Paolo Conquista Roma

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Giovanni Rostagno (1871-1944) studiò presso la Scuola Teologica Valdese di Firenze. Fu consacrato pastore nel 1897 e iniziò il suo ministerio nella chiesa valdese di Roma. Insegnò storia ecclesiastica e omiletica presso la Facoltà Valdese di Teologia di Firenze.

G. Rostagno

Riviviamo insieme il cristianesimo delle origini: i grandi eventi, gli eroismi, le sofferenze che ne accompagnarono la diffusione nel mondo, le memorie dei grandi apostoli e degli umili pionieri sconosciuti. Tra queste pagine possiamo vedere la nascita, qua e là, dei piccoli gruppi di fedeli; osservare Paolo giungere sulle rive del Tevere; seguirlo nella casa dove si svolgeva la sua fervida attività missionaria; prendere parte alle sue conversazioni con gli amici e alle sue lotte con gli oppositori; scoprire il suo insegnamento mentre detta le sue lettere; seguire i suoi passi in tribunale; immaginare le incognite del processo e la gioia di una liberazione che lo riporterà in Oriente, mentre si abbatte sui fedeli dell’Urbe il flagello neroniano. Ritroviamo Paolo a un tratto nella Capitale “incatenato come un malfattore”, per accompagnarlo al luogo del martirio, dove sarà “offerto a mo’ di libazione” e i cui pensieri, fino all’ultimo respiro, sono volti costantemente al cielo: lo sguardo è teso a un esempio da fornire, un gregge da curare e un mondo da salvare.

PAOLO CONQUISTA ROMA

In questo libro scopriamo una città adorna di una bellezza e di una grandezza spirituale che non hanno pari: la Roma dell’apostolo Paolo.

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Via della Formica, 23 - 00155 Roma Tel. 06 2251825 - 2284970 - Fax 06 2251432 adi@adi-media.it - www.adi-media.it

€ 14,50 ISBN 978-88-3306-075-0

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Indice

Prefazione Introduzione I. II. III. IV. V. VI. VII. VIII. IX.

Voce d’Oriente I primi araldi La lettera “Salutate Prisca e Aquila” Alla conquista di Roma “Ricordatevi delle mie catene” Fra i pretoriani e “quelli della casa di Cesare” Il battesimo di sangue Una morte sul campo

Appendice prima: Le catacombe e le comunità giudaiche nella Roma imperiale Appendice seconda: Ancora riguardo alla “casa di Cesare” Appendice terza: Fra leggende e tradizioni

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Edizione originale: “A Roma con San Paolo” Giovanni Rostagno Torre Pellice (TO) Libreria editrice Claudiana, 1941 Nuova edizione abbreviata: “Paolo conquista Roma” © ADI-Media Via della Formica, 23 - 00155 Roma Tel. 06 2251825 - 06 2284970 Fax 06 2251432 Email: adi@adi-media.it Internet: www.adi-media.it Servizio Pubblicazioni delle Chiese Cristiane Evangeliche “Assemblee di Dio in Italia” Febbraio 2019 - Tutti i Diritti Riservati Tutte le citazioni bibliche, salvo che non sia indicato diversamente, sono tratte dalla Bibbia Versione Nuova Riveduta - Ed. 2006 Società Biblica di Ginevra - Svizzera Stampa: Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI) ISBN 978 88 3306 075 0


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Prefazione

uesto libro ha la rara capacità di prenderci per mano e portarci nell’antica Roma, la capitale imperiale, l’Urbe che domina il mondo. è comunque un viaggio che non facciamo da soli, ma al seguito dell’apostolo delle genti. Il privilegio di seguire anche da lontano le sue orme non è cosa da poco. La possibilità di cogliere anche solamente qualche frase uscita dalla sua bocca è un privilegio raro. Seguiamo i passi di un uomo nel cui messaggio il culto cristiano trova la sua fondale autenticità. La testimonianza che ha reso con la sua intera vita, pone in rilievo una conformità senza pari con l’insegnamento di Cristo. Siamo di fronte a un uomo nel quale si registra una commovente corrispondenza formale e sostanziale tra ciò che ha imparato dal Maestro e quanto ha trovato applicazione nella sua carne. Un uomo nel quale l’aspetto concettuale e teorico si riconcilia pienamente con la prassi di vita nel segno dell’ubbidienza, senza mostrare le abituali scissioni o i più comuni divorzi. Un servitore che abbandona ogni idealismo religioso, nella convinzione che il messaggio di Cristo vada vissuto lasciandosi compenetrare dalla natura divina. La forza testimoniale della sua fede rappresenta per noi un’incessante fonte di ispirazione. Questo libro ci ricorda che nell’apostolo non prevale mai il lato vittimale, le sue sofferenze non hanno una valenza espiatoria e ciò a cui è chiamato lo vive come una serie di accadi-

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menti orientati al compimento di un progetto, alla fine del quale Dio sarà pienamente disvelato. Da lui impariamo a non identificarci con le nostre aspirazioni e a non lasciarci definire dalle esigenze più comuni, al posto delle quali dobbiamo proiettarci verso la luce della comunione con Cristo, mirando al compimento delle Sue promesse gloriose. L’assoluta prossimità con l’immagine di Dio che ha guidato i suoi passi, e ogni scelta che ha operato, stride enormemente con tutto ciò che non è riconducibile alla rivelazione che ci è stata fornita, cosa a cui assistiamo nella vita di molte persone, anche credenti. Giovanni Rostagno ci permette di coglierne anche l’intensa vita affettiva, la stretta rete di relazioni che ha alimentato e gli affetti di cui ha saputo circondarsi, anche se quei contatti non sempre hanno saputo consolare le sue sofferenze e alle volte sono stati causa di situazioni dolorose. Oggi è bello ascoltare un uomo che parla così poco di sé, anche quando vede approssimarsi la fine e il quadro della sua vita si fa improvvisamente fosco. I riferimenti spirituali che alimentano la sua azione dovrebbero essere un esempio per tutti quelli che faticano a uscire da un’esistenza centrata sul proprio io, dibattendosi tra condizionamenti di ordine psicologico, sociale, economico e culturale. L’autore ci presenta un uomo la cui integrità appare assoluta, anche di fronte alla fine e a un esito tragico. I suoi pensieri sono volti costantemente al cielo: lo sguardo è teso a un esempio da fornire, a un gregge da curare, a un mondo da salvare, a un popolo da istruire. Ci commuove l’idea di sapere così poco degli ultimi passaggi della vita di un uomo a cui dobbiamo così tanto. Abbandona questa terra nell’anonimato, in solitudine, in mezzo a una massa indistinta di persone, procedure, eventi. Eppure il servizio reso rimane una pietra miliare e la sua figura giganteggia solitaria anche nella morte, sebbene sia passata 6


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PREFAzIONE

inosservata agli occhi di questo mondo. Colpisce il fatto che oggi possiamo passare con le nostre auto vicino al luogo in cui è stato martirizzato, e nel quale sono sepolte le sue ossa. Oggi non ne sappiamo più nulla: nessuna lapide, mausoleo o basilica contrassegna il suo percorso su questa terra! Nessun applauso ha accompagnato il passaggio del suo feretro, nessuna ode o laudatio funebris fu pronunciata davanti alla sua salma, nessun fiore deposto o comune senso di commozione fu espresso al momento della sua sepoltura. Eppure l’Iddio Onnipotente e il nostro Salvatore avranno saputo tributare al vigoroso combattente della fede l’onore dovuto all’instancabile araldo della verità. Non sappiamo in che circostanze abbia reso la sua vita, ma il contenuto rivelativo della sua esistenza rimane intatto. I molti aneddoti con i quali si cerca di colmare le lacune e soddisfare la curiosità umana che accompagna gli ultimi istanti della sua vita non aggiungono nulla alla testimonianza fulgida che ci ha lasciato. All’incarnazione del Figlio di Dio capita che rispondano uomini fuori dal comune, che sanno immergersi nella verità e dare corpo alla vera meta cui è destinato ogni essere umano, riconoscendo che l’annuncio cristiano è il solo per cui vale la pena vivere e morire. Questo libro ci aiuta a seguire i passi dell’apostolo, unitamente a quelli di una folta schiera di suoi collaboratori, che sono una garanzia dell’intellegibilità del nostro cammino di fede. In mezzo a troppi uomini che hanno l’animo unicamente alle cose della terra, amiamo accompagnarci con persone il cui orizzonte di attesa si estende al cielo. Ora siamo più consci della distanza che ci deve separare da questo mondo nel quale siamo stranieri e nei confronti del quale rifiutiamo ogni strategia adattiva. E.C. 7


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Introduzione

chi si appresta a leggere questo libro, sono necessarie alcune parole d’introduzione per chiarire la natura e lo scopo del testo. Non è stato scritto per gli storici di professione, né per i teologi, né per quanti vagheggiano in campo religioso teorie nuove o soluzioni moderne a fronte di problemi antichi. In realtà è stato concepito per chi si interessa alle vicende del cristianesimo delle origini e ama evocare i grandi eventi, gli eroismi, le sofferenze che ne accompagnarono la diffusione nel mondo e le memorie dei grandi apostoli, o degli umili pionieri sconosciuti che di quella diffusione furono gli strumenti migliori e più efficaci. A costoro sarà utile farsi un’idea del primo annuncio evangelico nella Capitale del mondo; contemplare il sorgere e il costituirsi, qua e là, dei piccoli gruppi di fedeli che insieme daranno vita alla Chiesa di Roma; osservare l’apostolo delle genti giungere sulle rive del Tevere; seguirlo nella casa dove si svolgeva la sua fervida attività missionaria; prendere parte alle sue conversazioni con gli amici e alle sue lotte con gli oppositori; scoprire il suo insegnamento cogliendone la viva eco nella lettera che aveva indirizzato ai Romani, o in quelle dettate a Roma; seguire i suoi passi in tribunale; immaginare le fasi piene di incognite del processo e la gioia di una liberazione che gli permetterà di consacrare a un’ulteriore opera di apo-

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stolato le sue rinnovate energie; scorgere nuovamente le sue orme in Oriente, mentre si abbatte sui fedeli dell’Urbe il flagello neroniano; ritrovarlo a un tratto nella Capitale “incatenato come un malfattore”, dove rivolgerà a Timoteo le ultime esortazioni, e accompagnarlo infine al luogo del martirio, dove sarà “offerto a mo’ di libazione”. Il mio intento, dunque, narrando nel modo più semplice e piano, è quello di far rivivere scene e personaggi che affiorano dagli scritti del Nuovo Testamento, scrutando il pensiero dell’apostolo durante le sue prigionie a Roma, per trarne ammaestramenti di fede e preziosi insegnamenti di vita. Molti visitatori dell’Urbe trascorrono idealmente delle lunghe giornate in compagnia di grandi imperatori, di pontefici famosi, di artisti eccelsi. In questo libro; mi sono proposto di farli vivere per un certo tempo a fianco dell’apostolo Paolo. Alla luce di questo obiettivo circoscritto, mi sono astenuto dall’affrontare questioni di ordine storico, esegetico e dottrinale, come dall’esaminare l’autenticità e l’integrità degli Atti degli Apostoli e delle lettere di Paolo, su cui si fonda la maggior parte delle mie pagine.1 Mi preme precisare che in queste pagine non c’è alcuna affermazione che non sia accuratamente ponderata e non trovi nelle fonti originali, che ho avuto cura di vagliare scrupolosamente, la sua giustificazione. Le note sarebbero state certamente più abbondanti, se non avessi temuto di appesantire 1. Per lo stesso motivo non ho ritenuto opportuno esporre le ragioni che mi in-

ducono a credere, confortato in questo dall’opinione di parecchi autorevoli commentatori, che le lettere ai Colossesi, a Filemone, agli Efesini siano state scritte da Roma anziché da Cesarea; e che i primi 20 versetti del capitolo 16 dell’epistola ai Romani, contenenti i saluti dell’apostolo (nello specifico i vv. 1-16), facciano realmente parte dell’epistola stessa, e non siano il frammento di una lettera inviata a Efeso, frammento che sarebbe poi venuto a unirsi alla lettera ai Romani in modo fortuito.

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INTRODUzIONE

inutilmente il volume. Per alleggerire il testo ho relegato nelle appendici fatti e considerazioni, che non saranno prive di interesse per i lettori. Anche buona parte del primo capitolo avrei potuto affidarlo a un’appendice. Ma credo sia meglio lasciarla dove si trova. Così com’è congegnato, quel capitolo può rappresentare una valida introduzione a tutto il resto del libro. In esso, dopo un rapidissimo cenno alle varie espressioni religiose presenti a Roma, e al senso di vanità e di disagio che i culti antichi avevano lasciato negli animi, ho descritto a grandi linee la storia della colonia giudaica dell’Urbe, mettendo in luce gli innegabili rapporti fra il proselitismo degli Israeliti e la missione dei primi cristiani, considerando il primo alla stregua di una feconda preparazione di quest’ultima. Ho cercato di rendere il racconto più vivo e attinente, con allusioni a determinati fatti dell’epoca, e ai luoghi in cui si svolsero quelle vicende. Per gli avvenimenti non ho fatto altro che interrogare gli scrittori antichi, per i riferimenti ai luoghi mi sono affidato alle conclusioni degli archeologi che hanno investigato il suolo della città, rivelandone i tesori più nascosti.2 Riguardo alla cronologia da me adottata, qualcuno potrebbe farmi notare che fra gli studiosi non vi è unanimità di pareri e che se, per esempio, l’apostolo invece di arrivare a Roma nella primavera del 61 vi fosse giunto prima, le tenui cornici di storia romana nelle quali ho inserito i racconti, an2. I lettori desiderosi di avere una guida sicura in occasione delle loro visite ai

monumenti e ai ruderi dell’antica Roma, potranno consultare con immenso profitto i tre volumi di Giuseppe Lugli, professore ordinario di topografia romana nella Regia Università: I monumenti antichi di Roma e suburbio (La zona archeologica - Le grandi opere pubbliche - Attraverso le regioni) Roma 19311938. Sono tre volumi, a cui se n’è aggiunto un quarto (1940) di aggiornamento, che espone le scoperte più recenti.

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drebbero in frantumi. Ma che sia giunto prima non è comunque certo; e fra le varie cronologie proposte da quanti si sono occupati della faccenda, ho preferito attenermi a quella che ha sempre ottenuto e ancora oggi riscuote il maggior numero di consensi. E ora, separandomi quasi a malincuore da un manoscritto in cui tante cose avrei voluto aggiungere e tanti difetti emendare, non mi resta che esprimere una speranza, forse troppo audace. Confido che qualche visitatore possa cogliere in queste pagine una Roma alla quale pochi sanno rivolgere lo sguardo, in mezzo a tutte le varie “Rome” che si sono succedute su un suolo predestinato e che tutte ci avvincono con il loro fascino particolare. C’è una Roma adorna di una bellezza e di una grandezza spirituale che non hanno pari: la Roma dell’apostolo Paolo.

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II.

I primi araldi

. N. D. S. Cosa significa quella strana sigla? La si incontra talvolta su antichi monumenti cristiani. Nelle iscrizioni, soprattutto, che si leggono con riverenza sulle tombe o nelle cripte dove sono state raccolte le ossa di un certo numero di martiri di Gesù Cristo. Dopo i nomi di uno, di due, di tre confessori, che avevano suggellato con il sangue la loro fede, seguono le parole: et alii (e altri) q. n. d. s. Molto probabilmente le quattro lettere Q. N. D. S. sarebbero rimaste per noi un enigma, che gli epigrafisti cercherebbero ancora di sciogliere ognuno a modo proprio, se iscrizioni più complete, su altri monumenti, non ne avessero svelato il mistero. Una per tutte, che possiamo leggere nella chiesa di Santa Maria antiqua al Foro Romano, sorta su i resti di un edificio imperiale, sepolta poi dalle macerie del Palatino è tornata in luce con le sue reliquie venerande all’inizio del ‘900, dopo la demolizione di Santa Maria Liberatrice che era stata eretta su quella superficie. Semmai doveste trovarvi da quelle parti, attraversate l’atrio, entrate nel santuario, percorrete la breve navata di sinistra e inoltratevi nella piccola cappella che si trova in fondo. Dopo

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avere contemplato sopra l’altare una Crocifissione dell’ottavo secolo, emersa miracolosamente dalle macerie, sulla parete posta a sinistra rispetto alla porta d’ingresso, scorgerete un dipinto che rappresenta quattro figure: un vegliardo con una lunga barba, Sanctus Armentius, e tre donne Quorum Nomina Deus Scit. Da questa, e da non poche altre epigrafi, ci viene svelato il mistero della sigla: il cui nome Iddio conosce. Q. N. D. S. è sempre con una certa commozione che, peregrinando qua e là, rivedo le quattro lettere incise su una superficie di marmo levigato, sopra una pietra più rozza, o su parete semidiroccata, vicino a qualche affresco che i secoli hanno ormai sbiadito. Mi fermo, allora; penso a tutti quei credenti sconosciuti, le cui ossa dormono e la cui anima vive nel trionfo; considero il loro sacrificio, il loro martirio, la loro fede in quel Dio che li conosceva, e m’inchino silenzioso davanti ai militi ignoti delle schiere di Gesù Cristo di cui il mondo non era degno. Q. N. D. S. Più di una volta, evocando i primi annunciatori dell’Evangelo nella Città eterna, ho ripensato alla sigla che veicola un significato così alto. Anche quegli araldi furono militi ignoti, che soltanto Dio conosce. Non sappiamo nulla di loro, né il nome, né l’età, né la professione, né la maggiore o minor cultura, né il loro grado di consapevolezza a livello spirituale. Non sappiamo dove e da chi avessero attinto quella fede che desideravano annunciare ad altri e quell’amore che li spingeva all’opera; e invano cercheremo di sollevare il velo che ci impedisce un’adeguata comprensione. La chiesa di Roma non ebbe un’origine apostolica, se con questa espressione si allude alla fondazione e alla cura da parte di un apostolo, magari protrattasi negli anni. Infatti, se ci sono tracce che testimoniano della presenza a Roma di Pietro, nell’ultima fase della sua vita, dove potrebbe aver glorificato Dio 48


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con il martirio, la tradizione dei venticinque anni di episcopato, di cui non si ha alcuna traccia prima del quarto secolo, va rubricata nel novero delle leggende. E nondimeno la chiesa della Capitale ebbe origine apostolica, se con questa espressione si intende che i suoi anonimi fondatori predicarono, vissero e operarono secondo l’insegnamento e lo spirito degli apostoli. Del resto, ciò che accadde a Roma, si verificò anche in altri numerosissimi centri del mondo antico. Vi furono, giova ricordarlo, missionari ufficiali, se così possiamo dire, chiamati alla luce di una vocazione particolare a dedicarsi alla diffusione dell’Evangelo e a fare di quel compito l’occupazione e la preoccupazione unica e costante della loro vita. Fra quei missionari gli Atti degli apostoli, le epistole di Paolo e alcuni fra i più vetusti documenti cristiani, menzionano gli apostoli, i profeti, i dottori.1 Gli apostoli erano in qualche modo delle persone elette direttamente da Gesù, una schiera ristretta alla quale sicuramente va aggiunto Paolo da Tarso. Per essere apostoli in questo senso bisognava avere visto il Cristo ed essere stati testimoni del Suo ministero e della Sua risurrezione.2 Non possediamo sfortunatamente notizie sicure riguardo all’apostolato dei dodici, se non quelle tradizionali relative all’attività di Pietro e di Giovanni. Il gran missionario per eccellenza fu l’apostolo Paolo, a capo della ristretta schiera di evangelizzatori da lui preparati. Li vedremo ben presto all’opera e li accompagneremo in molti dei loro passi.

1. Vd. soprattutto I Corinzi 12:28; Efesini 4:11, 12. 2. I Corinzi 9:1, 2; Atti 1:8, 21-23.

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Eppure se la qualifica di apostolo era applicata in modo speciale ai Dodici e a Paolo, la vediamo connessa, in un senso più generico, ad altri fedeli. Si chiamavano talvolta apostoli quei missionari senza fissa dimora, che percorrevano il mondo predicando e fondando delle chiese. Il loro ufficio era di annunciare l’Evangelo come lo facevano i Dodici e l’apostolo dei Gentili. Non dissimile era il compito affidato agli evangelisti, che pure troviamo menzionati nel Nuovo Testamento.3 I profeti erano tenuti in grande onore, e nella considerazione dei fedeli occupavano il primo grado subito dopo gli apostoli. Se questi ultimi erano i seminatori dell’idea, i profeti la coltivavano in seno alle comunità nascenti. Spinti da un impulso irresistibile, esprimevano ciò che lo Spirito suggeriva ai loro cuori. Il loro stile era vibrante, i loro interventi apparivano entusiastici e pieni di fuoco; edificavano ed esortavano le assemblee, componevano inni e cantici spirituali, annunciavano consolazioni e castighi, sostenevano con le dolci promesse del Regno di Dio. Quanto ai dottori, la loro attività era circoscritta all’insegnamento. I dottori erano quelli che esercitavano il dono della sapienza e della conoscenza,4 cioè la capacità di parlare dei “misteri di Dio” con chiarezza e profondità. Essi porgevano ai principianti il “puro latte spirituale”, e i più maturi agevolavano nel compito di investigare i tesori “della sapienza e dell’intelligenza”, compito che stava a cuore all’apostolo Paolo. Generalmente non se ne andavano di luogo in luogo, come gli apostoli e i profeti, ma dimoravano in maniera più o meno costante presso le singole comunità. Nondimeno vanno considerati anche loro come veri missionari; poiché non soltanto 3. Efesini 4:11; Atti 21:8; II Timoteo 4:5. 4. I Corinzi 12:8.

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i catecumeni e i fedeli, ma anche gli stessi pagani potevano godere del loro insegnamento. L’opera degli apostoli o evangelisti, dei profeti e dei dottori in vista della diffusione della fede cristiana è dunque innegabile; ma non va in alcun modo esagerata. Non è a quei missionari e insegnanti, riconosciuti più o meno ufficialmente dalle chiese, che si deve la diffusione del cristianesimo nel mondo antico. La causa principale di quell’espansione e dei suoi progressi così rapidi, la troviamo nell’incessante e spesso eroico proselitismo svolto da ogni singolo credente. E quando parliamo di ogni singolo credente intendiamo dire uomini e donne. Basta, infatti, una semplice lettura del Nuovo Testamento e degli scritti post-apostolici per avere un’idea della parte importante che ebbero le donne, sia nella propagazione della fede cristiana, sia nella vita, alla luce della feconda operosità di cui diedero prova nell’ambito delle chiese. Il cristianesimo presentava una particolarità assolutamente nuova e del tutto ignota alle religioni antiche: chiunque lo professasse seriamente doveva per necessità di cose adoperarsi alla sua diffusione. Fede e testimonianza, o annuncio evangelico, non si potevano scindere. Il vero credente era in pari tempo un evangelizzatore; egli non poteva non comunicare agli altri quella Buona Novella nella quale aveva trovato la sua felicità e la redenzione: “Voi mi sarete testimoni”, aveva detto Gesù. La testimonianza faceva parte della credenza, era a essa implicita; si trattava di un preciso dovere, un obbligo imposto dall’imperativo più veemente della coscienza cristiana. Ogni fedele degno di questo nome poteva ripetere le parole dell’apostolo Paolo: “… necessità me n’è imposta, e guai a me se non evangelizzo”.5 5. I Corinzi 9:16

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Troviamo quindi “evangelizzatori” un po’ ovunque e in tutte le classi sociali. Agli occhi di chiunque abbia qualche conoscenza dell’antica letteratura cristiana, emergono i vividi esempi di mercanti, artigiani, militari, di umili schiavi, di ricchi padroni, di insegnanti e pedagoghi, di medici, di filosofi, di retori, di avvocati fattisi volontari e volenterosi araldi della nuova fede. Da una parte quei fedeli divulgavano l’Evangelo con la parola, dall’altra lo facevano risplendere nelle virtù morali di cui davano prova. Quello che maggiormente colpiva i pagani dall’animo spregiudicato e sincero era la vita dei credenti (il cristianesimo si presentava soprattutto come una vita, un genere di vita, una dottrina della vita). A impressionare era la vita dei credenti con la sua santità, con le sue manifestazioni di amore, con la sua forza spirituale, con la sua misteriosa allegrezza, con i trionfi sulla sofferenza e con il fascino del martirio. La società pagana non sarebbe andata a cercare la fede nelle case in cui si radunavano i cristiani, in cui i profeti esortavano e i dottori impartivano i loro insegnamenti. Fu la fede, quindi, che si mosse, e cercò la società dovunque e con tutti i mezzi, mediante la propaganda attiva, perseverante, spesso ingegnosa, di missionari spontanei, che all’occasione sapevano insinuarsi ovunque, che non indietreggiavano davanti alle ripulse e non conoscevano nessun ostacolo. Ma torniamo a Roma. Non sappiamo dunque nulla di preciso riguardo ai suoi primi evangelizzatori. Siamo dunque costretti ad avanzare delle supposizioni, che non appaiano lontane dalla realtà storica. è molto probabile che un certo numero di quegli anonimi testimoni fossero Giudei, venuti a contatto con i discepoli del Nazareno, in Palestina oppure altrove. Sappiamo come gli Israeliti della diaspora, disseminati in tutte le regioni del mondo allora conosciuto, si mantenessero 52


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in rapporti assai intimi con la madre patria. Soprattutto in occasione delle feste più solenni, Gerusalemme vedeva affluire tra le sue mura non soltanto Giudei, ma anche proseliti, venuti dalle provincie più remote del vasto Impero per adorare nel Tempio. E tale era l’importanza di quei pellegrinaggi che, fra le numerosissime sinagoghe della Città Santa, alcune sembravano riservate esclusivamente agli Ebrei della dispersione.6 Gli Israeliti di Roma non erano da meno degli altri. Anch’essi, o comunque molti di loro, si facevano obbligo di recarsi periodicamente in Palestina per compiervi i doveri religiosi cui erano tenuti, e anche loro mandavano ogni anno la loro offerta per il mantenimento del Tempio. Oltre alle motivazioni di carattere religioso, ve ne erano anche di ordine commerciale, politico, amministrativo, che rendevano necessarie e frequenti le relazioni fra l’Italia e la Palestina. Sia per un motivo, sia per un altro, si vedevano spesso ambasciate andare e venire, e alcuni membri della famiglia di Erode si recavano frequentemente da un paese all’altro, accompagnati da uno stuolo di servitori. In quel tempo, fra gli Israeliti, si registrava un po’ dovunque un vivace risveglio del sentimento nazionale e religioso che rendeva più attivo lo scambio delle idee e faceva sì che gli sguardi si volgessero con più intensità verso la madre patria. Anche nella colonia giudaica di Roma, come in quelle dell’Asia o dell’Egitto, venivano riferiti e commentati i fatti e le manifestazioni salienti della vita e del pensiero palestinesi. La prima volta in cui i Giudei della Capitale si trovano a contatto con i discepoli di Gesù è a Gerusalemme, il giorno della Pentecoste. Fra coloro, infatti, che udirono gli apostoli “parlare delle cose grandi di Dio” c’erano degli “avventizi ro6. Vd. Atti 6:9.

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mani”. E più tardi ve ne saranno altri fra gli uditori e gli oppositori di Stefano. La sinagoga dei liberti, menzionata nel libro degli Atti a proposito della predicazione del diacono martire, apparteneva con ogni probabilità agli “avventizi Romani”, i quali erano perlopiù dei liberti (schiavi liberati) o figli di liberti.7 Se i primi Giudei di Roma si siano convertiti al cristianesimo in quelle circostanze, o in altre simili, non possiamo saperlo con certezza. Di sicuro, una volta tornati nella Capitale e accesi di quell’ardore che li portava a condividere la propria fede, al pari degli antichi Israeliti disseminati nel mondo, non poterono fare a meno di proclamare ai connazionali e a quanti nutrivano simpatia per le credenze di Israele, la nuova fede, la quale non faceva altro che integrare e dare compimento all’antica rivelazione. Alla testimonianza di costoro dovette aggiungersi quella di altri fedeli usciti dal paganesimo, e in gran parte già proseliti o semi-proseliti di Israele, venuti a Roma dalla Palestina o da una qualsiasi delle provincie orientali in cui l’Evangelo aveva cominciato a diffondersi così rapidamente. Dal libro degli Atti sappiamo come i “tementi Iddio”, conquistati dal verbo di Cristo, non si dessero pace prima di averlo fatto conoscere, divulgandolo alle persone con le quali entravano in contatto. Queste circostanze sono chiare a chiunque abbia letto con un minimo di attenzione la storia della conversione del semi-proselito Cornelio.8 Quest’ultimo era un “centurione della coorte detta l’italica”, stanziata in Cesarea di Palestina, una delle numerose “coorti italiche” sparse un po’ dappertutto nelle provincie dell’Impero e che erano, per maggior garanzia di 7. Atti 1:10; 6:9. 8. Atti 10.

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I PRIMI ARALDI

sicurezza, composte esclusivamente da militi italiani. Il centurione era dunque italiano, forse romano; a ogni modo egli portava un nome inequivocabilmente romano. Orbene, la sua conversione ci offre un esempio di quello che dovette essere la conversione di altri Italiani e di altri Romani inizialmente inclini alla fede di Israele. E chi sa che anche il nostro Cornelio, almeno in un secondo tempo, non sia diventato a Roma un efficace propagatore della fede cristiana? Sappiamo che centurioni, appartenenti alle truppe stanziate nelle provincie, andavano e venivano spessissimo fra le loro sedi lontane e l’Urbe, svolgendo vari uffici relativi al vettovagliamento (onde il loro nome di frumentari), alla corrispondenza ufficiale, veicolando informazioni segrete, svolgendo servizi di polizia, o dedicandosi al trasporto dei prigionieri. Si osservi che il centurione Giulio, il quale meno di vent’anni più tardi sarà incaricato di condurre l’apostolo Paolo e altri prigionieri da Cesarea a Roma, ci viene detto che apparteneva alla coorte Augusta. Questo di Augusta è senza dubbio un titolo onorifico concesso alla coorte italica, il cui nome completo sembra essere stato: Cohors prima Augusta italica civium romanorum (coorte prima Augusta italica di cittadini romani). Noi vediamo dunque come appunto ai centurioni della coorte italica, o Augusta, fossero affidati incarichi simili a quelli summenzionati, e come quei centurioni potessero quindi viaggiare frequentemente verso Roma. Nella capitale poi, i centurioni e i militi delle provincie erano considerati peregrini, cioè soldati di passaggio, e risiedevano, sul Celio, nei castra peregrinorum (campo dei peregrini), in attesa di tornare da dove erano partiti, una volta esaurita la loro missione. Un’eventuale attività evangelistica da parte di Cornelio a Roma non è in alcun modo provata, si tratta al più di una semplice congettura; ma in campo storico anche le verosimiglianze hanno il loro valore. 55


Giovanni Rostagno (1871-1944) studiò presso la Scuola Teologica Valdese di Firenze. Fu consacrato pastore nel 1897 e iniziò il suo ministerio nella chiesa valdese di Roma. Insegnò storia ecclesiastica e omiletica presso la Facoltà Valdese di Teologia di Firenze.

G. Rostagno

Riviviamo insieme il cristianesimo delle origini: i grandi eventi, gli eroismi, le sofferenze che ne accompagnarono la diffusione nel mondo, le memorie dei grandi apostoli e degli umili pionieri sconosciuti. Tra queste pagine possiamo vedere la nascita, qua e là, dei piccoli gruppi di fedeli; osservare Paolo giungere sulle rive del Tevere; seguirlo nella casa dove si svolgeva la sua fervida attività missionaria; prendere parte alle sue conversazioni con gli amici e alle sue lotte con gli oppositori; scoprire il suo insegnamento mentre detta le sue lettere; seguire i suoi passi in tribunale; immaginare le incognite del processo e la gioia di una liberazione che lo riporterà in Oriente, mentre si abbatte sui fedeli dell’Urbe il flagello neroniano. Ritroviamo Paolo a un tratto nella Capitale “incatenato come un malfattore”, per accompagnarlo al luogo del martirio, dove sarà “offerto a mo’ di libazione” e i cui pensieri, fino all’ultimo respiro, sono volti costantemente al cielo: lo sguardo è teso a un esempio da fornire, un gregge da curare e un mondo da salvare.

PAOLO CONQUISTA ROMA

In questo libro scopriamo una città adorna di una bellezza e di una grandezza spirituale che non hanno pari: la Roma dell’apostolo Paolo.

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