Affari di Gola

Page 1


TRA I PROFUMI DI PRIMAVERA E

TRADIZIONI

Aggiungi il tuo gelato al menù

Abbiamo tanta voglia di primavera. Non perché l’inverno sia stato particolarmente rigido, nemmeno perché mesi più freddi non siano belli, ma semplicemente perchè l’attesa della bella stagione è legata alla voglia di transizione che la accompagna.

La primavera è il momento del risveglio; è lo stupore per il meraviglioso germoglio di bucaneve che supera la coltre fredda e diventa il simbolo della vita che rinasce e, a fatica, riparte. L’inverno è per metafora il calore del vino rosso, la primavera l’effervescenza delle bollicine. È la natura che ci invita a ripartire. Le giornate più lunghe e luminose ci portano maggiormente fuori casa e all'aperto, con i momenti conviviali dell’aperitivo, del brunch ma anche del pranzo e della cena, che ci piace trascorrere con le persone a cui vogliamo più bene.

La primavera porta con sé un mare di novità, tra queste le verdure, che offrono tante possibilità in cucina all’insegna della leggerezza e del sapore. In questo numero, abbiamo scelto di rendere omaggio all’asparago perché nelle sue tante varietà, tra cui quella selvatica, ci ricorda come la natura sia tanto prodiga. La vita trova in cucina la sua sintesi perfetta nell’uovo, così semplice e allo stesso tempo complesso, che da secoli sfama e soddisfa il palato dell’essere umano.

L’uovo è anche uno dei simboli della Pasqua che arriverà a breve. La Pasqua accompagna il cambio dei menù con tante nuove proposte gastronomiche. È il momento della “gita fuori porta”, dell’esperimento e della contaminazione con la prova di nuovi piatti o abbinamenti.

I nostri sensi sono pronti a stupirsi per un nuovo piatto, sempre alla ricerca dell’effetto wow che magari sarà effimero ma non è mai fine a sé stesso. È una sensazione nuova legata ad un sapore che desideriamo, gustiamo e di cui ne manteniamo il ricordo.

Buona ripartenza con Affari di Gola.

S OMMARIO

M arzo - Aprile 2024

Direttore responsabile Oscar Fusini

Redazione Laura Bernardi Locatelli

COLLABORATORI

Luca Bassi, Sergio Cotti, Rosanna Scardi, Marco Offredi

PUBBLICITÀ marketing@confcommerciobergamo.it

ABBONAMENTI info@confcommerciobergamo.it

PRODUZIONE

Grafica: Samanta Cattaneo, Mozzo, Bg

Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Via A. Corti, 51 - 24126 Bergamo

EDITORE

Iniziative Ascom S.p.a.

Via Borgo Palazzo 137, 24125 Bergamo tel. 035 4120322, affaridigola@larassegna.it

Presidente: Giovanni Zambonelli

Registrazione Tribunale di Bergamo n. 48 del 22 novembre 2001

4. Mancia sì o mancia no?

8. Wow, che meraviglia!

12. Un tesoro sommerso

16. Pasqua di tradizione in Lombardia

20. Il lato gourmet dell'uovo

22. Intervista a Enrico Bertolino

26. Prelibatezza di primavera

28. Tutti i segreti dell'alga nori

30. L'insalata si veste di gusto

32. Colorata e saporita. È la cucina vegana

34. In evidenza

36. Spazio alla fantasia

39. Leggere di gusto

Oscar Fusini Direttore

Mancia sì o mancia no?

IL DIBATTITO È SEMPRE STATO ACCESO E ORA, PER RISTORATORI

E DIPENDENTI, È IN ATTO UNA PICCOLA GRANDE

RIVOLUZIONE GRAZIE

ALL’INTERVENTO

DI FIPE

Un tesoretto da 2 miliardi di euro all’anno, solo per il settore della ristorazione. È questa la stima del valore delle mance lasciate dai clienti nei locali pubblici del nostro Paese. Una stima, appunto, perché conoscere l’effettivo ammontare delle «ricompense» elargite per il servizio del personale di bar e ristoranti è pressoché impossibile. Due miliardi di euro per 980mila lavoratori del settore, vale a dire in media una mensilità aggiuntiva per ognuno rispetto alla normale retribuzione (il cui valore complessivo supera i 13 miliardi di euro).

I numeri pubblicati dall’Ufficio Studi di Fipe Confcommercio sono elevati ed elevato è pure, di conseguenza, l’interesse degli addetti ai lavori rispetto alla nuova disciplina sulle mance approvata lo scorso dicembre dal Parlamento in seno alla Legge di bilancio. Per ristoratori e dipendenti si tratta di una piccola grande rivoluzione: il legislatore ha dato infatti il via libera a un regime di tassazione agevolato che interessa (e fa guadagnare) sia i datori di lavoro che il loro personale.

Cosa prevede innanzitutto la normativa? Le liberalità che i clienti corrispondono a seguito di un’apprezzata erogazione del servizio al bar o al ristorante (le mance, appunto), rientrano nella nozione di "reddito di lavoro dipendente" e pertanto, prima dell’introduzione di questa novità, erano ricondotte alle regole generali, ovvero con il pagamento dei relativi contributi e della corrispettiva tassazione Irpef. La questione è tecnica, ma gli addetti ai lavori la conoscono bene. La Legge di bilancio ha introdotto un’aliquota agevolata pari al 5% con esclusivo riferimento alle mance percepite dai lavoratori delle strutture ricettive e degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande. Tale tassazione agevolata si applica ai soggetti che hanno avuto nel periodo d’imposta precedente un reddito non superiore a 50mila euro, inclusi i redditi di lavoro dipendente percepiti da attività lavorative diverse da quella svolta nel settore turistico, alberghiero o della ristorazione. Come detto le mance elargite dai clienti ai lavoratori, anche attraverso l’utilizzo di strumenti di pagamento elettronici (bancomat o carte di credito), fanno parte del reddito e, salva un’espressa rinuncia scritta del lavoratore, sono soggette, a opera del sostituto d’imposta (in questo caso il datore di lavoro), a una tassazione Irpef e delle addizionali regionali e comunali con l’aliquota del 5% entro il limite del 25% del red-

dito percepito nell’anno per le relative prestazioni di lavoro.

Rispetto al passato, dunque, per lavoratori il guadagno è evidente. Ma ci sono vantaggi anche per i datori di lavoro: un altro aspetto non trascurabile della nuova disciplina riguarda infatti l’alleggerimento degli oneri in capo proprio ai ristoratori, in particolare quelli contributivi. La riforma ha introdotto una deroga generale molto importante e cioè che, «a differenza dei redditi da lavoro dipendente ordinari, tali liberalità sono escluse dalla retribuzione imponibile ai fini del calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale e dei premi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e non sono computate ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto». Per Fipe, la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, si tratta di una vittoria, soprattutto perché la richiesta di queste agevolazioni era da tempo sul lavoro di governo e parlamento.

RISPETTO AL PASSATO

PER I LAVORATORI IL GUADAGNO

È EVIDENTE. MA CI SONO VANTAGGI

ANCHE PER I DATORI DI LAVORO.

UN ASPETTO NON TRASCURABILE

DELLA NUOVA DISCIPLINA

RIGUARDA L’ALLEGGERIMENTO

DEGLI ONERI IN CAPO

PROPRIO AI RISTORATORI

«Le mance, per come è costruito il nostro sistema normativo, sono reddito da lavoro – ribadisce Andrea Chiriatti, responsabile Lavoro, area sindacale e formazione di Fipe –. E prima di questa normativa erano soggette a tassazione ordinaria. Grazie all’intervento diretto della Fipe, oggi possiamo finalmente godere di un regime agevolato che premia tutti».

spesso, dunque, anche le mance vengono lasciate caricando un "tot" sulla carta di credito. Questo meccanismo non potrà dunque che facilitare la rendicontazione delle mance da parte dei ristoratori, chiamati a contabilizzare separatamente l’ammontare delle mance e a redistribuirlo, attraverso una procedura interna, ai loro dipendenti in busta paga. Si utilizzerà un codice tributo assegnato di recente grazie al quale si potrà applicare il regime agevolato.

In altre parole, il datore di lavoro raccoglie i soldi, li contabilizza, li mette da parte e poi li ridistribuisce a fine mese (o con le cadenze previste da ogni singola azienda) ai suoi dipendenti. Ma questo è lavoro per commercialisti. Piuttosto, come si redistribuiscono le mance in un locale, soprattutto quando non circolano contanti? Il tema divide da sempre chi lavora in sala (molto più spesso agevolato) e chi lavora in cucina.

«Per essere tranquillo, il datore di lavoro dovrebbe prevedere parti uguali per tutti, poiché le mance non costituiscono un “premio di produzione” e, dunque, il titolare non può scegliere chi premiare – avvisa Chiriatti –. Nella prassi dei locali, però, le mance se le sono sempre suddivise di più i lavoratori della sala e, tra loro, soprattutto i più anziani». La questione, però, continua a far discutere, al punto che si sa cercando di normare la questione destinando parti uguali per tipologia o per categoria di lavoratori, vale a dire tra la sala e la cucina, oppure tra il personale più esperto e quello meno esperto. «Ciò che appare evidente – dice ancora Chiriatti – è non si può immaginare di fare suddivisioni arbitrarie, perché la mancia resta per legge una “liberalità” del cliente».

nale, poiché spesso è privo di normativa giuridica di riferimento ed è trattato in maniera diversa dalle singole legislazioni dei Paesi europei ed extra europei. Uno sguardo su quello che può definirsi tranquillamente un “fenomeno sociale”, ha provato a fornirlo un rapporto di Fipe che, analizzando le normative dei diversi Paesi, ha raccontato qual è la situazione in Francia, Germania, Polonia, Spagna, Svezia, Regno Unito, Stati Uniti e Giappone. A prescindere dal contesto territoriale, è emerso che le mance vengono solitamente rilasciate nel rispetto di una sorta di norma sociale e nel timore di offendere, nonché per il piacere di ricompensare il buon servizio ricevuto. È stato inoltre rilevato che in alcuni Paesi le mance contribuiscono in maniera importante ad integrare le retribuzioni più basse, come ad esempio accade negli Stati Uniti, motivo che induce a ritenerlo un tema di indubbia considerazione.

Nel contesto europeo, l’indagine mostra quanto spesso ci si trovi davanti ad una mancata regolamentazione normativa, come ad esempio accade in Germania dove, in ragione di tale assenza, le mance sono diventate un vero e proprio costume e vengono considerate un “dono remunerativo”.

Quanto alla Spagna, la pratica delle mance non è obbligatoria. Le mance oscillano tra il 5% e il 10% del prezzo totale e concorrono ad integrare il salario dei lavoratori, ma di fatto non ne fanno parte e, di conseguenza, non sono soggette ad imposta. I dati riscontrati mostrano un forte calo dell’elargizione mance in tutto il territorio, in primo luogo in ragione della crisi economica che ha colpito il Paese. In Polonia, pur non essendo obbligatoria, si rischia di risultare maleducati nel caso in cui non si rilascia la mancia, mentre in Svezia la mancia è una “donazione” diventata consuetudinaria specialmente nei taxi e nei ristoranti. Nel Regno Unito, rilasciare mance è diventato un vero e proprio costume, anche se risulta meno comune laddove previsto un costo del servizio nel conto finale, probabilmente in ragione del fatto che venga spesso confuso come mancia. La legislazione non ne definisce l’ammontare e non esiste nessun dovere in capo al cliente di pagare

La normativa – e non potrebbe essere altrimenti – non fa distinzione tra le mance in contanti e quelle elargite con carte di credito (in pratica, cambia lo strumento di pagamento, non la sostanza del lascito). Anche in Italia si sta andando verso una progressiva evoluzione dei pagamenti a favore di quelli digitali; sempre più

In Italia manca ancora una «cultura» della mancia e l’impressione è che con i rincari degli ultimi anni, i clienti siano meno propensi ad elargire contributi aggiuntivi. «In realtà, con l’aumentare dei clienti stranieri vengono lasciate più mance – racconta Chiriatti –. Per molti di loro è una prassi consolidata, che si sta diffondendo anche nel nostro Paese. Poi dipende dal locale: dove i spende di più, c’è una predisposizione maggiore da parte dei clienti a lasciare la mancia». Il prossimo passo di Fipe, oltre alle iniziative di divulgazione della nuova normativa, sarà quello di tentare la scalata verso l’eliminazione anche del 5%, per arrivare all’azzeramento della tassazione. «Una proposta la faremo – assicura Chiriatti –, magari in occasione della prossima Legge di bilancio».

Cosa succede nel mondo

Al di là delle norme, che pure provano a mettere ordine nel sistema, l’istituto della mancia resta di difficile inquadramento, soprattutto a livello internazio-

Nello specifico non sono presenti disposizioni di legge che chiedano ai clienti di offrire mance al personale, né esistono norme che vietano ai dipendenti di richiedere, neanche nei contratti nazionali di lavoro. L’eventuale ammontare delle mance non è definito dalla legislazione e non ci sono neppure regole o consuetudini che definiscano i criteri per la distribuzione della stessa. Le mance non fanno parte del fatturato aziendale ai fini del calcolo delle imposte, né ai fini del calcolo della retribuzione dei lavoratori e non contano ai fini di contributi fiscali e previdenziali. La prassi di rilasciare mance non appartiene tradizionalmente neppure alla cultura francese, ma è ormai anche qui consuetudine darla, a meno che il servizio ricevuto non sia ritenuto deludente.

Il quantum di una mancia in Francia può variare da € 0,15 a € 1,50-2,30 a seconda della consumazione effettuata e solitamente il suo valore dipende dalla generosità del cliente. Al contrario del caso tedesco, sono qui previste precise norme per cui i datori di lavoro non hanno il diritto di sottrarre al personale le mance non obbligatorie ricevute, anche se la legge non impone neppure che le somme derivanti dal costo del servizio debbano necessariamente essere distribuite tra il personale. Le mance possono essere raccolte dal datore di lavoro come una percentuale applicata sul conto finale dei clienti (costo del servizio) e poi distribuite equamente tra i dipendenti: in tal caso la base contributiva di sicurezza sociale è costituita dalle mance effettive.

L’ISTITUTO DELLA MANCIA RESTA DI DIFFICILE INQUADRAMENTO, SOPRATTUTTO A LIVELLO INTERNAZIONALE, POICHÉ SPESSO È PRIVO DI NORMATIVA GIURIDICA DI RIFERIMENTO ED È TRATTATO IN MANIERA DIVERSA DALLE SINGOLE LEGISLAZIONI

il cameriere offrendogli una mancia. È previsto per legge che il cliente paghi, nel conto finale, anche il costo del servizio al tavolo; in questo caso il denaro rilasciato dal cliente va all’azienda e non al singolo cameriere: il costo del servizio appartiene al datore che non è tenuto a dare tutto il ricavato ai dipendenti.

In Giappone offrire un buon servizio è infatti considerato dai camerieri un dovere per cui, per una questione d’onore, non si aspettano di riceverla. Non sembra esservi una prassi consolidata in tema di distribuzione delle mance visto che l’elargizione della stessa è considerata quasi offensiva e contraria al costume sociale, ma ove elargita, è raccolta direttamente dal cameriere. Negli Stati Uniti si tratta di una prassi consolidata e diffusa. A differenza degli altri Paesi, le legislazioni sul lavoro contengono precise disposizioni in materia e il costo del servizio è quasi sempre escluso dal conto finale, per cui la gran parte dello stipendio dei camerieri dipende proprio dalla quantità di mance che riescono ad accumulare.

Andrea Chiriatti

Wow, che meraviglia!

L’INCONTRO TRA PROFESSIONALITÀ, QUALITÀ E FANTASIA PORTA IN TAVOLA PIATTI

CHE DELIZIANO OCCHI E PALATO.

ECCO LE PROPOSTE DEGLI CHEF

ALESSANDRO GILMOZZI, MARCELLO TRENTINI

E ALESSANDRO PANICHI

Il bello è anche il buono, diceva Gualtiero Marchesi, uno che nella sua vita e nella sua carriera ha dimostrato di intendersi un po’ di cucina. Dalle sue mani è passata una delle più importanti rivoluzioni della nostra ristorazione, è iniziato quel grande cambiamento che ci ha poi consegnato - una ventina d’anni più tardi - la cucina italiana come la conosciamo oggi. Marchesi è stato uno dei primissimi cuochi italiani a unire sotto una stessa ricetta innovazione e fantasia, portando in primo piano, in un periodo nel quale l’impiattamento non era proprio una priorità in cucina, una cosa a cui pochi avevano pensato prima: la bellezza del piatto. Oggi, epoca degli smartphone che immortalano qualsiasi cosa e dei social che danno visibilità a tutto, impiattare in un certo modo è diventato una priorità, talvolta - ahinoi - anche a scapito del gusto. Ecco, anche per questo negli ultimi anni hanno preso piede cosiddetti “piatti wow”, quelle preparazioni che deliziano gli occhi prima ancora del palato e che, in alcuni casi, sono anche delle vere e proprie sorprese che ingannano la vista e in bocca, a sorpresa, regalano emozioni e sensazioni inaspettate prima del morso.

Da El Molin piatti belli da vedere e da mangiare

Da El Molin, a Cavalese, Alessandro Gilmozzi ama regalare vere e proprie perle che ti strappano uno “wow” prima quando il piatto arriva in tavola, e poi quando il boccone sfiora il palato. “Lepre su lepre” è uno dei primi piatti nel percorso degustazione invernale a El Molin: mezze maniche Monograno Felicetti gratinate ripiene di ragù di lepre, burro di malga, gelée di rosa canina (dolce e delicatamente acidula) polvere di geranio (sentori di mela, limone e cedro) caviale di crispino (dolce e aromatico). In sala, al gueridon, il piatto viene completato con una salsa di lepre. «I miei piatti nascono talvolta da intuizioni improvvise, o da coincidenze che assumono significato e senso solo dopo che un incontro, una scoperta o una sensazione, seguiti con ostinazione e con prove in cucina, trovano realizzazione nel piatto finito - spiega Gilmozzi -.

Può trattarsi di un raccolto che decido di acquistare in toto, per sostenere il contadino sapendo che poi ne farò buon uso, o di un incontro nel bosco, come la volta che seguendo delle capre mi imbattei in una vena di sale dolomitico che percorre le Alpi scendendo fin da Salisburgo». «Le caratteristiche fondamentali che deve avere un piatto per entrare nel mio percorso degustazione - continua lo chef - sono prima di tutto l’equilibrio di sapori e consistenze: la digeribilità, data dal ricorrere di un particolare ingrediente, la corretta dose di carboidrati, proteine e grassi in conformità al lungo percorso di ricerca e studio affrontato negli anni con esperti gastroenterologi, e naturalmente una buona presentazione dal punto di vista estetico e cromatico, aspetto per il quale incide anche la scelta della stoviglia. In particolare amo proporre sempre qualcosa di nuovo, qualcosa che nessuno ha mai fatto, salvo sentire impellente il bisogno di cambiare non appena noto che una determinata lavorazione viene eseguita anche da altri».

«La mia è una cucina dolomitica contemporanea, in cui il recupero filologico delle ricette tradizionali e degli ingredienti del territorio viene effettuato grazie a un utilizzo intelligente e sostenibile della tecnologia contemporanea: penso ad esempio alla conservazione con infrarossi, o sotto spirito, alla reidratazione che mi permette di cuocere gli spaghetti in solo due minuti. Gli ingredienti tradizionali dolomitici - sottolinea ancora Gilmozzisono fortemente caratterizzanti data l'economia di sussistenza tipica delle nostre valli, in particolare nei gelidi mesi invernali dei secoli scorsi, quando in assenza di grandi vie di comunicazione e trasporto tutto doveva essere utilizzato con estrema consapevolezza, conservando con perizia vegetali e carne per l'inverno, ma anche tramandando attraverso le generazioni la conoscenza dei benefici di piante e resine raccolte nel bosco».

Alessandro Gilmozzi
Lepre su lepre di Alessandro Gilmozzi

Casamago e l’omaggio a Bob Dylan

A Torino, da Casamago Bistro, il talentuoso chef Marcello Trentini ama sorprendere con i suoi piatti. Oggi in carta nel suo locale di corso san Maurizio c’è “Like a lobster roll”, un gioco di parole facile da intuire anche per chi non è per forza un grande fan di Bob Dylan: «È un esercizio divertente che richiama, oltre al titolo della canzone di Dylan, anche il famoso panino americano, l’hot dog ripieno di maionese, astice bollito e sedano - ci spiega Trentini -. Nella realtà dei fatti è qualcosa di completamente diverso: è un maritozzo italianissimo, leggermente dolce, che noi andiamo a farcire con una salsa tzatziki più leggera di quella originale, senza la parte indigesta portata dall’aglio, e con una tartare di gambero rosa ligure cotta a bassa temperatura. L’elemento di croccantezza, dato nell’originale dal sedano, noi lo diamo con le puntarelle crude, anche queste italianissime. Il cliente gode quando lo mangia perché è un paninetto estremamente ignorante».

«La mia vuole essere una cucina

super immediata - continua -. Cerco di dare leggerezza all’ospite al di là del lavoro che noi abbiamo dietro a ogni singolo ingrediente; per questo anche al tavolo, se non mi viene espressamente richiesto, spiego poco della parte tecnica. Voglio sempre che l’esperienza sia leggera, preferisco far parlare il piatto».

«I piatti "wow" come nascono? Ci sono diversi modi - spiega Trentini -. In alcuni casi è un colpo di genio che viene all’improvviso, a volte al mercato, a volte in un sogno, a volte camminando in città; poi vai alla ricerca degli ingredienti e provi ad assemblarlo con tutte le modifiche che spesso ne nascono. Altre preparazioni invece vengono pensati e ripensati, spesso sono figli della decisione di lavorare su un prodotto singolo, e allora serve del brainstorming per creare un piatto di ricerca. I Deep purple, ad esempio, con una schitarrata hanno creato il sound giusto di Smoke on the water, mentre la loro collaborazione con la Royal Philharmonic Orchestra di Londra è stata frutto di un lavoro certosino, che non ha lasciato niente al caso, per far sì che il rock e classica si unissero alla perfezione. Comunque, quando voglio creare un piatto "wow", m’immagino una voce fuori sincro con le immagini, una sorta di gioco dell’inganno, una discrepanza tra quello che leggi e quello che ritrovi nel piatto e poi in bocca. E per rendere il tutto ancor più divertente, spesso mi diverto a dare dei nomi poetici a queste mie preparazioni speciali».

Al Sotto l'Arco lo stupore è nella comprensione

Piatto “wow” che a volte può voler dire altro. Come per Alessandro Panichi, chef del ristorante Sotto l'Arco di Bologna (il gastronomico di Villa Aretusi), che lo stupore lo vuole vedere nei clienti che ritrovano in ogni singolo boccone gli ingredienti utilizzati nel piatto. «Per me l’effetto "wow" è far arrivare al cliente quello che io ho messo nel piatto. Poco fumo e pochi fuochi d’artificio - spiega Panichi -, per me la cucina deve sempre avere un senso, al ristorante si deve andare sempre e comunque per mangiare, non scordiamocelo. La sorpresa? Sì e no. Io cerco di spiegare per filo e per segno gusti e sapori che ci sono nel piatto, penso che la consapevolezza sia fondamentale quando ci si siede a degustare un piatto. Io voglio che il cliente, prima di portare il boccone alla bocca, si sia già fatto un’idea di quello che andrà a degustare. L’effetto "wow", poi, sarà dato dalla conferma delle sensazioni che si era immaginato durante la lettura della carta o durante la mia spie-

gazione del piatto». Tra le preparazioni che più colpiscono nel menù invernale di Panichi, a Villa Aretusi, ci sono senza dubbio i raviolini di friggione, scampo e cappero: «Si tratta di un piatto che esplode in bocca - evidenza lo chef -: il ripieno viene fatto con una cipolla cotta lentamente per esaltarne la dolcezza. Poi lo scampo, che viene rosolato solo dalla parte della schiena per far sì che prenda quel potente sapore tipico del crostaceo rosolato. Questi raviolini vengono appoggiati su una bisque di scampo classica, mentre il piatto viene finito con del gel e della polvere di cappero che alzano la salinità. In bocca si ha una vera e propria esplosione di sapori che il commensale, quando scopre il piatto, può già immaginare». «Tutta la nostra carta - spiega ancora Panichi - è comunque composta da piatti tecnici, ma comprensibili. Come i maccheroni idratati al frutto della passione con ostrica e gambero rosso crudo: impegnativo, ma comprensibile».

Marcello Trentini
Alessandro Panichi
Like a lobster roll di Marcello Trentini
Raviolini di friggione di Alessandro Panichi

Un tesoro sommerso

ALLA SCOPERTA DEL 'MERROIR', L'AFFINAMENTO DEL VINO IN MARE.

CON IL PASSARE DEGLI ANNI L’INTERESSE CRESCENTE VERSO QUESTO METODO

HA PORTATO ALCUNI PRODUTTORI ITALIANI

AD INVESTIRE SULLO STUDIO

E SULL’INNOVAZIONE

Il termine non è nuovo, ma generalmente è abbinato alle ostriche e al loro habitat naturale, a contatto con l’acqua marina, le alghe e i minerali posati sul fondale dei mari. Parlare di “merroir” per il vino è ancora piuttosto inconsueto, ma da qualche tempo non è più un azzardo. La leggenda narra che i primi esempi di affinamento del vino in mare (perché di questo stiamo parlando) risalgono addirittura ai tempi degli antichi Greci. La conservazione sott’acqua del nettare degli dèi, protetto dalla luce, dal calore e dalle influenze lunari, è stata riscoperta in epoca molto più recente e da qualche tempo rappresenta una tecnica d’affinamento alla quale ricorre un numero sempre più alto di produttori che si affidano ad aziende specializzate nella gestione delle cantine sottomarine. Originariamente l’affinamento sott’acqua veniva utilizzato per creare vini speciali e da collezione; pezzi unici, non fosse altro che per il fascino che ogni bottiglia incrostata di mare e scolpita da elementi corallini e conchiglie, assume dopo mesi a contatto con la flora e la fauna presenti a decine di metri sotto il livello dell’acqua. Nata come un’operazione di marketing territoriale più che come una soluzione per la ricerca di un prodotto davvero di qualità, col passare degli anni l’interesse crescente verso questo metodo di affinamento ha portato alcuni produttori italiani ad investire sullo studio e sull’innovazione, fino a creare un consorzio per la tutela del metodo di affinamento subacqueo del vino, l’Undersea Wines, per approfondire scientificamente l’effetto che l’immersione provoca sui vini. E i risultati si vedono.

I promotori di questo metodo di affinamento ritengono che il particolare microclima che si viene a creare con temperatura costante, assenza totale di luce e di ossigeno, a cui si aggiungono il movimento delle correnti e

delle onde che cullano le bottiglie e il completo riparo dalle fasi lunari, fa sì che si creino le condizioni ottimali per la maturazione del vino. In una parola, dunque, il “merroir”, ovvero il termine rimpiazza il più conosciuto «terroir» utilizzato per l’affinamento sulla terra ferma. In Italia, tra le società capofila di questa tecnica c’è la Jamin Under Water Wines di Portofino, un’azienda nata nel 2015 come start up innovativa nei servizi ingegneristici, dedita alla ricerca e sviluppo di tecniche di affinamento subacqueo per vini e distillati. Oggi Jamin conta 294 azionisti, 25mila bottiglie certificate, 120 referenze, cinque cantine subacquee operative (a Marina Protetta di Portofino, Termoli, Ravenna, Acquappesa e Scarlino) ed altre sei in fase di apertura.

Presidente di Jamin è Antonello Maietta, già detentore del titolo di “miglior sommelier l’Italia”, nonché per 12 anni guida dell’Ais, l’Associazione Italiana Sommelier. «L’affinamento sott’acqua comporta molti vantaggi – dice –, a partire dalla sostenibilità ambien-

Antonio Maietta

SEMPLIFICHIAMO LA COMPLESSITÀ

tale. Si rivolgono a noi tanti produttori del Sud Italia, perché là l’energia è più cara e hanno tanto mare. L’affinamento subacqueo in luoghi di prossimità risolve molte criticità, sia dal punto di vista ambientale che da quello economico, poiché non richiede consumo di suolo, né l’installazione di pannelli fotovoltaici o il pagamento delle bollette dell’energia elettrica. È chiaro che in questa fase iniziale costi sono un po’ superiori, ma una volta che il processo sarà ingegnerizzato, potrebbero essere anche inferiori rispetto all’affinamento a terra». Due studi in collaborazione con la facoltà di Enologia dell’Università di Firenze e quella di Biologia marina dell’Università di Genova hanno fatto luce su alcuni aspetti che riguardano le proprietà del vino affinato in mare e lo stato di preservazione dell’ambiente subacqueo. «Diciamo che se sott’acqua si mette un vino scadente, di certo non migliora – puntualizza Antonello Maietta –. Il vino in mare si conserva meglio, è meno soggetto ad escursione termica ed è riparato dai raggi ultravioletti del sole. A una profondità tra i 37 e i 50 metri ci sono costantemente tra i 13 e 14 gradi, che è la temperatura idonea all’affinamento».

Ma come si affina, in concreto, il vino in mare? Al netto della tecnica e dell’innovazione messe in campo, sono tante le curiosità che suscita questa pratica. Le bottiglie vengono immerse per un periodo minimo di sei mesi fino a un limite massimo di 72 mesi. Le ceste usate per l’immersione possono contenere tra le 400 e le 600 bottiglie da 0,75 litri e sono riparate da celle che consentono di evitare collisioni che potrebbero rovinarle. «Il primo affinamento dei prototipi avviene a Portofino con un numero limitato di bottiglie – spiega Maietta –. Abbiamo slot di 6 e 12 mesi, dopo quali organizziamo assaggi in comparazione con le bottiglie rimaste a terra. Se crediamo che sia stato raggiunto un risultato valido ci si ferma, altrimenti si continua con la sperimentazione. Già nei primi 6 mesi il vino acquista una bella caratterizzazione, l’affinamento in mare è migliore e ciò è determinato non solo dalle circostanze che si possono ricreare anche a terra, come il buio o la temperatura, ma anche dalla pressione (che in mare agisce dall’esterno verso l’interno della bottiglia, ndr). Abbiamo grandi soddisfazioni con rossi, per esempio: la poli-

IL PARTICOLARE MICROCLIMA

CHE SI VIENE A CREARE CON TEMPERATURA COSTANTE, ASSENZA TOTALE DI LUCE E DI OSSIGENO, UNITO AL MOVIMENTO DELLE CORRENTI, CREA LE CONDIZIONI OTTIMALI PER LA MATURAZIONE DEL VINO

merizzazione dei tannini è più efficace e l’estrazione cromatica più evidente».

Dalla cantina subacquea di Portofino è passata anche la validazione del primo e (finora) unico Champagne AOP UnderWater affinato sott’acqua, il “- 52 champagne Cloe Marie Kottakis”, una rarità anche piuttosto a buon mercato, se si pensa che in rete il prezzo di una bottiglia parte da 175 euro. Cloe Marie Kottakis Limited Edition è uno champagne Blanc de Noirs dosaggio zero ottenuto da uve Pinot Noir in purezza dell’Aube in Champagne e che affina per 12 mesi in bottiglia immerso nel mare. Ne vengono prodotte solo 3mila bottiglie all’anno e ogni bottiglia è da considerarsi come un lotto unico, poiché le correnti marine creano piccole diversità tali da rendere i vini impossibile da replicare. Al naso è agrumato con sentori di mandarino, pesca, melograno, nocciole e mandorle tostate. Al palato cambia decisamente tono, con note di lime e mela verde e una netta mineralità.

Ma ci sono anche esempi di produttori italiani che ormai da tempo si affidano all’affinamento in mare. Dal 2010 la Tenuta del Paguro di Brisighella, in Emilia Romagna, inabissa le bottiglie di Merlot, Sangiovese, Albana e Cabernet nel relitto di una piattaforma petrolifera al largo di Ravenna che affondò nel lontano 1965 a seguito di un incidente. Le bottiglie rimangono sommerse in gabbie di acciaio inox, dai 6 ai 12 mesi ad una profondità di 30 metri, maturando senza alterazioni il loro gusto armonico e rotondo.

E ancora: in Sardegna la Cantina Santa Maria La Palma, vicino ad Alghero, produce l’Akènta Sub con uve di Vermentino di Sardegna raccolte a mano e realizzato con metodo ‘Charmat’, affinato nei fondali delle acque del Parco di Porto Conte a 40 metri di profondità.

Il mercato, a livello internazionale, è ancora tutto da conquistare: nel 2022 infatti sono state affinate in mare “solo” 400mila bottiglie e oltre all’Italia non sono tanti i Paesi attivi in questo settore. Come dire, le potenzialità ci sono e sono molto elevate.

Pasqua di tradizione in Lombardia

UN TOUR DALLA VALTELLINA

ALL’OLTREPÒ PAVESE

PER PORTARE IN TAVOLA I PIATTI TIPICI

DEL TERRITORIO

La Pasqua è un’occasione per assaporare piatti e prelibatezze della tradizione locale, che si tramandano di generazione in generazione. La tradizione gastronomica lombarda presenta una grande varietà di pietanze e ricette, che spaziano dalla tradizione valtellinese a quella brianzola e milanese, fino ad arrivare alla zona dell’Oltrepò Pavese e del mantovano. Ecco allora un possibile menù pasquale lombardo, da provare e gustare nelle proprie case.

Salumi e torta pasqualina

L’antipasto deve comprendere le uova sode, simbolo pasquale. Tra i salumi, il salame di Varzi, nell’Oltrepò pavese, la bresaola della Valtellina, il salame bergamasco e la coppa mantovana. E può essere completato dalla torta pasqualina. La ricetta prevede la preparazione a mano della pasta sfoglia e la cottura a vapore. Si narra che una volta venivano composti 33 strati di sfoglia fatta in casa, in memoria degli anni di Cristo. Per semplificare è possibile acquistare i rotoli già pronti e costruire un numero di strati dai due ai quattro. In padella si fa sciogliere la margarina con olio e soffriggere gli scalogni. Si aggiungono i bocconcini di pollo, facendoli cuocere per 10 minuti e poi si bagnano con vino bianco e Marsala, mettendo sale e pepe. Si aggiungono timo e maggiorana mondati e si completa la cottura per 20-25 minuti. A parte si fanno rosolare gli asparagi, tagliati a rondelle, e scottare i piselli per 5 minuti. Una volta completata la cottura dei bocconcini di pollo, bisogna amalgamarli con asparagi, piselli e il lievito in scaglie. Per la base è necessario porre una delle due sfoglie sulla tortiera con carta da forno unta. Si versa il ripieno e si richiude la torta con la rimanente sfoglia, sempre spennellata con olio. Prima della cottura, si deve spennellare la superficie con olio e tuorlo diluito con acqua. Si cucina in forno a 190° per 50 minuti, ovvero fino a quando non diventa un po’ gonfia e di colore dorato. Una volta sfornata, va fatta raffreddata per poi decorarla con timo.

Insalata di nervetti

L'insalata di nervetti (in milanese "nervitt in insalàda") è un antipasto tipico pasquale. Nonostante il nome, la pietanza non contempla la presenza dei nervi: il nome deriva dalla parola dialettale "gnervitt", con cui si indicano le cartilagini del ginocchio e dello stinco del vitello, alla base della preparazione. Il piatto, oggi molto meno diffuso di un tempo, era usato nella cucina popolare e come antipasto da abbinare al vino nelle osterie popolari del milanese. Il piatto consiste nelle cartilagini: dopo la bollitura in un leggero brodo di carote e sedano, sono tagliate a listarelle e unite assieme a cipollotti, sale, pepe, olio e aceto. Esistono versioni più ricche con l’aggiunta di fagioli bianchi e prezzemolo oppure con cipolle sotto aceto al posto del cipollotto.

Gnocchi

alla “gratiroeula” e lasagne di verdure e uova

La tradizione milanese offre gli gnocchi o gnòcch alla “gratiroeula”, con uova e senza patate. Basta far bollire l’acqua con il burro e il sale, aggiungere la farina e mescolare per dieci minuti in modo che non si formino grumi. Dopo aver fatto intiepidire, unire i tuorli con il parmigiano grattugiato e formare una pasta morbida; quindi stenderla per formare un rotolo e tagliare tanti pezzi dalla grandezza di un dito. Dopo averli fatti cuocere in una pentola con il brodo bollente, toglierli appena vengono a galla. Si servono con burro fuso, parmigiano grattugiato e noce moscata, oppure con una salsa di pomodoro fresco. Un altro primo piatto lombardo sono le lasagne di verdure e uova: condite con carciofi, zucchine, piselli o spinaci e composte dai rossi d’uovo, questa pietanza presenta una versione più leggera della classica lasagna con besciamella.

Agnello, busecca milanese e fagianella mantovana

Il secondo piatto tipico di un pranzo pasquale lombardo è l’agnello. In Valtellina le preparazioni tipiche sono in casseruola, con olio e cipolline, oppure arrosto con rosmarino. Un terzo modo, molto diffuso in Lombardia, è quello della rosolatura, accompagnandolo con polenta. Tra i secondi piatti lombardi, diversi dall’agnello, spicca la busecca nel Milanese: un piatto povero, ma molto gustoso, a base di trippa. Si prepara il brodo vegetale, portandolo a bollore e cuocendolo per un’ora. In una casseruola si lascia fondere il burro con la pancetta tritata, la cipolla tagliata a fettine sottili e le foglie di salvia; quando il tutto è dorato si aggiunge la trippa tagliata a pezzetti. Si insaporisce mescolando e spruzzando il vino, facendolo evaporare. Poi si versa nel recipiente il brodo e cuoce per due ore. Mezz’ora prima di fine cottura si uniscono i fagioli. Si serve con, a parte, abbondante Grana Padano grattugiato e pepe da macinare al momento.

La fagianella con frutta fresca è una pietanza mantovana. Si distribuisce un cucchiaio di burro all’interno; si sala e pepa dentro e fuori. Si farcisce la fagianella con mele renette affettate e quanta più cipolla tritata possibile; le zampe vanno legate con spago da cucina e si distribuisce all’esterno il restante burro. Si sistema la fagianella in una teglia coperta con le fette di pancetta e contornata da mele e cipolle. Si chiude nella carta stagnola e sistema su una teglia, cuocendo in forno per 35 minuti a 180°. Trascorso il tempo, si apre la stagnola, togliendo la pancetta e cuocendo per altri 10 minuti in modo che la pelle divenga croccante. È da servire con patate dolci al forno e fagiolini.

Focaccia Camuna o Spongada

Conosciuta anche come Focaccia Camuna, la Focaccia di Breno o Spongada è un dolce di origine pasquale preparato in occasione della Domenica delle Palme. Si tratta di una pagnotta dolce di circa 150 grammi, impastata con ingredienti semplici e poveri tra cui farina, zucchero,

burro, uova e sale. Si scioglie il lievito nel latte tiepido unendolo poi al burro fuso (a temperatura ambiente) e al sale. In una ciotola a parte, si sbattono le uova che si aggiungono al resto. Si lavora con forza l’impasto con un cucchiaio di legno. Raggiunta una buona morbidezza, si mette in una ciotola e si lascia riposare per 18 ore coperto da un panno. Finita l’attesa, si divide l’impasto in piccoli panetti dalla grandezza di una mano chiusa e si incide sopra una croce. Si lascia a riposo per altre 4-5 ore. Poi si guarnisce: albume montato e zucchero, latte e zucchero o marmellata e zucchero. Si cuoce in forno per 20 minuti a 180°.

La torta paesana della Brianza

Tra le torte pasquali, non può mancare la torta paesana, detta anche torta di pane, torta nera, michelacc ovvero mica e lac (pane e latte). Si tratta di un dolce dalla forma a campana, diffuso in Brianza (la zona compresa tra la provincia a Nord di Milano e il lago di Lecco-Como). La particolarità risiede nella base dell’impasto, in quanto è molle perché realizzata con pane raffermo bagnato nel latte, arricchito da amaretti, pinoli, uvetta, zucchero e cacao. La preparazione inizia scaldando il latte che non dovrà raggiungere il bollore. Nel frattempo, si prende il pane raffermo e lo si taglia per ricavare delle fette, quindi si riduce a cubetti e lo si mette in una ciotola. Poi si grattugia la scorza di un’arancia (servirà successivamente). Si versa il latte ben caldo sul pane, si mescola e copre con la pellicola trasparente, lasciando macerare per mezz’ora. Si spreme l’arancia e si mette l’uvetta in ammollo nel succo. In un mixer si versano gli amaretti e il cacao amaro, riducendoli in polvere che vanno aggiunti al pane ormai morbido. Si sbattono le uova in una ciotolina a parte e si versano nel composto, mescolando con una spatola e, quando saranno assorbite, si unisce lo zucchero. Si versano pinoli e l’uvetta scolata dal succo di arancia. Il composto va versato su una teglia imburrata dal diametro di 24 centimetri. La cottura avviene in forno statico preriscaldato a 180° per 60 minuti (oppure a 160° per 50 minuti nel forno ventilato). La torta si conserva sotto una campana di vetro per due-tre giorni. Al posto degli amaretti possono essere utilizzati dei frollini secchi o al cacao, diminuendo in questo caso la dose di cacao.

PASTIERA NAPOLETANA

Ingredienti

3 600 g Farina 00

3 300 g Strutto o burro

3 400 g Zucchero semolato

3 8 Uova

3 500 g Latte

3 600 g Ricotta di pecora

3 500 g Grano precotto

3 100 g Cedro e arancia canditi

3 1/2 Baccello di vaniglia

3 2 Cucchiai di acqua di fiori d'arancio

3 1 Limone e 1 arancia

3 qb Cannella in polvere

3 qb Sale

3 qb Zucchero a velo

Procedimento

Scaldare il grano precotto in 250 grammi di latte insieme a cannella e vaniglia, per circa 10-15 minuti. Fare raffreddare il composto. Impastare farina, strutto (o burro), 150 grammi di zucchero e un pizzico di sale, fino ad ottenere un composto sbriciolato, poi unire 2 uova e proseguire l'impasto fino ad ottenere un panetto da riporre in frigo per 30 minuti. Lavorare la ricotta con il resto dello zucchero. Separare 2 uova, tenendo da parte gli albumi e incorporando solo tuorli nel composto di ricotta; poi unire le altre 4 uova intere, uno alla volta, e mescolare bene con la frusta; aggiungere un po’ di scorza grattugiata di limone e di arancia, i canditi e 2 cucchiai di acqua di fiori di arancio. Eliminare gli aromi dal grano cotto. Montare gli albumi e amalgamarli al composto insieme con il grano cotto, ottenendo così il ripieno della pastiera. Per ottenere un ripieno più cremoso, frullare una parte di grano prima di aggiungerlo al resto del composto. Imburrare e infarinare una tortiera (ø 25 cm) e stendere la pasta frolla su un piano infarinato fino ad ottenere uno spessore di 5 mm: ricavare due fasce alte come il bordo della tortiera e abbastanza lunghe da ricoprirne interamente il perimetro, poi preparare un disco dello stesso diametro del fondo. Posizionare prima le fasce sul bordo, poi il disco sul fondo e premere bene per sigillare. Stendere la pasta in eccesso e tagliarla in 10 nastri larghi 2 cm. Riempire la frolla con il ripieno, posizionarvi sopra 5 nastri di pasta, in modo che siano equidistanti fra loro, e gli altri 5 sopra precedenti, ma in obliquo. Infornare a 170 °C per 1 ora e 30 minuti. Sfornare e lasciare affreddare la pastiera per almeno 8 ore in un luogo asciutto. Prima di servire spolverare con zucchero a velo.

Il lato gourmet dell'uovo

L’uovo cibernetico il Cyber Egg ha decretato la fama dello chef piemontese Davide Scabin, oggi al Ristorante Carignano del Grand Hotel Sitea di Torino (1 stella Michelin), dopo aver scritto dal suo Combal. Zero di Rivoli pagine di storia della cucina mondiale con piatti iconici. La ricetta, ideata nel 1997, rielabora l’abbinamento russo con il caviale del cosiddetto "uovo dello zar". Un guscio di pellicola trasparente avvolge il tuorlo con caviale Asietra, scalogno, pepe bianco e qualche goccia di vodka. Un’esplosione di gusto da incidere con un bisturi per una mise en place che continua a stupire a distanza di anni. Tra le ricette più famose e copiate il Tuorlo d’uovo di Carlo Cracco, che forse come nessun altro è riuscito a nobilitare un ingrediente semplice e povero, esaltandolo nella sua essenza. Il tuorlo, accuratamente separato dall’albume, viene avvolto da una croccante panatura e, dopo quattro ore di riposo in frigo, viene fritto in abbondante olio di semi di girasole.

L’uovo all’uovo è uno dei piatti più iconici di Da Vittorio Relais La Cantalupa di Brusaporto (3 stelle Michelin) dei fratelli Chicco e Bobo Cerea: in coppa Martini si alternano strati di composta di mele Golden, uovo strapazzato, uova di quaglia poché, uova di salmone, spuma di patate e caviale Beluga, per una vera e propria sinfonia di sapori al cucchiaio.

Spettacolare alla vista e innovativo è l’Uovo di seppia dello chef siciliano Pino Cuttaia de La Madia di Licata, 2 stelle Michelin. Dopo aver svuotato con cura il guscio d’uovo da un piccolo foro allargato con una piccola forbice, si estrae il tuorlo e lo si tiene da parte, separato dall’albume. Dopo aver igienizzato e pulito il guscio d’uovo si inseriscono, pressando con cura, 30 grammi di polpa di seppia frullata al minipimer, andando a ricreare con le dita una membrana uniforme. A questo punto si inserisce il tuorlo e si chiude il guscio con la restante polpa di seppia frullata. Dopo aver cotto l’uovo nel forno a vapore a 52 gradi per 15 minuti, si sguscia l’uovo di seppia e si assembla il piatto, creando un

L'uovo rappresenta la vita, la perfezione in natura racchiusa in un guscio. Nell'antichità, il disegno ovoidale era adorato in molti riti primaverili, nella cultura cristiana simboleggia la Pasqua, occasione in cui riveste un ruolo di protagonista a tavola. Un primato che molti nutrizionisti rivendicano per tutto il resto dell’anno: l’uovo occupa infatti il primo posto nella scala degli alimenti ad alto valore biologico, dato che contiene tutti gli aminoacidi essenziali

e li rende immediatamente disponibili. Alimento principe della cucina povera, presenza insostituibile in cucina, ha ispirato grandi chef, che hanno dato vita a ricette iconiche. Il Maestro Gualtiero Marchesi nel 1985 creò l’uovo all’uovo: svuotò il guscio per poi rimettergli dentro il tuorlo dopo averlo cotto a vapore con la panna. Un successo replicato con l’“Uovo al Burri”, omaggio di chef Marchesi al celebre artista Alberto Burri, eseguito sfiammando il bianco di un perfetto uovo all’occhio di bue.

nido di tartufo nero (o, in alternativa di crema al nero di seppia e ricotta). Una vera gioia per gli occhi. Il tartufo nero si sposa alla perfezione anche nella ricetta gourmet dello chef Pietro Parisi, il cuoco contadino antispreco, a capo della brigata del Pancrazio Locanda Cilentana dell’Art Hotel Palazzo Gentilcore di Castellabate, in provincia di Salerno, oltre che della Tenuta Contessa Relais Country House sulle colline di Lattarico, in Calabra, in provincia di Cosenza. L’uovo cotto a bassa temperatura in tre consistenze di caciocavallo podolico (fresco, stagionato 6 mesi e stagionato 12 mesi) e tartufo, si prepara cuocendo per 45 minuti l’uovo in forno ventilato a 64 gradi. La fonduta di caciocavallo preparata a fiamma dolce in coccio e ripassata in forno a 200 gradi per 8 minuti, si abbina all’uovo, rotto con cura e aggiunto delicatamente sulla fondue. E per finire il piatto una generosa spolverata di caciocavallo stagionato tagliato a triangolo e lamelle di tartufo. La Royale d’uovo (in apertura) di Alberto Basso, talentuoso chef del Ristorante Tre Quarti di Val Liona, in provincia di Vicenza nonché presidente nazionale dei Jeunes Restaurateurs, abbina gusto a estetica in un piatto che esalta la perfezione del prodotto. Panna fresca (360 grammi per 85 grammi di tuorlo) e rosso d’uovo vengono uniti e mescolati con l’aiuto di una frusta, inseriti nei gusci d’uovo vuoti e puliti, coperti con della pellicola (stando attenti a non farla aderire al composto) e messi in forno a vapore a 85 gradi per 40 minuti. Prima di servirlo (rigorosamente caldo) si impreziosisce con un generoso cucchiaio di caviale croccante Cru Caviar (10 grammi per 4 uova) in superficie.

Alberto Basso
Pietro Parisi
Royale d uovo di Alberto Basso
L'uovo in tre consistenze di Pietro Parisi

Amo i piatti di casa ma adoro la yakisoba

Comico, cabarettista, consulente aziendale per la formazione manageriale e comportamentale, papà di Sofia, 14 anni, e, come si definisce lui, boomer e «interista fanatico». Enrico Bertolino, a maggio, tornerà in tournée con il suo instant theatre, un format che si basa sull’attualità. Dunque, aggiornato, riveduto e molto scorretto. Nel frattempo, ci racconta i suoi gusti a tavola.

Bertolino, cosa le piace mangiare?

Di tutto, sono un vero onnivoro, anche se non sono arrivato agli insetti… Merito di amici e chef e di mia mamma, che non c’è più, ed era un’ottima cuoca, attenta ai piatti della tradizione. Mi piacciono molto anche le cucine particolari, etniche, fatte bene, come i piatti di un buon ristorante cinese o thailandese. Sono preferenze che si maturano conoscendole. E poi la cucina asiatica è priva di grassi. Dopo una certa età, quello che piace fa male. A dettare la linea è il fegato.

Può dirmi uno dei suoi piatti preferiti?

La yakisoba, uno dei piatti più famosi della cucina giapponese: pasta a filo di grano saraceno con verdure, bambù e gamberi.

Cosa pensa della carne coltivata?

Non mi appassiona l’argomento e non ne so nulla. Non sono né vegano, né vegetariano. Quanto alla carne (vera), mi fido dello chef.

E cosa proprio non gradisce?

Tutte quelle cose che ti costringono a mangiare nell’infanzia e nell’adolescenza, come le cervella o il fegato. Se ti sottopongono a un’overdose di un cibo da giovane, lo rifiuterai da vecchio. Ma c’è un’unica eccezione, la cipolla che da bambino non sopportavo e che oggi mi fa impazzire.

Lei è milanese doc. Cosa le cucinava sua mamma quando era piccolo?

Mia mamma era milanese ma aveva origini nel Monferrato e mio papà milanese con ascendenza valdostana. La mia era una famiglia semplice. Mamma faceva la casalinga, papà era idraulico, installatore, fumista; aveva una piccola azienda. Lei preparava quello che poteva con le risorse economiche a disposizione, che non erano tante. Quando si arrivava alla fine della settimana, carne e pesce non c’erano più. Ed è così che si pensava a soluzioni creative, utilizzando quello che c’era in dispensa. Ad esempio, la pizza. Oppure a me e mio fratello preparava riso e latte per ovviare alle carenze.

Lei sa cucinare?

Sì, anche se non lo faccio spesso. Mi piace cimen-

tarmi con primi perché sono più facili, in tutte le possibili varianti dettate dalla fantasia. Così nel pesto metto un trito di anacardi e nel sugo con le noci aggiungo la curcuma. Approfitto della presenza di mia figlia per avere un giudizio; se Sofia, che ha l’età per il discernimento alimentare, storce il naso, vuol dire che quel piatto non glielo proporrò più. E tornerò a farle i classici, come la carbonara. Il problema è che tocca a me finirlo.

Mi può, invece, dire un piatto legato a un ricordo?

Rimpiango il vitello tonnato che mi ricorda mia mamma. Lei era bravissima a prepararlo, tanto che l’ho proposto nel programma “Celebrity Chef” nella cucina di Alessandro Borghese. Si tratta di un vitello tonnato al contrario, ovvero con la carne a crudo e la salsa scottata. Mi piace anche una lasagna fatta bene; ne esistono di varie tipologie, con le palline di carne o diversi tipi di verdure.

Il suo personaggio Elvio Paramatti, muratore bergamasco, dal cappellino fatto con i fogli di giornale e la cazzuola in mano, cosa mangia?

Si alza alle 4 del mattino per andare in cantiere pertanto, alle 10, consuma già una sorta di pre pranzo con un panino farcito di mortadella. Poi adora polenta e osei, mangia casoncelli in quantità industriale.

E come è nato il suo Paramatti?

Nei primi anni ’90, facendo i corsi di formazione nella vostra provincia. Mi mettevo in macchina e, alle 7 del mattino, vedevo i Transit dei muratori già in giro. Iniziavano e finivano prima, ma in realtà non smettevano mai, perché sposavano le figlie dei colleghi. E, così, nel fine settimana tiravano su una casa. La loro operosità e concretezza ha ispirato il mio Paramatti. È vero quando si dice che a Bergamo si piegano solo per allacciarsi le scarpe. Sono i vichinghi d’Italia e il loro Valhalla è il lavoro.

Torniamo a Enrico Bertolino: quali ristoranti apprezza a Bergamo?

Mi piacciono la Trattoria D’Ambrosio (da Giuliana), la Trattoria Lozza, un posto spartano, ma dove si mangia divinamente; Frosio ad Almé e l’Osteria della Brughiera a Villa d’Almé.

Sul suo tavolo cosa c’è: vino, birra o acqua?

Vino, se posso, altrimenti bevo acqua. Meglio frizzante che dà un po’ di euforia. L’altra è davvero punitiva…

Lo scorso 28 gennaio è andato in scena al Niguarda di Milano, tra malati, medici e personale sanitario, insieme ad Ale e Franz, Raul Cremo-

Enrico Bertolino

Tante le storie da assaporare e raccontare

na e il gruppo JaGa Pirates, musicisti che s’ispirano a Jannacci e Gaber. Ci racconti cosa è successo.

La nostra sfida è consistita nel trasformare l’ospedale in un teatro. Abbiamo provato a portare allegria in un posto che non ne conosce affatto. L’obiettivo è sostenere con una raccolta fondi le attività di cura e ricerca sulla Sla e le malattie neuromuscolari del Centro Clinico Nemo di Milano. Il titolo dello spettacolo è “Uno SLAvadent alla Sla”. Hanno partecipato anche dodici chef di Slafood, che sostiene la ricerca e progetti di presa in carico nutrizionale. Chi fa il mio mestiere è un privilegiato perché fa un lavoro che ama e dà soddisfazioni. Pertanto, è giusto che ci sia una restituzione.

I progetti benefici a cui aderisce nascono da InterNati, gruppo WhatsApp di tifosi vip. Di cosa si tratta?

Il gruppo è presieduto dall’architetto Stefano Boeri e facciamo della nostra fede calcistica per l’Inter un’opportunità di solidarietà. Ne fa parte anche il dottor Massimo Grassi, senologo dell’Ospedale Humanitas Gavazzeni di Bergamo, tra i fondatori dell’associazione Amiche per mano. Una persona meravigliosa. A Paderno Dugnano ho partecipato a una camminata promossa dall’associazione, il cui ruolo è utilissimo.

Quando la vedremo a teatro?

Il mio nuovo spettacolo vedrà la luce tra il 2024 e il 2025. Nel frattempo, ho quattro date in primavera del mio instant theatre, dal titolo “Signore e signori si chiude!”. L’8 maggio al Politeama di Genova, il 13 maggio al Teatro Lirico Giorgio Gaber di Milano, il 14 maggio al Teatro Colosseo di Torino, il 15 maggio al Teatro Celebrazioni di Bologna. Il format tratta dell’attualità e, in questo caso, affronterò un tema caldo: la chiusura dei teatri. A Milano ha chiuso prima lo Smeraldo per far posto a Eataly, poi si è abbassato il sipario al Ciak, trasformato in un quartiere residenziale, mentre al posto del Nuovo c’è un ristorante turco. Poi è stato abbattuto il Creberg, dove con il mio show di Capodanno in compagnia del pubblico bergamasco si era salutato il 2023. Quest’anno ero al Carcano e tutti facevano notevoli scongiuri (sorride, ndr). Non conosco le motivazioni e non posso giudicare questa scelta. Ma quando uno spazio di aggregazione viene a mancare, il segnale è brutto.

A Berlino ci sono cento teatri e nessuno si sogna di buttarne giù uno. Per fortuna resistono il Lirico e il Teatro Oscar.

A proposito, il direttore artistico del Teatro Oscar, Giacomo Poretti, proprio ad Affari di gola, l’ha indicata come uno degli attori comici che lo fa più ridere.

Aldo, Giovanni e Giacomo sono stati dei riferimenti,

tornavo a casa per vederli a “Mai dire gol”. Tutti e tre hanno un talento che possono esprimere insieme nel trio o singolarmente. Poi mi piacciono Antonio Albanese ed Enzo Iacchetti che mi ha battezzato. Se non ci fosse stato lui, quella sera al mio provino a “Zelig”, forse mi avrebbero cacciato. Gliene sarò per sempre grato. Delle nuove leve trovo Antonio Ornano molto bravo.

E quanto alla comicità femminile?

Sono bravissime Debora Villa, Marta Zoboli (in coppia con Gianluca De Angelis), Marina Massironi, Angela Finocchiaro. E Lella Costa è una signora del palco.

Un sogno: con chi vorrebbe pranzare o cenare?

Sogno una cena con Ugo Tognazzi, Raimondo Vianello e Walter Chiari; delle signore, Bice Valori e Sandra Mondaini. Vianello era di un’eleganza cinica. E poi ci sono Aroldo Tieri, Ernesto Calindri, per me sono come i Beatles per la musica. Parleremo per sempre di loro. Chissà che tra qualche decennio non si parli del mio muratore bergamasco… Sarebbe una grande soddisfazione.

Quali sono i suoi miti?

Enzo Jannacci, Giorgio Gaber e Dario Fo. Quest’ultimo ho avuto l’onore di conoscerlo. Ma non mi siederei mai a tavola con loro.

Perché?

Me li porterei in giro a fare spettacoli nella speranza di trasmettere il loro sapere a più spettatori possibili.

Prelibatezza di primavera

di Marco Offredi

VERDE, BIANCO O VIOLETTO L'ASPARAGO È PROTAGONISTA

NELLE RICETTE DI STAGIONE

La primavera si avvicina e tra gli ortaggi pronti a “sfilare” in tavola ce n’è uno particolarmente amato per il suo sapore unico e il suo colore verde brillante che esprime bene l’energia della natura allo sbocciare della bella stagione: stiamo parlando dell’asparago, una pianta erbacea di cui in realtà non mangiamo il frutto, ma il germoglio (detto anche turione). Deliziosi e ideali per abbinamenti con alimenti di gusto delicato come pasta, riso, creme, uova, pesce e carni bianche, gli asparagi iniziano in questi giorni a comparire sui mercati in tante diverse varietà: bianchi, rosa, viola, senza dimenticare quella verde, la più comune e apprezzata in Italia.

La stagione è dunque quella giusta e gli asparagi sono pronti a diventare i protagonisti del menu di Pasqua e del pic-nic di Pasquetta. Con questa verdura dal gusto particolare, poco calorica e ricca di vitamine, sali minerali e fibre si possono preparare sfiziosi antipasti, stuzzichini, primi piatti tradizionali e tanti contorni della cucina tradizionale: dagli asparagi gratinati al forno, abbinati alle uova, come nella quiche, a pasta e risotti fino ai secondi. Asparagi e uova è di fatto l’abbinamento perfetto per la Pasqua alle porte: il piatto più semplice e famoso sono le uova all’occhio di bue fritte nel burro e affiancate dagli asparagi cotti al vapore, poi insaporiti “alla parmigiana”, ben rosolati nel burro e coperti di parmigiano (da non dimenticare un pizzico di pepe).

Impariamo a riconoscerli

Ricette a parte, quando si parla di asparagi per prima cosa è bene conoscerne le diverse tipologie, distinguibili soprattutto dal colore e dal gusto. Solo così si può scegliere la varietà giusta, per valorizzarla al meglio anche in cucina: l’asparago verde, ad esempio, è saporito e di dimensioni variabili - tra più apprezzati ricordiamo gli asparagi verdi di Altedo IGP (Emilia Romagna) - mentre quello bianco è più grosso, dal gusto gentile e rinomato per la morbidezza (il suo colore ha origine nella coltivazione: cresce infatti sotto terra e viene colto prima che la cima spunti dal terreno). Tra le regioni italiane il Veneto primeggia con gli asparagi bianchi di Bassano Dop e di Cimadolmo Igp. C’è poi l’asparago violetto, coloratissimo e particolarmente tenero, dal gusto intenso: si tratta di una particolare varietà di asparagi bianchi, i cui turioni fuoriescono parzialmente dal suolo e si colorano naturalmente di viola. Il sapore si presenta più amarognolo e fruttato. In questa famiglia sono molto pregiati gli asparagi violetti di Albenga, presidio Slow Food.

E a cucinarli

Nella maggior parte delle preparazioni, l’asparago va prima fatto bollire o cotto al vapore. Essendo una verdura piuttosto delicata a questo procedimento va dedicata una cura particolare. Per i più appassionati, esistono delle pentole apposite che si sviluppano in verticale: il modo migliore, infatti, è che il gambo sia immerso nell’acqua, mentre le punte, più morbide, rimangano emerse. In questo modo la consistenza dell’asparago sarà uniforme e le punte rimarranno saporite e scenografiche. Perché il procedimento sia impeccabile, però, è importante eliminare la parte finale del gambo, più chiara e legnosa, assicurandosi al tempo stesso che tutto il mazzo di asparagi risulti alla stessa altezza. È vero, la cottura degli asparagi richiede un po’ di attenzione, ma per contro sono una verdura raffinata, saporita, elegante. E anche molto sana: all’asparago, infatti, vengono riconosciute proprietà detossificanti. Oltre a essere costituiti per il 92% da acqua, gli asparagi hanno pochissime calorie (24-25kcal/100g) ma importanti proprietà benefiche, apportando vitamine A, B9 e C, oltre a fibre e sali minerali come fosforo, potassio, calcio rame e ferro.

In cucina gli asparagi richiedono una particolare cura nella preparazione e nella cottura. Qualche consiglio? Prediligere gli asparagi più grandi, diritti e con punte compatte dal colore intenso; evitare di cuocerli in pentole di ferro, perché il tannino che contengono reagisce con questo metallo alterandone il colore; gli asparagi vanno conservati in frigo per non più di 3 giorni in un panno umido.

Tutti i segreti dell’alga nori

LE MILLE VIRTÙ DI UNO

DEGLI INGREDIENTI

PIÙ ANTICHI DELLA CUCINA

GIAPPONESE.

CE LE SVELA LO CHEF

MASAKI OKADA

’Lalga nori è conosciuta in tutto il mondo quale ingrediente fondamentale nella preparazione del sushi. Eppure si presta a un’infinità di preparazioni. Lo chef giapponese Masaki Okada, originario di Gifu, lavora in Italia da ormai quindici anni e, da oltre un anno, svolge attività di consulenza al Wen Japanese Restaurant di via Moroni a Bergamo. Nel 2016 ha partecipato per una dimostrazione a Bake off Italia. Nella sua terra ha studiato la cucina kaiseki, una forma di menù degustazione giapponese, composto da una dozzina di portate, che ora è alla base delle sue ricette, improntate alla creatività nel rispetto della tradizione, apprezzato anche dai colleghi italiani. «Il Giappone – spiega Okada – è una penisola, pertanto i prodotti del mare, dal pesce alle alghe, fanno parte della nostra cultura. L’alga nori, in particolare, fa parte della nostra dieta quotidiana da 1.300 anni. Richiede una temperatura non troppo elevata, altrimenti il costo sale. Ecco perché, accanto all’alga selvatica, è diffusa quella coltivata». L’alga nori è un’alga rossa e appartiene alla famiglia delle Por-

phyra, popolare nella cucina giapponese. Le prime testimonianze dell’utilizzo dell’alga nori risalgono al periodo Heian (794-1.185) in cui era utilizzata come ingrediente per la preparazione di zuppe e piatti di pesce. La pianta può raggiungere una lunghezza di 30 centimetri. Viene coltivata in Giappone, Corea e Cina su speciali reti di bambù immerse nell’acqua del mare, dove viene lasciata crescere fino alla maturazione. Una volta raggiunta la giusta dimensione, viene raccolta, lavata e fatta essiccare. Il sapore e l’aroma sono particolari. «Sa di mare – prosegue lo chef -, ha un gusto sapido, è leggermente salata e a sua volta è un nutriente per molti organismi acquatici, come l’alga kombu». Spesso è descritta come umami, la quinta essenza del sapore, poiché contiene alti livelli di glutammato, un amminoacido che aumenta la percezione del gusto salato. In cucina può essere usata per svariate ricette. «La nostra colazione è salata – racconta Okada –: al mattino, a casa, è a base di fogli di alga nori, verde scuro o nero accompagnati da riso bianco. La usiamo anche insieme a zuppa di miso e pesce grigliato, come snack salato sottoforma di chips croccanti da condividere in un aperitivo, fritti nel tempura, involtini ripieni di pesce (o carne) e verdure». L’utilizzo dell’alga nori per il sushi è quello più conosciuto: le striscioline di alga possono essere usate per chiudere i nigiri. «La maggior parte delle varianti di sushi la utilizzano – precisa il cuoco giapponese -. Ad esempio, il classico maki sushi e il temaki dalla forma a cono arrotolato, simile ai tacos, prevedono l’utilizzo di fogli di alga nori per avvolgere il riso e gli altri ingredienti. Gli uramaki ebiten sono un’invenzione degli americani che non amano la consistenza bagnata dell’alga e nori è hanno preferito che fosse all’interno». Una preparazione speciale sono gli ehomaki, dei roll di sushi, composto da sette ingredienti a scelta, che si consumano in occasione del setsubun, il giorno che precede il cambio di stagione, in particolare il risshun che si celebra il 3 o 4 febbraio, alla vigilia del capodanno secondo il calendario lunare. «Durante la cerimonia – spiega lo chef - si lanciano i fagioli di soia verso l’interno e l’esterno della casa per celebrare l’arrivo della prima-

LA VARIETÀ PIÙ UTILIZZATA

È IN FOGLI: DISPONIBILE IN DIVERSE DIMENSIONI, PUÒ ESSERE ACQUISTATA SIA TOSTATA CHE CRUDA. ESISTE ANCHE IN FIOCCHI O IN POLVERE, IDEALE PER ARRICCHIRE INSALATE, ZUPPE O PIATTI DI PASTA.

VIENE COLTIVATA

SU SPECIALI RETI DI BAMBÙ IMMERSE NELL’ACQUA DEL MARE E LASCIATA CRESCERE FINO ALLA MATURAZIONE. UNA VOLTA RAGGIUNTA LA GIUSTA DIMENSIONE, È RACCOLTA, LAVATA E FATTA ESSICCARE

vera, pronunciando la formula: “Dentro la fortuna e fuori i demoni”. Si narra che il setsubun sia iniziato nel 700 d.C. Solo in quel giorno mangiamo gli ehomaki: si chiamano così perché si consumano rivolti nella direzione di buon auspicio (eho significa direzione fortunata)». Si usa anche per la preparazione di piatti a base di pesce e di altre ricette vegetariane e vegane. E delle pokè bowl, l’insalata hawaiana a base di pesce crudo e riso. In questo caso, è utilizzata per la marinatura che insaporisce il pesce crudo. Molte le proprietà benefiche: è una fonte di proteine, vitamine (A, B2, B9, B12 e C), sali minerali (calcio, ferro, magnesio e iodio) e di altri nutrienti importanti per il nostro organismo. In particolare, è apprezzata per il suo alto contenuto di proteine. Il contenuto calorico è molto basso: 100 grammi contengono solo 35 calorie. Contiene antiossidanti, che aiutano a prevenire i danni cellulari causati dai radicali liberi; taurina, un amminoacido importante per la salute del cuore e del sistema nervoso. Secondo alcuni studi scientifici, l’alga nori potrebbe anche avere proprietà antitumorali e antinfiammatorie. La varietà più utilizzata è in fogli: disponibile in diverse dimensioni, può essere acquistata sia tostata sia cruda. Esiste anche in fiocchi o in polvere, ideale per arricchire insalate, zuppe o piatti di pasta. Il prezzo dei fogli di alga nori si aggira attorno ai 4-6 euro per un pacchetto di 10-20 fogli, a seconda della marca e della provenienza. I fiocchi si possono trovare a partire da 2-3 euro per un pacchetto da 30-50 grammi. La polvere, usata soprattutto per insaporire piatti e condimenti, ha un costo che varia dai 5 ai 10 euro per 100 grammi.

Masaki Okada

L'insalata si veste

di gusto

DRESSING DA PROVARE.

SALSE, ERBE E YOGURT RENDONO IRRESISTIBILI

ORTAGGI E CRUDITÉS

Olio, sale e aceto - magari balsamico o di mele al posto di quello classico di vino - e l’insalata è servita in fretta, spesso nuda e cruda, con i condimenti a lato in tavola. Per dare una marcia in più a verdure e crudités perché limitarsi al solito condimento? Ecco che, creando un’emulsione, elementi che altrimenti risulterebbero separati tra loro si uniscono, andando a comporre in un tutt’uno aromi e sapori, avvolgendo ogni singola foglia di insalata con un dressing (dall’inglese, vestire, to dress) ben equilibrato.

Perché l’insalata non è una portata residuale o banale e merita maggiore attenzione. Una lezione che impartisce a tutti lo chef Enrico Crippa, 3 stelle Michelin al Piazza Duomo ad Alba: l’insalata 21-31-41 si basa su un’alchimia di gusti oltre che su un calcolo millimetrico di germogli, fiori e foglie dall’orto, che superano i cento ingredienti. Grande attenzione va data anche al condimento: gomasio, aceto di Barolo, zenzero marinato, olio e sale. Oltre a cialde di amaranto fritto, brodo dashi, quattro nocciole e altrettanti alchechengi e scorzette di mandarino.

Non la solita vinaigrette

Se i condimenti da manuale possono risultare banali, a volte basta rompere gli schemi della classica ricetta che si realizza emulsionando aceto (vinaigrette) o limone (citronette) a olio e sale. L’aceto di lamponi regala un colore unico al condimento, quello di mele ne ingentilisce il gusto, quello di Jerez ha un carattere unico, il balsamico tradizionale di Modena ci è invidiato in tutto il mondo. Quanto agli agrumi, per la citronette c’è solo l’imbarazzo della scelta: l’arancia addolcisce, il pompelmo rosa porta una nota di freschezza particolare, il bergamotto ha un aroma unico e fruttato, il lime ha quel certo che di esotico. Anche la senape, meglio se in grani e di Digione, sprigiona tutto il suo gusto e la sua aromaticità: ne basta una punta per dare un bel twist alla vinaigrette classica, come ben sanno i cugini d’Oltralpe. Stesso discorso per il miele: sa rendere più corposa e interessante la citronette, bilanciando e smussando con il suo gusto dolce ogni asperità.

Cremose e ricche con yogurt e maionese

Il dressing della Ceasar’s salad è tra più famosi e classici in cucina e ben si presta oltre che alla classica ricetta ad accompagnare verdure croccanti e fresche. La salsa a base di tuorlo d’uovo, olio, filetti di acciughe, parmigiano e pepe ha un gusto avvolgente che non stanca mai. Intramontabili anche le salse – più light- con yogurt greco: con menta, basilico, aglio e limone si abbinano a insalate come a carni e pesce. Un’ aggiunta di cetriolo dà una nota di freschezza in più, preludio d’estate, come nella celebre salsa greca tzatziki. All’estero la salsa dressing aggiunge a maionese e senape del prezzemolo, un cipollotto tritato finemente, aceto di vino bianco, olio di semi e una spruzzata di limone. Irresistibile e cremosa anche la salsa all’avocado, con un filo di panna acidula, limone, sale e pepe: abbinata a insalate con pesce affumicato esprime il meglio.

E MERITA MAGGIORE ATTENZIONE. BASTA SOLO ROMPERE GLI SCHEMI DELLE CLASSICHE EMULSIONI

Erbe e spezie

A volte basta un trito di aromi mediterranei come menta, basilico, rosmarino per realizzare in pochissimo tempo un condimento perfetto con le piantine che si hanno sul balcone o nell’orto. Un tocco aromatico che ben si abbina a insalate con legumi, ceci in testa. Tra i mix di spezie perfetti per dare una svolta ai piatti, merita attenzione la Za’atar: timo, sesamo, sale, origano, cumino, santoreggia, maggiorana e semi di finocchio si abbinano a sommacco (la spezia mistica degli egizi, utilizzata anche nella medicina tradizionale e in tutto il Medioriente) e issopo (pianta aromatica digestiva). In Libano si crede che questa miscela di spezie rafforzi il corpo e la mente: un sandwich aromatizzato alla za'atar è una colazione tradizionale prima di un esame.

Hummus e salse veg

La salsa tahini (a base di sesamo e olio di sesamo) è spesso usata per condire le Buddha Bowls, la classica ciotola macrobiotica con un mix bilanciato di cereali e verdure. Un’insalata di cruditès o il classico pinzimonio si sposa alla perfezione con un più corposo hummus di ceci, trasformandosi con un bel concentrato di proteine in un piatto unico. Non mancano infine le versioni Veg di maionesi e salse olandesi: per preparare la maionese vegana si usa latte di soia, olio, aceto e sale. E per rendere più curiose e colorate le “finte maionesi” basta aggiungere della barbabietola cotta, o ancora del pomodoro o semplicemente dell’erba cipollina.

Colatura di alici, il gusto della semplicità

Dall’antichità e da una tradizione che riporta a Greci e Romani (garon e garum), è tornata alla ribalta la colatura di alici, prodotto tipico di Cetara, un piccolo borgo nella provincia di Salerno, sulla costiera amalfitana. Il gusto intenso di mare esalta primi e secondi piatti, ma ben si presta a rendere gourmet prodotti dell’orto. Da provare per condire un’insalata di pomodori maturi tagliati a fette, basilico e cipolle. Anche puntarelle e cicoria acquistano un gusto unico, magari con qualche scorza di agrume per personalizzare ulteriormente la ricetta.

Colorata e saporita È la cucina vegana

Raviolo al forno su stecco

Segnaposto a forma di coniglietto personalizzabile e commestibile

Ingredienti per la pasta

3 125 g farina grano tenero tipo 2

3 2 g di sale

3 70 g di acqua

3 2 cucchiai olio evo

3 1 cucchiaio tahin

Alternativa pasta verde

3 125 g farina grano tenero tipo 2

3 2 g di sale

3 40 g di acqua circa

3 2 cucchiai olio evo

3 1 cucchiaio tahin

3 2 cucchiai di spinaci cotti e frullati

Alternativa pasta rosa

3 125 g farina grano tenero tipo 2

3 2 g di sale

3 40 g di acqua circa

3 2 cucchiai olio evo

3 1 cucchiaio tahin

3 2 cucchiai di polpa barbabietola

Stufi del classico menù di Pasqua? Siete alla ricerca di idee per un pic nic di Pasquetta diverso dal solito? La risposta è nella cucina vegana, quella che non contempla cibi di origine animale e, dunque, niente pesce, carne, uova, formaggi, latte, miele, eccetera. I tradizionalisti potranno storcere il naso ma ci sono molti piatti vegani gustosi da preparare per Pasqua, dall’antipasto al dolce. «Una bella sfida per chi vuole sorprendere e stupire con ricette diverse e innovative - spiega Serena Bivona, chef specializzata in proposte vegane e docente dell’Accademia del Gusto di Confcommercio

Bergamo -. Non bisogna per forza strafare: il mio consiglio è scegliere anche solo una ricetta per variare il menù e puntare su piatti rivisitati, in primis la torta pasqualina». Insomma puntare su una Pasquetta vegana non significa propinare tufo al naturale e noiosi piatti insapori. Anzi: a partire dagli antipasti, le ricette gustose e sostanziose sono moltissime. E soprattutto colorate: «La cucina vegan si lascia ispirare da tutte le verdure: spinaci, carote, patate rosse, barbabietole, cavolo in tutte le sue varietà - conferma Bivona -. E poi i fagioli, le lenticchie fino ai fiori, simbolo della primavera alle porte, e capaci di dare un tocco di classe al piatto».

Millefoglie salate con asparagi e crema allo zafferano

Ingredienti per la millefoglie

3 400 g farina ceci

3 200 g farina di grano

3 1,2 lt di acqua

3 30 g olio extravergine oliva

3 7 g di sale

In una bowl mescolare le due farine e il sale. Incorporare gradatamente l’acqua con l’aiuto di una frusta da pasticceria fino a ottenere una pastella. Fare riposare per almeno 4 ore dopodiché unite l’olio. Scaldare una padella antiaderente e versare un mestolo di pastella distribuendo uniformemente. Cucinare circa 3 minuti per lato. Conservare in un contenitore chiuso.

Ingredienti per la crema

3 250 ml di latte di panna di soia

3 2 cucchiai di limone

3 1 cucchiaio di aceto di mele

3 un pizzico di sale

3 un pizzico di zafferano

3 olio di girasole q.b.

3 asparagi qb

Amalgamare bene tutti gli ingredienti in una ciotola fino ad avere un panetto morbido e compatto. Fare i due panetti stenderli e ricavare dei cerchi, aggiungere il ripieno al centro, chiudere i bordi. Infornare a 180° per 15 minuti circa.

Ingredienti per il ripieno

3 1 aglio in camicia

3 500 g di erbette pulite e tagliate

3 pangrattato

3 lievito alimentare

3 sale e pepe

3 noce moscata

3 olio e acqua

In una padella far soffriggere leggermente olio e aglio, aggiungere le erbette, un goccio di acqua, il lievito alimentare, il pangrattato e la noce moscata. Cucinare fino a quando le erbette sono tenere e asciutte.

In una terrina mettere la panna di soia, limone, aceto di mele, sale e lo zafferano sciolto in un goccio di acqua, emulsionare con la frusta a mano o con un minipimer. Contemporaneamente incorporare a filo l’olio di girasole fino a quando il composto monta (è importante mantenere la stessa velocità e versarlo costantemente). Assaggiare e aggiustare il sapore a seconda del gusto. Far raffreddare la crema almeno per 2 ore in frigo prima di servirla. A parte pulire con cura gli asparagi, mettetene da parte le punte (3-4 cm), tagliare a rondelle la parte più tenera dei gambi mentre lasciar l’altra intera e lessatela insieme alle punte in poca acqua per 10 minuti circa. Frullate quindi i gambi cotti tranne le punte. Far appassire in poco olio la cipolla tritata e i gambi degli asparagi a rondelle in una casseruola dal fondo pesante, quando i gambi saranno teneri aggiungere anche le punte, proseguire la cottura per 2 minuti aggiustando di sale.

Polpettone di fagioli

Ingredienti

3 800 g di fagioli borlotti cotti

3 2 carote

3 400 g di erbette

3 1 foglia di alloro

3 1 cipolla

3 1 costa di sedano

3 1 spicchio di aglio (facoltativo)

3 rosmarino qb

3 2 cucchiai di salsa di soia

3 4 cucchiai di olio evo

3 noce moscata

3 1/2 limone

3 1 manciata di granelle di nocciole

3 5 cucchiai di pane integrale

3 sale marino integrale e pepe

Pelare le carote e cuocerle intere in una pentola con poca acqua. Pulire le erbette, tritarle in un mixer con un po' di sale. Preparare un trito con cipolla, sedano, rosmarino e salsa di soia. Mettere in una padella con un filo di olio e una presa di sale, aggiungere alloro e aglio intero, far sudare per dieci minuti circa. Unire i fagioli cotti, ben scolati e frullati grossolanamente. Proseguire la cottura per 5 minuti facendo asciugare bene il tutto. Spegnere la fiamma e aggiungere al composto il pane grattugiato, 3 cucchiai di olio evo, una macinata di pepe e una grattata di noce moscata e amalgamare bene. Ungere uno stampo da plumcake e mettere i fagioli sul fondo pressandoli leggermente. Creare una scanalatura al centro. Aggiungere uno strato di erbette, le carote intere e coprire con le erbette. Non mettere la verdura sui bordi ma solo al centro per evitare che il polpettone si rompa. Coprire con i fagioli restanti, far aderire bordi e premere bene per rendere il composto compatto. Passare con un pennello un filo d’olio e spolverare con nocciole. Infornare a 200° C per 45 minuti. Lasciare raffreddare e poi affettare.

TUTTO GLUTEN FREE DA CASATI A TREVIGLIO

Non solo una bottega dove acquistare prodotti senza glutine, ma anche un locale dove poterli consumare al tavolo per colazione o una pausa veloce. A Treviglio, in via Bernardino da Siena, al civico 10, ha aperto il Panificio Caffetteria Casati. Il laboratorio sforna una grande varietà di prodotti realizzati con farine di riso e di mais, perfetti per chi soffre di celiachia e per gli intolleranti al glutine. «Non utilizzo farine deglutinate – tiene a precisare il titolare Francesco Casati, del Panificio Casati di Brembate Sotto, a gestione familiare, erede di una tradizione che si tramanda da quattro generazioni –, ma sono vere farine di riso e mais ottenute con un procedimento complesso». Casati fornisce anche piccoli rivenditori delle province di Bergamo e Milano dei suoi prodotti, tutti approvati da Aic, l’Associazione italiana celiachia. Il pane semplice di questo tipo costa 16 euro al chilo. Ma si possono trovare anche focacce, pizze, brioche, muffin, crostatine, pasticcini e, a seconda delle ricorrenze, chiacchiere, panettoni e colombe. Su ordinazione è possibile richiedere torte di compleanno di qualsiasi tipo. In vendita anche la birra senza glutine.

PANIFICIO CAFFETTERIA CASATI

Via San Bernardino da Siena, 10 Treviglio (BG) Tel. 375 7919548 - 339 7607618

UN CLUB DA CAPOGIRO CON NUOVA GESTIONE

BEIDES, PARADISO A CINQUE STELLE

Beides è il nuovo indirizzo gourmet della Val Seriana, dal nome tedesco (tradotto“entrambi”) ma con solide radici nel territorio e uno sguardo aperto al mondo e a una clientela internazionale. Il ristorante del nuovo Collina Luxury Relais, prestigioso indirizzo 5 stelle che dall’altopiano di Clusone abbraccia con la vista su tutta la valle, propone una cucina di livello, incarnando il sogno dei due executive chef Dario Gaiti e Caterina Vosti, che tornano “a casa” dopo anni di carriera all’estero. In dispensa prodotti del territorio come la patata di Rovetta, chiocciole di Onore e a kmzero- con la bella stagione arriverà anche l’orto bio, oltre al pool bar - ed eccellenze dal mondo, come il manzo giapponese Wagyu. In cantina più di 200 etichette selezionate, oltre alla Champagnerie esterna, paradiso delle bollicine, da gustare in terrazza accompagnate da crostacei e cruditès. Alla proposta di ristorazione alla carta si affianca quella più veloce, dal brunch domenicale alla stuzzicheria, dal business lunch all’american bar. Il ristorante, come la spa, è aperto anche alla clientela esterna, oltre agli ospiti della struttura.

LO CHEF MARCO STAGI DÀ VITA A METODO

Lo storico CaPoGiRo Joy club di Curno, nato dalla visione di Alberto Gamba, patron di Sportpiù, che ha fatto ballare dal 1994 ad oggi quasi tre generazioni, cambia gestione. A dare continuità a quello che rappresenta un marchio nell’ambito dei locali notturni e di intrattenimento bergamaschi, la società Grics, affermato gruppo milanese che gestisce Terrazza Duomo 21, il salotto della city, e The Club. Beppe Nicotera, storico direttore del locale, continua ad essere una presenza insostituibile, nel segno della continuità. Il Feel Party Restaurant, con 160 posti a sedere, oltre 300 nei buffet e brunch, ospita una clientela che può sedersi a cena dalle 21 all’una, con un mix unico di intrattenimento e buona cucina, dalle cene cantate e animate agli eventi privati e aziendale. La cucina espressa - da non perdere risotti sia di terra che di mare - segue le stagioni e interpreta le serate a tema (disponibili menù su misura per party); da anni irrinunciabile l’abbinamento a tutto pasto con le bollicine CaPoGiRo, etichetta personalizzata di Prosecco. Poi, tutti in pista, tra dj set, vocalist e playlist immortali.

FEEL PARTY RESTAURANT CAPOGIRO JOYCLUB

Via Trento, 14

Curno (BG) Tel. 348 4411604

BEIDES RISTORANTE CON VISTA

COLLINA LUXURY RELAIS

Via Collina Verde, 2 Clusone (BG)

Tel. 0346 39511 www.collinarelais.com

Un piccolo borgo con una torre medievale del XII secolo è l’esclusivo contesto in cui lo chef Marco Stagi, 1 stella Michelin conquistata in tempi record al Bolle di Lallio, debutta con il suo ristorante Metodo. Sette tavoli per una ventina di coperti in un contesto di grande charme, tra volte in mattoni e camino d’epoca, vanno a completare l’offerta di un indirizzo apprezzato per l’ospitalità come La torre Medievale di Marne, con suite indipendenti a due passi dal celebre castello. Per lo chef è stato amore a prima vista: «Passeggiando dopo la visita al Castello mi sono imbattuto in questa piccola corte, che mi ha subito conquistato. La fortuna ha voluto che la proprietà volesse rilanciare il piccolo ristorante a gestione familiare e ne è nata una nuova società e avventura imprenditoriale». Lo chef patròn porterà la sua cucina d’autore contemporanea e concreta in Metodo e curerà l’orto bio, con l’attenzione che gli ha trasmesso Enrico Crippa, 3 stelle Michelin, ad Alba. Due menù degustazione proposti in una carta che non dimentica radici e territorio (come gli ha insegnato nonna Lidia) ma che allarga gli orizzonti al mondo, con le influenze trasmesse da Peter Goossens al ristorante tristellato belga Hof van Cleve, ad altre esperienze, tra cui quella come sous chef da Giancarlo Perbellini.

METODO

Via Vittorio Emanuele, 9 Filago (Bg) tel. 342 0365600

Caterina Vosti e Dario Gaiti
Beppe Nicotera
Francesco Casati e Ice Jaiwang
Marco Stagi

Spazio alla fantasia

DALLA SCELTA DI BIANCHI COME IL FIANO DI AVELLINO

ALLE OPZIONI ROSSE COME IL MONTEPULCIANO, SUGGERIMENTI PREZIOSI PER RENDERE MEMORABILE

IL PRANZO PASQUALE

Archiviate le festività natalizie, appena dopo la Befana, la domanda è sempre la stessa: quest’anno quando arriva la Pasqua? La Pasqua ogni anno ha una data variabile a seconda dei cicli lunari, cade infatti la domenica successiva al primo plenilunio della stagione primaverile. Una volta scoperta la data e messi da parte i calcoli astronomici, si inizia a pensare subito al tanto atteso pranzo di Pasqua, a quali piatti preparare, come presentarli, e che abbinamenti di vino proporre. Per la Pasqua solitamente trionfano sulle nostre tavole i piatti della tradizione, tra cui le erbe spontanee primaverili come carletti, bruscandoli, asparagi selvatici per la preparazione di antipasti e primi piatti, e agnello e capretto cotti al forno come secondi piatti.

I dessert per eccellenza sono l'intramontabile colomba pasquale e l'uovo di cioccolato, un dolce che accontenta tutti, dai più grandi ai più piccini. È importante saper scegliere i giusti vini da abbinare ad ogni piatto: il vino, infatti, sta assumendo sempre più importanza nell'abbinamento, diventando parte integrante del piatto stesso. Un abbinamento corretto è capace di creare un

matrimonio armonico tra il vino e il cibo, di esaltare le caratteristiche di entrambi e soprattutto bilanciarle. Una regola importante è che il corpo del vino deve essere proporzionato alla struttura del piatto e lo stesso vale per gli aromi. Inoltre il vino offre un valore aggiunto, dando contenuti in più di storia e tradizione a tavola e favorendo la convivialità. Prima di partire con i nostri consigli, diciamo subito che la vecchia regola “rosso-carne e bianco-pesce” è decaduta tempo fa. Per cui, spazio alla fantasia.

Antipasti

Se stai optando per degli antipasti classici del periodo pasquale, come ad esempio casatiello o tortano, abbinare vini giusti è davvero semplice. Scegliendo ad esempio un Fiano di Avellino non potrai sbagliare, dato che si tratta di un abbinamento tipico del territorio: ma sono interessanti anche abbinamenti con un altro bianco come il verdicchio, oppure con rossi come il Cirò, doc calabrese, oppure con un Montepulciano, doc abruzzese. Se vogliamo spingerci su vini più vicini al nostro territorio, anche un Bardolino, celebre vino veneto, si

sposerà benissimo con i tuoi rustici. Se hai scelto l'opzione torta pasqualina, anche per la Pasquetta, puoi servire insieme un Vermentino di Gallura o uno Chardonnay. Per antipasti incentrati su affettati, in attesa di iniziare il pranzo vero e proprio, consigliamo invece delle bollicine, un'ottima opzione con cui partire: Franciacorta, Trentodoc o Prosecco, ti sapranno soddisfare.

Primi piatti

I primi piatti da proporre per Pasqua sono davvero tanti: si va dalle lasagne ai cannelloni, passando dal ragù d'agnello o dai ravioli, sempre gettonatissimi. Come abbinare i vini a queste opzioni? Se parliamo di ragù d'agnello, ma anche di lasagne al ragù classico, migliori abbinamenti sono Montepulciano o Brunello di Montalcino, due vini con buon carattere, in grado di sposarsi bene con una carne così saporita. Le opzioni per la pasta ripiena vertono su vini fruttati come il Nebbiolo, o, in versione bianco, un Riesling, due vini che possono accompagnare anche i secondi piatti di carne. Se il tuo pranzo di Pasqua sarà caratterizzato dai bergamaschissimi casoncelli non sbagliare la scelta e resta sul territorio: ti consigliamo un Valcalepio Rosso DOC prodotto dall’unione di due vitigni importanti come Merlot e Cabernet Sauvignon coltivati nelle migliori posizioni della fascia collinare bergamasca.

Secondi piatti

Se parliamo di secondi sappiamo che la carne d'agnello predomina, ma anche il capretto o il maiale sono molto utilizzati: carni saporite, a cui abbinare vari vini. Si può optare per un Montepulciano, già servito con gli antipasti rustici, oppure un Aglianico del Vulture che, grazie alle note acide e al profilo tannico, tende a sgrassare. Per le costolette d'agnello, se vuoi osare, puoi proporre anche uno spumante Oltrepò Pavese, prodotto con il metodo classico e uve a base di Pinot nero. In ogni caso, se avete optato per secondi senza carne, o di carne bianca, il Chianti Classico è la scelta più equilibrata. Coloro che hanno scelto un secondo senza carne e preferiscono un bianco, possono optare per uno Chardonnay o un Pinot bianco.

Dolci

L'abbinamento più facile è forse quello con i dolci pasquali, anche se non è il più scontato. Per il più classico dei dessert, la colomba, puoi optare per un vino dolce: passito, moscato, brachetto, oppure delle bollicine come il Franciacorta, che aiuteranno a sgrassare il palato. Per quanto riguarda la pastiera, un dolce dai sapori stratificati, suggeriamo ancora un vino dalle note dolci, se si vuole andare per concordanza: Malvasia dolce, Passito di Pantelleria, Moscato d'Asti andranno benissimo; in alternativa puoi scegliere un Gewürztraminer, vino altoatesino che si sposa benissimo con i dolci grassi e complessi. Per abbinare il vino alle uova di cioccolato, degna conclusione del luculliano pranzo pasquale, puoi invece scegliere un Recioto della Valpolicella, un Amarone o anche uno dei passiti selezionati per la colomba.

ENTI BILATERALI A SOSTEGNO DEL CARO ENERGIA

Contributo a favore dei dipendenti delle aziende del terziario e del turismo per il rincaro energetico Un contributo massimo di 150 euro euro, erogato a un solo componenete del nucleo familiare

IGINIO E I SUOI PIATTI DEL CUORE

«Amo tutta la cucina, ma primi piatti in modo particolare: e da sempre ho desiderato dare vita a un volume che raccogliesse le mie ricette. Ed ora, eccolo qui». Iginio Massari, a 81 anni, sorprende con un volume dedicato ai suoi primi piatti del cuore.

Il maestro bresciano, alla guida di un impero del dolce caratterizzato da cinque pasticcerie (Milano, Torino, Firenze, Brescia e Verona) e 15 popup store dove nel complesso lavorano circa 180 persone, svela il suo grande amore per primi piatti con un’antologia dei più grandi classici della tradizione italiana (più di 80 ricette) articolata in cinque capitoli: pasta fresca, ripieni e lasagne, pasta secca, gnocchi, riso e risotti. Le ricette sono corredate da osservazioni personali e digressioni storiche, frutto anche della lunga esperienza di Massari come ristoratore con la sua insegna Carlo Magno, della bassa Val Trompia alle porte di Brescia, di cui è socio dal 1993.

L’ALTRO MASSARI GAMBERO ROSSO EDITORE - 2023 28,90 EURO

Il libro contiene 83 proposte, ma non è solo un ricettario in quanto attorno a ogni singolo piatto si intersecano la storia e la cultura della Puglia, la sua evoluzione storica, culturale e sociale.

La pubblicazione è arricchita da foto di paesaggi pugliesi che spaziano dalla Capitanata alla Murgia per poi attraversare il Tavoliere e approdare lungo la costa da Nord a Sud fino a Bari, addentrandosi in Valle d’Itria e raggiungendo l’arco ionico salentino.

PUGLIA MINA di Mina Micunco Florestano Edizioni - 2022 30 euro

L’autrice, attraverso racconti  appassionati, condivide con i lettori la sua vita intrecciata al profumo di caffè. Il libro offre anche una visione più tecnica, spiegando le differenze tra le varietà, svelando i segreti della coltivazione, della lavorazione e delle miscele più aromatiche. Non mancano indicazioni per la preparazione della tazza perfetta, attraverso tecniche classiche come la moka e metodi meno comuni come l’aeropress. Speciali le ricette come il sashimi di orata con caffè.

PROFUMO DI CAFFÈ di Gianlidia Tonoli

Guido Tommasi Editore – 2023

25 euro

Le 170 ricette raccolte in questo libro raccontano la versatilità delle zuppe in tutte le stagioni.

Il libro permette di portare a tavola il buono dell’orto con creatività e praticità. Oltre ai consigli per scegliere le materie prime, gli strumenti e le combinazioni di sapore, l’introduzione include le regole base per comporre la propria zuppa con soluzioni facili per gli errori più comuni e idee per guarnire il piatto, dagli oli aromatizzati alle sfogliatine di cavolo nero.

NON È LA SOLITA ZUPPA

Ricettari Slow Slow Food Editore – 2024 17,90 euro

A metà tra una raccolta di ricette, un memoir e un libro fotografico, il volume tratta il tema della pasta fatta in casa. L’obiettivo della foodstylist Chiara Pallotti non è chiudere il raviolo perfetto, ma cercare, attraverso un gesto antico, di sdrammatizzare le disavventure della quotidianità: impastare è terapeutico e rilassante; la concentrazione sulla gestualità libera la mente dai cattivi pensieri e pone ogni attenzione sulle mani che generano bellezza.

DI CHE PASTA SONO FATTA di Chiara Pallotti

G. Tommasi Editore - 2023

25 euro

a cura di Rosanna Scardi

SOSTENIAMO LA TUA IMPRESA

FINANZA AGEVOLATA

E CONSULENZA

Assistiamo le imprese nell’ottenimento di contributi a fondo perduto derivanti da bandi comunali, regionali e nazionali e o riamo consulenza in merito all’utilizzo di strumenti di programmazione nanziaria

GARANZIE

Rilasciamo una garanzia quali cata che consente di accedere ai nanziamenti bancari a condizioni convenzionate con gli istituti di credito

FOGALCO

Cooperativa di garanzia di Confcommercio - Imprese per l’Italia Bergamo costituita nel 1978 per sostenere le iniziative di sviluppo delle Piccole Medie Imprese e dei professionisti

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.