Controcultura

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€ 16,00

ISBN 978-88-98846-73-3

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846733

DAVID PLATT

CONTRO

CONTRO CULTURA

DAVID PLATT è un pastore, missionario, scrittore e oratore evangelico. Dopo aver conseguito una laurea in giornalismo alla University of Georgia, consegue un dottorato in teologia al Southern Baptist Theological Seminary facendo, nel contempo, viaggi missionari in Indonesia, Sudan, Cina e India. A ventotto anni diventa pastore della chiesa Brook Hills (Birmingham, Alabama) di oltre 4300 membri e a trentuno pubblica “Radical”, il suo primo libro, che diventa un best-seller. Nel 2014 è eletto presidente di una delle organizzazioni missionarie più grandi del mondo, la International Mission Board. La sua mentalità missionaria caratterizza il suo costante richiamo a una vita cristiana coerente e senza compromessi, con particolare attenzione e cura alle fasce più deboli della società.

DAVID PLATT

Un appello appassionato alla

CULTURA

Abbiamo bisogno di stimoli energici, come quelli che possiamo ritrovare in queste pagine, per tornare a essere, con decisione, degli “esecutori della Parola”. La Parola di Dio, infatti, muove la volontà umana e spinge a una condotta operosa, alla luce della consapevolezza di un preciso dovere. La nostra fede diventa credibile nelle nostre realizzazioni. La volontà di Dio deve essere praticata e non soltanto predicata, diversamente diventa inganno (Giacomo 1:22) e auto-inganno, pura illusione. Una fede che non ha azioni da mostrare non ha alcuna forza giustificante, è nulla, inutile, poiché, di fatto, non è reale. L’unica religiosità, secondo le Scritture, consiste in un cristianesimo vissuto. Ora questo libro ci parla della grande inversione rispetto ai valori che contano per il mondo, e della loro inconciliabilità con la fede cristiana. Siamo quindi chiamati a una vita autenticamente alternativa, contro-tendenza, e mossa da una fede viva. Dobbiamo riaffermare la nostra distanza rispetto alle logiche del mondo e ascoltare queste parole animate dal medesimo Spirito che affiora nella voce dei profeti dell’Antico Testamento e nel sermone sul monte.

della fede in un mondo di



ADI Media


Originally published in the U.S.A. under the title: Counter Culture, by David Platt Copyright © 2014 by David Platt Italian edition © 2016 by ADI-Media Srl with permission of Tyndale House Publishers, Inc. All Rights Reserved Edizione italiana: Controcultura Un appello appassionato alla controcultura della fede © ADI-Media Via della Formica, 23 - 00155 Roma Tel. 06 2251825 - 2284970 Fax 06 2251432 Email: adi@adi-media.it Internet: www.adi-media.it Servizio Pubblicazioni delle Chiese Cristiane Evangeliche “Assemblee di Dio in Italia” Febbraio 2016 - Tutti i Diritti Riservati Traduzione: A cura dell’Editore – V.M. Tutte le citazioni bibliche, se non indicato diversamente, sono tratte dalla Bibbia Versione Nuova Riveduta - Ed. 2006 Società Biblica di Ginevra - Svizzera Stampa: Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI) ISBN 978-88-98846-73-3


A quanti cercano e operano per la giustizia e la misericordia su questa terra amando e proclamando il Giudice e Salvatore del mondo


L’EVANGELO È la buona notizia che narra come il Creatore dell’universo, giusto e pieno di grazia, guardando il genere umano nel suo irrimediabile peccato, mandò Suo Figlio, Gesù Cristo, Dio incarnato, affinché portasse i peccati del mondo nel Suo corpo, sul legno della croce, e subisse la condanna al posto nostro. Tutto ciò per mostrare la potenza divina mediante la risurrezione, in modo che quanti si convertono dal loro peccato e confidano in Gesù come Salvatore e Signore siano riconciliati con Dio.


INDICE

PREFAZIONE DELL’EDITORE

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INTRODUZIONE Una cultura contrastante

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01. LA GRANDE OFFESA Il Vangelo e la cultura

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02. IL LUOGO IN CUI IL RICCO E IL POVERO SI SCONTRANO Il Vangelo e la povertà

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03. OLOCAUSTO MODERNO Il Vangelo e l’aborto

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04. LE FAMIGLIE ABBANDONATE Il Vangelo, gli orfani e le vedove

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05. UNA GUERRA CONTRO LE DONNE Il Vangelo e la schiavitù sessuale

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06. UN MISTERO PROFONDO Il Vangelo e il matrimonio

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07. COMPRATI A CARO PREZZO Il Vangelo e la morale sessuale

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08. UNITÀ NELLA DIVERSITÀ Il Vangelo e le etnie

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09. CRISTO NELLE PIAZZE Il Vangelo e la libertà religiosa

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10. LA NECESSITÀ PIÙ URGENTE Quanti non hanno ancora udito l’Evangelo

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PREFAZIONE DELL’EDITORE

Di libri di questo genere si sente decisamente la mancanza, perché traspone la buona notizia dell’Evangelo in termini molto pratici, oltre che eminentemente e primariamente spirituali. Salutiamo, perciò, con piacere un testo in grado di ricomporre il divorzio che spesso si consuma nella vita dei credenti (e delle chiese), tra teologia e dottrina da un lato e prassi cristiana dall’altro. Come diceva uno scrittore, la verità meno uno, tra tutte le menzogne è la peggiore. Figuriamoci laddove nel cristianesimo è smarrita, e quindi omessa, la dimensione della denuncia, dell’impegno e del servizio. Viviamo tempi in cui sappiamo svolgere puntigliose analisi sociologiche ma abbiamo perso il senso della militanza. Ecco quindi il più insopportabile degli alibi: giacché non possiamo cambiare il mondo, considerati i nostri limiti, decidiamo di non fare nulla, di rimanere semplicemente inerti. Nel Nuovo Testamento, buona parte delle epistole ha una componente parenetica, vale a dire esortativa, e ci imbattiamo quindi in una ricorrente paraclesi, un’istanza sollecitativa, un fermo ri-chiamo, un appello costante a diventare ciò che dovremmo essere, anche dal punto di vista etico. Di contro, as9


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sistiamo spesso allo spettacolo di un cristianesimo debosciato, una vita di fede infrollita, una testimonianza un po’ fracida. L’autore ci prende per mano e ci accompagna in un lungo viaggio negli angoli remoti della terra. Ci mostra una realtà di fronte alla quale spesso voltiamo la faccia. Poiché queste immagini disturbanti stridono con la nostra aspettativa di un’esistenza comoda, di un cristianesimo che apporta sempre qualcosa alla nostra vita, e soprattutto non chiede niente in cambio e quindi non costa nulla. È una sorta di “dumping spirituale”, una salvezza sottocosto, una vita eterna assolutamente a buon mercato. Ora l’autore ci pone davanti a un trittico che forse è in grado di strapparci dalla nostra fede salottiera. Il primo dei prerequisiti è la compassione. Abbiamo bisogno di un cuore che arde e che sappia ancora commuoversi di fronte alla povertà, alla schiavitù sessuale, all’ignoranza spirituale in cui versano miliardi di persone. Abbiamo bisogno di occhi che sappiano ancora piangere di fronte al dramma dell’aborto, pensando alla penosa condizione degli orfani, delle vedove, e degli stranieri. La seconda condizione è la determinazione, vale a dire il fermo proposito, la decisa disposizione interiore a prestare aiuto e a dare il proprio contributo, sporcandosi le mani e non soltanto allargando le braccia. Il terzo elemento essenziale è rappresentato dal coraggio e quindi dalla decisione di prendere posizione, passare all’azione, stabilire che è giunto il tempo di intervenire mettendo in conto il prezzo da pagare senza ulteriori indugi. Dobbiamo ri-solverci (sciogliere cioè ogni riserva) e mostrarci finalmente risoluti. L’epistola di Giacomo ci ricorda che una fede svincolata dalle opere rappresenta una clamorosa patacca, un falso storico che lo Spirito Santo non manca di smascherare puntualmente. Una fede che si fonda sulla Bibbia, ma non porta altrove, rende questa medesima parola una pretesa velleitaria. Spesso maneggiamo le parole (delle Scritture) e perdiamo di vista la 10


prefazione dell'editore

Parola, vale a dire il messaggio centrale dell’Evangelo che viene spiegato nella persona di Cristo, alla luce del Suo straordinario esempio. Questo libro, ma di fatto tutte le Scritture, insistono su un cristianesimo dell’azione e fattivo, si battono contro un cristianesimo teoricizzante e letterario. La fede non può essere soltanto affermata, abbiamo bisogno di una sintesi vitale tra fede e opere. Se la nostra fede si è illanguidita in senso puramente formalistico-intellettualistico, senza portare frutti concreti, questo libro ci richiama vigorosamente all’attuazione della Parola “piantata in voi”. Abbiamo bisogno di stimoli energici, come quelli che possiamo ritrovare in queste pagine, per tornare a essere, con decisione, degli “esecutori della Parola”. La Parola di Dio, infatti, muove la volontà umana e spinge a una condotta operosa, alla luce della consapevolezza di un preciso dovere. La nostra fede diventa credibile nelle nostre realizzazioni. La volontà di Dio deve essere praticata e non soltanto predicata, diversamente diventa inganno (Giacomo 1:22) e auto-inganno, pura illusione. Una fede che non ha azioni (dell’amore per il prossimo) da mostrare, opere su cui contare, non ha alcuna forza giustificante, è nulla, inutile, poiché, di fatto, non è reale. L’unica religiosità, secondo le Scritture, consiste in un cristianesimo vissuto. Ora, questo libro ci parla della grande inversione rispetto ai valori che contano per il mondo, e della loro inconciliabilità con la fede cristiana. Siamo quindi chiamati a una vita autenticamente alternativa, contro-tendenza, e mossa da una fede viva. Dobbiamo riaffermare la nostra distanza rispetto alle logiche del mondo e ascoltare queste parole animate dal medesimo Spirito che affiora nella voce dei profeti dell’Antico Testamento e nel sermone sul monte. E. C. 11



INTRODUZIONE Una cultura contrastante

Immaginate di stare in piedi sulla sommità della terra e di scrutare dall’alto la vastità della miseria umana. Seguitemi un istante fino al cuore delle montagne himalayane, dove non molto tempo fa ho incontrato uomini e donne che lottano per la sopravvivenza. La metà dei bambini, in questi villaggi, muore prima del loro ottavo compleanno. In realtà molti non ce la fanno ben prima di quella scadenza. Incontrate con me Radha, una mamma che avrebbe quattordici bambini se dodici di loro non fossero morti prima di raggiungere l’età adulta. Vi vorrei presentare Kunsing, un bambino disabile che ha trascorso i primi dodici anni della sua vita incatenato in un fienile, poiché la sua famiglia pensava che fosse maledetto. Farete la conoscenza di Chimie, un neonato i cui fratelli morirono quando aveva appena due mesi, la cui mamma si tolse la vita e il cui padre, in preda alla disperazione, lo lasciava a qualsiasi donna del villaggio che potesse fornirgli un po’ di cibo. 13


CONTROCULTURA

Altrettanto sconvolgente è “incontrare” quelli che non ci sono. Alcuni dei villaggi in queste montagne sono praticamente privi di giovani ragazze di età compresa tra i cinque e i quindici anni. I loro genitori si sono lasciati sedurre dalla promessa di una vita migliore per le loro figlie, affidandole a uomini che si sono rivelati dei trafficanti di esseri umani. La maggior parte di queste ragazze hanno abbandonato le loro case dopo il compimento del loro ottavo anno di vita, e almeno fino al loro sedicesimo compleanno sono state costrette a fare sesso con migliaia di clienti. Non rivedranno mai più le loro famiglie. Quando incontriamo persone, ascoltiamo storie, e ci imbattiamo in varie forme d’ingiustizia in ogni angolo del pianeta, ci sembra doveroso rispondere con compassione, convinzione e coraggio. Siamo colti da compassione quando ci preoccupiamo personalmente per bambini, genitori e famiglie le cui vite sono segnate dal dolore e da ogni sorta di sofferenze. Siamo persuasi da convinzione, poiché sappiamo istintivamente che storie come queste non dovrebbero esistere. Non è giusto che la metà dei bambini di questi villaggi himalayani muoia prima del loro ottavo compleanno. Non è giusto che bambini nati con qualche disabilità siano incatenati in una stalla per il resto dei loro giorni. È inaccettabile che degli sfruttatori senza scrupoli ingannino i genitori affinché cedano le loro figlie per fare di loro delle schiave sessuali. In ultima analisi, questa compassione e una simile convinzione alimentano il coraggio, e ci spingono a fare qualcosa, qualsiasi cosa, per il bene di Radha, Kunsing, Chimie, per quelle ragazze, per i loro genitori, per i villaggi in cui vivono, e per una schiera infinita di bambini, donne e uomini esattamente come loro, in ogni parte del mondo. Alla luce di questi bisogni planetari, sono molto incoraggiato quando nella Chiesa di oggi vedo la compassione, la convinzione e il coraggio. Mentre ascolto il modo in cui i cristia14


introduzione

ni contemporanei affrontano questi temi (soprattutto, ma non esclusivamente, gli evangelici più giovani), percepisco una forte opposizione all’ingiustizia di cui sono vittime i poveri, gli orfani, e gli schiavi. Noto maggiore attenzione nei riguardi delle problematiche sociali: una pletora di libri, pubblicazioni divulgative, un crescendo di conferenze, e movimenti che ruotano attorno alla lotta contro la fame, vòlti ad alleviare la povertà, e a mettere fine al traffico sessuale. Alla luce di tutto ciò, percepisco un crescente disagio di fronte all’indifferenza di una parte consistente della chiesa. O più semplicemente, non ci accontentiamo di una chiesa che chiuda un occhio e si mostri sorda al cospetto dell’ingiustizia sociale che dilaga nel mondo. Vogliamo che la nostra vita, e quindi la chiesa, possano avere un ruolo nel campo della giustizia sociale. Eppure, mentre sono profondamente incoraggiato dallo zelo manifestato da molti cristiani riguardo ad alcune questioni sociali scottanti, sono al tempo stesso preoccupato per la mancanza di interesse tra i medesimi credenti (soprattutto, anche se non esclusivamente, tra gli evangelici più giovani) a fronte di altre tematiche non meno urgenti. Sulle questioni più popolari come la povertà e la schiavitù, i cristiani ricevono il plauso per la loro azione sociale, sempre pronti a prendere posizione e a parlare di questi temi con grande foga. Ma su temi controversi come l’omosessualità e l’aborto, i cristiani rischiano di essere duramente criticati, e quindi brillano per il loro scarso coinvolgimento, accontentandosi di starsene in un angolo, seduti e zitti. È come se avessimo operato una scelta fondamentale, decidendo che alcune questioni sociali sono di nostra competenza mentre altre, in buona coscienza, possiamo lasciare tranquillamente che scivolino in fondo alla nostra agenda. La nostra decisione di prendere o lasciare ruota normalmente attorno a ciò che, per noi, risulta più confortevole, e meno oneroso, rispetto alla cultura dominante. 15


CONTROCULTURA

Se chiedete a qualsiasi leader cristiano di scendere in piazza per fare una dichiarazione sulla povertà, il traffico sessuale, o la questione degli orfani, la nostra eminente guida spirituale ne sarà ben lieta, e con fermezza prenderà posizione, condividendo in modo chiaro le proprie convinzioni. Eppure, se si dovesse chiedere allo stesso leader cristiano, nel medesimo contesto pubblico, di fare una dichiarazione sull’omosessualità o l’aborto, quell’acclamato responsabile risponderà con imbarazzata titubanza, o rifugiandosi in qualche eresia virtuale, cercando di salvarsi “in corner”: “Non sono questi i temi a cui solitamente rivolgo la mia attenzione”. In alternativa, il nostro amato leader potrebbe dire: “L’obiettivo che mi sono prefisso è tutt’altro, ed è di questo che vorrei parlare”. L’effetto pratico di tale atteggiamento è del tutto evidente nel panorama cristiano contemporaneo. Tutti i giovani evangelici scrivono blog, scattano foto, inviano Tweet, e partecipano a conferenze dove si battono per alleviare la povertà e porre fine alla schiavitù. Altri evangelici si fanno carico di adottare bambini negli Stati Uniti e sostenere orfani nei Paesi più remoti della terra. Molti di questi sforzi sono lodevoli, e dobbiamo continuare in quest’azione di sostegno. La faccenda, però, diventa imbarazzante quando questi stessi evangelici rimangono in silenzio in occasione di conversazioni su temi culturalmente più controversi come l’aborto o il cosiddetto matrimonio omosessuale. Questi problemi non rappresentano una mia preoccupazione personale, almeno così si giustificano. Sono molto più a mio agio affrontando altre questioni. Ma cosa potrebbe accadere se Cristo stesso ci ordinasse di fare di questi temi una nostra preoccupazione specifica? E se la chiamata che Cristo ci rivolge non fosse quella di vivere in modo confortevole nella nostra cultura? E se Cristo, di fatto, ci obbligasse a contrastare la cultura in cui siamo immersi? Non soltanto quindi a rimanere tranquilli e osservare l’evoluzione 16


introduzione

delle tendenze culturali senza che la nostra coscienza sia minimamente scalfita, nel turbine di trasformazioni che vedono coinvolti i fondamenti della nostra società. E se Cristo ci stesse spingendo ad affrontare con coraggio tali questioni e mostrare le nostre convinzioni attraverso ciò che affermiamo e il modo in cui viviamo, anche (e soprattutto) quando queste convinzioni contraddicono le posizioni che in questo momento hanno maggior consenso? Tutto questo ovviamente non con un atteggiamento presuntuoso o supponente, ma con l’umile compassione di Cristo, da esibire costantemente in ogni cosa che diciamo e, ancor più, in tutto quello che facciamo. Non è questa, dopotutto, l’essenza della vera sequela di Cristo? “Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua” (Luca 9:23). Esprimere, in altre parole, una precisa controcultura. In un mondo in cui tutto ruota attorno al primato della persona e che celebra una soggettività autoreferenziale volta a promuovere sé stessi, esaltare la propria individualità, e vivere in funzione di un asfittico soggettivismo, Gesù urla un messaggio paradossale e inaudito: “Crocifiggetevi! Mettete da parte tutte le tendenze all’autoconservazione, al fine di vivere in funzione della gloria di Dio, senza preoccuparvi di ciò che potrà rappresentare per voi e per la cultura dominante”. Non è questo, dopotutto, il problema principale in ogni cultura? Forse, per meglio dire, non è Lui il problema principale in ogni cultura? Che cosa accade se ribadiamo che il problema principale nella società odierna non è la povertà o il traffico sessuale, l’omosessualità o l’aborto? Che cosa accade se il problema principale è in realtà rappresentato da Dio? E che cosa potrebbe accadere se la nostra attenzione lo riportasse sfacciatamente al centro della scena? In un mondo segnato dalla schiavitù e dall’immoralità sessuale, dall’abbandono dei minori e dall’assassinio dei bambini, dal razzismo e dalla persecuzio17


CONTROCULTURA

ne, dai bisogni dei poveri e da altri mille drammi sociali, come dovremmo agire se abbiamo fissato il nostro sguardo sulla santità, l’amore, la bontà, la verità, la giustizia, l’autorità, e la misericordia di Dio rivelata nella Sua Parola? Sono queste le linee guida del libro, e vi invito a esplorarle con me. Non ho la presunzione di conoscere tutte le risposte. In effetti, uno dei motivi per cui sto scrivendo questo libro è proprio perché ho visto nella mia vita, nella mia famiglia, e nell’ambito del ministerio, la tendenza a impegnarsi attivamente e con grande coraggio in alcune questioni sociali scottanti, mentre si rimaneva passivi e quasi indifferenti di fronte ad altre non meno urgenti. Ho la netta sensazione che se diamo uno sguardo onesto alla nostra vita, alla nostra famiglia e alla nostra chiesa, possiamo renderci conto che gran parte della giustizia sociale che declamiamo è in realtà una sorta di ingiustizia sociale selettiva. Dobbiamo ammettere che, quelle che abbiamo definito questioni sociali da tenere debitamente distinte, sono in realtà strettamente connesse alla nostra comprensione di Dio e a ciò che il Signore sta facendo nel mondo. In questa nostra esplorazione, potremo scoprire che lo stesso cuore di Dio che ci muove alla guerra contro il traffico sessuale, ci spinge anche a contrastare l’immoralità sessuale. Potremmo scoprire che la stessa Parola che ci costringe a combattere la povertà ci induce più che mai a difendere il matrimonio. E alla fine, potremmo decidere di riorganizzare la nostra vita, la famiglia, e la chiesa attorno a una più coerente, Cristocentrica, risposta “controculturale” rispetto alle questioni sociali più urgenti del nostro tempo. Potete starne certi, le nostre conclusioni circa il modo di contrastare la cultura dominante possono risultare costose, tanto per voi quanto per me. Ma a quel punto, credo non ve importerà poi molto. I nostri occhi non saranno più fissati su ciò che è più comodo per noi; al contrario, la nostra vita sarà 18


introduzione

concentrata su ciò che glorifica maggiormente Dio, e in Lui troveremo delle ricompense ben piÚ grandi di quelle che la nostra cultura è in grado di offrirci.

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01.

LA GRANDE OFFESA Il Vangelo e la cultura

La Parola di Dio rappresenta la linfa vitale del cristianesimo, e fornisce la base per contrastare la cultura dominante. Quando crediamo veramente nell’Evangelo, cominciamo a renderci conto che la Parola di Dio costringe i cristiani non soltanto ad affrontare le questioni sociali più scottanti nell’ambito della cultura che ci circonda; in realtà l’Evangelo suscita inevitabilmente un confronto con la cultura circostante. Questo “scontro di civiltà” ci coinvolge da vicino, iniziando dal modo in cui recepiamo queste antitesi interiormente. Appare sempre più evidente che i punti di vista biblici sulle questioni sociali risultino disturbanti e sconvenienti. Ad esempio, appare urtante per un crescente numero di persone affermare che i sentimenti di una persona nei riguardi di un’altra dello stesso sesso non dovrebbero cristallizzarsi in un’unione civile alla quale sia riconosciuto lo status matrimoniale. Di frequente un cristiano è messo all’angolo su questo tema, anche 21


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se egli non vorrebbe sembrare dogmatico ma azzardare soltanto un abbozzo di risposta vagamente controcorrente. A questo punto dobbiamo precisare che una visione biblica sull’omosessualità non rappresenta la più grande offensiva lanciata dal cristianesimo contro i valori messi in circolo da una cultura che ha azzerato ogni differenza. In realtà, non vuole essere un grimaldello intento a scardinare un argomento specifico che incontra grandi consensi nell’opinione dominante. La Bibbia rappresenta una vasta e smisurata voce dissenziente, a tutto tondo. Dobbiamo quindi cominciare a esplorare la Parola di Dio, e chiederci, di fatto, cosa rappresenta per noi individualmente e per la realtà che ci circonda. La risposta a questa domanda determina intimamente la nostra vita nell’ambito della cultura da cui siamo circondati.

NEL PRINCIPIO, DIO La critica serrata dell’Evangelo alla cultura dominante inizia con le prime parole della Bibbia: “Nel principio, Dio...” (Genesi 1:1).1 La Parola di Dio inizia con una sorta di sfida ricordando che c’è un Dio, in virtù del quale tutte le cose prendono vita e sussistono. “Il Signore è Dio eterno, il creatore degli estremi confini della terra” (Isaia 40:28). Proprio perché tutte le cose hanno origine in Dio ed esistono in ultima analisi in funzione della gloria che gli è propria, nulla, in tutta la creazione, può 1.

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Un eccellente articolo da leggere su questo argomento è Dan Phillips, “The Most Offensive Verse in the Bible”, PyroManiacs (blog), 26 febbraio 2013, http://teampyro.blogspot.com /2013/02/the-most-offensive-verse-in-bible.html.


01. il vangelo e la cultura

essere ritenuto irrilevante e comunque sottratto alla Sua sovranità e titolarità. Com’è questo Creatore? “Io sono il Signore, il vostro Santo”, Dio dice in Isaia 43:15. In altre parole, Egli è del tutto singolare, incommensurabile, il che vuol dire che ogni raffronto con la nostra dimensione creaturale è semplicemente impraticabile. Lui è di un altro tipo. Dio rappresenta la perfezione e l’assoluta purezza, e quindi in Lui non ci può essere niente di sbagliato. Assolutamente nulla. Tutto ciò che Dio è e tutto ciò che Dio compie comunica la santità che Lo contraddistingue. È senza errori, sostanzialmente privo di analogie e quindi senza eguali. Questo Dio santo si segnala, inoltre, per la Sua bontà. “Il Signore è buono verso tutti, pieno di compassioni per tutte le sue opere” (Salmo 145:9). La bontà di Dio è evidente fin dagli albori delle Scritture, tutto ciò che crea viene definito “buono”. La creazione, come ben sappiamo, presenta come culmine l’uomo e la donna, “lavoro” di cui l’Eterno si compiace definendolo “molto buono” (cfr. Genesi 1:4, 10, 12, 18, 21, 25, 31). La grandezza universale della creazione testimonia la benevolenza assoluta del Creatore che si esprime in un dono non necessitato, alimentato dal Suo amore eterno che Egli comunica nell’incontro con la creatura. La bontà di Dio si esprime nella Sua giustizia. “Il Signore giudica i popoli” (Salmo 7:8), e li giudica perfettamente. Dio giustifica gli innocenti e condanna il colpevole. Di conseguenza, “Chi assolve il reo e chi condanna il giusto sono entrambi detestati dal Signore” (Proverbi 17:15). Come un buon giudice, Dio si indigna di fronte all’ingiustizia. Detesta chi dice al malvagio: “Tu sei buono”, e quelli che dicono al buono: “Tu sei cattivo”. Il Signore è un giudice perfetto. La bontà di Dio si esprime anche nella Sua grazia. Egli mostra il Suo favore gratuito e immeritato anche verso chi non è degno. Egli è compassionevole e paziente, e desidera che ogni 23


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persona in tutto il mondo possa conoscere e gustare la Sua bontà, la straordinaria misericordia e il Suo amore smisurato (cfr. II Pietro 3:9). Consideriamo quindi l’elemento dirimente rappresentato dalla realtà di Dio nella vita di ciascuno di noi. Se Dio è il nostro Creatore, non possiamo che dipendere da Lui e appartenere a Lui. Colui che ci ha creati ci possiede a pieno titolo. Non siamo, come descrive la poesia “Invictus”, i padroni del nostro destino o i capitani della nostra anima, e non possiamo rivendicare nessuna titolarità sulla nostra esistenza. L’Autore dell’intero creato possiede autorità su tutta la creazione, e quindi la mia e la tua vita non possono sottrarsi a questo principio intangibile. Siamo inoltre responsabili nei Suoi confronti, dovendo rispondere della nostra vita come di fronte a un giudice. Una delle verità fondamentali della Parola di Dio è che Egli giudicherà ogni persona, e lo farà nel segno di una giustizia assoluta. Tutto questo ci pone in una posizione tale da avere un disperato bisogno della Sua grazia. Ora vediamo che la grande offensiva mossa dalla Parola di Dio acquista contorni più nitidi. Provate a dire a un vostro conoscente che c’è un Dio che sostiene e possiede la sua vita, definisce le regole, e che un giorno puntualmente lo giudicherà: bene, quella persona, molto probabilmente, non tarderà a mostrare qualche segno d’irritazione. Molte persone provano un malcelato senso di fastidio di fronte a un annuncio che percepiscono come seccante e molesto. Questa, non di rado, è la reazione naturale all’annuncio della realtà di Dio.

LA NOSTRA REAZIONE NATURALE DI FRONTE A DIO Sfogliate le pagine iniziali della storia dell’umanità, e toccherete con mano il problema fondamentale che alligna nel cuore 24


01. il vangelo e la cultura

di ogni essere umano. Quando Dio creò l’uomo, e lo mise nel giardino dell’Eden, disse: “Mangia pure da ogni albero del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare; perché nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai” (Genesi 2:16, 17). Qui possiamo abbracciare con una visione grandangolare la santità di Dio, e al tempo stesso la bontà, la giustizia e la grazia che hanno guidato l’agire divino. Dio ha il potere di definire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, di stabilire il bene e il male, proprio in funzione delle Sue prerogative di purezza e santità. Il Signore ricorda all’uomo che sarà giudicato sulla base dell’ubbidienza al comando ricevuto. La grazia di Dio è evidente, poiché non nasconde la Sua legge. Con amore, Dio indica all’uomo la via privilegiata che conduce alla vita e lo esorta a camminare per essa. A questo punto, come replica il creato al proprio Creatore? Nel giro di pochi versetti, la tentazione e il peccato prendono posto intorno al tavolo. Il serpente chiede alla prima donna: “Come! Dio vi ha detto di non mangiare da nessun albero del giardino? ... Non morirete affatto; ma Dio sa che nel giorno che ne mangerete, i vostri occhi si apriranno e sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene e del male” (Genesi 3:1, 4, 5). Riuscite a cogliere questa inversione di ruoli? Tutto comincia quando il comando di Dio è ridotto a domande su Dio. Dio, in qualche modo, da soggetto è ridotto a oggetto, e sono inoculati dei dubbi: ma è veramente santo? Sa davvero che cosa è giusto? È realmente buono? Vuole veramente il meglio per me? Tramite tutte queste domande, l’uomo e la donna, in modo molto sottile, passano dalla condizione di creature sottoposte al giudizio di Dio a soggetti che si arrogano il diritto di giudicare il loro artefice. La domanda del serpente ruota attorno all’albero della conoscenza del bene e del male. Possiamo leggere questo evento dell’albero e pensare: ma cosa c’è di sbagliato nel conoscere la 25


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differenza tra il bene e il male? Ma il significato cui le Scritture alludono va ben oltre le mere informazioni concernenti il bene e il male, riferendosi di fatto alla determinazione stessa di ciò che è buono, e di quanto invece è deprecabile. In altre parole, per l’uomo e la donna mangiare da quell’albero equivaleva a rifiutare Dio come unica fonte autoritativa in grado di determinare il bene e il male e, al tempo stesso, rivendicare per sé questa prerogativa divina. La tentazione nel giardino era quella di ribellarsi contro l’autorità di Dio e avviare un processo teso a rendere gli esseri umani arbitri delle loro scelte morali. Quando si comprende adeguatamente questo primo peccato, ci si rende conto che il relativismo morale del XXI secolo non rappresenta certo una novità. Quando tentiamo di usurpare (o addirittura eliminare) Dio, perdiamo ogni obiettività nel determinare ciò che è bene o male, giusto o sbagliato, morale o immorale. Il filosofo agnostico Michael Ruse recupera queste premesse quando afferma: “La posizione dell’evoluzionismo moderno è dunque chiara, la morale è frutto di un adattamento biologico non meno di quanto lo siano le mani, i piedi e i denti ... Considerare la dimensione etica come un insieme razionale di affermazioni riguardanti qualcosa di oggettivo è illusorio”.2 Allo stesso modo, lo scrittore ateo Richard Dawkins scrive: In un universo di cieche forze fisiche e di replicazione genetica, alcune persone incapperanno in qualche evento dannoso, altre avranno fortuna, ma non troverete nessun capo né coda in questa congerie di eventi, né alcun principio di giustizia. L’univer-

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Michael Ruse, “Evolutionary Theory and Christian Ethics”, in The Darwinian Paradigm, Routledge, London 1989, pp. 261–268.


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so che osserviamo ha esattamente le caratteristiche che dobbiamo aspettarci se, in fin dei conti, non vi è nessun disegno, e quindi in ultima analisi non c’è alcun male, e non esiste nessun bene. Niente, ma unicamente cieca, impietosa indifferenza. Il DNA non riconosce né si prende cura di alcuno. Il DNA è e basta. E si balla al ritmo della sua musica.3

La visione di un mondo senza Dio ci lascia in balìa di una soggettività senza speranza rispetto al bene e al male, poiché queste espressioni valoriali dipendono interamente da costrutti sociali. Qualunque cosa la cultura ritenga giusto è accettabile, e tutto ciò che la cultura ritiene sbagliato è deprecabile. Questa è la visione del mondo che prevale nella cultura occidentale di oggi, dove i rapidi cambiamenti nel panorama morale comunicano chiaramente che non si crede più che determinate cose siano intrinsecamente giuste o sbagliate. Di contro, correttezza e scorrettezza sono definite dalle dinamiche sociali costantemente in evoluzione. Un tal modo di intendere la morale comporta implicazioni piuttosto spaventose. Considerate ad esempio il “commercio” sessuale. Siamo disposti a concludere che se una società approva questo traffico, automaticamente non si tratta più di una condotta immorale? Siamo disposti a raccontare alle ragazze vendute come schiave del sesso che loro, e gli uomini che abusano dei loro corpi, stanno semplicemente ballando al ritmo del loro DNA? Possiamo sostenere che ciò che stanno subendo non è male di per sé, ma è soltanto il prodotto di una cieca e 3.

Richard Dawkins, River Out of Eden, Basic Books, New York 1995, p. 133. (Trad. it. Il fiume della vita. Che cosa è l’evoluzione, Rizzoli, Milano 2008). 27


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impietosa indifferenza, che colpisce a caso lasciando dietro di sé delle vittime sfortunate? Sicuramente non è ciò che ci sentiremmo di dire a una di queste ragazze, ma è proprio questo il frutto della visione del mondo che molte persone inconsapevolmente accolgono e propalano. “Non fare del male agli altri, sii sincero con te stesso”. Un amico che si definisce pagano mi ha suggerito questo slogan, presentandolo come la filosofia di vita quotidiana vigente nel quartiere francese di New Orleans. Questa elementare filosofia era sufficiente, così almeno pensava il mio buon amico, per formulare giudizi di valore e assumere decisioni di ordine morale. La sua semplicistica visione del mondo si imbatté però in una difficoltà tutt’altro che trascurabile: chi definisce cos’è il male verso gli altri e in quale misura dobbiamo e possiamo essere sinceri con noi stessi. Uno sfruttatore del Nepal potrebbe forse affermare di offrire un’esistenza migliore a una ragazza le cui possibilità di vita sono compromesse ancor prima di cominciare con quell’attività? Potrebbe sostenere che, in fin dei conti, questa giovane ora ha un lavoro e un reddito minimo su cui fare assegnamento? E cosa potrebbe trattenere questo protettore dall’affermare che lui e la ragazza stanno aiutando decine di uomini a esternare le pulsioni sessuali, permettendo loro di scaricare l’aggressività e svolgendo così una qualche funzione terapeutica? Questa prospettiva atea in tema di moralità si rivela assolutamente vuota di fronte alla dura realtà del male ben radicato in questo mondo. Grazie al cielo, la Parola di Dio è completamente “controculturale” anche a questo riguardo. La Bibbia ci dice, infatti, che Dio ha fatto ogni ragazza in modo splendido e meraviglioso, esattamente a Sua immagine, e l’ha resa oggetto del Suo amore struggente. L’ha formata biologicamente in modo unico non certo per essere violata sessualmente da un numero incalcolabile di sconosciuti, ma in vista di un’unione 28


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sessuale gioiosa con un marito che la nutra, la serva e la ami. Questo è il buon progetto elaborato da un Dio misericordioso, anche se purtroppo appare gravemente corrotto da un’umanità peccatrice. Il peccato rappresenta la tenace ribellione contro il buon Creatore di tutte le cose e il Giudice finale di tutte le persone. I traffici sessuali appaiono profondamente iniqui, mentre Dio rimane giusto, e un giorno chiamerà i peccatori a renderne conto al Suo cospetto. Una simile comprensione del peccato aiuta i cristiani e le chiese a prendere coscienza dei motivi che li devono indurre a denunciare e contribuire a porre fine alla tratta del sesso. Una rapida lettura del paragrafo precedente rivela i motivi per cui questi stessi cristiani si devono opporre all’aborto e difendere il matrimonio. Il Dio che crea personalmente ogni preziosa ragazza a Sua immagine non è forse il medesimo Signore che forma personalmente ogni prezioso bambino nel grembo materno? Non è il disegno di Dio che rende la violazione sessuale e la prostituzione sbagliata, mentre rende pienamente valida l’unione sessuale nel matrimonio? Per concludere, vendere una giovane e ridurla in schiavitù, strappare il corpo di un bambino dal grembo materno, o trascurare il modello di matrimonio prescritto da Dio, non è forse una insopportabile ribellione contro il Creatore e il Giudice finale di tutti gli uomini?

IL PECCATO DELL’EGO Anche in questo caso siamo di fronte a un’offesa “controculturale” dell’Evangelo. Poiché se è vero che la Parola di Dio riconduce la definizione del bene e del male al carattere di Dio, afferma al tempo stesso che il male non è limitato ad alcuni 29


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tipi di peccato o a gruppi selezionati di peccatori. Il male è purtroppo insito in ognuno di noi, e quindi inevitabilmente è parte integrante di ogni cultura cui l’uomo dà vita.4 Se siamo stati tutti creati da Dio, è altrettanto vero che siamo stati corrotti dal peccato. Per quanto cerchiamo di negarlo, la nostra natura lo conferma costantemente. Siamo creature lacerate, esseri scissi a metà strada tra il decoro e la depravazione; siamo inclini sia al bene sia al male. Questa è l’ironia della condizione umana. John Stott lo esprime egregiamente nel suo riassunto sulle basi del Cristianesimo: Siamo in grado di pensare, scegliere, creare, amare e adorare; ma siamo anche in grado di odiare, rubare, combattere e uccidere. Gli esseri umani sono gli inventori degli ospedali per la cura dei malati, delle università per acquisire conoscenza, e delle chiese per rendere il culto a Dio. Ma hanno anche inventato le sale di tortura, i campi di concentramento e gli arsenali nucleari. Questo è il paradosso della nostra umanità. Siamo nobili e ignobili, razionali e irrazionali, morali e immorali, creativi e distruttivi, generosi ed egoisti, simili a Dio e analoghi alle bestie.5

Perché le cose stanno in questi termini? La Bibbia risponde che anche se Dio ci ha creati a Sua immagine, ci siamo ribel4.

Sia in questo capitolo che nel successivo sono debitore alla presentazione dell’Evangelo di John Stott in Why I Am a Christian, InterVarsity Press, Downers Grove (IL) 2003.

5.

Stott, Why I Am a Christian, cit., p. 76.

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lati contro di Lui per rivendicare la nostra indipendenza. Nella nostra vita, in modi differenti, siamo tutti esattamente come il primo uomo e la prima donna nel giardino di Eden. Pensiamo: anche se Dio dice di non farlo, io ho intenzione di farlo lo stesso. In sostanza stiamo dicendo: “Dio non signoreggia su di me, ed Egli non sa cosa sia meglio per me. Definisco io ciò che è giusto e sbagliato, ciò che è bene e ciò che è male”. Il fondamento della nostra moralità si sposta, quindi, dalla verità oggettiva che il Signore ci ha fornito nella Sua Parola ai concetti soggettivi che elaboriamo nella nostra mente. Anche quando non ci rendiamo conto delle ricadute legate alle nostre scelte, giungiamo inevitabilmente a una conclusione: qualsiasi cosa mi sembra giusta, e tutto ciò che io ritengo sia lecito, per me diventa pienamente legittimo. In conclusione, per ciascuno di noi, l’ultima parola è: secondo me. Questo è il motivo per cui la Bibbia sintetizza la condizione umana ricorrendo a una diagnosi molto laconica: “Tutti si sono sviati” (Romani 3:12). L’essenza di ciò che la Bibbia definisce peccato altro non è che l’esaltazione di sé. Dio ci ha progettato per mettere Lui al primo posto nella vita, gli altri subito dopo e noi per ultimi. Eppure il peccato inverte questo ordine: noi ci collochiamo al primo posto, tutti gli altri sullo scalino inferiore (il più delle volte nel tentativo di usarli per i nostri fini), e Dio da qualche parte (se mai accade), ridotto a una figura sfocata, in dissolvenza. E così, invece di adorare Dio, adoriamo noi stessi. In realtà, probabilmente nessuno di noi porrebbe la questione in questi termini. La maggior parte delle persone non professano pubblicamente: “Io adoro me stesso”. Ma, come rileva John Stott, se osserviamo la nostra vita e ascoltiamo ciò che diciamo, questa verità emerge in tutta la sua evidenza. Il nostro dizionario contiene centinaia di parole che iniziano con 31


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“auto”, “ego” o “sé”: autostima, fiducia in sé stessi, autopromozione, autogratificazione, autoglorificazione, automotivazione, autocommiserazione, egocentrismo e così via. Abbiamo creato una serie di termini per esprimere la misura della nostra preoccupazione.6 L’aspetto più tragico in tutto ciò è che nella nostra costante ricerca volta a soddisfare noi stessi, siamo a tutti gli effetti diventati schiavi del peccato. Questo è il motivo per cui Gesù insegna: “In verità, in verità vi dico che chi commette il peccato è schiavo del peccato” (Giovanni 8:34). Sappiamo bene che questa affermazione corrisponde al vero. È facile vederlo nell’alcolista, soltanto per fare un esempio. Si ubriaca, pensando che questo conduca a qualche forma di soddisfazione personale, per poi ritrovarsi schiavo di una dipendenza che lo porta alla rovina più completa. Il peccato funziona in modo simile nella nostra vita, sia nelle piccole sia nelle grandi cose. Ci convinciamo che, non importa per niente cosa ne pensa Dio, un pensiero lussurioso, una parola insultante, o un’azione egoistica, sono cose che ci va di fare e basta! Persuadiamo noi stessi che, non importa affatto ciò che Dio dice, i soldi (indipendentemente da come li otteniamo) e il sesso che sperimentiamo (con chiunque ci piaccia) ci gratificano, e questa è un’argomentazione più che sufficiente. Ripetiamo a ogni piè sospinto che non importa come la pensa Dio, saremo soddisfatti da quella persona o da quell’oggetto che abbiamo arraffato, gustando il sottile piacere di quella trasgressione, provando l’ebrezza di ciò che è proibito. Noi rincorriamo tutte queste cose, pensando di essere liberi. Ma siamo resi ciechi dalla nostra schiavitù. Poiché in tutto questo affanno, nel tentativo di soddisfare noi stessi, in realtà 6. 32

Ibid., pp. 74–76.


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ci siamo ribellati contro l’unico che è in grado di soddisfare la nostra anima. Alla fine, altro non siamo che piccole creature in rivolta, tutti colpevoli di ribellione contro Dio. Non soltanto lo sfruttatore del Nepal settentrionale, ma pure io e te. Tutti noi ci siamo sviati da Dio, tutti noi siamo colpevoli davanti alla Sua santità, e tutti ne siamo in parte coscienti. Ci sentiamo in colpa, e anche se ci battiamo come leoni per negare ogni addebito, istintivamente avvertiamo questo sentimento diffuso e angosciante. Alcuni negano del tutto il loro senso di colpa, dicendo che non esiste una cosa giusta o sbagliata, che ogni etica è illusoria, relativa e arbitraria, e soltanto le preferenze personali hanno qualche validità. Tuttavia, le persone che maturano questi convincimenti spesso sostengono che è giusto quando tu sei d’accordo con loro e sbagliato quando sei in disaccordo con loro. Un po’ paradossale, non è vero? Altri cercano di eliminare il senso di colpa spostando gli standard di ciò che è giusto e sbagliato, in nome del progresso culturale. Uno dei modi più semplici per alleviare il senso di colpa è convincerci che i nostri standard morali sono impraticabili o non aggiornati. L’avidità non è sbagliata; è necessaria per alimentare le proprie legittime ambizioni. Promuovere sé stessi è l’unico modo per avere successo. La lussuria è un elemento connaturato al genere umano, e il sesso è liberamente praticabile indipendentemente dal matrimonio o dal genere del partner. Cerchiamo di rimuovere il nostro senso di colpa, ridefinendo ciò che è giusto e sbagliato in ossequio alle mode culturali. Ma il senso di colpa rimane. Non importa quanti sforzi siano profusi, non possiamo cancellare bellamente la necessità di “dover essere” ciò che Dio ha tatuato nell’anima umana. Basta guardare negli occhi di una bambina venduta come schia33


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va sessuale, per capire che tutto ciò non “dovrebbe” essere. Per definire ciò che è giusto o sbagliato esistono norme obiettive, valide per tutte le persone in ogni luogo e in ogni tempo. Non possiamo rimuovere la realtà della colpa davanti a Dio, e questo è il motivo per cui abbiamo bisogno di Gesù. Questo è il luogo dove l’Evangelo rappresenta una fenomenale controcultura ancora più offensiva e ficcante.

GESÙ È UNICO? Quasi tutte le persone nel mondo che sanno poco o nulla di Gesù, compreso il più laico degli studiosi, converrebbero sul fatto che Gesù era un uomo buono. La gente scopre in Gesù una persona vicina al dolore, avverte la Sua consuetudine alla lotta e la Sua prossimità alla sofferenza comune a tutto il genere umano. Inoltre alle persone piace Gesù, per i Suoi modi affettuosi e gentili; in quanto sostenitore della causa dei poveri e dei bisognosi, amico dei dimenticati, dei deboli e degli oppressi; sempre in compagnia dei disprezzati e di coloro che erano respinti ai margini della società. Amava addirittura i Suoi nemici, e ha raccomandato agli altri di comportarsi nel medesimo modo.7 Eppure, in bocca a questo personaggio caratterizzato da una straordinaria umiltà, sono fiorite espressioni mostruosamente egocentriche. Non è difficile leggere nelle storie che narrano la vita di Gesù espressioni come: “Io sono questo, io sono quello”, che Egli pronuncia più e più volte. “Seguimi, vieni a me”: desidera tutti intorno a Sé, in un apparente delirio di 7. 34

Ibid., p. 35.


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autoreferenzialità proprio di un io ipertrofico e smodato. Stott descrive al meglio questo aspetto: Una delle cose più straordinarie di Gesù nel suo insegnamento (e lo ha fatto in modo così discreto che molte persone leggono i Vangeli senza nemmeno accorgersene) è stato quello di presentare Sé stesso in termini diversi da chiunque altro. Ad esempio, affermare di essere il buon pastore, che si pone alla ricerca della pecora smarrita, implicava che il mondo era perduto, mentre Lui ovviamente non lo era, e proprio per questo motivo avrebbe potuto cercare e salvare ciò che appariva irrimediabilmente compromesso. In altre parole, si è identificato in una categoria morale di cui era l’unico rappresentante. Tutti gli altri erano al buio, Lui era la luce del mondo. Tutti gli altri avevano fame, Lui era il pane della vita. Tutti gli altri avevano sete, Lui avrebbe potuto dissetarli. Tutti gli altri erano peccatori, Lui poteva perdonare i loro peccati. Infatti, in due diverse occasioni lo ha fatto, ed entrambe le volte gli osservatori sono rimasti scandalizzati. Hanno chiesto: “Perché costui parla in questa maniera? Egli bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non uno solo, cioè Dio?” (Marco 2:5-7; Luca 7:48, 49). Se Gesù ha ribadito di avere l’autorità di perdonare il penitente, ha anche affermato di avere il potere di giudicare gli impenitenti. Molte delle Sue parabole, alla fine del racconto, implicavano il Suo ritorno. In quel giorno si sarebbe seduto sul trono e riappropriato della Sua gloria, tutte le nazioni si sarebbero presentate davanti a Lui, e avrebbe provveduto a separare gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri. In altre parole, avrebbe stabilito il 35


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loro destino eterno. Questo lo rende la figura centrale nel giorno del giudizio.8

A dispetto di ciò che molti pensano, Gesù certamente si riteneva unico. Forse la Sua affermazione più stravagante la troviamo in Giovanni 14:6, dove leggiamo: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. Che affermazione bizzarra! Come se l’Evangelo non fosse già abbastanza imprudente con l’annuncio della natura divina e della condizione in cui ci dibattiamo, ora veniamo a sapere che Gesù è l’unica persona che è in grado di riconciliarci con Dio. Nessun altro maestro è così eccelso, nessun’altra via appare adeguata. Se volete conoscere Dio, dovete passare attraverso Gesù. Come può essere? Come può un uomo sano di mente di duemila anni fa, fare questa affermazione? E come possono delle persone sane di mente, duemila anni dopo, crederci ancora? Ha senso soltanto se tutto ciò che abbiamo già considerato nella Bibbia corrisponde al vero. Abbiamo visto che Dio è pienamente santo e infinitamente buono, perfettamente giusto e amorevolmente misericordioso. Abbiamo anche visto che ognuno di noi è stato creato da Dio, ma siamo stati tutti corrotti dal peccato. Tutti ci siamo allontanati dal Signore e siamo colpevoli davanti a Lui. Queste realtà speculari ci spingono all’ultima domanda: come può un Dio santo riconciliare i peccatori ribelli con Sé stesso quando in realtà meriterebbero unicamente il Suo giudizio? Ricordiamo Proverbi 17:15 che dice: “Chi assolve il reo e chi condanna il giusto sono entrambi detestati dal Signore”. 8. 36

Ibid., pp. 42–43.


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In altre parole, Dio detesta chi chiama il colpevole “innocente” e l’innocente “colpevole”. Li detesta perché è un buon giudice; egli definisce il colpevole e l’innocente secondo ciò che sono realmente. Così, quando Dio viene a noi come un giudice, quale altro verdetto potrebbe emettere, se non “colpevole”? Se dovesse dichiararci “innocenti”, Egli sarebbe un abominio a Sé stesso. Ora cominciamo a percepire la tensione sottesa a tutto il messaggio scritturale. Ogni uomo e donna è colpevole di fronte a Dio. Come può, a questo punto, esprimere la Sua perfetta giustizia senza condannare ogni peccatore che calpesta questo pianeta? Molte persone rispondono: “Be’, Dio è amore. Egli semplicemente perdona i nostri peccati”. Ma non appena lo diciamo, iniziamo a renderci conto che il perdono dei peccatori da parte di Dio rappresenta una potenziale minaccia per il Suo carattere perfetto. Se Dio semplicemente trascurasse il peccato, allora non sarebbe né Santo né Giusto. Se ci fosse un giudice che consapevolmente assolve dei criminali colpevoli, vorremmo quantomeno che fosse immediatamente cacciato. Perché? Semplicemente perché non è giusto. Possiamo cogliere la santa giustizia di Dio e la natura peccaminosa dell’umanità in queste parole di Stott: “Non dobbiamo domandarci perché il Signore ha difficoltà a perdonare i peccati, ma come fa a renderlo possibile”.9 Questa tensione ci porta a chiedere: “Come può Dio amarci, quando la Sua giustizia non può che richiedere una condanna?”. Questo è il problema fondamentale dell’universo. Anche 9.

Ibid., p. 55. Per una maggiore comprensione di questo argomento, vedi John Stott, The Cross of Christ, InterVarsity Press, Downers Grove (IL) 2006, pp. 89–93. (Trad. it. La croce di Cristo, Edizioni GBU, Chieti 2001).

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se non è certo il problema principale che le persone desiderano affrontare. La maggior parte delle persone nella nostra società non stanno perdendo il sonno per riflettere su come sia possibile che Dio sia, al tempo stesso, giusto e amorevole nei riguardi dei peccatori. Invece, la maggior parte delle persone accusano Dio, domandandogli: “Come puoi pensare di punire i peccatori? Come si può lasciare che persone non del tutto cattive vadano all’inferno?”. La Bibbia, invece, ci pone una domanda esattamente contraria: “Come può Dio essere giusto e lasciare che dei peccatori colpevoli giungano in cielo?”. L’unica risposta a questa domanda è Gesù Cristo. La vita di Gesù è davvero unica. Egli è Dio incarnato, pienamente uomo e pienamente Dio. Come uomo perfetto, soltanto Lui è in grado di mettersi al posto di uomini e donne colpevoli. Alla luce della Sua perfetta divinità, soltanto Lui è in grado di soddisfare la giustizia divina. Tutto ciò rende unica la morte di Gesù, e questo è il motivo per cui la Sua crocifissione rappresenta il culmine dell’Evangelo. È strano, se soltanto ci pensiamo un attimo. Per tutti gli altri leader religiosi, la morte ha segnato il tragico epilogo della loro storia. L’attenzione, nelle altre tradizioni religiose, è sempre posta sulla vita dei loro leader. Nel caso di Gesù, però, è esattamente l’inverso. Anticipava costantemente l’annuncio della Sua morte, ponendo un’enfasi sproporzionata su questo evento. Dall’epoca della Sua morte, duemila anni or sono, il simbolo centrale del cristianesimo è stata la croce, e la celebrazione centrale della Chiesa ruota attorno al pane e al vino, che commemorano il corpo e il sangue di Gesù.10 Perché la morte di Cristo sulla croce è così carica di significato?

10. Vedi Stott, Why I Am a Christian, cit., pp. 49–51. 38


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Perché la croce è il luogo in cui Gesù, Dio incarnato, ha fatto propria la punizione che avrebbe dovuto abbattersi sui peccatori, prendendo su di Sé la condanna. Con la croce di Cristo, Dio esprime pienamente il Suo santo giudizio sul peccato. Allo stesso tempo, Dio in Cristo sopportò pienamente il santo giudizio contro il peccato. In questo processo, Dio per mezzo di Cristo, ha reso possibile la salvezza per tutti i peccatori. La pena del peccato fu pienamente saldata, completamente scontata. Sappiamo che tutto ciò è vero poiché Dio ha risuscitato Gesù dai morti. Questa è la più grande notizia in tutto il mondo, ed è per questo che lo chiamiamo Evangelo (che significa “buona notizia”). Il santo, giusto e misericordioso Creatore dell’universo ha stabilito in Cristo un modo per potersi riconciliare con Lui, a disposizione di chiunque e ovunque. Ancora una volta, tuttavia, non possiamo sfuggire alla provocazione di questo Evangelo. Immediatamente la gente ti chiede: “Stai davvero dicendo che c’è solo un modo per giungere a Dio?”. Eppure, anche se noi stessi ci ponessimo la domanda, scopriremmo un problema. Se ci fossero mille modi per giungere a Dio, ne vorremmo mille e uno. Il problema non è quanti modi abbiamo a disposizione per avvicinarci al Signore; la vera questione è la nostra autonomia di fronte a Dio. Vogliamo essere liberi di prendere la nostra strada. Questa è l’essenza del peccato: confidare nei nostri metodi piuttosto che imboccare la strada tracciata da Dio. Non saremo liberati dai nostri peccati facendo assegnamento su noi stessi e confidando sempre più nelle nostre soluzioni. Saremo salvati unicamente abbandonando i nostri rimedi e confidando sempre più nella via indicata e predisposta da Dio.

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€ 16,00

ISBN 978-88-98846-73-3

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788898

846733

DAVID PLATT

CONTRO

CONTRO CULTURA

DAVID PLATT è un pastore, missionario, scrittore e oratore evangelico. Dopo aver conseguito una laurea in giornalismo alla University of Georgia, consegue un dottorato in teologia al Southern Baptist Theological Seminary facendo, nel contempo, viaggi missionari in Indonesia, Sudan, Cina e India. A ventotto anni diventa pastore della chiesa Brook Hills (Birmingham, Alabama) di oltre 4300 membri e a trentuno pubblica “Radical”, il suo primo libro, che diventa un best-seller. Nel 2014 è eletto presidente di una delle organizzazioni missionarie più grandi del mondo, la International Mission Board. La sua mentalità missionaria caratterizza il suo costante richiamo a una vita cristiana coerente e senza compromessi, con particolare attenzione e cura alle fasce più deboli della società.

DAVID PLATT

Un appello appassionato alla

CULTURA

Abbiamo bisogno di stimoli energici, come quelli che possiamo ritrovare in queste pagine, per tornare a essere, con decisione, degli “esecutori della Parola”. La Parola di Dio, infatti, muove la volontà umana e spinge a una condotta operosa, alla luce della consapevolezza di un preciso dovere. La nostra fede diventa credibile nelle nostre realizzazioni. La volontà di Dio deve essere praticata e non soltanto predicata, diversamente diventa inganno (Giacomo 1:22) e auto-inganno, pura illusione. Una fede che non ha azioni da mostrare non ha alcuna forza giustificante, è nulla, inutile, poiché, di fatto, non è reale. L’unica religiosità, secondo le Scritture, consiste in un cristianesimo vissuto. Ora questo libro ci parla della grande inversione rispetto ai valori che contano per il mondo, e della loro inconciliabilità con la fede cristiana. Siamo quindi chiamati a una vita autenticamente alternativa, contro-tendenza, e mossa da una fede viva. Dobbiamo riaffermare la nostra distanza rispetto alle logiche del mondo e ascoltare queste parole animate dal medesimo Spirito che affiora nella voce dei profeti dell’Antico Testamento e nel sermone sul monte.

della fede in un mondo di


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