LA BUONA TAVOLA RACCONTATA DA affaridigola . it DICEMBRE 2022 - FEBBRAIO 2023 Un dolce Natale ATMOSFERA E TRADIZIONI SULLE TAVOLE IN FESTA Anno XXII n. 5Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento PostaleD.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo€ 2,60
La vecchia pubblicità che intonava “Il Natale, quando arriva, arriva” è lo slogan più appropriato per ricordarci che non possiamo fermare il tempo in attesa di momenti migliori.
Ci piacerebbe un Natale un po’ diverso da quello attuale. Guerra e crisi energetica ci scuotono e frenano il nostro entusiasmo. Ma dobbiamo anche saper cogliere quanto c’è di positivo. Rispetto agli ultimi due anni, per esempio, potremo godere le feste senza restrizioni, peraltro in un momento che sembra magico, grazie alla rinnovata voglia di viaggiare, uscire e vivere momenti conviviali.
I turismo è il settore simbolo della contraddizione attuale: gli alberghi sono pieni, mentre i costi di gestione sono insostenibili. Servirà qualcosa di straordinario e positivo per restare il “Bel Paese” come molti l’hanno conosciuto. In questo numero il nostro giornale intervista per la prima volta due simboli della bellezza e dell’ospitalità italiana: l'attrice Cucinotta e il presidente di Federalberghi Bocca. Dicembre, con i suoi ponti e le sue feste, sarà il momento per abbracciare il mondo. Qualcuno lo farà in viaggio, altri a casa con i propri cari, tra leccornie provenienti da lontano. D’altronde dicembre è stato sempre il mese della scoperta: nel dopoguerra, Santa Lucia portava ai bambini buoni ”Portogalli”, l’arancio dolce dei Paesi caldi, mentre negli anni Settanta cominciarono a entrare in tavola con regolarità datteri del Medio Oriente, una delizia per grandi e piccini.
Natale sarà l’occasione per riscoprire cibi e condimenti di una volta, prodotti e abbinamenti innovativi, piatti elaborati o ricette semplici, tipiche di una cucina povera ma genuina. Insomma sarà l’occasione per provare cose nuove, di casa nostra o di paesi esotici, in compagnia di familiari e amici.
Questo Natale troverà nel presepe il suo messaggio di speranza e nell’albero la luce e il calore di cui abbiamo bisogno. Che sia quindi un Buon Natale per tutti noi, con l’inizio, finalmente, di un anno nuovo e felice.
Buona lettura!
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Collaboratori: Lara Abrati, Luca Bassi, Sergio Cotti, Rosanna Scardi, Marco Offredi Progettazione grafica: Samanta Cattaneo, Mozzo, Bg
Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg
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4. Le ricette del cuore
Il Natale più dolce del mondo
È di nuovo amore per l'Italia
La tavola si veste a festa
Il cibo dell'anima
Intervista a Maria Grazia Cucinotta
A tutta birra
Christmas Tea, lo spirito del Natale
I condimenti di un tempo
In evidenza
Leggere di gusto S OMMARIO
D icembre 2022- Febbraio 2023
Oscar Fusini Direttore
EDITORIALE
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SPORTELLO ENERGIA
Le ricette del cuore
di Sergio Cotti
Ingredienti
L'odore del soffritto per il ragù che arrivava fino a sotto le lenzuola, mischiandosi con l’aroma del caffè all’ora della colazione. Il profumo delle polpette al sugo o della pasta alle vongole che si sentiva appena varcata la soglia a casa di nonna, o quello del minestrone di papà che avvolgeva l’androne al piano terra, accanto al ristorante, col "rischio" che lo sentissero anche i passanti. Ricordi lontani, pescati nei cassetti della memoria, che riaprendosi sprigionano gusti e sapori rimasti indelebili, ma inesorabilmente legati a tradizioni ormai quasi dimenticate e a momenti che restano là, in un passato i cui contorni si fanno sempre più sbiaditi. Profumi e sapori delle tradizioni di famiglia, delle ricette della nonna, delle ricorrenze trascorse in buona parte con le gambe accomodate sotto lunghe tavolate; piatti che raccontano storie ed emozioni di un tempo che non c’è più e che per questo si fanno sempre più preziose. Ricette nostrane, rustiche, "ignoranti" come direbbero a Roma, che difficilmente trovano spazio nei ristoranti, tantomeno in quelli gourmet. Eppure anche loro, i cuochi baciati dalle stelle, quelle ricette ruspanti, a volte facilissime, le hanno conservate nel cuore, proprio come ognuno di noi. E, assicurano, provano ancora ad inserirle in carta, seppure rivisitate, magari un po’ "sgrezzate", diversamente buone, ma di sicuro non come quelle delle nonne, che le stelle le contavano solo in base al numero dei nipoti.
Chicco Cerea
La bistecca, con il ciareghì
Enrico Cerea, chef del ristorante Da Vittorio (tre stelle Michelin), è uno che sotto tante buone stelle ci è
nato e che con maestria, insieme ai fratelli, ha sempre continuato - e continua tuttora - a farle splendere. Quello che ci racconta è il minestrone tristellato che papà Vittorio preparava alla famiglia tutti i mercoledì, giorno di chiusura del ristorante. «Lo faceva cuocere per quattro ore – dice – e quando rientravo da scuola, sentivo l’odore fin dall’androne. Quando lo portava in tavola, l’accompagnava sempre con un po’ di pesto, che andavamo a miscelare per dare al piatto ulteriore gusto. Sono sapori che ho scanditi in testa, come quello di una torta salata pazzesca, che mio padre faceva con pasta sfoglia, emmenthal e “rampinei”, i cornetti gialli a forma di “c”, quelli – per capirci – piegati su se stessi, dolci e burrosi. Lui li sbollentava, poi li passava in padella e li aggiungeva alla torta, prima di cuocerla nel forno». Ricette di casa di un “signor” cuoco capace di trasmettere ai figli la stessa tecnica e la stessa passione che lo hanno portato ai vertici della cucina italiana partendo proprio dai piatti di casa. «Io e miei fratelli – ricorda ancora Chicco Cerea – siamo stati cresciuti dai nonni a suon di zuppe, minestre e minestrine. E poi i grandi classici: la polenta con il coniglio rosolato in padella, bagnato col vino rosso (o bianco) a fine cottura e, a seconda delle usanze, cotto con la pancetta. Questo è un piatto che adoro quando, ancora oggi, lo fa mia mamma». E continua: «Che dire, poi, della bistecchina con sopra l’uovo in ciareghino? Tagliata sottile, insieme alla polentina e con una fetta di taleggio. Sono piatti golosi che non mangio da 40 anni; questo in particolare sarebbe bello riproporlo anche al ristorante, magari un po’ rielaborato. A casa, dove siamo sempre meno, ormai alcuni dei piatti che erano nelle corde dei nonni o delle zie, non si fanno più: la facilità dell’approvvigionamento, poi, ci permette di cucinare piatti più attuali».
Dalle polpettine col sugo («che propongo anch’io», assicura Cerea) alla pizzaiola con la polenta, il Parmigiano o il riso bollito, fino agli "osèi scapàcc" o "uccelli scappati" – gli involtini di vitello con formaggio e salvia – e alle torte di mele o all’amaretto («molto
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Procedimento
Grammature
ANCHE I CUOCHI BACIATI DALLE STELLE HANNO CONSERVATO IL RICORDO DELLE RICETTE DELLA LORO INFANZIA. IMMAGINI LONTANE PESCATE NEI CASSETTI DELLA MEMORIA CHE SPRIGIONANO GUSTI E SAPORI INDELEBILI SONO SAPORI CHE HO SCANDITI IN TESTA, COME QUELLO DI UNA TORTA SALATA PAZZESCA, CHE MIO PADRE FACEVA CON PASTA SFOGLIA, EMMENTHAL E “RAMPINEI” Chicco Cerea
semplici, ma con un gusto talmente buono che te lo ricordi per sempre», ammette), sono tante le ricette del cuore che escono dai cassetti dei ricordi del tristellato bergamasco. Incuriositi dall’idea di riproporre la bistecchina con l’uovo in "ciareghì", gli chiediamo come la presenterebbe al ristorante: «Basta scegliere un controfiletto, meglio se di una manzetta femmina, tagliato sottile – dice –. Si fa partire con un goccio d’olio caldissimo, sale e pepe; appena fa la crosticina si aggiunge una noce di burro, un po’ di rosmarino e uno spicchio d’aglio. Poi si spegne e si lascia fare il sughetto. Sopra ci si mette l’uovo, preparato a parte, e la polentina».
Pierantonio Rocchetti
Il sapore dell'orto di casa
I piatti classici bergamaschi, dai casoncelli alle carni brasate, fanno parte anche della storia di famiglia di un altro giovane cuoco stellato di casa nostra, Pierantonio Rocchetti, chef del ristorante «LoRo» (una stella Michelin) di Trescore Balneario. «Sono
di Paladina – racconta –; mio papà era operaio e mia mamma casalinga. La nostra è sempre stata una cucina robusta, con sapori molto netti. Ma avevamo anche l’orto, le piante da frutto e tutti i prodotti che crescono vicino al Brembo. Forse dopo le ricette tradizionali, la frutta e la verdura che si coltivava in casa erano le cose più buone da mangiare». Una sorta di km 0 ante litteram, che oggi Pierantonio Rocchetti sfrutta ancora a piene mani nel suo ristorante. «Un tempo quando mangiavamo una fragola maturata al sole e raccolta dalla pianta, ci sembrava di mangiare una caramella – dice –. E così era anche per le albicocche mature, che sembravano confettura. Oggi si sta tornando a questi prodotti, coltivati in un certo modo, perché abbiamo capito che si deve ripartire proprio da lì. Se frutta e verdura sono buone, il gusto è integro quando le cucini, non ci vuole molta tecnica, né strumentazioni sopraffine per creare chissà quali ricette». Come dire, il segreto sta (come sempre) nella qualità e nella semplicità. Eppure non c’è, per Rocchetti, una ricetta del passato che non si può portare al ristorante: «I miei ricordi – aggiunge – cerco sempre di portarli al lavoro. La mia cucina valorizza il prodotto e si propone di stare a contatto il più possibile con il territorio e la tradizione popolare. A me, per esempio, piace anche lavorare la verdura d’estate, conservarla e consumarla d’inverno, quando per questioni di stagionalità si fa più fatica a trovare. In queste settimane, per esempio, entra nel menu il piatto "Mamma mia", un finto gnocco di ricotta che serviamo con un’acqua di pomodoro estratta dai pomodori che abbiamo coltivato questa estate». Chi conosce lo chef di «LoRo» sa bene che la
sua è una cucina creativa, che apparentemente si sposa poco con il concetto di tradizione: «Eppure il punto di partenza è sempre quello –ammette –; d’altronde se manca la tradizione non può esserci futuro. Si può far diventare qualsiasi piatto più innovativo senza stravolgere la ricetta originale». Gli chiediamo un esempio, citando il piatto tipico per eccellenza della terra orobica, i casoncelli. E Rocchetti non delude: «Io ci aggiungo una confettura di mela cotogna, abbinata a una scorza di limone che dà una freschezza inedita al piatto – svela –. Dopodiché andiamo a togliere la parte più pesante, per rendere il gusto più delicato, senza stravolgerlo: lavoriamo il burro in maniera diversa, lo facciamo montato, dandogli più leggerezza e rendendo il contrasto meno forte rispetto al burro “nocciola”, mentre la pancetta viene sgrassata passandola nel forno». E c’è un altro piatto che dalla casa della nonna è arrivato fino al ristorante di Rocchetti, appena aggiunto in carta: «Parlando di brasato, faccio brasare o stufare una guancetta di vitello – racconta ancora – la pulisco della parte più saporita esterna e la finisco con una crema di peperone e aglio nero, che entrerà nella nuova carne».
che fare con uno staff di 7-8 persone e, col passare del tempo, la gerarchia in cucina era stata stravolta, mio padre si è messo a fare la pizza. Faceva un impasto con una lievitazione di 36 ore: a quei tempi era considerato pazzo, ma la sua pizza era spettacolare. Ebbene, quella ricetta non l’ha mai saputa nessuno, neppure mio fratello che fa il pizzaiolo e che con mio padre ha lavorato due anni. Lui impastava da solo perché non voleva che qualcuno gli “rubasse” i segreti. Mio fratello ha carpito qualcosa, ma non tutto. Eppure quello che preparava mio padre, cerchiamo ancora di portarlo al ristorante, perché la tradizione non va perduta».
Umberto De Martino Zeppole e pizza di papà
A portare sulle tavole dei bergamaschi scampoli di tradizione campana ci pensa Umberto De Martino, chef e titolare del Florian Maison di San Paolo d’Argon (una stella Michelin); un altro esponente della cucina gourmet abituato a portare le sue ricette di famiglia sulle tavole dei suoi clienti. «Quelli della mia infanzia – dice – sono i piatti pensati per i giorni di festa, dalle zeppole di San Giuseppe alla pasta con le vongole. Erano cibi che davano gioia: mio padre era cuoco e anche mia mamma ha sempre cucinato. Nei giorni di festa papà si metteva a cucinare a casa, cosa che non faceva mai gli altri giorni: già alle 8 del mattino c’erano per casa gli stessi profumi della cucina del ristorante, ed era una gioia. Il giorno di San Giuseppe papà faceva in media 450 zeppole; iniziava alle 6 del mattino e potete solo immaginare che odore di olio e di crema pasticcera c’era in casa quando ci si svegliava». Con un padre cuoco, chissà quante cose avrà imparato De Martino: «Macché, non mi ha insegnato mai nulla perché era molto geloso delle sue ricette – rivela –. Negli ultimi 10 anni della sua carriera, siccome aveva a
6 dicembre 2022 - febbraio 2023 7 dicembre 2022 - febbraio 2023
CERCO SEMPRE DI PORTARE AL LAVORO I RICORDI. LA MIA CUCINA VALORIZZA IL PRODOTTO E SI PROPONE DI STARE A CONTATTO IL PIÙ POSSIBILE CON IL TERRITORIO E LA TRADIZIONE POPOLARE
De Martino QUELLI DELLA MIA INFANZIA SONO I PIATTI PENSATI PER I GIORNI DI FESTA, CIBI CHE DAVANO GIOIA
Pierantonio Rocchetti
Umberto
Il Natale più dolce del mondo
di Laura Bernardi Locatelli
Tra frittelle golose dell’altro mondo, sformati dolci a base di riso e farro, street cake festaioli africani come buns e i beignets, l’atmosfera delle festività abbraccia idealmente le tradizioni di altri Paesi, avvicinando le nostre cucine a quella dei luoghi delle missioni umanitarie. La campagna di Natale del Centro Missionario Diocesano, Ascom Confcommercio Bergamo e Web Solidale Onlus, porta quest’anno a tavola le ricette di torte e dolci tipici delle feste e del tempo di Natale dei Paesi di provenienza dei cappellani delle comunità etniche presenti nel nostro territorio. Protagonista del kit natalizio di quest’anno è un porta torte, dalla fantasia tartan sulle tonalità del blu e dell’arancio, contenuto in una confezione regalo, che racchiude un ricettario con tutte le indicazioni per realizzare i dolci tipici delle missioni e condividere tradizioni e dolcezza di altri Paesi. Una scelta che simboleggia la volontà di costruire cammini di gioia, che mettano insieme ingredienti diversi, ma che solo amalgamandosi e valorizzandosi a vicenda possono formare quell’ingrediente segreto che rende felici le nostre tavole. Si parte dall’America Latina con Buñuelos boliviani per passare in Africa, dalla Sierra Leone con i Buns alla Costa d’Avorio con Beignets, per fare tappa nel sud est asiatico nelle Filippine con il Biko e tornare in Europa, in Ucraina con la Kutya. Le ricette (contenute nel porta torte del kit natalizio del valore di 10 euro) anche quest’anno portano un messaggio di solidarietà e pace nel mondo.
La campagna di Natale del Centro Missionario Diocesano sposa infatti quest’anno diversi progetti nelle missioni, dal Sudamerica a Gaza. Il ricavato della vendita dei kit natalizi sosterrà l’operato dei missionari all’estero, non senza dimenticare in un momento di grande difficoltà, il territorio. In Perù, sulle Ande, a Ccayara a 3600 metri di altezza, si completerà la costruzione di una struttura con cucina e mensa, utilizzabile anche come alloggio per eventuali visitatori.
A Gaza, luogo da tempo abbandonato dalla comunità internazionale, verrà supportato l’operato delle suore di Madre Teresa a favore di disabili e bisognosi, oltre a sostenere le scuole cristiane del luogo.
Ma la campagna del Centro Missionario Diocesano bergamasco non dimentica di guardare vicino, alla mensa dei frati cappuccini dell'opera di Padre Alberto Beretta in Borgo Palazzo a Bergamo, che ogni giorno distribuisce 150 pasti caldi a bisognosi. Il progetto prevede l’acquisto di un abbattitore alimentare per ottimizzare la conservazione degli alimenti, supportando così il lavoro quotidiano dei circa cento volontari che si alternano nel servizio di distribuzione di pasti caldi. Il kit natalizio con ricette e porta torte è disponibile al Centro Missionario (per prenotazioni 035.278480). Per supportare le attività del Centro Missionario Diocesano, oltre all’acquisto del kit, è possibile sostenere le missioni con donazioni liberali.
Per informazioni www.cmdbergamo.org
DES BEIGNETS
PREPARAZIONE
Portare a ebollizione l’acqua assieme al latte, alle 4 bustine di lievito di birra, allo zucchero e al sale, mescolando tutti gli ingredienti. Versare il composto in una bacinella capiente contenente la farina. Mescolare l’impasto a mano, aggiungendo le 6 uova intere, lo zucchero vanigliato (e eventualmente un aroma a scelta). Mescolare di nuovo e aggiungere 80 g di olio. Ricavare delle palline da 50 g e mettere in forno ad una temperatura di 180 gradi per 30 minuti. Versare 3 litri di olio di arachidi e portare ad una temperatura di 140 gradi e poi friggere, a più riprese, le ciambelle.
9 dicembre 2022 - febbraio 2023
Ingredienti 3 1,8 kg di farina 3 350 g di latte intero 3 300 g zucchero 3 250 g di acqua tiepida 3 125 g zucchero vanigliato 3 80 g di olio di arachidi 3 30 g di sale 3 4 bustine di lievito di birra 3 6 uova 3 2 bustine di aromi di vaniglia
LE RICETTE DELLE COMUNITÀ ETNICHE PRESENTI NEL NOSTRO TERRITORIO ACCOMPAGNANO IL PORTA TORTE DEL CENTRO MISSIONARIO DIOCESANO
Costa d'Avorio
Bolivia
BUÑUELOS
Ingredienti
1 cucchiaio di zucchero
2 uova
olio per friggere qb
1/2 tazza di acqua bollente
2 1/4 tazze di farina 00
1 cucchiaino di lievito secco
1/2 cucchiaino di semi di anice
miele di canna per servire
PREPARAZIONE
Versare in una tazza l'acqua calda insieme ai semi di anice e lasciate riposare in infusione per 6 minuti. Versare l’acqua di anice con un colino, in un capiente contenitore, unendolo a farina, lievito e zucchero; aggiungere le uova e amalgamare il tutto con un cucchiaio di legno fino ad ottenere un impasto omogeneo e un po’ appiccicoso. Lasciare riposare per mezz'ora, coprendo con un canovaccio. Iniziare a portare a temperatura l’olio in una padella. Prelevare una porzione di impasto (grande quanto una pallina da golf), creare un buco al centro con il pollice e stendere l'impasto, formando un disco non troppo sottile. Friggere da ogni lato fino a doratura ogni buñuelo. Adagiare le frittelle su carta assorbente per eliminare il grasso in eccesso. Il consiglio: spalmare un po’ di miele di canna sul buñuelo, accompagnare con un tè, un api caldo (bevanda di mais viola) o un mate.
Sierra Leone
BUNS
Ingredienti
3 3 tazze di farina
3 2 cucchiaini e 1/2 di lievito in polvere
3 3/4 di tazza di zucchero semolato
3 1/2 cucchiaino di sale
3 1 cucchiaino di arancia grattugiata
3 1 cucchiaino di noce moscata grattugiata
3 1 cucchiaino di fiocchi di cocco
3 3/4 tazza di latte intero o 2%
3 4 uova grandi
3 2 cucchiaini di vaniglia
3 1/4 di tazza di burro fuso o olio vegetale
3 Olio per frittura
PREPARAZIONE
In una ciotola mescolare tutti gli ingredienti secchi, la farina, il lievito, il sale, lo zucchero, l’arancia grattugiata e la noce moscata. Unire il latte, le uova, la vaniglia, i fiocchi di cocco e l’olio; mescolare bene fino ad ottenere una pastella liscia, densa e adatta al cucchiaio. In una padella capiente versare l’olio vegetale, fino ad un’altezza di 5 centimetri circa e portarlo a 150 gradi. Formare delle palline con circa due cucchiai di pastella e friggere fino a doratura, girando il composto da entrambi i lati. Adagiare su carta assorbente per eliminare l’olio in eccesso, spolverare nello zucchero a velo o di canna e servire.
Filippine
BIKO
Ingredienti
3 2 tazze di riso glutinoso
3 2 tazze di latte di cocco
3 1 1/2 tazza di zucchero di canna integrale 3 2 tazze di acqua
PREPARAZIONE
Lavare il riso due o tre volte e farlo cuocere per 10 minuti. Nel frattempo, portare a bollore il latte di cocco. Far bollire per 7/8 minuti, aggiungere lo zucchero e portare di nuovo a bollore fino a quando si forma una schiuma. Aggiungere il riso bollito e far cuocere a fuoco basso mischiando fino a quando il riso assorbe tutto il latte di cocco e lo zucchero e la consistenza del composto è ben amalgamata. Versare in una pirofila e servire tiepido.
Ucraina
PREPARAZIONE
Lavare con cura il farro e metterlo in acqua fredda per circa 3 ore. Scolare il farro dall’acqua e metterlo in una pentola profonda con 800 ml di acqua fredda; portare a bollore e cuocere a fuoco lento per 40 minuti circa. Nel frattempo, mettere l’uvetta in acqua calda per circa 3 minuti e scolare. Lavare anche i semi di papavero, fare bollire in acqua per 5 minuti, scolarli e frullarli con un cucchiaio di zucchero. Quando il farro è pronto, farlo raffreddare e unire gli altri ingredienti, noci, uvetta, miele, papavero. Servire in una ciotola ricoperto da qualche gheriglio di noce come decorazione.
10 dicembre 2022 - febbraio 2023 11 dicembre 2022 - febbraio 2023
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Ingredienti 3 300 g di farro 3 100 g di gherigli noci 3 150 g di semi di papavero 3 50 g di uvetta 3 100 g di miele 3 800 ml di
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KUTYA
acqua fredda
© hungryhuy.com
IL PRESIDENTE
DI FEDERALBERGHI
TRACCIA UN BILANCIO
SUL TURISMO ITALIANO
DAI PROBLEMI PIÙ URGENTI
ALLE STRADE DA INTRAPRENDERE PER CRESCERE
Presidente, messa in archivio la stagione estiva più lunga degli ultimi decenni (almeno dal punto di vista climatico), qual è il bilancio del settore?
Bernabò
Bocca
È di nuovo amore per l'Italia
di Sergio Cotti
Avoler guardare le previsioni, ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli. Perché se è vero che per il turismo la stagione estiva che ci siamo lasciati alle spalle è stata una delle migliori degli ultimi decenni, è vero anche che le strutture dell’accoglienza – leggi, gli alberghi – arrivavano dalla crisi più profonda del Dopoguerra e che dopo soltanto qualche mese di respiro ora sono tornati in trincea, vittime di una crisi energetica anch’essa senza precedenti, che sembra addirittura più grave di quella causata dal Covid. I “distinguo”, anche in questo caso, sono inevitabili: c’è chi ha fatto in tempo a chiudere la lunga stagione estiva e ora sta alla finestra ad aspettare che passi la tempesta, e chi – come gli alberghi di montagna – si trova a fare i conti con una situazione che lascia spazio a poche (sconfortanti) certezze. Dicevamo delle previsioni: in pochi azzardano numeri in vista dell’inverno; i più si aggrappano alle festività, sperando nel contempo in una "normalizzazione" del meteo (e dei costi delle bollette). Ma tra il carovita e lo spettro di un rallentamento dei consumi, le prospettive sono tutt’altro che rosee. C’è poi anche la questione del personale, che dopo il lunghissimo periodo di restrizioni, è migrato in altri settori e adesso è difficile intercettare di nuovo. Eppure, è proprio in questi momenti di crisi che si dovrebbe trovare la forza di reinventarsi per non vedere affondare un’attività che per tanti albergatori rappresenta più che un’occupazione, l’investimento di una vita.
Sullo stato di salute del turismo (che, vale la pena ricordarlo, vale il 13% del Prodotto interno lordo italiano), e in particolare sulla situazione degli alberghi italiani, abbiamo parlato con Bernabò Bocca, presidente nazionale di Federalberghi, l’associazione di categoria che fa parte della famiglia di Confcommercio Imprese per l’Italia.
Positivo dal punto di vista delle presenze e soprattutto dell’entusiasmo che gli italiani hanno manifestato per il proprio Paese. La pandemia ha davvero rivoluzionato gli animi e il pensiero dei concittadini dopo l’enorme carico di sofferenza che ha provocato in modo più o meno diretto a tutti noi. Nel post covid ci si è letteralmente re-innamorati dell’Italia, in parte perché ci si è sentiti più sicuri “in casa” rispetto alle tante difficoltà, in parte perché di necessità si è fatta virtù. Ma in termini di numeri il risultato è che la stragrande maggioranza degli italiani ha scelto di fare vacanza in Italia, che quanto a presenze siamo giunti a livelli simili a quelli del 2019 e che i turisti, soprattutto quelli americani - la cui mancanza aveva inciso fortemente sui bilanci delle nostre imprese e di tutta la filiera - hanno ricominciato a visitare il nostro Paese. Se vogliamo dire che sia stato un successo assoluto, questo no. Perché le perdite, dovute ai primi tre mesi di “fermo”, e ai fortissimi rincari energetici che ci porteremo dietro a lungo, non sono certo rassicuranti per il settore.
Se durante l’anno gli alberghi delle località di mare e di lago hanno lavorato molto più a lungo rispetto agli anni scorsi, quelli in montagna prevedono ora un inverno difficile. L’inizio della stagione invernale è slittato; tante strutture, per queste ragioni stanno valutando addirittura se aprire i battenti o rimanere chiusi.
Il tema resta quello del caro energia… Siamo tutti scoraggiati. In particolare nostri colleghi più coinvolti nel settore del turismo invernale manifestano grande preoccupazione. È un problema che riguarda tutti, ma per gli hotel in montagna ovviamente la cosa diventa ancora più onerosa, considerato l’aggravio in termini di spese che si prospetta. Tanto che, effettivamente, molti imprenditori del settore ricettivo hanno già annunciato il rischio di dover rimanere chiusi. Ricordiamo sempre che le nostre sono strutture energivore, le criticità non possono risolversi con piccole strategie di risparmio, come tenere le luci spente o evitare il riscaldamento: noi ci misuriamo con ospiti che hanno aspettative e necessità di comfort che vanno assolutamente rispettate.
Il turismo, insieme alla ristorazione, è stato uno dei settori più colpiti dalla crisi provocata dal Covid. In tanti dicono che quella energetica è ancora peggiore, in più senza aiuti né ristori. Ma in questo modo, come si resiste?
La sua domanda ha già una risposta: sono ne-
13 dicembre 2022 - febbraio 2023
© Imagoeconomia dicembre 2022 - febbraio 2023
cessari aiuti e ristori, tanto quanto lo sono stati in periodo di pandemia. Noi abbiamo presentato al nuovo establishment le criticità e un piano di interventi mirati. Auspichiamo che si trovi una soluzione al più presto. Non solo per resistere, ma per contribuire alla crescita economica del nostro Paese.
LE STRUTTURE DELL’ACCOGLIENZA, DOPO LA CRISI PROFONDA DEL DOPOGUERRA, SONO TORNATE IN TRINCEA, VITTIME DI UNA CRISI ENERGETICA SENZA PRECEDENTI CHE SEMBRA ADDIRITTURA PIÙ GRAVE DI QUELLA CAUSATA DAL COVID
Prevede che il trend si confermerà anche in futuro?
Penso proprio di sì, e comunque me lo auguro. Il nostro primo turista, lo ricordo sempre, è italiano.
Cosa resterà nei prossimi anni di tutte le misure adottate durante il Covid all’interno degli alberghi? Come sono cambiate le richieste dei clienti?
Torno a ripetere: il Covid ha avuto l’effetto di una rivoluzione. Ormai è cambiata la forma mentis tanto degli addetti ai lavori quanto dei visitatori: vi è il pre Covid e il post Covid. La clientela oggi si aspetta comunque di trovare misure di sicurezza per gli aspetti sanitari. Nei nostri hotel non mancano mai dispenser per igienizzare le mani. Anche riguardo le procedure per la pulizia continuiamo a usare tecniche di sanificazione adeguate. I nostri protocolli di sicurezza nel periodo della pandemia sono stati talmente efficaci che continuiamo ad applicarli.
A che punto sono gli alberghi con la transizione ecologica? Penso, per esempio, al rinnovamento degli impianti e all’efficientamento dei consumi.
In verità si tratta di operazioni che nel nostro campo sono in atto da anni. È un vero e proprio slittamento progressivo verso l’allineamento totale alle nuove misure richieste. Vi è un’ampia percentuale delle nostre strutture che ha già provveduto in tal senso. Ma si tratta di procedimenti lunghi.
Quanto inciderà questa nuova crisi sui prezzi delle camere? Le tariffe, negli ultimi due anni, sono già aumentate e ulteriori rialzi potrebbero causare una contrazione dei consumi, di cui peraltro già si parla a causa della crescita dell’inflazione.
Abbiamo appena recuperato un discreto movimento turistico nel nostro Paese, sono tornati come dicevo gli americani e altri mercati turistici si stanno ormai riaprendo all’Italia dopo la pandemia. Certo, la contrazione dei consumi in certi ambiti è già realtà. Non ci si può basare solo sull’appeal che il Bel Paese ha nel suo Dna a livello internazionale. Bisogna invertire la tendenza che appunto spinge alla contrazione dei consumi.
È giusto, come accade per i ristoranti, che anche gli alberghi si specializzino sempre di più nei servizi, magari puntando solo su un determinato tipo di clientela?
Guardi, negli alberghi la parola “servizi” è sacra. Quanto alla specializzazione, dipende anche dal carattere e dall’impostazione che si vuole dare a una determinata struttura. Come ci sono tanti tipi di turismi, ci sono anche tanti tipi di fruizione, e differenziare l’offerta per noi è sempre uno sforzo che vale la pena affrontare.
IN QUESTI MOMENTI DI DIFFICOLTÀ SI DOVREBBE
LA FORZA DI REINVENTARSI PER NON VEDERE AFFONDARE UN’ATTIVITÀ CHE PER TANTI ALBERGATORI RAPPRESENTA L’INVESTIMENTO DI UNA VITA
Ci sono tante strutture che non si sono mai rinnovate, vivendo sempre di rendita, e ora sono molto meno attrattive, rispetto anche all’arrivo di grandi gruppi dall’estero. Come si fa a dire loro, oggi, di investire?
La tavola si veste a festa
Come ha già ricordato anche lei, dall’estate del 2020 moltissimi italiani hanno riscoperto il piacere di passare le vacanze in patria (in parte anche “obbligati” dalle restrizioni anti Covid), sopperendo alla mancanza di tanti stranieri.
Se il mancato rinnovamento dipende da problemi di liquidità, non mi esprimo. Ma se c’è una mancanza di volontà nell’essere dinamici e innovativi, posso solo dire che questo è inversamente proporzionale al successo di un hotel.
Si definisce “un’apparecchiatrice seriale di tavole”. Per la rivista Elle Spose è, invece, “una delle cinque top organizzatrici di matrimoni”, mentre Zankyou-Italia l’ha inserita nel novero dei “dieci migliori wedding planner di Milano”. Giorgia Fantin Borghi è la più quotata esperta nell’organizzazione di eventi speciali legati all’arte della convivialità. Ma non solo: è annoverata da Forbes Italia tra le 100 top donne italiane del 2023. Nata a Padova, si è trasferita a Milano alla
fine degli anni ‘80. Mentre frequentava la facoltà di Filosofia, ha iniziato la sua esperienza professionale nel marketing. Nel 1996 è approdata a Merrill Lynch dove, nel 2000, è diventata marketing and events coordinator, seguendo l’organizzazione e la gestione di tutti gli eventi per l’Italia della famosa banca d’affari americana. Al contempo, ha maturato la sua esperienza nel protocollo nazionale e internazionale affiancando l’ex ambasciatore americano Reginald Bartholomew, allora presidente della società.
14 dicembre 2022 - febbraio 2023 15 dicembre 2022 - febbraio 2023
TROVARE
I CONSIGLI DI GIORGIA FANTIN BORGHI PER CREARE IN RISTORANTI E ALBERGHI
L’ATMOSFERA PERFETTA
di Rosanna Scardi
Dopo la nascita del primo figlio, nel 2004 Giorgia Fantin Borghi ha lasciato l’azienda e creato la sua agenzia che, grazie a uno stile inconfondibile, si è affermata come un riferimento per aziende nazionali e internazionali appartenenti ai settori dell’alta finanza, del lusso e dell’executive automotive. È anche autrice dei libri ”Matrimonio da sogno” e di ”Donne con un diavolo per capello” (ed. Valentina Edizioni).
Il Natale si sta avvicinando. Quali sono i suoi suggerimenti per ricreare l’atmosfera delle feste in ristoranti e alberghi?
Si cerca di trovare sempre qualcosa di diverso. Quest’anno assistiamo a un grande ritorno al tovagliato, non tutti i giorni, ma per gli eventi speciali sì. Per rendere unica la tavola di Natale ci vuole davvero poco: ad esempio, un’apparecchiatura un filo più ricercata. Se non si hanno i sottopiatti poiché occupano troppo spazio, si può usare come segna posto il piatto con una decorazione. Al bando il minimalismo, soprattutto in questo periodo in cui siamo stati troppo attenti alle spese. C’è voglia di trovarsi davanti a cose belle e ricercate. Le posate devono essere numerose: due forchette, un coltello e un cucchiaio. Il tovagliolo può essere un alleato prezioso: se i piatti sono bianchi, il tova-
gliolo decorato fa sembrare la tavola piena; basta un rametto di abete stretto in un nastrino rosso o un campanellino dorato. Non possono, infatti, mancare un tocco di rosso e verde.
A proposito, quali sono i colori di moda per questo Natale?
È di tendenza il monocromo total white e il total blue, che è considerato il nuovo bianco, in tutte le sue sfumature; essendo un colore freddo, il blu si presta a essere associato a tonalità metalliche, come oro, argento e bronzo. Per le decorazioni meglio prediligere materiale naturale come piccole pigne, frutta di stagione che può essere utilizzata come centrotavola, collocata su una piccola alzata. Sono di tendenza le renne, di piccole o grandi dimensioni, un particolare che fa la differenza e fa tornare bambini, in piena sintonia con il Natale. Possono essere verosimili o dorate e argentate. Ricordiamoci un altro dettaglio spesso dimenticato: il piatto del pane va a sinistra della forchetta. Ed è un buon modo per rievocare i fasti di una volta.
Il rischio è di ingombrare il posto tavola… È vero, pertanto nelle tavole di alberghi e ristoranti il mio consiglio è di allargare il posto del commensale che di solito è di 50 o 60 centimetri, rendendolo più ampio, arrivando a 70 centimetri. In questo modo, si sta più comodi, ma anche più sereni, come ci ha insegnato la pandemia, imponendoci il distanziamento.
Spesso nelle hall di alberghi o ristoranti troviamo l’albero o il presepe. Quale preferisce? Meglio senz’altro l’albero in uno spazio pubblico, purché sia ben coordinato con l’ambiente circostante in modo da non essere un elemento distonico. E se non si ha un albero alto tre metri, il trucco è di usare un rialzo di 80 centimetri da coprire con piccoli alberi, fiori e altri elementi presi dal mondo vegetale. L’accoglienza è data anche dal materiale naturale con un’aggiunta di velluto che dà sempre un tocco di raffinatezza: può essere un nastro, la copertura di un tavolo, la decorazione di una scultura.
La guerra in Ucraina ha posto un altro problema: il caro bolletta. Come si concilia il risparmio con una bella ambientazione natalizia? Meglio avere un punto luminoso importante a led che tante lucine accese in troppi luoghi. Le candele sparse nelle sale sono sempre molto apprezzate, rendono morbida (e non romantica) l’atmosfera, purché non siano profumate nei ristoranti.
Lei si occupa della regia, avendo una visione generale dell’evento, come se fosse una sorta
SONO DI TENDENZA
LE RENNE, DI PICCOLE O GRANDI DIMENSIONI, UN PARTICOLARE CHE FA LA DIFFERENZA E FA TORNARE BAMBINI, IN PIENA SINTONIA CON IL NATALE
di direttore d’orchestra che solleva gli altri professionisti della tavola da tante incombenze. A Natale, nei ristoranti e alberghi, a chi spetta questo compito?
Al maître di sala nei ristoranti o al concierge in hotel. Mangiare bene, in Italia, è abbastanza, facile, direi scontato; la differenza la fa il servizio, vale a dire gentilezza, savoir faire, un’accoglienza in punta di piedi che ti fa sentire come se fossi a casa tua. L’arma vincente è ricordare o notare dei desideri o delle abitudini dell’ospite, dal dove appoggia il cappello o ama sedersi, ad esempio con le spalle al muro. Queste piccole attenzioni fanno sentire speciali. E sono il miglior biglietto da visita affinché l’ospite torni o parli bene del posto.
Quali sono, invece, gli errori imperdonabili che si commettono? Lasciare il bicchiere della signora vuoto non si deve fare mai. Gli uomini versano vino o acqua prima alla donna che a se stessi ma, nel corso del pranzo o della cena, se ne dimenticano. Ricordiamo che se la prima volta sceglie l’uomo il ristorante, le successive deciderà sempre la sua compagna. Dunque, l’attenzione per le signore è doverosa (e, badate bene, non solo al ristorante). Conta anche l’essere presenti, ma non assillanti. Si pensa, erroneamente, che chiedere ogni cinque minuti se si ha bisogno di qualcosa a chi è seduto a tavola sia sinonimo di ricercatezza, invece è un’invadenza fastidiosa. L’accoglienza è come una danza leggera: ci vuole un perfetto equilibrio tra gentilezza, accortezza e attenzione. Questo principio vale anche a Natale.
La sua vocazione è da sempre il bon ton grazie anche all’imprinting di una tradizione familiare. Vale il detto “buon sangue non mente”. Mia nonna Wanda era maestra di buone maniere nella Padova di fine anni ‘50 e insegnava alle signorine da maritare come comportarsi. Lei
mi ha dato sì l’imprinting. Poi, fondamentale è stato curare tutti gli eventi istituzionali per mister Reginald Bartholomew, ambasciatore americano in Italia. Mi trovavo a seguire le più importanti regole di protocollo: per qualcuno, dall’esterno, può significare vivere in modo diverso. Per altri è la normalità, come l’alzarsi leggermente dalla sedia se una signora si sta alzando. William d’Inghilterra è un esempio di nonchalance, di disinvoltura nel seguire ogni regola.
Ma il protocollo è anche un fattore legato alla creatività, all’empatia, al sapersi mettere nei panni dell’altro.
Penso alla famosa cena del film “Il gattopardo” con il padrone di casa abituato alla tavola francese, che serve zuppe come primi piatti, e a indossare mise da gran sera anche a casa: per non mettere in imbarazzo i suoi ospiti si abbiglia in un modo informale e presenta un menù diverso. Questo è il vero bon ton: non curarsi del galateo se può arrecare disagio a un tuo ospite qualora venissero applicate rigidamente le norme.
Chi più di tutti ha rispettato il protocollo?
La Regina Elisabetta senza dubbio e il nostro presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Proporre la bellezza, farla vivere sotto gli occhi, aiuta la conversazione e a risolvere i problemi. In un posto bello, tutto è più facile.
16 dicembre 2022 - febbraio 2023 17 dicembre 2022 - febbraio 2023
ph. Orlando Salmeri
Giorgia Fantin Borghi ©
Il cibo dell’anima
di Luca Bassi
Soul Food. Cibo che sa di arte e sentimento, musica e spiritualità. Cibo che sa anche di sofferenza. Quando diciamo “Soul Food” parliamo della cucina tradizionale della comunità africana nel sud degli Stati Uniti: sebbene il termine sia stato coniato negli anni Sessanta, periodo in cui hanno visto la luce anche i primi ricettari, il Soul Food affonda le radici nel periodo della schiavitù e nei successivi 100 anni. La comunità afro-americana, infatti, abituata fin dal passato a utilizzare ingredienti economici e locali, ha portato avanti questa tradizione culinaria, dando vita a una cucina povera e semplice, ma esplosiva nel sapore.
Cucina ed emancipazione
La storia della cucina soul è andata di pari passo con quella dell’emancipazione della comunità afro-americana e rappresenta una componente importante di questa cultura. I suoi sapori caratteristici, le lunghe preparazioni e molte delle ricette ideate e tramandate per generazioni, sono diventate famose negli anni Sessanta, proprio grazie all’ascesa dei movimenti nazionalisti neri. In particolare il termine Soul Food venne coniato nel 1962 da Amiri Baraka, attivista, poeta e figura di spicco nella lotta alla rivendicazione dei diritti dei cittadini americani di colore. Rispondendo al diffuso pregiudizio secondo il quale la sua comunità “non avesse una lingua o una cucina caratteristica”, raccolse in un saggio il meglio della cucina afroamericana, specificando che si trattava appunto di una “cucina popolare dell’anima” che proveniva direttamente dai migranti del sud e che era per loro motivo di orgoglio.
I primi libri di cucina soul iniziarono ad apparire nelle librerie progressiste negli anni 60 (in principio in gran parte degli Usa venivano guardati con diffidenza) per poi diffondersi definitivamente un decennio dopo, mentre il primo ristorante fu aperto nel 1962 ad Harlem, nello stato di New York, da Sylvia Woods, nota come la “regina del Soul Food”. I ristoranti dell’anima iniziarono poi a fare la loro apparizione nelle grandi metropoli del Paese, con una clientela sempre più diversificata, e questa cucina venne ben presto riconosciuta e amata a livello nazionale.
Fagioli, piselli e interiora
Ma in concreto, quali sono i piatti che caratterizzano questa particolare cucina? Parliamo innanzitutto di una cucina molto saporita, piccante, ricca di aromi e condimenti. Gli ingredienti principi sono poveri e molto poco ricercati. E, forse per questo, di per sè speciali. Sì, perché il Soul Food è la dimostrazione più concreta che anche da ingredienti semplici si
possono far nascere piatti leggendari. Il re delle carni è appunto il maiale, di cui viene utilizzata ogni parte, incluso il grasso per friggere o il lardo impiegato per molte ricette dolci e salate. Anche le interiora vengono usate spessissimo. La farina di mais viene utilizzata in moltissimi modi e tante preparazioni, tra cui il pane di mais, una sorta di pancake fritto chiamato johnnycake e delle frittelle tonde chiamate hush puppies.
Sul fronte di legumi e ortaggi, il Soul Food è caratterizzato da un’ampia varietà di fagioli e piselli, mentre le verdure si dividono tra quelle di origine africana, come l’okra e le patate dolci, o quelle americane, come cavoli e rape. Tra le ricette soul più famose spiccano il pollo fritto, la pancetta di maiale affumicata, secondi a base di pesce gatto, le costolette di manzo, l’insalata di patate e l’Hoppin' John, una zuppa asciutta fatta con bacon o altro salume, riso e fagioli dall'occhio nero (foto di apertura, ndr).
I piatti sono spesso conditi con una salsa piccante a base di aceto e peperoncini, con una miscela piccante di spezie chiamata Cajun o con la maionese.
Il Soul Food è anche vegan
Il Soul Food si è tramandato fino ai giorni nostri. Ma, come tante situazioni legate al mondo enogastronomico, ha subito degli importanti cambiamenti. Insomma, si è evoluto. I cuochi contemporanei che si cimentano nel cucinare il Soul Food oggi, infatti, lo rendono più "salutare", limitando o evitando l'utilizzo di grassi animali quali il lardo, sostituendo l'olio di colza con altri oli vegetali e inserendo tagli di carni più magre. Inoltre, di recente sono sorti primi ristoranti di Soul Food vegan, aperti con l’obiettivo di interpretare in chiave veg questa tradizionale cucina. In realtà va detto che alle origini, sin dai tempi dell’emancipazione nera, la dieta della popolazione afro-americana era prevalentemente vegetariana perché, per ovvi motivi, la carne era uno degli alimenti più costosi e, quindi, meno accessibili.
Il proprietario del ristorante “House of vegans”, il primo ristorante vegano gestito da afroamericani, nello stato della Pennsylvania, ha voluto proporre tipici piatti della cucina afroamericana in versione vegana dichiarando che si può mangiare in modo ricco senza proteine animali. Il Soul Food vegan è infatti una cucina poco grassa e ricca di fibre, sicuramente più sana e benefica.
Ma che si tratti di carne, fritture, verdure oppure di proposte più salutari, la chiave di lettura della cucina soul, oggi come alle origini, è sempre la stessa: cibo dell’anima, cibo che sa di arte e sentimento, musica e spiritualità, cibo che sa di sofferenza.
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UNA CUCINA POVERA E SEMPLICE CHE RACCONTA UN POPOLO, ESPRIMENDO ARTE, SENTIMENTO, MUSICA E SPIRITUALITÀ
OLTRE A ESSERE UN’ATTRICE
DALLA BRILLANTE CARRIERA, È UN’ECCELLENTE CUOCA
CHE SI DILETTA NEI MANICARETTI ANCHE QUANDO È IMPEGNATA SUL SET
Isuccessi cinematografici di Maria Grazia Cucinotta sono conosciuti: dall’esordio nel film "Il postino" (dalle quattro nomination all’Oscar e una statuetta vinta) accanto a Massimo Troisi alla pellicola hollywoodiana "007Il mondo non basta", in queste settimane è impegnata in Puglia sul set del film "Gli agnelli possono pascolare in pace".
Negli Stati Uniti è anche produttrice di "All the invisible children" e "Last minute Marocco" mentre, da sedici anni, ha creato un ponte artistico con la Cina. Non solo: l’attrice è molto impegnata nel sociale come presidente della onlus Vite senza paura, da cui ha tratto il libro omonimo, edito da Mondadori, che raccoglie storie di donne che si ribellano alla violenza.
A teatro ha portato la commedia al femminile "Figlie di Eva", insieme alle amiche Vittoria Belvedere e Michela Andreozzi, che molti si ricorderanno di aver visto al Crystal di Lovere. E, adesso, contende lo scettro di regina dei fornelli televisivi ad Antonella Clerici. Ogni domenica, alle 10.10, su La7, conduce "L’ingrediente perfetto".
La trasmissione ha conquistato, quest’anno, il Premio dell’Osservatorio media del Moige, il Movimento italiano genitori, nella sezione "Intrattenimento, cultura e informazione" per la capacità di promozione delle eccellenze enogastronomiche italiane. Maria Grazia Cucinotta, in ogni puntata, racconta e mostra, dai suoi fornelli nella sua bellissima casa dalle vetrate sulle rive del Tevere, come un’attenta preparazione e la scelta degli ingredienti perfetti possano portare alla creazione di piatti gustosi e naturalmente sani.
Lo scorso novembre la troupe di La7 ha fatto visita anche alla pasticceria Paolo Riva di Treviglio. Il proprietario ha svelato tutti i segreti del cioccolato che lavora nel suo laboratorio e del suo panettone artigianale, re della tavola natalizia.
Ci può svelare qual è il suo ingrediente perfetto?
È l’attenzione, la cura verso gli altri. Mi piace attingere da quello che mia madre mi ha trasmesso e dagli altri. Cucinare richiede amore e passione, è una forma d’arte con cui ci viziamo e viziamo le persone che amiamo. È bellissimo cucinare assieme, può essere un gioco di coppia.
Dunque, cucina assieme a suo marito (l’imprenditore Giulio Violati, ndr)?
Lui mangia e basta. È una vera buona forchetta e ammetto che l’ho conquistato prendendolo per la gola. Quando ci siamo conosciuti, per un po’, mi sono sbizzarrita in qualsiasi pietanza a pranzo e cena. I primi mi vengono molto bene, secondi pure, come dolci e pizze. Grazie a “L’ingrediente perfetto” ho imparato anche le ricette delle cucine orientali e a preparare sfiziosi brunch della domenica con ricette da tutto il mondo. Fanno parte della tradizione anglosassone e sono perfetti per chi si sveglia tardi per unire colazione a pranzo. Sono curiosa. Imparo, porto a casa, sperimento e rielaboro a modo mio. Credo che, anche a tavola, ci sia sempre qualche segreto da poter scoprire per poter migliorare ciò che si fa.
QUANDO HO VISSUTO A LOS ANGELES INSEGNAVO AGLI AMERICANI A MANGIARE BENE. IL FINE SETTIMANA CUCINAVO PER TUTTI GLI AMICI, LA VOCE SI SPARGEVA
E DI PARI PASSO AUMENTAVANO GLI INVITATI
Adesso è molto impegnata sul set… Ho finito di girare “Il meglio di te” di Fabrizio Maria Cortese e, in queste settimane, sono sul set del film “Gli agnelli possono pascolare in pace”: le scene sono girate in un casolare, in Puglia, tra Bisceglie e Molfetta. Mi trovo benissimo, diretta da un regista siciliano, Beppe Cino. Un film corale, fatto di tante piccole emozioni che ti entrano nelle ossa. Ritrovo la cultura del Sud, dall’attaccamento alla terra alle credenze fino al tema del perdono: è il cosiddetto film.
Per debuttare a teatro ha aspettato i suoi 50 (splendidi) anni, perché?
Il palcoscenico mi ha sempre fatto paura, anche quando devo ritirare un premio vado nel panico
20 dicembre 2022 - febbraio 2023 21 dicembre 2022 - febbraio 2023 L’INTERVISTA
Maria Grazia Cucinotta L'ingrediente perfetto? La cura verso l'altro di
Rosanna Scardi
totale, ho il terrore di sbagliare. Al cinema è diverso, puoi sempre rifare una scena. Ma le fobie vanno affrontate.
Tra tanti impegni, come riesce a trovare il tempo di cucinare?
Sempre. Cucino sia a pranzo sia a cena. Non sono certo una chef professionista, ma mi diverto. Il riscontro tra gli amici e in famiglia è ottimo. Mi piace, i fornelli mi rilassano e riesco sempre trovare il tempo per farlo. Il segreto è sapersi organizzare. Ad esempio, preparando un sugo la sera prima.
Quando ha vissuto all’estero la sua cucina sarà stata super apprezzata…
Eccome, mi conoscono più per i miei piatti che per i miei film. Sono “famosa” per le mie cene. Quando ho vissuto a Los Angeles insegnavo agli americani a prendersi cura di sé, mangiando bene. Il fine settimana cucinavo per tutti gli amici. La voce si spargeva e di pari passo aumentavano gli invitati. E c’era chi si faceva perfino la doggy bag, ovvero si portava a casa gli avanzi che gustava in settimana.
In particolare, cosa?
La mia caponata, è qualcosa che in America nessuno aveva mai provato.
Qual è il suo cavallo di battaglia a tavola?
Calzoni, pizze che preparo da quando mia figlia Giulia era una bambina per lei e suoi amici e continuo a farlo anche adesso che ha 21 anni. La parmigiana, la pasta cacio e pepe della tradizione romana. E poi la pasta alla Norma che preparo facendo rotolini con le melanzane fritte con dentro la scamorza. E quella con le sarde. I segreti per cucinare al meglio quest’ultima me li ha confidati Martina Caruso, chef siciliana patron del ristorante dell’albergo Signum a Salina, stella Michelin, che rivisita sapori eoliani in modo eccellente. La pasta, saporita e accattivante, è il suo piatto forte. Dunque, non potevo avere insegnante migliore. A Salina ho girato “Il Postino”. E caso del destino vuole che avessi conosciuto la chef quando era bambina.
Ogni volta che torno sull’isola faccio visita nel ristorante per salutare l’amica chef stellata e la sua famiglia.
Qual è il sapore che la riporta all’infanzia?
Le bracioline di carne alla messinese, diffuse in tutta la Sicilia.
Sono dei micro involtini di carne di manzo ripieni di caciocavallo arricchiti da una gustosa gratinatura a base di pangrattato, prezzemolo e aglio. Si cucinano arrostiti al forno o in padella con sugo. Per facilitare la cottura si possono infilare degli
stecchini. Sono la specialità che non può mancare nelle tavolate della domenica.
A “L’ingrediente perfetto” propone anche abbinamenti con vini speciali. Dunque, preferisce il vino alla birra?
No, l’acqua (sorride, essendo testimonial di una nota marca, ndr). Noi siamo fatti di acqua, per un adulto la percentuale è prossima al 60% della massa corporea. Non dobbiamo mai dimenticarcelo.
Fondamentali nel suo programma tv sono i suggerimenti di Gianluca Mech, esperto di alimentazione naturale, che nella rubrica "la ricetta light", in questa nuova edizione, oltre ai dolci, propone anche ricette salate tra primi e secondi per un menù all’insegna della leggerezza. Lei si ritiene salutista?
Ritengo che il vero lusso sia il mangiare bene, ovvero sano con gusto, è importante sapere da dove provengono gli ingredienti degli alimenti che mettiamo nel piatto. Il contadino vale oro, tanto più se erede di una tradizione agricola che si tramanda in famiglia. La terra è il miglior investimento se vogliamo stare in salute. E poi basta seguire delle piccole accortezze con un po’ di esperienza e qualche trucco: con il tempo ho imparato a cucinare usando meno grassi possibili, facendo attenzione quando friggo a eliminare l’olio in eccesso. Questo vale anche per le ricette della tradizione siciliana.
Visto che è una bravissima cuoca, per quale personaggio storico le piacerebbe cucinare? Per il più grande, Michelangelo. Magari la mia pasta con le sarde.
Qual è il segreto della sua bellezza over 50? Devo ringraziare mamma, è merito del Dna. È importante accettare il tempo che passa, meno ti guardi allo specchio e meglio è, altrimenti fai la fine di Dorian Gray. Le rughe sono un regalo della vita, che a tante donne, malate, non è concesso. Sono fortunata del tempo che passa. E poi, se sorridi, le tiri su.
22 dicembre 2022 - febbraio 2023 23 dicembre 2022 - febbraio 2023
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A tutta birra
di Luca Bassi
Bionda, ambrata o scura, più luppolata o meno luppolata, amara o dolce, ormai ci abbiamo fatto l’abitudine: la birra è sempre più artigianale e meno industriale. Anche a Bergamo, dove i birrifici artigianali sono letteralmente esplosi negli ultimi anni. Per essere più precisi, in Italia negli ultimi quindici anni si è assistito a un vero e proprio boom delle birre artigianali. Per farsi un’idea del fenomeno basti pensare che nel corso del 2005 erano circa 20 i birrifici artigianali del Bel Paese, mentre nel 2022 hanno abbondantemente superato il migliaio. Una crescita esponenziale che ha dato vita a una tendenza vera e propria che nell’ultimo decennio non solo ha saputo tenere botta, ma si è perfino consolidata, trovando un segmento di mercato pronto ad accogliere tutte queste novità.
Secondo una ricerca divulgata da UnionBirrai, birrifici artigianali e prodotti brassicoli ("brassicolo" sta alla birra come enogastronomico sta a vino e cibo) sono in espansione in tutto il paese. Il volume di produzione annuale è sempre più ampio ed ha raggiunto i 445mila ettolitri in media. Sono aumentate anche le attività legate al mondo della birra artigianale: al momento in Italia ci sono 500 microbirrifici, circa 220 beer firm e infine 140 brewpub. Numeri piuttosto importanti se si considera la popolazione italiana nel complesso.
Per quanto riguarda il fatturato medio, un birrificio di dimensioni modeste può raggiungere tra i 100mila e i 700mila euro annui. Anche per questo motivo l’attività nel campo delle birre artigianali sta aumentando e interessando sempre più imprenditori.
La birra artigianale in Italia, dunque, ha visto un vero e proprio boom. Ma come scegliere una buona birra artigianale prodotta nel nostro paese? Tra stili, sapori, colorazioni e varie provenienze è difficile scegliere la migliore in assoluto. Questione di gusti. Sicuramente è un buon punto di partenza scegliere un prodotto della zona (questo vale non solo per la birra…), oppure scegliere birre artigianali che sono state premiate da fiere specifiche nel settore a livello nazionale e internazionale. Una cosa interessante è anche l’ampia scelta che si ha tra bionde, rosse, scure, bianche, millesimate: ormai le birre vengono apprezzate proprio come il vino e scelte dunque in base al processo di lavorazione, al gusto, all’aroma.
ANCHE A BERGAMO I BIRRIFICI ARTIGIANALI HANNO AVUTO UNA CRESCITA ESPONENZIALE.
TRA BEER-FIRMS, BREW-PUB E VERI E PROPRI BIRRIFICI INDIPENDENTI LA PROPOSTA È MOLTO VARIEGATA
SOLO 4 BIRRIFICI ARTIGIANALI, OGGI NELLA NOSTRA PROVINCIA POSSIAMO TROVARE 34 REALTÀ SEMPRE IN FERMENTO
Bergamo, dicevamo, non fa eccezione: se nel 2005 si contavano solo 4 birrifici artigianali, oggi nella nostra provincia possiamo trovare 34 realtà che confezionano ogni settimana birra di produzione propria: da quello situato più nord, il BeBo Unconventional Craft Brewery di Schilpario; fino al Nama Brewing di Treviglio, il più a sud della provincia.
Tra queste 34 realtà si conta anche un crescente numero di birrifici agricoli, che coltivano cioè in proprio le materie prime utilizzate per la produzione delle birre. In genere, si tratta di prodotti di nicchia che difficilmente, salvo rare eccezioni,
arrivano ai canali della grande distribuzione e che contano sulla partecipazione a fiere ed eventi di settore o a sagre locali per farsi conoscere. Una volta scoperte, però, è facile innamorarsene: la cura delle materie prime, il rispetto dei tempi di lavorazione e soprattutto la grande passione che spesso ispira queste realtà si traduce in tanta qualità.
Tra beer-firms (realtà non attrezzate per produrre in proprio e che si appoggiano quindi agli impianti di altre aziende), brew-pub e veri e propri birrifici indipendenti la proposta è molto variegata e non è facile districarsi. Non è stato semplice, dunque, creare questo itinerario scandito dall’aroma avvincente di una buona birra e dai suggestivi luoghi da visitare.
Ecco quindi cinque dei birrifici artigianali di Bergamo e provincia che abbiamo il piacere di segnalarvi.
Da Hammer Beer Cherry, Amarillo e Molid
Partiamo da Villa d’Adda, comune a est della città capoluogo, che sorge sulle sponde del fiume da cui prende il nome. Il primo locale che abbiamo scelto è il birrificio Hammer, nato nel 2015 per volontà della famiglia Brigati con un semplice scopo: fare birra di qualità. Obiettivo perseguito attraverso un’ampia gamma produttiva, che conta oltre venti tipologie di birra, dove trovano spazio tutti gli stili più classici, con la Bulk (Porter), la Asia (blanche d’ispirazione belga), la Bundes (pils) e la Spring (Amber Ale). Tra le più innovative, troviamo invece la Cherry, una Sour Ale che si regge sul contrasto tra la delicata nota acidula data dai lattobacilli e il dolce delle ciliegie nere aggiunte in fase di fermentazione, la Molid, una stout caratterizzata da lattosio, avena, caffè, fave di cacao tostate e vaniglia, e la Amarillo, American IPA con accenti agrumati di pompelmo dovuti al luppolo Amarillo. Parlare di un’ipotetica lista birre di Hammer, però, è davvero complicato perché questo birrificio è sempre in fermento e non si limita mai a proporre le solite birre ma, anzi, produce spesso dire stagionali che possono essere degustate nella taproom adiacente lo stabilimento di via Chioso 3A.
Birrificio Via Priula la Beer-Firm brembana
Ci spostiamo a San Pellegrino, in Val Brembana. Qui, tra alberghi e case costruite con l’inconfon-
dibile stile liberty, spicca il Birrificio Via Priula.
Nato nel 2010 come beer-firm da un’intuizione di Giovanni Fumagalli e Maurizio Zilli, nel 2012 si è sviluppato con l’apertura del pub che propone diverse stuzzicherei da abbinare alle produzioni.
Ma il vero percorso di birrificio artigianale del Via Priula è iniziato nel 2018, quando è cambiato tutto con l’ingresso in società di Alberto Bosio e del mastro birraio Riccardo Radaelli, che ha sviluppato un laboratorio che ha dato il via al nuovo percorso del marchio.
Dieci le tipologie di birra prodotte, che nei nomi portano richiami al territorio: come, ad esempio, la Bacio, un’American Pale Ale beverina e dal modesto volume alcolico (4,9%) ispirata a un famoso elisir prodotto da un farmacista locale a inizio ‘900, o la Corna Bianca, una Blanche che si caratterizza per la speziatura a base di ginepro e mentuccia, erbe che crescono a ridosso dell’omonima falesia calcarea della vicina località di Cornalba.
Ci sono poi la Rosa, birra di frumento ad alta fermentazione aromatizzata con lamponi aggiunti in fase di fermentazione, che le donano sfumature rosa appunto, creata in occasione dell’arrivo del Giro d’Italia a San Pellegrino, il 26 maggio 2011, e la Croèl, un’ambrata dal sentore di castagne e miele e con una nota affumicata, realizzata in collaborazione con i Castanicoltori di Averara.
Cereali della Val Seriana per le birre Asta
Birrificio Asta, a Ponte Nossa, è proprio quel che s’intende un birrificio agricolo: qui, infatti, ogni tipo di orzo o di cereale utilizzato per la produzione della birra è figlio della Val Seriana. Questo marchio è stato uno dei primi, a Bergamo e in Italia, a scegliere questo tipo di materia prima. Oggi Asta propone una produzione concentrata su tre tipologie di birra: la Valcanale, la Montesecco e la Cacciamali.
La prima è una bionda di facile beva, fresca e immediata, con una schiuma fine e un frizzante moderato, da cui emergono le note di luppolo.
La Montesecco è, invece, una rossa, dal colore ambrato, corposa, con una schiuma compatta e un gusto amabile, maltato. Infine, la Cacciamali: birra in stile Weiss, dal colore oro opalescente, caratterizzata da sentori mielati, che la rendono morbida e avvolgente al palato.
Otus, la Keller Arlecchino per la capitale della cultura
Col Birrificio Otus, a Seriate, ci avviciniamo alla città. Nel 2015 la famiglia Rota ha messo in campo il meglio possibile per realizzare della birra artigianale di alta qualità, affidandosi al mastro birraio Alessandro Reali e alle sue brillanti intuizioni in campo brassicolo. Il risultato è caratterizzato dalle quindici birre oggi in produzione, sette delle quali realizzate col metodo dell’alta fermentazione, tra cui spiccano la Lolipa e la Australe, due IPA (Indian Pale Ale), dalle spiccate note amare, la Side B (blanche con un gradevole bouquet aromatico di frutta e spezie, con un accenno di vaniglia) e la Ambranera, una oatmeal stout dai sentori tostati di cacao e caffé che ha ottenuto riconoscimenti importanti, come la medaglia d’oro al Brussels Beer Challenge 2019. Cinque, invece, le birre a bassa fermentazione, tra le quali trovano spazio la Redrevolution, tradizionale Bock dal gusto maltato, la pluripremiata Pils e le due Helles B5 e Cuor di Pane (quest’ultima senza glutine). Ultima arrivata l’Arlecchino, una Keller edizione speciale lanciata per celebrare Bergamo Capitale della Cultura 2023.
Nama Brewing lamponi nella Mariposa
L’ultima segnalazione ci porta a Treviglio, nella bassa pianura bergamasca. Qui Mattia Bonardi, un passato in Elav e al Birrificio Lambrate come head brewer, ha deciso di compiere il grande passo di produrre birra in proprio con l’appoggio dell’amico e socio Stefano Angeretti. Il giorno dell’inaugurazione, nel maggio 2022, Nama ha proposto ai primi avventori quattro tipologie di birra: Frontiera (7,2%) è una Doppelbock brassata con un complesso mix di malti (Pils, Monaco, Caramalt, Melnoidin, Carafa) e luppolo Tettnanger; Liquid Sky (5,8%) si ispira alle American IPA e punta sulla forza aromatica dei luppoli Simcoe, Centennial, Amarillo e Idaho 7; Nebula (6,3%) è definita Modern IPA e strizza l’occhio alla moda delle birre luppolate torbide; Tacheles (4,9%) è invece una Pils che prevede l’impiego di luppoli continentali (Tettnanger, Hersbrucker). Nelle ultime settimane Bonardi ha lanciato anche delle nuove birre, come Demon Cleaner, una Cold IPA fermentata con un ceppo di lievito lager sperimentale e testato per la prima volta in questa birra, o come Mariposa, prodotta con un massiccio quantitativo di lamponi, fragole, mirtilli e marshmallow.
26 dicembre 2022 - febbraio 2023 27 dicembre 2022 - febbraio 2023
SE NEL 2005 SI CONTAVANO
Christmas Tea lo spirito del Natale
di Laura Bernardi Locatelli
AROMI INTENSI E PREGIATI, DAL CARDAMOMO ALLO ZENZERO, DALL’ARANCIA ALLA CANNELLA, ARRICCHISCONO I TÈ DELLE FESTE, TRA EDIZIONI LIMITATE E PRODOTTI INNOVATIVI PER CELEBRARE LE FESTIVITÀ
Quando le temperature si abbassano e si inizia a scaldare l’atmosfera dell’Avvento, gustare una tazza di tè a casa, a tavola o sul divano, possibilmente davanti al camino acceso, diventa un rituale piacevole e, con la forza dell’abitudine, quasi irrinunciabile. Il tè ha da sempre un ruolo importante nelle cerimonie e ha una lunga tradizione legata anche al Natale, tanto da segnare anche la storia della politica e del movimento Temperance che, per contrastare l’abuso di alcol in feste particolarmente alticce, iniziò a organizzare Tea Party di massa, a partire dal 1830. L’usanza di condividere tra lavoratori pinte di wassail, una birra speziata, popolare in tutta Europa, e quella di giocarsi stipendi al Pub tra alcol e giochi d’azzardo, venne così soppiantata dai Tea Party, non senza un bel sermone sulle virtù di una vita sobria. In queste feste, con lunghe tavolate in sale addobbate a festa, con un’abbondanza di pietanze da abbinare al tè, tra contributi filantropici e biglietti a basso costo, si raccolsero così fondi per finanziare il Temperance Movement nel XX Secolo. E la tradizione venne adottata anche negli Stati Uniti del proibizionismo. Il tè speziato di Natale, con base di tè nero, zenzero, cannella e scorza d’arancia, usato in sostituzione del mix di birre e spezie della wassail, segnò gli anni dell’Inghilterra vittoriana e diede inizio al rito dell’Afternoon Tea. È in questi stessi anni che la duchessa di Bedford organizzò per prima a Londra gli inviti per il tè delle cinque tra i membri dell’alta società della capitale inglese. Il resto è ormai leggenda, come segna ogni giorno alle cinque del pomeriggio con gli inconfondibili rintocchi l’orologio di Fortnum & Mason, nel cuore di Mayfair a Londra, di fronte alla Royal Academy, in quello che è l’emporio più antico della città, con una sala da tè che vale il viaggio (oltre ad essere stata la preferita della regina Elisabetta II). Anche nel resto del mondo, a partire dalla Russia, è tradizione anche per il Natale ortodosso tenersi caldi bevendo tè dal Samovar la notte del 6 gennaio. E, tra le famiglie ebree dell’Europa orientale, un rituale della festa delle luci, l’Hanukkah, prevede di immergere una zolletta di zucchero nel cognac e, dopo averla adagiata su un cucchiaino, accenderla sul fuoco e intonare un canto intanto che brucia; la zolletta fiammeggiante viene poi tuffata in una tazza calda di tè dall’alto valore simbolico e conviviale.
Champagne in infusione
I tè invernali e, in particolare quelli natalizi, omaggiano il periodo con aromatizzazioni intense, avvolgenti e pregiate, dalle spezie alle scorze di agrumi, dalla vaniglia al cioccolato. E, in barba al Temperance Movement delle origini, non mancano aromatizzazioni ricercate e su base alcolica, a partire dallo Champagne che ben si sposa a una base di tè nero indiano Assam, unita ad esempio a pezzi di albicocca essiccata e fiori di verbasco. O, ancora, al maraschino che, con caramello, arancia, ananas è uno dei tratti distintivi del Christmas Tea di Dammann Frères, tempio parigino del tè di fama internazionale.
29 dicembre 2022 - febbraio 2023
dicembre 2022 - febbraio 2023
Marco Bertona
La base dei Christmas Tea spazia tra tutte le grandi famiglie dei tè, come sottolinea l’esperto Marco Bertona, tea taster, direttore esecutivo dell’Associazione italiana Tè e Infusi (Asso Tè Infusi), consigliere e rappresentante per l’Italia della World Tea Organization e membro del Gruppo Intergovernativo sul Tè della FAO: «Si va dai verdi ai bianchi, dai neri ai gialli, ai blu-verdi ai rossi. Una scelta di qualità è quella di servirli in purezza, partendo ovviamente da tè in foglia e rispettando tempi e temperature di infusione e poi abbinarli a dolci e biscotti natalizi. Infatti, sempre più spesso, accade che la carta di tè e infusi affianchi quella di vini e distillati e l'abbinamento o il servizio non sono pratiche che si possono certo improvvisare, punto su cui non smettiamo di insistere in ogni corso».
Gli abbinamenti perfetti
La scelta per gli abbinamenti natalizi va dai classici (e burrosissimi) shortbread scozzesi ai biscotti pepati come i pepparkor svedesi con zenzero e cannella. Cardamomo e chiodi di garofano richiamano il classico Christmas Pudding e la frutta secca racchiusa nella frolla l’altrettanto tradizionale Mince Pie. Nulla può sostituire però, sempre in ambito anglosassone, l’elegante semplicità degli scones, piccoli panini pronti ad essere farciti con ingredienti sia dolci che salati. Ma quale abbinamento più tradizionale con panettone e pandoro di casa nostra? Il classico dolce milanese ben si sposa a un tè nero, volendo anche dalle note aromatiche, mentre
il Pandoro, delicato e spesso preferito dai più piccoli e dai golosi, si esalta accompagnato a un tè dalle note floreali, a partire dal classico Darjeeling al gelsomino. Una scelta sempre attuale è quella dell’Earl Grey, perfetto con tutti lievitati, anche quelli delle feste.
Le grandi case e produttori di tè propongono edizioni speciali natalizie o invernali, con mélange con o senza teina. «Dietro a ogni blend c’è un grande lavoro e una figura professionale come il tea blender, un tea taster specializzato nel bilanciamento e aromatizzazione del tè, alla ricerca dell’equilibrio perfetto di gusto tra diverse tipologie di tè e spezie, fiori, frutta o cioccolato. Cannella, chiodi di garofano, vaniglia, cardamomo, zenzero, e frutti come agrumi, frutti rossi o fiori che ben si miscelano per evocare note tipicamente natalizie» spiega Bertona, che per creare tè unici, come accadde anni fa per una famosa maison, è arrivato a spingersi in Cina al confine con il Laos in cerca dell’unico coltivatore al mondo di orchidea edibile. L’aromatizzazione è un’arte altrettanto antica, anche se oggi conta su un grande aiuto e sull’insostituibile apporto della chimica, con aromi creati in laboratorio: «Una tradizione che dura dalla dinastia Tang in Cina (618907) quando già era in uso miscelare il tè con altri fiori- precisa Bertona-. Sono anni fondamentali in cui il monaco buddhista taoista Lu Yu scrive il primo libro della storia dedicato al tè e nel 780 viene documentata la prima cerimonia del tè, che diventa una bevanda conviviale e fa il suo ingresso nei banchetti imperiali, oltre che nei monasteri come bevanda cerimoniale» spiega Bertona, nominato a Expo 2015 ambasciatore della cultura cinese del tè.
Senza teina per la Vigilia
Ad aromi e spezie, dalla cannella allo zenzero, al pepe, alla frutta secca e agrumi si possono abbinare anche Rooibos, alla base della tipica bevanda sudafricana, completamente senza teina. Non mancano i tè a basso contenuto di teina, perfetti da gustare anche a tarda ora la Vigilia, dai tè tostati giapponesi come il Kukicha e Hojicha, al tè verde Bancha e al Genmaicha con riso soffiato tostato. La convivialità e l’atmosfera delle feste restano comunque l’ingrediente migliore per accompagnare una buona tazza di tè, magari per un ritrovo informale nel pomeriggio in sala da tè o a casa, dopo il canonico pranzo. Il tè continua ad essere un regalo sempre apprezzato e c’è da perdersi tra confezioni pregiate, edizioni speciali e blend ricercati. Per gli appassionati di novità, è recentemente sbarcata sul mercato una nuova generazione di tè, Waterdrop Microtea, con tanto di brevetto, che non richiede foglie e bustine, bensì un “cubetto” che si scioglie in acqua. Non mancano aromatizzazioni a tema, racchiuse in un originale calendario dell’Avvento.
Una pausa di freschezza
La tradizione vuole che, nel menù di un pasto importante, il sorbetto trovi posto tra una portata e l’altra, solitamente tra pesce e carne, per segnalare il cambio di gusto tra i due piatti. Ma nelle festività il sorbetto può diventare un piacevole “fine pasto” in accompagnamento al panettone e a tutti dolci classici della tavola natalizia. La nota di freschezza, oltre ad allietare il palato, sarà un vero e proprio toccasana per quel senso di sazietà con il quale si combatte dopo aver assaggiato tutte le leccornie del Natale. Per una riuscita perfetta si consiglia di utilizzare un buon gelato artigianale a base di frutta: contiene solo acqua e non latte, si presta in modo ottimale alla preparazione.
I gusti i più adatti per l’abbinamento sono:
3 limone
3 mango
3 lampone
3 mela verde
3 mandarino
3 frutto della passione
3 pompelmo rosa
3 arancia
Per un sorbetto alcolico aggiungere al gelato del prosecco o del brut, oppure, per una nota alcolica più marcata, utilizzare la vodka. Le proporzioni sono: 500 grammi di gelato, 150 grammi di vino (oppure 80 grammi di vodka). C’è anche chi ha sperimentato che il gelato alla mela verde ben si sposa con l’aggiunta di Calvados. Le combinazioni sono infinite e dipendono solo dalla vostra fantasia. Se, invece, si desidera preparare un sorbetto analcolico è sufficiente far ammorbidire il gelato e frullarlo con un mixer ad immersione e portarlo direttamente in tavola. Oppure, per una nota frizzante, si può aggiungere dell’acqua tonica.
Ora non resta che scegliere come presentarlo: bicchieri dalle forme più svariate, agrumi scavati con il sorbetto all’interno e una cannuccia come decorazione.
30 dicembre 2022 - febbraio 2023 31 dicembre 2022 - febbraio 2023
a cura del Gruppo Gelatieri Bergamaschi Ascom
Varhackara e Pestàt i condimenti di un tempo
di Lara Abrati
NELLE ZONE DEL NORD ITALIA NON ESISTEVANO GRASSI DI ORIGINE VEGETALE, MA VENIVA UTILIZZATO CIÒ CHE L’ECONOMIA RURALE
METTEVA A DISPOSIZIONE. SLOW FOOD TUTELA E VALORIZZA DUE PRODOTTI
DEL TERRITORIO FRIULANO
Oggi consigli alimentari in merito al consumo e utilizzo di condimenti di origine animale sono chiari: meglio consumare meno e per non dire affatto. Questo per svariati motivi, tra cui la digeribilità e la presenza di elementi dannosi per la nostra salute. Ma seppur siamo più o meno tutti consapevoli che sia meglio utilizzare grassi vegetali non idrogenati, in passato il problema vero era quello legato alla reperibilità di grassi insaturi come l’olio extra vergine di oliva, sicuramente più disponibile nelle zone del centro e sud Italia.
E così, un po’ per il costo, un po’ per la difficile reperibilità degli oli di oliva, in passato era uso nelle zone del nord Italia sia di pianura che di montagna, attingere ai vari condimenti di origine animale, facilmente disponibili soprattutto nella stagione fredda grazie alla macellazione del suino. Non solo erano grassi a basso costo e facilmente reperibili, ma assicuravano anche un apporto calorico importante per le diete povere di un tempo. Ecco che quindi condimenti come lo strutto, il lardo o, per le case più ricche, il burro (anche se prodotto con il grasso del latte) erano alla base dell’alimentazione. Attorno agli anni ’70-‘80 l’avvento dei supermercati, dell’industria alimentare e della logistica hanno fatto sì che i grassi animali solidi (saturi), venissero sostituiti dai grassi vegetali, normalmente insaturi, quindi liquidi. Ma l’esigenza dell’industria alimentare era di unire i vantaggi dell’utilizzo del grasso solido, con quelli nutrizionali del grasso vegetale. Nacquero così le margarine, che non sono altro che grassi vegetali idrogenati. Oggi, che la conoscenza della scienza nutrizionale si è radicata e diffusa, tanto che sempre più persone prediligono olio extra vergine di oliva, eliminando margarine, oli di semi e oli di oliva. Anche nella cucina di tutti i giorni strutti e grassi animali sono praticamente spariti. Solo alcune preparazioni tra le più popolari e tradizionali ne mantengono l’uso, come piadine o crescentine. Il burro mantiene una presenza ancora importante nelle cucine di casa (ad esempio per mantecare un risotto), ma anche in alcune preparazioni iconiche come i lievitati da
ricorrenza (ma solo nei laboratori artigianali, che strizzano l’occhio all’alta qualità e all’utilizzo di materie prime nobili).
La tradizione del lardo pestato
I condimenti grassi come lardi pestati o strutto sono stati letteralmente abbandonati per quel che riguarda l’uso comune domestico e, per questo motivo, abbiamo perso molto degli usi legati a tali prodotti. Slow Food ha deciso di tutelarne due in particolare. Siamo in entrambi casi in Friuli Venezia Giulia, in una terra di confine caratterizzata da una storia recente ricca di divisioni. È in questo contesto che si inseriscono due prodotti particolari, da riscoprire: la Varhackara e il Pestàt di Fagagna. Il primo ha origine nella Carnia ed è nato per valorizzare il lardo, rendendolo un condimento goloso. Si produce a Timau, in provincia di Udine e al confine con l’Austria, e ne è rimasto un solo produttore. Il lardo viene pestato insieme ad altri salumi, come speck e pancetta affumicata con l’aggiunta di qualche erba aromatica e di noce moscata. Il tutto viene conservato in barattoli per essere utilizzato quale condimento di verdure, minestroni, zuppe, ma anche per insaporire sughi o accompagnare gli gnocchi di patate. Il pestàt viene invece prodotto sempre in Friuli, a due passi da San Daniele, nel comune di Fagagna. È un insaccato a base di lardo fresco macinato con verdure (carote, sedano e cipolla), erbe come la salvia, rosmarino, porro, aglio, prezzemolo e spezie. L’impasto viene poi insaccato in budello naturale e asciugato e stagionato per almeno 30 giorni: questa fase permette ad aromi e sapori di amalgamarsi alla perfezione. Infine, viene conservato in vasetti, pronto per essere utilizzato come condimento, ad esempio per insaporire il minestrone, carni in umido o al forno, ma anche verdure e patate. Condimenti di una volta, di cui non abusare, ma da tutelare, a testimonianza della nostra storia rurale e gastronomica.
33 dicembre 2022 - febbraio 2023
dicembre 2022 - febbraio 2023
IN EVIDENZA IN EVIDENZA
LA FAMIGLIA MINUSCOLI APPRODA IN CITTÀ ALTA
Da Clusone a Bergamo con la stessa passione che la guida dal 1948. La famiglia Minuscoli approda a Bergamo sulla Corsarola dove nei giorni scorsi ha riaperto il panificio Pesenti, storico forno di Città Alta pronto ad accogliere di nuovo clienti storici e turisti. Oggi il locale si presenta con un look moderno e pulito e con diversi posti a sedere e salette riservate per gustare un caffè, un aperitivo o una delle tante sfiziosità prodotte da Beppe Minuscoli, al timone dell’attività insieme alla moglie Silvia Ferri e alla figlia Cristiana, 24 anni e quinta generazione della famiglia. Sarà lei a gestire il nuovo locale che punta ad offrire prodotti di qualità, frutto di una selezione delle materie prime e dalla migliore lavorazione artigianale: pane fresco, selezioni gourmet di pizze e focacce, pasticceria tradizionale, torte comprese, e anche un’offerta di prodotti gluten free e senza lattosio.
IL BLUE BAR DI SARNICO LA PERLA DEL SEBINO
AL BANGKOK MARKET
SAPORI E FRUTTA THAI
La Thailandia non è mai stata così vicina: se volete portare sulle tavole qualche prodotto alimentare tipico Thai c’è chi vi aiuta a farlo: Bangkok Market Dalmine è un negozio di alimentari etnici specializzato in prodotti importati direttamente dalla Thailandia. Jackfruit, mangostano, durian - i frutti più richiesti - ongchoi, acacia pennata e fagioli yard long le verdure che vanno a ruba: in 48 ore qui arriva solo il meglio del fresco grazie all’attenta selezione di Sarayut Choowong e della sua compagna Kaenjai Ketwalee. Due giovani tailandesi ormai “di casa” che con un italiano perfetto guidano i clienti alla scoperta dei migliori sapori thai: «Abbiamo oltre 300 prodotti e siamo sempre pronti a dare consigli su come preparare gustosi pad thai e zuppe tom yam - spiega Sarayut -. Oltre al fresco abbiamo anche una vasta offerta di riso di diverse varietà e colori, noodle istantanei che piacciono tanto ai nostri clienti e la pasta a base di curry green, red e massaman»
CUCINA TIPICA E STAGIONALITÀ AL THI.PI.
PANIFICIO MINUSCOLI
Via Colleoni, 3 Bergamo Tel 035 249376
Chi è del posto lo conosce come la perla blu del Sebino. E non è un caso: il Blue Bar nel centro storico di Sarnico è un mix di eleganza, gentilezza e dolcezza. Al timone del locale c’è Alessandra Barcella aiutata dai figli Nicolò e Asia e dal marito Giulio. Inaugurato a luglio il Blue Bar è già un must per chi ama il caffè di qualità e le cose buone e fatte in casa: dagli aperitivi - ricchi in tutto - alle pause pranzo più golose, fino a colazioni e merende da buongustai con torte, crostate e muffin sempre freschi. «E con l’inverno ormai alle porte vi aspettiamo con le nostre cioccolate calde - ricorda Alessandra che ha già in serbo tante novità per i suoi clienti più affezionati -. L’idea è ospitare all’interno del locale esposizioni artistiche di artisti emergenti del territorio e fare del nostro caffè un luogo d’arte e buon gusto».
BANGKOK MARKET DALMINE
Via Tre Venezie, 6 Dalmine BG
Tel. 346.0865169
Piatti semplici ma che scaldano il cuore e la pancia e, soprattutto, all’insegna della tradizione. È questa la ricetta del ristorante Thi.Pi., nome che richiama le iniziali dei due titolari ovvero Thijs Scandola e Pierluigi Pilenga che hanno da poco riaperto lo storico pub chiuso da due anni a Castel Rozzone riadattandolo a vero e proprio ristorante. Una nuova gestione, quindi, che vede al timone un giovane chef di origini olandesi e un ristoratore già alla guida del New Pilly Bar a Castel Cerreto. Circa 60 coperti per un ambiente informale, ideale per pranzi di lavoro e cene in compagnia. Thi.Pi è anche pizzeria, ma il suo punto di forza è la cucina tipica: dai tagliolini ai funghi alle orecchiette con broccoli e salsiccia fino alla tagliata di puledro: «L’idea è cambiare il menù ogni mese cercando di seguire la stagionalità delle materie prime - commenta Thijs -. Inoltre faremo anche serate a tema con menù dedicati e cominceremo ovviamente con una serata degustazione tutta bergamasca»
THI.PI
Via Dante Alighieri, 43 Castel Rozzone BG Tel. 351.5882454
34 dicembre 2022 - febbraio 2023 35 dicembre 2022 - febbraio 2023
BLUE BAR Via Roma, 63 Sarnico BG Tel. 327.4727775
Alessandra Barcella e Asia Suardi
Kaenjai Ketwalee e Sarayut Choowong
Silvia Ferri, Beppe e Cristiana Minuscoli
Thijs Scandola e Pierluigi Pilenga
Per le feste vini rossi frizzanti e gradazioni leggere
Lara Abrati
TRA I PIÙ RICHIESTI BONARDA E BARBERA CHE ASSECONDANO LA NUOVA TENDENZA DEL MERCATO
Èarrivato l'inverno e abbiamo iniziato a consumare cibi tradizionalmente vocati al periodo. Dal maggiore consumo di salumi fino agli insaccati da pentola, come cotechini bolliti, zamponi o mariole. Insomma, cibi grassi che ben si abbinano a vini frizzanti, bianchi o rossi, in grado di creare al palato una piacevole sensazione sgrassante. È proprio su quest’ultimi che il mercato sta ponendo sempre più attenzioni, stimolato da nuovi trend di consumo. Ecco che per vini come la Barbera o la Bonarda, continua (anche se in sordina) il bel percorso di valorizzazione, iniziato ormai decenni fa, riscontrando il piacere di un pubblico sempre più vasto.
Dalle tavole rurali, dove erano considerati mero complemento nutritivo, questi vini iniziano ad essere sempre più valorizzati. Dalla loro, oltre alla piacevolezza e alla semplicità di approccio, hanno anche un’altra caratteristica sempre più richiesta dal consumatore medio: la bassa gradazione alcolica. Una vera e propria inversione di tendenza, che non tocca fortunatamente le tipologie di vino per cui la struttura importante è una caratteristica imprescindibile. Questo fenomeno avviene anche nel mondo brassicolo e dei distillati (come gin): sono ormai molti i marchi che stanno mettendo sul mercato referenze con una gradazione alcolica bassa, se non nulla. Le motivazioni sono tra le più diverse, anche se uno dei fattori principali riguarda la sempre maggiore e diffusa attenzione per la salute e la digeribilità degli alimenti.
Nel mondo del vino, sta tornando come riferimento una quantità di alcol etilico che non vada a superare una gradazione alcolica di 12 – 12,5 gradi. Questo permette, secondo Federvini, nella produzione e coltivazione un vero e proprio ritorno di vitigni autoctoni e rustici, coltivati e trasformati con tecniche meno invasive, che comunque consentono di ottenere prodotti di assoluto interesse.
Alla ribalta
i frizzanti contadini
Il vino frizzante, soprattutto bianco, è sempre più apprezzato e, ultimamente, godono di un’ottima attenzione anche vini rossi frizzanti, come Bonarda o Barbera. Vini considerati “contadini” fino a qualche decennio fa, ma che stanno piano piano tornando alla ribalta. Oltralpe, in particolare in Francia, troviamo una particolare attenzione anche per i vini Pètillant Naturel. Si tratta di vini (anche rossi) naturalmente frizzanti, cioè che vengono imbottigliati mentre la fermentazione è ancora in corso, preservando la naturale anidride carbonica che si viene a creare. Viene chiamato anche metodo ancestrale, in cui il vino non subisce una vera e propria rifermentazione (in bottiglia o in vasca), come nel caso dei vini spumanti.
Dall'Oltrepò pavese al Piemonte le icone del territorio
Tornando ai rossi nostrani, la Bonarda prodotta in Oltrepò pavese è diventato un’icona per il territorio. Una delle grandi attrattive del passato rispetto a questa tipologia era il basso prezzo. Oggi esistono alcuni progetti legati alla valorizzazione del Bonarda dell’Oltrepò Pavese DOC, prodotto da vitigno Croatina al 100% e senza aggiunta di anidride carbonica. La sua spuma color porpora nasce infatti dalla rifermentazione naturale del vino indotta dai lieviti. Inizialmente si presenta briosa e abbondante, ma subito dopo si trasforma in un perlage di piccole bollicine fini, regalando una beva piacevolissima.
Altro rosso frizzante celebre è la Barbera, prodotta dall’omonimo vitigno autoctono piemontese. Anche qui il colore si presenta come rosso rubino, mentre la bollicina è fine, di piccole dimensioni. Un vino secco, frizzante, caratterizzato da una gradazione alcolica che difficilmente arriva ai 12 gradi
Il vino rosso frizzante è perfetto da abbinare a una pancetta piacentina, dalla grassezza dolce e piacevole, o ad altri salumi della zona.
Vini contadini la cui produzione si sta sempre più affinando, che possono regalare piacevoli e golose sorprese.
dicembre 2022 - febbraio 2023
dicembre 2022 - febbraio 2023
di
ENTI BILATERALI SOSTENGONO
IMPRESE E LAVORATORI
Sussidi ai lavoratori, interventi a sostegno dei datori di lavoro e corsi di formazione dedicati al settore del commercio e del turismo
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ASPETTANDO IL NATALE TRA I PROFUMI DELL’AVVENTO
La cuoca e scrittrice Anja Dunk racconta sapori, profumi e aromi tedeschi dell’Avvento, dal rito del kaffee und kuchen, la pausa pomeridiana a base di caffè e dolci da forno, alle ghirlande di pino intrecciate con quattro candele che adornano le tavole: ciascuna rappresenta una settimana e viene accesa durante i pasti. Un altro segno di festa è dato dalla luce del forno, che resta sempre accesa, per scaldare l’atmosfera delle giornate sempre più corte. In Germania la tradizione di sfornare leccornie è una cosa seria ed è rappresentata dal bunter teller: un piatto pieno di biscotti e dolcetti. Mentre biscotti cuociono, nelle cucine si diffondono aromi inebrianti di cannella, zenzero, cardamomo, chiodi di garofano e anice. I tradizionali lebkuchen, ad esempio, sono i biscotti pan di zenzero, primi a essere sfornati; ricchi di storia e addolciti dal miele, sono i preferiti di grandi e piccini. Ma ci sono anche le varianti con mandorle, i panini di segale speziati, i biscotti al marzapane, gli stollen di Natale e mezzelune alle nocciole, biscotti al cioccolato e menta piperita.
AVVENTO - RICETTE TEDESCHE DA SFORNARE ASPETTANDO NATALE
DI ANJA DUNK
GUIDO TOMMASI EDITORE - 2022 35 EURO
Lavoratori imprese
Corsi finanziati assistenza per figli disabili; concorso spese libri di testo/app didattiche; mensa scolastica; abbonamento trasporto pubblico; concorso spese asili nido; concorso spese assunzioni badanti.
incentivi alle imprese per l’assunzione di giovani disoccupati (solo sett. commercio); formazione e apprendistato; corsi sostitutivi libretto sanitario; promozione dei sistemi di qualità; D.Lgs. n. 81/08 sulla sicurezza.
formazione per la crescita professionale e di aggiornamento. tra le proposte corsi di management aziendale, comunicazione, informatica e web, lingua inglese, corsi specifici per l’Horeca: caffetteria, cucina e mixology.
Più di 200 ricette, 16 menù settimanali e utili consigli sull’organizzazione della dispensa: la cucina vegetale non è una rinuncia, bensì un meraviglioso viaggio alla portata e a beneficio di tutti, pianeta compreso. Protagonisti sono piatti vegetariani preparati con ingredienti stagionali, secondo ricette della tradizione italiana, ma anche di respiro più ampio e lontano. Zuppe, polpette e burger vegetali, insalate di frutta e verdura proposte con condimenti insoliti, ma anche grandi classici della cucina italiana che celebrano l’orto in un susseguirsi di colori che cambiano dalla primavera all’inverno.
La stagione vegetale di Myriam Sabolla
Slow Food Editore - 2022
29 euro
Il manuale presenta oltre 180 piatti, consigli, notizie e approfondimenti per sensibilizzare sul rapporto tra un’alimentazione sana e il rispetto dell’ambiente, giocando con le armonie cromatiche che la natura è in grado di regalare. Verde, bianco, rosso, giallo e viola: ricette colorate che fanno bene al corpo e all’ambiente, con suggerimenti per ridurre gli sprechi in casa. Il libro nasce dalla collaborazione tra i lettori che hanno contribuito con l’invio delle proprie ricette, i librai di Mondadori Store e uno chef di esperienza.
Cucina a colori Autori vari Mondadori Electa - 2022 2,90 euro (con l'acquisto di altri due libri)
Del pane non si butta via niente. Ecco il libro sul recupero di avanzi di michette, francesini, ciabatte, panini all’olio o pane in cassetta rimasti in tavola. Le idee spaziano dalle ricette passe-partout di crostini, grissini di focaccia, briciole dolci, a salse deliziose, crostoni e bruschette, insalate di stagione, sfizi come la pizza finta e la mozzarella in carrozza al forno, per passare poi a primi e secondi e arrivare a dolci come budino alla vaniglia e cardamomo, torta di mele con streusel ai lamponi, zuppa di ciliegie e pane. Fino all’ultima briciola di Manuela Conti
Guido Tommasi Editore - 2022 25 euro
38 dicembre 2022 - febbraio 2023 39 dicembre 2022 - febbraio 2023
Contro la fragilità capillare si può gustare un’insalata fredda di baccalà, mentre a combattere la cellulite ci aiutano gli spaghetti alla pescatora. Per ottenere una pelle liscia e luminosa, capelli forti e lucenti e un fisico tonico il ruolo del cibo è fondamentale. Il segreto è l'integrazione di alimenti con le giuste proprietà mirate anche alla tutela della pelle. Nicola Sorrentino, medico nutrizionista, e Pucci Romano, dermatologa, uniscono le loro competenze per ideare una dieta equilibrata, potenziata dall’acqua.
Beauty Food di Sorrentino e Romano Sperling & Kupfler - 2022 10,90 euro
a cura di Rosanna Scardi
LEGGERE DI GUSTO
Per informazioni tel. 035.4120140 /116 | info@entebilcombg.it - info@entebilturbg.it | www.entibilateralibg.it
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