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Il criminologo Massimo Picozzi racconta la sua carriera, a tu per tu con i casi più scottanti d’Italia

Cedono le mura Delitti irrisolti? medievali

Dove c’è meno pressione investigativa

Parte della cinta vicino alla torre Galvani si è sbriciolata, probabilmente a causa del maltempo

na porzione delle mura storiche di Vignola ha ceduto, probabilmente a causa del maltempo e delle piogge incessanti dei giorni precedenti che hanno messo a dura prova la monumentale cinta che incastona il centro storico. Un’amara sorpresa ha accolto chi si trovava a passare nelle prime ore di domenica nel punto ricompreso tra il ristorante Old River di via Portello e la Torre Galvani, a poche decine di metri dal fiume Panaro. Una parte delle mura medievali lungo una

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decina di metri ed ampia due è crollata. “Ci siamo accorti del crollo – spiegano dal ristorante Old River, situato proprio all’interno dell’antica cinta muraria – perché è avvenuto a pochissimi metri da noi”. E anche il Comune ieri è stato avvisato del cedimento. “La situazione è monitorata dalla polizia municipali e i vigili del fuoco: questi ultimi avranno il compito di eseguire la perizia e, intanto, la zona interessata è stata transennata – spiega il sindaco Daria Denti – Il muro

dove si è verificato il cedimento è di proprietà del ristorante Old River. Noi, invece, siamo proprietari della parte ristrutturata che ospita il Giardino Pensile Galvani. Sulla nostra porzione, abbiamo effettuato un intervento “Cuci e scuci” finito tra il 2009 e il 2010 e, negli anni, abbiamo monitorato anche la Torre Galvani perché si erano verificate delle dilatazioni”. Stupefatti i passanti che rimangono attoniti di fronte ad una parte così consistente di muro sbriciolata.

M

assimo Picozzi è un docente, chirurgo, psichiatra e criminologo italiano, autore di numerosi libri oltre che autore e conduttore di trasmissioni televisive riguardanti fatti di sangue e serial killer. Picozzi è considerato una delle massime autorità nel campo della criminologia: gli abbiamo domandato di parlarci di qualche caso irrisolto e di qualche caso per il quale, invece, è stato ritrovato il colpevole per capire qual è il suo punto di vista. Prof. Picozzi, lei si è occupato a lungo del caso Izzo, ossia l’assassino del Circeo che, uscito di galera in semilibertà, dopo trent’anni, nel 2005, ha ammazzato altre due donne… “Quelli come Izzo sono dei manipolatori. Aveva convinto tutti che era cambiato. E poi c’è la legge: dopo 25 anni di carcere acquisisci il diritto alla semilibertà. Il problema è che era stato inserito in una struttura a occuparsi di prostitute e transessuali. Diciamo che i magistrati hanno bisogno di consulenti più esperti. Alcune patologie criminali non sono ancora curabili, quindi bisognerebbe attrezzarsi: sorveglianza continua, obbligo di firma frequente, localizzatori… La maggior parte degli assassini, anche se malati, hanno sempre la possibilità di scegliere se commettere o no un delitto. Tranne rari casi: Davide Antonelli, il diciannovenne che nel 2004 ha preso un treno da Milano è sceso a Brindisi e ha ammazzato la nonna con novanta coltellate, aveva una patologia gravissima. Non aveva capacità di intendere e di volere rispetto alle proprie azioni. I serial killer Donato Bilancia, Gianfranco Stevanin e Michele Profeta, invece, sono stati tutti ritenuti responsabili dei loro crimini”. Come ha iniziato ad occuparsi di criminali? “Subito dopo la laurea in medicina. Accadde per caso: andai con un amico a fare una partita di calcio in un carcere: liberi contro detenuti. In quell’occasione il direttore del carcere di massima sicurezza di Busto Ar-

sizio mi chiese se volevo lavorare da lui come responsabile sanitario e accettai. Durante quegli anni ho imparato tutti i dialetti d’Italia. E ho cominciato ad avere a che fare con i delinquenti: il boss mafioso Angelo Epaminonda, detto il Tebano, i terroristi palestinesi dell’Achille Lauro… Renato Vallanzasca. Dopo il lavoro in carcere, sono stato ‘interno’ in ospedale per più di dieci anni. Nel 2000, durante una conferenza di Ruggero Perugini, il primo capo della Squadra anti-mostro di Firenze, ho deciso di propormi per collaborare con l’Unità analisi crimini violenti”. Il primo caso di cui si è occupato sono state le tre ragazzine di Chiavenna che uccisero suor Laura Mainetti. “La cosa che mi impressionò di più fu la giustificazione che diedero all’omicidio: erano annoiate, non ce la facevano. Nei gruppi di ragazzi la sensazione di essere impantanati in un blocco evolutivo e di poterne uscire con un atto quasi magico è frequente. Un ragazzo da solo difficilmente farebbe certe cose. Il gruppo toglie raziocinio. Se poi alcuni giovani sono abituati alla violenza in famiglia… La frontiera generazionale da studiare oggi, comunque, è quella virtuale”. Ci sono delitti che si trascinano per lungo tempo, come quello di Cogne… “Se la signora Franzoni avesse ucciso il figlio a Milano, dopo ventiquattro ore sarebbe finita in carcere per l’omicidio del figlio. E non ci sarebbe stato nessun mistero di Cogne”. È il parere di Massimo Picozzi, psichiatra e criminologo. La provincia rimane di più nella memoria degli italiani non perché ci sono più omicidi nei borghi, ma perché la polizia dei piccoli paesini ha meno mezzi per condurre le indagini: “Un caso di cronaca per diventare significativo deve restare insoluto per alcuni giorni”, ribadisce Picozzi: “Ci deve essere un mistero. E dov’è che questi delitti rimangono un mistero? Dove c’è una pressione investigativa minore”.


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