Affari di Gola marzo-aprile 2022

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Anno XXII n. 1Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento PostaleD.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo€ 2,60 LA BUONA TAVOLA RACCONTATA DA affaridigola . it MARZO - APRILE 2022 Germogli di primavera SPUNTA LA VOGLIA DI NUOVO

È PRIMAVERA, SI RISVEGLIA LA CREATIVITÀ

Ma come quest’anno il Natale e la Pasqua sono così lontani. In senso temporale, perché la Pasqua alta, che cade il 17 aprile, se non è proprio un record, poco ci manca. Da un punto di vista meteorologico, perché il freddo intenso sta lasciando spazio ai primi tepori marzaioli. Infine, in senso metaforico, perchè si percepisce la fine di quell’interminabile tempo sospeso trascorso tra i timori di non farcela e di richiudere e l’incoraggiante prospettiva primaverile, nella speranza che la difficile situazione europea non peggiori. Sentiamo il bisogno di nutrirci di cose buone ma anche di buone notizie che aiutano a stare bene, a lavorare sereni e ad apprezzare la convivialità della buona tavola. Chiuso il Carnevale con suoi ritrovati bagordi, anche a tavola, siamo entrati in Quaresima, tempo una volta di magro e digiuno ed oggi almeno di morigeratezza e sobrietà. Un momento di riflessione, di studio e di proposta, in cucina, con la riscoperta di piatti primaverili, leggeri ed appetitosi, come il raviolo e l’asparago. La primavera lo sappiamo è tempo di risveglio, germogli di nuova vita, con nuovi colori, sapori e profumi. Ma anche di nuove idee e rinnovata creatività. Sarà la mezza stagione, ma questo periodo resta dirompente in cucina, forse per quella ricerca di novità che ci anima. La stagionalità del prodotto diventa elemento di valorizzazione della tradizione, mentre la creatività esalta l’innovazione delle proposta. Ricette e segreti del cucinare nuovi ma anche antichi. Tra tradizione e innovazione. Anche nel mangiare bene e sano il cerchio si chiude tra ciò che cambia e tutto che ritorna. La primavera può stupire ancora i nostri sensi, mentre, con rinnovato entusiasmo, affrontiamo questo nuovo anno. Ora procediamo verso la Pasqua, con quel suo valore di rinascita, nel senso più alto del termine, ma anche in quello più comune che ci muove nelle nostre piccole e quotidiane cose.

Buona Primavera a tutti.

M arzo - Aprile 2022

Bergamo, tel. 035.4120322 - 035.4120182

Registrazione Tribunale di Bergamo – n. 48 del 22 novembre 2001

Collaboratori: Lara Abrati, Sergio Cotti, Rosanna Scardi, Marco Offredi

Progettazione grafica: Samanta Cattaneo, Mozzo, Bg

Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg

4. A Pasqua vince la tradizione 8. Primizie di primavera 12. Ravioli Gourmet 16. Food trends? Scopriamoli! 18. L'intervista ad Antonella Ricci 22. Latte, una questione di qualità 26. I social in tavola 30. La nuova distillazione artigianale 34. In evidenza 36. Primavera in rosè 39. Leggere di gusto S OMMARIO
Direttore EDITORIALE
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Se riparte il terziario, riparte il Paese. Con noi si può fare! Far parte di Confcommercio significa non essere soli, mai. GIOIELLERIE TRATTORIE RISTORANTI DISTRIBUTORI CONCESSIONARI ABBIGLIAMENTO UOMO-DONNA HOTEL ALBERGHI
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A Pasqua vince la tradizione

DOPO DUE ANNI FINALMENTE SI TORNA

A FESTEGGIARE NEI RISTORANTI. ABBIAMO CHIESTO AD ALCUNI CHEF COME SI STANNO PREPARANDO E QUALI MENÙ PRESENTERANNO AI LORO OSPITI

L’agnello e il capretto, le uova e la pastiera, le torte salate e la ricotta. A Pasqua, come per ogni altra festa comandata, in tavola vince la tradizione, anche al ristorante. Soprattutto in un periodo di post pandemia, dove riscoprire il piacere di sedersi a tavola in compagnia sembra già una mezza trasgressione. Due anni fa il lockdown, l’anno scorso i menù d’asporto: dopo tre anni torna dunque il pranzo di Pasqua nei locali e questa è già una conquista. «I clienti cercano conforto anche nel cibo. Vogliono la cucina tradizionale, i sapori di casa, gli stessi che hanno riscoperto nel periodo del confinamento». Filippo La Mantia, chef siciliano del ristorante milanese Oste e Cuoco, appena riaperto (dopo la sospensione dell’attività, causa Covid, nel febbraio del 2021), non ha dubbi: «Gli italiani sono un po’ stanchi dell’innovazione – dice –. Chiedono anche al ristorante il cibo di casa, una cucina dignitosa, ricca di ingredienti poveri. Questi anni ci hanno appiattito e ora vogliamo un po’ tutti ritrovare le nostre tradizioni, soprattutto quando siamo a tavola con le nostre famiglie». Va così che il menu dello chef siciliano sarà all’insegna delle ricette tipiche palermitane, anche a Milano. «Non potrà mancare il mio timballo di anelletti al forno – racconta –, preparato con un ragù misto di maiale, vitello e manzo stracotto 6 ore nel sugo e arricchito con un trito finissimo di mortadella, salame e prosciutto. Ma ci sarà anche l’agnello in tegame, glassato con patate, sedano, carote, alloro, cannella e triplo concentrato di pomodoro».

Pasqua, tempo di rinascita anche per la natura, e non c’è niente di meglio che trasferirne i sapori sulle tavole imbandite a festa: «Il mio sarà un menu stagionale – spiega Pino Cuttaia, chef e patron del ristorante La Madia di Licata (Ag) –. Tra marzo e aprile il nostro territorio offre l’imbarazzo della scelta: non potrà mancare il mio uovo di seppia, che proporrò con una crema di piselli, favette ed erbe spontanee». Regina della tavola, soprattutto al Sud, la ricotta ha un ruolo fondamentale nei menu di Pasqua: «È un ingrediente imprescindibile, sia per le ricette salate, che per quelle dolci – dice Cuttaia –. Io la propongono in una cornice di primavera insieme le erbe spontanee, alla base di un “quadro” dove inserisco anche la bottarga, immaginando un connubio tra mare e terra, e dunque tra pescatori, contadini e pastori».

Ma c’è spazio anche per un pizzico d’innovazione? «Oggi è innovazione ripercorrere il gesto storico, che noi cuochi cerchiamo di affinare. Il fatto di mettere nel piatto un ingrediente come la ricotta, inserendola in una cornice dopo averla fatta cuocere di nuovo dandole una nuova forma, già rappresenta un tocco d’innovazione. È un po’ lo stesso lavoro che fa il pastore. A noi interessa mettere questi saperi a disposizione dei nostri ospiti, proponendo un viaggio, un racconto, una storia all’interno del piatto».

Dalla Sicilia al Veneto, cambiano gli ingredienti della tradizione e così alla trattoria La Tana di Asiago Alessandro Dal Degan nel periodo di Pasqua proporrà un insolito risotto mantecato al formaggio Asiago con polvere di capperi e bruscandoli, germogli del luppolo. «È un piatto – spiega lo chef – basato su un ingrediente tradizionale e tipicamente stagionale, i bruscandoli, rivisitati alla nostra maniera, attraverso ricerca e innovazione, che da sempre rappresentano la cifra stilistica del nostro lavoro». Tipici in Veneto tanto quanto l’agnello, i germogli del luppolo, insieme agli asparagi, imperversano sulle tavole proprio ad inizio primavera, pure con utilizzi diversi: «Quello che oggi vediamo come innovazione – conclude Dal Degan – col passare del tempo si stratifica e diventa tradizione. Guardarsi indietro è fondamentale, ma senza ancorarsi troppo al passato».

di Sergio Cotti

RICETTA

TIMBALLO

DI ANELLETTI

ALLA PALERMITANA

DI

FILIPPO LA MANTIA

Ingredienti per 10 persone

31 kg di anelletti Palermitani

3300 g di mortadella

3200 g di salame

3100 g di prosciutto cotto

3500 g di piselli

3600 g di ragù misto: maiale, vitello, manzo

3300 g di caciocavallo ragusano

35 melanzane

3500 cc di passata di pomodoro

33 mazzi di basilico

32 cucchiai di doppio concentrato di pomodoro

34 uova sode

31 carota

31 costa di sedano

3Mollica di pane

3Olio extravergine di oliva

Procedimento

Cominciamo friggendo le melanzane: 3 a cubetti piccoli e 2 a fette sottili. Quindi le facciamo riposare, eliminando più olio possibile. Tritiamo finemente la mortadella, il salame ed il prosciutto. Tritiamo anche il sedano e la carota, versiamo un po' di olio evo in un tegame, facciamo rosolare e aggiungiamo piselli e un po' di acqua. Facciamo cuocere per 10 minuti per poi aggiungere il ragù misto, la passata di pomodoro, il basilico e il concentrato di pomodoro. Continuiamo la cottura a fuoco lento. Aggiustiamo di sale e pepe o peperoncino fresco. Bolliamo le uova e le aggiungiamo in acqua fredda. Eliminiamo il guscio. A questo punto, nel tegame con la salsa, aggiungiamo la mortadella, il salame, il prosciutto, le melanzane fritte a cubetti, le uova sode e rimescoliamo il tutto per pochi minuti lasciando andare di cottura per altri dieci minuti. Di solito gli anellini hanno una cottura di 18/20 minuti; noi li cuociamo in acqua salata per 8 minuti. Li scoliamo, lasciando da parte un po' di acqua di cottura e li uniamo al condimento. Rimescoliamo dolcemente aggiungendo il caciocavallo grattugiato, olio evo ed un po' di acqua di cottura. Prendiamo la forma per il timballo, versiamo un po' di olio e della mollica di pane. Pareggiamo bene e foderiamo il fondo di fette di melanzane ripiegandole sul bordo. Pressiamo bene con le mani e versiamo la pasta che con l’aiuto di una spatola appiattiremo per bene. Inforniamo a 200° per 20 minuti.

RICETTA

UOVO DI SEPPIA

DI PINO CUTTAIA

Ingredienti per 4 persone

34 seppie

34 uova

320 g di tartufo nero

3Fiocchi di sale Maldon

Procedimento

Puliamo bene la seppia: tagliamo la testa, togliamo la pelle, rimuoviamo la pellicina dal mantello e tagliamo le parti laterali e le ossa attaccate al mantello. Tagliamo la polpa rimasta a cubetti. Riempiamo due boule per metà con ghiaccio e poggiamoci sopra due contenitori di acciaio. Disponiamo in uno di essi la seppia tagliata a cubetti e frulliamola poco alla volta con l’ausilio di un minipimer. Frulliamo fino a ottenere un composto liscio e omogeneo e trasferiamo l’impasto frullato nell’altra boule. Pratichiamo un piccolo foro sul guscio delle uova e, con l’aiuto di una piccola forbice, allarghiamolo delicatamente per permettere la fuoriuscita dell’albume.

Facciamo colare quest’ultimo all’interno di un bicchiere, picchiettando l’uovo con delicatezza. Estraiamo delicatamente anche il tuorlo dell’uovo allo stesso modo e teniamolo da parte. Puliamo con attenzione l’interno del guscio con acqua e asciughiamolo. Inseriamo 30 grammi di seppia frullata per ogni uovo all’interno del guscio con la punta delle dita e modelliamola pressandola all’interno del guscio, creando una membrana uniforme. Lasciamo spazio per inserire il tuorlo e, finita questa operazione, posizioniamolo all’interno. Chiudiamo il guscio con la rimanente seppia frullata e fino a “saldarlo”. Cuociamo l’uovo nel forno a 52 °C in modalità vapore per 15 minuti. Nel frattempo, tagliamo a lamelle il tartufo. Assembliamo il piatto creando un nido di tartufo nero e posizionando l’uovo cotto privato della buccia. Completiamo con qualche fiocco di sale Maldon.

Primizie di primavera

Con l’arrivo della primavera la natura si risveglia e si iniziano a trovare sui banchi dell’ortofrutta quelli che potremmo definire i germogli per eccellenza: gli asparagi. Un prodotto della natura davvero unico, versatile e mai scontato. Una materia prima che si caratterizza per l’avere una forma che ben si presta alla preparazione di piatti belli da vedere, utile non solo per le sue caratteristiche gustative e aromatiche, ma anche per la decorazione di ricette tra le più diverse. Perché se è vero che noi tutti associamo l’asparago all’uovo o al risotto, non è altrettanto vero che questi due elementi siano gli unici abbinamenti possibili per l’ortaggio in questione.

Ma partiamo dall’inizio, con un viaggio che porta alla scoperta delle differenti varietà di asparago che hanno un colore diverso, caratteristiche gustative differenti e, talvolta, anche forma non identica. È bene sapere che comunemente viene chiamato asparago non la pianta, ma il suo germoglio, che poi è quello che consumiamo sulle nostre tavole primaverili, da marzo fino a maggio inoltrato. Per quanto riguarda il colore, esistono i comuni asparagi verdi, quelli bianchi, ma anche quelli viola. Sulla forma e, semplificando, sulle caratteristiche gustative e aromatiche si può affermare con certezza che le varietà verdi hanno un gambo più sottile e si caratterizzano per il possedere caratteristiche aromatiche tendenti all’erbaceo (il famoso sentore verde). Mentre le varietà bianche hanno un gambo più grosso e carnoso e presentano aromi più rotondi, con un sapore più tendente al dolce. In Italia ne esistono di diverse e tutelate da denominazioni di origine che, anche se sono poco conosciute, sono di grande interesse gastronomico. C’è una sola Denominazione d’Origine Protetta (Dop) ed è veneta. Si tratta dell’Asparago Bianco di Bassano Dop, dal germoglio di colore bianco e dalle dimensioni generose. Nonostante questo, la sua consistenza è tenera e mai legnosa, con un gusto prevalentemente dolce, con una punta leggermente amara. Il turione (la punta) è piccola rispetto al gambo tozzo e leggermente ripiegato. L’asparago Violetto di Albenga, invece è una

9 marzo - aprile 2022
L’ASPARAGO
È
UNO DEI PRIMI FRUTTI DELL’ANNO DA VALORIZZARE CON CREATIVITÀ, CON ABBINAMENTI INSOLITI MA CHE SODDISFANO SEMPRE IL PALATO. CIASCUNA VARIETÀ HA UNA SUA CARATTERISTICA

varietà oggi presidio Slow Food che stava letteralmente scomparendo. È di colore viola intenso, che si fa sempre più chiaro verso la base. Cresce bene nei terreni alluvionali della piana di Albenga e il suo colore non dipende in alcun modo dalla tecnica di coltivazione, ma ne è una caratteristica genetica. È di consistenza molto morbida ed è davvero delicato: necessita infatti di una cottura breve. Poi, c’è l’Asparago di Cilavegna, una zona della Lomellina, in provincia di Pavia. È stato inserito nei prodotti dell’Arca di Slow Food ed è prodotto da soli 11 coltivatori riuniti in un consorzio dalla fine degli anni ’80. Tra gli IGP troviamo invece diverse varietà di asparago bianco, tra cui l’Asparago Verde di Altedo IGP, che trova la sua origine in provincia di Bologna e Ferrara. Come tutti gli asparagi verdi ha un gambo bello turgido e dalla consistenza tenace che diventa tenero vicino al turione. Anche il gusto tende ad un leggero amarognolo, con aromi erbacei ben definiti e intensi. L’Asparago di Badoere IGP, invece, comprende sia una tipologia di asparago bianco che una verde. Mentre l’Asparago di Cantello IGP è un asparago bianco coltivato in provincia di Varese, il cui colore dipende esclusivamente dalla tecnica di coltivazione. Infine, l’Asparago Bianco di Cimadolmo IGP, dal nome dell’omonimo comune in provincia di Treviso, è caratterizzato dal colore bianco e dalla consistenza tenera grazie alla tecnica di coltivazione che prevede la copertura del terreno, per fare in modo che la luce non arrivi al germoglio e non venga prodotta la clorofilla, responsabile del colore verde.

L’ASPARAGO ROSA DI MEZZAGO È DENOMINAZIONE COMUNALE

Merita particolare menzione l’Asparago Rosa di Mezzago, che gode della Denominazione Comunale. Coltivato a Mezzago si caratterizza per il germoglio bianco con l’apice roseo, grazie alla tipologia di terreno in cui viene coltivato che presenta argilla e molti minerali ferrosi. Si pensa che nel piccolo territorio di Mezzago gli

LE VARIETÀ VERDI HANNO UN GAMBO PIÙ SOTTILE E SI DISTINGUONO PER LE CARATTERISTICHE AROMATICHE TENDENTI ALL’ERBACEO, MENTRE QUELLE BIANCHE HANNO UN GAMBO PIÙ GROSSO E CARNOSO E PRESENTANO AROMI PIÙ ROTONDI

asparagi venissero coltivati sin dagli anni ’30 del secolo scorso; dopo un periodo di stasi, ad inizio anni 2000 istituzioni, associazioni locali, coltivatori diretti e tanti cittadini volontari si sono messi in gioco per ripristinare la coltivazione, finanziando l’acquisto delle “zampe” da impiantare e della relativa e conseguente promozione dell’asparago. Contestualmente all’avvio del progetto di recupero della coltivazione, è nata la Cooperativa Agricola di Asparagicoltori Mezzaghesi che ha saputo anche stimolare l’interesse di altri giovani agricoltori che hanno iniziato a dedicarsi a questa attività agricola, coltivando secondo un preciso disciplinare di produzione. In generale, quasi tutte le attività che ruotano attorno al mondo dell’Asparago Rosa di Mezzago sono vive grazie al prezioso contributo di molti cittadini che hanno a cuore il progetto e alle attività dei volontari. Lo si può acquistare in diversi negozi del paese, ma anche direttamente dalle aziende agricole e lo si riconosce dal marchio “Asparago Rosa di Mezzago”. La cooperativa ha un punto vendita dove conferiscono il prodotto alcune delle aziende agricole produttrici. Sul sito web e sui canali social della De.Co. si possono reperire informazioni in merito alla disponibilità di prodotto.

IL PROFILO AROMATICO

E GLI ABBINAMENTI

L’asparago non vuole solo uova, formaggio e risotto. Ci sono degli abbinamenti creativi che potranno stupire i tuoi ospiti. L’asparago bianco ben si abbina ad esempio al caviale. Oppure, un abbinamento più scontato, quello con la carne di maiale grassa affumicata, come il bacon e la pancetta, che condividono il sentore leggermente erbaceo e legnoso e il sapore dolce. E ancora, gli asparagi bianchi sono altresì ben abbinabili al tartufo nero estivo oppure al miele o alla barbabietola. Sia i bianchi che i verdi sono perfetti anche con il frutto della passione con cui condividono buona parte del profilo aromatico o con la mandorla tostata.

RICETTA

FLAN DI ASPARAGI CON CREMA DI TALEGGIO E MANDORLE

Ingredienti per 6 porzioni

250 g di asparagi

100 g di broccoli

100 ml di latte

250 g di Taleggio

150 ml di panna fresca

40 g di mandorle a scaglie tostate

3 uova

noce moscata qb

sale qb

Procedimento

Lessate le verdure in abbondante acqua salata, mettete da parte qualche punta di asparago e qualche cimetta di broccolo che serviranno per la decorazione. Frullate il resto nel mixer con 100 ml di panna, il latte, le uova, 150 grammi di taleggio tagliato a pezzetti, la noce moscata e il sale. Imburrate e infarinate 6 stampini da flan, riempiteli con il composto e fare cuocere a bagnomaria in forno a 180°C per 35 minuti. A parte mettete in un pentolino a fuoco basso 50 grammi di panna fresca e fatevi sciogliere 100 grammi di taleggio tagliato a pezzetti. Mescolate fino a ottenere una crema liscia. Servite flan guarnendoli con la crema, le punte di asparagi, le cimette di broccoli e le mandorle.

10 marzo - aprile 2022 11 marzo - aprile 2022

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Ravioli Gourmet

Felicità, sapori, profumi e ricordi delle domeniche con la famiglia riunita a tavola, trionfo delle nonne che ancora impastano con mani e braccia energiche, i ravioli sono una gloriosa specialità italiana. Le sfoglie fresche, generalmente a base di uova e farina, quadrate o tonde, vanno farcite con prodotti ben amalgamati, lessate e servite in brodo o asciutte. In generale, sono degli involucri da riempire con estro, gusto, generosità e allegria. Ogni regione ha la sua versione, con diverse forme e ingredienti per l’impasto, i prodotti usati per farcire e le guarnizioni, che variano a seconda delle stagioni. L’origine dei ravioli si confonde con la leggenda. Secondo critici gastronomici e gli storici l’origine risalirebbe a cavallo tra il primo secolo avanti e dopo Cristo: pare che Marco Gavio Apicio, famoso cuoco romano, inventò una ricetta chiamata patinam apicianam sic facies, ovvero 'torta di Apicio', che era simile al raviolo. Il nome sarebbe, invece, nato in Liguria, precisamente a Gavi Ligure, ed è quello del cuoco che li inventò, appunto Ravioli, che usava condirli con poca acqua di cottura e vino rosso. Le prime notizie scritte arrivano, invece, dal dodicesimo secolo e si trovano anche nel Decamerone di Boccaccio che nel descrivere le leccornie del Paese della Cuccagna scriveva “...stava genti che niuna altra cosa facevano che far maccheroni e ravioli e cuocerli in brodo di capponi...”. Sappiamo che inizialmente il loro ripieno era realizzato con ingredienti poveri, come le erbe. Negli anni questo formato di pasta si è evoluto e diffuso in tutt’Italia, tanto che lo troviamo con i ripieni più disparati di carne, pesce, verdure, formaggi, perfino dolci al cacao, amaretto e castagne e con le sfoglie più fantasiose. Abbiamo chiesto a tre chef bergamaschi i loro consigli per i ravioli di primavera. Gli stessi cuochi sono presenti nel libro “13 ravioli per 13 chef” di Lara Abrati e Matteo Zanardi, edito da LaMa Food Specialists.

tello classico al parmigiano, che solitamente condisco con aceto balsamico e culatello, in primavera lo propongo con asparagi, pignoli e primizie», afferma lo chef. La pasta è fatta a mano, con un accorgimento. «Uso solo il tuorlo, non l’albume, perché quando chiudi il raviolo resta più morbido, tiene meglio la cottura - è il suo suggerimento -: quanto alla forma sono i ripieni a richiederla, quelli ruvidi e sostanziosi necessitano di forme poco lavorate, mentre sui delicati ci si può sbizzarrire in forme strane».

LENNA A TUTTA TRADIZIONE

ALLA TRATTORIA DELLE MINIERE

OGNI REGIONE HA LA SUA VERSIONE, CON DIVERSE FORME E INGREDIENTI PER L’IMPASTO

Il classico raviolo a base di ricotta e spinaci viene rivisitato secondo la tradizione della Valle Brembana da Lorenzo Bonini, 29 anni, chef e titolare della Trattoria delle Miniere di Lenna. Gli ingredienti sono ricotta del posto ed erbe spontanee come ortica e silene. «Quest’ultimo è una pianta comune, cresce nei prati, si trova anche a 2.000 metri, io raccolgo quello piccolo, a Lenna -racconta il cuoco-. Stendo la pasta, metto le farciture e stampo un raviolo a forma di bottone. Al posto della ricotta normale, nel ripieno per legare, uso quella fresca e, sopra, la mascherpa, una ricotta stagionata d’alpeggio; sopra colo il fiurì, un’altra declinazione della ricotta, ovvero il primo affioramento, creando una sorta di intingolo. I ravioli vanno serviti caldi con il cucchiaio. Mi ricordano il piatto povero che i nostri nonni consumavano, la polenta con il latte». Dunque, nei ravioli vince la tradizione, che è alla base di qualsiasi piatto. «In cucina non si inventa più nulla, per questo la tradizione è un ottimo spunto», aggiunge lo chef.

ALLA STALETTA DI ZOGNO IL SEGRETO È IL TARTUFO NERO

AL GIOCOLIERE DI BERGAMO STAGIONALITÀ ED ELEGANZA

La primavera porta con sé un’esplosione di profumi e colori vivaci. Per Mauro Boroni, titolare e chef del Giocoliere a Bergamo, i ravioli sono un’eccellenza che è valorizzata dai prodotti della terra. Nel libro sopra citato propone un piatto che è il simbolo dell’arte culinaria nazionale, il raviolo all’amatriciana in salsa di cacio e pepe (foto di apertura, ndr), semplici e golosi, dalla forma tonda, belli e colorati anche a vedersi. «La pasta ripiena è elegante, non può mancare nel menù, è personale, caratterizza e rispecchia la mano di un cuoco», afferma Boroni, 35 anni, che segue rigorosamente la stagionalità. In inverno, predilige piatti con zucca e verza, quando le temperature salgono piselli, rabarbaro, erbe fresche. «Il passaggio stagionale si avverte molto in cucina, è una ventata di freschezza», aggiunge. I suoi ravioli di primavera sono con gli asparagi. «Mi piace preparare un tor-

Il territorio fornisce ingredienti preziosi che possono essere al servizio della fantasia. Lo sa bene Claudio Rubis, 39 anni, chef e titolare della Staletta di Zogno, che prepara i ravioli e il pollo alla brace, un classico delle grigliate all’italiana. La sua proposta per la primavera (e anche l’estate) è ricercata e particolare, oltre ad appagare anche la vista. «La punta di diamante del mio ristorante sono dei ravioli estrosi, con tartufo nero raccolto a La Vetta, frazione di San Pellegrino Terme, funghi porcini di Mezzoldo, Formai de Mut di Valtorta e la pasta colorata con il cacao, la forma è la classica quadrata che si modella per fare il raviolo», svela lo chef. Ma qual è il segreto per dell’ottima pasta ripiena? «Non c’è dubbio, sta tutto nella manualità e, poi, mi piace che la pasta non sia troppo sottile, deve ricordare quella che preparavano una volta le nostre nonne, tagliandola spessa, e tutti amiamo. Gli italiani sono ghiotti di pasta -ripiena e non- e bisogna essere all’altezza del loro palato», conclude.

13 marzo - aprile 2022
di Rosanna Scardi DALL'ANTICHITÀ I RAVIOLI TRIONFANO SULLE NOSTRE TAVOLE SONO CITATI DAL ROMANO APICIO E NEL DECAMERONE
foto servizio © Matteo Zanardi

13 RAVIOLI PER 13 CHEF

Durante la pandemia abbiamo riscoperto il piacere di impastare per fare il pane, la pizza e la pasta fresca in casa. Oltre a impegnarci la testa, allontanandoci dalle preoccupazioni, è stato anche un buon modo per utilizzare gli scarti alimentari e creare, con l’estro del momento e le accortezze da buona massaia, delle vere prelibatezze, prendendoci cura dei nostri cari. Ora che ci stiamo avvicinando alla normalità è bene non disabituarsi alla buona pratica delle nostre mamme e nonne. Ecco che a fornire ottimi e inediti spunti è il libro “13 ravioli per 13 chef”, edito da LaMa Food Specialists, con testi di Lara Abrati, foto e progetto grafico di Matteo Zanardi, dove gli chef contemporanei della provincia bergamasca rivisitano un raviolo ispirato alla cucina regionale italiana. Nel volume

sono presenti anche utili nozioni di base sulla pasta ripiena, strumenti e forme. Due esempi di creatività sono i “Ravioli con coniglio e sarda di Monteisola” di Sandro Pittelli di Tentazioni Ristorante a Costa Volpino, rigorosamente con materie prime locali; e “Pomodoro, pomodoro, pomodoro” di Gabriele Galimberti, chef di Taste di iSchool, un raviolo farcito dei sapori d’infanzia, completato con il caffè preparato con acqua di pomodoro, aglio, basilico, semi e buccia di pomodoro. Dunque, un libro scritto con l’intento di far venire al lettore la voglia di continuare a mettere le mani in pasta, insegnando che servono tempo, pazienza e dedizione anche per prenderci cura di noi stessi. Questa è la lezione della pandemia che non dovremmo scordarci. Info per l’acquisto su Foodnewsmag.it/shop/.

RAVIOLI CON CONIGLIO E SARDA DI MONTEISOLA

di Sandro Pittelli

Tentazioni Ristorante – Costa Volpino (Bg)

Questo è un raviolo da mangiare in un sol boccone, preparato con una sfoglia povera a base di farina sia bianca che integrale, per renderli ancora più rustici. Il ripieno è a base di coniglio, che viene cotto arrosto per alcune ore con burro, salvia, aglio in camicia e abbondante vino bianco. Il classico coniglio arrosto delle tavole bresciane e bergamasche che, invece di accompagnare la polenta, viene trasformato in un goloso e saporito ripieno. E poi, a finire il piatto, una delle materie prime simbolo del Sebino, la sarda (agone) che viene tradizionalmente essiccata. Essa viene fatta sfrigolare un poco andando a preparare l’intingolo a base di burro e sarda con cui verranno conditi i ravioli.

Come si presentano?

Sono serviti saltati in un burro aromatizzato alle sarde di Monteisola e con una sardina essiccata intera appoggiata sul piatto insieme ai ravioli.

Ingredienti farina 00 e farina integrale, uova, sarda essiccata, coniglio, burro, aglio, salva, vino bianco

LA NORMA: IL RAVIOLO CHE SA DI SICILIA

di Cristian Fagone Impronte Ristorante - Bergamo

La pasta è ricca, infatti contiene molte uova e tuorli. La parte proteica le regala un’elasticità importante, che permette alla pasta di contenere il ripieno, molto particolare. Avete mai visto dei ravioli con un ripieno semi-liquido? Questo è il caso e, infatti, vanno mangiati in un sol boccone: solo così si può godere all’infinito grazie alla sensazione tattile data dalla rottura della pasta e la fuoriuscita del ripieno. L’importante è utilizzare pomodori buoni, ben maturi. In relazione al periodo dell’anno ve ne sono di diversi, ma quelli perfetti sono i pomodori Pachino, che vengono sbollentati, spellati, schiacciati e passati, mantenendo comunque una buona rusticità. Viene quindi preparato un soffritto con aglio, cipolla e tanto basilico, a cui viene aggiunta la passata cotta a lungo. A questo punto, le melanzane vengono tagliate a cubetti, salate e spurgate dall’acqua in eccesso. È quindi il momento di friggerle e aggiungerle al sugo che viene poi messo in piccoli stampi e congelato (abbattuto). A questo punto viene fatta la magia: il cubetto di sugo viene posizionato all’interno della pasta tirata molto sottile con un’azione molto veloce al fine di non far sciogliere il ripieno. A parte viene preparata una grattachecca a base di basilico: si parte quindi dallo sciroppo a base di acqua e zucchero a cui, una volta freddo, viene aggiunto dell’estratto di basilico e poi si procede al congelamento in abbattitore. La granita viene poi grattata con l’utilizzo di due forchette. Mancano solo pomodorini confit, preparati per guarnire il piatto: cotti al forno a 90°C per oltre un’ora conditi con scorza di limone, di arancia, timo e maggiorana.

Come si presentano?

Una volta cotti, i ravioli vengono conditi con l’olio extravergine di oliva, meglio se a base di Nocellara del Belice, poi una generosa grattugiata di ricotta salata al forno (deve essere abbondante per regalare un senso di morbidezza), infine i pomodorini confit e la grattachecca al basilico.

Ingredienti

Farina 00, tuorli, ricotta salata al forno, pomodoro, melanzana, basilico, olio extra vergine di oliva, scorze di limone e arancia, timo e maggiorana.

14 marzo - aprile 2022 15 marzo - aprile 2022

Food trends? Scopriamoli!

Dal rabarbaro alla scorzonera, dal Baijiu al riso jollof: il 2022 sarà un anno all’insegna di piatti e distillati esotici ma anche di sapori nostrani tutti da riscoprire. Gli esperti del settore enogastronomico hanno infatti individuato i "food trends" dell’anno che portano in cucina una ventata di novità tra ingredienti sofisticati e insoliti come la “pancetta senza pancetta”. Ottica vegan ma non solo: le tendenze ammiccano anche ai cibi etnici africani e a distillati cinesi e tra le nuove mode nel mondo del food e del beverage non poteva mancare la tradizione di casa nostra. È il caso del rabarbaro, ottimo alleato in cucina in ricette dolci e salate, e delle radici bianche amare, oggi sempre più

RABARBARO

In cucina, il rabarbaro è un vero e proprio asso nella manica per dare un tocco insolito e una nota dolce anche ai piatti salati. È ottimo con il pesce, in particolare quello grasso come il salmone, ed è un ottimo contorno alla carne di maiale. La costa di rabarbaro è usata soprattutto per preparare marmellate, chutney (abbinati anche a formaggi e altri cibi salati) e confetture. Può essere abbinato anche alla frutta -è delizioso con le fragoleo per arricchire crostate sempre a base di frutta fresca o marmellata. La radice, invece, è l'ingrediente principale di diverse bevande come tisane, cocktail e liquori, bitter tonici digestivi dove si fa apprezzare per il suo caratteristico sapore amaro dal piacevole corredo aromatico. Non a caso, le sue qualità organolettiche sono apprezzate anche dall'industria dolciaria per la preparazione di caramelle.

RADICI BIANCHE AMARE

Spesso le avvistiamo sul banco del mercato e giriamo lo sguardo. Troppo amare? Troppo difficili da pulire? Troppo sconosciute da cucinare? Ebbene, è ora di riprenderle in mano e consumarle tiepide o fredde, condite tipicamente con olio evo, sale, limone (e aceto, a chi piace) e aglio. La più famosa tra le radici bianche amare è quella di Soncino, in provincia di Cremona, radice di una varietà di cicoria comune. Molto pregiata è la scorzonera (marrone fuori, bianca dentro) dal sapore più dolce e delicato - è squisita passata in padella, con burro, vino bianco e limone ma anche impanata alla milanese. In Giappone ma anche in Francia è molto diffuso il gobo, che altro non è che la radice della bardana. La sua dolcezza permette di utilizzarlo golosamente anche come ripieno di deliziose torte salate. La pastinaca, infine, è una grande, dura e dolce carotona bianca un po’ "prezzemolosa", ottima schiacciata in pasticcio al forno, con panna e uova.

BACON VEGANO

Anche la rivista statunitense di economia Forbes ne è sicura: la nuova frontiera alternativa a quella animale è il bacon vegetale e il trend della “pancetta senza pancetta” è destinato a decollare. I puristi potranno storcere il naso ma la popolarità del bacon vegano a base di koji, un fungo popolare in Giappone perché usato nel miso o nel sake, è in crescita. Di fatto, il bacon vegetale è una buona alternativa alla carne per il sapore neutro e la possibilità di essere modellato in qualsiasi forma. Una variante vegetale del bacon, ad esempio, è preparata con scaglie di cocco, salsa di soia e paprika dolce. Una specialità dal gusto unico e assaporare in vari modi, sia in aggiunta alle insalate, sia con un buon hamburger vegetariano. Il vero segreto però non risiede nella base da scegliere, bensì nel modo in cui viene preparata la marinatura: è questa infatti che renderà "baconoso" la vostra carta di riso, la vostra melanzana o il vostro cocco.

BAIJIU

Alzi la mano chi di voi conosce il Baijiu. Se ignorate la sua esistenza sappiate che è il distillato più bevuto al mondo. Nato e cresciuto in Cina, il Baijiu è presente in qualsiasi occasione privata o pubblica e non c'è famiglia o evento che non ne preveda una bottiglia. Viene bevuto tradizionalmente durante pasti oppure a fine cena per un brindisi. Viene gustato rigorosamente liscio e in bicchierini dì ceramica.

RISO JOLLOF

Se amate sapori africani non perdetevi il riso jollof, un piatto unico, ricco e saporito a base principalmente di riso, pollo, verdure e diverse spezie come cumino, curcuma, peperoncino, zenzero e coriandolo, e dal tipico colore arancione che lo rende piacevole anche alla vista. La ricetta? Per quanto riguarda il pollo potete scegliere il petto, sovracoscia o coscia disossate (è possibile utilizzare anche carne di manzo o pesce). Il riso utilizzato per la ricetta tradizionale è una varietà africana a chicco lungo - difficile da reperire in Italia - e può essere sostituito con il più comune basmati. Come verdure sono consigliate cimette di cavolfiore, piselli, carote, fagiolini o fave in base alla stagione. E infine spezie a volontà: il riso jollof è infatti piccante, anche se l’ingrediente chiave è il concentrato di pomodoro cotto nell’olio che dà un sapore tutto speciale.

17 marzo - aprile 2022

Antonella Ricci con Vinod Sookar una vita fusion

Antonella Ricci è uno dei punti di riferimento per la cucina gourmet italiana. Tra i protagonisti di “È sempre mezzogiorno”, su Raiuno, la chef si occupa di piatti della tradizione pugliese contaminati dalla contemporaneità e dall’arte culinaria del marito Vinod Sookar, di origini mauriziane e scuola francese. La coppia è affiatata nella vita così come in cucina. Il ristorante storico, che oggi porta il loro nome, a Ceglie Messapica, nel Brindisino, riaprirà in estate. Nel frattempo, Antonella e Vinod continuano a portare avanti il progetto “chef a casa tua”, trasformando le sale da pranzo in ristoranti stellati per un’esperienza esclusiva a domicilio, e saranno protagonisti del format “Una vita fusion” che sarà trasmesso tutti i venerdì dalle ore 22 a partire dall'8 aprile per 6 puntate da Gambero Rosso Channel (Sky 133 e 415).

A quale ricetta della tradizione pugliese è particolarmente legata?

CONTANO I PRODOTTI DEL TERRITORIO, IL GUSTO, L’ESTETICA, LA TECNOLOGIA, L’EVOLUZIONE DELLA CUCINA CONTEMPORANEA

Tantissime: quella che tengo più nel cuore è il biscotto cegliese, a base di mandorle tostate con ripieno di marmellata, presidio Slow Food. Ogni famiglia ha una sua versione che custodisce molto gelosamente. Poi quella delle orecchiette fatte in casa, in estate con tre tipologie di pomodorini e il cacio ricotta, in inverno con le cime di rapa, le ricette di legumi, delle focacce farcite, dei taralli rappresentano una grande eredità. Noi cuochi conosciamo tante preparazioni: contano i prodotti del territorio, il gusto, l’estetica, la tecnologia, l’evoluzione della cucina contemporanea. Se hai radici solide, poi puoi sbizzarrirti con la fantasia.

Veniamo alle sue esperienze televisive. Come è approdata sul piccolo schermo?

Laureata all’Università di Lecce in Scienze Economiche e Bancarie, Antonella Ricci ha deciso fin dall’inizio della sua carriera di non occuparsi di banche; ha frequentato la Paul Bocuse di Lione e poi si è dedicata a uno stage in Normandia. Nel 1998, Antonella è entrata a far parte dei Jeunes Restaurateurs d’Europe, l’associazione che raccoglie i migliori chef di età inferiore ai 35 anni e nel 2004 è diventata docente della prestigiosa Alma, la scuola di cucina di Gualtiero Marchesi.

Antonella, come è nata la passione per la cucina?

I miei avevano creato il ristorante nel 1966, io sono nata due anni dopo. Mia nonna e mia mamma cucinavano tutto il giorno, io le osservavo mentre ero in braccio alla mia bisnonna con il ciuccio in bocca. Sono riuscita a conoscere e apprezzare tutto il processo, dall’inizio alla fine, poiché si partiva da zero, dall’orto, per arrivare a piatti finiti. Vivo in un paesino votato all’agricoltura, riconosciuto come capitale della gastronomia pugliese. I nostri prodotti sono eccellenti, hanno bisogno di pochissima manipolazione.

Suo papà Angelo, che è mancato 16 anni fa, diede vita, insieme a sua mamma Dora, al fornello nel casale di campagna, conquistando la prima Stella Michelin nel 1996, quando la Puglia non era ancora un’ambita meta turistica e gastronomica. Cosa le ha insegnato? È stato uno degli avanguardisti della moderna cucina pugliese; mamma era cuoca, lui il ristoratore che all’epoca costava più dello chef. Faceva parte dell’associazione Linea Italia in cucina, ha sempre avuto amici affermati come Luigi Veronelli. Lo ospitava in casa spesso e volentieri, da gastronomo è diventato l’amico gastronomo. Eravamo il centro di quello che, nella gastronomia, accadeva in Puglia. Noi abbiamo continuato con la sua stessa filosofia, che è il saper dare accoglienza, il far sentire il cliente a casa. Una sensazione che nella nostra campagna si può respirare.

La carriera televisiva è iniziata 22 anni fa, sempre con Antonella Clerici. Ho partecipato a un provino per un programma di cui nessuno sapeva niente. Io e Antonella eravamo ragazze, oggi siamo donne mature. Allora avevo una bimba di pochi mesi, infatti la Clerici iniziò la prima edizione, io entrai nel cast nella seconda, l’anno successivo. All’epoca “La prova del cuoco” era un programma innovativo in tv, era una sfida, avevi la stessa adrenalina del servizio in cucina.

Non è stata solo televisione, ma una vera scuola: Antonella Clerici ci ha insegnato a parlare e lavorare, usando l’estro, dato che la busta della spesa era inedita. Adesso “È sempre mezzogiorno” è molto più tranquillo, un video ricettario con cuochi che cambiano. Manca la gara che c’è stata per tanti anni, ma è stata una scelta giusta perché era un po’ superata, bisognava cambiare.

Lei si è laureata in Scienze Economiche e Bancarie però la cucina era sempre presente nella sua quotidianità.

Eccome, studiavo in settimana mentre andavo all’università e quando tornavo a casa per il fine settimana mi dedicavo alla cucina, feste comprese. La laurea mi è servita perché ho iniziato a dare una mano a papà nella gestione del ristorante. Poi però la cucina mi prendeva sempre più tempo. E così gli ho detto «o faccio la brava economista o la brava cuoca»: ho preferito stare ai fornelli, non potrei fare altro. E ho lasciato le redini della gestione per seguire la mia passione.

In cucina le donne emergono meno: agli alti livelli riescono ad arrivare più gli uomini. Perché?

È un lavoro che occupa tanto tempo, bisogna scendere a compromessi con la famiglia. Io e Vinod sapevamo che saremmo andati incontro ai pro e ai contro nel gestire un ristorante. Ma sono stata fortunata, i miei hanno creduto in me, supportandomi nella cura delle bambine. Abito in un

marzo - aprile 2022 19 marzo - aprile 2022 L’INTERVISTA
di Rosanna Scardi
Gambero Rosso
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paesino, senza i servizi delle città, grazie alla mia famiglia ho potuto dedicarmi così tanto al ristorante.

Nel 2010 è stata a Bergamo in veste di giudice per il Bocuse d’or, il più importante concorso gastronomico ideato dal grande Paul Bocuse. Che ricordo ha? È stata un’esperienza meravigliosa, che è continuata nel tempo. Adoro la famiglia Cerea. Il mio ultimo viaggio è stato proprio a Bergamo, dopo aver partecipato a una manifestazione alle Mauritius che ha coinvolto un’azienda di pubbliche relazioni bergamasca. Magari mi invitassero ancora, sono un’ottima forchetta, mi siedo, mangio e apprezzo il lavoro fatto dietro. Per me la tavola è un’occasione per rilassarmi.

Quando e come ha conosciuto Vinod?

Ventitré anni fa, ero alle isole Mauritius per la settimana della cucina italiana; nell’hotel a cui ero stata assegnata, lui era lo chef dei secondi. Ci siamo subito piaciuti e dopo un anno ci siamo sposati. Lui è venuto a Ceglie, pur lavorando in un 5 stelle extralusso, aveva 27 anni e possibilità di crescita. Non è stato facile lasciare, direi un salto nel buio.

Gambero Rosso Channel dedicherà un programma alla vostra storia e cucina.

La serie in sei puntate si chiama “Una vita fusion” ed è ambientata nel nostro borgo. Racconta una storia di vita

e di due cuochi, di culture differenti che si ritrovano nella stessa cucina, due punti di vista sullo stesso prodotto: io rappresento la tradizione, Vinod è l’innovativo e fusion mescolato con conoscenze di altri Paesi. Viene da un Paese che è un crogiuolo di etnie dalle disparate influenze, cinese, africana, indiana. Il copione è molto simpatico. In ogni puntata, dopo una spesa a chilometro zero a Ceglie, realizzeremo due portate principali, ospitando a casa un amico. In un piatto sarò io a dettare le regole aiutata da Vinod, nell’altro si capovolgeranno ruoli. Ognuno nel suo piatto metterà un po’ del suo territorio. Tra racconti dell’ospite, assaggi e battibecchi in cucina, vi faremo conoscere meglio la nostra vita fusion.

Cosa le ha insegnato suo marito in cucina?

Prima di tutto l’uso delle spezie, in generale la sperimentazione. Vinod ha un suo baule segreto a casa, una dispensa piena di aromi esotici e prodotti delle Mauritius.

Quali sono i piatti più conosciuti delle sue isole?

Il curry di pesce classico, le samusa che sono piccole sfoglie farcite con all’interno patate e curry. Da loro si mangia molto fuori, va molto lo street food.

Si può sapere chi cucina a casa vostra?

Se la mia famiglia sceglie la tradizione, io; se vogliono i piatti etnici, allora cucina Vinod. Diciamo, 50 e 50.

20 marzo - aprile 2022 21 marzo - aprile 2022

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Latte, una questione di qualità

DAI DISTRIBUTORI

ALLE FILIERE DI ALTA QUALITÀ, FINO A CHI HA DECISO DI PUNTARE

TUTTO SUL LATTE. MATERIA PRIMA ALLA BASE DI TANTE PRODUZIONI GOLOSE.

QUALI LE OPPORTUNITÀ?

non eccessive, può essere un vero alleato nel mantenere il nostro benessere.

Parlare di latte non è sbagliato. Infatti la legge ci dice che quando non viene segnalato l’animale da cui origina, si fa riferimento al latte vaccino. Ne esistono molti altri, ma meno diffusi e reperibili (anche se oggi l’industria alimentare propone qualsiasi tipologia di latte soprattutto nelle catene della GDO), come il latte di capra, il latte di bufala o quello di asina.

Ebbene, seppur la maggior parte di noi ha come abitudine l’acquisto di latte a lunga conservazione (intero, scremato, parzialmente scremato) che si trova comunemente sullo scaffale del supermercato, esistono filiere di qualità da valorizzare e a cui poter attingere quando si vuole consumare un prodotto diverso.

Consumato fin da epoche remote, il latte è il liquido alla base dell’alimentazione dei cuccioli dei mammiferi. Un prodotto molto nutriente, che siamo abituati a consumare fin da bambini, intolleranze ed allergie permettendo. Il latte è in grado di fornire al nostro organismo molte sostanze nutrienti di cui abbiamo comunemente bisogno. È molto utilizzato tal quale, come bevanda fresca per una merenda genuina, ma anche per la colazione. È inoltre elemento base per la preparazione di numerose ricette di cucina, ma anche per la gelateria di alta qualità, contribuendo alla buona riuscita dello stesso E poi, è la materia prima alla base per la produzione di formaggio, grazie alla trasformazione della principale proteina che contiene: la caseina. Essa, in particolari condizioni (di temperatura, di pH e in presenza di un enzima), coagula e passa allo stato gel producendo quello che comunemente chiamiamo cagliata, da cui poi avrà origine il formaggio.

Negli ultimi anni però, complice anche la diffusione della diagnosi legata all’intolleranza al principale zucchero del latte, il lattosio, si è assistito a una parziale demonizzazione dell’alimento, eliminandolo dalla propria dieta o sostituendolo con bevande, talvolta, industriali.

Ma il latte di qualità esiste e, se consumato in quantità

Attenzione: non bisogna confondere il latte fresco con il latte crudo. Il latte fresco subisce un trattamento termico di pastorizzazione che ha lo scopo di eliminare la flora batterica (anche quella positiva, non solo quella eventualmente patogena) dal liquido. Il latte crudo non subisce invece alcun trattamento termico preventivo, ma una filtrazione prima di essere messo in commercio.

Latte crudo: i distributori e l’utilizzo professionale

Una decina di anni fa circa la filiera del latte ha tirato un sospiro di sollievo. Sono infatti state installate numerose “casette del latte”, ove è possibile acquistare il latte crudo, munto da poche ore, seguendo rigide regole in fatto di igiene. Come è ovvio che sia, il latte crudo possiede un grande numero di microrganismi che fanno bene alla nostra salute, ma ne può avere anche di patogeni, seppur molto controllato. Ne è sconsigliato il consumo infatti alle persone immunodepresse e fragili, se non previa bollitura. Ma a questo prodotto è stata fatta una vera e propria guerra, tanto da mettere in guardia le persone verso il suo consumo. Ovvio che la vendita di latte crudo diretta al consumatore ad un prezzo equo per l’allevatore, ma non eccessivo per il consumatore, si è rivelata un vero successo nell’immediato, ma ha creato mal contento nell’industria agroalimentare. La potente campagna diffamatoria verso l’utilizzo di latte crudo (“fa male”) ha

23 marzo - aprile 2022
marzo - aprile 2022

il gelato è per tutti, ma per qualcuno ancor più speciale

sfiduciato i consumatori e in circa 10 anni la presenza dei distributori ha subito una forte flessione in negativo. Certo è che, secondo le indicazioni anche del Ministero della Salute, il latte crudo va consumato previa bollitura, perchè il rischio zero, consumando latte crudo, non esiste, soprattutto per bambini, anziani e persone fragili. L’utilizzo del latte crudo in pasticceria o gelateria potrebbe essere potenzialmente interessante, anche se si potrebbe incorrere in diverse problematiche. La prima riguarda l’obbligatorietà della pastorizzazione previo utilizzo e l’effettiva autorizzazione da parte degli organi preposti al controllo. La seconda riguarda le sue caratteristiche in termini di omogeneizzazione dei grassi e quantità di proteine: non sono stabili nel tempo, ma variano in funzione della stagione e dell’alimentazione degli animali. Infine, l’aroma. Non siamo più abituati a quei sentori di erbaceo tipici del latte crudo, talvolta anche spinti; il gelato cambia letteralmente aroma, andandosi a caratterizzare in maniera importante. Utilizzare latte crudo in un laboratorio professionale è quindi una scelta importante, che richiede attenzioni particolari per la sua lavorazione.

Latte Nobile, Salvaderi e Latte Fieno: filiere di qualità Sono molte e diverse le aziende produttrici di latte che hanno deciso di investire risorse per proporre un latte riconoscibile e di alta qualità, al di fuori delle logiche legate alla vendita alle grandi industrie alimentari. Si tratta di aziende che hanno deciso di valorizzare il proprio prodotto, il latte, per il suo consumo tal quale. Un percorso che ha richiesto il ripensamento di intere filiere, dalla scelta della razza bovina, fino al suo allevamento, alla sua alimentazione. È il caso dell’azienda agricola Salvaderi, ubicata in provincia di Lodi, che ha scelto di valorizzare il proprio latte, prodotto da vacche che vivono libere al pascolo di razza Guernsey, che ha la caratteristica di possedere la proteina caseina A2A2 che non causa gonfiori e pesantezza durante il suo consumo. Il latte viene pastorizzato il minimo indispensabile per essere poi consumato senza trattamento termico alcuno. Latte Nobile è invece un marchio di alta qualità che nasce dalla volontà di dare una risposta alla produzione industriale, orientata al produrre latte al minor costo possibile. È un progetto firmato da ANFoSC, l’Associazione nazionale formaggi sotto il cielo. Il marchio Latte Nobile identifica quindi un modello produttivo con relativo disciplinare; punta a garantire agli animali un ambiente confortevole, un’alimentazione a base di erbe e fieno con l’utilizzo di pochi mangimi naturalmente privi di OGM e insilati. E poi, dall’Alto Adige, arriva un altro marchio di qualità. È Latte Fieno, registrato anche come STG (Specialità Tradizionale Garantita) dal 2016. Un latte prodotto da animali allevati secondo alti standard di benessere e che si nutrono solo con fieno, cereali ed erba, senza integratori e mangimi fermentati. La sua produzione è disciplinata da un regolamento specifico. La produzione coinvolge oltre 4500 aziende con una presenza media di circa 15 capi ognuna.

25 marzo - aprile 2022

g e lati er i ber gamas ch i.i t

I social in tavola

Cosa cucineremo e cosa mangeremo ce lo svelano i social con la condivisione di video e ricette. È il caso dei trend di TikTok che nascono per poi diffondersi velocemente anche sulle altre piattaforme, come Instagram e Facebook. Le nuove tendenze evidenziano il fenomeno del comfort food: il cibo è nutrimento, ma è anche capace di migliorare umore e benessere e di regalare emozioni. Emerge anche la volontà di seguire una dieta più sana, senza rinunciare al gusto. Ecco allora la classifica delle 10 tendenze alimentari più cliccate da tenere d’occhio quest’anno.

ÇILBIR

LE CARAMELLE DALGONA

DI “SQUID GAME”

Nella serie Netflix “Squid game” sono gioco della fortuna, dove chi non riesce a staccare la sagoma senza spezzarla è eliminato. In pochi sanno però che le caramelle Dalgona (foto di apertura, ndr) sono un must dello street food coreano, famose fin dagli anni ‘70. Conosciute anche con nomi di cinder toffee, honeycomb toffee, sponge toffee o hokey pokey, sono simili a caramelle mou liscie e solide. Prepararle è semplice: si mette lo zucchero in una padella e si caramella. Si aggiunge un po’ di bicarbonato di sodio: appena spenti i fornelli, si versa il composto bollente sulla carta da forno, formando tanti piccoli cerchi. Quando inizia a solidificarsi, con uno stuzzicadenti disegniamo la forma che si desidera.

IL VERSATILE FIORE DI IBISCO

Conosciuto e già usato come ingrediente nelle tisane, negli infusi e nei tè, l’ibisco ora spopola anche sui social per la sua versatilità e capacità di sconfinare in altre preparazioni: grazie all’alto contenuto di vitamina C ed al suo bouquet agrodolce e alla caratteristica tonalità di rosa caldo, dà colore, sapore e gusto anche a insalate, carpacci, yogurt, frutta, dolci e bevande. Arbusto di origini antiche, è sia ornamentale sia commestibile: per gli scopi alimentari si usano i suoi fiori essiccati.

UOVA ALLA TURCA PER COLAZIONE

Tra le colazioni salate candidate ad affermarsi come mainstream nei prossimi mesi, spopolano le uova alla turca. Note anche come Çilbir, godono già della popolarità tra tiktoker, come dimostrato dall’hashtag #turkisheggs che conta oltre cinque milioni di video. Si preparano in pochi minuti: bastano due uova in camicia, un letto di yogurt greco e aglio, burro o, preferibilmente, olio piccante al pepe di Aleppo (in alternativa paprika forte o affumicata). Ad arricchire il tutto, una pioggia di erbe aromatiche fresche a scelta tra aneto, finocchietto selvatico, menta, prezzemolo. Un’alternativa anche per una cena veloce o per un brunch della domenica.

LE SPEZIATISSIME KASHMIRI DUM ALOO

Nel 2022 la cucina indiana sta ricevendo molta attenzione, in particolare i piatti di aree quali il Gujarat, il Tamil Nadu e il Kashmir. Le puntate degli influencer riguardano soprattutto le dum aloo del Kashmir, piatto tradizionale vegetariano a base di patate insaporite da salsa a base di curcuma, peperoncino, cumino, cardamomo, cannella,

27 marzo - aprile 2022

di Rosanna Scardi
ECCO COME STANNO INFLUENZANDO I CONSUMI E QUALI SONO LE TENDENZE CON PIÙ LIKE

quest’anno. I famosi tacos immersi nella salsa piccante si vedono ovunque e poi non si contano i mash-up: pizza-birria, patate fritte-birria, tortellini-birria.

UNA SFERZATA DI GUSTO CON LO YUZU

Secondo il report annuale di Whole Foods Market il frutto che sta conquistando i riflettori, nel 2022, è lo yuzu: agrume molto aromatico, nato in Cina e Tibet oltre duemila anni fa, coltivato anche in Giappone e Corea, è utilizzato già moltissimo nei ristoranti come sferzata acidula nei piatti di pesce e nelle zuppe e per insaporire gustose insalate, ma ora anche come ingrediente di preparazioni industriali, dalle vinaigrette alla maionese. In Europa si ritrova soprattutto in pasticceria per i macarons, la pasta frolla o per bagnare il pan di Spagna. Previsto (e consigliato, per gli aspiranti cuochi domestici) anche l’uso casalingo.

MORINGA IN AGGIUNTA A TISANE E SALSE

DUM ALOO MORINGA

È boom sui social anche per la moringa: chiamata “pianta della vita”, originaria dell’India, diffusa nell’area tropicale, ma che si coltiva anche nel Sud Italia, è capace di crescere rapidamente in condizioni sfavorevoli come la siccità. Ricca di proteine, quasi come i legumi, e di antiossidanti, si usa da millenni nella medicina ayurvedica. È utilizzata

chiodi di garofano, semi di finocchio, zenzero e alloro. Dum significa cottura lenta e aloo è patata. Il profumo di queste patate novelle rosolate ad arte è inebriante.

IL LATTE DI PATATA SOSTENIBILE

Il potato milk o latte di patata è la nuova bevanda vegetale che sembra essere l’icona del veganesimo in Svezia e in Inghilterra, ancor più del latte di riso, soia, avena o mandorle. Basta bollire la patata, frullarla ed emulsionarla con olio di colza. Anche se la ricetta esatta è un segreto industriale ideato dalla svedese Eva Tornberg, docente dell’università di Lund e fondatrice del brand vegano Dug. Prodotto sostenibile (coltivare patate non emette tanta anidride carbonica quanto allevare mucche?), senza lattosio e quindi adatto agli intolleranti, nutriente e dal gusto neutro, è il latte vegetale del 2022. Da sperimentare anche in cucina.

QUESABIRRIA PER PALATI FORTI

Astenersi i palati delicati. Questo è un piatto messicano a base di manzo cotto lentamente al forno in un brodo speziato e al peperoncino nello stile birria di Jalisco, usato per farcire una tortilla di mais insieme al formaggio fuso, servito con la ciotolina che contiene il suo consommé, cosparso di coriandolo e cipolla, dove deve essere immersa. Sui social c’è l’ascesa della Quesabirria. E siccome l’hype su Instagram continua implacabile, la specialità messicana è anche tra le tendenze cibo di

per combattere la malnutrizione in alcune parti del mondo e sta diventando un’alternativa al matcha, una varietà di tè verde originaria della Cina imperiale. Si ritrova in polvere aggiunta a frullati, salse, prodotti da forno, zuppe, tisane. Le foglie e i frutti sono commestibili, dai fiori si ricava il miele e con i semi si produce l’olio, usato nella cosmetica e per i prodotti erboristici.

ECOSPIRITS DA SCARTI ALIMENTARI

Il 2022 segna il ritorno dei coloratissimi drink in voga negli anni ’80, analcolici e gustosi, anche già miscelati, pronti da versare a casa, in linea con le tendenze della pandemia che porta a ricercare una nuova convivialità tra le mura domestiche. Secondo il New York Times, un trend nel trend è quello degli ecospirits, distillati prodotti dagli scarti alimentari o da ingredienti vegetali, che inquinano meno dei cereali: ad esempio il gin ottenuto dai piselli, il rum fatto con le bucce di banana scartate, il whisky proveniente da piante e frutta, il vermouth che deriva dalle bacche del caffè.

FORMAGGIO DAL BURRO

DI GIRASOLE

I semi di girasole sono perfetti per diventare una farina da cui creare spuntini come snack e crackers, mentre lavorati ed emulsionati possono trasformarsi in formaggi vegani e addirittura in burro. Quest’ultimo è già comparso nei gelati senza lattosio di alcune grandi marche americane, così come nei vasetti di Fix & Fogg, azienda neozelandese che produce burro tratto dalla frutta secca con una spiccata attenzione per la sostenibilità. I semi e i derivati, grazie al contenuto di proteine e grassi buoni o insaturi, sono uno dei nuovi superfood del 2022.

28 marzo - aprile 2022 29 marzo - aprile 2022

QUESABIRRIA

La nuova distillazione artigianale

LIBERTÀ NELLE SCELTE

DI PRODUZIONE, FLESSIBILITÀ

NELLA RICETTE

E SPERIMENTAZIONI NEL SEGNO DELLA BIODIVERSITÀ:

IN TRE ANNI SONO NATE VENTI MICRODISTILLERIE CHE HANNO LANCIATO QUARANTA ETICHETTE. WHITE SPIRITS UNICI PER UNA MIXOLOGY AL 100% ITALIANA

dove la qualità delle materie prime va di pari passo con la libertà nelle scelte di produzione, la flessibilità nella creazione di nuove ricette e sperimentazioni nel segno della biodiversità “made in Italy”.

DA DOVE ARRIVA IL FENOMENO

Quello del craft distilling non è certo un fenomeno nuovo: arriva dagli Stati Uniti dove, negli ultimi dieci anni hanno aperto oltre duemila nuove attività. Una progressione che ricorda quella avvenuta dagli anni Settanta con i birrifici artigianali che oggi, negli States, contano più di 8.000 aziende. E, come per la birra artigianale, ciò che si verifica Oltreoceano arriva anche nel Vecchio Continente con la differenza che, questa volta, è la distillazione il leitmotiv. E così da qualche anno in Gran Bretagna lo storico predominio numerico scozzese, patria del whisky, è stato messo in crisi dalle centinaia di nuove distillerie inglesi aperte sull'onda del successo globale del gin. E anche la Francia è in fibrillazione con nuovi produttori, anche di whisky, che si affiancano alle aziende consolidate di cognac, armagnac e calvados.

Ieri la grappa, oggi il gin e domani – chissà - anche il whisky. Che gli italiani siano un popolo di distillatori è noto a tutti - la grappa è nata a queste latitudini secoli fa - ma che ci troviamo agli albori di una vera e propria rivoluzione craft nel mondo del beverage alcolico nessuno l’avrebbe immaginato. Eppure, lungo tutto lo Stivale, soffia il vento della distillazione artigianale, quella più innovativa e sperimentale, con una ventina di microdistillerie nate in questi ultimi tre anni e tutt’ora oggi operative – anche a Bergamo -. Realtà piccole, intuizioni imprenditoriali di appassionati e non solo che negli alambicchi accendono la voglia di giocare con gli aromi e di distillarli, per una distillazione artigianale e indipendente

E in Italia? Se forse è presto per dire che il dato è tratto i segnali ci sono tutti: distillerie.it, il sito-progetto fondato dal duo di Whisky Club Italia, Claudio Riva e Davide Terziotti, ha infatti iniziato a monitorare un mercato che non appare più di esclusivo appannaggio delle storiche distillerie di grappa sparse sul territorio nazionale, ma sta salutando la nascita di una nuova generazione di distillatori, decisamente più votati al re degli white spirits, il gin, che oltre a godere di un processo produttivo più rapido degli spirits da invecchiamento come whisky e brandy, ha molto più mercato nella mixology e nei cocktail.

DISTILLO, LA PRIMA FIERA DEL CRAFT DISTILLING

Tutti i trends saranno protagonisti a Distillo, la prima fiera dedicata alle micro distillerie che debutterà a Milano il 17 e 18 maggio: due giorni per scoprire il mondo del craft distilling. L'appuntamento in calendario alle Officine del Volo, edificio post-industriale in via Mecenate, è rivolto sia agli addetti ai lavori della filiera della distillazione sia ai neofiti che intendono avvicinarsi al mondo del rame e degli alambicchi. Dalla formazione alle materie prime, dalle tecnologie di produzione fino all’imbottigliamento, Distillo sarà un’occasione di confronto con imprenditori interessati ad aprire o sviluppare la propria microdistilleria: un vero e proprio laboratorio di sperimentazione e contaminazione, un luogo di incontro e di nuove opportunità per riflettere sul mondo dei distillati artigianali e lanciare anche in Italia quel grande interesse già in atto a livello globale.

30 marzo - aprile 2022 31 marzo - aprile 2022

«Fino a 4 anni fa in Italia non esistevano microdistillerie dove per micro si intendono realtà artigianali con uno o pochi alambicchi pot still in rame e, ovviamente, una produzione più contenuta e selezionata -conferma Claudio Riva-. Seguendo l’onda degli Stati Uniti, anche Inghilterra e Francia hanno dato una bella accelerata a questo mercato che nemmeno il Covid ha frenato». E in Italia? «Ci stiamo affacciando ora alle nuove opportunità offerte da un fenomeno che promette di essere ricco di stimoli e nuove evoluzioni -prosegue Riva-. La richiesta da parte dei consumatori di distillati di qualità e la crescita di un numero sempre maggiore di appassionati aprono la strada a nuove produzioni e sperimentazioni».

IN TRE ANNI 20 NUOVE MICRODISTILLERIE

A oggi la microdistillazione in Italia si divide in due grandi blocchi: quello degli oltre ottanta distillatori di grappa, concentrati nell’altoatesino, che portano avanti un’esperienza artigianale tipicamente italiana, e venti microdistillerie, nate in questi ultimi anni, che sperimentano ed esplorano nuovi sapori. «Di queste quasi tutte hanno iniziato a produrre gin e solo un paio whisky –spiega Riva-. Tutte piccole realtà che non possono certo competere con le produzioni su larga scala ma coraggiose nel portare avanti una cultura nuova. A oggi infatti possiamo orgogliosamente dire di aver raggiunto circa 40 etichette tra gin e whisky artigianali made in Italy. E livello territoriale l’area della Brianza è tra le protagoniste di questa rinascita».

La ricetta vincente è l’assenza di un processo produttivo standardizzato: nelle microdistillerie artigianali la sperimentazione è infatti il motore dell’alambicco e ogni etichetta sul mercato può vantare ricette diverse grazie anche alla qualità delle materie prime di cui l’Italia è ricca. «La biodiversità che tutti ci invidiano può diventare il vero ingrediente segreto dei distillati che stiamo e andremo a produrre- conferma Riva-. Penso al ginepro in Toscana, alla base di ogni gin e ricercato persino dagli inglesi, può essere arricchito con erbe botaniche, agrumi e altri profumi del territorio. Sartorialità che non è appannaggio solo del gin: una distilleria di Seregno ha prodotto un ottimo whisky da una sola varietà di orzo e fermentato con un solo tipo di lievito. In questo mondo il bello è proprio sperimentare e osare. Solo così possono nascere distillati unici e particolari».

Nel mondo dei superalcolici è di gran moda il gin, un distillato di mosto fermentato di cereali, solitamente granoturco, frumento e orzo, che viene aromatizzato con le cosiddette botaniche o botanicals. Il fenomeno della produzione di gin artigianali è esploso ora che consumi sono ripartiti. Lo dimostra il successo e le richieste di esclusiva da parte dei locali per accaparrarsi H.Res Alp’s Gin della Val Brembana che è tornato in produzione. Il superalcolico, che prende il nome dalla montagna Vaccareggio (Acares, in dialetto) che si eleva sopra l’abitato di Dossena, sta conquistando sempre più gli appassionati di cocktail e superalcolici. Il gin si sta, infatti, legando a molti territori e alla fantasia dei distillatori, che riescono a trovare combinazioni uniche. La prima menzione del liquore in quanto gin (nome che deriva dai galbuli di ginepro che ne caratterizzano il gusto) risale al medico di Anversa Philippus Hermanni. Nel suo libro “A Constelijck Distileerboec” dal 1552 menzionò l’Aqua juniperi ben 98 anni prima del collega olandese Franciscus Sylvius con il suo “genoa”, da molti considerato l’inventore del gin. Una svolta importante avvenne con la caduta di Anversa nel 1585. La popolazione fuggì dalla città, portando con sé il proprio il distillato. Gli inglesi impararono a conoscere il gin, che chiamarono Dutch Courage, il goccetto che dava coraggio ai soldati olandesi. L’introduzione di questa bevanda alcolica in Inghilterra portò alla creazione dei gin in stile anglosassone che conosciamo oggi. Ideato in piena emergenza sanitaria, nel gennaio del 2021, H.Res Alp’s Gin è stato lanciato in una prima edizione, imbottigliandone 300 litri in un anno. Altrettanti sono seguiti. La caratteristica del gin sono i profumi balsamici, speziati e fruttati. La particolarità di quello brembano consiste nella miscela di botaniche selvatiche, raccolte sul posto, ovvero rosa canina, timo e ginepro, che ne costituiscono la base e lo rendono unico. Fa eccezione solo la scorza d’arancia.

La distillazione avviene a Edolo, al Liquorificio Alta Valle Camonica. Leggero rispetto a un classico gin, con una gradazione alcolica non eccessiva (40°), H.Res Alp’s Gin

è fruttato al palato, ha un profumo dolce e fresco e, per questo, incontra in particolare il gusto femminile. L’ideatore della ricetta per la cooperativa sociale “I raìs” (le radici), che già si occupa della stagionatura del formaggio Ol Minadùr, è Walter Balicco, assessore al Turismo e alla Cultura e presidente delle miniere di Dossena, ma anche barista al pub Mirasole. Vendita e consumo sono partiti proprio nei locali della cooperativa (Trattoria Alpina e il pub e pizzeria Mirasole). «Il lancio del distillato è stata una prova per testare se incontrava il gusto della clientela, il riscontro è stato ottimo, il nostro gin è richiestissimo, tanto che la cooperativa ha già stipulato un contratto commerciale con un distributore che rifornisce i locali e pub della Bergamasca» anticipa l’assessore barista.

32 marzo - aprile 2022 33 marzo - aprile 2022

Davide Terziotti e Claudio Riva LOCAL di Rosanna Scardi
Gin
SI CHIAMA “H.RES ALP’S GIN DELLA VAL BREMBANA” ED È RINATO IN TEMPI DI COVID CON UNA PRODUZIONE DI 300 LITRI ALL’ANNO
A Dossena il
targato Bergamo

IN EVIDENZA IN EVIDENZA

NASTI APRE ACCANTO PER UN APERITIVO GOURMET

AL BAR

TRAMONTO

LO STILE È DI CASA

Cresciuto in una famiglia di ristoratori ed esercenti, tra ristoranti, bar e discoteche stagionali, Michael Ornaghi, dopo una lunga esperienza nel settore dell’accoglienza e nell’organizzazione eventi, ha deciso di ritornare alle origini, rilevando un bar che era chiuso dalla primavera 2018. Nasce così il Bar Tramonto che, dopo l’esperienza del lockdown, punta a far ritrovare ai clienti il clima confortevole di casa, con un mix ben congegnato di elementi di arredo di design ed epoche diverse, fra divani, poltrone e una libreria di libera consultazione.

La proposta strizza l’occhio al territorio e alle sue eccellenze, dalle brioche della pasticceria La primula ai succhi di frutta naturali, dai vini locali ai gin italiani. A pranzo il Bar Tramonto prevede una selezione di quattro panini gourmet, con attenzione anche ai vegetariani, che propongono accostamenti interessanti, come roquefort, albicocche disidratate, senape di Digione e cotto di Praga o barbabietole al forno, peperoni, cavolo cappuccio e caprino, per citarne alcuni. La sera il locale è la meta ideale per aperitivi e cocktail, affidati al mixologist

Roberto Cassanelli. Il locale intende ospitare anche mostre ed esposizioni d’arte, aiutando con vernissage ed eventi a fare conoscere giovani creativi emergenti.

PRIMIZIE E DELIZIE RADDOPPIA A DALMINE

VINERIA

PER BACCO

IL REGNO DEI VINI SFUSI

La pizza di Nasti – compresa la morbidissima “Nuvola” – servita tutti i giorni, a pranzo e a cena. Dove? Proprio Accanto (a Nasti) in via Zambonate. Scusate il gioco di parole ma il bistro shop nato dall’intuizione di Francesca, Carmine e Riccardo (terza generazione della famiglia Nasti) è una novità fresca e gustosa per gli amanti degli aperitivi in città. Niente buffet o tavole imbandite però: qui, in un locale dal look “botteghe del pane” di una volta ma con inserti dal design attuale, l’aperitivo è minimal, molto selezionato e, soprattutto, all’insegna dei sapori del Mediterraneo: tonno di primissima qualità, acciughe del Cantabrico, “Pata negra” 60 mesi riserva, ma anche formaggi delle valli bergamasche. Il tutto accompagnato da una curatissima lista drink – oltre a un centinaio di etichette di vino italiano - dove persino il pomodoro Corbarino può dare una marcia in più a un Bloody Mary.

ACCANTO

Via Zambonate, 33 Bergamo Tel 035247911 - wa 3403113977

Alle primizie dell’orto si affiancano i migliori prodotti senza glutine come recita l’insegna. Un connubio su cui la famiglia Scardino, forte di una tradizione lunga trent’anni nel settore ortofrutta dalla presenza sui mercati ai negozi, ha costruito da dieci anni a questa parte il suo successo a Spirano, dove aprì il primo punto vendita. Ora, da qualche mese, Cristofero e il figlio Fabio Scardino hanno replicato il format a Dalmine, con un punto vendita di oltre 160 metri quadri, con un banco di prodotti freschi e un forno dedicato a pizze, croissant, pane e focacce gluten-free. Il punto vendita, convenzionato con Ats Bergamo, permette come il negozio di Spirano, gestito dalla moglie Aurora Azzariti, di acquistare alimenti senza glutine con il budget messo a disposizione dal Servizio sanitario nazionale. La proposta spazia dai surgelati al banco frigo, ai prodotti da forno sfornati al momento, anche quattro volte al giorno. Ai migliori prodotti ortofrutticoli, con attenzione alle specialità siciliane, in omaggio alle origini di famiglia, si affianca un assortimento di prodotti freschi e confezionati degno di un negozio specializzato. Ci si perde tra le corsie, dove si esce con verdure e primizie lasciandosi tentare dal profumo di baguette o ciambelle, che hanno conquistato anche chi celiaco non è.

Federica Zambelli a soli 24 anni ha deciso di rilevare l’attività per cui lavorava da studentessa universitaria. Una passione nata strada facendo, dietro il bancone della Vineria Perbacco, ideata da Giulio Amaglio, quando il punto vendita, che ha avuto alterne vicende negli ultimi anni, era stato rilevato dalla Tenuta Montefantino. Il negozio che fa rete con altri due punti vendita a Urgnano e Bergamo per gli acquisti dai produttori, è un punto di riferimento per il vino sfuso di qualità. L’impianto di spillatura ad azoto, refrigerato per bollicine e vini frizzanti, conta su oltre trenta referenze, dal vino da tavola al Prosecco, dal Valcalepio al Nebbiolo. La proposta di sfuso omaggia oltre al territorio, le grandi regioni enologiche italiane, Piemonte e Veneto in testa. Alla selezione in botte si affianca quella a scaffale, con oltre 150 referenze e una selezione di 60 distillati. «Mai avrei pensato di lavorare in ambito enologico e invece sono stata irreparabilmente attratta da questo mondo che so richiedere tanta formazione- commenta Federica Zambelli, che si divide tra studio e lavoro grazie all’aiuto di papà Luca, del fratello Giorgio e della mamma Sabrina-. Terminato il corso per sommelier Ais conto di iscrivermi al Master in Food and Beverage allo Iulm, in collaborazione con il Gambero Rosso».

BAR TRAMONTO

Via Milano, 30 Treviglio 340.1668735

PRIMIZIE E DELIZIE SENZA GLUTINE

Via Mario Buttaro, 4G Dalmine 035.3057692

34 marzo - aprile 2022 35 marzo - aprile 2022

PER BACCO Via
33A Dalmine 035.564880
VINERIA
Provinciale,
Roberto Cassinelli e Michael Ornaghi Cristofero e Fabio Scardino Federica con il papà Luca Zambelli La famiglia Nasti con il direttore di Ascom Bergamo Oscar Fusini

Primavera in rosè

No, non esiste l’uva rosa. E quindi, come può esistere un vino di colore rosa? Forse non tutti sanno che l’interno del chicco di uva non contiene pigmenti coloranti. Essi si localizzano e si accumulano durante la fase di maturazione esclusivamente nelle bucce. Per questo motivo, l’uva rossa può essere vinificata anche in bianco, avendo cura di trattarla con delicatezza ed evitare la permanenza delle bucce a contatto con il succo d’uva. La vinificazione in rosso prevede infatti un periodo più o meno lungo di macerazione del mosto sulle bucce: è proprio in questa fase che il succo d’uva in fermentazione si colora di rosso più o meno intenso in relazione al vitigno, alla maturazione delle uve e al tempo di contatto. Evitando questa fase, si elimina la probabilità che i pigmenti coloranti siano trasferiti al succo stesso. Sono molti, ad esempio, i vini spumanti prodotti a partire da uve nere, come il pinot noir. Quanto al vino rosato, il concetto alla base rimane lo stesso: si tratta infatti di una tipologia di vino prodotto a partire da uve a bacca rossa. Queste vengono pressate delicatamente e vengono sottoposte poi a un contatto limitato nel tempo (e condotto con particolari metodi che non andremo a trattare) con le bucce, affinchè esse possano rilasciare una piccola parte dei coloranti. Esistono quindi vini rosati provenienti da diversi vitigni, sia fermi che spumantizzati. Il vitigno, ma anche la zona in cui viene coltivato e la sua maturazione nel momento in cui l’uva viene raccolta, influirà, come è ovvio che sia, sulle caratteristiche del vino stesso. Esistono infatti rosè freschi, la cui acidità ne permette una beva particolarmente facile, ma esistono anche vini rosati che regalano sentori più simili ai rossi. Caratteristica abbastanza comune è invece la presenza importante dei sentori floreali, ma soprattutto fruttati, che rende questi vini adatti e apprezzati anche dai palati dei bevitori meno esperti. Esistono davvero tanti vini in rosa in Italia e nel mondo. Sono anche tante le Denominazioni di Origine che prevedono questa tipologia tra quelle ammesse da disciplinare.

Ve ne sono alcune di molto conosciute, come il Cerasuolo d’Abruzzo, che ben si presta alla vinificazione in rosa. Ma non solo.

La zona del Lago di Garda infatti, grazie al suo terroir e alle caratteristiche climatiche mitigate anche dalla presenza del lago, è adatta alla produzione di uve destinate ad essere vinificate in questo modo. Proprio in questa zona, sulla sponda veneta del lago, viene prodotto il Chiaretto di Bardolino DOP. Un vino il cui nome deriva, appunto, dal suo colore. L’uva in assoluto più importante nella produzione del Chiaretto di Bardolino DOP è la Corvina Veronese; essa viene utilizzata fino al 95% nell’uvaggio, fatta salva una quota minima del 5% di Rondinella. Due vitigni autoctoni che fanno di questo vino un simbolo del territorio. Al naso, il Chiaretto regala sentori agrumati, di piccoli frutti e di fiori. Sapido e fresco, è perfetto da gustare come aperitivo, ma anche con antipasti classici a base di salumi dal sapore delicato, ma con una bella sapidità, come i prosciutti crudi. E ancora, con il pesce sia crudo che cotto, con i frutti di mare o con i classici piatti unici dell’estate italiana: insalate capresi, melone con salumi, ma anche i crudi a base di carne, soprattutto se presente la nota d’agrume nel loro condimento, come la scorzetta di limone o arancia grattugiata.

E ancora, anche le zone di montagna ben si prestano alla produzione di uve destinate a questa tipologia di vino, come i vini rosati trentini, che regalano agrume e freschezza come note gustative e aromatiche principali. Ma anche la Toscana o la Sicilia, con i loro climi caldi e asciutti, possono regalare uve per la produzione di vini rosati dalle caratteristiche più intense, con sentori fruttati diversi, non agrumati, ma che ricordano ad esempio la frutta rossa matura, ma anche con terziari importanti.

Non resta quindi che approfondire il mondo dei vini rosa, così variegato, così complesso, così ancora poco conosciuto rispetto alle altre tipologie. Un mondo, questo, che può riservare belle sorprese per il palato e per la creatività.

36 marzo - aprile 2022 37 marzo - aprile 2022

FRESCO, PROFUMATO, FLOREALE E FRUTTATO. IL VINO IN ROSA CELEBRA LA RINASCITA DELLA NATURA DOPO LA STAGIONE FREDDA

Cento ricette dei 48 migliori gelatieri italiani celebrano uno dei prodotti artigianali più iconici della nostra cultura. Ogni maestro gelatiere, stagione dopo stagione, regala due delle sue ricette esclusive: una, rappresenta la sua cifra artigianale, la seconda rimanda alla tradizione ed è riproducibile a casa. Dal Nord al Sud, ogni gusto celebra le materie di ogni territorio. Si va dai classici ai creativi che prevedono l’utilizzo di inusuali ingredienti come la cera d’api, il fieno, il mosciolo e l’aglio orsino. L’arte del gelato di Roberto Lobrano Slow Food Editore - 2021 29 euro

STORIA E PATERNITÀ DELLE “BARCHETTE” PIÙ AMATE

Data la popolarità di cui godono, non solo nelle loro zone d’elezione, sembra quasi strano pensare che casoncelli siano solo uno dei rami cadetti delle paste ripiene. Ma sono ravioli o tortelli oppure né l’uno né l’altro? Che ruolo hanno nel novero delle paste ripiene italiane? Si dice che, quando ci si siede a tavola, gli animi si riappacifichino, soprattutto di fronte a un fumante primo. Se la diatriba sulla ricetta perfetta o più tradizionale è da sempre accesa, e sempre lo sarà, più forte è la contesa della paternità del piatto tra Bergamo e Brescia. Sondando il profilo storico, identitario ed etnografico di questa squisita pasta ripiena è possibile scoprire come questo piatto abbia unito ancor prima di dividere e di come si inserisca nel mosaico delle paste ripiene della Penisola. Il lettore potrà lasciarsi trasportare in un nuovo viaggio da quella flotta di barchette ben allineate, rappresentate nella copertina, pronte a salpare nel loro mare di farina. Info biblioteca@centrostudivalleimagna.it

E BRESCIANI

DI IRENE FORESTI, CENTRO STUDI VALLE IMAGNA - 2021

12 EURO

Gli charcutier della celebre Maison Verot, a Parigi, racchiudono in un elegante volume 80 ricette casalinghe della grande tradizione francese. La preparazione di terrine, paté in crosta, polpette, salsicce, aspic di verdure aggregati con gelatina aromatizzata, foies gras e tourte diventa alla portata di tutti grazie a ricette semplici e a passaggi illustrati, tappa per tappa, per apprendere le tecniche base di norcineria: tagliare, tritare, sfilacciare, mescolare e modellare. Terrines, rillettes, salsicce & pasticci

di Gilles & Nicolas Verot Slow Food Editore – 2021 29,90 euro

“Pride and pudding”, la storia dei pudding inglesi dolci e salati, è il libro che percorre l’evoluzione di questa specialità. Tutti pensano che sia una portata dolce. In realtà, nasce come pietanza salata a base di carne. Per spiegarne, dunque, l’origine è necessario ripercorrere nel dettaglio la storia della cucina inglese, andando indietro di secoli fino all’epoca dei Romani in Gran Bretagna. Tra le varietà, il pudding di pane che racchiude creme o composte a base di uova o frutta e il pudding di pastella, cotto al forno o fritto.

Pride and pudding di Regula Ysewijn

Guido Tommasi Editore - 2021 35 euro

38 marzo - aprile 2022 39 marzo - aprile 2022

La chef vegana fin dalla nascita, conosciuta soprattutto grazie al progetto di corsi “Baciami in cucina”, racconta il suo modo di vivere e di vedere il veganesimo anche come scelta etica e culturale, offrendo tanti consigli utili per entrarne a far parte o anche solo per accostarsi e comprenderlo, magari integrandolo con altre abitudini alimentari. Il tutto è arricchito da 60 sfiziose ricette ideali per situazioni amichevoli, familiari o conviviali come il pic-nic, le feste per bambini o le cene in piedi.

My vegan party

di Caterina Mosca

Golem Edizioni - 2021 22,80 euro

a cura di Rosanna Scardi CASONCELLI. STORIA E IDENTITÀ DELLA PASTA RIPIENA PIÙ AMATA DA BERGAMASCHI
LEGGERE DI GUSTO Per informazioni via Borgo Palazzo, 137 • tel 035.4120321 • info@fogalco.it • www.fogalco.it CONFIDIamo nella Ripresa Per la TUA IMPRESA un finanziamento fino a 20mila euro e un contributo a fondo perduto BANDO APERTO

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