchi dei suggerimenti dei consumatori, vengono pubblicati online sul sito istituzionale e nei canali social di riferimento”. nc


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