Il Vangelo secondo Giobbe

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GIOBBE

Questa serie di meditazioni sul libro di Giobbe, il più antico della Bibbia, è stata scritta come messaggi di evangelizzazione già trasmessi per radio e come tali debbono essere compresi. L’argomento della sofferenza, come conseguenza del peccato commesso o come mistero inspiegabile, viene mirabilmente rivelato come un ministerio didattico divino per il credente, che lo spinge, così, a non fidare più su sé stesso ma ad affidarsi all’Onnipotente. Questo messaggio, annunciato già da Giobbe nel periodo patriarcale, ha tutta la sua avvincente attualità nell’Evangelo. L’individuo, che ha fatto di Cristo il Suo personale Salvatore e Signore, ha scoperto con Giobbe che “… tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio” (Romani 8:28). Possano queste meditazioni essere di luce a quanti, sofferenti, non si sono ancora accostati a Colui che è Amore, e di richiamo a noi credenti per non fidare più sulla nostra giustizia e capacità ma affidarci totalmente a Gesù Salvatore e Sovra- ISBN 88 86085 94 X no delle anime nostre.

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IL VANGELO SECONDO GIOBBE

SECONDO

FRANCESCO TOPPI

IL VANGELO

SECONDO

GIOBBE

Messaggi di evangelizzazione dal libro di Giobbe ADI-Media

IL VANGELO

F. Toppi

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FRANCESCO TOPPI

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GIOBBE

Messaggi di evangelizzazione dal libro di Giobbe

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Il Vangelo Secondo Giobbe Francesco Toppi Assemblee di Dio in Italia Servizio Pubblicazioni ADI-Media Via della Formica, 23 - 00155 Roma Tel. 06 2251825-2284970 Fax 06 2251432 Email: adi@adi-media.it Internet: www.adi-media.it

Aprile 2006 - Tutti i diritti sono riservati

Stampa: Produzioni Arti Grafiche s.r.l. - Roma

ISBN 88-86085-94-X


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Prefazione

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uesta serie di meditazioni sul libro di Giobbe, il più antico della Bibbia, è stata scritta come messaggi di evangelizzazione già trasmessi per radio e come tali debbono essere compresi. Sebbene la critica moderna abbia tentato di far risalire il testo tra il VI ed il V secolo a.C., pur non sapendo nulla riguardo allo scrittore e alla data del libro, riteniamo legittimo, dalle conferme contenute nel libro stesso, che risalga al tempo dei patriarchi, cioè tra il XIX e XIV secolo a.C. La lunga vita dello scrittore sacro, che risulta essere un personaggio storico (cfr. Ezechiele 14:14, 20 e Giacomo 5:11), i diversi riferimenti geografici, l’assenza di qualsiasi allusione alla legge mosaica, al Tabernacolo ed al Tempio, lo confermano. Ma lo scopo di queste meditazioni è stato unicamente quello di trarre delle lezioni evangeliche dal libro di Giobbe. L’argomento della sofferenza, come conseguenza del peccato commesso o come mistero inspiegabile, viene, invece, mirabilmente rivelato come un ministerio didattico divino per il credente, che lo spinge, così, a non fidare più su sé stesso, ma ad affidarsi all’Onnipotente. Questo

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Prefazione

messaggio, annunciato già da Giobbe nel periodo patriarcale, ha tutta la sua avvincente attualità nell’Evangelo. L’individuo, che ha fatto di Cristo il Suo personale Salvatore e Signore, ha scoperto con Giobbe che “… tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio” (Romani 8:28). Possano queste meditazioni essere di luce a quanti, sofferenti, non si sono ancora accostati a Colui che è Amore, e di richiamo a noi credenti per non fidare più sulla nostra giustizia e capacità ma affidarci totalmente a Gesù Salvatore e Sovrano delle anime nostre. Francesco Toppi

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La vera grandezza

“... E quest’uomo era il più grande di tutti gli Orientali” (Giobbe 1:3)

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l libro di Giobbe, di grande interesse e di sorprendente attualità, è il più antico tra quelli che costituiscono le Sacre Scritture. Si occupa del grande problema del bene e del male, e descrive la lotta che si verifica tra la fiducia nel perfetto governo di Dio e i dubbi prodotti dalla miseria umana. Qualcuno ha detto che è una delle migliori opere che siano mai state scritte, un libro nobile a disposizione dell’umanità. Forse non esiste alcun altro libro nella Bibbia e anche al di fuori del canone delle Scritture che possa avere uguale merito letterario. Sembra quasi impossibile che in un così breve spazio - soltanto 42 capitoli e nemmeno molto lunghi - Giobbe abbia avuto la possibilità di soffermarsi con molta accuratezza su tanti argomenti di capitale importanza. Egli infatti ci parla del carattere di Dio, degli angeli, dell’uomo, della creazione, della caduta nel peccato, della redenzione, della morte, della risurrezione del corpo, della storia passata e degli eventi futuri, dei misteri della natura, della profondità dell’oceano, dell’altezza dei cieli, della ricchezza e dei tesori nascosti nel cuore della terra, delle bellezze dei volatili, della più grande ricchezza e della più indigente povertà e soprattutto della invisibile gloria di Dio. La natura della vera grandezza Nel primo capitolo ci viene presentata la duplice grandezza di Giobbe. Molti saranno meravigliati di sapere che Giobbe era grande sotto due diversi aspetti. Infatti chi legge il libro rimane colpito dalla ricchezza di quest’uomo, dal gran numero del suo bestiame; ma è soltanto questa la vera grandezza di Giobbe? Dal punto di vista uma-

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La vera grandezza

no, potremmo aggiungere che egli non soltanto era ricco, ma era riuscito ad occupare un posto elevato tra i suoi contemporanei. Queste ricchezze, però, sono sempre poco durature e, per usare una frase biblica, con quanta facilità “prendono le ali e se ne volano via”! In un batter d’occhio le ricchezze di Giobbe furono, infatti, distrutte ed egli rimase povero, colpito atrocemente dalla perdita dei suoi cari. Tutto fuggì inesorabilmente davanti a lui ed il lutto e la povertà rimasero l’unico suo possesso. Accanto, però, a questa ricchezza e grandezza che colpisce il lettore, troviamo la descrizione di un’altra grandezza, che è soltanto dichiarata, ma quale preziosa dichiarazione! Gli uomini valutano i loro simili in base a quanto posseggono, ma Dio adotta un sistema di valutazione completamente diverso. E nel versetto 1, nel versetto 8, come anche nel capitolo 2, versetto 3, il Signore esprime il Suo giudizio su Giobbe e afferma che egli è “integro, retto, teme Dio e fugge il male...”. Ecco la vera grandezza di quest’uomo, una grandezza che non gli viene alienata neanche quando perde tutte le sue sostanze, i suoi figli, la sua stessa salute fisica. La sua vera ricchezza rimane, e questa è la reale grandezza di Giobbe. L’uomo è stato creato da Dio e deve vivere in Dio. La sua vita al di fuori di Dio non è normale, così la grandezza degli uomini che si fonda sulla ricchezza dei loro possedimenti, sul plauso, sugli onori, sulla fama da conseguire nel mondo, non ha alcun valore. Tutto svanisce, ed allora l’uomo, senza il Signore, si trova povero soprattutto di quelle ricchezze che risultano indispensabili per la sua vita futura ed eterna. L’effettiva grandezza di un uomo si fonda sulla rettitudine, sull’integrità e, per usare termini più comprensibili ai credenti, sulla santità e sul timore di Dio. Non a caso la Scrittura afferma che il timore di Dio è il principio della sapienza. Vera sapienza, quindi vera grandezza, non si potrà possedere al di fuori del desiderio profondo e sincero di onorare Dio e temerLo. Il fondamento della vera grandezza Chi di noi ricorda Giobbe più per la sua ricchezza terrena, per il suo bestiame e per la sua fama? Sono cose che non hanno alcun

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valore, ma Giobbe è rimasto esempio di pazienza perché in ogni circostanza ha lodato Dio per le Sue opere. Non sappiamo se in questo momento ti trovi in un periodo burrascoso della tua esistenza. Probabilmente stai perdendo tutto, i tuoi averi, i tuoi cari, i tuoi affetti più preziosi e ti credi ormai definitivamente perduto. Forse addirittura avverti un sentimento di colpa nei confronti di Dio. Gesù dice: “…non è dall’abbondanza de’ beni che uno possiede, ch’egli ha la sua vita” (Luca 12:15). “E che gioverà egli a un uomo se, dopo aver guadagnato tutto il mondo, perde poi l’anima sua?” (Matteo 16:26). Forse questo è il momento adatto per piegare le ginocchia ed il cuore davanti all’Eterno, per esprimere a Dio il desiderio ardente di diventare grande e ricco in Lui. Egli è pronto a donare questa grande ricchezza nel Suo Figlio Cristo Gesù, che è morto sulla croce del Calvario. “Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati, e io vi darò riposo” (Matteo 11:28). Ecco la ricchezza che Dio ti vuole donare in Cristo! Il valore della vera grandezza Forse la maggioranza di noi non si trova nella condizione di alcuni che hanno perduto ogni cosa, ed a prima vista può sembrare che questo argomento non rivesta alcun interesse. No, questo messaggio interessa tutti noi. Ricchi e poveri, nel dolore o nella gioia, nell’agiatezza o nell’indigenza. Ricordiamo che tutti i nostri sforzi devono essere volti soltanto verso il raggiungimento della vera grandezza in Dio. Il denaro, l’oro, l’argento, le gemme più preziose non potranno mai eguagliare la grande ricchezza che Dio ha disposto per coloro che L’amano, che Lo temono e che osservano la Sua Parola. Ricchezze ineguagliabili ed eterne. Ricchezze che ci sono offerte gratuitamente per mezzo di Gesù. Egli è la Via, la Verità e la Vita, e andando a Lui riceveremo il perdono dei nostri peccati, la potenza per vincere il male e per vivere santamente e rettamente nel timor di Dio fino al giorno che gli occhi nostri potranno vedere senza velo le grandi ed eterne ricchezze che il Signore ha disposto per coloro che L’amano.

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La compassione inefficace “… Ancora stai saldo nella tua integrità? Ma lascia stare Iddio, e muori!” (Giobbe 2:8, 9)

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uesta seconda meditazione della nostra serie ha come testo il capitolo due del libro di Giobbe. In questo brano notiamo che l’agente del male è Satana e che egli cerca in tutti i modi di affliggerci e di colpirci con l’intento di farci peccare contro Dio. Naturalmente qualcuno obietterà: perché Dio permise la tentazione nel caso di Giobbe? La nostra risposta è duplice: prima di ogni cosa, se riconosciamo la sovranità di Dio dobbiamo affermare che i Suoi piani sono misericordiosi, ma allo stesso tempo saggi e, al pari di Giobbe, ci pieghiamo alla Sua volontà. Poi affermiamo che non esiste vittoria senza un precedente combattimento, come non esiste promozione senza esami. L’unico modo in cui Dio può vagliare la nostra fedeltà, e così svergognare l’avversario, è quello di permettere la prova e darci la forza di essere vincitori. Indubbiamente dobbiamo riconoscere che il Signore donò a Giobbe tanta forza nella prova quanta era necessaria per conseguire la vittoria sul travaglio prodotto dal suo male, la stoltezza di sua moglie e la scarsa sensibilità dei suoi amici. In questo capitolo troviamo, però, anche un’altra grande verità: l’inefficacia dell’aiuto e della compassione umana!

La disillusione Oltre ad aver perduto i suoi beni ed i suoi figli, Giobbe viene colpito anche da una grave malattia. È quindi al colmo della sventura. Satana vuole a tutti i costi che egli perda quel sentimento di timore e di rettitudine verso Dio che lo animava. Pochi sono colo-

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ro che gli rivolgono la parola. Dei suoi congiunti è rimasta soltanto la moglie, colei che doveva cercare più di ogni altro, essendo unita nella sua stessa sventura, di confortarlo o, perlomeno, piangere insieme a lui. Ma, ahimé, questa donna dimostra tutta la malvagità del suo cuore. Il dolore l’ha resa insensibile ed ella stoltamente ingiuria il giusto Giobbe e vorrebbe spingerlo a perdere la cosa più preziosa che gli è rimasta: la sua integrità. Ecco che cosa si può sperare dai più intimi. Ironia della sorte, proprio da coloro i quali ci aspetteremmo una parola di conforto, riceviamo generalmente maggiore afflizione. La moglie di Giobbe al colmo della sua stoltezza, grida: “Ancora stai saldo nella tua integrità? Ma lascia stare Iddio (o meglio, “abbandona Iddio”, N.d.R.), e muori!” (v. 8). Chi poteva dare una parola di compassione, rivolge invece una parola di afflizione. E quel Giobbe che attendeva di essere aiutato è nuovamente un esempio di rettitudine, perché trova ancora una volta la forza di riprendere quella donna dicendo: “Tu parli da donna insensata! Abbiamo accettato il bene dalla mano di Dio e rifiuteremmo d’accettare il male?” (v. 10). Nella sventura quindi Giobbe non trovò alcuno che lo confortasse e che avesse compassione di lui. La vanità Nella sventura non trovò nemmeno qualcuno che venisse in suo aiuto. E sebbene i suoi tre amici, memori delle ricchezze di Giobbe, si fossero partiti dalle loro case con il proposito di consolarlo e condolersi con lui, che cosa poterono fare in suo favore? Nulla, veramente nulla. Anch’essi, infatti, non fecero altro che aggiungere afflizione ad afflizione. Gridarono, piansero, si stracciarono le vesti in segno di lutto, si cosparsero il capo di polvere; fecero insomma quello che umanamente era possibile; si sedettero accanto a Giobbe e stettero muti per sette giorni; fecero quanto la compassione umana potesse suggerire e infine iniziarono i loro ragionamenti che in teoria avrebbero dovuto risolvere ogni problema della vita di Giobbe, ma che in pratica non fecero altro che af-

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fliggerlo maggiormente. Nella prova, Giobbe aveva perduto quindi ogni cosa al mondo: la ricchezza, i servitori, i figli, la salute; aveva perduto la simpatia di sua moglie e dei suoi amici. Qui dunque ci viene descritta l’inefficacia dell’aiuto e della compassione umana. Chissà quante volte ciascuno di noi si sarà trovato in circostanze, se non analoghe a quelle di Giobbe, comunque abbastanza difficili, ed allora ha potuto scoprire non soltanto l’ingratitudine umana ma anche la fralezza e l’inefficacia della compassione degli uomini. Questa realtà tragica è allora apparsa davanti a noi nella sua più cruda realtà, ma “ogni cosa coopera al bene”, dichiara l’apostolo Paolo, “per coloro che amano Iddio”. La soluzione L’aiuto degli uomini è vano. Perché dunque cercare conforto nei nostri simili che, al pari di noi, sono sottoposti alle nostre stesse debolezze? Perché volgere lo sguardo fiducioso verso i miseri elementi che ci circondano? Perché ascoltare le parole di compassione, certamente cortesi e sincere, che sono dettate dalla pietà umana, ma che non hanno alcun potere di consolare e di fortificare, quando invece è a nostra disposizione l’aiuto propizio e potente del Signore, quando possiamo ascoltare le parole di vita e di forza che possono veramente consolare il cuore afflitto e infondere speranza all’anima in pena? Volgiamoci al Signore ora, e non importa quale sia il nostro bisogno o in quali circostanze ci troviamo, Egli interverrà con la Sua mano onnipotente e ci salverà, Egli ci sussurrerà parole di conforto ed allora saremo veramente consolati. È lo stesso Gesù che pronunciava parole di perdono, di grazia, di compassione duemila anni or sono; è lo stesso Gesù, che compiva potenti operazioni, sanava gli infermi, riportava in vita i morti, è lo stesso Gesù che opera ancora oggi se trova dei cuori disposti a lasciarLo intervenire. Non riponiamo la nostra fiducia nell’uomo, che non può salvare, ma apriamo il cuore a Colui che sulla croce ha sparso il Suo preziosissimo sangue per salvare tutti gli uomini, a Colui che è stato fiaccato a motivo delle nostre trasgressioni e che si è caricato

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delle nostre colpe. Per le Sue lividure noi abbiamo ricevuto guarigione. Il salmista diceva: “Io alzo gli occhi ai monti... Donde mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto vien dall’Eterno che ha fatto il cielo e la terra” (Salmo 121:1, 2). Abbiamo fede nel Signore perché Egli è la nostra salvezza, la nostra vittoria, il nostro amico. Apriamo il cuore nella Sua presenza, saremo ristorati e riceveremo le dovizie del cielo.

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Perché? Perché?

“Perché dar la luce all’infelice e la vita a chi ha l’anima nell’amarezza” (Giobbe 3:20)

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l capitolo tre è uno dei più tragici di tutto il libro perché contiene il lamento di Giobbe, il grido straziante di un uomo oppresso ed avvilito. Questo lamento sembra fuori posto nella Parola di Dio in quanto non ha nulla di veramente spirituale, ma deve esserci sicuramente una ragione se il Signore ha permesso che un’espressione così amara rimanesse nella Bibbia. Una delle ragioni è che le Scritture ci presentano tutti gli uomini con i loro lati positivi e negativi, fino a parlarci di Colui che non ha conosciuto peccato e che ha potuto dire: “Chi di voi mi convince di peccato? …” (Giovanni 8:46). Sì, nella Sacra Bibbia un uomo soltanto è perfetto in tutte le Sue azioni ed in tutta la Sua vita: Gesù, il Figlio di Dio, il nostro Salvatore. Gli altri, tutti gli altri, accanto alle loro virtù e alla loro fede, hanno mostrato le debolezze della natura umana, i loro errori ed i loro fallimenti. Giobbe, sebbene sia chiamato giusto da Dio stesso, non è però perfetto, infatti il termine giusto in questo caso vuol dire “desideroso della giustizia e della dirittura”. Il lamento Ora, però, facciamo un’altra considerazione: Giobbe si lamenta, manifesta il dolore, il languore dell’anima sua e lo esprime non immediatamente, cioè all’inizio dell’avversità e della prova, ma dopo almeno sette giorni. Egli, come abbiamo già avuto modo di notare, aveva perduto tutto. Quegli amici che erano andati con il proposito di consolarlo, erano rimasti accanto a lui, in silenzio, per

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sette giorni e sette notti. Non una parola era uscita dalle loro labbra, ma chissà quanto erano espressivi i loro occhi! E Giobbe, dopo aver sopportato la presenza silenziosa degli amici, che come in segno di sfida sedevano presso di lui, apre le sue labbra per lamentarsi. Giudichiamolo pure se ne abbiamo il coraggio..., ma noi che cosa avremmo fatto al suo posto? Giobbe, sebbene si lamentasse e rinnegasse il giorno della sua nascita, non maledisse il Signore, e sebbene nella sua grave difficoltà avesse dato libero sfogo ai suoi sentimenti, pure non parla male di Dio e della Sua giustizia. Gli interrogativi Questo capitolo ci parla della morte e della liberazione ed è pieno di domande e di interrogativi: “Perché non morii nel seno di mia madre?... Perché dar la luce all’infelice?... Perché dar la vita a un uomo la cui via è oscura?” (vv. 11, 20, 23). I perché di Giobbe, attanagliato dall’angoscia, sono i perché dell’umanità intera, sono i problemi insolubili di quanti, oppressi dall’angoscia di una vita infelice, nel loro smarrimento cercano una via d’uscita. Come nel caso di Giobbe, spesso Dio permette delle situazioni dolorose e penose perché vuole rivelarsi nella Sua immensa grazia. Anche Giobbe aveva bisogno di una nuova rivelazione di Dio. Conosceva il Signore, Lo serviva secondo la luce che aveva ricevuto, secondo gli insegnamenti che gli erano stati impartiti, ma era nel piano di Dio che ricevesse una rivelazione più completa. In molte occasioni, soltanto in un modo Dio può farsi ascoltare dagli uomini e risolvere i loro difficili problemi! Perché? Perché? Perché? Si domandava Giobbe, ma alla fine della prova poté ben dire: “Il mio orecchio avea sentito parlar di te, ma ora l’occhio mio t’ha veduto” (42:6). L’invito Amico, sappi che i tuoi problemi possono essere risolti da Colui che è il creatore del cielo e della terra. Forse al pari di Giobbe ti tro-

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Perché? Perché?

vi nella prova e nella difficoltà: non disperare, molto spesso è proprio in questo modo che Dio opera nella tua vita! Forse, se non fossi in questa particolare condizione di prova, neanche daresti peso a queste parole. Non vedi in tutto questo il meraviglioso ed eterno piano del Signore? Poi per Giobbe la via era veramente oscura, ma per te non è così! Egli parla della morte con un senso di disperazione, come di quella condizione nella quale tutto si placa e si ferma, ma Dio ha rivelato a noi, che viviamo tanti secoli dopo, qualcosa di più. Non c’è più oscurità, davanti a te splende la luce della vita eterna. Nei tuoi travagli puoi già conoscere il meraviglioso epilogo che ti attende! Non temere, non scoraggiarti, ricordati soltanto che il Signore ti chiama. Questa è un’occasione nella quale Egli potrà rivelarsi alla tua vita ed operare in te secondo la Sua gloriosa volontà. Accetta Colui che ha vinto la morte e l’Ades, il Signore Gesù ha prodotto in luce la vita e l’immortalità per l’Evangelo. Tu puoi trovare requie, riposo, pace in Lui. Fino ad ora sei stato lontano? Non Lo hai servito come avresti dovuto? Ma Egli ora ti chiama. Fra gli spasimi del tuo cuore addolorato, non senti la voce amica, dolce, amorevole del Signore che dice: “Pace a voi”? Tra le tenebre spirituali in cui ti trovi non scorgi la luce che ti si avvicina? È Gesù la luce del mondo che viene ad illuminare il tuo cammino tenebroso. Invoca ora, in questo momento, il tuo Salvatore e Signore, Egli è pronto ad aiutarti, a darti pace, gioia e quanto il tuo cuore desidera. Giobbe è un esempio per te, il suo lamento fu soltanto una manifestazione dei suoi sentimenti, ma credi che ciò fu approvato davanti a Dio? No, assolutamente. Egli dovette arrivare al punto di incontrare il Signore personalmente, parlare con Lui, ma soprattutto ascoltare la Sua voce. Non odi tu la voce di Dio che ti chiama e ti invita ad abbandonare la tua condizione di peccato e di male, per afferrare per fede le Sue promesse? Gli uomini non possono fare, né potranno mai fare nulla per te, Dio invece sì, lo può e lo vuole fare in questo momento.

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Non lasciarti sfuggire questa gloriosa opportunità. Perché vorresti ancora camminare a tastoni nelle tenebre, quando invece il Signore ti offre la luce? Vieni a Lui, accettaLo e realizzerai anche tu la profonda pace e la grande allegrezza di chi è consapevole di aver incontrato ed accettato Gesù, il Salvatore del mondo. Allora conoscerai il motivo per cui ti è stata data la vita: per consacrarla interamente alla gloria di Colui che ti ha amato e ha dato Sé stesso per te.

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La via che conduce a Dio “Può il mortale essere giusto davanti a Dio? Può l’uomo essere puro davanti al suo creatore?” (Giobbe 4:17)

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el suo primo discorso, come anche in quello pronunciato dagli altri suoi due amici, Elifaz esprime verità divine ed opinioni umane, che non riescono ad essere di alcun aiuto a Giobbe. Come in tutte le cose umane sono una mescolanza di bene e di male, di verità e di opinioni dubbie, in quanto quei tre personaggi credono di poter conoscere tutto. Il loro errore persistente è quello di nutrire la convinzione di poter spiegare tutto con la conoscenza filosofica e religiosa. Quindi, la prima lezione del quarto capitolo del libro di Giobbe, nella maestosa forma poetica che lo pervade, è che non ci possiamo fidare della limitata conoscenza che abbiamo di noi stessi e degli altri. Il nostro brano biblico esprime una verità che troppo spesso gli uomini dimenticano: se “Dio non si fida dei suoi servi, e trova difetti nei suoi angeli; quanto piú in quelli che stanno in case d’argilla, che hanno per fondamento la polvere e sono schiacciati al pari delle tignole!” (1). Infatti, Dio mise alla prova la fedeltà dei Suoi angeli e tra di loro vi furono di quelli che dovettero essere scacciati per la loro infedeltà. Un paragone falso Troppo spesso l’individuo si mette a confronto con altri che sono sempre peggiori di lui così da sentirsi giusto e puro. Proprio come il fariseo della parabola evangelica che, vedendo l’esattore delle tasse mentre si batteva il petto invocando la misericordia

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divina per i suoi peccati, disse dentro di sé in quella che credeva essere una preghiera: “O Dio, ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adúlteri; neppure come questo pubblicano” (2). Il giudizio è un errore e crea una pericolosa illusione. È facile sentirsi migliori dei ladri e dei criminali, degli immorali e degli ingiusti. Il confronto deve essere invece stabilito con Colui che è santo: “Chi è pari a te fra gli dèi, o Eterno? Chi è pari a te, mirabile nella tua santità, …” (3), affermava Miriam nel suo canto ispirato. Dio è perfetto ed afferma: “… sono Dio, e nessuno è simile a me” (4). Come può l’uomo sentirsi a posto dinanzi a Dio? Quanta cecità, quanta stolta superbia rivelano quelli che tentano di risolvere il problema della propria condizione di peccato dimenticando il Signore, negando la Sua esistenza o pensando che dopo la morte non vi sia un’esistenza senza fine. Una realtà dimenticata La Bibbia, che è la rivelazione di Dio all’umanità, afferma autorevolmente che “certo, non c’è sulla terra nessun uomo giusto che faccia il bene e non pecchi mai” (5); “Non c’è nessuno che faccia il bene” (6) perché “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” (7). L’universalità del peccato non soltanto è provata dalla Sacra Scrittura, ma anche dall’esperienza umana. Quante persone, che avevamo considerato giuste ed integre, hanno poi dimostrato di essere l’esatto opposto. Infine, la testimonianza interiore di ogni individuo, risultato di un esame personale, conferma tale verità. Geremia, infatti, invitava ad un autoesame dicendo: “Esaminiamo la nostra condotta, valutiamola, e torniamo al Signore!” (8). “Sia Dio riconosciuto veritiero e ogni uomo bugiardo” (9). La Scrittura afferma che la coscienza stessa degli uomini “ne rende testimonianza e i loro pensieri si accusano o anche si scusano a vicenda” (10).

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La via che conduce a Dio

La via d’uscita Se l’uomo non può essere giusto e puro davanti a Dio, allora non c’è soluzione, egli dunque è condannato “a priori”! Lo attende soltanto una tragedia senza via di uscita! Elifaz conclude il suo primo discorso affermando che gli uomini “sono schiacciati al pari delle tignole! ... periscono per sempre ... la corda della loro tenda è strappata” (11). Che strano tipo di consolazione egli offre a Giobbe nella sua grande prova ed angoscia tremenda! È proprio vero che il conforto umano spesso produce risultati negativi. Possibile che Elifaz non avesse una parola di speranza? Sì, soltanto chi ha ricevuto la “speranza della vita eterna promessa prima di tutti i secoli da Dio, che non può mentire” (12) può “consolare quelli che si trovano in qualunque afflizione” (13). C’è una soluzione a qualsiasi problema contingente, come anche a quelli eterni, perché Dio ha mandato il Suo Figlio Gesù Cristo per la nostra redenzione. Egli il Giusto, “Colui che non ha conosciuto peccato, egli [Dio] lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui” (14). Il Salvatore divino “ha portato i nostri peccati nel suo corpo, sul legno della croce, affinché, morti al peccato, vivessimo per la giustizia, e mediante le sue lividure siete stati sanati” (15). In questo modo noi, uomini senza speranza di salvezza, possiamo guardare al futuro con un’attesa gioiosa. Non finisce tutto con questa breve vita terrena, l’uomo non è schiacciato come una tignola, non perisce per sempre, “poiché c’è un avvenire, e la tua speranza non sarà delusa” (16). “‘Infatti io so i pensieri che medito per voi”, dice il SIGNORE: “pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza. Voi m’invocherete, verrete a pregarmi e io vi esaudirò. Voi mi cercherete e mi troverete, perché mi cercherete con tutto il vostro cuore; io mi lascerò trovare da voi”, dice il Signore …” (17). Non dubitare, non temere, Dio è amore! Egli ti aspetta ed è pronto a donarti vita esuberante e vita eterna.

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Questa serie di meditazioni sul libro di Giobbe, il più antico della Bibbia, è stata scritta come messaggi di evangelizzazione già trasmessi per radio e come tali debbono essere compresi. L’argomento della sofferenza, come conseguenza del peccato commesso o come mistero inspiegabile, viene mirabilmente rivelato come un ministerio didattico divino per il credente, che lo spinge, così, a non fidare più su sé stesso ma ad affidarsi all’Onnipotente. Questo messaggio, annunciato già da Giobbe nel periodo patriarcale, ha tutta la sua avvincente attualità nell’Evangelo. L’individuo, che ha fatto di Cristo il Suo personale Salvatore e Signore, ha scoperto con Giobbe che “… tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio” (Romani 8:28). Possano queste meditazioni essere di luce a quanti, sofferenti, non si sono ancora accostati a Colui che è Amore, e di richiamo a noi credenti per non fidare più sulla nostra giustizia e capacità ma affidarci totalmente a Gesù Salvatore e Sovra- ISBN 88 86085 94 X no delle anime nostre.

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