Vincenzo Federico

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Questo volume, curato da Francesco Toppi, riproduce l’estratto

di un manoscritto di Memorie attualmente in possesso della famiglia Federico; un componimento di oltre quarantaquattromila parole,

eseguito, a partire dal 1972, dall’indimenticabile fratello Vincenzo Federico, un servitore del Signore intemerato e deciso. Egli ha consacrato la sua lunga esistenza nella predicazione di “Tutto l’Evange-

lo”, nonché nella cura di comunità pentecostali, prima, e, associate alle “Assemblee di Dio in Italia”, poi, nella bellissima Sicilia, dove il Signore ha manifestato un grande e glorioso Risveglio fin dal 1912.

Nel suo lavoro, come in un diario, Federico ha riportato non soltan-

to i fatti entusiasmanti, ma anche quelli incresciosi verificatisi nel cor-

so della sua lunga vita e registrati nella sua posizione privilegiata di testimone oculare, per oltre settant’anni, del Movimento, soprattutto

Vincenzo Federico

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Vincenzo Federico Propugnatore della collaborazione tra le chiese evangeliche pentecostali

in Sicilia, dove nel tempo l’opera pentecostale ha avuto, indubbiamen-

te, un notevole sviluppo. Egli è stato, tra l’altro, pastore, almeno per un certo periodo, della più numerosa comunità pentecostale d’Italia.

Vincenzo Federico è vissuto ed ha operato per il Signore nell’arco

di tutta la sua vita e, secondo il suo intento, ha scritto una cronistoria particolareggiata di tutti gli eventi del suo lungo ministerio cri-

stiano; questa vuole essere un monito per le nuove generazioni, incoraggiandole a rimanere fedeli al peculiare “Mandato”, affidato dal

nità e di credenti, perché il Risveglio non venga mai meno. Francesco Toppi

ISBN 88-86085-98-2

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Signore al popolo evangelico di fede pentecostale, in qualità di comu-

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Vincenzo Federico (1911-1995)


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Vincenzo Federico Propugnatore della collaborazione tra le chiese evangeliche pentecostali

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VINCENZO FEDERICO A cura di Francesco Toppi “Assemblee di Dio in Italia” Ente Morale di Culto D.P.R. 5.12.1959 n. 1349 Legge 22.11.1988 n. 517 Servizio Pubblicazioni ADI-Media Via della Formica, 23 - 00155 Roma Tel. 06 22.51.825 - Fax 06 22.51.432 © 2006 - Tutti i diritti riservati

Foto di copertina: Il fratello Vincenzo Federico con alcuni membri della comunità di Raffadali (AG), nel 1947 Stampa: Produzioni Arti Grafiche - Roma

ISBN 88-86085-98-2


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Prefazione Questo volume, curato da Francesco Toppi, riproduce l’estratto di un manoscritto di Memorie attualmente in possesso della famiglia Federico; un componimento di oltre quarantaquattromila parole, eseguito, a partire dal 1972, dall’indimenticabile fratello Vincenzo Federico, un servitore del Signore intemerato e deciso. Egli ha consacrato la sua lunga esistenza nella predicazione di “Tutto l’Evangelo”, nonché nella cura di comunità pentecostali, prima, e, associate alle “Assemblee di Dio in Italia”, poi, nella bellissima Sicilia, dove il Signore ha manifestato un grande e glorioso Risveglio fin dal 1912. Con il beneplacito della famiglia Federico, si è ritenuto opportuno tralasciare alcuni fatti e circostanze riportate nel voluminoso manoscritto, dal momento che si riferiscono ad eventi strettamente legati alla sfera personale e ad episodi descritti minuziosamente che hanno caratterizzato la storia del Movimento. Nel suo lavoro, dunque, come in un diario, Federico ha riportato non soltanto i fatti entusiasmanti, ma anche quelli incresciosi verificatisi nel corso della sua lunga vita e registrati nella sua posizione privilegiata di testimone oculare, per oltre settant’anni, del Movimento, soprattutto in Sicilia, dove nel tempo l’opera pentecostale ha avuto, indubbiamente, un notevole sviluppo. Egli è stato, tra l’altro, pastore, almeno per un certo periodo, della più numerosa comunità pentecostale d’Italia. 7


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I casi particolari a cui ci siamo riferiti precedentemente esulano, quindi, dallo scopo di questo volume, che è quello di far conoscere alle generazioni pentecostali attuali, fatti ed esperienze di un fedele uomo di Dio, che, tra difficoltà, sofferenze e vittorie, ha speso la sua intera esistenza per la diffusione dell’Evangelo, animato da una visione che è andata ben al di là del visibile e del contingente. Vincenzo Federico è vissuto ed ha operato per il Signore nell’arco di tutta la sua vita e, secondo il suo intento, ha scritto una cronistoria particolareggiata di tutti gli eventi del suo lungo ministerio cristiano; questa vuole essere un monito per le nuove generazioni, incoraggiandole a rimanere fedeli al peculiare “Mandato”, affidato dal Signore al popolo evangelico di fede pentecostale, in qualità di comunità e di credenti, perché il Risveglio non venga mai meno. Francesco Toppi

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CAPITOLO 1

Le origini Vincenzo Federico nato a Riesi, cittadina della provincia di Caltanissetta, nota per le sue culture agricole ma soprattutto per le sue miniere di zolfo, scrive:

Nacqui a Riesi (CL) il 26 maggio 1911, primo figlio del secondo matrimonio contratto da mio padre Giuseppe con mia madre Rosaria Di Martino. Erano tempi di guerra, veramente difficili per operai in genere ed agricoltori, ma nella nostra famiglia non mancavano mai vitto ed indumenti; si viveva abbastanza bene rispetto agli altri, forse perchÊ i figli erano ancora tutti piccoli e quindi senza grosse esigenze, ma soprattutto perchÊ il tipo di lavoro esercitato da mio padre era, a quei tempi, ben retribuito. Infatti, egli era capomastro o capo-partita dei minatori specializzati di Riesi che, allora, era considerato un importante centro minerario di zolfo. Ma il 12 luglio 1917, mio padre, avendo trascurato di cautelarsi dopo un’abbondante sudata, si mise a letto con un apparente semplice raffreddore, ma subito dopo 9


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fu colpito da una polmonite doppia con la complicanza di altre malattie. La terapia, applicatagli dai medici del luogo di quel tempo, risultò inutile ed egli morì il giorno 17 dello stesso mese, dopo soltanto cinque giorni, all’età di quarantadue anni circa, lasciando mia madre vedova a soli ventinove anni, in stato di gravidanza avanzata e col peso di sei figli che avevano dai due ai quattordici anni d’età: tre figliastre, che ella non volle affidare ai parenti della prima moglie di mio padre (in quanto ormai era loro legata da molto affetto) e tre maschi nati da lei, dei quali io, che avevo sei anni, ero il maggiore. Lascio immaginare… lo sconvolgimento subito nella nostra famiglia. Ricordo che mi pareva di abitare in un cimitero. Come volevano le usanze “barbare” del tempo e soprattutto del luogo, furono voltati tutti i quadri appesi al muro, fu messa una larga fascia nera di traverso alla foto ingrandita dei miei genitori, le bianche lenzuola e le federe dei letti furono sostituite con quelle di un madapolam (1) puntellato di nero. Io e mio fratello Gaetano, che aveva allora quattro anni e mezzo, portavamo una fascia nera al braccio sinistro ed un fazzoletto pure nero che ci copriva il petto, le porte d’accesso di casa nostra restavano tutti i giorni ed in tutte le stagioni socchiuse con al massimo un’apertura di circa trenta centimetri. Infine le donne, per uscire di casa o anche per stendere la biancheria, si coprivano il capo con lo scialle. Ad aggravare la nostra esistenza, tutti i giorni mia madre e le mie sorelle piangevano dirottamente, special(1) Il madapolan è una tela fine e leggera, mussola trasparente in cotone. Il nome deriva da un sobborgo di Narasapur, sulla costa orientale dell’India, sede di un’importante fabbrica tessile.

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mente di domenica, nell’ora in cui gli amici solevano venire ad invitare papà per andare al loro circolo. Nei giorni di festa, durante le processioni, c’erano a casa nostra delle scene strazianti perché, in ricordo delle belle giornate passate in tali ricorrenze mentre era in vita mio padre, i miei stavano a piangere e, con rabbia, proferivano accuse contro le immagini dei santi che venivano trasportate in processione, addossando loro la colpa della nostra disgrazia. Dopo cinquanta giorni la morte di mio padre, nacque una bella e prospera bambina che, in ricordo della prima moglie di mio padre, fu chiamata Brigida. Era la gioia di tutti noi in famiglia, ma visse in buona salute soltanto dodici mesi; poi si ammalò e morì, procurandoci un altro dolore.

La fanciullezza Intanto compii i sei anni e, con l’apertura delle scuole, Sarina, la più piccola delle mie sorellastre, mi iscrisse alla scuola pubblica. In quell’ambiente, diversi erano i bambini segnati a lutto come me. Ma io ero orfano civile, mentre loro, essendo orfani di guerra, godevano di piccoli privilegi come un pezzo di pane ed un’arancia nell’ora della ricreazione, nonché qualche taglio di vestitino. Il maestro, però, un giorno, vedendomi piangere mentre sentivo parlare di mio padre, decise di inserire anche me nell’elenco degli orfani di guerra. Fu cosa significativa perché a casa mia le cose andavano di male in peggio. Infatti, in seguito alla morte di mio padre, era stato richiesto il pagamento dell’assicurazione sulla vita all’ente minerario al quale apparteneva, in quanto certamente il tipo di lavoro da lui svolto aveva contribuito a facilitare l’esito mortale della 11


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sua malattia all’apparato respiratorio. Ma, praticata un’autopsia, ci fu comunicato che non avremmo ricevuto nulla! Allora, i compagni di lavoro e gli amici di mio padre si unirono in uno sforzo comune e ci fecero un’offerta di trecento lire circa. Con questa colletta, mia madre decise di impiantare una botteguccia di generi alimentari. Infatti, a quei tempi, non era difficile metter su un piccolo commercio del genere: bastava pensarlo la sera per attuarlo la mattina, senza alcuna licenza o altro. Purtroppo, però, quei mezzi finanziari risultarono tanto scarsi per lo scopo ed in più, noi bambini consumavamo oltre quello che si riusciva a guadagnare. Costretti a chiudere bottega, restammo ad attendere la provvidenza divina, la quale non tardò. Mia madre, infatti, già sarta di biancheria e qualificata nella confezione delle camicie, veniva molto apprezzata in quel periodo, ben lontano dall’epoca delle confezioni industrializzate. Ricordo che ella, ammalatasi per i dispiaceri e colpita anche da una grave forma di reumatismi, era costretta a lavorare senza sosta alla macchina da cucire, dal mattino fino a mezzanotte ed oltre e, allorquando doveva alzarsi dalla sedia per smettere di lavorare, aveva bisogno dell’aiuto delle mie due sorelle più grandi, che la sollevavano per le braccia. Un’altra provvidenziale risorsa fu rappresentata (niente meno!) dall’impianto di una conduttura dell’acqua comunale che mio padre aveva fatto installare nella nostra abitazione: caso quanto mai raro! Tutto il vicinato cominciò ad usufruire dell’acqua comunale, attingendola da casa nostra e, in cambio, pagava una quota mensile di una lira o una lira e mezza, a seconda del numero dei componenti la famiglia. C’era però chi preferiva praticare il baratto con legna, olio e qualche “tumulo” di frumento. 12


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La grazia di Dio ci sosteneva e ci aveva provveduto anche la casa di proprietà, un ambiente di costruzione passabile, secondo i tempi, composto di un vano grande e due annessi un po’ più piccoli. Quando nel 1915 cominciò la prima guerra mondiale avevo quattro anni esatti e rimanevo attonito nel sentire parlare gli adulti delle battaglie terribili che si alternavano. Avevo notato che, mentre era ancora in vita, mio papà, già esonerato perché padre di famiglia numerosa, restava costernato e addolorato quando leggeva le lettere degli amici e dei suoi fratelli partiti per il fronte. Erano frequenti, poi, i casi di famiglie colpite dal dolore e dalla disperazione quando giungeva la comunicazione di morte di qualche loro congiunto. Dopo la ritirata di Caporetto, a Riesi vennero gli sfollati del modenese e la mia famiglia, che aveva bisogno di conforto, cercò di confortare, a sua volta, quei poveri sventurati. Comunque, tra lacrime, povertà e dolori, compivo il settimo anno di età. Mentre la guerra infuriava, falciando migliaia e migliaia di giovani vite, giunse un’altra calamità: la spagnola, un’influenza maligna che, partita dalla Spagna, si diffuse in tutta l’Europa. Era un’epidemia che colpiva a morte in prevalenza i giovani, nel giro di ventiquattr’ore al massimo (…). Naturalmente ad accrescere il disastro contribuiva la guerra con la mancanza di medicine, la carenza di viveri e l’infezione causata dagli ammassamenti umani al fronte. La mia famiglia, nonostante fosse composta di giovanette e di bambini veramente bisognosi di buon alimenti di prima necessità, non fu colpita da quel terribile male. Era il mese di novembre del 1918 e, in seguito alle piogge autunnali, la spagnola aveva perduto la sua effi13


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cacia micidiale. Però, persisteva ancora la guerra con le sue terribili notizie delle battaglie finali. Ma la sera del giorno quattro di quel mese, ci fu un forte e lungo scampanio: le campane delle chiese, suonando a stormo, annunziavano la vittoria (…). Gli abitanti del mio paese uscirono sulle strade e per l’allegrezza si baciarono gli uni gli altri. Tutti si misero in movimento per visitarsi. Il segno della gioia era evidente e persino alcuni, che precedentemente erano stati in lite, tornarono in pace. Ricordo che ci fu un individuo il quale, per alcune settimane, girò per le strade, seguito da tanta gente, portando una grande bandiera tricolore e gridando: “Viva la pace!”.

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CAPITOLO 2

La mia prima occupazione Stavo frequentando la terza classe elementare e mi avviavo verso l’ottavo anno di età. Secondo le esigenze di allora, già a sei anni i bambini andavano a lavorare in campagna o come pastorelli o in miniera, presso appaltatori tiranni che, con il lavoro pesante, ne compromettevano persino la normale crescita. Mia madre, memore di quello che diceva mio padre, che non avrebbe mai portato i propri figli in miniera a lavorare, ma che li avrebbe avviati nell’artigianato, nonostante il nostro precario stato economico, mi domandò quale mestiere avrei preferito scegliere. Io credetti di poter aiutare al più presto la famiglia avviandomi al mestiere di calzolaio. Durante l’autunno di quell’anno, la pioggia tardò a venire, come accade spesso in certe stagioni, nelle nostre regioni meridionali. Ciò nonostante, gli agricoltori gettarono le sementi nel tempo opportuno, ma ohimé! la pioggia continuò a tardare e durante tutto l’inverno si videro solo poche burrasche leggere. In quell’occasione, la chiesa cattolica organizzò delle processioni con le immagini 15


Questo volume, curato da Francesco Toppi, riproduce l’estratto

di un manoscritto di Memorie attualmente in possesso della famiglia Federico; un componimento di oltre quarantaquattromila parole,

eseguito, a partire dal 1972, dall’indimenticabile fratello Vincenzo Federico, un servitore del Signore intemerato e deciso. Egli ha consacrato la sua lunga esistenza nella predicazione di “Tutto l’Evange-

lo”, nonché nella cura di comunità pentecostali, prima, e, associate alle “Assemblee di Dio in Italia”, poi, nella bellissima Sicilia, dove il Signore ha manifestato un grande e glorioso Risveglio fin dal 1912.

Nel suo lavoro, come in un diario, Federico ha riportato non soltan-

to i fatti entusiasmanti, ma anche quelli incresciosi verificatisi nel cor-

so della sua lunga vita e registrati nella sua posizione privilegiata di testimone oculare, per oltre settant’anni, del Movimento, soprattutto

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Vincenzo Federico Propugnatore della collaborazione tra le chiese evangeliche pentecostali

in Sicilia, dove nel tempo l’opera pentecostale ha avuto, indubbiamen-

te, un notevole sviluppo. Egli è stato, tra l’altro, pastore, almeno per un certo periodo, della più numerosa comunità pentecostale d’Italia.

Vincenzo Federico è vissuto ed ha operato per il Signore nell’arco

di tutta la sua vita e, secondo il suo intento, ha scritto una cronistoria particolareggiata di tutti gli eventi del suo lungo ministerio cri-

stiano; questa vuole essere un monito per le nuove generazioni, incoraggiandole a rimanere fedeli al peculiare “Mandato”, affidato dal

nità e di credenti, perché il Risveglio non venga mai meno. Francesco Toppi

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