Titolo originale: Nothing Is Impossible with God Copyright © 2012 by Rose Marie Miller Published by New Growth Press, Greensboro, NC 27404 – U.S.A. All rights reserved. Edizione italiana: Nulla è impossibile con Dio © ADI-Media Via della Formica, 23 - 00155 Roma Tel. 06 2251825 - 2284970 Fax 06 2251432 Email: adi@adi-media.it Internet: www.adi-media.it Servizio Pubblicazioni delle Chiese Cristiane Evangeliche “Assemblee di Dio in Italia” Settembre 2015 - Tutti i Diritti Riservati Traduzione: a cura dell’Editore - A. W. Tutte le citazioni bibliche, se non indicato diversamente, sono tratte dalla Bibbia Versione Nuova Riveduta, Ed. 2006. Società Biblica di Ginevra - Svizzera Stampa: Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI) ISBN 978-88-98846-61-0
ADI Media
Indice
PREFAZIONE INTRODUZIONE PROLOGO
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Riscoprire l’Evangelo
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01. La mia testimonianza 02. La grazia del perdono 03. Custodire una buona coscienza
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Affrontare la perdita, trovare la vita
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04. 05. 06. 07.
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La morte sconvolge Vivere in esilio Allargare la tenda, allargare il cuore Perchè Londra? Perchè proprio io?
Imparare a pregare
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08. 09. 10. 11.
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Accedere al cospetto di Dio con la preghiera: Luca 11:1-13 Gemiti e gloria: Romani 8 Insegnare l’importanza della preghiera Pregare in sintonia con lo Spirito Santo
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PREFAZIONE
L’autrice di questo libro racchiude in poche pagine il racconto di una vita di servizio che ci lascia, tra le altre cose, un prezioso insegnamento e un raro esempio. La morte del marito, per molti anni pastore e missionario in Uganda, scuote la sua esistenza dalle fondamenta lasciandola inizialmente in uno stato di profonda prostrazione e incertezza. Ma con l’aiuto della preghiera, questa donna, pienamente consapevole della propria debolezza e ormai avanti con gli anni, decide di accogliere la sfida che Dio gli lancia e inizia a Londra una nuova opera di evangelizzazione e assistenza, in mezzo alle donne di origine asiatica. Pur essendo moglie di un servitore di Dio, deve imparare, passo dopo passo, ad accantonare i propri sensi di colpa, mentre il suo rigido senso del dovere e l’atteggiamento critico devono cedere il posto alla consapevolezza del perdono ottenuto in virtù della sola grazia del Signore. Nella sua esperienza diventa centrale proprio la consapevolezza del perdono ottenuto da Dio e, di riflesso, quello dovuto agli altri, a prescindere dalla rete di regole e obblighi in cui, di fatto, era imbrigliata la sua esistenza. La fiducia va stornata dall’impegno profuso e dalle proprie “prestazioni”, per orientarsi in direzione di un Dio giusto che ci riconcilia in Cristo. Soltanto così possiamo sfuggire dalle acque torbide di una spasmodica ricerca dell’approvazione umana. La voce dell’avversario, cupa e distruttiva, spesso rappresenta un rumore di fondo da cui non riusciamo a liberarci: 5
Nulla è impossibile con Dio
l’esortazione è quella di cambiare canale, trovare una nuova frequenza in modo da ascoltare la voce della speranza, della pace e della gioia, e quindi smettere di porgere l’orecchio a certe menzogne. Nelle chiese ci sono spesso delle “brave persone”, sanno che Dio provvede, guarisce, libera, salva, eppure non Lo conoscono come intimo compagno di vita, Colui che allarga la nostra anima sempre troppo angusta. Ma il Signore vuole spingerci fuori dalla nostra vita comoda (guarda caso è proprio ciò che noi chiediamo quotidianamente: un’esistenza tranquilla, senza scossoni, esente da problemi). Dio vuole farci uscire dal cerchio dei nostri interessi e anche del nostro dolore, per spingerci verso la vita degli altri. Certi eventi arrivano come una ruspa, la sola in grado di abbattere le nostre vecchie e fatiscenti costruzioni che cerchiamo costantemente di puntellare in tutti i modi. Il sentiero seguito dal Principe della vita passa per un cuore sgombero, arreso, spezzato: il Signore non può e non vuole fare per sempre lo slalom tra cumuli di cose vecchie, detriti di un passato che non passa, nella vita di persone che agiscono ancora da orfani e non da figlioli di Dio. Il vero problema è che facciamo fatica a lavorare in vista della venuta del regno di Dio per il semplice motivo che siamo tutti intenti a costruire il nostro. Interessante è l’esortazione a non vivere nel paese del “se soltanto…”. Già, spesso pensiamo che se soltanto fossimo più giovani, se soltanto avessimo una situazione economica migliore, se soltanto avessimo avuto una famiglia diversa, se soltanto il lavoro ce lo consentisse, allora la nostra vita cristiana sarebbe molto diversa, assai migliore. Certo, noi non sappiamo pregare come si deve, ma sappiamo gemere molto bene (anche se i gemiti dovrebbero essere dello Spirito e di tutt’altro tenore, come troviamo scritto nel capitolo 8 di Romani). L’autrice ci ricorda, inoltre, che dobbiamo vivere Dio come causa prima degli eventi della nostra esistenza, senza arrab6
Prefazione
biarci e incolpare gli altri delle varie circostanze. Bisogna chiudere due porte: una che si apre con nostalgia verso il passato e l’altra che guarda al futuro idealizzandolo. Dobbiamo evitare ai nostri pensieri di impigliarsi negli ingranaggi delle cause seconde del tipo: “Se l’avessi fatto diversamente, se non mi fosse capitata quella cosa, ecc.”. La tentazione è quella di far dipendere ogni cosa da cause ed effetti terreni. Ma noi dobbiamo guardare in alto. Noi riusciamo a scorgere a malapena un palmo dello spazio e uno scorcio del tempo. Sottomettersi totalmente a Dio porta un grande sollievo. Non accontentiamoci di vivere cercando soltanto premi minori, traguardi effimeri, perdendo di vista il grande premio che è la comunione con Dio stesso. Il Signore vuole che spezziamo le catene dei desideri egoistici imparando a conglobare le nostre richieste e prospettive nel ben più vasto piano di Dio, esattamente come Anna, la mamma di Samuele, la quale chiede un figlio, tanto desiderato, con il pensiero di farne dono direttamente a Dio. Siamo chiamati a collaborare con il Signore in vista della Sua causa. Ogni battito di preghiera quaggiù vibra fino al trono di Dio e la preghiera sincera, afferma Rose Marie Miller, sposta le montagne della nostra vita. Il nostro cuore è incline alla prudenza, tende a proteggersi e ad avere il controllo delle varie circostanze, ma noi dobbiamo abbracciare Cristo come nostra unica speranza. La preghiera inizia con la nostra debolezza (questa è l’essenza della preghiera), soltanto così siamo spinti a bussare alla porta di Colui che dispone di ogni cosa. Dobbiamo imparare a collegare la nostra debolezza con la potenza del cielo, esattamente come si usa fare con i cavi che collegano le batterie di due automobili, e partire. L’Editore
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INTRODUZIONE
Mia madre ha scritto un bel libro sul corso della sua vita dopo la chiamata a casa di papà nel 1996. Eppure, il libro sicuramente migliore è quello che posso leggere ogni giorno – è la sua vita stessa. Paolo scrive ai Corinzi: “È noto che voi siete una lettera di Cristo …” (II Corinzi 3:3). Mi piace chiedere alla gente: “Quante donne di ottantasette anni lavorano quasi a pieno tempo come missionarie in mezzo agli Indù nel cuore di Londra?”. Quando si trova nella capitale britannica - se non è stata richiamata in patria per qualche matrimonio, a seguito di qualche nascita o per problemi di visto - serve in continuazione il Signore, incontrandosi regolarmente con donne asiatiche per parlar loro di Gesù. Le piace forse più di qualsiasi altra cosa. E c’è dell’altro. La mamma non soltanto lavora a Londra, ma comunica regolarmente con la sua famiglia di cinque figli, ventiquattro nipoti e venti pronipoti. È già di per sé un lavoro a pieno tempo cercare dei regali di compleanno per questa popolosa tribù. Oltre a tutto ciò, è anche un’avida lettrice. Qualche anno fa, mi ha fatto conoscere la narrativa indo-inglese. Per esempio, non sapevo neppure che cosa fosse il “Premio Man Booker” prima che mamma mi dicesse: “Paul, devi proprio leggere Brick Lane; è nella rosa dei candidati per il Premio Man Booker”. Come? Quanti figli di mezza età sono tenuti informati delle avanguardie culturali dalla propria madre ultraottantenne? 9
Nulla è impossibile con Dio
Non soltanto questo, ma la mamma ha mantenuto una o forse due dozzine di rapporti d’amicizia con donne che condividono con lei la loro vita. Una di queste amiche, Sandy Elder, ha detto questo a proposito della mamma: “Io e la mia amica Shirley ci diciamo spesso che, a prescindere dalla differenza di età, nel nostro caso di circa trent’anni, lei potrebbe sembrare una nostra coetanea. Con questo intendiamo che quando gli confidiamo qualunque cosa con cui lottiamo nella nostra vita, lei ha questo modo meraviglioso di rispondere: ‘Oh, sorelle, credetemi, anch’io lotto con la medesima cosa nel mio cuore; quindi pregate anche per me mentre io prego per voi’. E noi sappiamo per certo che lo fa. Lei è anche una delle poche donne che conosco attraverso le cui testimonianze e insegnamenti si apprezza quando sia reale lo Spirito Santo. Suppongo che sia perché lei dipende veramente da Cristo per mezzo dello Spirito”. La mamma riscopre e rivive continuamente l’Evangelo. Combatte costantemente per uscire dalle nebbie di una quotidianità scialba e raggiungere l’aria limpida dell’amore di Dio. Il suo morale si solleva quando qualcosa tratto dalla Parola ciba la sua anima. Un’altra amica, Sandy Smallman, ha detto questo a proposito della mamma: “Sono sempre incoraggiata e benedetta dal cuore cristiano ‘irrequieto’ di Rose Marie - irrequieto, ovviamente, in senso buono. Non accetta mai di essere una credente statica, contenta di qualche benedizione qua e là. Esige di più. Vuole di più da Dio, più coinvolgimento nel Suo servizio, più partecipazione della Sua pace e gioia. Mi chiede spesso di pregare affinché non si allontani dalla sua devozione pura e semplice rivolta a Cristo. Lo dice così di frequente che per me è diventata una sorte di mantra. Spesso lei aggiunge che chiede a Dio in preghiera la stessa cosa anche per me”. Quella di mamma è stata una vita immersa nella Parola, e sta raccogliendo il frutto della fede. La vita di ognuno di noi 10
Introduzione
ha una traiettoria precisa; tutti ci troviamo continuamente a seminare e a mietere. Nella vecchiaia tuttavia c’è una maggiore enfasi sulla mietitura. È il periodo della vita in cui, per citare Gesù: “Si rivelano le cose nascoste”. Se dovessi riassumere la vita di mamma, direi: “Nelle battaglie della vita, si è immersa ancora di più nella Bibbia e nella comunione fraterna, alimentando la sua fede e fortificando il suo amore”. Facile da dire; difficilissimo da fare. Mi tiene spesso informato dei retroscena della sua vita; contraddistinta da una costante attitudine al perdono, è volta all’arrendimento della propria volontà, all’attesa di Dio, alla lotta contro lo scoraggiamento, e a tante cose straordinarie da compiere in giornate assolutamente ordinarie. L’esempio di mia madre ha cambiato il pensiero di mia moglie Jill riguardo al mio pensionamento: mi ha informato che non andrò in pensione! Non ci pensa neppure. Ha confrontato la vita della mamma con quelle dei cristiani che avevano tirato il freno a mano ed erano finiti in un narcisismo di basso livello; non voleva trovarsi in una situazione simile. La vita del pellegrino è troppo avvincente. Il libro dei Proverbi la fotografa molto bene: “Il sentiero dei giusti è come la luce che spunta e va sempre più risplendendo, finché sia giorno pieno” (Proverbi 4:18). Perché vi sto raccontando tutto questo? Qualcuno disse, tempo fa, che il segreto per leggere i libri di John Piper è sentirlo predicare il libro mentre lo stai leggendo; soltanto allora prende vita. Bene, il segreto per leggere il libro di Rose Marie è vederla vivere ciò che scrive. Quando dunque t’incoraggia a credere (giacché tutto questo libro parla della fede), ricordati che lei è una donna che crede. Quando t’incoraggia a pregare, ricordati che lei è una donna che prega. Goditi il libro. Impara dal libro (alimenterà la tua fede). Trova gusto nell’osservare la mamma che miete quanto seminato nella sua vita. Trova gioia 11
Nulla è impossibile con Dio
nella traiettoria della sua esistenza. Ricordati che il vero “libro” sta servendo il Signore a Londra tra le donne indù. Paul E. Miller
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PROLOGO
Un giardino serrato Nulla è impossibile con Dio. Lo avevo sempre sentito dire un sacco di volte, ma per molto tempo non sembrava trovare alcuna applicazione nella mia vita. Per molto tempo avevo tenuto il Signore a debita distanza, elevando mura di autoprotezione e indipendenza. Dicevo di essere una cristiana, ma la mia esistenza dichiarava soprattutto una cosa: “Ce la faccio senza Dio”. Quando arrivava una crisi, le mura s’innalzavano ancora di più. Poi venne il giorno in cui non mi bastava più costruire delle mura e mi rimase solamente un pensiero: “Non credo che Dio esista, oppure, se esiste, Egli è una nuvola nera sopra la mia vita - una nuvola di paura, colpa, condanna e solitudine”. Ma nella caligine di questa nuvola, Dio parlò, non con una voce udibile, ma con parole vivificanti. Il Signore, per cui nulla davvero è impossibile - neppure cambiare la moglie di un pastore moralista e indipendente che cercava disperatamente di tenere tutto sotto controllo - mi diede Sé stesso. All’inizio degli anni settanta, fu chiesto a mio marito Jack, pastore e professore all’istituto biblico, di parlare sul discepolato a un gruppo di persone che volevano capire “come funziona”. La sede della conferenza era un auditorio a un’ora di strada da casa nostra. Ci andai di malavoglia, soltanto per un senso di dovere nei confronti di Jack e perché avevamo un ospite a casa 13
Nulla è impossibile con Dio
nostra. Di solito era bello viaggiare nella campagna di Bucks County; quindi pregustavo la gita. Il mio viaggio tuttavia fu rovinato non soltanto dal mio atteggiamento ma anche dal fatto che la persona che ci accompagnava non faceva altro che parlare di sé. Quando arrivammo, ero davvero scocciata. Non ero pronta a imparare nulla da Dio. L’edificio era antiquato, tipico della zona, con gradinate di cemento verniciate di bianco. Scelsi di sedermi in alto, lontana dalla maggior parte della gente. Avevo già deciso che non avrei comunque imparato niente di utile, e volevo stare da sola. In quel momento di malcontento, queste parole mi vennero in mente con tranquillità e dolcezza: “O mia sorella, o sposa mia, tu sei un giardino serrato, una sorgente chiusa, una fonte sigillata” (Cantico dei Cantici 4:12). Il mio primo pensiero fu: “E questo da dove viene?”. Consultai la chiave biblica nella mia Bibbia, e trovai questo versetto nel Cantico dei Cantici. Fui colpita dall’immagine del giardino serrato. Guardai indietro nella mia vita considerando tutte le volte in cui mi ero sentita proprio così – chiusa o forse rinchiusa. I miei genitori erano immigrati dalla Germania. Imparare a vivere in un paese straniero dove tutto era diverso, perdere il denaro faticosamente accantonato durante il periodo della Depressione e affrontare le difficoltà di allevare mia sorella, mentalmente ritardata, avevano generato in mia madre delle grandi amarezze. Col tempo, fu sopraffatta dai pesi, e per la disperazione cercò di togliersi la vita. Un giorno, quando avevo circa tredici anni, ero sola in casa con mia madre quando sentii puzza di gas. Corsi in cucina e la vidi con la testa nel forno. Con il cuore in preda alla paura, chiusi il gas, la allontanai dal forno e aprii tutte le finestre. Singhiozzavo mentre telefonavo a mio padre nel suo garage a San Francisco per chiedergli di correre a casa. Da quel giorno in poi, io e mio padre non parlammo mai di quello che era accaduto, ma il nostro tacito accordo era che 14
Prologo
avremmo fatto il possibile per tenere la mamma a casa e impedirle di togliersi la vita. Non poter parlare di quello che succedeva mise sotto chiave le mie emozioni. Sapevo che qualcosa andava veramente male ma non sapevo esprimere i miei sentimenti. Decisi di scrivere alcune righe a mia madre lasciandole un foglio sul tavolo in cucina. Stranamente, non ricordo cosa scrissi. Mia madre lo mostrò a mio padre che mi chiese, in modo severo, perché avessi scritto quelle cose. Mentii e dissi: “Stavo provando la mia matita. Ho messo nero su bianco alcune frasi ma non pensavo realmente alle cose che ho scritto”. Provai a cavarmela in questo modo. Mio padre si arrabbiò e mia madre fu ferita. Passarono molti anni prima che arrischiassi nuovamente a esprimere i miei sentimenti. Ben presto, mia madre presentava i classici sintomi della schizofrenia. Di nuovo, io e mio padre non accennavamo a mai questa faccenda. Non sapendo come affrontare la vergogna della situazione, prendevo le distanze dalle mie emozioni, pensando che ciò che non mi coinvolgeva da vicino non avrebbe potuto farmi del male. Ecco i ricordi che si affollavano nella mia mente mentre continuavo a leggere il Cantico dei Cantici quel giorno nel Bucks County. “I tuoi germogli sono un giardino di melagrani e d’alberi di frutti deliziosi, di piante di cipro e di nardo; di nardo e di croco, di canna odorosa e di cinnamomo, e di ogni albero da incenso; di mirra e d’aloe, e di ogni più squisito aroma” (Cantico dei Cantici 4:13, 14). Mi chiedevo se le parole di Salomone potessero in qualche modo alludere alla mia situazione. Ero un giardino serrato pieno di spezie e frutti deliziosi? Io potevo essere, in realtà, “una fontana di giardino, una sorgente d’acqua viva” (4:15)? Tutto ciò di cui questo giardino poteva necessitare era già stato provveduto. Dio mi stava forse presentando un quadro della mia vita? Non mi sembrava possibile. 15
Nulla è impossibile con Dio
Soltanto in rare circostanze ho realizzato con certezza che Dio stava parlando nel profondo del mio cuore. Questa fu una di quelle volte. Ero seduta su quella panca, una fallita scontenta e moralista con tante emozioni rinchiuse dentro di me. Sapevo che Dio, per così dire, apriva la serratura per mostrarmi un quadro del tutto nuovo di me stessa. Dove io scorgevo marciume ed erbacce, Egli vedeva frutti e spezie. Dove io intravedevo fango e melma, Egli vedeva una fontana, una sorgente di acqua viva e ruscelli che scorrevano. Una gioia tranquilla cominciò a inondare la mia anima. Sì, i venti avrebbero soffiato, ma gli aromi si sarebbero spansi. “Sorgi, vento del nord, e vieni, vento del sud! Soffiate sul mio giardino, perché se ne spandano gli aromi!” (Cantico dei Cantici 4:16). Nel mio stato di scoraggiamento, stavo per imparare che nulla è impossibile con Dio. Affinché gli aromi si spandessero dal giardino, doveva soffiare il vento del nord. Negli anni a seguire, il vento soffiava al punto che perdevo spesso di vista il piano e il proposito di Dio. Poi veniva il dolce vento del sud che mi dava il coraggio di continuare dopo la tempesta. Il passo termina con le parole: “Venga l’amico mio nel suo giardino e ne mangi i frutti deliziosi!”. Ci sarebbero state tante occasioni negli anni a venire in cui avrei resistito alle iniziative di Dio, ma quando finalmente entrava - come faceva regolarmente - i frutti maturavano, gli aromi si diffondevano e l’acqua scorreva limpida. Quello che Dio cominciò a insegnarmi quel giorno era che Egli aveva davvero compassione di me. Mi conosceva più di quanto non mi conoscessi io. Mi vedeva in un modo in cui io non riuscivo a vedermi. Dalla Sua prospettiva, c’erano molto più bellezza e speranza rispetto alla mia. Questo libro racconta come Dio mi ha educato e fatto maturare nel corso degli anni - come Egli ha saputo compiere in 16
Prologo
me qualcosa di apparentemente impossibile. È una raccolta di meditazioni personali, estratti dal mio diario, sunti di conferenze e studi biblici che ho scritto nel corso degli anni. Messi tutti assieme illustrano ciò che il mio Caro Gesù ha compiuto nel mio cuore, lungo il corso di tutta la mia vita. Quando Dio cominciò ad aprire il giardino del mio cuore, m’invitò a partecipare alla Sua missione di rendere questo mondo, guastato dal peccato, la preziosa eredità di Suo Figlio. I compiti assegnati non sono stati facili, ma amo il mio Giardiniere e confido in Lui, sono quindi sempre piena di gioia di fronte alla prospettiva di collaborare con Lui. Egli è davvero il Dio dell’impossibile. Forse, come me, sai tante cose vere a proposito di Dio ma non Lo conosci davvero né gusti il frutto del giardino che Egli ha piantato nel tuo cuore. T’invito a permettere al Signore di aprire anche il tuo cuore. Che le cose che Dio mi ha insegnato possano fluire nella tua vita e incoraggiarti a permettere al Sommo Giardiniere di venire a compiere in te ciò che è letteralmente impossibile.
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Riscoprire l’Evangelo Quando Dio s’incontrò con me nell’ultima fila di quel piccolo auditorio, non mi rendevo conto delle implicazioni del soffio del “vento del nord”. Sapevo soltanto che il Signore mi capiva. Egli sapeva, tuttavia, che al centro della mia vita ci doveva essere Lui, ciò che doveva essere per me e non ciò che Lui poteva fare, il Dio per cui nulla è impossibile: dovevo sapere esattamente questo. All’epoca, la mia vita era incentrata su me stessa: su quello che potevo e non potevo fare. Ero impegnata nella costruzione del mio regno personale. Non comprendevo che tutto riguarda Dio e il Suo regno. Negli anni successivi Dio smantellò la mia forza. Con pazienza, abbatté le mura della mia ricerca di approvazione, demolì le pareti dei miei sensi di colpa, fece a pezzi la pretesa di fare pace alle mie condizioni, e di evitare i conflitti. Mi allargò il cuore per credere e avere fiducia nel Suo piano, non soltanto per la mia vita e la famiglia che mi era stata donata, ma nell’ottica ben più ampia di manifestare la Sua gloria tra le nazioni. Lo Spirito Santo era già all’opera nella vita di Jack nei primi anni ‘70. Mio marito era stato toccato dalla potenza dell’Evangelo: si sentiva un peccatore indegno e la Parola di Dio lo stava rinnovando giorno dopo giorno. Tutto ciò lo indusse nel 1973 a fondare la New Life Presbyterian Church. Sei anni più tardi, decidemmo di fare un viaggio missionario in Uganda. Fummo invitati da un responsabile cristiano evangelico fuggito dal 19
Nulla è impossibile con Dio
paese durante il regime di Idi Amin e che aveva frequentato la nostra chiesa New Life. Una volta tornato a casa, ci chiese di venire ad aiutare a restaurare la chiesa e il paese. Il Signore benedì il viaggio in modo potente e non privo di emozionanti esperienze. Quando ritornammo negli Stati Uniti con le buone notizie di quello che Dio stava compiendo, molti giovani vollero venire con noi. Jack tuttavia si rese conto che lo zelo missionario non sarebbe bastato. Disse a quelli che lo volevano seguire: “Troverete la depravazione negli altri e in voi stessi. L’unica cura è la potenza dell’Evangelo. Dovete esserne profondamente convinti nel cuore”. Jack cominciò a insegnare a queste persone le cose spirituali di cui avrebbero avuto bisogno in vista di questo impegno. Evidenziava che era necessario vivere da figli e figlie di Dio, non da orfani. Mentre nostro figlio Paul ascoltava questi seminari, raccoglieva i vari spunti da cui in seguito avremmo tratto una serie di studi cui decidemmo di dare un titolo ben preciso: “Figliolanza”. Così nacque un corso per studenti e insegnanti. Quello che stai per leggere sono le tre conferenze che tenevo abitualmente nell’ambito del corso “Figliolanza” durante i primi anni. Raccontavo la mia testimonianza, parlavo del perdono come stile di vita e condividevo l’importanza di tenere la coscienza pulita davanti a Dio. Includo queste lezioni nel libro per trasmetterti quello che ho imparato durante quegli anni e che rappresenta, tra l’altro, il fondamento di tutto ciò che è accaduto in seguito. Nessuno arriva mai al punto in cui le vecchie abitudini peccaminose non si riaffacciano più, ma il corso “Figliolanza” evidenzia che è possibile crescere nella grazia quando riconosciamo, confessiamo e rinunciamo al peccato. Come ho avuto modo di scoprire, Dio si serve di questo per mandarci nel mondo ed esaltarLo tra le nazioni. Spero che queste conferen20
Riscoprire l'Evangelo
ze ti possano incoraggiare e permettere al Sommo Giardiniere di continuare la Sua opera nel tuo cuore.
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01.
La mia testimonianza Se qualcuno mi avesse detto anni fa che avrei parlato della vita nella libertà dell’Evangelo, avrei riso. Sono cresciuta in una famiglia che sapeva pochissimo sulla libertà e molto sul controllo. I miei genitori erano immigrati tedeschi, e l’aspetto più rilevante della nostra vita era la schizofrenia paranoica di cui soffriva mia madre. Accusava ognuno che veniva a casa nostra di essere una spia; perciò, la gente smise di visitarci. Quando mangiavamo fuori, accusava gli altri clienti di spiarla. La nostra famiglia divenne solitaria e isolata, concentrata sulla priorità di impedire a mia madre di togliersi la vita. In quegli anni credevo in Dio, ma non ero per niente sicura che Egli fosse particolarmente interessato ai nostri problemi. Credevo che Gesù fosse venuto a morire per i peccatori, ma poiché non mi consideravo particolarmente peccatrice, questo non aveva molto effetto su di me. Andavo comunque in chiesa la domenica, e lì incontrai mio marito Jack. Quando ci sposammo, fui liberata dal peso quotidiano di assistere incessantemente mia madre. Grazie alla fede appassionata che vedevo riflessa in Jack cominciai a capire che il Signore si prende davvero personalmente cura della nostra vita. Per la prima volta, mi sentivo al sicuro. Dio era buono.
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Una vita legalistica Questi cambiamenti rappresentavano una svolta radicale rispetto a ciò che avevo conosciuto a casa, ma sotto molti altri aspetti non ero per nulla cambiata rispetto alla ragazza del passato. Jack aveva una tale passione per Gesù e per la potenza della Parola di Dio da non accorgersi che l’Evangelo non era la mia teologia di base. La mia teologia era il moralismo e il legalismo - una religione fatta di doveri, regole e autocontrollo messi in atto attraverso gli sforzi della volontà umana. L’obiettivo era l’autogiustificazione, non la giustificazione per fede in Cristo offerta dall’Evangelo. Tuttavia, come potrebbero confermare molte persone, il moralismo e il legalismo possono “spacciarsi” per cristianesimo, almeno in apparenza, quando tutto va bene. Soltanto quando vengono le crisi scopriamo che non abbiamo un fondamento su cui poggiarci. Dio si servì proprio delle crisi per rivelare nel mio cuore il vero bisogno di Lui. Mentre Dio era all’opera nella sua vita, Jack si dedicava sempre più al ministerio. Pensavo di aver sposato un futuro professore universitario ma Jack decise di diventare ministro di culto. Difatti, divenne pastore, fondatore di chiese, insegnante di Scuola Biblica ed evangelista. Voleva sempre che io collaborassi con lui nel ministerio, e cercavo di assecondarlo, ligia al dovere. Si trattava tuttavia di ubbidienza superficiale; non condividevo tutte le lotte nel mio cuore e questo creava un risentimento nascosto nella mia relazione con Jack e con Dio. La mia crisi avvenne nei primi anni ‘70. Dio operò un profondo risveglio nella vita di Jack e infondendo in lui una fiducia assoluta: l’Evangelo sarebbe stato in grado di cambiare chiunque. Tradotto in pratica, questa profonda certezza interiore lo spinse a ospitare nella nostra grande casa a tre piani, nella periferia di Philadelphia, dei giovani con vari problemi. Queste 24
01. La mia testimonianza
persone avevano un disperato bisogno d’aiuto; erano tossicodipendenti, profughi, persone uscite da ospedali psichiatrici ed ex-membri di bande di motociclisti. Abbiamo visto alcune conversioni drammatiche, e la New Life Presbyterian Church nacque dai semi di quest’opera. Nel nostro ministerio verso queste persone difficili il ruolo di Jack era di annunciare e rappresentare la grazia di Dio. Condivideva l’Evangelo con ognuno di loro. Io ero la legge, materna ma decisa e risoluta. Ce n’era bisogno. Alcune di queste persone erano particolarmente problematiche e ci volevano delle regole precise per cercare di tenerle sotto controllo. Durante questo periodo, però, io ero sempre più un enigma agli occhi di mio marito. Mi diceva quanto ero capace e quanto efficace stava diventando il mio servizio, ma questo mi faceva solamente sentire in colpa. Dovrei dire ancora di più in colpa poiché, di fatto, la mia vita si svolgeva già sotto una densa nuvola nera. Perfino le bellissime conversioni che avvenivano nella nostra casa e le nuove vite che fiorivano non mi davano una gioia duratura. Non importava quando bene andassero le mie cose; sentivo sempre che avrei dovuto fare di più. Potevo vedere innumerevoli imperfezioni anche nelle cose migliori che facevo. Infatti, l’opinione che avevo di me stessa mi portava a credere che non avrei mai potuto fare qualcosa di veramente utile. Mi ricordo un’esperienza che illustra adeguatamente il mio atteggiamento. Negli anni ‘60, Jack riceveva ogni anno l’invito per parlare ai fine settimana evangelistici “Skis and Skeptics” (Sci e Scettici) nelle montagne Pocono. Jack affrontava questi eventi con il suo consueto entusiasmo, cercando seriamente di portare ogni scettico a Cristo. Ed io? A me piaceva sciare, e la sera salivo alla chetichella in camera con il mio romanzo preferito di Agatha Christie sotto il giaccone. Mentre giù nel rifugio Jack lottava per la vita degli scettici, io risolvevo gli enigmi di 25
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Agatha al caldo sotto le coperte. Soltanto lo sci e Agatha rendevano questi fine settimana sopportabili. A dire il vero, pregavo che non arrivassero questi inviti in modo che io non fossi costretta ad andarci. Non trovavo dentro di me la saggezza e la compassione necessarie per iniziare un dialogo con questi studenti universitari. Mi sembrava di non avere niente da offrire a nessuno. Mi sembrava di conoscere a malapena Cristo come una persona vera. Più ci pensavo, più mi bloccavo. Che cosa dire? Come dirlo? Quando dirlo? E poi, dopo, “l’ho detto nel modo giusto?”. Era difficile raccontare a Jack i miei pensieri. Mi lamentavo spesso con lui: “Non mi ascolti”, ma tutto quello che gli facevo ascoltare erano problemi - i miei e quelli delle persone che vivevano a casa nostra. Peggio ancora, mi aspettavo che Jack agisse come lo Spirito Santo e mi risolvesse questi problemi. Mi aspettavo che Jack rendesse sante le persone che vivevano con noi, e che mi rendesse felice. Jack, per parte sua, non ascoltava le lotte più profonde del mio cuore. Le pressioni montavano dentro di me fino a luglio 1974 quando andammo in vacanza in Tennessee. Una sera mentre camminavamo lungo il lago, sbottai: “Mi sembra di camminare sotto una nuvola nera. Dio sembra molto lontano, e non so neppure se credo alla Sua esistenza”. Fino a questo punto Jack riusciva di solito a rispondere prontamente, ma quella volta rimase in silenzio, scioccato.
Un’altra giustizia Non appena tornammo a casa, Jack mi diede una copia dell’introduzione al commentario di Martin Lutero sull’Epistola ai Galati. Lessi: “Nella giustizia della fede … non operiamo niente, non rendiamo niente a Dio, ma riceviamo soltanto, e per26
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mettiamo a un altro, cioè a Dio, di operare in noi”.1 Ero pronta a sentir parlare di un’altra giustizia disponibile per me e non delle mie opere per ottenerla. All’epoca viveva con noi un giovane attraente e colto che eludeva e resisteva a tutti i nostri sforzi per fargli assumere delle responsabilità in casa. Riuscivo a perdonare le illustrazioni viventi di Romani 1 che avevamo ospitato in precedenza, ma non potevo perdonare le pretese di questo tizio che voleva essere servito dalla “a” alla “z”. Il legalismo può fare molto, ma non ti può aiutare ad amare. Notavo chiaramente che odiavo le circostanze in cui mi trovavo e le persone che non riuscivo a controllare. Mi sentivo veramente in colpa, e avrei voluto che qualcuno mi donasse il desiderio e la facoltà di amare, ma non sapevo cosa fare per realizzare questo desiderio. Un anno più tardi, durante un convegno in Svizzera, il Signore mi disse chiaramente quello che avrei dovuto fare. Jack parlava a un convegno sulle relazioni in famiglia ed io scelsi un giorno di sole per andare a sciare. Scelsi anche la pista - ben oltre le mie capacità di sciatrice. Percorsi appena tre metri, caddi rovinosamente e perdetti uno sci. Sarei potuta tornare indietro e scendere dalla montagna con la cabinovia, ma non lo feci. Per due ore tentai di sciare fino in fondo, cadendo, ruzzolando e rialzandomi in continuazione lungo tutta la pista. Quando tornai in albergo, stanca e dolorante, m’infilai in una vasca calda. Come il solito, me la presi con Dio. Non dipendeva forse da Lui quella magra figura che avevo fatto davanti a tutti? Dopotutto, Egli sapeva quanto era ripida quella pista. Avrebbe potuto impedirmi di andarci!
1.
Martin Lutero, A Commentary on Saint Paul’s Epistle to the Galatians (Grand Rapids: Baker, 1979), xxiv. 27
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Il Signore, però, aveva qualcosa di meglio per giustificarmi rispetto al mio solito repertorio di scuse sempre pronte. Domenica mattina, durante un culto di Santa Cena, Jack ruppe un grande pane francese per poi distribuirlo. Nel sentire il rumore del pane spezzato, vidi all’improvviso la vita di Gesù spezzata proprio per me. Il mio moralismo, l’orgoglio e l’inguaribile presunzione furono allo stesso tempo messi a nudo e coperti. Compresi finalmente ciò che la Parola di Dio asseriva con grande enfasi: la giustizia di Gesù cancellava tutta la mia iniquità. Che cosa dovevo fare per riceverla? Semplicemente, accettare la Sua opera nella mia vita. Mentre ero seduta con le lacrime che mi rigavano il viso, vidi la discesa da quella pista impegnativa come un’immagine desolante del mio passato d’ipocrisia e autosufficienza. Fui colpita dal fatto che non ero stata costretta a scendere dalla montagna in quel modo. Avrei potuto godermi una tazza di tè nel rifugio in quota e tornare a valle con la cabinovia, riconoscendo candidamente che quel percorso non era alla mia portata. Vidi improvvisamente il mio passato come una lunga teoria di sforzi che avevano prodotto alcune “cose buone” ma che mi lasciavano sostanzialmente incapace di affrontare l’insuccesso o la sconfitta. Ora comprendevo che potevo rivolgermi a Cristo e chiedere il Suo perdono; la Sua giustizia avrebbe coperto ogni cosa. Tutte le mie scuse si dileguarono, e accettai l’opera perfetta di Cristo come l’unica cosa di cui avevo effettivamente bisogno. Tutta la mia auto-giustizia mi rendeva spiritualmente paralizzata, ma la giustizia di Cristo portò pace, ristabilì la mia salute spirituale e restaurò ogni dettaglio della mia vita. Dio stese la mano sulla mia esistenza travagliata e si occupò del mio peccato, dal fondamento. Prima di questo, il mio pensiero era centrato sul fallimento o il successo in ambito morale, non certo sul peccato e la grazia. Consideravo il peccato come un insuccesso di ordine 28
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sociale da parte mia o nella vita degli altri. Mi sentivo condannata di fronte a queste sconfitte, ma quando le cose non andavano come avrei voluto, mi difendevo attribuendo la colpa agli altri. Cercavo di mettere a posto la mia coscienza impegnandomi nel lavoro e nell’adempimento dei vari doveri. Volevo sempre che Dio aumentasse la mia forza e migliorasse la mia già buona (secondo me) reputazione. Ora, finalmente, mi rendevo conto che sebbene io non potessi amare, Cristo aveva amato per me. L’unica reputazione importante era quella di Cristo, la Sua vita di ubbidienza e la Sua morte per i miei peccati. Fino a quel momento, non avevo mai visto, e tantomeno ammesso, che da sola io non avrei mai potuto avere né forza né giustizia. Ora però avevo portato i miei peccati ai piedi di un Salvatore reale, ed ero stata completamente perdonata. Sapevo di essere amata in modo incondizionato da un Dio santo e giusto. Quale meraviglioso soccorso mi veniva era offerto dalla grazia del Signore in Cristo Gesù! Per la prima volta, il mio cuore era in pace con Dio ed io ero in pace con me stessa. Quando tornammo a casa, il messaggio della giustificazione per fede iniziava a suscitare in me un proposito vero e un senso d’identità, sia nel mio matrimonio sia nell’ambito del servizio per il Signore che ero chiamata a svolgere assieme a Jack. Finalmente avevo compreso che eravamo collaboratori per il progresso del Vangelo. Ora potevo parlare con certezza della potenza della Parola di Dio, in grado di scacciare le nuvole nere del senso di colpa che incombono sulla vita di ogni uomo: lo aveva fatto per me! Cominciai a studiare seriamente la lettera ai Galati. Quando ci prendevamo una giornata libera, la mia conversazione non verteva più sui miei problemi. Ora avevo delle cose da condividere con Jack, esaminando con cura come questa epistola si applicasse ai miei bisogni e a quelli delle persone che mi circondavano. 29
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L’Evangelo in Uganda Nel dicembre del 1979, Jack ricevette l’invito da un pastore ugandese che aveva studiato al Westminster Seminary. Era stato chiamato a ministrare ad alcune chiese in Uganda che cercavano faticosamente di riemergere da un clima di violenza sanguinaria dopo otto anni di terrore da parte Idi Amin. Jack si preparò per andare con il suo solito entusiasmo, da parte mia affrontavo la cosa tra mille esitazioni. Ero sicura di morire; pregavo soltanto di prendere una pallottola in testa. Dio stava ancora modellando questa squadra! Per diversi mesi vivemmo a Kampala in un albergo pieno di esuli asiatici e indiani in attesa di poter far ritorno nei loro paesi. Abbiamo stretto amicizia e pregato con persone di ogni religione in mezzo a tanti problemi, in un ambiente dominato dall’insicurezza, dalla malattia, dalla solitudine, dal cibo avariato e dalla mancanza di acqua. Durante questo periodo, abbiamo visto più dolore e violenza che in ventitré anni di ministerio. La brutalità fisica e le pressioni psicologiche logoravano la mia anima. Non sapevo come affrontare tutto il male cui assistevo e l’infinita sofferenza che si presentava davanti ai nostri occhi. Il mio cuore era pesante e turbato, senza amore e insensibile. Fui riportata alla realtà durante un culto di Santa Cena; questa volta in una chiesa con le finestre rotte dai bombardamenti durante la guerra. Mentre stavo seduta e mi chiedevo se mai avrei potuto amare il popolo ugandese, la risposta giunse nuovamente mentre si spezzava il pane. Mi ricordai ancora una volta quanto grande fosse il mio bisogno di perdono da parte di Dio considerando la mia risposta priva di fede e amore di fronte a ciò cui stavo assistendo. Mentre prendevo il pane e il calice, il Suo perdono riempì il mio cuore. Questa è sempre la risposta, ma io ero costantemente incline a dimentica30
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re. Più tardi, ci fermammo in una piccola capanna di fango per condividere la Cena del Signore con un’anziana vedova ugandese. Aveva perso il marito e dieci figli sotto il regime di Amin. Eppure, non si lamentava; esprimeva soltanto un dolce amore per Gesù. Era un esempio vivente della grazia e del perdono di Dio. Eppure, dovevo ancora imparare un sacco di cose sul modo in cui contare realmente sulla grazia di Dio. Di ritorno dall’Uganda, ci fermammo in Kenya per due settimane di riposo. Andammo a Mombasa, un luogo di villeggiatura alla moda per africani, asiatici ed europei. Il nostro viaggio notturno in treno sembrava una luna di miele; fummo svegliati da un cameriere che ci portò del tè, riuscendo anche a vedere di sfuggita una giraffa fuori dalla finestra. Andammo con alcuni missionari in un piccolo parco con vista sull’Oceano Indiano. Ero contenta di restare e godermi la bellezza del luogo, ma con noi nel parco c’erano molti musulmani che s’incontravano tra amici, godendosi l’aria mite della sera. Jack e alcuni dei missionari cominciarono a predicare, e di lì a poco lo sentii dire: “Ora mia moglie vi racconterà come funziona un matrimonio cristiano”. Tutta la bellezza di quella serata svanì all’istante: fui presa dal panico. Nonostante tutto, ubbidendo al mio innato senso del dovere raggiunsi il podio, parlai controvoglia e, più tardi, fui sopraffatta da un profondo senso di colpa, di disperazione e fallimento. Dentro di me covavo ira e risentimento.
Orfana o figlia? Nel ritorno a casa, Jack ed io ci fermammo per qualche giorno in Svizzera, il luogo dove Dio si era incontrato con me in precedenza e che amo a motivo delle belle montagne, dell’ordine e 31
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della pulizia che vi regna ovunque. Anche questo però non riusciva a pacificare il mio animo poiché lo Spirito Santo era all’opera. Mentre camminavamo per le vie di Ginevra, circondati da persone raffinate e ben vestite, non riuscii più a trattenermi. La mia ira e il senso di colpa a lungo soppressi vennero a galla prepotentemente. Con le lacrime che mi rigavano il viso, dissi a Jack: “Perché non ce la faccio? Perché crollo così spesso e poi mi sento in colpa? Che cosa non va in me?”. Jack si volse verso di me e disse: “Rose, agisci come un’orfana. Ti comporti come se lo Spirito Santo non fosse in te e non ti potesse aiutare a superare situazioni impossibili come in Uganda e Mombasa. Agisci come se non ci fosse un Padre che ti ama”. Lo Spirito Santo prese quelle parole e le impresse nel mio cuore. Sapevo che Jack aveva ragione. Riuscii soltanto a dire: “Signore, mi dispiace. Insegnami a essere realmente una Tua figlia”. Avevo visto tanti orfani in Uganda. Uno di loro aveva cercato di rubarmi la borsetta quando ci eravamo inginocchiati nel mercato per pregare. Uccidere per loro era facile quasi come rubare. Poiché non avevano un padre che si prendesse cura di loro, per tirare avanti ricorrevano costantemente a menzogne, imbrogli, furti e raggiri di ogni genere. Io avevo agito come loro - come se non avessi un Padre, come se non avessi la Sua autorità, la potenza, lo Spirito, come se non potessi far assegnamento sul Suo cuore e l’orecchio attento a ogni bisogno. Sebbene sapessi di essere giustificata per fede, pensavo comunque che l’ubbidienza toccasse più o meno a me e fosse unicamente frutto dei miei sforzi. Ma cominciai a scoprire che potevo contare sulla promessa di Dio di essere sempre con me e compiere il mio servizio attraverso “la fede che opera per mezzo dell’amore”. Durante quel periodo, approfondivo il mio studio della lettera ai Galati. Non chiedevo più: “Come posso studiare per aiutare gli altri?”. Era invece l’aria che respi32
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ravo io e di cui avevo bisogno personalmente. Dovevo imparare a vivere la vita cristiana e stare in prima linea con mio marito senza crollare in continuazione. Iniziai a studiare la lettera ai Romani, un altro libro che avevo evitato per anni poiché non riuscivo proprio a comprenderlo. Ora era piacevole leggere, studiare e partecipare ad altri gli spunti che traevo anche questo libro che mi era così ostico. Iniziai una serie di lezioni su Romani riservata alle sorelle della nostra chiesa. Ero soltanto un passo avanti a loro quando ci radunavamo attorno al nostro grande tavolo nella sala da pranzo, ma i nostri cuori si rallegrarono quando ci rendemmo conto della verità di Romani 8 – vale a dire che, grazie all’opera di Cristo, il Signore avrebbe allontanato da noi la Sua ira perché se ne fece carico Gesù; e quindi sui figli di Dio non si abbatterà più il Suo giudizio implacabile. Sebbene Egli ci possa potare come tralci per portare più frutto (Giovanni 15), non darà corso alla Sua azione in preda all’ira e con l’intento di punirci; ma sempre con amore e soltanto affinché portiamo più frutto. Dio mi benediceva in modi meravigliosi. Non avrei mai potuto prevedere la prossima lezione. Jack ed io eravamo stati due volte l’anno in Uganda, dal 1979. Tuttavia, le sfide del ministerio in quel paese segnato dalla guerra cominciavano nuovamente a logorarmi. Nel dicembre del 1982, mentre viaggiavamo verso il Kenya sulla nostra vecchia Land Rover, dissi a Jack: “Basta! Non tornerò mai più in questo paese. Questo ‘ministerio di squadra’ è finito”. Dio diede a Jack la grazia di tacere e dire semplicemente: “Allora dovrò andarci da solo per periodi più brevi”. Nel giugno del 1983, Jack, nostro genero Bob e un altro giovane vi tornarono per un mese assieme. Il giorno prima del loro viaggio di ritorno squillò il telefono. Bob era in linea e disse: “Papà ha avuto un infarto”. Non ci volle molto per decidere ciò che dovevo fare e risposi: “Di’ a Jack che sto arrivando”. Tuttavia, prima di partire dissi: “Dio, sai le sensazioni 33
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che provo riguardo a quel paese. Ti chiedo di venire con me”. Nel silenzio del mio cuore, udii con certezza la promessa: “La mia presenza andrà con te e io ti darò riposo” (Esodo 33:14). Il giorno seguente ero in viaggio, senza sapere che cosa avrei trovato al mio arrivo. Sapevo com’erano gli ospedali; li avevo già visitati. Sapevo quanto era carente l’assistenza medica, ma questa volta sapevo che Dio era con me, e che la Sua presenza era molto più reale del male e dei problemi in cui mi sarei imbattuta. Posso dire onestamente che partii con gioia. Tutta la nostra chiesa e tanti altri pregavano. La chiesa provvide addirittura un medico, un vecchio amico, per accompagnarmi e prendersi cura di Jack. Ora cominciavo a comprendere in modo più completo che cosa significasse non essere orfana. Ho lo Spirito Santo, ho le promesse della Bibbia e l’amore del Padre. Ho il sacrificio di Cristo. Mio marito sopravvisse, e il nostro servizio insieme per il Signore divenne più efficace di prima e meno tormentato a causa della mia confusione e incredulità. Forse la prospettiva di Jack sulla nostra collaborazione all’epoca esprime meglio il concetto: Mentre giacevo a letto in ospedale in Uganda, la presenza di Rose Marie era una luce che riempiva la stanza. Ora riesco a far fronte a circa l’ottanta percento dei miei impegni di lavoro, ma è un carico che Rose Marie condivide con me. Nella sua parte del nostro comune servizio per il Signore, Rose Marie consiglia le donne, ma l’insegnamento biblico è ancora più importante per lei. È straordinario come in tutto ciò che presenta sappia porre un sano fondamento teologico legato alla giustificazione per fede e al rapporto di figliolanza. Fa costantemente ricorso a un gran numero d’illustrazioni tratte 34
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dalle sue lotte e soprattutto dalle vittorie con persone che sono vissute tanto a casa nostra quanto in Uganda. Penso tuttavia che ci sia un’altra base per l’unità che Dio ci concede, mentre Lo serviamo insieme. Trascorriamo molto tempo in preghiera assieme. Abbiamo una regola: “Non covare mai un problema in attesa che si schiudano tante preoccupazioni”. Fermati e prega. Abbiamo anche riunioni di preghiere con altri credenti a casa nostra. Credo che la preghiera sia, assieme alla giustificazione e all’adozione, il fondamento primario del nostro ministerio. Dal mio punto di vista, non vedo come si possa esercitare un ministerio efficace senza la libertà conferita dalla giustificazione per grazia e la potenza conferita tramite la preghiera. Che cosa ho dovuto fare prima di rendere possibile questa collaborazione nel ministerio? Come marito, ho dovuto ravvedermi del mio dominio sulla moglie e imparare ad ascoltarla, dimostrando in questo modo l’amore. Ho dovuto, inoltre, ricordarle che la giustificazione per fede e la nostra condizione di figli di Dio, sono grazie che derivano dall’opera di Cristo e si rafforzano per la nostra unione con Lui. Quando mi sono ravveduto, mi aspettavo che lei fosse liberata assieme a me. Nemmeno per sogno! Così, dopo un po’, le ho suggerito di meditare ancora di più l’epistola ai Galati, e il cambiamento è stato sorprendente. Ho assistito ad alcune grandi trasformazioni nella vita delle persone, ma l’intero essere di Rose Marie è stato potentemente liberato dalla potenza della Parola di Dio, mentre approfondiva le sue riflessioni su quel prezioso scritto neotestamentario.
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Cambiamenti di vita L’Evangelo cambiò anche le mie attese per la nostra vita di coppia. Non mi aspettavo più che Jack rappresentasse per me la voce dello Spirito Santo. Era lo Spirito stesso ad accertarmi che Gli appartenevo, infatti è scritto: “Lo Spirito stesso attesta insieme con il nostro spirito che siamo figli di Dio” (Romani 8:16). So già che sono “giustificata gratuitamente per la grazia di Dio”. Non dovevo ricercare continuamente l’approvazione di Jack e non vivevo più all’ombra della sua vita emotiva. Potevo dargli amore, non soltanto riceverlo. Non mi aspettavo che Jack fosse perfetto. Se commetteva un errore, sapevo che i suoi peccati, come i miei, erano cancellati dal sangue di Gesù, per la Sua perfetta giustizia. Non mi aspettavo più di trovare la saggezza o la compassione in me stessa. È tutto in Gesù, ed Egli ha risorse a sufficienza per tutte le persone che incontro. La consapevolezza che Dio mi accetta esattamente come sono è un dato assolutamente certo, al punto che posso vivere senza subire le pressioni delle aspettative altrui. Mentre parlo con donne che servono il Signore in diverse parti del paese, mi raccontano spesso ciò che gli altri si attendono da loro: essere una moglie e una madre esemplare oltre a svolgere un servizio attivo nella chiesa. So che le attese da parte degli altri possono essere opprimenti. Se dovessi fornire un elenco di consigli pratici in vista del servizio, potrebbe soltanto aumentare le pressioni. Io dico invece alle donne che non devono essere perfette poiché un Altro è perfetto al posto loro. Rispondono sempre con una meraviglia e una gioia sorprendente. Sono quindi sempre più convinta che questo sia un bisogno assolutamente primario: tutti - credenti e non credenti - devono udire l’Evangelo. L’Evangelo è l’unica ancora che ci tiene alla presenza di Dio nel vortice della nostra vita. Tutti noi desideriamo stabilità, 36
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approvazione, sicurezza e un’esistenza densa di significato. La fede in Cristo viene incontro al vero bisogno che preme dietro a questi desideri e ci conduce al Salvatore, permettendoci di crescere nella grazia. È tutto quello ciò di cui abbiamo realmente bisogno. Gesù è sufficiente!
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