David Brainerd

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LA BIOGRAFIA - CORREDATA DA BELLISSIME INCISIONI DELL’EPOCA DI UN GIOVANE MISSONARIO DEFINITO “L’APOSTOLO TRA GLI INDIANI D’AMERICA” ISBN 978 88 89698 12 9

DAVID BRAINERD

David Brainerd è da considerarsi una delle figure principali dell’opera missionaria fra gli Indiani del Nord America. Egli era animato da un solo pensiero, quello di condurre le anime perdute alla salvezza in Cristo. Tutte le sue energie furono impegnate per questo scopo. Fu il discepolo della disciplina; spesso nei pericoli, gravemente malato e nella solitudine più profonda, non venne mai meno alla sua vocazione di annunciare l’Evangelo in ogni villaggio Pellerossa e tra i coloni della Nuova Inghilterra. Uomo pieno di compassione e potente nella preghiera, esercitò con fedeltà il suo ministerio. John Wesley un giorno consigliò vivamente ad ogni predicatore di leggere la biografia di Brainerd. Tale suggerimento non è fuori luogo neppure oggi per ogni credente e monitore di Scuola Domenicale.

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Se questa biografia non dovesse insegnare altro, sicuramente non mancherà di inculcare in ogni lettore la concezione di quello che significa essere realmente consacrati a Cristo e alla Sua opera. Leggere la storia di un credente simile significa essere ispirati, e conoscerne il cuore è come entrare in un santuario celeste.

Jesse Page

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Apostolo fra gli Indiani del Nord America


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Titolo originale: David Brainerd – Apostle to the North American Indians Jesse Page S. W. Partridge & Co. - Paternoster Row, 8 & 9 London – Great Britain 1903 Edizione Italiana: David Brainerd Apostolo fra gli Indiani del Nord America “Assemblee di Dio in Italia” Ente Morale di Culto D.P.R. 5.12.1959 n.1349 - Legge 22.11.1988 n.517 © Servizio Pubblicazioni ADI-Media Via della Formica, 23 - 00155 Roma Tel. 06/22.51.825 - Fax 06/22.51.432 www.adi-media.it Settembre 2007 - Tutti i Diritti Riservati Traduzione e adattamento: C. L. R., a cura dell’Editore Stampa: Produzioni Arti Grafiche - ROMA Si ringraziano tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo libro

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Prefazione

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li Indiani del Nord America hanno lasciato una traccia indelebile nella storia dei popoli. Spesso, però, l’idea che abbiamo di loro è frutto della descrizione che troviamo nei libri e nei film. Vediamo, infatti, i pellerossa con le donne ed i bambini come il residuo di una popolazione che si ritira da quei felici territori di caccia che i “visi pallidi” non saccheggiano più. È stato detto che “l’Evangelo predicato agli Indiani, il più delle volte, è stato quello delle pistole invece di quello dell’amore”. Purtroppo, questa è una verità e se lo scopo del presente libro fosse quello di parlare dell’aspetto sociale di questo popolo sventurato, dovrei dire che sono sta©

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ti commessi tanti reati nei suoi confronti”. Nonostante tutto, però, è possibile raccontare una storia che, in maniera del tutto particolare, vorrebbe o dovrebbe richiamare l’attenzione del lettore. Questo libro, infatti, tratta di un tempo in cui alcuni ignoti villaggi, costituiti da capanne di legno, occupavano delle piccole baie e terreni disboscati, invasi oggi da grandi città. Vasti territori e foreste inesplorate erano i luoghi in cui vivevano le tribù di questi coraggiosi e superstiziosi selvaggi. In questo ambiente, Brainerd, per sua scelta deliberata e ispirato da un evidente mandato divino, trascorse la sua breve ma significativa vita. Senza dubbio, molti lettori saranno colpiti da quanto quest’uomo abbia in comune con Henry Martyn (missionario in Persia). Entrambi con una salute precaria, che pose fine ai loro giorni alla stessa età, entrambi caratterizzati da una tristezza costituzionale che aggiungeva un tono austero ad un’esperienza di fede, di per sé rigorosa. Finito il periodo di studio presso il collegio universitario, tutti e due risposero all’istante alla chiamata per un lavoro missionario, lasciando amici, casa ed ogni progetto che non fosse concorde con la volontà di Dio, per essere pionieri del Regno del Cielo in terre lontane. Ad ogni modo, Martyn morì in estrema solitudine nella lontana Persia, mentre Brainerd riuscì a fare ritorno a casa, per lasciare questo mondo, circondato da amici. Il carattere di Brainerd non era complesso come quello di Martyn. Nessuna delusione d’amore aveva rovinato la musica della sua vita e non era tentato neppure dalla corona della cultura, perché l’unico fatto degno di essere notato riguardo alla sua vita universitaria è la sua espulsione dalla prestigiosa università di Yale. ©

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Nonostante queste ed altre differenze, i due erano dello stesso stampo e si stagliano luminosi tra le figure che costellano la storia delle missioni nel mondo. Potrebbero considerarsi fratelli sia per i sentimenti sia per le azioni che li hanno caratterizzati, sebbene separati da un secolo di differenza. Entrambi hanno lasciato, inoltre, un tesoro letterario grazie ai loro scritti epistolari e ai diari compilati con estrema cura. Quelli di Henry Martyn sono considerati, giustamente, dei classici e gli scritti di David Brainerd, che ispirarono Martyn con un entusiasmo missionario del tutto particolare, sono egualmente eccellenti. Queste testimonianze rivelano, meglio di ogni altra cosa, il cuore dello scrittore animato da uno strano altalenarsi di sentimenti spirituali, svelano, inoltre, l’attenta introspezione cui si sottoponeva spesso, l’insieme del travaglio spirituale e della fede ispiratrice che lo sosteneva. L’anima sua che, priva di ali, giaceva nascondendosi tra l’erba nell’umiliazione, subito dopo, spiccava il volo in una dolce melodia nel cielo azzurro e sgombro di nubi. Non è necessario scusarsi con il lettore per le frequenti citazioni tratte dal diario di Brainerd e riportate fedelmente in queste pagine. Quando John Wesley, che visse in un periodo più prossimo a Brainerd rispetto a noi e che conobbe personalmente gli Indiani, desideroso di incoraggiare lo zelo di quanti lo ascoltavano, fece questa domanda retorica durante una conferenza biblica: “Cosa si può fare affinché l’opera di Dio sia risvegliata dove è decaduta?”, immediatamente fece seguire la risposta, “che ogni predicatore legga attentamente la vita di David Brainerd”. Tale consiglio non è fuori luogo neppure oggi e sarebbe buono che ogni credente e tutti i monitori della Scuola Domenicale tenessero bene ©

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davanti a loro gli stessi pensieri che ispirarono questo fedele servitore di Dio. Se si dovessero elencare le caratteristiche che fecero di David Brainerd un esempio nel servizio cristiano, queste potrebbero essere riassunte con le seguenti parole. Prima di ogni altra cosa, egli era un uomo con un solo pensiero nella mente, quello di condurre le anime perdute alla salvezza eterna. Tutte le sue energie furono impegnate per questo scopo. Visse per il Signore e, in ogni pagina del suo diario, troviamo lo stesso desiderio ardente verso gli Indiani che voleva introdurre nel Regno della Grazia. Per non permettere che alcuna cosa ostacolasse questo suo impegno, era sempre attento, pronto ad abbandonare ogni cosa che potesse affascinarlo e distrarlo dal suo nobile intento. Credeva nell’esistenza dell’autore del male e di un luogo di perdizione per tutti quelli che lo avrebbero seguito. Non c’era leggerezza circa le sue vedute dottrinali, l’uditorio era per lui un numero di anime immortali, più o meno sotto l’influenza dell’avversario, tutte bisognose dell’unico rimedio, quello che si ha mediante il sangue di Gesù Cristo, il Signore. Fu il discepolo della disciplina, non soltanto perché fu spesso in pericolo, soffrendo duramente tanto da scoraggiare anche i più forti, ma il suo cuore era stato nettato dall’egoismo e crocifisso nei suoi affetti e nelle sue bramosie. Le proprie esperienze spirituali, giudicate dalle sue stesse parole, devono essere state intense e purificatrici come il fuoco. Fu potente nella preghiera, come devono essere tutti gli uomini e le donne di Dio. Era solito passare lunghe notti nelle foreste buie, invocando il Signore, intercedendo per la sal©

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vezza dei peccatori. Sembra che la sua intera vita sia stata divisa tra la preghiera e la predicazione. Dopo qualche scoraggiamento, si rifugiava spesso nella foresta per incontrarsi con il suo Signore, rinnovare la sua fede, e, con un cuore pieno di gratitudine, elevare a Dio la lode gridando: “Non a noi, oh Signore, ma al Tuo Nome sia la gloria”. Egli fu pure un uomo pieno di compassione. Esercitando con fedeltà il suo ministerio, aveva sempre una tenera sollecitudine per i suoi “poveri Indiani”, consolandoli, quando erano in lacrime, prendendo coraggiosamente le loro difese quando vedeva che l’uomo bianco li opprimeva e li derubava. I loro figli lo amavano ed avevano fiducia in lui, correndo da lui per ascoltare le sue parole. Egli fu un uomo che visse molto vicino a Cristo. Sebbene si lamentasse sempre della freddezza del suo cuore e del languore del suo amore, non si può fare a meno di dire che questo uomo conobbe il suo Signore in modo riverentemente intimo, e camminò con Lui, sino al momento in cui la mano divina aprì le porte eterne per farvi entrare questo Suo servo. David Brainerd ebbe un’intima comunione con Dio e, tali manifestazioni della presenza del Maestro, che il suo cammino nella solitudine delle foreste e dei deserti gli riservavano, diventavano per lui preziose occasioni di refrigerio spirituale. Se la biografia di Brainerd non dovesse insegnarci altro, sicuramente non mancherà di inculcare in ognuno di noi una profonda concezione di quello che un uomo consacrato a Dio deve essere e deve fare. Leggere la storia di una persona simile significa essere ispirati, e conoscerne il cuore è come entrare in un santuario celeste. Jesse Page ©

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David Brainerd (1718-1747)


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Capitolo 1

Il suo precursore nella missione

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on le sue piume variopinte, l’Indiano del Nord America si presenta come una figura prominente e ben conosciuta nell’immaginario collettivo dell’una e dell’altra parte dell’Atlantico. Ha sempre avuto una posizione di rispettabilità per il modo di vivere libero nella foresta, per il suo coraggio nei combattimenti e per la sua amabilità nei confronti della moglie e dei figli che facevano le capriole davanti alle tende. È conosciuto come abile cacciatore ma anche come un uomo che, nel silenzio e nella solitudine della prateria, si inginocchiava dinanzi alla sua divinità. ©

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Tale è l’indiano di cui leggeremo nel presente libro. La sua figura è stata forse disegnata in modo un po’ fantastico, poiché la storia tratteggia anche la sua crudele natura che lo portava a torturare il nemico, ad essere scaltro e traditore sul sentiero di guerra. Tuttavia, in molti altri aspetti, il pellerossa è stato un “selvaggio nobile”, per tanti versi affascinante, con una natura ricca di potenzialità. Triste a dirsi, l’uomo bianco non ha contribuito a migliorarlo, fatta eccezione, quando “uno fra tanti” ha portato loro il messaggio di Cristo. Dobbiamo ammettere, però, che le guerre devastanti, le bevande alcoliche e vessazioni di ogni genere hanno ridotto questo popolo di coraggiosi in un misero gruppo di esuli nella loro terra. ©

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Il Suo Precursore Nella Missione

La storia che vi raccontiamo in queste pagine è quella degli Indiani Pellerossa e di un uomo che consacrò interamente la sua vita per annunciare l’Evangelo a questo popolo e per condurlo alla salvezza in Cristo. Per comprendere meglio ciò che spinse Brainerd a compiere questa nobile missione, daremo uno sguardo veloce alle esperienze dei primi missionari. Anche se gli ammiragli della Regina d’Inghilterra, durante le loro visite in queste terre d’America da poco scoperte, hanno trasmesso qualche insegnamento cristiano, l’opera missionaria cominciò quando l’intolleranza religiosa spinse i “Padri Pellegrini” a lasciare la loro terra per cercar casa in America, dove avrebbero potuto adorare Dio liberamente. Come si vedrà in seguito, fu con il Mayflower, o con altre navi dei profughi puritani, che gli antenati di David Brainerd salparono nella nuova patria al di là dell’oceano. John Eliot, giovane insegnante in un villaggio dell’Essex (Inghilterra), fu il primo missionario. Nel 1646, infatti, egli si guadagnò la fiducia degli Indiani fra i quali si era stabilito, ne imparò la lingua e ne perfezionò la grammatica risultando così di valido aiuto ai suoi successori. Si impegnò per la loro causa e, anche dall’Inghilterra, ricevette molti aiuti economici, in maniera particolare dalla Casa dei Comuni e dalle Università di Oxford e Cambridge che mostrarono un interesse particolare per la sua opera. Grazie a queste donazioni, comprò terreni, costruì città, fondò una specie di confederazione come quella che aveva nel suo paese, incoraggiando gli Indiani che ©

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si erano convertiti a Cristo a professare pubblicamente la loro fede e rendere testimonianza della Nuova Via. Eliot, inoltre, scrisse un libro molto interessante dal titolo “Il sorgere del sole dell’Evangelo per gli Indiani nella Nuova Inghilterra”. Come si legge in tale libro: “Dopo aver predicato loro l’Evangelo ci dissero che erano tormentati e non riuscivano a trovare nulla che desse loro conforto. Uno di loro ci parlò della condizione terribile di ogni anima che muore nel peccato e che sarà allontanata dalla presenza di Dio. Terminammo il nostro incontro con una preghiera ed il loro capo volle sapere quando saremmo ritornati. Fissammo insieme una data e regalammo ai loro piccoli delle mele e tutto ciò che avevamo tra le mani. Ci chiesero dell’altro terreno per poter costruire una città con noi e promettemmo loro che ci saremmo fatti portavoce alla Corte Generale affinché potessero ottenere tutto il territorio collinare sul quale avevano piantato le loro tende”. Trascorso un po’ di tempo, giorno 11 novembre 1646, John Eliot ed i suoi compagni si recarono nuovamente presso gli Indiani e, dopo aver parlato del Signore, diedero loro l’opportunità di fare delle domande. “Un uomo anziano ci chiese se non fosse troppo tardi per un uomo della sua età, ormai vicino alla morte, potersi pentire o cercare Dio. Questa domanda ci toccò profondamente e, aprendo la Bibbia, gli facemmo sapere ciò che Dio disse a proposito di quelli chiamati per lavorare all’undicesima ora. Gli dicemmo anche che se un uomo avesse avuto un figlio disubbidiente ©

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Il Suo Precursore Nella Missione

per tanti anni e che se quest’ultimo si fosse pentito e tornato in lacrime al padre ne avesse implorato il perdono, il padre lo avrebbe perdonato. Così anche il Signore, che è un Padre misericordioso, perdona i figli che, pentiti, invocano il Suo perdono. Abbiamo trascorso tutto il pomeriggio parlando delle cose grandi del Signore e, visto che pensavano che il Signore non capisse la loro lingua, decidemmo di innalzare a Dio una preghiera nella loro lingua. Pregammo tutti insieme per circa un quarto d’ora. Molti di loro alzavano lo sguardo e le mani verso il cielo perché capivano le nostre preghiere. Osservai uno di loro che era con il capo chino e che piangeva coprendosi gli occhi con un panno. Inizialmente, pensai che avesse qualche malattia agli occhi ma, quando alzò il capo, capii che i suoi occhi erano rossi dal pianto e che non voleva essere visto in quello stato. Teneva il capo rivolto verso il cielo ma la presenza del Signore era così tangibile in lui che non riusciva a trattenere le lacrime. Continuò così finché non finimmo di pregare ma, poco dopo, si allontanò verso la tenda dove cadde in ginocchio ricominciando a piangere. Uno di noi gli si avvicinò per incoraggiarlo ma, ascoltando quelle parole, continuò a piangere a dirotto. Chi era andato a parlargli venne da me per avvisarmi delle sue lacrime così prendemmo la decisione di andare a parlargli tutti e due insieme. Nell’ascoltare le nostre parole, quell’uomo ricominciò ancora una volta a piangere, segno tangibile dell’opera che stava compiendosi dentro di lui. Fummo ©

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molto commossi nel vederlo piangere, ma ci separammo da lui grandemente rallegrati per tale semina”. Dopo un po’ di tempo, Eliot riuscì a convincere gli Indiani ad abbandonare il loro stile di vita da nomadi e di stabilirsi definitivamente in una città che costruirono insieme sotto la sua direzione. A quella città fu dato il nome di “Noonatomen” che nella loro lingua significa “Allegrezza”. Emanò delle leggi diverse da quelle dell’Inghilterra Puritana e tradusse delle opere di Baxter e di altri teologi in maniera che potessero avere qualcosa da leggere. Nel 1651, fondò la città di Nantick, sul fiume Charles e, in un giorno di digiuno solenne, radunò tutti gli Indiani esortandoli a servire il Signore. Come oggi, anche allora, la civilizzazione ha avuto i suoi effetti negativi. Molti caddero nel vizio delle bevande alcoliche e nemmeno le frustate e le multe elevate riuscirono a distogliere quanti ne facevano un uso eccessivo. Eliot stesso definì tali effetti negativi come dei “mali scandalosi mandati da Satana per contrastare l’opera di Cristo, per infangarla e per impedire all’Evangelo di avere successo”. In questo periodo, Eliot era il pastore di Roxbury e desiderava ardentemente che sorgesse un ministerio in mezzo al popolo degli Indiani. Mandò a scuola due giovani che si erano convertiti, i quali, però, non vissero mai in modo tale da poter essere usati nell’opera di Dio. Il missionario puritano, quindi, lavorò da solo e la sua opera può essere riassunta con le parole che egli stesso scrisse in una lettera: “Ho lavorato di giorno e di ©

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Il Suo Precursore Nella Missione

notte, mi sono spostato da un luogo all’altro anche tutto bagnato. Di sera, mi toglievo gli stivali, strizzavo le calze e ripartivo. Le acque del fiume erano talmente alte che ci bagnavamo persino quando le attraversavamo a cavallo. Il Signore, però, è sempre venuto in nostro soccorso. Ho fatto mie le parole di Paolo a Timoteo: Sopporta anche tu le sofferenze, come un buon soldato di Cristo”. Su coloro che erano ormai definiti gli “Indiani che pregano” si abbatterono gravi problemi. Uno dei capi riuscì ad influenzare negativamente le varie tribù contro gli usurpatori Inglesi e ci fu una tremenda carneficina sui bianchi e le loro famiglie. Le fattorie furono interamente bruciate e gli abitanti, bambini compresi, furono massacrati ferocemente. Il governo inglese, allora, mandò la rappresaglia per vendicare quelle atrocità ma, nonostante i credenti indiani si fossero mantenuti distanti dai loro compagni fanatici, furono considerati ugualmente loro complici e ne pagarono le conseguenze. Per Eliot, ormai anziano, tutto questo fu un colpo terribile. Le città che lui stesso aveva fondate con tanto zelo le vide distrutte dalle mani dei bianchi i quali indussero gli Indiani convertiti a nascondersi distruggendo l’opera costruita in tanti anni. Quest’uomo fu un grande pioniere dell’opera cristiana tra gli Indiani e, pur avendo terminato la sua vita missionaria in circostanze tristi, John Eliot sarà sempre ricordato come colui che, con tante lacrime e tanta fatica, ha portato il messaggio della croce preparando, come Giovanni il battista, la strada per la propagazione dell’Evangelo tra gli Indiani del Nuovo Mondo. ©

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Anche mentre questo grande uomo di Dio giaceva moribondo, i suoi pensieri erano rivolti agli Indiani e a quell’opera che tanto amava. Queste sono state le sue ultime parole: “C’è una nuvola nera sull’opera dell’Evangelo. Possa il Signore far risvegliare e prosperare tale opera e concederle di vivere anche dopo la mia morte. Ho desiderato tanto vedere quest’impresa compiersi, ma le mie opere sono state poche, misere e povere. Misero me. Benvenuta gioia! Vieni Signore, vieni!”. Il Signore non dimenticò la preghiera del Suo servo e, dopo venti anni dalla sua morte, nacque un bambino che avrebbe ripreso quella grande e meravigliosa opera iniziata tra gli Indiani. Prima di parlare, però, di questo coraggioso successore, ci soffermeremo ancora sul messaggio annunciato da John Eliot e sui frutti raccolti dopo molto tempo. Nelle pagine di quell’antico libro da lui stesso scritto, leggiamo le testimonianze e le confessioni di quegli Indiani Nordamericani che avevano trovato in Cristo il loro Salvatore. Eliot fa riferimento a due piccoli bambini Indiani di tre anni, i cui padri avevano già accettato Gesù nel loro cuore. Così scrive Eliot: “Nella Primavera del 1652, il Signore permise che parecchi nostri Indiani convertiti fossero colpiti da una grave malattia. Molti di loro morirono tra atroci dolori intestinali. Tra questi, si trovavano due bambini. Il primo di questi bambini, tormentato dai forti dolori, gridava: Dio e Gesù Cristo, aiutatemi. Quando gli davano qualcosa da mangiare, lo prendeva ©

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Il Suo Precursore Nella Missione

voracemente (come succede quando sta per giungere la morte), ma prima di mangiarlo gridava: Dio e Gesù Cristo, beneditelo. Giacque in questo modo, invocando il Signore, finché morì. Anche la madre di questo bambino, in quel periodo, morì con la stessa malattia. Rimasi meravigliato di come questo genitore avesse insegnato al proprio figlio ad invocare Dio. Il nome del padre è Nishohkon e fu proprio lui a raccontarmi questa testimonianza. Tre o quattro giorni dopo, un altro bambino, nella stessa casa, colpito dalla stessa malattia, avvertendo (senza dubbio grazie all’intervento di Dio) di essere vicino alla morte, chiamò il padre e gli disse più volte: Papà, sto andando da Gesù. La mamma (come sono solite fare tutte le mamme) aveva costruito per il suo piccolo un cestino, un cucchiaino ed un piccolo vassoio, cose che il bambino aveva desiderato. La madre li mise davanti a lui per distrarlo ma il bimbo li spostò con le sue mani dicendo: lascio tutte queste cose dietro a me perché sto andando da Dio. E con queste belle parole, quella notte stessa, il piccolo morì. Il padre di questo bambino si chiama Robert Speen e, quando mi raccontò questa testimonianza, mi disse che quando morì il figlio non sapeva se provare dolore per tale perdita o se provare gioia nel constatare che il figlio morì invocando Dio”. Come dice Eliot, “questi esempi servono a dimostrare come gli Indiani insegnino ai loro figli la conoscenza ed il timore di Dio e di come lo Spirito Santo ©

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collabori in questa istruzione insegnando agli uomini più di quanto gli uomini stessi possano fare”. Questi indigeni valorosi, portati dalle tenebre e dalla superstizione alla conoscenza dell’Unico e Vero Dio, come Pietro, sono pronti a raccontare ai loro fratelli di come il Signore li ha liberati dalla prigione. La loro semplicità e la loro fede sono molto apprezzate dall’anziano missionario, il quale, con la sua Bibbia in mano, è attorniato dagli Indiani che con profonda attenzione lo ascoltano. Anche i bambini gli si avvicinano e sentono parlare del Nome di Gesù. La scena svanisce rapidamente, il sipario di molti anni si chiude. Per un momento, tutto è stato così vivido, sia il gruppo di quelli che ascoltavano sia i due bambini che mettevano da parte i loro giocattoli ed invocavano il nome di Dio prima di morire. Non era così reale che toccava il cuore? Non permetteremo mai che questa scena si dissolva e sia dimenticata, anzi la considereremo come uno sfondo dove tracceremo la nostra storia, mentre volgeremo lo sguardo ad un’altra figura che si sta avvicinando: il giovane David Brainerd, l’apostolo per gli Indiani.

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David Brainerd è da considerarsi una delle figure principali dell’opera missionaria fra gli Indiani del Nord America. Egli era animato da un solo pensiero, quello di condurre le anime perdute alla salvezza in Cristo. Tutte le sue energie furono impegnate per questo scopo. Fu il discepolo della disciplina; spesso nei pericoli, gravemente malato e nella solitudine più profonda, non venne mai meno alla sua vocazione di annunciare l’Evangelo in ogni villaggio Pellerossa e tra i coloni della Nuova Inghilterra. Uomo pieno di compassione e potente nella preghiera, esercitò con fedeltà il suo ministerio. John Wesley un giorno consigliò vivamente ad ogni predicatore di leggere la biografia di Brainerd. Tale suggerimento non è fuori luogo neppure oggi per ogni credente e monitore di Scuola Domenicale.

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