Fede 2.0: Rimanere connessi con Dio fra Web Social e Nuove Tecnologie

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FEDE 2.0

Daniel Darling

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ISBN 978-88-98846-21-4

Servizio Pubblicazioni delle “Assemblee di Dio in Italia”

Via della Formica, 23 - 00155 Roma Tel. 06 2251825 - 2284970 - Fax 06 2251432 adi@adi-media.it - www.adi-media.it

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Titolo originale: “iFaith - Connecting with God in the 21st Century” © 2011 by Dan Darling All rights reserved Published by New Hope® Publishers P. O. Box 12065 Birmingham, AL 35202-2065 New Hope Publishers is a division of WMU® Edizione italiana: “Fede 2.0 - Rimanere connessi con Dio tra web, social e nuove tecnologie” © ADI-Media Via della Formica, 23 - 00155 Roma Tel. 06 2251825 - 2284970 Fax 06 2251432 Email: adi@adi-media.it Internet: www.adi-media.it Servizio Pubblicazioni delle Chiese Cristiane Evangeliche "Assemblee di Dio in Italia" Novembre 2014 - Tutti i Diritti Riservati Traduzione: A cura dell'Editore. I.G. Tutte le citazioni bibliche, a meno che non sia indicato diversamente, sono tratte dalla Bibbia Versione Nuova Riveduta - Ed. 1996 Società Biblica di Ginevra - Svizzera Stampa: Produzioni Arti Grafiche S.r.l. - ROMA

ISBN 978 88 98846 21 4


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INTRODUZIONE Una generazione connessa Verso la fine del 2008, il nuovo e storico presidente degli Stati Uniti, mentre pianificava con cura il suo insediamento alla Casa Bianca, dovette affrontare una questione vitale che nessuno dei suoi quarantatré illustri predecessori dovette mai fronteggiare in più di duecento anni di indipendenza americana. Di cosa poteva trattarsi? Dello stato attuale del contingente in Iraq? Del collasso della finanza pubblica? Della scelta del miglior candidato a Ministro dell’Istruzione? No, il presidente Obama aveva questo dilemma: Dovrò rinunciare al mio BlackBerry? Per quanto ne sapevano George Washington, Abraham Lincoln e persino Ronald Reagan, blackberry (letteralmente “mora”, N.d.T.) altro non era che un frutto, dolce e aspro, che cresce su un arbusto spinoso. Ma per Barack Obama era una questione di vitale importanza. Obama è stato il primo presidente appartenente alla cosiddetta “connected generation”, abituata a vivere collegata a piccoli dispositivi che permettono di ricevere e fare chia5


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FEDE 2.0 mate vocali, spedire email e messaggiare con persone sparse per tutto il mondo. Per problemi di sicurezza, tutela della privacy e per la normativa vigente in materia di registrazioni telefoniche, gli esperti della sicurezza nazionale consigliarono al presidente di gettare il BlackBerry in un fiume. Ma il “Comandante in Capo” (Obama stesso) vide realizzato il suo desiderio: poté tenere il suo BlackBerry, ora ultrasicuro, criptato e fornitogli direttamente dalle forze militari statunitensi. In quell’occasione disse qualcosa che non scorderemo mai: “Riusciranno a strappare il BlackBerry dalle mie mani soltanto quando saranno fredde e ormai morte”. Sinceramente, penso che sia stato un po’ eccessivo - ma soltanto perché preferisco l’iPhone.

Cresciuti a messaggi istantanei Notate: l’imbarazzante situazione del presidente Obama è la stessa in cui ci troviamo noi. Facciamo parte di una generazione costantemente connessa, siamo stati svezzati con il capitano Kirk e l’Enterprise, cresciuti a messaggi istantanei, cibi cotti al microonde e pannolini usa e getta, alimentati con TV via satellite, navigatori GPS e check-in online. Nei miei trent’anni o poco più, la vita sulla terra si è spostata dall’alta velocità alla velocità della luce. Usiamo email, chat, Facebook e Twitter. Mandiamo SMS, MMS, condividiamo video su YouTube e videochiamiamo con Skype. Il nostro armamentario di dispositivi è in continua espansione e costante aggiornamento: rischia di esplodere per la quantità di dati che viaggiano alla velocità del pensiero. Quando abbiamo una domanda, mandiamo un SMS. Quando cerchiamo una soluzione, ci tuffiamo nel web con la pretesa di una risposta immediata. 6


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Introduzione

In qualsiasi aspetto della nostra vita, dal cibo all’abbigliamento e alla famiglia, desideriamo una larghezza di banda maggiore, foto a risoluzione più elevata, più velocità di upload e download. Quando possiamo optiamo sempre per la corsia più veloce e la cassa fai-da-te. E se qualcosa non è disponibile nell’immediato, non ce ne preoccupiamo troppo. Perché nel giro di un mese Google o Apple metteranno in commercio una “app” anche per quello.

Dio, Google e la Grazia Attenzione! questo non è un libro che getta la tecnologia nel cestino e rimpiange il falso mito di un’era ormai passata, quando i panini costavano 50 lire, le mogli e i mariti non litigavano mai, la musica era sempre melodiosa e ognuno viveva serenamente come nella famiglia del Mulino Bianco. Noi viviamo qui, ora, nel ventunesimo secolo. Credo fermamente che Dio abbia un proponimento anche per questo millennio. Inoltre, non dimenticate che i mitici anni cinquanta non erano poi così favolosi come ci piace pensare. Ad ogni modo, quale membro regolarmente iscritto a questa Instant Generation, penso che dovremmo chiederci: “Che effetto ha avuto sulla nostra relazione con Dio tutta questa frenesia, questa rapidità, questa insopprimibile apprensione?”. In un certo senso, un effetto l’ha avuto. Noi riceviamo - e desideriamo - informazioni e comunicazione. E risposte. Ad ogni quesito. Prima dell’avvento dell’epoca moderna e tecnologica, il mezzo principale di comunicazione era la lettera. Persino nei primi decenni del ventesimo secolo, era un fatto comune scrivere una lettera, considerando che il telegrafo o il tele7


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FEDE 2.0 fono si usavano soltanto in casi di emergenza. Le lettere erano spesso toccanti, commoventi e dettagliate. Chi le scriveva cercava di comunicare al meglio, date le ridotte possibilità. La lettera era stilata allo stesso modo in cui prendeva forma un capolavoro pittorico, soppesando con cura ogni parola e frase. La fine del diciannovesimo secolo e i primi decenni del ventesimo diedero inizio alla marcia del progresso e alla rapida accelerazione della comunicazione. Dal momento che l’utilizzo dei telefoni subì un notevole incremento, le lettere sparirono quasi del tutto, e con esse anche la scrupolosa scelta delle parole da usare. La fine del ventesimo secolo giunse ben presto, portando con sé il rapidissimo sviluppo di internet. L’antica arte dello scrivere lettere a mano venne riveduta e corretta in forma digitale. Comunicare da città, nazioni e continenti lontani divenne facile come un “click”. Senza biasimo potremmo sostenere che le persone iniziarono a comunicare più di quanto non l’avessero fatto le generazioni precedenti. Vent’anni fa, nessuno si sarebbe mai sognato di chiamare un amico in Sudafrica, sempre che non avesse avuto un secondo lavoro per potersi pagare la chiamata intercontinentale. Adesso invece si può usare Skype, e non soltanto per parlare, ma anche per vedersi a faccia a faccia (il che può essere una cosa buona oppure no, tutto dipende dal fatto che tu stia facendo o no colazione quando l’altro decide di chiamarti). Al giorno d’oggi la comunicazione attraversa le frontiere, i fusi orari e gli oceani. Apparentemente nessuno è mai irraggiungibile, non disponibile oppure offline. Paradossalmente, il nostro senso di immediatezza rischia di diventare un handicap. Lo sperimento in me stesso. Do8


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Introduzione

vendo preparare parecchi sermoni in una settimana, gestire la routine quotidiana di una piccola chiesa, scrivere libri e articoli e, non da ultimo, dovendo prendermi cura di una giovane famiglia, spesso mi ritrovo ad aver pochissimo tempo. Così quando arriva l’ora di pranzo, mi affretto verso la cucina, afferro un primo piatto congelato, concedendomi dieci minuti per mangiare. Mi dirigo verso il forno a microonde, ci butto dentro il cibo precotto e chiudo lo sportello. Imposto il timer su due minuti e premo “Start”. Tombola! la luce si accende e il piatto rotante inizia a girare. E poi aspetto. E aspetto. E aspetto ancora. Se sono dell’umore giusto e mi sento particolarmente paziente, aspetto altri trenta secondi dopo il bip. E finalmente, due minuti e mezzo più tardi, con un colpo deciso apro lo sportello. Quei due minuti e mezzo mi sono sembrati due ore e mezza. Non importa se i miei antenati per poter pranzare dovevano andare nel bosco, trovare un animale, ucciderlo, scuoiarlo, cucinarlo e, poi, mangiarlo. Sono impaziente: non riesco ad aspettare due minuti e mezzo perché il mio pranzo sia pronto! La mia irritazione con il forno a microonde non è altro che un sintomo della nostra generazione. Siamo impazienti, esigenti e insofferenti: impazienti con gli elettrodomestici, esigenti nei confronti delle altre persone e insofferenti anche verso Dio. La nostra vita di preghiera funziona più o meno come Gmail. Spediamo email dopo email e con ansia aspettiamo il “ding” che porta la soddisfazione di una risposta immediata. 9


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Un altro libro sulla preghiera? Due chiarimenti su ciò che questo libro non è. Non è l’ennesimo manuale sulla preghiera scritto da una persona che spende cinque ore al giorno in meditazione e che ha capito il significato profondo di “parlare con Dio”. Sarebbe ammirevole, ma non sono io. Non è neppure un libro sul come trovare l’illusorio equilibrio nella vita, facendosi crescere la barba, rinchiudendosi in un monastero e rinunciando ad ogni contatto con il mondo e la tecnologia. Questo libro è un viaggio insieme a persone reali, vissute ai tempi della Bibbia, che non scrivevano SMS, non pubblicavano Tweet, non avevano sempre in tasca il BlackBerry o l’iPad, ma che avevano imparato a comunicare con Dio in modo intimo ed efficace. Spero che la loro vita possa incoraggiare anche noi oggi e ravvivare il nostro amore per il Signore con insegnamenti spirituali dal valore eterno.

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Capitolo

UNO

NOTIFICA DI LETTURA Una storia dell’attesa

Fino a quando griderò, o SIGnorE, senza che tu mi dia ascolto? Io grido a te: «Violenza!» e tu non salvi. ABACUC 1:2 non mi è mai capitato di incontrare un giovane che fosse paziente. Andiamo tutti di fretta. non ci piace aspettare che la porta girevole rallenti per entrare. La pazienza difficilmente attecchisce e cresce in una società in cui non c’è mai tempo. Eppure, è una qualità essenziale che può svilupparsi solo con lunghi periodi di attesa. CHUCK SWINDOLL

DI TANTO IN TANTO nella mia casella di posta compare una email con la notifica di lettura allegata, una funzione che manda automaticamente un messaggio al mittente, comunicandogli che, sì, ho messo da parte tutto il resto per concentrarmi sulla tua importantissima missiva. Queste notifiche mi infastidiscono e non poco. È forse il bisogno morboso di avere tutto sempre sotto controllo? Oppure è semplicemente il mio orgoglio che dice: “Potrei leg11


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FEDE 2.0 gere l’email. Oppure no. Ma di certo non voglio farglielo sapere”. Così sappi che per me è una bella soddisfazione leggere il messaggio sullo schermo che mi propone di “inviare” o “non inviare” la notifica. Puoi immaginare che cosa scelgo. C’è però un tipo di richiesta di notifica di lettura che mi piacerebbe inoltrare. Peccato, però, che non esista. Mi piacerebbe richiedere una notifica di lettura a Dio. Non lo vorresti anche tu? Una piccola nota che dice: “Hai ascoltato la mia preghiera? E, in caso affermativo, gradiresti confermarlo cliccando su questa casella? Grazie mille, il tuo umile servitore, Dan”. Alcuni anni fa mia moglie Angela ebbe una serie sconcertante di problemi fisici. Per due anni la sua vita fu: visita da uno specialista, prenotazione di un esame, nuova visita dallo specialista, imbarazzanti “non-ho-idea-di-cosa-fare” dello specialista, nuovo farmaco e poi nessun sollievo. Quel brutto film continuava a ripetersi ancora, ancora e ancora, come se non arrivasse mai la parola fine. Le tenebre di quegli anni mi costrinsero a riflettere sul mio modo di pregare. Sappiamo che Dio ci ascolta. Sappiamo anche che Egli si prende cura di noi. Sappiamo, inoltre, che siamo importanti per Lui. Dopotutto, questo lo impariamo già il primo giorno di Scuola Domenicale. Ma dov’è il Signore quando ne abbiamo più bisogno? Perché si fa attendere? Quello che scoprii durante quel giro sulle montagne russe nel parco giochi dell’incertezza fu questo: non eravamo i primi cristiani che Dio faceva aspettare. Anzi, l’attesa è un tema riprodotto spesso nella vita di grandi uomini e donne che hanno svolto un ruolo da protagonista sul grande schermo delle Scritture. 12


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Notifica di lettura

Prendi ad esempio la famiglia di Abramo, il patriarca. Quali combattimenti lui e sua moglie dovettero sostenere per conciliare la sterilità di Sara con la promessa secondo cui Dio avrebbe piantato in casa loro il seme di una grande nazione? Lo stesso nome “Abramo”, datogli da Dio, significa “padre di una moltitudine”. Immagina la derisione dei suoi vicini, soprattutto in una cultura che attribuisce un’enorme importanza alla fertilità. Il valore di un uomo lo si pesava sulla base delle dimensioni della sua famiglia, quello di una donna sulla sua capacità di procreare. Eppur, ogni anno, per venticinque anni, questa grande promessa divina era disattesa. Venticinque anni di notti insonni e un senso di fallimento che rigava di lacrime le guance. Venticinque anni passati a rispondere alle domande di amici e familiari con un sorriso di circostanza e un’alzata di spalle. Questi due fedeli credenti, che avevano lasciato tutto ciò che avevano a Ur, loro città natale, per seguire il Signore, dovettero subire l’umiliazione di essere sterili. Il presunto “padre di una moltitudine” non aveva figli. E poi, finalmente, quando Abramo raggiunse l’età di cento anni e Sara di novanta, Dio rispose. Toccò il grembo di Sara e mantenne la Sua promessa. Nacque Isacco. Tre generazioni più tardi al pronipote di Abramo, Giuseppe, Dio parlò personalmente in sogno. Giuseppe all’epoca era molto giovane ed ebbe una serie di visioni. Capì che questi sogni erano una speciale chiamata di Dio per un ruolo di guida. Per Giuseppe era tutto così incredibile, ma per suo padre e i suoi fratelli non erano altro che le fantasie di un ragazzino viziato. Passarono tredici anni prima che Giuseppe vedesse la realizzazione di quei sogni. Durante quei tredici anni fu quasi ucciso dai suoi fratelli, venduto come schiavo in una 13


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FEDE 2.0 nazione straniera, mandato in prigione con la falsa accusa di stupro e dimenticato da un amico che gli aveva promesso di mettere una buona parola per il suo rilascio. Finalmente, quando sembrava che Giuseppe fosse destinato a finire i suoi giorni nella solitudine e nella vergogna, dimenticato da tutti, ecco la svolta. All’età di trent’anni, attraverso circostanze che soltanto Dio avrebbe potuto creare e guidare, il figlio, un tempo il preferito di Giacobbe, ascese alla posizione di comando promessagli molto tempo prima, divenendo il primo ministro egiziano. Quelle stesse corti reali infransero i sogni e le aspirazioni di un altro ebreo. Nonostante fosse principe nella casa del faraone, il cuore di Mosè ardeva a causa delle sofferenze del suo popolo, Israele. Come discendenti di Giuseppe, gli israeliti si erano stabiliti nella terra di Goscen e, generazione dopo generazione, si costituirono come una nazione nella nazione. La popolazione in continua crescita e l’influenza degli Ebrei sulla cultura egiziana furono viste dal nuovo faraone come una seria minaccia al trono. Egli rispose nell’unico modo che i dittatori, minacciati di perdere il proprio potere, conoscano: una pesante oppressione. Così Mosè abbandonò tutte le comodità del palazzo principesco e assunse il ruolo di liberatore. Avrebbe guidato il popolo contro la sua stessa famiglia reale. Ma quando Mosè mise in atto il suo piano, gli Ebrei rifiutarono la sua guida. Mosè fu infatti costretto a fuggire dall’Egitto nell’umiliazione e nella vergogna. Rimase quarant’anni in un posto nel bel mezzo del nulla, lavorando come pastore di pecore, prima che Dio adempisse il Suo proposito per la sua vita rimandandolo in Egitto per condurre Israele fuori dal paese di schiavitù. Dio elesse anche un altro conduttore del popolo d’Israele da remoti pascoli di pecore. Davide, in giovane età, era un anonimo pastorello che nutriva un amore speciale per il Si14


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gnore. Ma veniva trascurato dai suoi fratelli. Poi, un giorno, un uomo chiamato Samuele, profeta e sacerdote d’Israele, comparve sull’uscio della porta di casa di Iesse, padre di Davide. Guidato da Dio, aveva il compito di ungere il prossimo re d’Israele. Dopo aver passato in rassegna l’impressionante elenco degli eleggibili leader tra i figli di Iesse, senza ricevere alcuna approvazione da parte di Dio, Samuele chiese se ci fosse qualcun altro. Il padre timidamente accennò a un altro suo figlio. Il figlio dimenticato nei campi. Il figlio dello “speravoche-tu-non-me-lo-chiedessi”. Davide fu convocato quindi alla presenza di Samuele, il quale, guidato da Dio lo unse come futuro re d’Israele. Grandioso! e ora? Davide, ora te ne puoi tornare umilmente ai tuoi pascoli. Nessuna cerimonia d’incoronazione. Nessuna corona. Nessun trono. All’età di sedici anni, ciò che Davide non sapeva era che sarebbero passati altri quattordici lunghi anni prima che potesse vedere quella corona, quel trono, quella cerimonia. E quello era soltanto il trono di Giuda. Altri sette anni e mezzo sarebbero dovuti passare prima di poter regnare su tutto Israele. L’attesa non è un tema esclusivo della teologia veterotestamentaria. Mi ha sempre affascinato un argomento, tra gli insegnamenti di Gesù, che passa spesso sotto silenzio. Quando Gli veniva chiesto di dimostrare la Sua divinità, il Maestro rispondeva “l’ora mia non è ancora venuta” (Giovanni 2:4, 12:23). Egli resistette alla tentazione di rivelare Sé stesso immediatamente, sottomettendosi invece alla tempistica perfetta della volontà del Padre. Anche Paolo, il primo e più grande evangelista, fondatore di numerose chiese al mondo, dovette fronteggiare un lungo periodo d’attesa. Quando leggiamo il libro degli Atti degli 15


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FEDE 2.0 apostoli e la lettera ai Galati, che riportano la trasformazione di Paolo da nemico della croce a difensore della fede, spesso tralasciamo gli anni di silenzio, che intercorrono tra l’esperienza sulla via di Damasco e l’inizio del suo ministerio itinerante. Le Scritture non rivelano quali fossero i pensieri dell’apostolo Paolo durante quei momenti, ma posso immaginare questo ex-fariseo orgoglioso, ardere per l’attesa, bramando il giorno in cui avrebbe condiviso l’Evangelo con il mondo intero. Devi sapere che nessuno di questi fedeli credenti seppe aspettare con perfetta fiducia l’adempimento della volontà di Dio. La Bibbia non è una raccolta antologica di santi qualificati ma, al contrario, è una testimonianza di uomini e donne ordinarie la cui fede fu fortificata nel crogiolo della sala d’attesa divina. Proprio come noi, furono impazienti, tentarono di forzare la mano di Dio e spesso sbuffarono dovendo seguire il passo calmo della Sua volontà.

L’attesa: il DNA della fede Per circa cinquanta volte la Bibbia ci incoraggia ad aspettare pazientemente, perché l’attesa è il DNA della fede. La radice della parola ebraica “fede” implica “attendere con ardente aspettativa”. In altre parole: credere che, nonostante le avversità, Dio sarà fedele alla Sua promessa. Questo è un saper aspettare che comporta molto più che un pigro incrociare le braccia. Significa rimanere saldo nella tua integrità, nei tuoi valori e nella tua fede nel Signore, persino quando le circostanze sembrano provare che Egli si sbagli. Si tratta di un’attesa desiderosa che scorre nel profondo della nostra anima. Davide ne parla nel Salmo 27, scritto probabilmente durante gli anni d’angoscia che il futuro re visse fuggendo dalla folle rabbia di Saul. Nell’ultimo versetto Davide indica due 16


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Notifica di lettura

ingredienti indispensabili per una fede che sa aspettare: coraggio e forza. L’attesa rivela di che pasta siamo fatti, il coraggio di tener duro e stringere i denti anche quando la logica vorrebbe farci mollare. È questo che sviluppa i nostri “muscoli spirituali”. Chiedi a qualsiasi atleta professionista. Ti dirà che la resistenza non si raggiunge da un giorno all’altro (neppure nell’era degli steroidi e degli ormoni della crescita). La forza si acquisisce con il tempo, dopo giorni, settimane, mesi e anni di duri allenamenti. Leggi le biografie degli atleti di fama mondiale. Hanno tutte in comune le prime ore del giorno passate in palestra, lavorando, insistendo e sudando. I nostri anni di attesa sono la palestra di Dio, dove Lui forgia in noi un cuore sempre più forte. Questa crescita non può essere preparata al microonde, con un breve tempo di cottura, né completata alla velocità dell’Enterprise. Una fede durevole si ottiene attraverso una disciplina quotidiana, svolta giorno dopo giorno, nel costante e diligente esercizio della pietà (cfr. I Timoteo 4:8).

Lezioni apprese nella sala d’attesa divina Credo di aver trascorso un’intera vita nelle sale d’attesa, a causa delle numerose visite specialistiche di mia moglie e delle inevitabili visite dal pediatra per i miei bambini. Ogni volta sorrido per la comicità della scena. Di corsa usciamo da casa, saltiamo in auto e premo fino in fondo il pedale dell’acceleratore, ci fiondiamo nello studio medico… soltanto per sederci e aspettare. Meno male che tutti i nostri dottori sono abbonati a Sport Illustrated e newsweek. E comunque, se così non fosse, ho sempre il mio iPhone. Ciononostante, le sale d’attesa mi agitano al pensiero di quello che dovrei fare e non posso. Il viaggio di ritorno a casa 17


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FEDE 2.0 è sempre interessante. Angela ogni volta si deve sorbire le mie invettive contro l’istituzione medica che sembra sempre scontrarsi con i miei programmi di lavoro. Ho passato un tempo significativo anche nella sala d’attesa di Dio e, sebbene il materiale di lettura sia migliore (la Bibbia e dei buoni libri cristiani), la mia irrequietezza è sempre la stessa. Ricordo quando ero single, quante volte ho bramato avere l’amore di una moglie. Elencavo tutti i servizi che avrei potuto svolgere se soltanto Dio avesse affrettato la Sua “tabella di marcia” per il mio matrimonio. Eppure durante quegli anni, il Signore stava modellando il mio carattere e preparando una donna speciale, Angela, in arrivo dal Texas, passando per la Germania, per fermarsi a Chicago e diventare mia moglie (è una lunga storia, ma, se mai facessi tappa a Chicago, vienimi a trovare e ti racconterò il miracolo per intero). Forse oggi ti stai agitando nervosamente nella sala d’attesa divina. Forse perché sei alla ricerca di una soluzione a dei problemi di salute. Oppure per via dell’impossibilità di trovare lavoro in un mercato così chiuso. O nella speranza di incontrare il vero amore. Il motivo per cui ci troviamo in questa sala d’attesa è diverso per ciascuno di noi, nondimeno lo scopo di Dio è sempre lo stesso. Ho sempre trovato conforto nelle parole del semisconosciuto profeta Abacuc, vissuto ai tempi dell’Antico Testamento. Il suo grido angosciato: “Fino a quando?”, echeggia anche nel mezzo delle suppliche dei nostri cuori impazienti. Abacuc era un profeta, scelto da Dio, che si chiedeva quando il Signore avrebbe finalmente mantenuto le Sue promesse e avrebbe punito i malvagi e premiato i giusti. Le sue parole impazienti sembrano quasi lanciare una sfida all’Onnipotente: era in gioco la Sua stessa affidabilità. Le risposte del Signore sono come delle medicine per un cuore che brama ricevere speranza: 18


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Quando Dio è in silenzio, è in azione. Dio disse ad Abacuc: “Guardate fra le nazioni, guardate, meravigliatevi e siate stupiti! Poiché io sto per fare ai vostri giorni un’opera, che voi non credereste, nemmeno se ve la raccontassero” (Abacuc 1:5). Proprio nel momento in cui la preghiera di Abacuc si faceva disperata, il Signore stava suscitando l’armata babilonese come soluzione alla disubbidienza di Israele. Allo stesso modo, anche quando noi ci troviamo in questa sala d’aspetto, quando tutto sembra dirci che la Sua opera sia giunta a un punto morto, Dio è dietro le quinte e sta muovendo i personaggi e sistemando gli attori al posto giusto sul palcoscenico della nostra vita.

La soluzione di Dio spesso arriva da una fonte inaspettata. Il metodo scelto dal Signore per punire Israele era del tutto inatteso. Badate, i babilonesi erano ben peggiori di quanto non lo fossero gli israeliti stessi e, nonostante questo, rappresentavano la soluzione di Dio alla disubbidienza del Suo popolo. Nell’immaginario di Abacuc i babilonesi non potevano essere alleati dell’Eterno. Tuttavia, anche loro sarebbero stati giudicati dal Signore, non prima però di essere usati come strumento di giudizio contro il Suo stesso popolo. Che cosa possiamo imparare dalla risposta che Dio diede ad Abacuc? Molto spesso la soluzione ai nostri problemi arriva da una fonte inaspettata. Il Signore non è limitato dai nostri pregiudizi.

I tempi di Dio sono perfetti. Egli, in altri termini, dichiara al profeta (cfr. Abacuc 2:3) e anche a noi: “La mia volontà sarà eseguita al momento stabilito. Non prima. Né dopo. Se tarda, aspettala”. Il Signore non si affretta a rispondere per la nostra sollecitudine, né si fa impressionare dal nostro esigere subito una risposta. Lui opera regolandosi 19


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FEDE 2.0 con un orologio che non è mosso dalla frenesia del ventunesimo secolo.

Dio è degno di essere adorato, a prescindere dalle circostanze in cui ci troviamo. Mi piace molto la risposta di Abacuc a Dio: “Infatti il fico non fiorirà, non ci sarà più frutto nelle vigne; il prodotto dell’ulivo verrà meno, i campi non daranno più cibo, le greggi verranno a mancare negli ovili, e non ci saranno più buoi nelle stalle; ma io mi rallegrerò nel SIGNORE, esulterò nel Dio della mia salvezza. DIO, il Signore, è la mia forza; egli renderà i miei piedi come quelli delle cerve e mi farà camminare sulle alture” (Abacuc 3:17-19). Dovremmo porci queste domande: adoreremo il Signore nelle sale d’attesa della nostra vita? Oppure Lo loderemo soltanto dalla cima delle montagne? Può un operaio cristiano lodare Dio anche quando gli viene consegnata la lettera di licenziamento? Può un single lodare il Signore anche quando non c’è alcuna prospettiva di matrimonio? Può una coppia sterile lodare Dio quando non riesce a concepire? Può un pastore lodare Dio persino quando i fedeli abbandonano la comunità?

Aspettare è davvero nauseante, per una generazione abituata a ricevere risposte immediate, risultati veloci e gratificazione istantanea. Dobbiamo invece imparare a sottomettere i nostri cuori all’onnipotenza di Dio che ci impone di rallentare, perché l’attesa non è per niente tempo sprecato. L’attesa è l’essenza della fede che piace a Dio.

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Notifica di lettura

DOMANDE DI RIFLESSIONE

• • •

Se il Signore intervenisse domani cambiando la tua situazione, ciò ti aiuterebbe a fidarti maggiormente di Lui? Farebbe di Lui un Dio migliore? In che modo tento di affrettare i tempi di Dio? Questo mi aiuta? Oppure è un ostacolo?

APPROFONDIMENTI BIBLICI

• • • • • •

Abramo, Genesi 11-21; Giuseppe, Genesi 30-47; Mosè, Esodo 2, Atti 7, Ebrei 13; Davide, I e II Samuele; L’apostolo Paolo, Galati 2:1-10; Atti 9-28; Abacuc, Abacuc 1-3.

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