Bergamo Film Meeting - Catalogo 2013

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ISBN 978-88-98271-02-3

euro10,00

BERGAMO FILM MEETING 2013


Bergamo Film Meeting

Trentunesima Mostra Internazionale del Cinema d’Essai

9-17 marzo 2013


Con il patrocinio e il contributo di

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Sponsor

Le attivitĂ collaterali alla manifestazione sono sostenute da

Bergamo Film Meeting aderisce a

Partner


Media Partner

Collaborazioni

cineforum CINETECA GRIFFITH

Partner Bookshop Associazione LiBer:

a bergamo sul sentierone

libreria arnoldi dal 1913

Partner Tecnici


Ringraziamenti Per la sezione “Mostra Concorso” ringraziamo: Yariv Horowitz, Miguel Ángel Jiménez, Lars-Gunnar Lotz, Filip Marczewski, François Pirot, Jens Sjögren, Stephan Streker. Valeska Neu, Marine Réchard (Films Boutique, Berlino), Alessandro Lombardo, Kathrin Glasmacher (Media Luna New Films, Colonia), Matthias Drescher, Andrea Steiner, Grischa Sautter (FFL Film- und Fernseh-Labor Ludwigsburg), Aleksandra Biernacka (Tvp Telewizja Polska, Varsavia), Arnaud Bélangeon Bouaziz (Urban Distribution International, Montreuil Sous Bois), Gunnar Almér (Svenska Filminstitutet/Swedish Film Institute, Stoccolma), Michaël Goldberg (MG Productions, Bruxelles), Emanuela Martini, Mario Galasso (Torino Film Festival), Andrea Morini (Cineteca di Bologna), Andrea Trovesi. Per la sezione “Visti da vicino” ringraziamo: Daniel Abma, Maxime Coton, Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, Nikolaus Geyrhalter, Clarisse Hahn, Paul Lacoste, Germano Maccioni, Ilian Metev, Magali Roucaut, Rossella Schillaci, Rosa Von Praunheim, Mindaugas Survila, Zohar Wagner, Harko Wubs, Piotr Złotorowicz. Claudine Van-O (Centre Vidéo de Bruxelles), Cristina Marx (Hochschule für Film und Fernsehen Konrad Wolf, Potsdam-Babelsberg), Youn Ji (Autlook Filmsales, Vienna), Anne Laurent (Austrian Film Commission, Vienna), Michael Treves (JMT Films Distribution, Tel Aviv), Ivan Olgiati (Articolture, Bologna), Simone Bachini (Apapaja), Anne Wiedlack (M-appeal, Berlino), Fulvio Montano (Azul, Torino), Marine Réchard (Films Boutique, Berlino), Krzysztof Brzezowski (The Polish National Film, Television and Theatre School, Łódz), Samuel Blanc (Jour 2 fête, Parigi), Jurga Gluskiniene e Asta Tumaite (Production Monoklis, Vilnius), Harko Wubs (Hark’ho Film, Nijmegen). Per la personale di Robert Guédiguian, ringraziamo in particolare Robert Guédiguian, Ariane Ascaride, Julie Rhône (Agat Films & Cie). Un sentito ringraziamento a Veronica Maffizzoli, al lago, alla buona cucina e al buon vino. Per la rassegna cinematografica ringraziamo Marine Réchard e Sanam Madjedi (Films Distribution), Laurence Berbon (Tamasa), Bim Distribuzione, Sacher Film, Simona Montisci (2001 Distribuzione – Milano). Ringraziamo inoltre Luciano Barisone, Roberto Chiesi, Christophe Kantcheff, Nicola Rossello. Per la sezione “Cantiere Europa” ringraziamo Anca Damian, Sigurður Hallmar Magnússon, Gabriela Pichler, Demian Sebini, Pierre Schöller, Filippos Tsitos. Un ringraziamento particolare a Pietro Bianchi. Per aver fornito le copie e i diritti di proiezione si ringraziano Nicoletta Dose (MYmovies.it), China Åhlander (Anagram, Lund), Chris Howard (Yellow Affair, Stoccolma), Gunnar Almér (Svenska Filminstitutet/Swedish Film Institute, Stoccolma), Moviement Films (Barcellona), Pier Francesco Aiello, (PFA Films, Roma), Anastasia Plazzotta (Home Cinema Feltrinelli), Valeska Neu, Marine Réchard (Films Boutique, Berlino). Per la selezione di cortometraggi dalle scuole di cinema europee ringraziamo Daan Bakker, Josh Bamford, Cathy Brady, Afarin Eghbal, Seb Feehan, Viktoria Gurtovaj, Grzegorz Jaroszuk, Heta Jokinen, Anne Mashlanka, Miklòs Meleti, Ramona Mismetti, Libor Pixa, Fernando Pomares, Joost Reijmers, Simeon Sokerov. Un ringraziamento particolare a Germana Bianco e Laura Zagordi (Scuola di Cinema e Televisione di Milano), Stanislav Semerdijev (Cilect - Centre International de Liaison des Ecoles de Cinéma et de Télévision). Per la retrospettiva “Falso d’autore” ringraziamo il British Film Institute di Londra, in particolare George Watson, Fleur Buckley (bfi / National Film & Television Archive), Andrew Youdell (bfi / Film Distribution Library), Laurence Berbon (Tamasa Distribution), Nick Varley (Park Circus), Sébastien Tiveyrat (Swashbuckler Films), Luca Andreotti. La rassegna non sarebbe stata possibile senza il consenso dei titolari dei diritti, ringraziamo Peter Langs (Nbc Universal), Françoise Widhoff (Les Films de l’Astrophore), Maria Luisa Giordano, Raffaella Gargiulo, Giuseppe Zonno (Rai Cinema). Ringraziamo inoltre Roberta Parizzi per la rassegna “Falso d’autore” a Parma. Per l’omaggio ad Alec Guinness ringraziamo Laurence Berbon (Tamasa Distribution), Nick Varley (Park Circus), George Watson, Fleur Buckley (bfi / National Film & Television Archive), Emanuela Martini, George Smiley. La rassegna non sarebbe stata possibile senza il consenso dei titolari dei diritti, ringraziamo ancora Nick Varley (Park Circus), Geraldine Higgins, Luke Brawley (Hollywood Classics). Per la “Fantamaratona” ringraziamo la Cineteca Bruno Boschetto, Claudio Ceruti. Per le anteprime di Blancanieves e Holy Motors ringraziamo Pablo Berger, Léos Carax, Stefano Jacono (Movies Inspired). Per l’anteprima di L’uomo che corre ringraziamo Lucio Bazzana, Andrea Zambelli e Lab 80 film. Per l’anteprima di Kali, o Pequeno Vampiro ringraziamo Regina Pessoa e Ciclope Filmes. Per l’anteprima di L’Alchimista e la mostra Fotogrammi ad asciugare ringraziamo Andrea Aste, Daniela Basadelli Delegà, l’associazione artistica e culturale exfabbricadellebambole e Ananche&Ananche. Ringraziamo Simone Longaretti per l’allestimento della mostra e Natale Garofoli, per l’assistenza di sala.

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La sezione “Bergamo Film Meeting inaugura Bergamo Jazz” è organizzata in collaborazione con Bergamo Jazz. In particolare ringraziamo Enrico Rava, Barbara Crotti, Roberto Valentino, Massimo Boffelli. Per la performance musicale dal vivo, ringraziamo Daniel Kinzelman e il Pylon Trio. Per la proiezione di Sweet Smell of Success ringraziamo Nick Varley (Park Circus). Per l’appuntamento “I 50 anni del Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo” ringraziamo Silvio Galli (Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo). Per la proiezione di Dangerous Moonlight ringraziamo George Watson, Fleur Buckley (bfi / National Film & Television Archive). Per la sezione “Kino Club” ringraziamo Irene Tedeschi, Silvia Palermo, Vincenzo Beschi (Avisco – AudioVisivoScolastico), Loretta Arnold, Andrea Schneider, Marius Portmann, Fabio Friedli, Frédéric Back, Loris Mora, Johan Oettinger, Marco Pavone, Jan Svěrák. Ringraziamo inoltre Swiss Films, Veronica Barton, Nathalie Cossette (Radio-Canada), Lucilla Faedda (Salani Editore), Il Dettaglio Cinematografico, Ellen Riis (Basmati Film), Martina Moudrá (Biograf Jan Svěrák Ltd.). Per l’iniziativa “Una giornata particolare” ringraziamo Guglielmo Benedetti. Per la realizzazione della sigla ufficiale di Bergamo Film Meeting 2013 ringraziamo Walter Buonanno, Tino Tracanna, Roberto Cecchetto, Stefano Testa. Per gli allestimenti negli spazi del Festival, gli impianti di proiezione, la disponibilità delle sale, i computer e l’assistenza informatica ringraziamo Lab 80 film, Michele Nolli (Siec), Andrea Pelliccioli, Emanuele Castelli (Sps), Domenico Toscano (Mmix), Multimedia Files, FIORI Bergamo e PieffeAcme. Per la disponibilità dell’atrio del Palazzo della Libertà ringraziamo Camillo Andreana, Monica Masserdotti, Rossella Di Michele, Letterio Porto (Prefettura di Bergamo). Per l’incontro dedicato ai professionali “Follow Media” ringraziamo Silvia Sandrone, Sarah Bellinazzi (Antenna Media, Torino). Per l’iniziativa “The Blank Kitchen: Artist’s Dinner” ringraziamo Olga Vagoncini e Claudia Santeroni (Associazione The Blank). Per l’opening party della 31ª edizione del Festival ringraziamo Paolo Barbieri, Giorgio Mentisci, Tommaso (Edoné Bergamo). Per la realizzazione, gli allestimenti, l’organizzazione, l’ospitalità, gli spettacoli, i laboratori e le proposte culturali del Meeting Point ringraziamo: Stefano Ferri (Circolo Maite), Antonio Luzzio (Tecnodomes), Luciano Bettinelli (Bigmat), Mobì srl, Pedrali Dynamic Design, Faip, Satellite Records, Zanetti Hi-Fi, Antonio Terzi e Valentina Ardemagni (Birrificio Elav), Veronica Maffizzoli, Olga Vagoncini e Claudia Santeroni (The Blank), Germana Bianco e Laura Zagordi (Scuola di Cinema e Televisione di Milano), Ettore Giuradei, Marco Giuradei, Irene Tedeschi, Silvia Palermo, Vinz Beschi, Caravan Orkestrar, Fodistràss, Bergamo Sottosuolo, Jonnny Mox, Walter Leopardi, Gogol Borghezio, Domo Emigrantes, Rebeletiko, Chocolata, Twin Bros. LiBer – Associazione Librai Bergamaschi, Punto a capo Libri, Libreria Palomar, Alessia Libreria, Il Parnaso, Cartolibreria Nani, Libreria Arnoldi. Per l’iniziativa After BFM ringraziamo Francesco Traini (Confesercenti), Pietro Bresciani (Ascom), Antonio Terzi, Valentina Ardemagni, Pietro Reduzzi e tutto lo staff del Birrificio Indipendente Elav di Comun Nuovo (BG), i gestori e i collaboratori dei locali che hanno aderito al circuito: Al Quadrato, Clock Tower Pub, Crocevia, Edoné, Il Bopo, L’Art Caffè Piazza Pontida, Osteria della Birra, Osteria Tre Gobbi, Reef Café, Ritual Irish Pub, Varadero Jazz Café, Work Coffee. Ringraziamo inoltre Anaïs Kasbach e Benjamine des Courtils, (Emmanuel Proust Editions), Sylvain Dorange. Ringraziamo anche Claudio Visentin, Silvana Agazzi (Fondazione Bergamo nella Storia), Laura Landi (Turismo Bergamo), per le iniziative di promozione legate al Festival. Un sentito grazie a tutti i volontari e gli stagisti che hanno contribuito alla realizzazione della 31ª edizione di Bergamo Film Meeting: Roberta Arangio, Lorenzo Arrigoni, Francesco Begna, Simone Boglioni, Elena Bonzi, Chiara Bronzieri, Francesco Colombo, Cesare Cremonesi, Marco De Lucia, Irene Dovigo, Chiara Ferrara, Nicholas Fiorendi, Laura Grigis, Lorenzo Gaspari, Valentina Masper, Paola Mazzocchi, Valentina Monzani, Natalia Novachuk, Federico Pasta, Eleonora Perico, Tiffany Pesenti, Giulia Porcaro, Alessia Piccinelli, Michele Rota, Federica Redaelli, Luana Rossin, Laura Schena, Paola Signorelli, Katarina Stanic, Alessandra Testa, Asja Vallifuoco, Jenny Vassalli, Marco Zonca. Un ringraziamento particolare a Tiziana Pirola, Auditorium Arts, Adriano Piccardi (Cineforum), Gigi Zucchetti, Maria Traldi, Pia Conti. Per l’insostituibile presenza Paola e Giulia, Fede, Paolo. Per le pazienti attese Lilla e Buby.

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COMITATO D’ONORE Franco Tentorio Sindaco di Bergamo Claudia Sartirani Assessore alla Cultura, Spettacolo e Turismo del Comune di Bergamo Mirella Maretti Servizio Attività Culturali e Promozione Turistica del Comune di Bergamo Erminia Renata Carbone Direzione Cultura e Turismo del Comune di Bergamo Alberto Castoldi Angelo Signorelli Bergamo Film Meeting Onlus

BERGAMO FILM MEETING Presidente Alberto Castoldi Direzione Angelo Signorelli Collaborazione alla direzione e coordinamento generale Fiammetta Girola e Chiara Boffelli

La personale dedicata a Robert Guédiguian è organizzata da Angelo Signorelli, Fiammetta Girola La sezione “Cantiere Europa” è organizzata da Fiammetta Girola, Chiara Boffelli “Cantiere Europa: The Best of Cilect Prize” è organizzata da Germana Bianco, Fiammetta Girola La rassegna “Falso d’autore” è organizzata da Angelo Signorelli, Arturo Invernici L’omaggio ad Alec Guinness è organizzato da Angelo Signorelli, Arturo Invernici La Fantamaratona e la sezione Anteprime sono organizzate da Chiara Boffelli La sezione Kino Club è organizzata da Tania Avigo, Chiara Boffelli La mostra “Fotogrammi ad asciugare” è organizzata da Andrea Aste, Angelo Signorelli, Andrea Zanoli con la collaborazione di Simone Longaretti (allestimenti), Paolo Formenti

Collaborazione all’organizzazione Andrea Zanoli, Alberto Valtellina, Sergio Visinoni

Il catalogo generale è a cura di Daniela Vincenzi con la collaborazione di Angelo Signorelli, Fiammetta Girola, Arturo Invernici, Chiara Boffelli, Pietro Bianchi, Andrea Frambrosi, Alberto Valtellina

Ufficio Stampa nazionale Studio Sottocorno – Lorena Borghi

Responsabile di redazione Daniela Vincenzi

Ufficio Stampa locale Ada Tullo Stagista Francesca Riccardi

Ricerche bibliografiche e filmografiche Arturo Invernici, Daniela Vincenzi

Accrediti e Ufficio Ospitalità Fausta Bettoni Stagisti Paola Azzola, Giulia Bramati Coordinamento Comunicazione Chiara Boffelli con la collaborazione di Giulia Marxia Porcaro, Simone Boglioni (social network) La Mostra Concorso è organizzata da Chiara Boffelli, Fiammetta Girola, Angelo Signorelli Consulente Andrea Trovesi

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La sezione “Visti da vicino” è organizza da Alberto Valtellina, Sergio Visinoni, Andrea Zanoli

Materiali di documentazione e iconografici Fondazione Alasca Il catalogo “Robert Guédiguian” è a cura di Angelo Signorelli Materiali di documentazione e iconografici Agat Film & Cie, Fondazione Alasca Progetto grafico PiEFFE Grafica* con la collaborazione di Maddalena Bianchetti Ufficio stile Jena, Muttley, Minimize YP, Pancho, Zukkee Stampa Grafica Sette, Flyeralarm


Progetto After BFM Maurizio Tarallo Coordinatore tecnico Andrea Zanoli Coordinatore eventi speciali e incontri con gli autori Fausta Bettoni

Federica Redaelli, Luana Rossin, Laura Schena, Paola Signorelli, Katarina Stanic, Alessandra Testa, Asja Vallifuoco, Jenny Vassalli, Marco Zonca. Proiezionisti Alessandra Beltrame, Pietro Plati, Renato Puppi, Sergio Visinoni, Alice Rispoli

Moderatori Lorenzo Rossi, Pietro Bianchi

Proiezioni video e digitali Alberto Valtellina, Sergio Visinoni, Andrea Zanoli, MMIX, Lab 80 film

Coordinamento stagisti e volontari, progetti con scuole e università Tania Avigo

Elaborazioni e montaggi video digitali Lab 80 TUC per Lab 80 film, Stefano Testa, Sergio Visinoni

Traduzioni Pietro Bianchi, Monica Corbani, Daniela Di Pinto, Laura Pendeggia, Daniela Vincenzi

Sigla ufficiale di Bergamo Film Meeting 2013 Walter Buonanno, Tino Tracanna, Roberto Cecchetto, Stefano Testa

Sottotitoli rassegne “Robert Guédiguian”, “Falso d’autore” e “Alec Guinness” Monica Corbani, Anna Ribotta, Laura Di Mauro, Loretta Mazzucchetti, Filippo Ruffilli

Assistenza informatica Emanuele Castelli

Sottotitoli Mostra Concorso, Visti da Vicino e altre sezioni Laura Di Mauro, Chiara Ferrara, Martina Fiorellino, Loretta Mazzucchetti, Filippo Ruffilli, Daniela Vincenzi Traduzione incontri con Robert Guédiguian Monica Corbani, Anna Ribotta Fundraising Maurizio Tarallo – Laboratorio HG80 con la collaborazione di Chiara Donizelli Fotografo Renato Liguori con la collaborazione di Francesca Ferrandi

Pagine web, Media Box, BFM Mobile Emanuele Castelli (SPS) con la collaborazione di Paolo Formenti, Chiara Boffelli Archivi e database Fausta Bettoni Ospitalità e organizzazione eventi presso il Meeting Point Stefano Ferri per Circolo Maite Corriere internazionale DHL, TNT Allestimenti Grafica Sette, Mirage, Print Evolution, PieffeAcme Computer e informatica Multimedia Files

Riprese e montaggio video Stefano Testa Responsabile di sala, movimentazione copie e pratiche SIAE Dario Catozzo Assistenza sale Mauro Frugiuele (coordinatore), Erika Morali (cassiera) Volontari Roberta Arangio, Lorenzo Arrigoni, Francesco Begna, Matteo Belotti, Elena Bonzi, Chiara Bronzieri, Francesco Colombo, Cesare Cremonesi, Marco De Lucia, Irene Dovigo, Chiara Ferrara, Nicholas Fiorendi, Laura Grigis, Lorenzo Gaspari, Valentina Masper, Paola Mazzocchi, Valentina Monzani, Natalia Novachuk, Federico Pasta, Eleonora Perico, Tiffany Pesenti, Alessia Piccinelli, Michele Rota,

©Edizioni di Bergamo Film Meeting via Pignolo, 123 - 24121 Bergamo (Italia) www.bergamofilmmeeting.it ISBN 978-88-98271-02-3

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Europe loves European Festivals A privileged place for meetings, exchanges and discovery, festivals provide a vibrant and accessible environment for the widest variety of talent, stories and emotions that constitute Europe’s cinematography. The MEDIA Programme of the European Union aims to promote European audiovisual heritage, to encourage the transnational circulation of films and to foster audiovisual industry competitiveness. The MEDIA Programme acknowledges the cultural, educational, social and economic role of festivals by cofinancing every year almost 100 of them across Europe. These festivals stand out with their rich and diverse European programming, networking and meeting opportunities for professionals and the public alike, their activities in support of young professionals, their educational initiatives and the importance they give to strengthening inter-cultural dialogue. In 2012, the festivals supported by the MEDIA Programme have programmed more than 20.000 screenings of European works to nearly 3 million cinema-lovers. MEDIA is pleased to support the 31st edition of the Bergamo Film Meeting and we extend our best wishes to all of the festival goers for an enjoyable and stimulating event. European Union MEDIA PROGRAMME http://www.ec.europa.eu/information_society/media/index_en.htm

L’Europa ama i festival europei Luogo privilegiato per gli incontri, gli scambi e le nuove scoperte, i festival offrono un ambiente accessibile e vivace a un’ampia varietà di talenti, storie ed emozioni, che costituiscono la cinematografia europea. Il Programma MEDIA dell’Unione Europea mira a promuovere il patrimonio audiovisivo europeo, a incoraggiare la circolazione transnazionale di film e a favorire la competitività del settore audiovisivo. Il Programma MEDIA ha riconosciuto l’importanza culturale, educativa, sociale ed economica dei festival co-finanziando ogni anno quasi 100 manifestazioni in tutta Europa. Sono festival che si distinguono per la loro ricca e diversificata programmazione europea, per la creazione di networking e occasioni di incontro per i professionisti e il pubblico, per la loro attività a sostegno dei giovani professionisti, per le loro iniziative educative e per l’importanza che danno al rafforzamento del dialogo inter-culturale. Nel 2012, i festival sostenuti dal Programma MEDIA hanno proposto più di 20.000 opere europee a più di 3 milioni di amanti del cinema.

MEDIA è lieto di sostenere la 31a edizione di Bergamo Film Meeting e augurare a tutti i frequentatori del festival un’esperienza stimolante e divertente. Unione Europea MEDIA PROGRAMME http://www.ec.europa.eu/information_society/media/index_en.htm

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Associazione Festival Italiani di Cinema Nel complesso del sistema audiovisivo italiano, i festival rappresentano un soggetto fondamentale per la promozione, la conoscenza e la diffusione della cultura cinematografica e audiovisiva, con un’attenzione particolare alle opere normalmente poco rappresentate nei circuiti commerciali come ad esempio il documentario, il film di ricerca, il cortometraggio. E devono diventare un sistema coordinato e riconosciuto dalle istituzioni pubbliche, dagli spettatori e dagli sponsor. Per questo motivo e per un concreto spirito di servizio è nata nel novembre 2004 l’Associazione Festival Italiani di Cinema (Afic). Gli associati fanno riferimento ai principi di mutualità e solidarietà che già hanno ispirato in Europa l’attività della Coordination Européenne des Festivals. Inoltre, accettando il regolamento, si impegnano a seguire una serie di indicazioni deontologiche tese a salvaguardare e rafforzare il loro ruolo. L’Afic nell’intento di promuovere il sistema festival nel suo insieme, rappresenta già oggi più di trenta manifestazioni cinematografiche e audiovisive italiane ed è concepita come strumento di coordinamento e reciproca informazione. Aderiscono all’Afic le manifestazioni culturali nel campo dell’audiovisivo caratterizzate dalle finalità di ricerca, originalità, promozione dei talenti e delle opere cinematografiche nazionali ed internazionali. L’Afic si impegna a tutelare e promuovere, presso tutte le sedi istituzionali, l’obiettivo primario dei festival associati.

The Association of Italian Film Festivals Within the framework of the Italian audiovisual system, film festivals are fundamental in the promotion, awareness and diffusion of cinema and audiovisual culture, as they pay particular attention to work that is usually not represented by commercial circuits, such as, for example, documentaries, experimental films and short films. And they must become a system that is coordinated and recognized by public institutions, spectators and sponsors alike. For this reason, and in the explicit spirit of service, the Association of Italian Film Festivals (Afic) was founded in November, 2004. The members follow the ideals of mutual assistance and solidarity that are the guiding principles of the Coordination Européenne des Festivals and, upon accepting the Association’s regulations, furthermore strive to adhere to a series of ethical indications aimed at safeguarding and reinforcing their role. In its objective to promote the entire festival system, the Afic already represents over thirty Italian film and audiovisual events and was conceived as an instrument of coordination and the reciprocal exchange of information. The festivals that are part of the Afic are characterized by their search for the new, originality, and the promotion of talent and national and international films. The Afic is committed to protecting and promoting, through all of its institutional branches, the primary objective of the member festivals. Associazione Festival Italiani di Cinema (Afic) Via Villafranca, 20 - 00185 Roma, Italia

Coordinamento dei Festival e delle Iniziative Cinematografiche della Lombardia Questo coordinamento nasce dall’esigenza di costruire un progetto in comune tra le iniziative che da anni svolgono un ruolo determinante sul territorio lombardo, con specificità diverse ma con intenti comuni di approfondimento e diffusione della cultura cinematografica e audiovisiva in genere. Il cinema continua ad essere un momento importante e necessario di partecipazione e aggregazione del pubblico e di riflessione sui grandi temi della contemporaneità. Il sistema dei Festival e di altre iniziative legate in particolare all’associazionismo, alla distribuzione e all’esercizio inteso come organizzazione di circuiti di sale, gioca un ruolo importante per la formazione degli spettatori e per la valorizzazione delle opere di qualità. Da un anno ormai il Coordinamento sta lavorando, tra l’altro, sull’organizzazione di iniziative in comune, la messa in rete delle proposte, la condivisione di strategie per la diffusione delle opere e degli autori, un più intenso scambio di idee e momenti di verifica sui lavori in corso, con la convinzione che il confronto è sempre la strada migliore. This coordinating group comes from the need to build up a common project by the initiatives which for several years have played a decisive role in Lombardy, with different specificities but with common intentions of studying and diffusing film and audiovisual culture in general. The cinema continues to be an important and essential occasion for participation and aggregation by the public and for reflection on the major issues of the contemporary period. The system of the Festivals and of other initiatives linked in particular to associations, distribution and exhibition understood as the organization of circuits of cinemas, plays an important role in forming audiences and promoting quality films. The Coordinating Group has now been at work for one year, organizing common initiatives, pooling proposals, sharing strategies for the distribution of films and directors and with a more intense exchange of ideas and opportunities to monitor works in progress, with the conviction that discussion is always the best path to take.

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Sommario pag. 13 Un festival che parla al presente MOSTRA CONCORSO • EXHIBITION COMPETITION 18 Rock ba’kasba/Rock the Casbah • Chaika/Seagull • Schuld sind immer die Anderen/Shifting the Blame • Bez wstydu/Shameless • Mobile Home • Lycka till och ta hand om varandra/Good Luck. And Take Care of Each Other • Le monde nous appartient/The World Belongs to Us VISTI DA VICINO • CLOSE EUP 33 L’invisibile e l’impossibile. La vita che vale di Alberto Valtellina 34 Nach Wriezen/Beyond Wriezen • A l’oeuvre/At Work • Materia oscura • Donauspital SMZ Ost/Danube Hospital • Notre corps est une arme – Prisons/Our Body Is a Weapon – Prisons • Entre le Bras/Step Up to the Plate • Fedele alla linea • Poslednata lineika na Sofia/Sofia’s Last Ambulance • La friche/Wasteland • Il limite • Stebuklų laukas/The Field of Magic • König des Comics/King of Comics • Yemei hazohar/ Doll – Why Did You Dance Naked? • Dit is hoe een land ontstond/This Is How a Country Became • Wiosna, lato, jesień/Spring, Summer, Fall 50 CANTIERE EUROPA 53 Esercizi per vedere una crisi di Pietro Bianchi 62 Crulic – Drumul spre dincolo/Crulic, la strada per l’aldilà • Iceland: Year Zero • Äta sova dö/Eat Sleep Die • Terrados/Rooftops • L’exercice de l’État/Il Ministro. L’esercizio dello Stato • Adikos kosmos/Unfair World 68 CANTIERE EUROPA: THE BEST OF CILECT PRIZE Jacco’s Film • Eighty Eight • Small Change • Abuelas/Grandmothers • Der Mond ist ein schöner Ort/The Moon Is a Wonderful Place to Live • Opowiesci z chlodni/ Frozen Stories • Sivussa/Murky Papers • Dos au mur/Back Against the Wall • Forcine • Graffitiger • Alto Sauce • Een bizarre samenloop van omstandigheden/A Curious Conjunction of Coincidences • 5 Times ANTEPRIME 77 L’Alchimista • Blancanieves • Holy Motors • Kali, o Pequeno Vampiro/Kali, the Little Vampire • L’uomo che corre BERGAMO FILM MEETING INAUGURA BERGAMO JAZZ 82 Sweet Smell of Success/Piombo rovente i 50 anni del Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo 83 Dangerous Moonlight


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ALEC GUINNESS: UNO, NESSUNO, CENTOMILA Un genio anonimo di Emanuela Martini Gli occhiali di George Smiley di Arturo Invernici Filmografia di Alec Guinness a cura di Arturo Invernici Last Holiday • The Lavender Hill Mob/L’incredibile avventura di Mr. Holland • The Man in the White Suit/Lo scandalo del vestito bianco • The Card/Asso pigliatutto • The Captain’s Paradise/Il paradiso del capitano Holland • The Prisoner/Il prigioniero • To Paris with Love/Due inglesi a Parigi • Barnacle Bill/Il capitano soffre il mare • The Horse’s Mouth/La bocca della verità • The Scapegoat/ Il capro espiatorio • Tinker Tailor Soldier Spy/La talpa FALSO D’AUTORE Le cadavre exquisi, ovvero: non illudersi di non sapere di Andrea Frambrosi The Trouble with Harry/La congiura degli innocenti • The Man Who Never Was/ L’uomo che non è mai esistito • Vertigo/La donna che visse due volte • Blind Date/ L’inchiesta dell’ispettore Morgan • Plein soleil/Delitto in pieno sole • Man’s Favorite Sport?/Lo sport preferito dall’uomo • Monsieur/Intrigo a Parigi • The Honey Pot/ Masquerade • F for Fake/Vérités et mensonges/F come falso – Verità e menzogne • M. Klein/Mr. Klein • Zelig FANTAMARATONA House on Haunted Hill/La casa dei fantasmi • Murder by Death/Invito a cena con delitto ROBERT GUÉDIGUIAN Scegliere da che parte stare di Angelo Signorelli Dernier été • Ki lo sa? • Rouge midi • Dieu vomit les tièdes • L’argent fait le bonheur • À la vie, à la mort! • Marius et Jeannette/Marius e Jeannette • À la place du coeur/Al posto del cuore • La ville est tranquille/La ville est tranquille – La città è tranquilla • À l’attaque! • Marie-Jo et ses deux amours/Marie-Jo e i suoi 2 amori • Mon père est ingénieur • Le promeneur du Champ de Mars/Le passeggiate al Campo di Marte • Le voyage en Arménie • Lady Jane • L’armée du crime • Les neiges du Kilimandjaro/ Le nevi del Kilimangiaro KINO CLUB Kino Club e oltre Strappi • Viaggio marino spaziale poetico ambientale • Heimatland • L’homme qui plantait des arbres/The Man Who Planted Trees • Caterina e il magico incontro • Seven Minutes in the Warsaw Ghetto • Zero Zero • Kuky se vrací/Kooky Indice dei registi • Index to directors Indice dei film • Index to films Indice generale • Contents



Un festival che parla al presente Cominciamo subito dicendo che quest’anno ci sono alcune novità. La prima riguarda un riconoscimento istituzionale molto importante, che premia l’attività trentennale di Bergamo Film Meeting e che è giunto molto gradito a tutti coloro che per il festival lavorano e ci mettono anche molta passione ed entusiasmo. Il Comune di Bergamo, con delibera unanime di Giunta, ha assegnato lo scorso dicembre la Medaglia d’Oro di civica benemerenza alla nostra Associazione come «punto di eccellenza nella cultura cinematografica nazionale». Esprimiamo un sentito ringraziamento ai gruppi consiliari che hanno formulato la proposta e alla Giunta che ha deliberato l’assegnazione. È un premio importante, l’apprezzamento per una “carriera” che può contare risultati significativi e riconosciuti da tutti, sia per la proposta culturale nel suo complesso, sia per l’attività di promozione e diffusione del “cinema che c’è ma non si vede”. Sarà certo un fiore all’occhiello che Bergamo Film Meeting porterà con orgoglio negli anni in cui ancora riuscirà a svolgere le sue iniziative. La seconda novità è che Bergamo Film Meeting, in questa edizione, assegna un premio in denaro al film vincitore della sezione Mostra Concorso. Questo ci fa molto piacere, è un traguardo che inseguivamo da anni e che ha potuto concretizzarsi grazie a un contributo specifico della Banca Popolare di Bergamo, uno dei tradizionali enti sostenitori del festival, attraverso la sua Fondazione. Il film vincitore ha, così, la soddisfazione di portare a casa non solo un riconoscimento di merito, ma un aiuto economico che la produzione potrà utilizzare per mettere in cantiere un altro film. Se si considera il fatto che il concorso di Bergamo Film Meeting riguarda opere prime e seconde, realizzate da produttori indipendenti, il significato di un sostegno in denaro acquista un valore non secondario. Inoltre, questo premio attribuisce maggiore responsabilità al nostro pubblico, che può sentirsi ancora più partecipe e responsabile delle scelte fatte. La terza novità è che ai tradizionali luoghi del festival si aggiunge una sala del cinema San Marco, che resta aperta tutto il giorno da lunedì a venerdì: oltre alla rassegna Visti da Vicino, qui sono presentate le repliche dei film in concorso e la serie tv che vede protagonista Alec Guinness. Il vantaggio di questa sala è che si trova a due minuti di cammino dall’Auditorium e dà modo allo spettatore di organizzare le visioni senza il rischio di arrivare in ritardo, spostandosi da una sala all’altra. L’impegno degli organizzatori continua nella direzione di ampliare la proposta e quindi i percorsi individuali di visione e di offrire spazi che garantiscono comfort e qualità delle proiezioni. Il cinema San Marco è attrezzato per la proiezione in DCP, lo standard ad alta definizione che sta sostituendo la pellicola – ormai in via di estinzione, entro il 2013 – per quanto riguarda i film in uscita. L’ultima novità, ma non meno importante, è la collocazione dell’area abbonamenti e biglietteria nell’atrio principale del Palazzo della Libertà, uno spazio molto ampio e funzionale che è stato messo a disposizione dalla Prefettura di Bergamo. 13


Le nevi del Kilimangiaro

Bergamo Film Meeting rimane un cantiere aperto, sia riguardo alle questioni organizzative e logistiche che alle sezioni del programma. Quest’anno, avendo una sala in più, si è pensato prima di tutto di collocare in un luogo più comodo la sezione Visti da Vicino, che sta rivelandosi una proposta molto interessante e aperta a esperienze produttive molto vivaci e stimolanti, soprattutto in Europa. Le repliche dei film della Mostra Concorso possono risultare comode per chi non riesce a mantenere una presenza costante per tutta la settimana, nell’orario di prima serata all’Auditorium. Al cinema San Marco saranno proiettate anche le sette puntate dell’avvincente miniserie televisiva britannica La talpa, tratta dall’omonimo romanzo di John le Carré, con la regia di John Irvin, e superbamente interpretata da Alec Guinness. È la prima delle due miniserie televisive in cui l’attore inglese veste i panni di George Smiley, curiosa figura di antieroe borghese. Le Carrè stesso affermò in un’intervista che l’interpretazione magistrale di Guinness gli sottrasse in qualche modo Smiley e lo spinse a spostarsi su altri personaggi in libri successivi. Ad Alec Guinness è dedicato un omaggio attraverso alcune sue interpretazioni degli 14


anni Cinquanta, che lo consacrarono come uno dei più grandi attori sulla scena teatrale e cinematografica. Il festival aveva già presentato alcuni film famosi da lui interpretati, come Grandi speranze, Le avventure di Oliver Twist, La signora omicidi, Sangue blu, Il nostro agente all’Avana, che, naturalmente, non saranno riproposti. La retrospettiva quest’anno incontra un autore contemporaneo, Robert Guédiguian, nato nel 1953, con all’attivo diciassette film. Di padre armeno e madre tedesca, il regista francese vive la sua giovinezza a Marsiglia, nel quartiere dell’Estaque, e qui è ambientata la maggior parte dei suoi film. La scelta di Guédiguian segue un po’ quella di Aranoa dello scorso anno ed è rivolta a un cinema che si potrebbe definire “realistico”, particolarmente attento al sociale e alle persone più deboli e svantaggiate. I film di Guédiguian parlano di lavoro, di disoccupazione, di disagio, di sofferenza, ma senza rinunciare, a volte, ai toni della commedia. Solide strutture narrative, un accurato lavoro di sceneggiatura, la presenza di attori fedeli e di provata professionalità: un cinema che si mette dalla parte di chi non possiede nulla, se non la grandezza della propria dignità e un senso della giustizia che trova alimento nell’amicizia e nella solidarietà. Crisi della società, crisi dei valori, crisi economica, crisi dell’Europa: ancora un “cantiere”, quello del vecchio continente, come intitoliamo un’altra sezione di questa edizione, Cantiere Europa, più attenta che in passato ai temi della contemporaneità. Film che parlano, anche qui, di lavoro, di conflitti, di individualità che stentano a trovare il loro posto nel mondo. L’Europa fa fatica a trovare la sua identità politica, l’unità che si tradurrebbe in una più incisiva azione comune contro le derive naziste, populiste e antidemocratiche e le loro ricadute devastanti sui rapporti tra le persone. Stare dentro la realtà, le sue contraddizioni, stranezze, espressioni singole e collettive: questo è l’elemento comune alle opere della sezione Visti da Vicino, un viaggio nel documentario, anche se il termine risulta ormai alquanto riduttivo, che oggi significa creazione, ricerca, interpretazione, rappresentazione di diversità, utilizzo di linguaggi nuovi. Un “genere” che mostra una grande vitalità, smania di scoperta, voglia di rischiare e di mettersi in gioco. E poi c’è il cinema del passato, con la già citata rassegna dedicata ad Alec Guinness, attore poliedrico e trasformista, dotato di un aplomb tutto britannico qualsiasi ruolo interpreti, capace di comporre ritratti indimenticabili con piccole variazioni della gestualità e del volto. Ma il cinema del passato ci piace frequentarlo inventandoci tracciati tematici, esplorazioni per “categorie”, come è il caso di Falso d’autore, un gioco di rimandi, di rispecchiamenti, di deviazioni, di ambiguità su un elemento che è costitutivo del cinema stesso. Il falso sotto diverse sembianze – è questo è già un gioco di parole – per far viaggiare la nostra mente nell’universo dell’incertezza, della suspence, tra giochi di specchi e inquietanti disvelamenti. Insomma, sono nove giorni intensi di cinema, di incontri con gli autori presenti, di approfondimenti, ma anche di festa, con Piazza Libertà animata giorno e notte da momenti di intrattenimento, con le due tensostrutture sempre aperte: in una la libreria e i gadget, nell’altra il bar, la musica, le degustazioni, la birra artigianale per rilassarsi tra una proiezione e l’altra. L’impegno ce l’abbiamo messo, i soldi non sono molti, ma si tira avanti, pensando a chi, in questi tempi di crisi, se la passa davvero male. Bergamo Film Meeting 15



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Yariv Horowitz

Rock ba’kasba

Rock the Casbah

Israele • Francia/Israel • France, 2012, 93’, col.

Regia/Director Yariv Horowitz Sceneggiatura/Screenplay Yariv Horowitz, Guy Meirson Fotografia/Cinematography Amnon Zalait Montaggio/Editing Isaac Sehayek Scenografia/Set design Guy Meirson, Yariv Horowitz Costumi/Costume design Inbal Shuki Musica/Music Assaf Amdursky Suono/Sound Gil Toren Interpreti/Cast Yon Tumarkin (Tomer), Roy Nik (Aki), Henry David (Iliya), Lavi Zytner (Izak), Yotam Ishay (Ariel), Iftach Rave (Haim), Angel Bonanni (Haliva), Shmulik Chelben (Israel), Khaula Al Haji-Daibsi (Samira), Adel Aboul Raya (Muchamad), Karim Salama Ahmed (Walid), Vladimir Freedman (il padre di Iliya/Iliya’s father) Produttori/Producers Michael Sharfstein, Moshe Edery, Leon Edery Produzione/Production Topia Communications, United King Films, ARTE France Cinéma Distribuzione, Contatti/ Distribution, Contacts Films Boutique, Köpenicker Strasse 184, 10997 Berlin, Germany, tel. +49 30 69537850, fax +49 30 69537851, info@filmsboutique.com, www.filmsboutique.com

Filmografia/Filmography Rock ba-kasba (Rock the Casbah, 2012) The Ran Quartet (tv series, 2008) Limozina (tv series, ep. 1-3, 2005) Aftershock (short doc, 2002) Zbeng (tv series, 1998) Hartzufim (Spitting Image, tv show, 1996)

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Rock the Casbah [t.l.] 1989, prima intifada palestinese. In un’epoca di crescente domanda di indipendenza, lo Stato di Israele invia giovani soldati per sorvegliare la popolazione araba nei Territori Occupati. Nel corso di un pattugliamento di routine, uno di loro viene brutalmente ucciso. Il diciottenne Tomer, insieme ad altri tre giovani compagni di stanza a Gaza, riceve l’ordine di insediarsi sul tetto dell’abitazione di una famiglia palestinese al fine di tenere sotto stretto controllo il quartiere e individuare il colpevole. Le reclute dovranno trovare il proprio ruolo nel caos che li circonda, arrivando a una consapevolezza nuova non solo della situazione politica ma anche esistenziale. Yariv Horowitz (Israele) esordisce alla regia all’età di diciotto anni con video musicali, passando poi a spot pubblicitari, alla televisione e al documentario. Il suoi primi ricordi d’infanzia sono le sirene della guerra arabo-israeliana del 1973 quand’era all’asilo in un campo militare. In camera aveva i poster di Moshe Dayan e di altri generali e politici israeliani, così come l’album della vittoria della Guerra dei sei giorni (510 giugno 1967), in cui suo padre aveva combattuto. Rock the Casbah è il suo primo lungometraggio, presentato al festival di Gerusalemme nel 2012 e in anteprima internazionale alla Berlinale 2013. «Sin da bambino sono stato circondato da storie di guerra e di eroismo. Mio fratello aveva combattuto in Libano e a scuola mi avevano insegnato che la lotta per la liberazione della Terra Santa era una giusta causa. Come regista, ho esplorato i generi più diversi, cercando costantemente di diventare il miglior narratore possibile con il mezzo che utilizzavo, sia che fosse il cortometraggio, la televisione o il documentario. Rock the Casbah è un progetto che ho sempre voluto realizzare. Innanzitutto, sono stato un grande fan dei film di guerra già da piccolo, e dopo il servizio militare ho trovato la storia giusta per il mio “film di guerra israeliana”. Per molti versi, questo film è un omaggio ai miei amici d’infanzia che hanno prestato servizio con me nei Territori Occupati. È stato difficile ottenere il budget, ma dopo il passaggio di Aftershock su Channel4 (Inghilterra) è stato più facile trovare i finanziamenti. A quel tempo avevo ottenuto un incarico dalle Forze di Difesa Israeliane per realizzare un film per i corpi di addestramento e l’esercito sperava che il film potesse sollevare il morale a Nablus. In quell’occasione avevo intervistato quattro soldati che prestavano servizio nei Territori Occupati durante la prima intifada palestinese. Dieci anni dopo sono tornato a quel soggetto in un film di finzione».


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Rock the Casbah 1989, the first Palestinian Intifada. In an era of increasing demands for independence, the State of Israel sends young soldiers to oversee the Arab population in the Occupied Territories. During a routine patrol, one of them gets killed. The 18-year-old Tomer, together with other three young companions stationed in Gaza, is commanded to take up position on the roof top of a Palestinian family in order to keep a close watch on the neighborhood and find the responsible. The rookies will have to find their place in the chaos surrounding them, coming to a new insight not only about the political but existential situation as well. Yariv Horowitz (Israel) started directing at eighteen with music videos, moved on to commercials, television and documentaries. His first childhood memories were the sirens of the Yom Kippur War in 1973 when he spent kindergarten in an army camp. In his room he had posters of Moshe Dayan and other Israelian generals and politicians, as well as the album of the Six-Day War’s victory (510 June 1967), in which his father had fought. Rock the Casbah is his first feature film, screened at Jerusalem IFF 2012 and international premiere at Berlin 2013. «Since I was child I was surrounded by stories of war and heroism. My brother had fought in Lebanon and at school I was taught the struggle to liberate the Holy Land was a good thing. As a director, I explored most of the different genres, always trying to become the best storyteller I can in that medium, either short, television or documentary. Rock the Casbah is a project I always wanted to do. First, I was a big fan of war films when I was a kid, and after my military service I found the right story for my “Israeli war film”. In many ways, this film is a tribute to my childhood friends who served with me in the Occupied Territories. It was difficult to get the budget, but after I released Aftershock to Channel4 (England) it was easier to find financings. At that time I’ve got a commission by the Israel Defense Forces to make a film for the Educational Corps and the army hoped the film would boost the morale in Nablus. There I interviewed four soldiers who served in the Occupied Territories during the first Palestinian intifada. Ten years later I’ve come back to that story in a fictional film». 19


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Miguel Ángel Jiménez

Chaika

Seagull

Russia • Georgia • Spagna/Russia • Georgia • Spain, 2012, 100’, col.

Regia/Director Miguel Ángel Jiménez Sceneggiatura/Screenplay Luis Moya, Miguel Ángel Jiménez Fotografia/Cinematography Gorka Gómez Andreu Montaggio/Editing Imanol Gómez de Segura Costumi/Costume design Nikoloz Gurapashvili, Teo Berianidze Musica/Music Pascal Gaigne Suono/Sound Aitor Acosta Interpreti/Cast Salome Demuria (Ahysa), Giorgi Gabunia (Asylbek), Bachi Lezhava (Hojanias), Salome Mikhelashvili (Ganivet), Ciala Gurgenidze (Aliya), Aytuar Issayev (Tursyn bambino/child), Bolatbek Raimkulov (Tursyn adulto/adult), Zhaksbek Kurmambekov (Zora), Maka Shalikashvili (Dilnara) Produttori/Producers Miguel Ángel Jiménez, Imanol Gómez De Segura, Gorka Gómez Andreu, Luis Moya Produzione/Production Kinoskopik Film Produktion Distribuzione, Contatti/ Distribution, Contacts Media Luna New Films, Aachener Strasse 24, 50674 Cologne, Germany, tel. +49 221 51091891, fax +49 221 51091899, info@medialuna.biz, www.medialuna.biz, www.chaikafilm.com

Filmografia/Filmography Khorosho (short, 2010) Ori (The Two, 2009) El coro de la cárcel (tv, 2008-2009) Menuda decisión (tv, 2007) Días de el abanico (doc, 2007) Las huellas (short, 2003)

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Gabbiano [t.l.] I destini di Ahysa e Asylbeck si incrociano su una nave cargo in mezzo al mare. Lei è una giovane prostituta di orgine kazaka, incinta, lui un generoso marinaio russo. Entrambi cercano di dare un senso alle proprie vite e pensano di poterlo fare insieme. Ahysa e il piccolo Tursyn, suo figlio, seguono Asylbeck: prima nell’eterno inverno di un’isolata fattoria in Siberia, poi nell’estate delle aride steppe del Kazakistan. Anni dopo, Tursyn torna a casa per confrontarsi con ciò che resta della sua famiglia: un vecchio nomade che sta per morire, suo nonno, e un padre alla deriva. Entrambi cercano di ripercorrere i vaghi ricordi che Tursyn ha di sua madre, come frammenti disseminati nelle lande più remote della terra, quasi alla fine del mondo. Miguel Ángel Jiménez (Madrid, Spagna 1979) abbandona la laurea in giurisprudenza per iscriversi al corso di fotografia presso la TAI School di Madrid. Il suo primo cortometraggio Las huellas (2003) è coprodotto da Aki Kaurismäki. Nel 2007, con altri tre soci, fonda la Kinoskopik Film Produktion e realizza il documentario Días de el abanico. Il suo film di esordio Ori (2009), presentato a Bergamo Film Meeting 2010, ha vinto il primo premio al Tetouan IFF 2010. Nello stesso anno ha diretto il cortometraggio Khorosho, selezionato in vari festival nazionali e internazionali. Tra il 2008 e il 2009 ha lavorato come regista televisivo alla seconda edizione del reality El coro de la cárcel per la TVE. Chaika è il suo secondo lungometraggio. «L’idea di partenza nel scegliere una location così suggestiva per il film – Chaika è ambientato in Siberia, ma è stato girato in Georgia e Kazakistan – venne dal fatto che nessuno di noi sapeva nulla di quel Paese. Avevamo visto lo scatto di un fotografo norvegese, Jonas Bendiksten, della Magnum, che ritraeva dei bambini che giocavano con i resti di un razzo in mezzo alla steppa. Rimanemmo così affascinati che decidemmo di andare a conoscere quei luoghi. Così affittammo un furgone e girammo tutto il Kazakistan, alla scoperta dei luoghi che vediamo nel film, ma anche alla scoperta della gente che lì vive e di molte delle loro storie. Il Kazakistan, come è noto, è una terra di nomadi. Quando fu annesso alla Russia nel XVIII secolo, il nomadismo fu proibito. Ciò significò un grande cambiamento nella qualità della vita di questa gente. C’era molta fame, molti di loro morirono. Attualmente, la maggior parte dei kazaki è stabilmente insediata e vive una vita moderna. Il film è basato sulle cose che abbiamo visto e di cui abbiamo sentito parlare. Naturalmente c’è molto di invenzione, ma i protagonisti e i principali snodi narrativi del film sono interamente ispirati a persone e fatti reali».


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Seagull The paths of Ahysa and Asylbeck cross on a cargo ship in the middle of the sea. She is a young prostitute from Kazakhstan, and she is pregnant; he is a generous Russian sailor. Both of them are trying to give a meaning to their lives and think they can do it together. Ahysa and little Tursyn, her son, follow Asylbeck: before in the eternal winter of an isolated farm in Siberia, then in the summer of the arid steppes of Kazakhstan. Years later, Tursyn returns home to face what remains of his family: an old nomad about to die, his grandfather, and a shipwrecked father. Both of them will bring back the vague memories that Tursyn has of his mother, as fragments scattered in the remotest moors of the earth, almost at the end of the world. Miguel Ángel Jiménez (Madrid, Spain 1979) left a degree in law to study cinematography at the TAI School in Madrid. His first short film Las huellas (2003) was coproduced by Aki Kaurismäki. In 2007, with other three partners, he founded Kinoskopik Film Produktion and made the documentary Días de el abanico. His debut film Ori (2009), screened at Bergamo Film Meeting 2010, won the first prize in Tetouan IFF 2010. In the same year he directed the short film Khorosho, selected in various national and international film festivals. During 2008-2009 he worked as tv director during the second edition of reality show El coro de la cárcel for TVE. Chaika is his second feature film. «The basic idea behind making a film in such a suggestive location – Chaika is set in Siberia but was shot in Georgia and Kazakhstan – came out because we didn’t know anything about that country. We had seen a photograph by a Norwegian photographer, Jonas Bendiksten, from Magnum, showing some kids playing with what remained of a rocket in the middle of the steppe. We were so intrigued that we really wanted to go and see those places. So we rented a van and went all around Kazakhstan, discovering the places we see in the movie, but also discovering people there and a lot of their stories. Kazakhstan, as you know, is a land of nomads. When it became part of Russia in the 18th century, nomadism was forbidden. This brought a big change in the quality of life for those people. There was a lot of hunger, and many of them died. Nowadays, most of them are settled and live a modern life. The film is based on things we have seen and we have heard of. Of course, we invented many things, but the main characters and the main narrative points are entirely based on real people and real stories». 21


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Lars-Gunnar Lotz

Schuld sind immer die Anderen

Shifting the Blame

Germania/Germany, 2012, 93’, col.

Regia/Director Lars-Gunnar Lotz Soggetto/Story Lars-Gunnar Lotz, Anna Maria Prassler Sceneggiatura/Screenplay Anna Maria Prassler Fotografia/Cinematography Jan Prahl Montaggio/Editing Julia Böhm Scenografia/Set design Ina Küfner Costumi/Costume design Ulé Barcelos, Tanja Gierich Musica/Music Sea + Air Suono/Sound Christian Heck Interpreti/Cast Edin Hasanovic (Benjamin), Julia Brendler (Eva), Marc Ben Puch (Niklas), Pit Bukowski (Tobi), Natalia Rudziewicz (Mariana), Aram Arami (Emre), Oliver Konletzny (Alex), Kais Setti (Samir), Alexander Becht (Steffen) Produttori/Producers Matthias Drescher, Philipp Knauss, Sebastian Sawetzki, Manuel Challal Produzione, Distribuzione, Contatti/ Production, Distribution, Contacts FFL Film-und Fernseh-Labor GmbH, Hoferstrasse 20, D-71636 Ludwigsburg, Germany, tel. +49 7141 4888433, fax +49 7141 4888424, info@ffl.de, www.ffl.de, www.schuld-sind-immer-die-anderen.de

Filmografia/Filmography Schuld sind immer die Anderen (Shifting the Blame, 2012) Life Is a Journey (doc, 2010) Für Miriam (For Miriam, 2009) Lisanne (short, 2005)

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La colpa è sempre degli altri [t.l.] Ben è un giovane violento che ha commesso degli errori. Ma l’assistente sociale Niklas gli offre la possibilità di un nuovo inizio a Waldhaus: un progetto di riabilitazione in regime di libertà vigilata in una comunità di tipo familiare. Non ci sono né recinzioni né muri, ma una rigida routine quotidiana, innumerevoli regole e valutazioni che consentono scatti di gerarchia. Quando la moglie di Niklas, Eva, torna a Waldhaus dopo un periodo di assenza, Ben è sconvolto. Eva, infatti, è una delle sue vittime. Ben fa del suo meglio per non attirare l’attenzione, ma Eva inizia fin da subito a sospettare qualcosa. Ciò che insieme vivono diventa un banco di prova cruciale per entrambi. Lars-Gunnar Lotz (Bad Ischl, Austria, 1982) è cresciuto nei pressi di Colonia. Dopo aver fatto un po’ di pratica nel mondo del cinema, ha studiato prima comunicazione visiva all’Università di Kassel e, dal 2005, regia presso la Filmakademie Baden-Württemberg di Ludwigsburg. Il suo primo cortometraggio Lisanne ha ottenuto numerosi riconoscimenti internazionali. Nel 2007 ha partecipato a un progetto di scambio interculturale di tre mesi presso La Fémis di Parigi e nel 2009 ha vinto una borsa di studio all’UCLA di Los Angeles. Il suo mediometraggio For Miriam, presentato alla Berlinale nel 2009, si è aggiudicato il premio per la migliore attrice. Shifting the Blame è il suo primo lungometraggio. «All’inizio c’era solo l’idea di fare qualcosa sugli assistenti sociali. E come inizio sembra piuttosto noioso. Ma molti dei miei amici lavorano nel sociale e le loro storie mi sono sempre sembrate stimolanti. Credo che il loro lavoro raramente incontri l’attenzione del cinema. Inoltre, io stesso sono stato impegnato nel volontariato giovanile per molti anni. Con Anna Maria Prassler, co-soggettista e co-sceneggiatrice del film, ci siamo dedicati alla ricerca di un approccio particolare e avvincente. Per caso abbiamo scoperto il Seehaus Leonberg, un istituto dove i detenuti possono scontare la pena fuori dalle mura del carcere, un caso unico nel suo genere. Qui, questi ragazzi sperimentano spesso per la prima volta una vera esperienza familiare, vivendo insieme agli assistenti sociali e alle loro famiglie. Abbiamo usato questa idea come punto di partenza per costruire la storia di Ben, il giovane criminale che a sorpresa incontra la sua vittima, Eva, nel ruolo della sua assistente sociale. Il mio obiettivo non era quello di parlare di casi disperati o violenti “animali”, come spesso vengono etichettati. Volevo raccontare una storia che non rinnega questi ragazzi, ma che crede in loro».


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Shifting the Blame Ben is a violent young man who has gone down the wrong path. But social worker Niklas offers him the chance of a fresh start at Waldhaus: a rehabilitation project under probation in a familylike community. There are neither fences nor walls, but a strict daily routine, never ending rules and evaluations that enable a rise in hierarchy. When Niklas’ wife, Eva, returns at Walhaus after an absence, Ben is shocked. Indeed Eva has been one of his victims. Ben does his best not to attract attention, but Eva soon starts to suspect something. What they live together evolves into a crucial test for them both. Lars-Gunnar Lotz (Bad Ischl, Austria, 1982) grew up near Cologne. After gaining hands on experience in the filmbusiness, he first studied visual communication at the University in Kassel and, from 2005, directing at the Filmakademie Baden-Württemberg in Ludwigsburg. His first short film Lisanne got several international awards. In 2007 he took part in a 3-month exchange program at La Fémis in Paris and in 2009 he won a scholarship at the University of California in Los Angeles. His middle length feature film For Miriam, screened at the Berlinale 2009, won an award for the best actress. Shifting the Blame is his first long feature film. «In the beginning there was only an idea to do something on social workers. And to begin with, that sounds quite boring. But many of my friends work in social sector and their stories always sounded exciting to me. I think their work hardly finds attention in films. Besides, I’ve been involved in voluntary youth work for many years myself. My author Anna Maria Prassler and I took the time to find a special and gripping approach. By chance we found the Seehaus Leonberg, an institution where inmates could serve their sentence outside prison walls, which is unique of its kind. Here, these guys experience family life often for the first time, by living together with the social workers and their families. We used this idea as a starting point to construct the story of Ben, the young offender who surprisingly meets his victim, Eva, as his social worker. It was my mission not to tell of hopeless cases or violent “animals”, as they are often branded. I wanted to tell a story that doesn’t give these boys up, but believes in them». 23


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Filip Marczewski

Bez wstydu

Shameless

Polonia/Poland, 2012, 81’, col.

Regia/Director Filip Marczewski Sceneggiatura/Screenplay Grzegorz Łoszewski Fotografia/Cinematography Szymon Lenkowski Montaggio/Editing Rafal Listopad Scenografia/Set design Anna Wunderlich Costumi/Costume design Agata Culak Musica/Music Pawel Mykietyn Suono/Sound Tomasz Wieczorek Interpreti/Cast Mateusz Kościukiewicz (Tadzik), Agnieszka Grochowska (Anka), Anna Próchniak (Irmina), Maciej Marczewski (Andrzej), Dariusz Majchrzak (Łatosz) Produttore/Producer Michal Kwiecinski Produzione/Production Akson Studio, TVP, Odra Film, Telekomunikacja Polska Distribuzione, Contatti/ Distribution, Contacts TVP SA (Aleksandra Biernacka), 17 J.P. Woronicza Str., 00-999 Warsaw, Poland, tel. +48 22 5476774, fax +48 22 5478070, aleksandra.biernacka@tvp.pl, www.international.tvp.pl

Filmografia/Filmography Bez wstydu (Shameless, 2012) Jak w niebie (Like in Heaven, doc, 2008) Melodrama (short, 2006) Cyrano (short, 2004) Bieda ziemia (Poor Land, short doc, 2004)

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Senza vergogna [t.l.] All’inizio delle vacanze estive, il diciottenne Tadzik si presenta senza preavviso a casa della sorella ma scopre con rammarico che lei non è contenta di vederlo. La bella Anka sta cercando di rifarsi una vita con Andrzej, l’ultimo di una lunga serie di fidanzati sbagliati. Tadzik sviluppa un’immediata antipatia per Andrzej, che non solo è il leader di un locale gruppo neo-nazista e un aspirante politico, ma è anche un uomo sposato. Mentre rivaleggia per ottenere le attenzioni di Anka, Tadzik incontra Irmina: un’estroversa ragazza gitana che sogna di diventare medico, contro il parere della famiglia. Irmina vede in Tadzik una speranza per il futuro e una via di fuga al matrimonio combinato che il padre ha deciso per lei. Filip Marczewski (Łódź, Polonia, 1974), figlio dell’affermato regista polacco Wojciech Marczewski, è cresciuto a stretto contatto con il cinema. Questa esperienza gli ha insegnato a cercare intorno a lui storie ispirate alla vita quotidiana. Ha intrapreso dapprima gli studi in letteratura, lavorando nella pubblicità per guadagnarsi da vivere. In seguito si è diplomato presso la Scuola di Cinema di Łódź, iniziando a realizzare cortometraggi e documentari. Ottiene consensi sin dai suoi primi cortometraggi, ma è con Melodrama che raggiunge la notorietà nel 2006. Shameless è il suo lungometraggio d’esordio, con la supervisione artistica di Andrzej Wajda. «La storia principale è una sorta di melodramma: l’amore proibito tra un fratello e una sorella. Ma per me era importante contestualizzarlo, così ho aggiunto le vicende che riguardano Irmina e gli attacchi neonazisti contro la locale comunità gitana, un problema di crescente portata in Europa. Al giorno d’oggi i neo-nazisti non sono più gli skinhead che siamo soliti intendere; sono raffinati individui che occupano posti di livello nella sfera dirigenziale e predicano la loro filosofia in modo sofisticato. Personalmente li ritengo molto pericolosi. Di fatto il film è tutt’altro che politico, perché credo nella messa a fuoco delle emozioni che hanno ripercussioni sul piano personale o sociale – in questo caso, il tema dell’incesto, il razzismo e la stigmatizzazione delle minoranze etniche. E qui scopriamo anche un parallelo: quando vediamo insieme fratello e sorella, pensiamo che siano “malati”; lo stesso vale per gli zingari, assumendo lo stereotipo che siano sporchi e che rubino... quando in realtà sono solo pregiudizi. Questi due esempi pongono più o meno le stessa domanda morale. Per questo dico che film parla di tolleranza. Credo che l’aspetto più importante nel fare cinema sia porre delle domande, senza necessariamente trovare delle risposte».


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Shameless As the summer holiday begins, the 18 year-old Tadzik turns up unexpectedly at her sister’s home but he finds to his chagrin that she is not pleased to see him. The charming Anka is trying to carve out a new life with Andrzej, the latest in a long line of unsuitable boyfriends. Tadzik takes an instant dislike to Andrzej, who in not only the leader of a local neo-Nazi group and aspiring politician but also a married man. While trying to depose his rival for Anka’s affections, Tadek meets Irmina: a bright, confident gypsy girl whose ambition, belittled by her family, is to become a doctor. Irmina looks at Tadek as a hope for the future and a way out of the arranged marriage her father has planned. Filip Marczewski (Łódź, Poland, 1974), son of the popular Polish film-maker Wojciech Marczewski, shared his childhood with cinema. This experience taught him to watch around and find stories from everyday life. As a student, he took up literature and worked on advertisements for a living. Then he graduated from the Polish National Film School in Łódź and started to make short films and documentaries. He won acclaim since his first short films, but it was with Melodrama that he achieved a name in 2006. Shameless is his debut feature film, with Andrzej Wajda’s artistic supervision. «The main story is a kind of melodrama: a forbidden love between a brother and a sister. But for me it was very important to put it in a concrete world, thus I added the subplots involving Irmina and the neo-Nazi attacks on the local gypsy community, which is an issue growing to dangerous proportions in Europe. Nowadays the neo Nazis are no longer the skinheads we take them to be; they are polished well-dressed individuals who sit in the dignified administrative sphere and go about with their philosophy in a sophisticated manner. To me, they are a lot dangerous. Indeed the movie is far from political, since I believe in focusing on the emotions that lead to social or personal outcomes – in this case, incest, racism and social stigma towards fringe communities. And there is also a parallel: when we see the siblings together, we think they’re “sick”; the same with the gypsies, as we assume that they are dirty and that they steal… but actually these are only prejudices. These two examples raise more or less the same moral question. Thus I say this film is about tolerance. I think the most important thing in filmmaking is asking questions, not necessarily finding the answers to them». 25


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François Pirot

Mobile Home Belgio • Lussemburgo • Francia/ Belgium • Luxembourg • France, 2012, 95’, col.

Regia/Director François Pirot Sceneggiatura/Screenplay François Pirot, Maarten Loix, Jean-Benoît Ugeux Fotografia/Cinematography Manuel Dacosse Montaggio/Editing Albertine Lastera Scenografia/Set design François Dickes Costumi/Costume design Isabelle Dickes Musica/Music François Petit, Michaël De Zanet, Coyote, Renaud Mayeur as Herr Mayer Suono/Sound Benoît De Clerck Interpreti/Cast Arthur Dupont (Simon), Guillaume Gouix (Julien), Jean-Paul Bonnaire (Luc), Claudine Pelletier (Monique), Jackie Berroyer (Jean-Marie), Anne-Pascal Clairembourg (Sylvie), Eugénie Anselin (Maya), Catherine Salée (Valérie), JeanFrançois Wolff (Gérard) Produttori/Producers Joseph Rouschop, Valérie Bournonville, Donato Rotunno, Fédéric Corvez, Clément Duboin Produzione/Production Tarantula, Urban Factory Distribuzione, Contatti/ Distribution, Contacts Urban Distribution International (Arnaud Bélangeon-Bouaziz), 14 rue du 18 Août, 93100 Montreuil sous Bois, France, tel. +33 1 48704655, fax +33 1 49720421, arnaud@urbandistrib.com, www.urbandistrib.com

Filmografia/Filmography Mobile Home (2012) Retraite (short, 2005)

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Casa mobile [t.l.] Dopo aver lasciato Liegi, il lavoro e la fidanzata, Simon torna al tranquillo paese natale nella campagna belga. Qui ritrova il vecchio amico Julien, che vive ancora con l’anziano padre. I due trentenni, buontemponi disoccupati, decidono di rispolverare un vecchio sogno di quando erano adolescenti: partire per un’avventura on the road. Acquistano un grande camper, ma una serie di inconvenienti li “costringe” di volta in volta a rimandare la partenza. Iniziano così il loro viaggio… stando fermi sul posto. In questa prima fase “stazionaria” della loro avventura, Simon e Julien hanno modo di confrontarsi con se stessi e con ciò da cui vogliono fuggire, in bilico tra il bisogno di evadere e la necessità di radici e legami. François Pirot (Bastogne, Belgio, 1977) è attore, regista e sceneggiatore. È laureato in arte dello spettacolo e tecniche di trasmissione presso lo IAD (Institut des Arts de Diffusion) di Louvain-la-Neuve, con una specializzazione in regia. Ha diretto diversi cortometraggi selezionati in vari festival internazionali. Come attore, ha recitato in Ça rend heureux (2006) di Joachim Lafosse – suo compagno di classe. Con Lafosse ha scritto la sceneggiatura di Nue propriété (Proprietà privata, 2006) ed Elève libre (2008). Mobile Home è il suo primo lungometraggio. «Lo spunto per Mobile Home è molto personale, ma non autobiografico. Il film si interroga sulla necessità di fare delle scelte e assumersi le proprie responsabilità. Questione inevitabile a un certo punto della vita, e per certi versi anche un po’ destabilizzante. Già il mio primo cortometraggio Retraite sviluppava un tema simile: la storia di un musicista che abbandona la carriera per fare ritorno al paese natale. Uno che, pensando di fare la cosa giusta, compie un passo indietro. Ho avuto anch’io questa tentazione, forse perché non ero abbastanza sicuro di me. Ma invece di farlo personalmente, l’ho fatto fare a un personaggio fittizio. Simon e Julien sono proprio a questo bivio: rendersi indipendenti per cercare di costruirsi un futuro, ma accorgersi di non essere abbastanza maturi per farlo. Con un atteggiamento del tutto regressivo, si aggrappano finché possono agli ultimi scampoli adolescenziali. Una volta lanciati nell’impresa, quasi per capriccio, scoprono di non avere la minima idea di dove andare. Per questo non si fanno domande, né stabiliscono un programma: per paura di scoprire che il viaggio è in realtà solo una via di fuga da qualcosa, dal confronto più intimo con le loro aspirazioni e i loro timori».


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Mobile Home After having left Liège, his job and broken up with his girlfriend, Simon has come back to his small hometown in the Belgian countryside. Here he meets up again with his old friend Julien, who still lives with his elderly father. The two thirty-year-old, idle and unemployed men, decide to reinvest in an old dream from their teenage years: hitting the road for an adventurous journey. They buy a huge motor-home, but a series of troubles “force” them, from time to time, to delay the trip. So they decide to start their journey… right where they are. Through this first “motionless” stage of their trip, Simon and Julien are confronted with themselves and what they wanted to run away from, in the balance between the need to escape and the need for roots and ties. François Pirot (Bastogne, Belgium, 1977) is a director, actor and screenwriter. He took a degree in performing arts and broadcasting techniques at the IAD (Institute of Media Arts) in Louvainla-Neuve, with a major in directing. He directed several short films selected by numerous international festivals. As an actor, he played a role in Ça rend heureux (2006), by Joachim Lafosse – his classmate. With Lafosse he wrote the screenplays for Nue propriété (2006) and Élève libre (2008). Mobile Home is his first full-length feature. «The idea for Mobile Home is very personal, but not autobiographical. The film deals with the need of making choises and taking responsabilities. A matter that is inevitable and a little upsetting, as well, at some point in life. Already my first short film Retraite developed a similar story: it was about a musician who gives up his career to return to his native hometown. One who, thinking of doing the right thing, takes a step back. Me too had this temptation, perhaps because I was not quite sure of myself. But instead of doing it myself, I let it do to a fictional character. Simon and Julien are right at this crossroads: becoming independent, trying to build a future, but realize they are not mature enough to do it. With a totally regressive behaviour, they cling on, as long as possible, to the last remaining teenager’s branches. Once launched in the enterprise, almost on a whim, they discover having no idea where to go. Thus they do not make questions, nor establish a program: because of the fear to discover that the journey is really just an escape from something, from a more intimate comparison with their hopes and their fears». 27


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Jens sjögren

lYCka till oCh ta hanD oM varanDra

gooD luCk. anD takE CarE oF EaCh othEr Svezia/Sweden, 2012, 95’, col.

regia/Director Jens Sjögren sceneggiatura/screenplay Kalle Haglund, Jens Sjögren Fotografia/Cinematography Linus Sandgren Montaggio/Editing Henning Mark scenografia/set design Sara Sjögren Costumi/Costume design Ulrika Sjölin Musica/Music Markus Jägerstedt interpreti/Cast Bengt C.W. Carlsson (Alvar), Claudia Neij (Miriam), Leif Ahrle (Stig), Ia Langhammer (Mona), Johan Ulveson (Rolf ), Eleonora Gröning (Gunilla), Ika Nord (la madre di Miriam/Miriam’s mother), Fredrik Gunnarson (il padre di Miriam/Miriam’s father), Henrik Vikman (l’insegnante/the teacher), Paulina Andersson (Stina) produttore/producer David Olsson produzione/production Acne Drama AB Contatti/Contacts Svenska Filminstitutet/Swedish Film Institute (Gunnar Almér), P.O. Box 27126, SE-102 52 Stockholm, Sweden, tel. +46 8 6651100, fax +46 8 6611820, gunnar.almer@sfi.se, www.sfi.se

Filmografia/Filmography Lycka till och ta hand om varandra (Good Luck. And Take Care of Each Other, 2012)

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buona Fortuna. E abbiatE Cura Di voi [t.l.] Alvar è un anziano vedovo solitario con la passione per il modellismo. Di nascosto da tutti, nel garage di casa sua, costruisce scenografie come sfondo per i suoi ricordi e le sue fantasie. Un giorno per caso incontra Miriam, una ragazzina sveglia e caparbia ma alquanto singolare. Tra loro nasce subito un’amicizia spontanea e anticonvenzionale, che diventa comunione d’intenti quando si mettono in testa di lavorare in squadra per ispirare il mondo attraverso bizzarre installazioni artistiche. In questo loro universo naïf e un po’ fiabesco, costellato di strampalati eventi, c’è poco spazio per la realtà. Ma a un certo punto saranno costretti al confronto, e ciascuno di loro dovrà fare i conti con i propri errori. Jens sjögren (Sävsjö, Svezia, 1976) è autore, attore, regista e musicista dal piglio decisamente non convenzionale come lo stile dei suoi lavori. Dal 1998 scrive programmi televisivi e cura la regia di video musicali e spot pubblicitari. Come attore ha avuto ruoli minori in alcuni film svedesi ed è anche il frontman della punkrock band Bring Me the Fucking Riot… Man. Good Luck, suo primo lungometraggio, ha vinto il premio Rainer Werner Fassbinder come miglior film di narrazione non convenzionale al festival di Mannheim-Heidelberg 2012 e ha ottenuto una nomination per il miglior attore protagonista (Bengt C.W. Carlsson) ai Guldbagge Awards 2013. «È cominciato tutto da una vaga idea sull’amicizia che attraversa le barriere dell’età e rende il nostro mondo un posto più accogliente e migliore. Ma dopo aver lavorato al film per quasi tre anni, di quella vaga idea originaria sono rimasti soltanto i due personaggi principali. Il resto è completamente diverso. Il film parla di un’insolita amicizia tra una teenager e un anziano vedovo, secondo il punto di vista della ragazza. Ma ci sono anche alcuni bizzarri personaggi che di solito non si incontrano nella vita di tutti i giorni: gente che per hobby fa saltare in aria automobili, piazza statuine di legno in giro per la città, o allestisce mostre nel salotto di casa propria. Il film parla di responsabilità nei confronti di noi se stessi e di ciò che ci sta a cuore, di come rendere la società più tollerante nei confronti delle differenze. Mentre lavoravo al montaggio pensavo che sarei crollato. Mi comportavo come un bambino e mi ritrovavo a piangere la notte. Avevamo opinioni diverse e abbiamo dovuto lavorare sodo per arrivare a un risultato che accontentasse tutti. Ho dato alla troupe l’opportunità di mettere la firma personale sul risultato finale».


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Good Luck. And Take Care of Each Other Alvar is a lonely elderly widow with a passion for modeling. Hidden from everyone, in the garage of his home, builds scenery as a set for his memories and his fantasies. One day by chance he meets Miriam, a young girl lively and obstinate but very weird. Among them immediately arises a spontaneous and unconventional friendship, that becomes a sort of common purpose when they decide to work as a team to inspire the world through bizarre art installations. In this universe so dreamy and naive, full of odd events, there is a little room for reality. But at some point they are forced to a confrontation, and each of them have to deal with their own mistakes. Jens Sjögren (Sävsjö, Sweden, 1976) is an unconventional author, actor, director and musician, like the style of his works. From 1998 he wrote television programs and directed music videos and commercials. As an actor had minor roles in some Swedish films and he is also the frontman of the punkrock band Bring Me the Fucking Riot... Man. Good Luck, his debut feature film, won festival award Rainer Werner Fassbinder for the best unconventionally narrated feature film at Mannheim-Heidelberg IFF 2012 and got a nomination for best actor in a leading role (Bengt C.W. Carlsson) at Guldbagge Awards 2013. «It all started as a loose, vague idea about friendship crossing age barriers and making our world a warmer and better place. But having worked on the film for almost three years, of that vague original idea there are only the two of the main characters left. The rest is completely different. The film is about an unusual friendship between a teenager and an elderly widow seen from the girl’s point of view. But there are also some weird characters of the type you don’t usually encounter in daily life: people who blow up cars as hobby, place small wooden figures around the town, or stage art exhibitions in their own living room. It’s about taking responsibilities for yourself and what cares to you, about getting society to be more tolerant of people’s differences. While I was editing I really thought I was cracking up. I behaved like a child and found myself crying at night. We had lots of different opinions and had to work hard to get the structure right to accommodate everyone. I gave to the crew a real opportunity to put their own personal stamp on the end result». 29


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Stephan Streker

Le monde nous appartient

The World Belongs to Us Belgio/Belgium, 2012, 88’, col.

Regia, Sceneggiatura/ Director, Screenplay Stephan Streker Fotografia/Cinematography Antoine Roch Montaggio/Editing Dan Dobi, Yann Dedet Scenografia/Set design Catherine Cosme Costumi/Costume design Frédérique Leroy Musica/Music Ozark Henry Suono/Sound Carine Zimmerlin, Ranko Paukovic, Vincent De Bast, Louis Vyncke, Cyrille Lauwerier Interpreti/Cast Vincent Rottiers (Pouga), Ymanol Perset (Julien), Olivier Gourmet (il padre di Julien/Julien’s father), Reda Kateb (Zoltan), Sam Louwyck (Eric), Laura Davidt (Elodie), Dinara Droukarova (assistente sociale/the social worker), Bernard Suin (Kestemont), Albert Cartier (l’allenatore/the coach), Michaël Jonckheere (Max) Produttori/Producers Michaël Goldberg, Boris Van Gils Produzione/Production Bardafeu Cinéma, Formosa, Ex Nihilo, Minds Meet, Volya Films, uFilm, RTBF (télévision belge), Belgacom Contatti/Contacts MG Productions (Michaël Goldberg), 2a rue Antoine Dansaert, 1000 Bruxelles, Belgium, tel./fax +32 02 5440598, lmna-lefilm.com, facebook.com/lemondenousappartient.be Filmografia/Filmography Le monde nous appartient (The World Belongs to Us, 2012) Michael Blanco (2004) La guerre du foot n’aura pas lieu (short doc, 2000) Le jour du combat (short doc, 1998) Mathilde, la femme de Pierre (short, 1996) Shadow Boxing (short, 1993)

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Il mondo ci appartiene [t.l.] Di notte, nella banlieue di Bruxelles, un ragazzo siede in disparte su un ponte. Nonostante la mano insanguinata sembra sereno, quasi rassegnato. A pochi metri di distanza, un corpo chiuso in un telo di plastica bianca viene caricato su un’ambulanza. Il ragazzo è Julien, un giocatore di calcio professionista che vive con il padre. Dall’altra parte, Pouga: un giovane ribelle che vive di espedienti e piccoli furti, mentre sogna di guidare auto di lusso e una vita al massimo. Anche se non si sono mai incontrati, Julien e Pouga sono molto simili. Condividono lo stesso desiderio di assoluto, potrebbero essere amici, ma non sanno ancora che i loro destini saranno inesorabilmente incrociati. Stephan Streker (Bruxelles, Belgio, 1964) ha iniziato la sua carriera come giornalista. Ha lavorato a lungo come critico cinematografico e giornalista sportivo per diverse testate quotidiane e periodiche, tv e radio sia belghe che francesi. Il suo saggio dedicato a Serge Gainsbourg Gainsbourg. Portrait d’un artiste en trompe-l’oeil pubblicato nel 1990 (De Boeck, Bruxelles), oggi fuori catalogo, da allora è diventato un vero pezzo da collezione. Nel 1993 ha scritto e diretto il suo primo cortometraggio Shadow Boxing e nel 2004 il suo primo lungometraggio Michael Blanco, girato a Los Angeles. The World Belongs to Us è il suo secondo film. «L’espressione “il mondo ci appartiene” definisce perfettamente i due protagonisti, è esattamente loro due. Analogamente, il titolo corrisponde al loro stato d’animo nel momento in cui li vediamo nel film. Julien è a una svolta decisiva per la sua vita e la sua carriera, alla vigilia di una partita importante. E come tutti sappiamo, nel calcio le cose possono accadere molto rapidamente. Pouga si trova invece nella situazione di poter sostituire il padre per ottenere un lavoro importante. Tutti noi, a un certo punto della nostra vita, abbiamo vissuto una fase di invincibilità, in cui pensavamo che il mondo ci appartenesse. Diventare adulti significa rendersi conto che le cose sono un po’ più complicate di così. Fin dall’inizio, il film mette in scena l’autore e la vittima di un crimine, due destini per sempre uniti da un unico tragico evento. Sulla carta Pouga e Julien sono diversissimi tra loro, ma ciò che mi interessava era avvicinare i personaggi in modo simile, con la stessa benevolenza e la stessa generosità. Ho voluto mettere in scena i loro desideri, le loro aspirazioni, le loro ambizioni, le loro relazioni con gli altri».


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The World Belongs to Us Brussels’ banlieue, night, a young man sits alone on a bridge. Despite his bloody hand, he seems serene, almost resigned. A few meters away, a body wrapped in a white plastic bag is carried into an ambulance. The young man is Julien. He is a professional football player who lives with his father. On the other side, Pouga: a young rebel who lives by his wits and petty theft but dreams of driving classy cars and living the high life. Even though they never met, Julien and Pouga are very much alike. They share the same thirst for the absolute, they could be friends, but they are unaware that their fates will be inexorably crossed. Stephan Streker (Brussels, Belgium, 1964) started his career as a journalist. He worked for a long time as a film critic and sport reporter for various Belgian and French newspapers, magazines, tv, and radio. His essay devoted to Serge Gainsbourg Gainsbourg. Portrait d’un artiste en trompe-l’oeil published in 1990 (De Boeck, Brussels), actually out of print, became a real collector’s item since then. In 1993 he wrote and directed his first short film Shadow Boxing and in 2004 his first featurelength film Michael Blanco, filmed in Los Angeles. The World Belongs to Us is his second feature film. «The expression “the world belongs to us” perfectly defines the two protagonists, that’s just the two of them. Thus the title corresponds to their state of mind at the very instant that we see them in the film. Julien is at a decisive moment of his life: he’s just about to play an important match, and as we all know, in football, things can happen very fast. Pouga finds himself in the situation of replacing his father to pull off an important job. We have all, at some point in our lives, gone through a phase of invincibility, where we thought that the world belonged to us. Becoming adult means realizing that things are a bit more complicated than that. From the outset, the film assumes the fact that it is staging the perpetrator and the victim of a crime, two fates forever united by one tragic event. By definition, everything separates Pouga and Julien, but what I was interested in was approaching them in a similar way, with the same benevolence and generosity. I wanted to stage their desires, their longings, their ambitions, their relationships with others». 31


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L’invisibile e l’impossibile. La vita che vale Alberto Valtellina

Dal pressbook del film Materia oscura: «Il nostro è un film d’osservazione: la telecamera puntata su ciò che accade davanti ai nostri occhi e le nostre orecchie. Il racconto procede secondo una struttura narrativa che combina pensiero razionale ed emotivo per dare vita a un affresco [...] che mostra le responsabilità degli uomini verso gli spazi in cui vivono, transitano o di cui sono semplicemente ospiti passeggeri. Abbiamo tentato di fare un film che esplorasse l’invisibile e l’impossibile [...]. Materia oscura [...] rivela un luogo dove la vita sembra non valere nulla». È incredibile come queste affermazioni coincidano con le intenzioni dei selezionatori di Visti da Vicino: la “telecamera puntata” è già un gesto politico, è già la voglia di affermare una posizione, l’intenzione di ribadire che il film, chiamiamolo pure documentario, nasce e cresce per problematizzare, per cercare, per leggere il reale da una prospettiva personale, dopo un lungo lavoro di studio, approfondimento e riflessione. Peraltro il film in questione, che con orgoglio presentiamo in anteprima, crediamo mostri sì un luogo dove la vita sembra “non valere nulla”, ma dove, nella tragedia, in realtà la vita oppone una strenua resistenza alle forze dell’imbecillità e del vuoto, un luogo dove un allevatore resiste, sopporta, lotta, senza darsi per vinto. Non è la “zona” di Stalker: è un luogo meraviglioso, oggi contaminato dagli uomini, reso invivibile, ma dove la vita rifiuta di arrendersi, rifiuta la sconfitta. L’invisibile e l’impossibile. Nel film A l’oeuvre, autobiografico, i suoni, le immagini, le opere d’arte accompagnano e aiutano la crescita del protagonista. Nach Wriezen è “la telecamera puntata”, a lungo, per raccontare il bisogno di una vita semplice in un mondo senza pietà. L’occhio di Nikolaus Geyrhalter in Donauspital SMZ Ost vede l’istituzione ospedaliera nella sua implacabile quotidianità, ma evidenzia l’umanità che sta all’origine di tale efficienza. È impietoso il racconto della propria gioventù in Doll – Why Did You Dance Naked?, in cui la regista israeliana Zohar Wagner non esita a mostrare i filmati di vent’anni prima, quando danzava nei locali a luci rosse di New York, ma questo è solo il pretesto per un film ben più denso e articolato. Storia di famiglia è il fastoso Entre le Bras, in cui, durante un anno di riprese, seguiamo il passaggio di testimone fra il padre e il figlio alla guida di un ristorante di alta cucina. Un tuffo negli anni Ottanta è Fedele alla linea, con il leader dei CCCP, poi CSI, quale protagonista. Un film dall’ampio respiro è Il limite, dove le competenze da antropologa della regista superano i confini (!) talvolta imposti dalle discipline scientifiche, per avvicinare i pescatori di Mazara del Vallo con affetto e schiettezza. Di Rosa von Praunheim, regista di lungo corso, presentiamo König der Comics, un film diretto e vivacissimo, con la presenza di Ralf König, il re del fumetto. La friche inizia con la botanica e si sviluppa tra l’industria e l’arte, tutto nel medesimo luogo, oggi abbandonato. L’orrore delle carceri turche negli occhi delle prigioniere curde, il fisico e la mente rovinati dallo sciopero della fame: è la testimonianza drammatica e necessaria di Clarisse Hahn in Notre corps est une arme – Prisons. L’intelligenza musicale al lavoro in Sofia’s Last Ambulance: il giovanissimo regista ha alle spalle solidi studi musicali e il suo cinema cresce in una struttura armonica precisa e libera. Nel film Spring, Summer, Fall, troviamo il rigore e l’attenzione del miglior cinema polacco: il regista racconta la vita di una famiglia Amish, che si è trasferita nella foresta, proprio in Polonia. Una vita ai margini è raccontata anche nel film The Field of Magic, in cui il regista Mindaugas Survila è accettato da un gruppo di persone che hanno scelto di vivere nei pressi di una discarica, nella foresta lituana; il film è il risultato di quattro anni di lavoro. Avevamo proposto, per lo spiazzante film This Is How a Country Became, una traduzione letterale libera ed evocativa: “Nascita di una nazione”. Titolo opportuno e sintetico, ma è già stato utilizzato... La rassegna Visti da Vicino presenta quindici film freschi e di solida struttura. Possiamo chiamarli documentari, ma quanto è riduttivo il termine! 33


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Daniel Abma

Nach Wriezen

Beyond Wriezen

Germania/Germany, 2012, 88’, col.

Regia/Director Daniel Abma Fotografia/Cinematography Johannes Praus, Anja Läufer Montaggio/Editing Jana Dugnus Musica/Music Henning Fuchs Suono/Sound Kay Riedel Produttori/Producers Catarina Jentzsch, Daniel Abma Produzione, Distribuzione, Contatti/ Production, Distribution, Contacts Hochschule für Film und Fernsehen (HFF) “Konrad Wolf” - University of Film and Television (Cristina Marx), MarleneDietrich-Allee 11, D-14482 PotsdamBabelsberg, Germany, tel. +49 0331 6202564, fax +49 0331 6202568, distribution@hff-potsdam.de, www.hff-potsdam.de, www.nachwriezen.de

Dopo Wriezen [t.l.] Il film di Daniel Abma accompagna tre giovani dal giorno in cui vengono rilasciati dalla prigione di Wriezen fino ai tre anni successivi. La nuova vita dei ragazzi inizia alla stazione di Wriezen, da cui partono con le medesime speranze: trovare un lavoro, un luogo dove vivere, una fidanzata. Tre concetti semplici, che incarnano il desiderio di tranquillità, sicurezza emotiva, rispetto e amore. Ma già il primo giorno si presenta in modo diverso per ciascuno di loro. Daniel Abma (Westerbork, Olanda, 1978) dopo la laurea in Cultural Studies ad Amsterdam e a Berlino, lavora inizialmente come educatore a Brandeburgo, poi come ricercatore di documentari per la TVSchoenfilm di Francoforte. Dal 2008 studia regia alla Hochschule für Film und Fernsehen (HFF) “Konrad Wolf” Potsdam-Babelsberg di Potsdam. Beyond Wriezen Daniel Abma’s film accompanies three young boys on the day they are released from Wriezen and over the three years that follow. The young men’s new life begins at Wriezen station, where they all set out hoping for the same things: a job, somewhere to live, a girlfriend. Three simple concepts, embodying the yearning for security, emotional safety, respect and love. But the very first day turns out differently for each of them. Daniel Abma (Westerbork, The Netherlands, 1978) after being graduated in Cultural Studies in Amsterdam and Berlin, he worked at first as a youth-worker in Brandenburg and then as researcher for documentaries for TVSchoenfilm in Frankfurt. From 2008 he has been studying directing at the Hochschule für Film und Fernsehen (HFF) “Konrad Wolf” Potsdam-Babelsberg in Potsdam.

Filmografia/Filmography Hollanda del Sol (doc, 2012) Arbeitswege (Trajectories, doc, 2012) Gabriella and the Golden Boys (doc, 2011) Truthahn und Diamanten (doc, 2011) Lothar Erdmann (doc, 2010)

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Maxime Coton

A l’oeuvre

At work

Francia • Belgio/France • Belgium, 2012, 45’, col.

All’opera [t.l.] È la storia di un uomo che cresce in un’atmosfera carica di immagini, suoni e musica. È la storia di un uomo formato da questi elementi. È la storia di un uomo ordinario, eppure singolare, che si risveglia al mondo mentre sogna un luogo dove vivere. È la storia di una casa che vede crescere un uomo: testimone del passare del tempo, degli incontri e dei legami che si creano. Maxime Coton (La Louvière, Belgio, 1986) ha studiato come tecnico del suono all’INSAS (Institut National Supérieur des Arts du Spectacle) di Bruxelles. Qui ha unito la sua passione per la musica e la scrittura all’arte radiofonica, alla musica elettroacustica e al cinema. Oggi ha alcuni progetti da regista. È anche poeta (La biographie de Morgane Eldä, Le geste ordinaire, Le mot minimal) e musicista, nonchè coinvolto nell’organizzazione di una casa editrice (Tétras-Lyre) e di una produzione audiovisiva (Bruits asbl). At Work This is the story of a man who grows up in an atmosphere of images, sounds and music. It is the story of a man shaped by these elements. It is the story of an ordinary but remarkable man, who wakes up to the world at the same time as he dreams of somewhere to live. It is the story of a house which sees a man growing up: witness of time passing, encounters and bonds formed.

Regia/Director Maxime Coton Fotografia/Cinematography Miléna Trivier Montaggio/Editing Effi Weiss Scenografia/Set design Manon Verkaeren, Maximilien Delmelle, François Gilles Suono/Sound Laszlo Umbreit, Déborah Dourneau Produttore/Producer Manon Verkaeren Produzione, Distribuzione/ Production, Distribution La Médiathèque de la Communauté française de Belgique Contatti/Contacts Centre Vidéo de Bruxelles (Claudine Van-O), 111 rue de la poste, 1030 Bruxelles, Belgium, tel. +32 22 211062, claudine.vano@cvb-videp.be

Maxime Coton (La Louvière, Belgium, 1986) studied sound engineering at INSAS (Institut National Supérieur des Arts du Spectacle) in Bruxelles. Here he mixed up his passions for music and writing with radiophonic art, electroacoustic music and cinema. Today he has some projects as a director. He is also a poet (La biographie de Morgane Eldä, Le geste ordinaire, Le mot minimal) and a musician, as well as involved in the organization of a publishing house (Tétras-Lyre) and audiovisual production (Bruits asbl). Filmografia/Filmography A l’œuvre (At Work, doc, 2012) Service public (short, 2012) Infini de se tordre (doc, 2011) La mécanique des corps (The Mechanics of Body, doc, 2011) Le geste ordinaire (The Ordinary Gesture, doc, 2011)

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Massimo D’Anolfi, Martina Parenti

Materia oscura

Dark Matter

Italia/Italy, 2013, 80’, bn/bw • col.

Regia, Montaggio, Produttori/ Director, Editing, Producers Massimo D’Anolfi, Martina Parenti Fotografia/Cinematography Massimo D’Anolfi Musica/Music Massimo Mariani Suono/Sound Martina Parenti Produzione, Distribuzione, Contatti/ Production, Distribution, Contacts Montmorency Film, via Burigozzo 8, 20122 Milano, Italy, tel. +39 02 58311361, montmorencyfilm@yahoo.it

Materia oscura Poligono Sperimentale del Salto di Quirra, in Sardegna: un luogo di guerra in tempo di pace. Per oltre cinquant’anni i governi di tutto il mondo hanno testato qui “nuove armi” compromettendo il territorio. Il film si articola in tre parti: la ricerca di tracce dell’inquinamento causato dalle sperimentazioni militari; le immagini tratte dagli incredibili archivi cinematografici del poligono; il lavoro di due allevatori, un padre e un figlio, e del loro rapporto con la terra e un passato profondamente segnati dall’attività bellica. Massimo D’Anolfi (Pescara, 1974) è videomaker dal 1993. Nel 2002 scrive la sceneggiatura del film Angela di Roberta Torre, presentato alla Quinzaine des Realizateurs a Cannes. Nel 2003 realizza cinque documentari radiofonici per Radio RAI3. Si torna a casa – Appunti per un film (2003) è stato selezionato al Torino Film Festival e Play (2004) al Festival dei Popoli di Firenze. Nel 2007 inizia la collaborazione artistica con Martina Parenti. Martina Parenti (Milano, 1972) lavora per il cinema e la televisione. Nel corso degli ultimi anni ha realizzato documentari proiettati e premiati in vari festival (Restart, Animol, L’estate di una fontanella), video industriali e programmi televisivi. Nel 2007 inizia la collaborazione artistica con Massimo D’Anolfi.

Filmografia/Filmography Massimo D’Anolfi Materia oscura (Dark Matter, doc, 2013) Il castello (The Castle, doc, 2011) Grandi speranze (Great Expectations, doc, 2009) I Promessi Sposi (The Bethroted, doc, 2007) Play (doc, 2004) Si torna a casa – Appunti per un film (doc, 2003) Martina Parenti Materia oscura (Dark Matter, doc, 2013) Il castello (The Castle, doc, 2011) Grandi speranze (Great Expectations, doc, 2009) I Promessi Sposi (The Bethroted, doc, 2007) Checosamanca (collettivo/collective, doc, 2006) L’estate di una fontanella (doc, 2006) Animol (co-regia/co-director Marco Berrini, doc, 2003) Restart (doc, 1999)

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Dark Matter Salto di Quirra test range in Sardinia: a war zone in peacetime. For over fifty years, governments around the world have tested here “new weapons”, inexorably endangering the territory. The film comprises three parts: the investigations in the attempt to trace the pollution caused by military experiments; the search through the incredible film archives of the test range; the work of two farmers, father and son, and their relationship with the land and a past deeply affected by military activities. Massimo D’Anolfi (Pescara, Italy, 1974) is a filmmaker since 1993. In 2002 he wrote the screenplay for the film Angela by Roberta Torre, presented at the Directors’ Fortnight in Cannes. In 2003 he made five radio documentaries for Radio RAI3. Si torna a casa – Appunti per un film (2003) was selected at the Turin Film Festival and Play (2004) at the Festival dei Popoli in Florence. In 2007 he started his artistic collaboration with Martina Parenti. Martina Parenti (Milan, Italy, 1972) works for cinema and television. Over the last few years she made documentaries ​​ screened and awarded at various festivals (Restart, Animol, L’estate di una fontanella), industrial videos and television programs. In 2007 she started her artistic collaboration with Massimo D’Anolfi.


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Nikolaus Geyrhalter

Donauspital SMZ Ost

Danube Hospital Austria/Austria, 2012, 75’, col.

Ospedale Danubio [t.l.] Il “ritratto” di uno dei più grandi ospedali d’Europa: la routine giornaliera e i processi di lavoro all’interno di un’istituzione potente e altamente complessa. Nikolaus Geyrhalter osserva cosa succede nelle diverse zone, l’area conferenze, le stanze dei degenti, i dipartimenti di disinfezione e patologia, la cucina... Danube Hospital mostra con precisione e talvolta con umorismo, le relazioni tra i processi operativi normalmente invisibili ai pazienti e ai visitatori. Nikolaus Geyrhalter (Vienna, Austria, 1972) è regista, operatore e produttore. Nel 1994 fonda la sua casa di produzione, la Nikolaus Geyrhalter Filmproduktion. Nel 2005 ottiene visibilità a livello internazionale con Our Daily Bread, ampia indagine sul mondo della produzione alimentare industriale e sull’agricoltura high-tech. Tra i suoi film più recenti: 7915 Km (2008) e Abendland (2011), presentati a Bergamo Film Meeting rispettivamente nel 2009 e nel 2012. Danube Hospital A “portrait” of one of Europe’s largest hospitals: the daily routine and work processes in a powerfull and highly complex institution. Nikolaus Geyrhalter observes what goes on in a variety of zones, in conference areas, patients’ rooms, the disinfection and pathology departments, the kitchen... Danube Hospital shows with precision and sometimes with humour the relationships between processes that are usually invisible to patients and visitors. Nikolaus Geyrhalter (Wien, Austria, 1972) is a director, cameraman and producer. In 1994 he founded his own production company Nikolaus Geyrhalter Filmproduktion. In 2005 he gained international visibility with Our Daily Bread, a wide inquiry in the world of industrial food production and high-tech farming. Amongst his latest works: 7915 Km (2008) and Abendland (2011), screened at Bergamo Film Meeting 2009 and 2012.

Regia, Fotografia/ Director, Cinematography Nikolaus Geyrhalter Montaggio/Editing Andrea Wagner Suono/Sound Christoph Grasser Produttori/Producers Markus Glaser, Michael Kitzberger, Wolfgang Widerhofer, Nikolaus Geyrhalter Produzione/Production Nikolaus Geyrhalter Filmproduktion GmbH, ORF, Arte, Filmfonds Wien, Fersefonds Austria Distribuzione, Contatti/ Distribution, Contacts Autlook Filmsales (Youn Ji), Spittelbergasse 3/14, A-1070 Wien, Austria, tel. +43 720346934, youn@autlookfilms.com, www.autlookfilms.com

Filmografia/Filmography Donauspital SMZ Ost (Danube Hospital, doc, 2012) Abendland (doc, 2011) Allentsteig (doc, 2010) 7915 Km (doc, 2008) Unser täglich Brot (Our Daily Bread, doc, 2005) Fremde Kinder [ep. Senad und Edis – Es war einmal der Krieg] (tv series doc, 2003) Elsewhere (doc, 2001) Pripyat (doc, 1999) Das Jahr nach Dayton (The Year after Dayton, doc, 1997) Angeschwemmt (Washed Ashore, doc, 1994)

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Clarisse Hahn

Notre corps est une arme – Prisons

Our Body Is a Weapon – Prisons Francia/France, 2012, 12’, col.

Regia, Fotografia, Montaggio, Contatti/ Director, Cinematography, Editing, Contacts Clarisse Hahn, clarissehahn@yahoo.fr, www.clarissehahn.com

Il nostro corpo è un’arma – Prigioni [t.l.] Due giovani donne hanno usato il loro corpo come un’arma da guerra, partecipando a uno sciopero della fame nelle prigioni turche represso nel sangue dall’esercito nel 2000. La serie di filmati dal titolo Notre corps est une arme è centrata su persone che affermano il corpo come luogo di resistenza politica e sociale. Il titolo della serie cita la risposta di una militante comunista turco-curda, fisicamente disabile, dopo un lungo sciopero della fame: «Il nostro corpo è un’arma, un fucile carico che fa fuoco per la vittoria». Clarisse Hahn (Parigi, Francia, 1973) attraverso i film, le fotografie e le installazioni video, porta avanti una ricerca sulle comunità, i codici comportamentali e la funzione sociale del corpo. Il suo lavoro si focalizza sul tentativo di percepire la complessità delle relazioni che legano, o separano, gli esseri umani, fra ambivalenze e contraddizioni. La domanda di fondo è sui sistemi di valori e sulla costruzione dell’identità. Our Body Is a Weapon – Prisons Two young women utilized their body as a war weapon, partecipating to a hunger strike stifled from the army in year 2000. The films under the title is centered on people asserting their body as a political and social resistance place. The title of the series quotes the answer from a TurkKurdish communist militant, phisically handicapped, after a long hunger strike: «Our body is a weapon, a charged rifle that shoots for victory».

Filmografia/Filmography Notre corps est une arme – Los desnudos (short doc, 2012) Notre corps est une arme – Prisons (short doc, 2012) Notre corps est une arme – Gerilla (short doc, 2012) Kurdish Lover (doc, 2010) Les protestants (doc, 2005) Karima (doc, 2003) Ovidie (doc, 2000) Hôpital (doc, 1999)

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Clarisse Hahn (Parigi, France, 1973) through her cinematic work, photographs and video installations, keeps researching on communities, behavioural codes and the social role of the body. Her work focuses on the attempt to perceive the complexity in relationships that ties, or separate, the human beings in their ambivalences and contradictions. The basic question is about value systems and identity construction.


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Paul Lacoste

Entre le Bras

Step Up to the Plate Francia/France, 2011, 90’, col.

Tra i Bras [t.l.] Nel 2009 Michel Bras, chef francese da tre stelle Michelin, decide di passare il ristorante a suo figlio Sébastien, che ha lavorato con lui per quindici anni. Il film racconta la storia di questi straordinari piatti preparati da padre e figlio nel paesaggio collinare della regione dell’Aubrac. Seguiamo questo passaggio di mano gastronomico ed entriamo fra i legami di una straordinaria famiglia. Paul Lacoste (Francia) insegna regia da quindici anni all’ESAV (École Supérieure d’Audiovisuel) di Tolosa. Ha contemporaneamente diretto corti e mediometraggi di fiction. Nel 2010 ha avvicinato Michel e Sébastien Bras con l’idea di creare un lungometraggio documentario sul passaggio di consegne del ristorante da padre a figlio. Per il film Step Up to the Plate, Paul Lacoste ha seguito i suoi personaggi per un anno, filmando questo momento cruciale delle loro vite. Step Up To the Plate In 2009 the French three-Michelin-stars chef Michel Bras decides to hand his restaurant over to his son Sébastien, who has been working with him for fifteen years. The film tells the story of these extraordinary dishes prepared by a father and a son, in the hilly landscape of Aubrac region. We follow this gastronomic transmission, and enter in the ties of an extraordinary family.

Regia/Director Paul Lacoste Fotografia/Cinematography Yvan Quehéc Montaggio/Editing Anthony Brinig Musica/Music Karol Beffa Suono/Sound François Labaye, Florian Delafournière Interpreti/Cast Michel Bras, Sébastien Bras Produttori/Producers Gaëlle Bayssière, Didier Creste Produzione/Production Everybody On Deck Distribuzione, Contatti/ Distribution, Contacts Jour 2 fête (Samuel Blanc), 7 rue Ambroise Thomas, 75009 Paris, France, tel. +33 140229215, samuelblanc15@gmail.com, www.jour2fete.com

Paul Lacoste (France) has taught film directing for fifteen years at ESAV (École Supérieure d’Audiovisuel) in Toulouse. At the same time, he has directed shorts and medium-length works of fiction. In 2010, he approached Michel and Sébastien Bras with the idea of creating a feature-length documentary about the handing-over of the restaurant from father to son. For the movie Step Up to the Plate, Paul Lacoste followed them for a year, filming this crucial time in their lives.

Filmografia/Filmography Entre les Bras (Step Up to the Plate, doc, 2011) L’invention de la cuisine (The Invention of Cooking, doc series, 2001-2008) Un an dans les vignes (One Year in the Vineyard, doc series, 2004) Louis de Froidour, une vie en forêt (Louis de Froidour, a Life in the Forest, doc, 2003)

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Germano Maccioni

Fedele alla linea

Faithful to the Line Italia/Italy, 2013, 74’, col.

Regia/Director Germano Maccioni Fotografia/Cinematography Marcello Dapporto Montaggio/Editing Walter Cavatoi, Germano Maccioni Suono/Sound Fabrizio Cabitza Con/With Giovanni Lindo Ferretti Produttori/Producers Ivan Olgiati, Stefania Marconi, Simone Bachini Produzione, Distribuzione, Contatti/ Production, Distribution, Contacts Articolture (Ivan Olgiati), viale Silvani 12, 40122 Bologna, Italy, tel. +39 051 18899687, mob. +39 334.7208915, ivan.olgiati@articolture.it, www.articolture.it; Simone Bachini, mob. +39 338.5080731, simone@apapaja.com, www.apapaja.com

Filmografia/Filmography Fedele alla linea (Faithful to the Line, doc, 2013) I giorni scontati (doc, 2012) Cose naturali (Natural Things, short, 2011) My Main Man. Appunti per un film sul jazz a Bologna (My Main Man. Notes for a Film About Jazz in Bologna, doc, 2009) Lo Stato di Eccezione. Processo per Monte Sole 62 anni dopo (The State of Exception, doc, 2008)

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Fedele alla linea Il musicista Giovanni Lindo Ferretti negli anni disorienta fan e opinione pubblica, dando spazio a critiche e fraintendimenti. Il film è un dialogo intimo tra le mura di casa che ripercorre un’esistenza: dall’Appennino alla Mongolia, attraversando il successo, la malattia e lo sgretolarsi di un’ideologia. Infine il ritorno a casa, tra i suoi monti, per riprendere le fila di una tradizione secolare e lavorare a un’opera epica equestre che racconta di uomini, cavalli e montagne. Germano Maccioni (Bologna, 1978) è attore e regista. Nel 2008 realizza Lo Stato di Eccezione, film documentario sul processo per la strage di Monte Sole. Nel 2009 recita per Giorgio Diritti in L’uomo che verrà, nella parte di don Ubaldo. Nel 2011 dirige Roberto Herlitzka, Angela Baraldi e Tatti Sanguineti in Cose naturali, il suo primo cortometraggio di finzione. Nel 2012 esce I giorni scontati, documentario girato interamente in un carcere. Faithful to the Line Musician Giovanni Lindo Ferretti over the years has intrigued his fans and the public, attracting criticism and misinterpretations. An intimate conversation between the walls of his home, retracing his existence: from the Apennines to Mongolia, through success, sickness and the unraveling of an ideology. He finally returns home to his mountains, rediscovers a centuries-old tradition, and works on an equestrian opera about men, horses and mountains. Germano Maccioni (Bologna, Italy, 1978) is an actor and director. In 2008 he directed the documentary The State of Exception, which followed the trial for the Monte Sole massacre. In 2009 he acted in L’uomo che verrà by Giorgio Diritti, as don Ubaldo. In 2011 he directed Roberto Herlitzka, Angela Baraldi and Tatti Sanguineti in Natural Things, his first fictional short film. In 2012 he directed I giorni scontati, a documentary entirely shot in a prison.


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Ilian Metev

Poslednata lineika na Sofia

Sofia’s Last Ambulance

Germania • Bulgaria • Croazia/Germany • Bulgaria • Croatia, 2012, 75’, col.

L’ultima ambulanza di Sofia [t.l.] Una delle situazioni più tragiche in Bulgaria è il sistema sanitario, particolarmente carente nel servizio di pronto soccorso. Dopo vent’anni di capitalismo, il numero delle ambulanze a Sofia è crollato a tredici. C’è una drammatica riduzione di personale. È difficile trovare qualcuno che voglia lavorare per uno stipendio che basta a malapena a pagare il riscaldamento invernale. Il film parla dei medici che fanno il lavoro che nessuno vuole più fare. Ilian Metev (Sofia, Bulgaria, 1981) si è inizialmente dedicato alla carriera di violinista concertista, ossessionato poi dall’idea di fondere la forma musicale e il linguaggio cinematografico. Ha studiato arte a Londra, diplomandosi in regia documentaria alla National Film and Television School. Il suo film di diploma, Goleshovo (2008), è stato presentato in oltre sessanta festival e ha ricevuto diciassette premi. Sofia’s Last Ambulance è il suo primo lungometraggio. Attualmente vive fra Oxford e Sofia. Sofia’s Last Ambulance One of the most tragic casualties of Bulgaria is the medical system, and this is felt nowhere as strongly as in the emergency service. After twenty years of capitalism, the number of Sofia’s ambulances has dropped down to thirteen. There is a dire shortage of staff. Hardly anybody is willing to work on a salary that can barely cover the heating bill in winter. This film is about the medics who do the job that no one wants anymore.

Regia, Fotografia/ Director, Cinematography Ilian Metev Montaggio/Editing Betina Ip Suono/Sound Tom Kirk Interpreti/Cast Krassimir Yordanov, Mila Mikhailova, Plamen Slavkov Produttori/Producers Siniša Juričić, Ingmar Trost, Dimitar Gotchev Produzione/Production Nukleus Film, Sutor Kolonko, Sia Distribuzione/Distribution Films Boutique Contatti/Contacts Nukleus Film (Siniša Juričić), tel. +38 514848868, mob. +38 5915021871, sinisa@nukleus-film.hr, Sutor Kolonko (Ingmar Trost), tel. +49 22178944840, mob. +49 1635614734, ingmar.trost@sutorkolonko.de

Ilian Metev (Sofia, Bulgaria, 1981) initially pursued a career as a concerting violinist, then becaming obsessed with the idea of melding musical form and film language. He went on to study fine art in London, followed by a degree in documentary direction at the National Film and Television School. His graduation film Goleshovo (2008) has been screened at over sixty festivals and received seventeen awards. Sofia’s Last Ambulance is his first feature film. Currently he is based between Oxford and Sofia.

Filmografia/Filmography Poslednata lineika na Sofia (Sofia’s Last Ambulance, doc, 2012) Goleshovo (doc, 2008)

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Magali Roucaut

La friche

Wasteland

Francia/France, 2012, 45’, col.

Regia, Fotografia/ Director, Cinematography Magali Roucaut Montaggio/Editing Victoria Follonier Suono/Sound Sébastien Noiré Produzione, Distribuzione, Contatti/ Production, Distribution, Contacts Magali Roucaut, mroucaut@hotmail.com

La zona abbandonata [t.l.] A poche centinaia di metri dal canale Saint-Martin, al centro di una vecchia area industriale di Parigi, c’è una zona abbandonata, isolata dalla città da alte palizzate. All’interno solo vegetazione selvaggia. Qui e là si indovinano le tracce di una vecchia fabbrica. Abbandonato da circa vent’anni, questo luogo è abitato da fantasmi, vivi e morti. La loro storia è legata alla storia stessa della città. Magali Roucaut (Lione, Francia, 1978) ha studiato regia all’Università di Evry, dopo la laurea all’Institut d’études politiques di Grenoble. Attualmente lavora a Parigi come regista e direttore della fotografia per la televisione e il web. Wasteland Few hundreds meters far from canal Saint-Martin, in the middle of an old industrial area in Paris, there’s a wasteland, isolated from the city by high poles. Only savage vegetation inside. Here and there you can guess the presence of an old factory. Abandoned since about twenty years, this place is populated by phantoms, living and dead. Their story is strictly related with the story of the city itself. Magali Roucaut (Lyon, France, 1978) studied film direction at the University of Evry, after graduation at the Institut d’études politiques in Grenoble. She currently works in Paris as director and cinematographer for television and the web.

Filmografia/Filmography La friche (Wasteland, doc, 2012) La bibliothèque (The Library, doc, 2007) Une école engagée (An Engaged School, short doc, 2007)

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Rossella Schillaci

Il limite

sea Boundary Italia/Italy, 2012, 55’, col.

Il limite La vita quotidiana su un peschereccio d’altura nel mare di Sicilia. L’equipaggio è formato da italiani e tunisini. In mare per tre settimane ogni volta, pescano al largo delle coste della Libia e della Tunisia, a volte al di fuori dei limiti di pesca. Dopo pochi giorni a terra, gli uomini lasciano le loro famiglie e ripartono per un altro mese in mare. La rete viene calata ogni quattro ore, giorno e notte, con il buono o il cattivo tempo; il lavoro è duro e la paga è poca. Oltre l’orizzonte c’è l’Africa, da cui partono i migranti diretti in Europa, alla ricerca di una vita migliore. Rossella Schillaci (Torino, 1973) è regista e ricercatrice. Ha conseguito un master in antropologia visiva e regia del documentario al Granada Centre for Visual Anthropology a Manchester, lavorando poi a Lisbona come assistente di produzione e cameraman. Tornata in Italia, ha collaborato a produzioni Rai e Mediaset. Il suo film Vjesh/ Canto (2007) vince il primo premio al festival Jean Rouch di Parigi. Attualmente lavora come regista e autrice di programmi per Raisat e produce documentari con Azul, casa di produzione da lei fondata con Fulvio Montano.

Regia/Director Rossella Schillaci Fotografia/Cinematography Irma Vecchio Montaggio/Editing Fulvio Montano, Edoardo Morabito Musica/Music Vincenzo Gangi Suono/Sound Francesco De Marco Produttori/Producers Filippo Pistoia, Giuseppe Schillaci, Cristina Alga Produzione/Production Azul, Clac Distribuzione, Contatti/ Distribution, Contacts Azul, Corso Francia 79, 10138 Torino, Italy, info@azulfilm.com, www.azulfilm.com

Sea Boundary The daily life aboard a Sicilian fishing vessel. The fishermen are both Italians and Tunisians. At sea for three weeks at a time, they fish off the coasts of Libya and Tunisia, sometimes outside the fishing limits. After a few days on shore, the men leave their homes and families for a month. Night and day the nets are cast every four hours, with good or bad weather; the work is demanding and poorly paid. Beyond the horizon lies Africa, where immigrants embark for Europe, in the hope of finding a better life. Rossella Schillaci (Turin, Italy, 1973) is a filmmaker and researcher. She attended a master in visual anthropology and documentary directing at the Granada Center for Visual Anthropology in Manchester, then she worked in Portugal as assistant producer and cameraman. Back in Italy, she worked for Rai and Mediaset productions. Her film Vjesh/ Canto (2007) wins first prize at Jean Rouch Film Festival in Paris. She currently works as director and screenplayer for Raisat and produces documentaries with Azul, a production company she founded with Fulvio Montano.

Filmografia/Filmography Il limite (Sea Boundary, doc, 2012) Altra Europa (Other Europe, doc, 2011) Shukri. A New Life (doc, 2010) Solo questo mare (Only the Sea is Missing, short doc, 2009) La fiuma (She-River, doc, 2008) Vjesh/Canto (doc, 2007)

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Mindaugas Survila

Stebuklų laukas

The Field of Magic Lituania/Lithuania, 2011, 62’, col.

Regia, Fotografia/ Director, Cinematography Mindaugas Survila Montaggio/Editing Danielius Kokanauskis Suono/Sound Saulius Urbanavičius Produttori/Producers Giedrė Beinoriūtė, Jurga Gluskinienė Produzione, Distribuzione, Contatti/ Production, Distribution, Contacts Production Monoklis (Asta Tumaite, Jurga Gluskinienė), Nau garduko 34, LT-03228 Vilnius, Lithuania, tel. +37 068790681, asta@monoklis.lt, jurga@monoklis.lt, www.monoklis.lt

Il campo magico [t.l.] Il film è il risultato di quattro anni di lavoro su un gruppo di persone che vivono da più di vent’anni nella foresta di Buda, vicino alla discarica di Kariotiškės, a quaranta chilometri da Vilnius. Il film racconta la vita della comunità degli abitanti della discarica, nella sua unicità, la routine quotidiana, la gioia e la tristezza di ogni giorno. Il titolo originale “stebuklų laukas” è il nome di un tradizionale gioco russo che consiste nel cercare oggetti di valore nelle discariche. Mindaugas Survila (Vilnius, Lituania, 1983) si è laureato in biologia nel 2005 all’Università di Vilnius e nel 2007 ha conseguito il master in ecologia e ricerche ambientali. Dal 2007 lavora come operatore per diversi canali televisivi. Il suo primo film indipendente sui rari falchi pescatori, Meeting the Ospreys (2007), è stato eletto miglior documentario lituano sulla natura nel 2007. The Field of Magic The film is a result of four year’s work with people living for over two decades in Buda forest near the closed Kariotiškės dump, forty kilometers from Vilnius. It tells the life of the community of the dump dwellers, its uniqueness, daily routine, everyday joy and sorrow. The original title “stebuklų laukas” is the name of a traditional Russian game where you search for valuable objects in landfills. Mindaugas Survila (Vilnius, Lithuania, 1983) took a bachelor degree of biology in 2005 at Vilnius University and in 2007 a master degree of ecology and environmental researches. Since 2007 he works as an operator in various television channels. His first independent movie about the rare ospreys birds, Meeting the Ospreys (2007), was voted as the best Lithuanian documentary of nature in 2007.

Filmografia/Filmography Stebuklų laukas (The Field of Magic, doc, 2011) Susitikimas su žuvininkais (Meeting the Ospreys, doc, 2007)

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Rosa von Praunheim

König des Comics

King of Comics

Germania/Germany, 2012, 78’, col.

Il re dei fumetti [t.l.] Ralf König, uno dei fumettisti tedeschi di maggior successo, è diventato famoso con Der bewegte Mann che è diventato un film nel 1994 (Tutti lo vogliono, di Sönke Wortmann). Giocando in maniera arguta con i clichés queer, Ralf König raggiunge anche un’ampio pubblico eterosessuale. In King of Comics Rosa von Praunheim ritrae un uomo semplice e modesto che con le sue brillanti capacità di osservatore ha lasciato il segno su più generazioni di lettori di fumetti. Rosa von Praunheim (Riga, Lettonia, 1942) all’anagrafe Holger Mischwitzky. Lega gli esordi della sua carriera al Nuovo Cinema Tedesco come membro della scuola di cinema underground berlinese. Sceglie il nome artistico femminile di “Rosa von Praunheim” in memoria del triangolo rosa che gli omosessuali dovevano indossare nei campi di concentramento nazisti. Ha all’attivo più di cinquanta film, molti dei quali toccano tabù e punti critici della società. In Germania, Rosa von Praunheim ha dato un contribuito significativo nella campagna di prevenzione contro l’Aids. King of Comics Ralf König, one of the most successful German cartoonists, became famous with Der bewegte Mann that was made into a film in 1994 (The Most Desired Man, by Sönke Wortmann). Wittily playing with queer clichés, he also reaches a wide heterosexual audience. In King of Comics Rosa von Praunheim portrays an unpretentious and modest man that with his brilliant observation skills has been leaving his mark on generations of comics readers. Rosa von Praunheim (Riga, Latvia, 1942) was born as Holger Mischwitzky. He began his career associated to the New German Cinema as a member of the Berlin school of underground filmmaking. He took the artistic female name “Rosa von Praunheim” to remind people of the pink triangle that homosexuals had to wear in Nazi concentration camps. He has made more than fifty films, many of which touch taboos and society’s raw points. In Germany, Rosa von Praunheim put a great effort in the prevention campaign against Aids.

Regia, Produttore/Director, Producer Rosa von Praunheim Fotografia/Cinematography Wilfried Kaute, Dennis Pauls, Michael Nopens, Stephan Kümin, Oliver Sechting Montaggio/Editing Michael Shephard, Rosa von Praunheim Musica/Music Andreas Wolter Suono/Sound Stephen Kenderdine, Knut Walter, Oliver Sechting, Markus Tiarks Interpreti/Cast Ralf König, Hella von Sinnen, Ralph Morgenstern, Joachim Król, René Krummenacher, Olaf Gabriel Produzione/Production Rosa von Praunheim Filmproduktion Distribuzione, Contatti/ Distribution, Contacts M-appeal (Anne Wiedlack), Prinzessinnenstrasse 16, 10969 Berlin, Germany, tel. +49 3061507505, fax +49 3027582872, sales@m-appeal.com, www.m-appeal.com

Filmografia/Filmography König des Comics (King of Comics, doc, 2012) Die Jungs vom Bahnhof Zoo (Rent Boys, doc, 2011) New York Memories (2010) Rosas Höllenfahrt (History of Hell, doc, 2009) Der rosa Riese (2008) Meine Mütter – Spurensuche in Riga (Two Mothers, doc, 2007) Für mich gab’s nur noch Fassbinder (doc, 2000) Neurosia – 50 Jahre pervers (1995) Monolog eines Stars (1975) Nicht der Homosexuelle ist pervers, sondern die Situation, in der er lebt (1971)

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Zohar Wagner

Yemei hazohar

Doll – Why Did You Dance Naked? Israele/Israel, 2012, 58’, col.

Regia, Sceneggiatura, Fotografia, Montaggio, Produttore/ Director, Screenplay, Cinematography, Editing, Producer Zohar Wagner Musica/Music Zohar Wagner and The Stinky Ones Con/With Zohar Wagner Produzione/Production Channel 8, Israel (Noga Communications) Distribuzione, Contatti/ Distribution, Contacts JMT Films Distribution (Michael Treves), 20 Bialik Street, 63324 Tel Aviv, Israel, tel./fax 972 3 5254782, michael@jmtilms.com, www.jmtilms.com

Doll – Perché danzavi nuda? [t.l.] Nel suo terzo documentario auto-rappresentativo, Zohar Wagner ritorna al suo sfrenato passato da “stripper” a New York ed elabora un complesso racconto di repressione e rifiuto. Un giorno il suo compagno trova una scatola di videocassette che rivelano il suo passato. La discussione sulle vecchie riprese video porta Zohar Wagner a una profonda ricerca emotiva, arrivando a chiarire i modi in cui i suoi stessi meccanismi repressivi l’hanno condotta allo smarrimento. Zohar Wagner (Tel Aviv, Israele) è documentarista, performer, poetessa e critico cinematografico. Nei suoi lavori esplora la sessualità femminile, l’equilibrio di potere fra uomini e donne. Con la sua cabaret-rock band, The Stinky Ones, l’artista grida le sue poesie, documentando le sue lascive avventure nella fredda ed estranea Tel Aviv, una città conosciuta per essere crudele con le sue donne. Doll – Why Did You Dance Naked? On her third self-revealing documentary film, Zohar Wagner returns to her wild past as a “stripper” in New York and discloses a complicated tale of repression and denial. One day, her fiancé finds a box with old tapes that reveal her past. The dispute around the video footage leads Zohar Wagner on a deeply emotional quest, arriving to uncover the ways in which her repression mechanism has led her astray. Zohar Wagner (Tel Aviv, Israel) is a documentary filmmaker, performance artist, poet and film critic. In her works she explores female sexuality, the balance of power between men and women. With her cabaret-rock band, The Stinky Ones, she cries out her poems, documenting her salacious adventures in the cold and estranged Tel Aviv, a city that is known to be cruel to its women.

Filmografia/Filmography Yemei hazohar (Doll – Why Did You Dance Naked?, doc, 2012) Stretch Marks (doc, 2009) Zorki – Hiding Mom’s Secret (doc, 2006)

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Hark’oh Wubs

Dit is hoe een land ontstond

This Is How a Country Became Olanda/The Netherlands, 2012, 25’, col.

Come divenne una nazione [t.l.] Una volta era uno stagno di proprietà della famiglia Beukeveld, sul confine fra Olanda e Germania. Un giorno lo stagno fu bonificato e Gerard Beukeveld espropriato. Né l’Olanda né la Germania pagarono mai un soldo per quel terreno dove un tempo c’era lo stagno. Perciò Beukeveld e i suoi entusiasti seguaci decisero di annunciare che lì era nato un nuovo stato sovrano, chiamato Eurostaete. Hark’oh Wubs (Olanda) è regista e produttore. Dopo gli studi all’accademia d’arte St. Joost di Breda ha iniziato a dedicarsi al documentario. Il suo film di diploma, As Long as the Wind Blows from the Clouds (2010), è stato presentato in diversi festival internazionali. Il suo secondo film, Das war das lustige Leben (2011), è stato prodotto dalla Zaaigrond Filmproductions nel 2011. Attualmente vive e lavora a Nijmengen, dove è il coordinatore della fondazione europea dedicata a Joris Ivens.

Regia, Fotografia, Montaggio/ Director, Cinematography, Editing Hark’oh Wubs Musica/Music Het Brandt Con/With Gerard Beukeveld Produttore/Producer Merlijn van de Sande Produzione, Distribuzione, Contatti/ Production, Distribution, Contacts Hark’oh Wubs, Postbus 1526, 6501 BM Nijmegen, The Netherlands, tel. +31 619838610, mail@harkoh.nl, www.harkoh.nl

This Is How a Country Became Once it was a ditch, across the grasslands of the Beukeveld family, forming the borderline between the Netherlands and Germany. One day this ditch was filled up and Gerard Beukeveld was disowned. Neither the Netherlands nor Germany ever payed money for the ground on which the ditch once lay. Therefore Beukeveld and his eager followers announced a new sovereign state upon it, named Eurostaete. Hark’oh Wubs (The Netherlands) is a director and producer. After the studies at the art academy St. Joost in Breda he began working on documentary. His exam-movie As Long as the Wind Blows from the Clouds (2010) had been screened on several international film festivals. His second film Das war das lustige Leben (2011) was produced by Zaaigrond Filmproductions in 2011. Actually he lives and works in Nijmegen, where he is coordinator of the European Foundation Joris Ivens.

Filmografia/Filmography Dit is hoe een land ontstond (This Is How a Country Became, doc, 2012) Das war das lustige Leben (doc, 2011) Salang’t de wyn fan de wolken waait (As Long as the Wind Blows from the Clouds, short doc, 2010)

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Piotr Złotorowicz

Wiosna, lato, jesień

Spring, Summer, Fall Polonia/Poland, 2012, 15’, col.

Regia/Director Piotr Złotorowicz Fotografia/Cinematography Małgorzata Szyłak, Nicolas Villegas Hernandez Montaggio/Editing Barbara Fronc Con/With la famiglia Martins/the Martins (Jacob, Anita, Ruben, Joshua, Ilona, Zosia, Waldek, Krzysiu, Stefan) Produttore/Producer Dariusz Dużyński Produzione/Production The Polish National Film, Television and Theatre School, Polish Film Institute Distribuzione, Contatti/ Distribution, Contacts The Polish National Film, Television and Theatre School (Krzysztof Brzezowski), ul. Targowa 61/63, 90-323 Łódź, Poland, tel. +48 422755820, +48 422755947, promo@filmschool.lodz.pl, www.filmschool.lodz

Filmografia/Filmography Wiosna, lato, jesień (Spring, Summer, Fall, short doc, 2012) Ludzie normalni (Normal People, doc, 2011) Smolarze (Charcoal Burners, doc, 2010) Gra (Sleuth, doc, 2009) Łódź od świtu do zmierzchu (Łódź – From Dusk Till Dawn, doc, 2008) Garsoniera (Garsoniera, doc, 2007) Chrisu (Chris, doc, 2007)

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Primavera, estate, autunno [t.l.] Una famiglia Amish lascia l’America per andare a vivere in una foresta, in Polonia. Piotr Złotorowicz lavora con grande attenzione ai dettagli, rappresentando un modo di vivere inusuale con empatia e rispetto. Ci conduce nella casa della famiglia Martins, per condividerne momenti di quotidianità, mentre passano le stagioni. Piotr Złotorowicz (Dębno Lubuskie, Polonia, 1982) si è laureato nel 2007 alla facoltà di ingegneria elettronica del Politecnico di Szczecin. Nel 2006 si è iscritto alla Scuola di Cinema di Łódź per studiare regia. Il suo documentario Charcoal Burners (2010), girato quand’era studente, è stato presentato in circa centoventi festival internazionali. Spring, Summer, Fall An Amish family leaves America to settle in a forest, in Poland. Director Piotr Złotorowicz keeps working with great attention on details, depicting an unusual way of life with empathy and respect. He takes us inside the house of Martins family, sharing moments of everyday life, as seasons pass by. Piotr Złotorowicz (Dębno Lubuskie, Poland, 1982) graduated in 2007 from the electrical engineering faculty at Szczecin University of Technology. In 2006 he entered the Polish National Film School in Łódź to study film directing. His student work Charcoal Burners (2010) has been screened at about one-hundred-twenty international festivals.


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L’exercice de l’État

Due anni fa, abbiamo cominciato un viaggio attraverso il cinema europeo: nel 2011, con “Mondo Ex”, ci siamo soffermati sul cinema dell’Europa Orientale, e sul modo con cui erano stati espressi gli umori e i sentimenti dell’era post sovietica; l’anno scorso, con “I confini dell’Europa” abbiamo cercato di dare una rappresentazione “geografica” del continente, intesa come definizione di un’identità sovranazionale, culturale e politica, che tenesse conto dell’eterogeneità dell’Europa, della sua natura polifonica e delle spinte centrifughe verso i confini. Quest’anno abbiamo scelto di fare un percorso inverso. Non siamo andati alla ricerca di un contenuto, di un tema, che potesse essere stato rappresentato attraverso i film. Al contrario, siamo partiti da una riflessione sulle centinaia di film europei che abbiamo visto in questi ultimi due-tre anni, ai festival, al cinema, tra le opere iscritte alla Mostra Concorso e alla sezione Visti da Vicino e ci siamo chiesti se fosse possibile tracciare un filo rosso, trovare dei punti in comune, nelle tematiche, nel linguaggio, nelle scelte espressive, che potesse farci dire che esiste un cinema europeo e che attraverso di esso possiamo vedere l’Europa di oggi, o almeno una sua parte. 50


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Era scontato che, guardando ai contenuti, ci saremmo imbattuti nella crisi economica. La crisi è dappertutto, la sua realtà è innegabile e si manifesta a più livelli. In Europa, più che altrove. Forse perché il suo processo di unificazione è ancora a metà strada, forse perché l’Unione Europea si è fatta trovare divisa di fronte a un’emergenza globale, riportando a galla rivalità e rancori per altro mai completamente sopiti, forse perché è già vecchia prima ancora di aver completato il suo processo di crescita e non ha saputo reagire nei tempi giusti di fronte alla falla economica, fatto sta che l’Europa unita scricchiola sotto il peso di una crisi che si riflette inevitabilmente sui rapporti sociali e sulla vita dei singoli, crea distanze tra culture e Stati, tra l’individuo e le istituzioni, tra le classi sociali, le generazioni, le correnti politiche, le idee. E tutto questo si vede anche nei film, e si vede eccome. Senza voler tracciare una fenomenologia della crisi (sarebbe stata un’impresa infinita), abbiamo scelto sei film che non avessero come obiettivo principale quello di parlare esplicitamente del dissesto economico in sé, ma che sapessero raccontare il disagio di questo preciso momento storico, secondo il punto di vista personale e unico dei loro autori, e con tecniche e stili diversi, che andassero dal documentario al cinema di finzione o di animazione. Nella costruzione di questi film colpiscono alcuni tratti in comune, analizzati compiutamente da Pietro Bianchi nel suo intervento. Primo fra tutti, quel senso di isolamento dell’individuo nei confronti della società, la sua estraneità alle istituzioni, alla comunità, al mondo esterno. In tutti i film i protagonisti vivono privatamente il loro malessere, smarriti e spiazzati dagli eventi ai quali non riescono a dare un senso. Qui non sono più le questioni derivate dai flussi migratori a creare sconquasso come nei film di qualche anno fa, ma la perdita di un riferimento culturale e sociale collettivo, che consenta di costruire qualcosa, di pensare a un futuro. Il quadro che emerge da questi film ci dice che il sogno europeo dell’essere “uniti nella diversità” ha lasciato spazio a una realtà dove i singoli, forse più avvezzi alla competizione e all’individualismo che alla solidarietà, vivono in solitudine un fosco destino comune. Non è un caso, crediamo, che i sei film selezionati siano quasi tutti opere prime o seconde, di registi giovani. Sono probabilmente i nuovi autori a sentire maggiormente l’emergenza di parlare 51


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del presente, quelli che appartengono alla generazione disillusa, cresciuta con l’ingannevole promessa di un roseo benessere e che oggi si ritrova con le spalle al muro. Qualcuno ha dovuto confrontarsi con la crisi economica anche per produrre il proprio film, come il greco Filippos Tsitos o lo spagnolo Demian Sabini, costretti a rinunciare a qualsiasi forma di sostegno pubblico. Sabini, in particolare, si è autofinanziato, ha coinvolto una troupe di volontari, ha promosso il film da solo, con la sua casa di produzione, e prima di riuscire a portarlo in sala l’ha distribuito sulle terrazze di Barcellona (!). Questo ci dà l’occasione di sottolineare che anche l’industria cinematografica e creativa europea, come qualsiasi altro settore economico, sta affrontando la sua crisi, nei finanziamenti che riguardano la produzione, la formazione, il sistema distributivo. È una realtà che si manifesta in modo differente a seconda dei diversi Paesi. A guardare i film che negli ultimi anni hanno aderito al bando di Bergamo Film Meeting, possiamo dire che la situazione del cinema rispecchia quella degli altri settori produttivi: il cinema tedesco e quello francese hanno una forte egemonia sul resto d’Europa, seguono la Gran Bretagna e alcuni Paesi del Nord (Belgio, Olanda, Svezia, Lussemburgo), tutti gli altri rimangono a grande distanza. Di alcuni non abbiamo avuto notizia (leggi Cipro e Malta), mentre da altri (come Ungheria, Bulgaria, Romania, Portogallo, Grecia, Spagna, Italia), che in passato ci proponevano almeno due o tre film degni di nota, abbiamo sentito un preoccupante silenzio o, soprattutto per quanto riguarda la fiction, ricevuto proposte puramente commerciali, salvo rarissime eccezioni. Sarà un caso o una tendenza? Azzardiamo l’osservazione che i Paesi meno prolifici di film, ci sono parsi soprattutto quelli che negli ultimi anni hanno drasticamente ridotto l’investimento pubblico nel cinema di qualità. Di sicuro questo aspetto meriterebbe un’analisi approfondita e un discorso articolato. In questa sede, tuttavia ci preme evidenziare che la supremazia produttiva di alcuni Paesi sugli altri rischia di minare la pluralità del cinema europeo. Non siamo ancora arrivati a una situazione allarmante, ma dobbiamo constatare che effettivamente in questo momento, per alcune cinematografie la situazione sta diventando critica. È un peccato, perché, ne siamo certi, i talenti non mancano: nuovi film, nuovi registi, nuove scelte narrative, nuovi linguaggi, affermano l’esistenza di un “cinema europeo”, che sa raccontare storie vere o immaginarie, con un approccio creativo. Ogni anno gli autori della Mostra Concorso e dei Visti da Vicino ci stupiscono con le loro opere innovative e allo stesso tempo solide, compatte, mature. Quest’anno, abbiamo voluto completare il nostro percorso per “Cantiere Europa” con un assaggio dei lavori degli studenti delle scuole di cinema europee, aderenti al CILECT – Centre International de Liaison des Ecoles de Cinéma et de Télévision, un’associazione internazionale che mette in comunicazione e sostiene la collaborazione tra le più importanti scuole di cinema e televisione di tutto il mondo. Una selezione di cortometraggi, scelti grazie alla collaborazione con la Scuola di Cinema e Televisione di Milano, un pugno di film degli “autori” di domani, che già dimostrano inventiva, competenza tecnica e proprietà di linguaggio. Per noi sono stati la scoperta di una risorsa importante, che apre una pagina sul futuro e lascia ben sperare nella ripresa della crescita e dello sviluppo del cantiere europeo. 52


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Terrados

Esercizi per vedere una crisi Pietro Bianchi Come si vede una crisi economica? Qual è la sua immagine? Il processo di impoverimento che sta subendo l’Europa in questi anni non sempre è immediatamente visibile: ci vogliono anni prima che i licenziamenti e le fabbriche chiuse diventino capannoni vuoti sulle autostrade; ci vuole tempo prima che le famiglie abbiano prosciugato i propri risparmi; ci vuole tempo prima che l’impoverimento diventi una concreta immagine di povertà nelle nostre strade. Non che ci siamo lontani, anzi, si parla di una Grecia con già diffusi fenomeni di malnutrizione infantile e scarsità di farmaci. Ma il problema in ogni caso rimane: la crisi economica non ha una propria visibilità. Non è facile trovare un’immagine immediata – ovvero che riesca in sé ad esprimere esaustivamente – la crisi che da parte a parte attraversa l’intero continente europeo. Non è un caso quindi che un problema fondamentale – ancora prima che del cinema, lo è della società tutta – sia trovare un’espressione visibile a quello che sta accadendo. La crisi economica è un trauma senza volto che attraversa l’intera società dai giovani ai vecchi, da Nord a Sud, dalle famiglie agli individui. Non colpisce uniformemente, 53


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perché si accanisce con lavoratori, donne, migranti etc. ma colpisce diffusamente e in modo spesso poco prevedibile. Più che un evento singolo è una catena di effetti sparpagliati. E si sa che i traumi sono tanto più paralizzanti quanto più non hanno un volto: è dunque necessario che di un trauma si cerchi la sua manifestazione, la sua espressione, la sua immagine. È quello che si propone di fare il cinema quando si misura con eventi come questi. È forse l’aspetto più autenticamente politico che può avere il cinema: non rappresentare la realtà così com’è, ma dare un’immagine a ciò che nella realtà non si riesce a vedere con i propri occhi. L’EUROPA. UN CANTIERE SENZA FONDAMENTA Gran parte dei film che costituiscono questa rassegna si misurano con i molteplici effetti di una crisi europea che si è diffusa rapidamente dalla sua origine economica alle sue manifestazioni sociali, familiari, individuali, psicologiche, culturali, identitarie etc. fino ad assumere dei contorni indefiniti, onnipresenti, quasi paranoici. Il filosofo Gilles Deleuze sosteneva che il più grande cambiamento avvenuto nella storia del cinema (il passaggio del cinema classico dell’immagine-movimento al cinema moderno dell’immagine-tempo) sia avvenuto non per una ragione interna, ma per 54


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un evento esterno: il trauma della Seconda guerra mondiale. C’è dunque un effetto propriamente estetico (intra-cinematografico) che viene provocato dai grandi eventi storici nelle forme dell’arte. E in effetti è stupefacente vedere come il cinema europeo abbia negli ultimissimi anni ingaggiato un confronto molto serrato con i temi della crisi sociale ed economica europea. Magari sono pochi i film di questa rassegna che adottano un registro apertamente politico (l’unica eccezione è Iceland: Year Zero, 2012), ma nessuno di essi tiene del tutto fuori campo la crisi economica di questi anni. Negli anni scorsi i film europei si contraddistinguevano per le storie familiari, per il registro dimesso e individuale, per temi che riguardavano l’identità personale, la crisi soggettiva, la solitudine etc. Ora questi temi sono ancora lì, ma sono diventati espressione (o effetto) di quel grande evento storico invisibile eppure onnipresente che è la crisi economica. È come se tra le storie individuali chiuse nella loro particolarità e il trauma invisibile e universale non ci sia mai un incontro faccia a faccia. Di fronte al grande evento storico l’individuo non si erge a soggetto della Storia (con la “s” maiuscola) e del cambiamento, ma vive la crisi come vittima, come effetto o conseguenza di ciò che accade inesorabilmente alle proprie spalle. La figura di un soggetto muto, vittimizzato, incapace di prendere parola è un tratto di fondo di molti di questi film: dalla stralunata e malinconica coppia di Sotiris e Dora di Adikos kosmos (Unfair World, 2011); al trentenne Leo che rimane attonito e muto ai rimproveri della propria ragazza in Terrados (Rooftops, 2011); allo sciopero della fame di Daniel Crulic in Crulic – Drumul spre dincolo (Crulic, la strada per l’aldilà, 2011); all’iperattivismo di Raša che però non riesce mai a farsi parola in Äta sova dö (Eat, Sleep, Die, 2012). La difficile sintesi tra le storie particolari e la Storia è forse il tratto comune di queste opere. Ed è un problema che espone una questione di fondo dell’identità europea di questi anni. Da quando è nato il progetto dell’Unione Europea, al momento dell’entrata in vigore dell’euro nel 2002, alla crisi degli ultimi due anni, si è assistito a un progressivo affievolirsi degli entusiasmi che avevano accompagnato il progetto unitario alla sua origine. Il risorgere di nazionalismi, non più nelle frange estreme della destra xenofoba che avevano catalizzato il consenso delle aree periferiche dell’Unione – dall’ex Germania Est ai localismi provinciali di Francia, Italia e Austria (e ora drammaticamente Grecia) – ma al suo centro – in Germania, in Finlandia, in Olanda – parla di un problema che attiene alle fondamenta del progetto Europeo. Questi film vedono la crisi sociale che attraversa l’Europa dal punto di vista di effetti periferici che non riescono mai a farsi narrazione unitaria e che non vedono l’Europa come soggetto unico, espresso da una collettività e sostenuto da un interesse comune e condiviso. Colpisce a riguardo l’assoluta mancanza di immagini collettive: è l’individuo solo abbandonato da tutto e dalla famiglia come nella tragedia di Crulic – Drumul spre dincolo dove i Paesi europei si guardano in cagnesco e si accusano reciprocamente; ma è anche la famiglia sola accerchiata da una comunità ostile come in Äta sova dö dove persino il proprio paese d’appartenenza è straniero. Gli unici sprazzi di comunità si intravedono in toni non certo idilliaci nella calda disperazione del finale di Äta sova dö o nella tiepida rassegnazione del gruppo di trentenni di Terrados (nel finale si dice di voler cominciare qualcosa, ma non si dice niente di concreto se non la pura volontà). Nelle immagini del mondo del lavoro non c’è mai solidarietà orizzontale. In Äta sova dö nella scena dei licenziamenti non c’è mai un momento dove le tante debolezze dei lavoratori si uniscono in una forza, se mai accade il contrario: il 55


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lavoratore accanto a sé è un avversario la cui bravura è vista come causa dei propri guai. In Terrados c’è il lavoro solo nei colloqui individuali, la collettività è semmai la festa dove lamentarsi delle proprie sventure. Ma anche in L’exercice de l’État (Il Ministro. L’esercizio dello Stato, 2011) si vede solo come un fulmine, in un breve frammento, un gruppo di lavoratori della CGT (Confédération Générale du Travail, confederazione sindacale francese) che però non fa altro che assaltare con violenza cieca il Ministro dei Trasporti. E nella Atene di Adikos kosmos non c’è semplicemente in giro nessuno: i due protagonisti camminano per strade vuote, per lo più di notte, in un’atmosfera malinconica e surreale. COME LA CRISI DIVENTA UN CORPO Äta sova dö è forse a questo riguardo l’opera che riesce meglio a sintetizzare l’insieme di queste problematiche. La protagonista, Raša, ha ventun’anni, è di origine montenegrina e quindi è costretta a portarsi sulle spalle un cognome che la fa sembrare un’immigrata. È abbastanza per lei per coltivare il sospetto che venga discriminata sul luogo di lavoro. Ma Raša ha molti altri pesi sulle spalle: ha quello del padre (letteralmente, a volte lo porta proprio sulle spalle) che non può lavorare per un fastidioso mal di schiena e che dipende interamente da lei per il suo sostentamento; ha quello del non avere la patente di guida, che la rende inadatta a molti lavori nell’angosciosa ricerca di collocamento dopo il licenziamento dalla fabbrica dove lavorava. Il merito di questo film è quello di mostrare come una condizione sociale generale venga espressa soggettivamente; si incarni in un punto di vista singolare. Le scene di Äta sova dö dove viene mostrato il programma di ricollocamento per i licenziati è ciò che di più violento potesse essere mostrato sulla crisi economica. La regista Gabriela Pichler ci mostra un gruppo di operai licenziati che devono interiorizzare quella paradossale logica dell’employability secondo cui il proprio collocamento sul mercato del lavoro dipende non dalle condizione oggettive (la crisi), ma da quella soggettive (il proprio bagaglio di competenze). «Qual è la tua più grande qualità?», viene chiesto a Raša, e lei dice con involontario senso del paradosso: «Impacchettare dieci sacchi di insalata in 4 secondi e 3» (lavorava in un’industria alimentare). A Raša – ragazza operaia un po’ maschiaccio, che va in giro per la città in bicicletta, sempre vestita con una tuta da ginnastica – viene chiesto di ripulirsi, di andare ai colloqui di lavoro a ripetere le frasi “sono una lavoratrice flessibile, voglio questo lavoro perché mi piacciono le sfide”, oppure di trasferirsi a Malmö (“prendere o lasciare”) con l’arroganza di chi non sa che questo per lei vorrebbe dire abbandonare l’unica persona che le dà un po’ di affettività e stabilità nella sua vita: suo padre. Con uno stile che rielabora la lezione dei fratelli Dardenne, ma con una ben più spiccata lucidità dei nessi politici e dello sfondo sociale circostante, Gabriela Pichler mostra il processo sociale attraverso cui una condizione economica diventa immagine di una sensazione: quella di inadeguatezza. Raša corre veloce sulla sua bicicletta ma non sa dove andare. Il pianto liberatorio durante una tristissima festa collettiva sembra più ratificare un’impasse che aprire una strada di resistenza. Il tema di come la crisi diventi un corpo percorre anche, in modo speculare, due film molto diversi come L’exercice de l’État e Crulic – Drumul spre dincolo. In L’exercice de l’État va in scena la commedia del potere e soprattutto una politica 56


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estranea dalla legittimazione democratica che diventa sempre più indistinguibile dall’amministrazione. Così è possibile che il problema della privatizzazione delle stazioni dei treni in Francia diventi un puro pretesto per vedere materializzarsi logiche economiche a cui il Ministro dei Trasporti, protagonista del film, è completamente soggiogato. Dove si esercita dunque il potere? Innanzitutto – ci dice Pierre Schöller, regista del film – sul corpo. L’exercice de l’État è infatti un film sul corpo del ministro e dunque sul corpo del potere: l’ansia, la tensione, la nausea, l’eccesso di alcol, l’adrenalina, e poi persino il corpo tumefatto e sanguinante dopo un incidente stradale. Il corpo politico deve sottostare a una continua ansia da performance come se fosse un atleta. In una delle scene più significative, quando il ministro si trova in prima fila in chiesa al funerale del proprio autista, morto durante un incidente stradale, lo vediamo guardare il prete con aria persa nel vuoto. Mentre i parenti della vittima si disperano per la tragedia, lui freddamente si assenta con i suoi pensieri e ripete il discorso che da lì a poco dovrà fare per ricordare la vittima dall’altare. Le freddezza del suo volto, l’impermeabilità rispetto a quello che attorno gli sta accadendo, si sovrappone all’ipocrita sensibilità delle parole che passano per la sua mente. La compassione è una tecnica, così come la ricerca di consenso dei propri elettori e la propria strategia carrieristica (totalmente sganciata dal merito della questione, il ministro protagonista del film cambierà idea dall’essere contro 57


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le privatizzazioni per diventare “il ministro delle privatizzazioni”). Pierre Schöller è però attento a non prendere la strada della pura e semplice stigmatizzazione dell’a-moralità della politica. Il suo approccio ricorda gli studi di Michel Foucault sul potere: il problema non è la bontà delle motivazioni, ma soltanto la tecnica di funzionamento. La centralità del punto di vista del protagonista pone la sospensione della moralità delle proprie azioni come inevitabile. Nel seguire la giornata del ministro, la sua programmazione delle attività giornaliere, il susseguirsi continuo di impegni personali e politici, le richieste contraddittorie tra loro da parte di una sempre numerosa schiera di chierici, costruisce scientificamente una sensazione di impasse: di impossibilità di prendere una vera e propria decisione (ovvero di forzare le condizioni per piegarle alla propria volontà). Tuttavia il filo rosso di questo film – che non esce quasi mai dagli uffici dei ministeri – è l’estraneità rispetto alle conseguenze sociali della propria politica. Le contestazioni, che entrano distrattamente e per una semplice frazione di secondo dalle televisioni, sono un dettaglio. È per questo che la storia di Daniel Crulic di Crulic – Drumul spre dincolo, che invece della macchina tritacarne del potere è vittima, rappresenta il perfetto contro-campo di L’exercice de l’État. Anca Damian, regista del film, costruisce un paradossale racconto animato narrato in prima persona da Daniel Crulic morto. Il registro tra il grottesco e il 58


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surreale, amplificato dai disegni, finisce nella sua applicazione a degli eventi reali per amplificare ancora di più l’assurdità della vicenda. E persino la storia di un immigrato rumeno in Polonia, nella sua rete di casualità ed equivoci, potrebbe quasi essere una tragicommedia se non fosse che già dall’inizio veniamo a conoscenza del suo dramma conclusivo. Daniel finisce in carcere quasi per sbaglio e per un insieme di leggerezze giuridiche, incomprensioni linguistiche, errori processuali veri e propri, finisce per subire una lunga e durissima detenzione. Sicuro di un alibi che lo confermerebbe in Italia a casa dalla sorella durante il giorno del crimine, inizia un drammatico sciopero della fame che però non sortisce alcun effetto. Il film ci dimostra che cosa voglia dire trovarsi intrappolato tra le maglie di un potere che affibbia alla marginalità del protagonista una colpevolezza a priori. Doppiamente isolato – in un Paese straniero, e dalla famiglia – Daniel porta avanti testardamente un gioco al massacro inflitto al proprio corpo che non può che portare alla tragedia. La forza di questo film sta nella scelta di singolarizzare il percorso di criminalizzazione tramite il punto di vista biografico: Daniel fa una vita normale, emigra verso la Polonia per trovare lavoro come meccanico, non fa niente di più di quello che potrebbe fare una qualunque persona nei suoi panni quando è costretta al lavoro in un altro Paese. Tramite i suoi occhi partecipiamo dell’assurda posizione di venire interpellato come immigrato, e quindi colpevole a priori in un sistema giuridico dove non è la colpevolezza che deve essere provata, ma semmai la propria innocenza. Costretto al silenzio, forzato ad esprimersi in una lingua non sua, Daniel troverà – come succede spesso ai detenuti – l’unica forma di presa di parola tramite il proprio corpo e un diario quotidiano che redige diligentemente tutti i giorni («per non perdere lucidità», dice lui). L’errore giuridico verrà riconosciuto solo ex post facto ma la rete amministrativa di relazioni di potere (i giudici, i medici delle carceri e degli ospedali giudiziari, gli interrogatori) si infligge sui corpi senza chiedersi la ragione morale delle proprie azioni. Il problema, come in L’exercice de l’État, non è la moralità ma il funzionamento della politica e il corpo di Daniel Crulic, ridotto in fin di vita dallo sciopero della fame, diventa il rovescio di quello performante del ministro Bertrand Saint-Jean. La stringente consequenzialità logica (che attiene alla logica del capitalismo) della privatizzazione e dell’internamento carcerario parla di una politica che non è più espressione del progetto di cambiamento collettivo, ma che è pura concretizzazione in un punto di vista singolare, in un corpo. L’immagine dell’Europa passa anche per corpi straziati, incarcerati, adrenalinici e performanti ai due lati del continente, ma non passa per l’unità di un corpo collettivo. IMMAGINARSI UNA VIA D’USCITA Se L’exercice de l’État e Crulic – Drumul spre dincolo parlano dell’impossibilità di uscire dalle maglie del potere e dell’interpellazione sociale, Adikos kosmos prova a mettere in scena il percorso opposto. È possibile, indipendentemente da quello che la società vorrebbe da noi, provare a sottrarvisi, a uscire da queste determinazioni stringenti e inevitabili? Filippos Tsitos fa un film radicalmente individuale perché si pone il problema di che cosa ne sia dell’individuo quando la Storia è così forte da fare terra bruciata attorno a sé (e gli ultimi due anni in Grecia sono un drammatico esempio di desertificazione della società). Atene, si sa, è una città caotica, 59


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confusa, rumorosa e affollata; Tsitos invece ce la rappresenta silenziosa, solitaria ma soprattutto vuota. Non sognante e spensierata, piuttosto enigmatica e un po’ smarrita. È un paesaggio molto caratterizzato soggettivamente, quasi immaginario come i plastici di paesaggi inventati che il protagonista Sotiris ama costruire in casa. Lui, in quanto poliziotto, dovrebbe arrestare i criminali che in Grecia in mezzo al collasso del Paese rubano per necessità; invece ce la mette tutta per scagionarli e non arrestarli. In questa commedia malinconica gli accade di incontrare il suo speculare: Dora, una working poor costretta al cinismo e ad arrabattarsi in mille modi più o meno legali per tirare a campare. Ma il mondo è unfair e chi vuole fare del bene finisce per commettere un crimine, mentre chi non ha problemi a mentire si trova nella situazione di potersi emancipare giustamente dai debiti del passato (Dora deve dei soldi al suo ex marito). Una busta gialla piena di soldi circola per il film, e a seconda del personaggio che se la ritrova in mano cambiano le scelte morali, cambia la colpa, cambiano i vantaggi che un personaggio o un altro può trarre dalla situazione. Perché la colpa o il merito, il debito e il credito, sono un’illusione ottica sociale data dal caso: un destino che i Greci – gettati ingiustamente in una spirale di debito/colpa generalizzato – conoscono bene. Come nel racconto di La lettera rubata di Edgar Alla Poe o in L’argent (id., 1983) di Robert Bresson è la circolazione casuale di un elemento che guida i destini dei personaggi, non la loro volontà. Come è possibile dunque non farsi schiacciare dal corso degli eventi? Come è possibile rimanere autenticamente se stessi quando anche la nostra morale dipende dalle condizioni circostanti? Dove il crimine non risponde alla nostra responsabilità ma alla drammaticità delle condizioni economiche data dalla crisi economica? Sottraendosi da tutto, ci pare dire Tsitos. Facendo affidamento su quel fondo di autenticità che i due protagonisti paiono conservare al di là della morale nonostante la rassegnazione e l’infelicità generalizzate. E al di là della morale non ci può che essere soltanto l’amore disinteressato da qualsivoglia vantaggio o strumentalità individuale. Il regista greco ci pare in definitiva più ottimista sulle sorti dell’individuo rispetto alle spigolosità sociali della svedese Gabriela Pichler. Forse c’è un modo per fare affidamento su se stessi e tirarsi fuori da tutto? Questo epilogo richiama lo spagnolo Terrados e il destino della disoccupazione dei trentenni spagnoli a cui la crisi degli ultimi anni ha tolto ogni possibilità di futuro. L’atmosfera di impasse che pervade il film di Demian Sabini coglie nel segno il problema della lettura politica della crisi economica europea; che al cinema si tramuta nel problema di riuscire a tradurre l’astrattezza della sfera economica nella concretezza di un’immagine e nello sviluppo narrativo di una storia. Incapaci di dare una lettura di quello che sta accadendo attorno a loro, i giovani protagonisti del film spagnolo si dilettano in maldestre riflessioni economiche, si incolpano a vicenda dei loro continui master chiedendosi se invece, al contrario, non sarebbe stato meglio andare a lavorare subito, senza fare l’università. In realtà la crisi colpisce tutti senza distinzioni e pare non esserci soluzione all’impasse sociale che si tramuta ben presto in impasse esistenziale. Leo, il protagonista del film, non trova lavoro perché non è disposto a fare qualunque cosa pur di tirare a campare. La sua ragazza, più disposta a sacrificare se stessa per la propria maturità, lo lascia. Di fronte a un’impasse che è lavorativa, sentimentale ma anche esistenziale, Leo decide di non decidere. L’emblema è una scena di un colloquio di lavoro dove Leo, facendo come lo scrivano 60


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Bartleby del racconto di Melville, decide di rimanere muto e di non rispondere alle domande. Aggressivamente passivo, senza saper fino in fondo se andare avanti o indietro o tantomeno in che direzione voler andare, Leo rimane così a metà strada. Si tratta paradossalmente di un’immagine fedele dell’Europa di questi anni e del suo cinema. Divisa tra una crisi economica che l’ha traumatizzata e le tante storie particolari che l’attraversano, tra l’esercizio solitario di un potere burocratico e i tanti corpi e soggetti che ai suoi confini ne sono esclusi, tra l’impasse esistenziale di non saper dove andare e l’illusione di preservare nonostante tutto la propria autenticità, l’Europa pare così: bloccata a metà strada. Le tante narrazioni di questi film mostrano l’immagine di una crisi al livello della particolarità delle storie biografiche, eppure la perdurante mancanza di una fuoriuscita collettiva. E forse l’immagine di un’Europa fuori da questa impasse non c’è, perché non c’è ancora una via d’uscita che riesca a mettere insieme la microfisica delle storie singolari e la Storia universale, l’individuale e il collettivo, la fuoriuscita per sé e per gli altri. Un’immagine che faccia da sintesi tra questi due registri non si riesce ancora a vedere, ed è compito del cinema e della società nel suo complesso renderla possibile nei prossimi anni. L’alternativa è semplicemente mettere le storie biografiche l’una contro l’altra secondo il copione già visto delle guerre tra poveri (ma le guerre non sono sempre tra poveri?) e dei lavoratori in competizione tra loro come si vede in Äta sova dö. A un’Europa che è ancora oggi un immenso cantiere in costruzione si accompagna un immaginario che è ancora parimenti da costruire. Su questo, anche il cinema europeo dei prossimi anni dovrà dare il proprio contributo. 61


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Anca Damian

Crulic Drumul spre dincolo

Crulic – The Path to Beyond Romania • Polonia, 2011, 73’, col., animazione

Regia, Sceneggiatura, Produttore Anca Damian Artwork e animazione Dan Panaitescu, Raluca Popa, Dragos Stefan, Roxana Bentu, Tuliu Oltean Montaggio Catalin Cristutiu Musicat Piotr Dziubek Suono Piotr Witkowski, Sebastian Włodarczyk Voci narranti Vlad Ivanov, Jamie Sives Produzione Aparte Film Distribuzione, Contatti MYmovies.it (Nicoletta Dose), Palazzo de’ Medici Tornaquinci, via De’ Vecchietti 6, 50123 Firenze, Italia, tel. +39 055 434853, nicoletta.dose@mymovies.it

Filmografia Crulic – Drumul spre dincolo (Crulic, la strada per l’aldilà, 2011) Intalniri incrucisate (Crossing Dates, 2008) Eu si cu mine (short, 2006) Atâta liniste-i în jur (short, 1999) Eminescu, truda întru cuvânt (doc, 1996) 62

Crulic, la strada per l’aldilà Polonia, 11 luglio 2007. Un giudice viene derubato del portafoglio e della carta di credito. Ad essere incolpato è un giovane rumeno, Daniel Crulic, che al momento del furto si trovava in Italia. Arrestato e portato in prigione, l’uomo professa la sua innocenza e, nella speranza di incontrare un rappresentante del consolato, inizia un lungo sciopero della fame. Dopo la sua morte, il caso esplode: le autorità polacche e rumene si rimbalzano le accuse di responsabilità, il ministro degli Affari Esteri rumeno si dimette. Anca Damian (Romania, 1962) dopo la laurea in cinema e media, inizia la sua carriera come direttore della fotografia. Nel 2008 scrive, produce e dirige il suo primo lungometraggio, Crossing Dates, selezionato ai festival di Pusan, Chicago, Goteborg, Pune, Cottbus, Goa e dal Rome Independent Film Festival. Il suo secondo lungometraggio, Crulic, la strada per l’aldilà debutta a Locarno nel 2011 e ottiene numerosi riconoscimenti in tutto il mondo, tra cui il premio per il miglior film al festival di animazione di Annecy. «L’idea di fare un lungometraggio d’animazione mi ha permesso di rappresentare un abisso. L’animazione ti dà un sacco di libertà, così ho approfittato di questi strumenti. Io credo nei sentimenti complessi. Ridere e piangere insieme è molto più forte che piangere e basta. Inoltre, se il film fosse stato troppo legato al dramma, la storia sarebbe diventata insopportabile da guardare. Claudiu Crulic proveniva da Dorohoi, in Moldavia, e i moldavi hanno questa adorabile autoironia, che deriva probabilmente dalla loro saggezza atavica. Come altro potrebbe Claudiu narrare una storia così tragica, se non in modo distaccato e ironico? Scegliere di fare uno sciopero della fame per dimostrare la propria innocenza è un’azione abbastanza estrema – e rara – al giorno d’oggi. Ho incontrato persone che hanno pensato che fosse solo colpa sua. Quest’uomo voleva solo essere ascoltato e la sua unica arma era il proprio corpo».


Cantiere Europa

Sigurður Hallmar Magnússon

Iceland: Year Zero Islanda • Francia • Repubblica Ceca, 2012, 52’, col.

Islanda: anno zero [t.l.] Nell’ottobre 2008, le tre principali banche islandesi collassano, portando l’intero Paese alla bancarotta: migliaia di persone perdono il lavoro, i risparmi e la speranza. I prezzi salgono alle stelle, le banche ritirano le auto e le case di chi non riesce più a pagare gli interessi dei mutui, lo Stato nazionalizza le banche fallite. L’Islanda diventa il teatro di una tragedia del capitalismo moderno. Sigurður Hallmar Magnússon (Reykjavik, Islanda, 1976) dopo la laurea in lettere e filosofia, ha studiato cinema al Famu di Praga e regia a Paris VIII. Attualmente vive e lavora a Parigi come regista, montatore e direttore della fotografia. «Il film racconta di un piccolo Paese di pescatori e contadini, che a un certo punto è uscito dai binari e a tutta velocità è diventato una nazione gestita da burocrati e banchieri. Abbiamo iniziato le riprese nel dicembre 2008, subito dopo la bancarotta delle banche. In tutto il mondo la stampa si stava occupando dell’Islanda, intervistando politici ed economisti. Noi abbiamo ascoltato le testimonianze della gente, per capire come la crisi li aveva colpiti. La vecchia Islanda che conoscevo, dove ciascuno si preoccupava solo degli affari suoi, non era più la stessa. Qualcosa era cambiato profondamente. Come se la gente si fosse svegliata da un incubo. In effetti la crisi può essere vista come un risveglio, che ha costretto le persone a rimettere in discussione i propri valori. La gente si è chiesta se non fosse arrivato il tempo di un cambiamento. La crisi poteva mettere fine a una crescita sfrenata e avida, dove ciascun individuo aveva molto più del necessario. Iceland: Year Zero non è un’analisi economica del fallimento di una nazione, ma un film sulle conseguenze, sull’impatto che questa catastrofe ha avuto sulle persone. La crisi è una sorta di spartiacque temporale: c’è un prima e un dopo la crisi. Come vede oggi la gente il futuro e come fa a gestirsi i postumi della sbornia, tra le rovine del capitalismo?».

Regia, Montaggio Sigurður Hallmar Magnússon Sceneggiatura Sigurður Hallmar Magnússon, Armande Chollat-Namy Fotografia Armande Chollat-Namy Musica Audun Nedrelid, David Couturier Suono David Couturier Produttori Yves Chanvillart, Nadim Cheikhrouha, François Calderon Produzione Commune Image Media, Jade Productions, Demain TV, Landmark Productions Distribuzione, Contatti DR International Sales (Charlotte Gry Madsen), Emil Holms Kanal 20, DK-0999 København C, Denmark, tel. +45 3520 3928, fax +45 3520 3969, cgma@dr.dk, www.dr.dk

Filmografia Iceland: Year Zero (doc, 2012) Pres des rails (short, 2006) Postak (short, 2001) 63


Cantiere Europa

Gabriela Pichler

Äta sova dö

Eat Sleep Die Svezia, 2012, 103’, col.

Regia, Sceneggiatura, Montaggio Gabriela Pichler Fotografia Johan Lundborg Costumi Sandra Woltersdorf Musica Andreas Svensson, Jonas Isaksson Suono Martin Hennel Interpreti Nermina Lukač (Raša), Milan Dragišić (il padre), Jonathan Lampinen (Nicki), Peter Fält (Peter), Ružica Pichler (Rosi) Produttore China Åhlander Produzione Anagram Produktion AB Distribuzione The Yellow Affair Contatti Svenska Filminstitutet/Swedish Film Institute (Gunnar Almér), P.O. Box 27126, SE-102 52 Stockholm, Sweden, tel. +46 8 6651100, fax +46 8 6611820, gunnar.almer@sfi.se, www.sfi.se

Filmografia Äta sova dö (Eat Sleep Die, 2012) Skrapsår (Scratches, short, 2008) 64

Mangia dormi muori [t.l.] Raša, svedese di origine balcanica e di religione musulmana, è in forte difficoltà: la fabbrica in cui lavorava come operaia l’ha licenziata, non ha un diploma di scuola superiore, non ha la patente e deve mantenere suo padre, che non gode di ottima salute. Ma siamo in Svezia e i servizi sociali si mobilitano: Raša usufruisce del supporto psicologico per disoccupati e frequenta corsi per reinserirsi nel mondo del lavoro. Eppure, le opportunità di un impiego che le consentano una vita dignitosa non sembrano attenderla dietro l’angolo. Gabriela Pichler (Huddinge, Svezia, 1980), madre bosniaca e padre austriaco, dopo aver fatto l’operaia in una fabbrica di biscotti, nel 2008 si diploma all’Università di Göteborg con il corto Scratches, che vince il Guldbagge Award nel 2009 e il Watch Audience Award all’Uppsala International Short Film Festival nel 2010. Eat Sleep Die ha vinto il premio del pubblico Rarovideo alla Settimana della Critica della Mostra del Cinema di Venezia 2012 e il Giraldillo d’oro al Festival del Cinema Europeo di Siviglia. «Penso che la Svezia sia stata sempre molto privilegiata, gli svedesi sono sempre stati un popolo privilegiato. Oggi, con la crisi economica con la quale sta lottando tutta l’Europa – certo, alcuni paesi più della Svezia –, io vedo che la gente crede che la Svezia sia rimasta intatta, sia sempre la stessa. Ma questo non è vero, la società è cambiata, il proletariato è cambiato e lotta con problemi diversi da quelli con cui si confrontava un paio di decenni fa. Così era importante per me mostrare un nuovo modello dello svedese tipico, come Raša. Lei viene da un altro Paese ma è cresciuta in Svezia, è musulmana, ma non molto praticante, come tutti gli svedesi (siamo un Paese molto poco religioso), e vive in una periferia qualsiasi. È lei l’immagine della nuova working class. Il suo personaggio è molto a-tipico, per essere un personaggio femminile. Di solito certi tratti così duri appartengono ai personaggi maschili. Anche se ci sono donne come Raša in giro, difficilmente le vedi sullo schermo. Io invece volevo mostrarla proprio così: una ragazza in lotta».


Cantiere Europa

Demian Sabini

Terrados

Rooftops

Spagna, 2012, 76’, col.

Terrazze [t.l.] Rimasti senza lavoro, Leo e i suoi amici, tutti intorno ai trent’anni, vivono grazie all’assegno di disoccupazione. Sfiduciati, demotivati, trascorrono il tempo passando da un terrazzo all’altro della città, senza fare nulla di particolare. Le lunghe giornate, tra svago e apatia, offrono a Leo l’occasione di ripensare la propria vita, le proprie scelte, le relazioni interpersonali: per Leo è arrivato il momento di decidere se continuare a lasciare scorrere il tempo o prendere l’iniziativa. Demian Sabini (Barcellona, Spagna, 1980) ha studiato musica contemporanea tra Boston e Los Angeles. Dopo la laurea si è trasferito a New York dove ha lavorato come attore, regista e sceneggiatore. Nel 2006 ha realizzato il suo primo corto, Hello, Lucy, prima di tornare a Barcellona, nel 2009, per fondare la casa di produzione Moviement Films. Con Terrados, suo primo lungometraggio, ha vinto il premio del pubblico alla Semana Internacional de Cine de Valladolid. «Siamo una generazione cresciuta nella prosperità e che ora è rimasta delusa. Ci hanno detto che avremmo seguito un determinato percorso, e che sarebbe stato facile, ma questo non è successo e non siamo stati capaci di reagire. Questo è il senso del film. Quando è arrivato il movimento degli indignados è stata una piacevole sorpresa. Così abbiamo pensato che il film dovesse essere fatto in fretta, non dovevamo perdere l’attimo, e ora è più attuale che mai. Io lo definisco un “prequel”, perché tutte queste persone che oggi sono arrabbiate, prima sono passate attraverso la stessa fase di scoraggiamento e confusione che vivono i personaggi del film».

Regia, Sceneggiatura, Produttore Demian Sabini Fotografia Steve Becker Montaggio Tomas Munoz Scenografia, Costumi Juan Paredes Suono Eduard Calpe Interpreti Demian Sabini (Leo), Carla Perez (Ana), Alain Hernandez (Mario), Carolina Cabrerizo (Elsa), David Resplandi (Nachete), Pablo Molinero (Pablo), Jessica Alonso (Silvia), Alex Molero (Victor) Produzione Moviement Films Distribuzione, Contatti Moviement Films S.L., Valencia 231, 5o 4a, 08007 Barcelona, Spain, tel. +34 618 294038, fax +34 934 870150, info@moviementfilms.com

Nota di produzione: Terrados è stato realizzato senza alcun aiuto o sussidio pubblico, con un budget totale di 12.000 euro, che il produttore ha messo di tasca propria. Le persone che hanno partecipato al progetto hanno messo a disposizione tempo, energia e mezzi per effettuare le riprese nel giugno 2010. Il film è uscito in sala, nell’ottobre 2012, dopo alcuni mesi di “auto-distribuzione”, con proiezioni pubbliche sulle terrazze di Barcellona.

Filmografia Terrados (Rooftops, 2011) Lo que Walter sabe (short, 2009) Hello, Lucy (short, 2006) 65


Cantiere Europa

Pierre Schöller

L’exercice de l’État

The Minister

Francia • Belgio, 2011, 115’, col.

Regia, Sceneggiatura Pierre Schöller Fotografia Julien Hirsch Montaggio Laurence Briaud Scenografia Jean Marc Tran Tan Ba Costumi Pascaline Chavanne Musica Philippe Schöller Suono Olivier Hespel Interpreti Olivier Gourmet (Bertrand Saint-Jean), Michel Blanc (Gilles), Zabou Breitman (Pauline), Laurent Stocker (Yan), Sylvain Deble (Martin Kuypers), Didier Bezace (Dominique Woessner) Produttori Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne, Denis Freyd Produzione Archipel 35, Les Films du Fleuve Distribuzione, Contatti P.F.A. Films srl (Pier Francesco Aiello), via Francesco Milizia 2, 00196, Roma, Italia, tel. +39 06 3611240, +39 06 36091485, pfafilms@yahoo.com, www.pfafilms.com

Filmografia Les anonymes (tv, 2013) L’exercice de l’État (Il Ministro. L’esercizio dello Stato, 2011) Versailles (2008) Zéro défaut (tv, 2003) Deux amis, prélude (short, 1992) 66

Il Ministro. L’esercizio dello Stato Una telefonata sveglia il Ministro dei Trasporti francese, Bertrand SaintJean, nel cuore della notte: un pullman carico di studenti è precipitato in un burrone. Ci sono numerose vittime. Il Ministro si reca sul luogo dell’incidente. Inizia così l’odissea di un uomo di Stato in un mondo sempre più complesso e ostile. Velocità, caos, lotte di potere, crisi economica. Incastri e ripercussioni a catena. Un’urgenza dietro l’altra. Cosa è disposto a sacrificare, Bertrand, per restare a galla in uno Stato che lo divora? Pierre Schöller (Francia, 1961) ha studiato cinema e lettere moderne, e si è diplomato alla scuola Louis Lumière di Parigi. Dopo una lunga esperienza come sceneggiatore, soprattutto televisivo, realizza il suo primo lungometraggio per il cinema, Versailles, nel 2008. Con il suo secondo film, L’exercice de l’Etat, debutta a Cannes 2011 nella sezione Un Certain Regard, dove vince il premio Fipresci. Nel 2012 il film riceve anche tre premi César (sceneggiatura, suono, attore non protagonista). «L’exercice de l’État si dissocia dalla nostra abituale rappresentazione del potere: l’opposizione destra/sinistra, la lotta dei partiti, la consueta commedia umana e mediatica. Bertrand Saint-Jean non ricalca un personaggio reale, è pura invenzione, anche se uno degli obiettivi durante la scrittura e le riprese del film era di creare una figura credibile, autentica. Ma la mia preoccupazione principale era di mostrare il fallimento dello Stato, la sua disgregazione in un mondo sempre più complesso e veloce, la sfiducia della gente, una democrazia sempre più in crisi. Il cuore del film è nei costumi, è l’ufficio ministeriale visto da vicino: la libido, la tensione, l’insonnia, l’ebbrezza, i rituali, le passioni a cui si votano i grandi servitori dello Stato. Ho voluto anche rendere omaggio ai senza-voce, agli esclusi dalla democrazia. Perché la politica allontana ogni giorno di più la gente dalla vita democratica? Non è questo il più grande paradosso e il più grande dramma delle nostre società moderne?».


Cantiere Europa

Filippos Tsitos

Adikos kosmos

Unfair World

Grecia • Germania, 2011, 118’, col.

Mondo ingiusto [t.l.] Sotiris fa il poliziotto alla questura di Atene. Stufo del suo lavoro, decide di “scagionare” tutti i poveracci che interroga ogni giorno. Nel tentativo di raccogliere le prove per salvare un innocente, però, uccide per sbaglio una guardia giurata corrotta. Unica testimone del delitto è Dora, una donna sola e poco socievole, che tira a campare facendo le pulizie. Sotiris e Dora si piacciono. Ma amore, onestà e giustizia non sono facili da mettere insieme. Filippos Tsitos (Atene, Grecia, 1966) ha studiato economia all’Università di Atene e regia all’Accademia di cinema e Televisione di Berlino. Il suo primo lungometraggio, My Sweet Home, debutta alla Berlinale nel 2001. Con Akadimia Platonos vince numerosi premi in tutto il mondo, tra cui il Premio Ecumenico al festival di Locarno 2009. Adikos kosmos, il suo terzo lungometraggio, vince il premio per la miglior regia e la miglior interpretazione maschile al festival di San Sebastian 2011. «Adikos kosmos racconta in modo tragicomico come le persone diventano ingiuste verso gli altri a causa della propria infelicità. Vorrebbero un’altra vita, ma non hanno idea di come dovrebbe essere. Volevo fare il film in Grecia, ma quando ho chiesto il finanziamento al Greek Film Centre, l’intero Paese è collassato. Così mi sono dovuto arrangiare. Ai festival la gente è molto gentile, non mi fa domande sulla crisi economica, non vuole mettermi a disagio. D’altra parte io non ho voluto rappresentare il disastro del Paese, perché il disastro non è solo in Grecia, ma è in tutta Europa, in tutto il mondo, nell’intera società. Adikos kosmos è un film su una brava persona che si rende conto di avere una funzione precisa in una società che non gli piace e la abbandona, se ne va. Bene, quello che io spero per la Grecia è esattamente il contrario: spero che le persone giuste prendano in mano la società. Oggi, non mi sento in grado di fare ancora un altro film così malinconico, che abbia a che fare con la Grecia. È impossibile. Tutti sono malinconici e sfiduciati. È tempo di azione, commedia, musica e tutto il resto».

Regia Filippos Tsitos Sceneggiatura Filippos Tsitos, Dora Masklavanou Fotografia Polidefkis Kyrlidis Montaggio Dimitris Peponis Scenografia Spyros Laskaris Costumi Christina Chatzaridou Musica Jose Van der Schoot Suono Vaggelis Zelkas Interpreti Antonis Kafetzopoulos (Sotiris), Theodora Tzimou (Dora), Christos Stergioglou (Minas), Sofia Seirli (Lena), Achilleas Kiriakides (Frantzis), Efthymis Papadimitriou (Dimitriou) Produttori Alexandra Boussiou, Gian Piero Ringel Produzione Wrong Men, Neue Road Movies Distribuzione, Contatti Films Boutique, Köpenicker Strasse 184, 10997 Berlin, Germany, tel. +49 30 69537850, fax +49 30 69537851, info@filmsboutique.com, www.filmsboutique.com Filmografia Ein starkes Team [ep. Schöner Wohnen] (tv, 2012) Der Kriminalist [ep. Schamlos, ep. Sucht] (tv, 2011-2012) Die letzte Spur [ep. Entzugserscheinung, ep. Erlebensfall] (tv, 2012) Adikos kosmos (Unfair World, 2011) Tatort [5 ep.] (tv, 2002-2010) Akadimia Platonos (Plato’s Academy, 2009) KDD – Kriminaldauerdienst [4 ep.] (tv, 2007) My Sweet Home (2001) Charleston (short, 1996) Parlez-moi d’amour (short, 1994) Prélude (short, 1992) 67


Cantiere Europa: the best of cilect prize

Le scuole di cinema e televisione Il CILECT – Centre International de Liaison des Ecoles de Cinéma et de Télévision nasce a Cannes nel 1955, allo scopo di stimolare la collaborazione tra le scuole di cinema di tutto il mondo. Gli Stati fondatori sono Cecoslovacchia, Francia, Gran Bretagna, Italia, Polonia, Spagna, Stati Uniti e Unione Sovietica. Negli anni il CILECT si è allargato ad altri Paesi e oggi riunisce oltre centocinquanta scuole di cinema e televisione di sessanta Paesi sparsi per i cinque continenti. Con l’obiettivo più ampio di sostenere la diffusione dell’alfabetizzazione audiovisiva e contribuire allo sviluppo della cultura e della comunicazione, in particolare il CILECT fornisce i mezzi per uno scambio di idee tra le scuole, sostiene la formazione delle professioni creative di cinema, televisione e media correlati, incoraggia e sostiene la cooperazione regionale e internazionale tra le scuole, e promuove la formazione cinematografica e televisiva nel mondo. Tra le azioni promosse ogni anno, vi sono le attività di ricerca intorno a svariati temi (l’insegnamento e la formazione, le nuove tecnologie, il cinema per l’infanzia, la produzione delle opere prime, ecc); i progetti di formazione, cooperazione e approfondimento su base regionale; la partecipazione ai festival internazionali di cinema e televisione dedicati alle scuole; la realizzazione di forum per gli insegnanti e l’organizzazione di seminari internazionali per gli studenti. I cortometraggi presentati in questa edizione di Bergamo Film Meeting sono tutte produzioni realizzate dagli studenti delle scuole europee aderenti al CILECT. Il programma è stato definito in collaborazione con la Fondazione delle Scuole Civiche e la Scuola di Cinema e Televisione di Milano.

Regia Daan Bakker Sceneggiatura Daan Bakker, Sammy Reijnaert Fotografia Robbie van Brussel Montaggio Michelle Hofman Scenografia Lotte Keijzer, Julia Reijman Costumi Amasja Koolen, Jolien Margry Musica Matthijs van der Veer Interpreti Michael Nierse (Jacco), Mike Meijer (Sjors), Marike van Weelden (Marja), Jurg Molenaar (il nonno), Nienke Sikkema (la nonna), Peer Van den Berg (il postino) Produttori Constant van Panhuys, Derk-Jan Warrink Produzione NFTA – Netherlands Film and Television Academy

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Daan Bakker

Jacco’s Film Olanda, 2010,17’, col.

Il film di Jacco [t.l.] Jacco, dieci anni, ha tanta fantasia e la usa per raccontarci della sua famiglia, degli amici, delle ragazze, in poche parole della sua vita, non proprio perfetta…


Cantiere Europa: the best of cilect prize

Josh Bamford, Seb Feehan

Eighty Eight Gran Bretagna, 2011,11’, col.

Regia, Fotografia, Montaggio Seb Feehan, Josh Bamford Suono Josh Bamford, Hannah Bone Produttore Hannah Bone Produzione NFS/UW – Newport Film School

Ottantotto [t.l.] Campione di pattinaggio, ciclista e nuotatore: Ralph Settle non lascia che la vecchiaia abbia la meglio su di lui. Vedovo e ormai ottantottenne, per le strade della Cornovaglia tutti lo conoscono come “Banjoman”..

Cathy Brady

Small Change Irlanda, 2010, 17’, col.

Spiccioli [t.l.] Karen, giovane madre single, è annoiata dalla routine. Giocare alle slot machines è il suo unico brivido e la sua droga. Il Natale è alle porte, e Karen insegue l’illusione disperata di una grossa vincita.

Regia, Sceneggiatura Cathy Brady Fotografia Luca Rocchini Montaggio Conor Fitzpatrick Scenografia Stephanie Clerkin Costumi Anouck Sablayrolles Musica Gareth Averill Interpreti Nora-Jane Noone (Karen), Tom Collins (Steven), Olivia Nash (Mary), Tina Maxwell (Laura) Produttori Cathy Brady, Tommy Fitzpatrick Produzione IADT – The National Film School, Institute of Art, Design & Technology

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Cantiere Europa: the best of cilect prize

Regia Afarin Eghbal Sceneggiatura Afarin Eghbal, Francesca Gardiner Fotografia Claire Buxton Montaggio Katherine Lee Scenografia Ines Afonso Costumi Mimi Milburn-Foster Musica Lennert Busch Animazione Matthew Barton, Afarin Eghbal, Patxi Gil Crenier, Claire Ransom, Abigail Álvarez Effetti visivi Ernesto Herrmann, Belgin Kaplan, Andrew Quinn, Andy Quinn, Victor Tomi Interpreti Alexia James (la bambina), Joy McBrinn (la nonna), Lukasz Platkowski, Jenney Surelia (i ballerini di tango) Voce narrante Geraldine McEwan Produttore Kasia Malipan Produzione NFTS – National Film and Television School Regia Viktoria Gurtovaj, Anne Mashlanka Fotografia Viktoria Gurtovaj Montaggio Simone Knappe Suono Erioca Cami, Anne Mashlanka Interpreti Nurie Kasimi, Emi Kasimi, Fathbarda Kasimi Produttore Anne Maschlanka Produzione IFS – Internationale Filmschule Köln

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Afarin Eghbal

Abuelas Grandmothers Gran Bretagna, 2011, 10’, col.

Nonne [t.l.] In un piccolo appartamento di Buenos Aires, un’anziana signora attende con ansia la nascita del suo nipotino. Ma, a causa di terribili circostanze, dovrà aspettare trent’anni per vivere la gioia di diventare nonna. Dalle testimonianze reali delle madri di Plaza de Mayo, una storia di ricordi, repressione e perdita.

Viktoria Gurtovaj, Anne Mashlanka

Der Mond ist ein schöner Ort

The Moon Is a Wonderful Place to Live Germania, 2011, 14’, col.

La luna è un bel posto [t.l.] Nurie ha otto anni e vive con la sua famiglia in Albania, nel centro storico della città di Berati. Guardando ai cambiamenti che coinvolgono la sua terra natale, Nurie ci racconta del suo amore per questi luoghi e del perché non riesce a conciliarli con i suoi sogni per il futuro.


Cantiere Europa: the best of cilect prize

Grzegorz Jaroszuk

Opowiesci z chlodni

Frozen Stories Polonia, 2011, 26’, col.l.

Storie congelate [t.l.] Un ragazzo e una ragazza sono i peggiori dipendenti di un supermercato. Giovani, impacciati e timidi, sembrano votati al fallimento. Messi sotto pressione dal direttore, devono darsi da fare: in soli due giorni dovranno trovare un obiettivo di vita. Decidono così di partecipare al programma televisivo La persona più infelice del mese, che potrebbe dar loro un po’ di successo.

Heta Jokinen

Sivussa Murky Papers Finlandia, 2011, 8’, col., senza dialoghi Foschi ritagli [t.l.] Mentre una donna è immersa nella lettura, un ritaglio di carta si anima e va per la sua strada.

Regia, Sceneggiatura Grzegorz Jaroszuk Fotografia Marcin Władyniak Montaggio Barbara Fronc Musica Michał Marecki Suono Nicolás de la Vega Interpreti Justyna Wasilewska (la ragazza), Piotr Żurawski (il ragazzo), Andrzej Walden (il direttore), Piotr Trojan (Kosecki) Produttore Weronika Czolnowska Produzione PWSFTviT – Państwowa Wyższa Szkoła Filmowa, Telewizyjna i Teatralna

Regia, Sceneggiatura, Animazione, Fotografia, Montaggio Heta Jokinen Musica Sonoton Music Library Rumoristi Kaisa Lenkkeri, Heta Jokinen Interpreti Heta Bilaletdin, Igor (il gatto) Voce narrante Heta Jäälinoja Produzione TUAS – Turku University of Applied Sciences

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Cantiere Europa: the best of cilect prize

Regia, Sceneggiatura Miklòs Keleti Fotografia Pierre Hubert Martin Montaggio Ion Tanase Scenografia Jennifer Chabaudie Suono Armelle Pignon Interpreti Erika Sainte (Natacha), David Serraz (l’uomo), Luana De Vuyst (Anna), Renaud Rutten (il cacciatore) Produzione INSAS – Institut National Supérieur des Arts du Spectacle et Techniques de Diffusion

Regia, Sceneggiatura, Animazione Ramona Mismetti Fotografia Paolo Zaninelli Musica Andrea Carenzi Interpreti Elisa Pegoraro (la donna) Produzione MSCT – Milano Scuola di Cinema e Televisione

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Miklòs Keleti

Dos au mur Back Against the Wall Belgio, 2011, 14’, col. Spalle al muro [t.l.] Natacha lavora in una stazione di servizio di campagna. Un giorno un uomo e una bambina entrano nel negozio. Hanno investito un cervo con la macchina. La bambina è turbata dall’incidente, ma forse c’è qualcos’altro che la preoccupa…

Ramona Mismetti

Forcine Hairpins Italia, 2011, 5’, col., senza dialoghi Forcine Una donna scioglie la sua acconciatura davanti allo specchio del bagno. Quando esce, le forcine lasciate sullo scaffale si animano e una di loro cade nello scarico del lavandino. È l’inizio di un incredibile viaggio in un mondo meraviglioso.


Cantiere Europa: the best of cilect prize

Libor Pixa

Graffitiger Repubblica Ceca, 2010, 10’, col., senza dialoghi

Graffitigre [t.l.] Una “graffitigre” vive solitaria sui muri di Praga. La città, con le sue viuzze e i suoi muri coperti di altri graffiti, è la giungla in cui la tigre si aggira, alla ricerca del suo amore perduto.

Fernando Pomares

Alto Sauce Spagna, 2011, 18’, col.

Alto Sauce Vent’anni fa è stato commesso un crimine, nel villaggio di Alto Sauce. Il caso viene riaperto e i membri della comunità devono confrontarsi con le testimonianze che hanno fornito al tempo. Un gioco di specchi tra passato e presente, dove persiste la nebbia della menzogna.

Regia, Sceneggiatura Libor Pixa Fotografia Jan Šuster Montaggio Otakar Šenovský Musica Michal Reynaud, Luka Křížek Suono Marek Musil Animazione 2D Alezandra Hetmerovà, Marie Minàrova, Josef Jelinek, Jan Bohuslav Produttore Pavla Kubečková Produzione FAMU - Filmová a Televizní Fakulta Akademie Múzických Umění

Regia, Sceneggiatura Fernando Pomares Fotografia Anna Albiac Montaggio Iker Insausti Scenografia Juanjo Tejero Musica Pancho Marrodán Suono Enrique G. Bermejo Interpreti Elena Cruz, Ferran Mateu, Montserrat Morera, Rosa Pifarré Produzione ESCAC – Escuela Superior de Cinema i Audiovisuals de Catalunya, Escándalo Films S.L.

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Cantiere Europa: the best of cilect prize

Regia Joost Reijmers Sceneggiatura Olya Poppel, Thomas van der Ree Fotografia Tim Kerbosch Montaggio Wietse de Zwart, Joost Reijmers, Daan Wijdeveld Scenografia Lisanne Douma, Jasper van Goor Musica Robin Assen Suono Casper Deuveren Interpreti Ronald van Elderen (Ferdy Bloksma), Wouter Zweers (Erich Reinhardt), Bert Hana (Jacob van Deyck), Kees Prins (il narratore) Produttori Daan Faber, Iris van den Ende Produzione NFTA – Netherlands Film and Television Academy

Regia Simeon Sokerov Sceneggiatura Simeon Sokerov, Kremena Pencheva Animazione (2D, 3D, modeling) Simeon Sokerov, Victor Mazhlekov, Veselin Kushev, Mihail Popov, Martin Cvetkov Fotografia Blagoy Kostov Montaggio Radoslav Georgiev Musica Popcorn, Simeon Sokerov Produzione NATFA – National Academy for Theatre and Film Arts, Studio Sokerov Ltd

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Joost Reijmers

Een bizarre samenloop van omstandigheden A Curious Conjunction of Coincidences Olanda, 2011,9’, col. Una curiosa serie di coincidenze [t.l.] Ferdy, Erich e Jacob stanno passando una gran brutta giornata. Questa sembra essere l’unica cosa che li lega, dato che vivono in secoli differenti. La loro pazienza è messa a dura prova e questo li porta a commettere delle sciocchezze, che però gli altri non notano neanche. Ma cosa succede se queste sciocchezze entrano in collisione?

Simeon Sokerov

5 Times Bulgaria, 2009, 9’ 40”, col.

5 volte [t.l.] Una bambina passeggia col suo cane: la stessa storia raccontata per cinque volte, cambiando lo stile, la tecnica d’animazione, il punto di vista.


Anteprime, Eventi, proposte per la distribuzione


eventi

Mostra dei disegni originali del film L’Alchimista di Andrea Aste Un viaggio attraverso 92 chine a inchiostro rosso e nero su foglio bianco. Schizzi e disegni, studi di personaggi e luoghi fantastici dalle geometrie impossibili, ideali fotogrammi di carta appesi ad asciugare per raccontare la nascita di questo progetto. Ogni passaggio è visivamente raccontato, mostrando come l’artista ha progettato un intero mondo parallelo di “marionette” di carta, un mondo che foglio dopo foglio prende vita. Bergamo, Sala alla Porta di S. Agostino 8 – 30 marzo 2013 Orari: martedì - venerdì 15.30 - 19.30 | sabato - domenica 11.00 – 19.30 76


Anteprime

Andrea Aste

L’alchimista Italia, 2013, 30’, col., animazione – disegni e colorazione a mano, effetti speciali al computer

L’alchimista Un alchimista, chiuso nel suo laboratorio, cerca di scoprire i segreti dell’universo. Vuole arrivare alla risposta ultima e definitiva al mistero dell’esistenza. Per raggiungere il suo scopo inventa un nuovo gioco con il quale sfidare la Natura, imbrogliandola: i tarocchi. Un incidente, però, scombussola i suoi piani; le carte prendono vita trasportandolo in una serie di mondi paralleli. Ogni carta racconta una storia, ogni storia è un viaggio che frantumerà i suoi prenconcetti e la sua visione del mondo. L’alchimista scoprirà che non esiste una Verità assoluta, ma una serie di verità particolari, vere all’interno del proprio mondo perché l’universo non è nient’altro che un immenso racconto, un libro in cui ogni pagina è un insieme infinito di altri libri. Il viaggio nel libro dell’universo permetterà all’alchimista di trovare se stesso.

Regia, Soggetto, Disegni, Animazione, Montaggio Andrea Aste Musica Giorgio Boffa (Orchestra Lumière) Voce narrante Arturo Brachetti Produzione, Contatti The Whale’s Belly, via Felice Cordero di Pamparato 30, 10143 Torino, Italia, tel. +39 348 7631164, skype andrea.aste, www.andreaaste.com

Andrea Aste (Italia), artista filosofo non ancora quarantenne, vive e lavora a Torino. È principalmente pittore, ma i suoi progetti includono collaborazioni con fotografi, graphic designer, architetti e art director a livello internazionale. Dopo la laurea e la specializzazione in filosofia del linguaggio, Aste inizia un percorso di ricertca artistica, in un’alchimia di arte e filosofia che ha dato origine a uno stile altamente personale che lo ha portato in pochi anni all’attenzione internazionale: Olanda, Francia, Spagna, Canada, Repubblica Ceca, Stati Uniti. «L’idea di L’Alchimista nasce come nascono tutte le idee: all’improvviso, come un fulmine, ti colpisce... L’Alchimista è l’evoluzione del mio lavoro artistico. Negli ultimi due anni ho realizzato mostre concepite sull’idea di un mondo parallelo, molto dettagliato e con “finestre” aperte sul mondo reale. Il passaggio al video è stato naturale, mi ha permesso di dare un’altra vita ai miei lavori; prima si esprimevano attraverso l’immagine e la parola, ora anche attraverso il movimento. L’Alchimista è un’animazione “tradizionale”: le tavole sono state disegnate a mano, sono tutte chine rosse e nere su foglio bianco. Non ho voluto disegnare nulla al computer, per dare all’animazione il calore e la forza che solo il tratto a mano, con le sue imperfezioni può avere. L’Alchimista doveva ricreare l’atmosfera e il gusto degli antichi tomi di alchimia, come se fossero state le illustrazioni alchemiche stesse ad animarsi. Questo è il motivo del colore del video, che riprende quello della pergamena ingiallita e bruciata dal tempo. La colonna sonora è stata composta e diretta da Giorgio Boffa, suonata dalla sua Orchestra Lumière. Effetti sonori, distorsioni e alcuni strumenti sono stati sintetizzati al computer. Ho chiesto ad Arturo Brachetti se voleva recitare i testi de L’Alchimista. Pur esprimendoci con mezzi artistici diversi, comunichiamo contenuti molto simili. Un modo comune di vedere la vita, felliniano, fantastico e poetico...».

Filmografia L’Alchimista (The Alchemist, 2013) 77


Anteprime

Pablo Berger

Blancanieves Spagna, 2012, 104’, bn

Regia, Sceneggiatura Pablo Berger Soggetto dalla fiaba Biancaneve e i sette nani di Jacob e Wolhelm Grimm Fotografia Kiko de la Rica Montaggio Fernando Franco Scenografia Alain Bainée Costumi Paco Delgado Musica Alfonso de Vilallonga Suono Felipe Aragó Interpreti Macarena García (Carmen), Maribel Verdú (Encarna), Daniel Giménez Cacho (Antoni Villalta), Ángela Molina (doña Concha), Pere Ponce (Genaro), Sofía Oria (Carmencita), Josep María Pou (don Carlos), Inma Cuesta (Carmen de Triana), Ramón Barea (don Martín), Emilio Gavira (Jesusín), Sergio Dorado (Rafita) Produttori Pablo Berger, Ibon Cormenzana, Jérôme VIdal Produzione Arcadia Motion Pictures, Noodles Production, Nix Films, Sisifo Films A.I.E., Mama Films, arte France Cinéma, Canal+ España, ICAA, Motion Investment Group, uFilm Distribuzione, Contatti Movies Inspired (Stefano Jacono), stefano.jacono@moviesinspired.com, www.moviesinspired.com

Filmografia Blancanieves (2012) Torremolinos 73 (id., 2003) Mamá (short, 1988) 78

Biancaneve [t.l.] Nell’Andalusia degli anni Venti, la giovane Carmen è l’amatissima figlia di un torero ritiratosi dalle arene dopo che un incidente l’ha reso paralitico. Orfana di madre, una cantante che è morta dandola alla luce, deve vedersela con Encarna, la seconda moglie di suo padre che, dopo aver ucciso il marito, cerca di fare lo stesso anche con la figliastra. Ma Carmen riesce a fuggire e, unitasi a una compagnia di nani toreri, ha modo di mettere in atto gli insegnamenti paterni diventando una donna torero molto popolare in tutta la Spagna. Finché Encarna non la rintraccia, ben decisa a eliminarla una volta per tutte. Pablo Berger (Bilbao, Spagna, 1963) è un regista e pubblicista spagnolo. Terminati gli studi al Colegio Trueba de Artxanda, nei dintorni di Bilbao, dirige nel 1988 il suo primo cortometraggio, Mamá, avvalendosi della collaborazione di Álex de la Iglesia come scenografo. Grazie ai premi ottenuti, riesce a iscriversi alla New York Film Academy. Al ritorno in Spagna, intraprende una carriera di pubblicista e regista di videoclip e, nel 2003, dirige il suo primo lungometraggio, Torremolinos 73. Nel 2012, realizza il secondo lungometraggio, Blancanieves, che viene scelto a rappresentare la Spagna agli Oscar 2012 ma non è selezionato; in compenso vince dieci premi Goya (tra i quali regia e sceneggiatura). La traccia è quella lasciata da The Artist, pellicola muta con proporzioni dello schermo d’antan, e il fondamentale ausilio della componente musicale, con i ritmi flamenco a dettar le cadenze del montaggio e il movimento interno all’inquadratura. Elegante, estremamente curato nella forma, divertente, persino ironico nel raccontare una versione particolare della fiaba di Biancaneve, che in questo caso è una torera vessata dalla perfida matrigna (una Maribel Verdú sadomaso), che in una bizzarra compagnia di toreri nani trova la salvezza e il successo, prima che la matrigna e un contratto capestro con un impresario la costringano a una morte civile molto particolare. (Giampiero Frasca, Festa mobile, «Cineforum» n. 520, dicembre 2012)


Anteprime

Léos Carax

Holy Motors Francia • Germania, 2012, 115’, col.

Holy Motors Per le strade di Parigi incede felpata e maestosa una limousine bianca. Al volante c’è la bionda Céline, sul sedile posteriore Monsieur Oscar. Questi è un industriale, un mendicante, un innamorato, un assassino, una vittima, un padre di famiglia, un mostro e altro ancora. Dall’alba al tramonto, la sia vita è questa: la limousine è il suo camerino, ogni volta che scende dal veicolo assume un’identità diversa, partecipa alle più svariate avventure, attraversa generi cinematografici diversi, dal musical all’animazione al thriller. Léos Carax (Suresnes, Francia, 1960) è l’anagramma dei nomi propri di Alex Oscar Dupont. Di madre americana e di padre francese, inizia la sua carriera come autore di cortometraggi e critico cinematografico, prima di esordire nel lungometraggio nel 1984 con Boy Meets Girl. Oltre a metterlo subito in vista come un autore dallo stile visivo già maturo, questo film segna l’inizio della sua collaborazione con l’attore Denis Levant e il direttore della fotografia Jean-Yves Escoffier. Due anni dopo completa Mauvais sang, esplorazione noir dell’amore in un mondo moderno. Del 1991 è Les amants du Pont-Neuf, dalla travagliata vita produttiva, mentre del 1999 è lo sperimentale Pola X. Holy Motors, il suo ultimo film a tutt’oggi, è stato presentato in concorso all’ultimo Festival di Cannes. Episodi sommati ad altri episodi, che proprio in virtù della loro artificiosità si aprono alle infinite profondità del cinema come espressione di emozioni. Dal massimo dell’artificio al massimo dell’autenticità: il miracolo dell’arte, insomma, in una sequenza di musical sui tetti di Parigi, in una discussione crudele tra un padre e una figlia, in un dialogo in punto di morte tra un uomo e la nipote, nel saluto tra i due “interpreti” per una volta fuori dalla parte. Holy Motors segna l’incontro del cinema con l’anima del mondo, al di là di ogni modernità, postmodernismo o surrealtà. Ed è soprattutto un’elegia grottesca e contraddittoria, tragica e insieme comica, per il cinema e i suoi spettatori, uomini e donne che a pensarci bene non fanno altro che ripetere il mestieraccio di Denis Lavant: e cioè sedersi, guardare e aspettare il vivere altrui. Sarà per questo che comincia con un pubblico intento a guardare un film e lo stesso Carax che guarda tutti dall’alto. Chi di noi può dire di essere libero, unico e solo? (Roberto Manassero, Holy Motors, «Cineforum» n. 515, giugno 2012)

Regia, Sceneggiatura Léos Carax Fotografia Caroline Champetier Montaggio Nelly Quettier Scenografia Florian Sanson Costumi Anaïs Romand Musica Neil Hannon Suono Emmanuel Croset, Erwan Kerzanet Interpreti Denis Levant (Monsieur Oscar/il banchiere/la mendicante/lo specialista del Motion-Capture/Monsieur Merde/ il padre/il fisarmonicista/l’assassino/ l’assassinato/il moribondo/l’uomo all’entrata), Edith Scob (Céline), Eva Mendes (Kay M), Kylie Minogue (Eva Grace), Elise Lhomeau (Léa), Jeanne Disson (Angèle), Michel Piccoli (l’uomo macchiato di vino), Léos Carax (se stesso) Produttori Martin Marignac, Albert Prévost, Maurice Tinchant, Rémi Burah Produzione Pierre Grise Productions, Théo Films, Pandora Filmproduktion, arte France Cinéma, WDR/Arte Distribuzione, Contatti Movies Inspired (Stefano Jacono), stefano.jacono@moviesinspired.com, www.moviesinspired.com Filmografia Mister Lonely [annunciato] Holy Motors (2012) Tokyo! [ep. Merde] (2008) Pola X (id., 1999) Sans titre (short, 1997) Les amants du Pont-Neuf (Gli amanti del Pont-Neuf, 1991) Mauvais sang (Rosso sangue, 1986) Boy Meets Girl (1984) Strangulation Blues (short, 1980) 79


Anteprime

Regina Pessoa

Kali, o Pequeno Vampiro Kali, the Little Vampire Portogallo • Francia • Canada • Svizzera, 2012, 9’, col., animazione – incisione digitale

Regia, Soggetto, Sceneggiatura, Storyboard Regina Pessoa Montaggio Abi Feijó Animazione Regina Pessoa, Marc Robinet, Laurent Repiton, Luc Chamberland, Jorge Ribeiro Animazione 3D Luís Félix, Benjamin Charbit Incisione digitale André Marques, Sara Naves, Alexandre Siqueira Musica The Young Gods Suono Olivier Calvert Voci Christopher Plummer [versione internazionale], Fernando Lopes [versione portoghese] Produttori Abi Feijó, Julie Roy, René Chénier, Pascal Le Nôtre, Georges Schwizgebel, Claude Luyet Produzione Ciclope Filmes, Folimage Studios, Office National du Film du Canada, Studio GDS Distribuzione, Contatti Ciclope Filmes, Rua Rui Feijó 921, 4620-890 Vilar do Torno e Alentém LSD, Portugal, tel. +351 936275674, ciclope@ciclopefilms.com, www.ciclopefilmes.com

Filmografia Kali, o Pequeno Vampiro (Kali, the Little Vampire, short, 2012) História Tragica com Final Feliz (Tragic Story with Happy Ending, short, 2005) Odisseia nas Imagens (2001) A Noite (The Night, short, 1999) Estrelas de Natal (co-regia con Abi Feijó, 1998) Ciclo Vicioso (co-regia con Abi Feijó e Pedro Serrazina, 1996) 80

Kali, il piccolo vampiro [t.l.] Kali vive nell’ombra. Gli altri bambini non immaginano neppure che lui esista. Ma il piccolo vampiro invece esiste, e soffre per non poter vivere alla luce del sole. Un giorno, stanco di vederli giocare vicino alla ferrovia, irrompe dal suo isolamento. Scoprirà che al mondo c’è un posto per ciascuno, indipendentemente dalla sua natura. Regina Pessoa (Coimbra, Portogallo, 1969) trascorre l’infanzia in un piccolo villaggio di campagna, ascoltando le storie di famiglia e osservando con attenzione come lo zio usava il carbone per disegnare sulle pareti di casa della nonna. Questo è il primo passo nella sua carriera di animatrice. Dopo la laurea in pittura alla Scuola di Belle Arti di Oporto, affina le tecniche di disegno in vari studi di animazione come Filmógrafo – Estúdio de Cinema de Animação, dove collabora alla realizzazione di alcuni film di Abi Feijó (Os Salteadores, Fado Lusitanio, Clandestino). Nel 1999 firma il suo primo cortometraggio, A Noite, animazione con pittura e scultura su lastre di gesso. Nel 2005 il secondo film della trilogia sull’infanzia, História Tragica com Final Feliz, e nel 2012 Kali, o Pequeno Vampiro, ideato e realizzato interamente a computer con tecniche di incisione digitale. Artista di grande intensità, e dunque al servizio della sua creatività e non di altro, certamente non di lusinghe o fretta, Regina Pessoa ha fin qui realizzato pochi film brevi, ma che sono tutti davvero notevoli; moderna, viaggiatrice e perciò stesso cosmopolita, conosce più lingue, più culture e più tecniche, alcune delle quali ha innovato e personalizzato per raccontare, in un’intenzionale Trilogia – A Noite (1999), História Trágica com Final Feliz (2005), Kali o Pequeno Vampiro (2012) –, l’incomunicabilità e la solitudine dei bambini, ispirandosi al mistero, ai non infrequenti drammi, alla poesia nascosta nelle vite banali e anonime. (Matilde Tortora)

«Fare di Kali una creatura della notte, un vampiro, mi ha permesso di entrare in un universo metaforico. Kali rappresenta le tenebre, l’oscurità, ma si sente a disagio perché vorrebbe essere come gli altri bambini. Per questo si aggrappa agli oggetti smarriti o buttati, come per assorbire l’anima di chi li ha posseduti. Alla fine, però, riesce ad accettare se stesso, arrivando a capire che le sue debolezze sono anche il suo punto di forza. Il nome del personaggio mi è venuto di getto. Solo dopo mi sono accorta che Kali fosse anche il nome della divinità induista della morte e mi è parso decisamente adatto, perché Kali distrugge per ricreare e dare un nuovo senso cosmico all’universo. Il mio film naturalmente non parla del cosmo, ma lo arricchisce con qualche piccolo dettaglio in più».


Anteprime

Andrea Zambelli

L’uomo che corre Italia, 2012, 59’, col.

L’uomo che corre Lucio Bazzana, ovvero un atleta insolito per una sfida insolita: l’ultramaratona internazionale di Atene. La più grande gara di corsa mai affrontata in Europa: un percorso di 1.000 miglia, in sedici giorni, nella pista abbandonata di un aeroporto alla periferia di Atene. Lucio taglia il traguardo dopo quattordici giorni e sette ore di corsa, circa diciotto ore al giorno. Solo brevi pause per nutrirsi e dormire, per dare una risposta a domande che vanno oltre la semplice passione olimpica. Quanto può correre un uomo senza mai fermarsi? C’è un limite alla sfida che ci si prefigge? Cosa succede al corpo e alla mente quando lo sforzo fisico è così prolungato? Che Guevara, che lo accompagna su una bandiera all’arrivo di ogni gara, gli ricorda che l’uomo, se è realista, deve esigere l’impossibile. Andrea Zambelli (Bergamo, 1975) lavora sul documentario creativo dal 1997. Esordisce alla regia nel 2001 con Farebbero tutti silenzio, girato tra i tifosi della curva nord dell’Atalanta. Nel 2002, in Palestina, gira la docufiction Deheishe Refugee Camp. Nei mesi successivi visita i campi profughi del sud del Libano. Da questa esperienza nasce Identità. Nel 2006 collabora con Teleimmagini a un progetto di alfabetizzazione comunicativa in Colombia, e realizza Mercancía. Nel 2008 Di madre in figlia è l’unico documentario italiano selezionato al festival di Toronto. Tekno – Il respiro del mostro è stato presentato in anteprima al Bergamo Film Meeting 2011. L’uomo che corre, presentato al Saratov Sufferings International Documentary Drama Film Festival (Russia) ha vinto il premio della sezione Panorama Kinodoc. «Quando ho incontrato Lucio per la prima volta, sono rimasto colpito dall’understatement con il quale racconta e pratica ultramaratone: è al tempo stesso umile e ironico mentre ti racconta di poter correre senza fermarsi per quindici giorni. La lucida consapevolezza di Lucio e la sua rude ironia danno a questa storia un respiro universale. Il suo allenamento diventa quasi una sorta di allegoria dello sforzo umano per arrivare a conoscere i propri limiti. Fin da bambino, Lucio organizzava con gli amichetti gare e “mini-olimpiadi” di atletica, segnando sui suoi quaderni miglioramenti e difficoltà nei tempi di resa rispetto ai diversi terreni su cui si avventurava. Una volta Lucio mi disse che fin da allora era già, in qualche modo, un ultramaratoneta, perché ogni giorno inseguiva un nuovo record: resistere al sonno per tutta una notte, trattenere il respiro, misurare il tempo resistendo appeso allo stipite di una porta, mangiare un numero massimo di panini in un solo giorno. Poi, quando ho scoperto che la gara si sarebbe svolta ad Atene, ho pensato che sarebbe stato un ottimo scenario per un film».

Regia Andrea Zambelli Sceneggiatura Chiara Cremaschi Fotografia Andrea Zambelli, Andrea Zanoli Montaggio Claudio Cormio, Andrea Salimbene Musica Walter Buonanno Con Lucio Bazzana Produttori Angelo Signorelli, Alberto Valtellina, Andrea Cremaschi Produzione Lab 80 film Distribuzione Lab 80 film Contatti Lab 80 film, via Pignolo 123, 24121 Bergamo, Italia, tel. +39 035 342239, fax +39 035 341255, info@lab80.it, www.lab80.it

Filmografia L’uomo che corre (The Running Man, doc, 2012) Milongueros (doc, 2011) Tekno – Il respiro del mostro (2011) Di madre in figlia (From Mother to Daughter, 2008) Mercancìa (short doc, 2006) Nightshot (videoclip, 2005) MisuraXmisura (doc, 2004) Identità (doc, 2003) 052 (short, 2002) Deheishe Refugee Camp (short doc, 2002) Farebbero tutti silenzio (short doc, 2001) 81


Bergamo Jazz

Alexander Mackendrick

Sweet Smell of Success USA, 1957, 96’, bn

Regia Alexander Mackendrick Soggetto dal racconto di Ernest Lehman Sceneggiatura Clifford Odets, Ernest Lehman, Alexander Mackendrick [non accr.] Fotografia James Wong Howe Montaggio Alan Crosland jr. Scenografia Edward Carrere Costumi Mary Grant Musica Elmer Bernstein Suono Jack Solomon Interpreti Burt Lancaster (J.J. Hunsecker), Tony Curtis (Sidney Falco), Susan Harrison (Susan Hunsecker), Martin Milner (Steve Dallas), Jeff Donnell (Sally), Sam Levene (Frank D’Angelo), The Chico Hamilton Quintet Produttore James Hill Produzione Norma Productions, Curtleigh Productions, Hill-Hecht-Lancaster Productions Distribuzione United Artists Corporation

Piombo rovente Incapace di ottenere per i suoi clienti una menzione sulla rubrica del potentissimo columnist di Broadway J.J. Hunsecker, l’agente giornalistico Sidney Falco si è visto costretto a passare al servizio di quest’ultimo per sbarcare il lunario. Il suo compito ora è di aiutarlo nelle sue sordide operazioni: Hunsecker, infatti, con la sua rubrica è in grado di fare come disfare carriere e reputazioni, e se ne serve per ricattare le sue vittime. Ultimamente, ha preso di mira Steve Dallas, un musicista jazz innamorato di sua sorella. Morbosamente geloso di lei, Hunsecker incarica Falco di montare contro Dallas una falsa accusa di detenzione e uso di stupefacenti. Gli esiti di questa operazione saranno disastrosi per tutti.

Filmografia Don’t Make Waves (Piano piano non t’agitare, 1967) A High Wind in Jamaica (Ciclone sulla Giamaica, 1965) Sammy Going South (Sammy va al Sud, 1963) Sweet Smell of Success (Piombo rovente, 1957) The Ladykillers (La signora omicidi, 1955) The Maggie (1954) Mandy (Mandy la piccola sordomuta, 1952) The Man in the White Suit (Lo scandalo del vestito bianco, 1951) Whisky Galore! (Whisky a volontà, 1949)

(David Brent Johnson, Sweet Smell of Success: Jazz Meets Showbiz Noir, www.indianapublicmedia.org, 26 ottobre 2009)

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Nel 1957 un drammaturgo sopravvissuto all’epoca della Depressione, due star sulla cresta dell’onda e un gruppo jazz della costa occidentale si riunirono per creare un fosco ritratto dello showbiz newyorkese. Il frutto della loro collaborazione è oggi considerato un capolavoro del cinema. Piombo rovente è la ruvida, faustiana storia noir di Sidney Falco, un press agent che cerca disperatamente di rimanere nelle grazie di J.J. Hunsecker, potente quanto sinistro columnist modellato sul leggendario manovratore di media Walter Winchell. […] Il jazz, in questo film, gioca un ruolo significativo, sia come soundtrack che come referente culturale. Il quintetto del batterista Chico Hamilton – il cui sound ha come elementi chiave il flauto e la chitarra, tanto da essere stato spesso denominato “chamber jazz”– appare in diverse scene del film; l’attore Martin Miller interpreta un chitarrista che adombra John Pisano; lo stesso soundtrack, composto da Elmer Bernstein, si distingue per il suo stile crime-jazzy. Piombo rovente, film caustico e amaro, sa catturare il disagio della cultura americana tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta.


i 50 anni del festival pianistico

Brian Desmond Hurst

Dangerous Moonlight Gran Bretagna, 1941, 94’, bn

Chiar di luna pericoloso [t.l.] Durante l’invasione nazista della Polonia il celebre pianista Stefan Radetzky, in forze all’aviazione, conosce la giornalista americana Carole Peters. Quando le cose si mettono veramente male, è uno degli ultimi a lasciare Varsavia. Qualche tempo dopo, a New York, reincontra Carole e la sposa. I due si trasferiscono in Inghilterra dove Stefan, dopo essersi esibito in un concerto, si arruola nello Squadrone polacco della RAF. Infuria la battaglia d’Inghilterra e, nel corso di una missione, Stefan viene gravemente ferito. Ma c’è di peggio: una fortissima amnesia gli ha fatto dimenticare tutto di sé, di Carole, della sua musica. Con il tempo, saranno proprio la musica e la sua compagna a fargli riacquistare un po’ per volta la memoria. È un film minore ma speciale, poco conosciuto al di fuori dell’Inghilterra nonostante il successo ottenuto dalla sua musica, quel Il concerto di Varsavia che viene ancora oggi eseguito e che fece guadagnare la fama al suo autore Richard Addinsel. Il Concerto, inserito in una colonna sonora altrimenti piuttosto convenzionale, è palesemente ispirato al Secondo concerto per piano di Rachmaninoff, che sarebbe stato poi utilizzato, nel 1945, in un altro film inglese di successo, il superbo Breve incontro di David Lean. La composizione di Addinsel è intelligentemente utilizzata all’interno del film, insieme all’Inno nazionale polacco e a brani di Beethoven e Chopin. […] L’immediatezza del film, l’assenza di patina hollywoodiana, la fluidità di narrazione danno a Dangerous Moonlight un’anima toccante e, al tempo stesso, un sapore semidocumentaristico. L’oriundo viennense Walbrook, uno dei più grandi interpreti del cinema inglese di quegli anni, si dimostra ancora una volta distinto, aristocratico, elegantemente efficace. (Edwin Jahiel, Dangerous Moonlight, www.edwinjahiel.com)

Regia Brian Desmond Hurst Soggetto Terence Young Sceneggiatura Terence Young, Rodney Ackland [non accr.], Brian Desmond Hurst [non accr.] Fotografia Georges Périnal Montaggio Alan Jaggs Scenografia John Bryan Costumi Cecil Beaton Musica Richard Addinsell (pianista Louis Kentner) Suono A.W. Watkins, John Cook Interpreti Anton Walbrook (Stefan “Steve” Radetzky), Sally Gray (Carole Peters Radetzky), Derrick De Marney (Michael “Mike” Carroll), Cecil Parker (lo specialista), Percy Parsons (Bill Peters), John Laurie (il comandante inglese), Michael Rennie (Kapulski) Produttore William Sistrom Produzione, Distribuzione RKO Radio Pictures

Filmografia His and Hers (Scambiamoci le mogli, 1961) Dangerous Exile (All’ombra della ghigliottina, 1958) Simba (id., 1955) The Malta Story Una storia di guerra, 1953) Trottie True (Il duca e la ballerina, 1949) Hungry Hills (Vendetta, 1947) Dangerous Moonlight (1941) The Lion Has Wings (co-regia con Michael Powell, 1939) The Tell-Tale Heart (1934) 83



Alec GuinneSs: uno nessuno centomila


ALEC GUINNESS: UNO, NESSUNO, CENTOMILA

Un genio anonimo Emanuela Martini «Entra EGO, dalle quinte, inseguito dai suoi demoni. EGO esce. Ego, da molto giovane e senza esperienza professionale, presuppone che il suo posto naturale nello schema delle cose sia su, al centro della scena, ma impara in fretta che, ancora per molto tempo, dovrà stare indietro, molto di fianco, e spesso con la schiena girata verso il pubblico. Con il passare degli anni comincia ad apprezzare questa posizione e più avanti nella vita, quando può dire la sua su qualche allestimento teatrale, si trova spesso a esprimere il desiderio di entrare in punta di piedi in una commedia piuttosto che prendere il toro per le corna. L’esposizione audace non è mai stata adatta a lui: Ego è ben consapevole di non essere della stessa classe degli Olivier, dei Richardson, dei Gielgud e degli altri grandi. Il suo piacere sta tutto nel mettere insieme i piccoli particolari, come se stesse giocando con i tasselli di un puzzle. I demoni che gli danno la caccia e lo spingono sono l’Impazienza, l’Irritabilità, l’Orgoglio Ferito, la Vanità, la Pigrizia, l’Impetuosità, la Paura-del-Futuro e, in agguato lì vicino, la Mancanza-di-BuonSenso. Conosce piuttosto bene le loro caratteristiche minacciose e le disprezza, ma viene sempre preso alla sprovvista. In gioventù, la miccia che lo faceva esplodere era molto corta; forse con l’età questa si è allungata e brucia più lentamente. Ego non è per niente contento di se stesso e dei risultati raggiunti ed è in egual misura attratto e respinto dalle luci della ribalta, come se non fosse mai del tutto sicuro di come presentarsi, o di chi o cosa avrebbe veramente voluto essere. Nel profondo del suo cuore ha sempre bramato essere un artista di qualche genere; ma è solo un attore. Essere un attore era il suo sogno di adolescente ed è stato il suo lavoro per più di cinquant’anni; ma, anche se non ha rimpianti in proposito, sa che generalmente un attore non è altro che un assortimento di frammenti che difficilmente fanno un uomo completo. Un attore è un interprete delle parole di altri uomini, spesso un’anima che desidera rivelarsi al mondo ma non osa farlo, un artigiano, una valigia di trucchi, un cofanetto di belletti, un distante osservatore del genere umano, un bambino e, quand’è al suo meglio, una specie di prete senza tonaca che, per un’ora o due, può invocare il paradiso e l’inferno ipnotizzando un gruppo di innocenti». Comincia così, con questa spassionata, disarmante dichiarazione di (im)modestia, Blessings in Disguise (più o meno, “non tutto il male viene per nuocere”), la bella autobiografia che Alec Guinness scrisse nel 1985, spinto da un amico e, confessa lui stesso, dal suo Ego, che era stato estremamente lusingato dalla proposta e che continuò a entrare e uscire dal racconto di questa vita “travestita”. Travestimenti, trucchi, belletti, parrucche (Guinness si rasò la testa una sera del 1934, per interpretare un servo cinese nel primo atto della commedia Queer Cargo di Noel Langley – nel secondo faceva un pirata francese e nel terzo un marinaio inglese – e finì per accorgersi che i capelli non sarebbero mai più ricresciuti): il consueto armamentario di ogni attore, e in particolare di un attore che nel 1949 diventò istantaneamente una star internazionale interpretando otto personaggi diversi in un film (Sangue blu, di Robert Hamer, ndr) del quale, per altro, non era nemmeno il protagonista. Alec Guinness aveva trentacinque anni e almeno quindici anni di 86


ALEC GUINNESS: UNO, NESSUNO, CENTOMILA

Lo scandalo del vestito bianco

onorata carriera teatrale alle spalle; al cinema si era avvicinato relativamente tardi, nel 1946, in Grandi speranze di David Lean, dov’era non il protagonista Pip (John Mills), ma il suo amico Herbert Pocket (che aveva interpretato qualche anno prima nella versione teatrale del romanzo di Dickens), simpatico giovanotto snob non troppo distante dalla sua età e, quanto a physique du rôle, dalla sua connaturata, fisica tendenza a rivestire (almeno al cinema) ruoli importanti ma di secondo piano. Anche Alec Guinness sapeva che non sarebbe mai stato un “romantic lead”, un Laurence Olivier (che era in ogni senso, teatrale, cinematografico e divistico, la star romantica dell’epoca). E infatti, due anni dopo, al suo secondo film, eccolo reso irriconoscibile dal trucco, vecchio, sinistro, patetico: Guinness perseguitò David Lean perché voleva a tutti costi interpretare il personaggio più sgradevole e “pericoloso” di Oliver Twist: Fagin, l’ebreo che addestra i ragazzini al furto, “pericoloso” anche perché qualsiasi traccia di antisemitismo, anche di shakespeariana o dickensiana memoria, era in quegli anni bandita dal cinema. E Guinness e Lean fecero di Fagin un irraggiungibile “mostro” vittoriano, una di quelle creature dickensiane dove lo stereotipo, pur presente ed evidente, cede comunque il passo alla complessità umana del personaggio, all’inestricabile legame tra i tratti patetici e quelli orribili. Il loro Fagin ha dato la misura e la lettura per tutti i successivi, ma nessuno (né Ron Moody, né George C. Scott, né Ben Kingsely, né Timothy Spall nella recente versione televisiva) è mai arrivato a un’adesione così tragica al personaggio. Se un Fagin fa un mostro inedito, otto D’Ascoyne fanno una star. E un’etichetta si appiccica ad Alec Guinness: “l’uomo dai mille volti” (dopo Lon Chaney e prima 87


ALEC GUINNESS: UNO, NESSUNO, CENTOMILA

Il paradiso del capitano Holland

di Peter Sellers, che comunque resta l’attore più vicino a Guinness, anche lui ben distante dal travestitismo fine a se stesso e anche lui molto “normale”, quando non è sotto mentite spoglie). Gli otto membri della famiglia D’Ascoyne di Sangue blu (eliminati uno a uno a scopi ereditari da Louis Mazzini, bastardo disconosciuto dalla famiglia) dovevano in realtà essere interpretati da otto attori che avessero tra loro qualche vaga somiglianza; poi Guinness fu scritturato per tre di loro e, a quel punto, perché non tutti e otto? Nasce così, nella più anomala e più crudele delle commedie Ealing, il mito Guinness, che mette in ombra per un momento l’attore Guinness, nonostante tra i D’Ascoyne ci siano almeno tre personaggi la cui qualità “umana” supera il tratto caricaturale (il mite fotografo dilettante con una passione colpevole per il whisky, il duca duro e crudele e il pastore svanito). Un mito (certamente coltivato da Ego) che cresce negli anni e con una serie di trucchi, colori, parrucche, accenti diversi: nel 1950 è il Primo ministro Disraeli in Un monello alla corte d’Inghilterra di Jean Negulesco, nel 1955 il diabolico professor Marcus in La signora omicidi di Alexander Mackendrick (primo incontro sul set con l’emulo e astro nascente Peter Sellers), nel 1957 i sei antenati lupi di mare del comandante Ambrose in Il capitano soffre il mare di Charles Frend (ma l’apparizione dei sei è fugace, il protagonista è antieroico e un po’ incolore), nel 1961 un diplomatico giapponese in Il molto onorevole ministro di Mervyn LeRoy, nel 1962 il principe arabo Feisal in Lawrence d’Arabia di David Lean, nel 1964 l’imperatore Marco Aurelio in La caduta dell’impero romano di Anthony Mann, nel 1970 Carlo I in Cromwell di Ken Hughes e il fantasma di Marley in La più bella storia di Dickens di Ronald 88


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Neame, nel 1972 Papa Innocenzo III in Fratello sole, sorella luna di Franco Zeffirelli e (ahimé) Adolf Hitler in Gli ultimi dieci giorni di Hitler di Ennio De Concini, nel 1976 il maggiordomo cieco Bensonmum in Invito a cena con delitto di Robert Moore, nel 1984 il professore indiano Godbole in Passaggio in India di David Lean. Ma negli anni ‘50, al di là del fondotinta, del camaleontismo fonetico e della valigetta dei trucchi, è l’attore Guinness a crescere enormemente e, inaspettatamente, ad affermarsi come star. Un divismo imprevedibile, per un attore che non ha il fisico di una star cinematografica (nemmeno un fisico “lager than life” alla Charles Laughton), favorito (e forse generato) dall’altrettanto imprevedibile successo internazionale di cui godettero per un pugno di anni (nemmeno una decina, dalla fine della guerra al 1955) i film “all British”. Nei suoi ruoli, Alec Guinness si gioca tutto sulle sfumature di un “common man” molto banale, spesso molto mite e, altrettanto spesso, molto più astuto e disincantato di quanto la sua apparente naïveté lasci intendere. Il capitano Ambrose soffre il mal di mare e, per non tradire la tradizione marinaresca di famiglia, decide di diventare il comandate di un “pier” saldamente attaccato alla costa, che trasforma in una immobile nave da crociera battente bandiera di Liberama; il giovane opportunista di Asso pigliatutto di Ronald Neame escogita una serie di trucchi (per lo più innocui, ma comunque trucchi) per far breccia e carriera nella buona società e guadagnarne il rispetto; e lo stesso Jim Wormold di Il nostro agente all’Avana di Carol Reed non è altro che un venditore di aspirapolvere che si trasforma in agente dei servizi segreti per riuscire a mantenere agli studi la figlia. Tutti questi personaggi, come quelli di Due inglesi a Parigi di Robert Hamer, di Last Holiday di Henry Cass, di Il paradiso del capitano Holland di Anthony Kimmins o di La bocca della verità di Ronald Neame, danno a Guinness l’opportunità di costruire un carattere e una storia a partire da una fisionomia opaca e, virtualmente, “invisibile”. Ancora una volta, il là per questi successivi approfondimenti, per questo certosino lavoro sui particolari (gli occhiali, le scarpe, l’andatura, gli occhi sempre vigili, il sorriso esitante e improvviso, l’impercettibile movimento della testa con cui il personaggio prende atto di una sconfitta o di una vittoria), viene dato dai due film Ealing successivi a Sangue blu: L’incredibile avventura di Mr. Holland di Charles Crichton e Lo scandalo del vestito bianco di Alexander Mackendrick, entrambi del 1951, due punte di diamante e, contemporaneamente, il canto del cigno della conclamata tradizione autarchica (e parzialmente anarchica) della commedia Ealing. Nel primo, Henry Holland è l’epitome dei piccoli funzionari in bombetta e occhiali che percorrono la City con compiti di grande responsabilità e nessuna gratificazione, un “public servant” che sorveglia il trasporto dei lingotti d’oro alla Banca d’Inghilterra. L’incontro con il nuovo pensionante della casa suburbana in cui vive (lo straripante Stanley Holloway, lui come sempre tutt’altro che “invisibile”) fa scattare in Holland la molla dell’insoddisfazione, e letteralmente vediamo l’idea geniale che illumina i suoi occhiali nel momento in cui distrattamente allontana con la punta dell’ombrello il frammento di polvere dorata caduto sulla sua scarpa. Da incolore qual era, Holland è pronto a trasformarsi, seppure per un breve, felice momento, in uno dei numerosi “englishmen abroad” che vivono in qualche paese dell’America Latina, tra agi, ozi e chiquitas, come i tanti “commedianti” di Graham Greene. Nel film di Mackendrick, invece, il protagonista Sidney Stratton è addirittura letteralmente invisibile, nascosto dietro una porta, nella prima sequenza all’interno della fabbrica, nella quale tutti si chiedono cosa sia quella stravagante macchina sulla quale il piccolo, oscuro chimico 89


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sta mettendo a punto un’invenzione benefica per l’umanità: il rivoluzionario tessuto che non si strappa, non si consuma, non si sporca (e che tutti, dagli imprenditori, che temono di non vendere più stoffa, agli operai, che temono di perdere il lavoro, finiranno per detestare e osteggiare). Sidney è stato paragonato da John Russell Taylor a un tipico eroe alla Capra, e degli eroi di Capra conserva certamente l’ostinazione ingenua e la buona fede. Ma l’Europa del dopoguerra è più cinica dell’America rooseveltiana e Sidney, per proteggere la sua invenzione, deve far funzionare il cervello a pieno regime, e anche imbrogliare un po’, sedurre un po’ (la figlia del padrone della fabbrica, come l’operaia sindacalista, come la bambina che coglie al volo la reciproca affinità e che lo aiuta – a proposito, la bambina è la protagonista di Mandy la piccola sordomuta, bel mélo del 1952 di Mackendrick), sventare le trappole che tutti disseminano sul suo percorso. Sidney Stratton è Alec Guinness con la faccia di Alec Guinness, anche lui sempre impegnato a tenere a bada l’Ego, ma non tanto modesto da rinunciarvi. L’elemento più curioso, in tutta questa storia di Alec Guinness con il suo volto o con i mille volti altrui, è che il suo personaggio non è nemmeno mai rientrato nel novero dei “British eccentrics” (come fu invece poco prima di lui Alastair Sim e come saranno, poco dopo di lui, Peter Sellers e i Monty Python), pur avendone tutte le caratteristiche più esplicite, dall’apparente, incolore mimetismo al travolgente gusto per i travestimenti (anche femminili, non solo lady Agatha D’Ascoyne, ma anche la lavandaia haitiana di I commedianti di Glenville o, in teatro, la “Mrs. Artminster” di Wise Child di Simon Gray). La sua “eccentricità” è stata, se mai, più autentica e profonda, quella vena di sotterranea follia e di nostalgica egopatia che si è sempre detto corresse nel sangue britannico, almeno fino alla ventata uniformante e “modernizzante” di Tony Blair (ma qualcosa permane, nei geni, se è vero che la Regina Elisabetta II accetta, per una sera, di fare la Bond-girl). Il che ci porta dritti in seno all’MI5 e all’MI6, cioè a Greene e Le Carré (ma anche all’Harold Pinter sceneggiatore di Quiller Memorandum, 1966, di Michael Anderson) e a due parti che rappresentano la quintessenza della recitazione sfumata di Alec Guinness, Jim Wormold e George Smiley, la spia che non voleva essere tale e l’uomo più incolore e il cervello più fine dei Servizi, in lotta perpetua con la propria umanità fragile. George Smiley è un pilastro nella carriera di Guinness, un personaggio a tutto tondo al quale l’attore arriva a sessantacinque anni (nelle due miniserie televisive La talpa, 1979, e Tutti gli uomini di Smiley, 1982) e un punto di non ritorno nella rappresentazione della vita, della psicologia, della invisibilità, appunto, degli agenti segreti, al quale rende omaggio non solo Gary Oldman nella versione del 2011 di La talpa di Tomas Alfredson, ma anche James Bond in persona (e soprattutto M-Judi Dench e M-Ralph Fiennes) in Skyfall di Sam Mendes. Di Smiley parla approfonditamente Arturo Invernici nel saggio Gli occhiali di George Smiley, identificandone bene i segreti tratti felini e, soprattutto, la mascherata infelicità. È chiaro comunque che, per arrivare a una tale sintesi del genio che corre sotto l’anonimato, devono essere stati sviscerati, frantumati e ricomposti molti volti di “civil servants” e decine di funzionari in bombetta, di umili travet e di uomini in divisa che nascondono, sotto la loro evanescenza o la loro rigida postura, quel filo tenace e fragile di follia che consente loro di sopravvivere e di restare attaccati alla realtà. Un filo irreale, spesso, che talvolta, più che al sorriso irridente della Ealing, conduce alla tragedia. Due grandi tragici riassumono molti dei “piccoli uomini” interpretati da Guinness. Uno, ovviamente, è il colonnello Nicholson, il protagonista indomabile di Il ponte sul fiume 90


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Last Holiday

Kwai di David Lean, che fa propria la causa del ponte e del lavoro ben fatto, nonostante si tratti di un’opera costruita dal nemico. Nei titoli di testa del film, il nome di Alec Guinness appare in terza posizione, dopo quello di William Holden (la star americana del momento) e di Jack Hawkins (solido eroe della rinascita del cinema inglese); ma in realtà il personaggio del colonnello è un vero e proprio “scene stealer”, dal suo arrivo nel campo di prigionia alla folle ostinazione a salvare il ponte, il centro (insieme al suo omologo colonnello Saito, l’attore giapponese Sessue Hayakawa) del paradosso su cui è costruito il racconto. Nicholson non è solo, forse, il personaggio più famoso di Alec Guinness (gli valse l’Oscar e molti altri premi internazionali), ma anche, nel 1957, il simbolo di un’intera cultura che frana sotto il peso dei propri simboli, dimostrando la propria anacronistica irrealtà. Nicholson è fuori dalla Storia, fuori da qualsiasi possibile evoluzione psicologica (se non una deriva verso la follia conclamata, ed evocata – «Madness, madness» – dal dottore che ha assistito impotente dall’alto al disastro finale), in un film che è insieme profondamente antimilitarista e ostinatamente militarista, il mondo delle regole morte che non riesce nemmeno a sfiorare l’universo dei vivi, eppure l’unico mondo che consente a Nicholson di sopravvivere. Tre anni dopo, nel 1960, viene offerta ad Alec Guinness una parte analoga, in Whisky e gloria: quella del colonnello Barrow, il nuovo comandante di un reggimento scozzese, rigidamente ligio al regolamento, non simpatico, alieno da qualsiasi espressione di rumoroso cameratismo, astemio, ossessionato dal rispetto dei minimi particolari della vita e del decoro militari, venuto da Oxford, dall’aristocrazia militare e dalla prigionia 91


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La bocca della verità

in campo ufficiali durante la guerra. Il personaggio di Barrow era, evidentemente, un’appendice naturale del colonnello Nicholson; per questo l’autore del romanzo e della sceneggiatura, James Kennaway, e il regista, Ronald Neame, lo offrirono a Guinness, scritturando contemporaneamente John Mills per la parte del suo antagonista, il colonnello Sinclair, facente funzioni di comandante fino all’arrivo di Barrow, rumoroso, bevitore, donnaiolo, “easy going” sul piano del regolamento, popolare tra gli uomini, un rosso scozzese venuto dalla gavetta (suonava la cornamusa e si è guadagnato i gradi sul campo, durante la guerra) con appetiti robusti e una tendenza alla prevaricazione. Due personaggi complementari, ma anche due caratteri che richiedono tipizzazioni opposte. Bene, Guinness e Mills accettarono, ma a ruoli invertiti; e Mills fu il rigido Barrow e Guinness l’estroverso Sinclair, l’esatto contrario, all’apparenza, di quello che era stato il colonnello Nicholson, ma anche un uomo che nasconde il vuoto e il fallimento totale, che non esiste al di fuori della caserma, che nella caduta del suo antagonista constata la propria fine. Nel tratteggiare Sinclair Guinness mescola barlumi della passata astuzia Ealing con sguardi improvvisi sulla tragedia che lo spingono nella direzione di Nicholson e, più tardi, di Smiley. Ancora una volta, un uomo comune fuori tempo massimo, un combattente solitario di cause perse che probabilmente non valeva la pena di combattere. Resta un ultimo eroe, anche lui sotto mentite spoglie, “mascherato” da saggio mite, ma capace di evocare, con il gelo dei suoi occhi cristallini e il suo sorrisetto schivo, poteri enormi: dal 1977 in avanti, e per sempre, Obi-Wan Kenobi nella saga Guerre stellari. Ma Obi-Wan (come ha scritto John Russell Taylor, «l’unico personaggio umano del film che riesca a competere con lo charme dei robot C-3PO e R2-D2») non è né una maschera né un’impersonazione: è il vecchio Alec Guinness che combatte contro i mostri dell’Id come se si trovasse sulle tavole di un teatro shakespeariano. 92


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Gli occhiali di George Smiley Arturo Invernici «Buho: gato con alas» (Gufo: gatto con le ali) (greguería di Ramón Gómez de la Serna)

«Certi interrogatori, a volte non sono interrogatori, ma comunioni fra anime offese» (George Smiley, in John le Carré, Il visitatore segreto)

Forse, la definizione più precisa del metodo recitativo di sir Alec Guinness, il ritratto più fedele e azzeccato dell’uomo e dell’attore alle prese con il suo lavoro, l’ha fatto John le Carré, creatore del personaggio letterario da lui così efficacemente incarnato sul piccolo schermo: «Guardarlo mentre indossa un’identità è come guardare un uomo prepararsi per una missione in territorio nemico. Il travestimento, è quello adatto a lui? (non essendo lui altri che lui stesso dietro a una nuova maschera) I suoi occhiali sono quelli giusti? – no, proviamo questi altri. Le sue scarpe, non sono troppo belle, troppo nuove, non lo faranno uscire dal seminato? Questa camminata, questa cosa che fa con il ginocchio, questo sguardo, questa postura – non credi siano eccessive? Se assomiglia a un madrelingua, parlerà sufficientemente bene, padroneggerà il gergo? Quando lo spettacolo è finito, la giornata di riprese è passata, e lui torna ad essere Alec – il fluido volto luccicante di trucco, il piccolo sigaro leggermente tremolante nella sua mano sottile – non puoi fare a meno di sentire da quale vecchio, cupo lavoro è appena uscito, dopo le avventure in cui ha vissuto completamente immerso» (1). Il lavoro fatto da Guinness per i due televisivi La talpa (Tinker Tailor Soldier Spy, 1979) e Tutti gli uomini di Smiley (Smiley’s People, 1982), tratti dagli omonimi romanzi di John le Carré, e che lo scrittore ebbe modo di vedere in azione così da vicino, è per certi versi l’esempio più paradigmatico di aderenza tra personaggio letterario e interpretazione su schermo che sia mai stato dato di vedere. Alec Guinness, anche per chi abbia visto le due serie televisive avendo letto prima i libri, è George Smiley, così come lo Smiley cartaceo non avrebbe potuto essere altri che Guinness, alla stessa maniera con la quale siamo abituati a riconoscere Philip Marlowe nei tratti di Humphrey Bogart o il commissario Maigret in quelli di Jean Gabin (o Gino Cervi). E questo a dispetto della non del tutto completa somiglianza fisica fra personaggio e interprete. i nostri due agenti Al Circus È fin dal nome che il capacissimo, imperturbabile, dimesso funzionario dell’MI6 creato da le Carré rivela i tratti principali della sua personalità: George come san Giorgio, il santo-cavaliere che uccide il drago simboleggiante il male, ed è pure 93


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patrono d’Inghilterra; Smiley, sorridente, segno di un’indole sostanzialmente mite che tuttavia viene messa spesso alla prova sia sul piano professionale che su quello privato. Lo Smiley letterario è descritto come una persona intelligentissima, tenace, con una memoria prodigiosa e una capacità di correlare i dati fuori del comune, ma con modi molto goffi, un aspetto piuttosto trasandato e una certa tendenza al sentimentalismo che, complice una moglie fedifraga, lo rende piuttosto fragile sul piano emotivo. Nato più o meno intorno al 1910, studi a Oxford e una specializzazione in poesia tedesca barocca, nei primi anni della sua carriera ha uno stato di servizio, visto il tipo, piuttosto attivo (anni Trenta e periodo bellico in giro fra Svezia, Germania e Svizzera), per poi essere assegnato, con l’avvento della Guerra fredda, a ruoli più da scrivania, grazie alle sue straordinarie doti di analista. Questa posizione lo porterà spesso a scontrarsi con Karla, potentissimo capo dei Servizi segreti sovietici. Curiosamente, gli estremi della vita letteraria di Smiley sono il 1961 (Chiamata per il morto), l’anno della costruzione del Muro di Berlino, e il 1990 (Il visitatore segreto), l’anno immediatamente successivo al crollo del medesimo. In quest’ultimo libro – le memorie di un suo collega alle porte della pensione – Smiley appare, all’inizio di ogni capitolo, a dispensare pillole di esperienza e di saggezza a un uditorio di giovani reclute dei Servizi (questo romanzo, en passant, è da le Carré dedicato ad Alec Guinness, «con simpatia e riconoscenza»). I primi due romanzi di le Carré, e con Smiley protagonista (il già citato Chiamata per il morto e Un delitto di classe), hanno un impianto più investigativo che spionistico; poi Smiley appare, come personaggio secondario, in La spia che venne dal freddo e Lo specchio delle spie, per tornare da protagonista assoluto nella cosiddetta “trilogia di Karla” – La talpa, L’onorevole scolaro e Tutti gli uomini di Smiley – nella quale, partendo dalla scoperta di un traditore (2) interno al Circus (la sede dei Servizi segreti nella finzione lecarreiana) l’agente inglese giunge alla resa dei conti con il collega d’oltrecortina. Sullo schermo, prima di Guinness, Smiley ha avuto altri due volti: Rupert Davies (all’epoca un Maigret molto popolare alla tv inglese) in La spia che venne dal freddo (The Spy Who Came In from Cold, 1965) di Martin Ritt, e James Mason in Chiamata per il morto (Call for the Dead, 1966) di Sidney Lumet, dove in realtà, per proplemi legati ai diritti d’autore, viene ribattezzato Dobbs e sviluppato in maniera completamente diversa dall’originale. Quando nel 1979 viene avviata la produzione della versione tv di La talpa, nel corso di un abboccamento telefonico fra il produttore della BBC Jonathan Powell e John le Carré viene fatto da entrambi, simultaneamente e quasi telepaticamente, il nome di Guinness come possibile Smiley (3). Per l’attore, se si eccettuano un telefilm fatto negli Stati Uniti nel 1959 (The Wicked Scheme of Jebal Deeks, una commediola dalla trama non dissimile a quella di Lo scandalo del vestito bianco, The Man in the White Suit, 1951) e una versione tv dello shakespeariano La dodicesima notte (come Malvolio, un’esperienza che Guinness, sempre molto autocritico nei confronti del suo lavoro, preferiva dimenticare), è la prima esperienza televisiva vera e propria; tuttavia, conoscendo e apprezzando già i romanzi di le Carré, sir Alec accetta ben volentieri. Al momento, per Guinness le frequentazioni filmiche nel mondo dello spionaggio sono solo due, ma piuttosto interessanti: il notevole entertainment grahamgreeniano Il nostro agente all’Avana (Our Man in Havana, 1959) e il più cupo, quasi onirico Quiller Memorandum (The Quiller Memorandum, 1966) nel quale, su sceneggiatura di Harold Pinter, l’attore abbozza il ritratto di un azzimato funzionario dei Servizi inglesi gentile nei modi, 94


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Tutti gli uomini di Smiley

con la postura militaresca di chi ha ingoiato un manico di scopa e una vaga, garbata tendenza al cinismo. A teatro, invece – giusto due anni prima di La talpa –­ Guinness ha interpretato, nella commedia The Old Country di Alan Bennett, il ruolo di Hilary, un agente inglese passato all’URSS e ricalcato sulla figura di Kim Philby (4). Una questione di metodo I soprannomi, le frasi fatte, le etichette sono fatte apposta per incasellare qualcosa o qualcuno; il più delle volte vengono coniate con le migliori intenzioni, seguendo esigenze di sintesi e a volte pure con l’intento di tessere un elogio, ma molto spesso finiscono inesorabilmente con l’essere semplicistiche e riduttive. Nel caso di Guinness, si è spesso parlato di lui come “l’uomo dai mille volti”. L’espressione (riciclata peraltro da una simile utilizzata precedentemente per Lon Chaney) venne ideata dall’ufficio pubblicitario della Rank, che distribuiva le produzioni Ealing, nei primi anni Cinquanta, allo scopo di promuovere le commedie interpretate dall’attore facendo riferimento alle sue strabilianti doti trasformistiche venute 95


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Tutti gli uomini di Smiley

alla luce per la prima volta in Sangue blu (Kind Hearts and Coronets, 1949). Senza dubbio, l’espressione rende giustizia alla versatilità di Guinness, ma ci mostra solo una parte delle sue qualità d’attore. Il metodo di Guinness è molto diverso da quello di altri suoi colleghi: sir Alec non è un “magnifico bambinone” che tira fuori, da una scatola piena di giochi strabilianti, idee una dietro l’altra (secondo una definizione di Billy Wilder riferita a Charles Laughton), né un vulcano di pirotecnìe trasformistiche come Peter Sellers; non è neanche, ovviamente, il tipo di attore che si crea un’immagine di sé e, conseguentemente, sceglie i film a lui più congeniali (salvo essere preso per il collo e rivoltato come un calzino, come fa per esempio Alfred Hitchcock con James Stewart). Guinness segue un metodo squisitamente personale, che gioca molto d’anticipo partendo dall’attento studio del personaggio, per poi coglierne i tratti, i dettagli, le caratteristiche anche le più infinitesimali, che andranno inventariati e catalogati per essere infine resi omogenei sul palcoscenico o di fronte alla macchina da presa. Che si tratti del modo di muoversi e di esibire i tic dei vari personaggi di Sangue blu e di altre commedie ealinghiane, o dello studio della mentalità militare di Il ponte 96


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sul fiume Kwai (The Bridge on the River Kwai, 1957) e di Whisky e gloria (Tunes of Glory, 1960), o ancora del tormento morale ed esistenziale di Il prigioniero (The Prisoner, 1955), il metodo di Guinness è questo. Che è poi il metodo del detective (ricerca), del collezionista (raccolta), dell’archivista (catalogazione) e del musicista (sintesi in un unicum credibile ed efficace). Sir Alec, nelle interviste, definiva sornionamente il segreto delle sua recitazione come simply pretend (semplicemente far finta). Un “semplicemente far finta” che tuttavia presuppone le stesse doti che tornano utili, fra le altre categorie professionali, anche agli agenti segreti. Smiley e Guinness erano fatalmente destinati a incontrarsi, per la semplice ragione che, professionalmente parlando, condividono lo stesso metodo basato sull’attenta osservazione. Lo Smiley di Guinness è occhialuto come quello dei romanzi, ma dietro alle spesse lenti (modello “televisore catodico”), ci sono gli occhi di Guinness. Il che non è poco. In un’economia di gesti e movimenti utilizzati con molta parsimonia (in La talpa, Smiley è spesso seduto, e in Tutti gli uomini di Smiley, che è molto più d’azione, comunque si muove e cammina sempre con molta pacatezza), le armi di Smiley/Guinness sono principalmente due: la mimica del volto e lo sguardo. Il volto di Guinness, per gran parte dell’indagine di La talpa e della ricerca di Tutti gli uomini di Smiley, è caratterizzato da un aspetto quietamente serio, impassibile, quasi keatoniano; tale aspetto si apre – a volte inaspettatamente a volte no, di solito con velata ironia per spiazzare gli interrogati, altre volte, più sinceramente, con le persone che gli stanno simpatiche – in quel tenue sorriso (appena accennato, con le labbra leggermente socchiuse) che le Carré definisce da mischievous dolphin (delfino sbarazzino). Molto più di rado, e con le persone che davvero godono della sua simpatia (ad esempio con l’ex collega Connie Sachs nella prima serie, o con la coppietta di Amburgo nella seconda), il sorriso si apre molto di più, in un modo che lo fa quasi assomigliare a quello di Stan Laurel (Keaton e Laurel, per inciso, erano due degli attori cinematografici preferiti da Guinness, dai quali per sua stessa ammissione ogni tanto rubacchiava qualcosa, persino nelle sue interpretazioni shakespeariane a teatro). Per quanto riguarda lo sguardo, lo stesso Guinness afferma: «Quando si ha a che fare con un personaggio come Smiley, che si presuppone essere estremamente intellettuale ed enormemente brillante, bisogna essere silenziosi per la maggior parte del tempo, mentre si ascoltano le persone e si rielaborano le cose. Non si possono far roteare gli occhi di qua e di là come se si volesse dire “Guardate come sono bravo”. Bisogna farlo nella maniera esattamente opposta. […] È per questo che molti dei miei primi piani, che potrebbero sembrare noiosi, in realtà sono finalizzati a far capire allo spettatore che uno sta prendendo seriamente ciò che sta ascoltando» (5). Gli occhi sono usati con molta efficacia da Smiley/Guinness, che negli interrogatori si serve di un continuo gioco basato sul distogliere con apparente distrazione lo sguardo per poi rifissarlo con un fare diretto e inquisitivo, reso ancora più penetrante dallo spessore delle lenti (occhiatacce da insegnante che coglie in fallo l’allievo, o da confessore che ha individuato la gravità del peccato – le Carré definisce lo Smiley di Guinness come «un moderatore gesuita in un mondo pieno di peccati»); dall’attore, gli occhi sono anche usati soprattutto per farne affiorare la sostanziale mitezza di carattere e la fragilità emotiva. In questo caso un’occhiata dura, o anche solo impassibile, sembra sciogliersi momentaneamente come fosse 97


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La talpa

un sipario che si apre sul suo animo per poi richiudersi subito dopo. Quasi una “teoria della crepa” simenoniana all’incontrario (6). Ciò accade negli incontri che Smiley ha, sia in La talpa che in Tutti gli uomini di Smiley, con lady Ann, l’amatissima e infedele moglie: nel primo, spiazzato da una crudelissima frase di lei (di fronte alla di lui dolorosa consapevolezza di essere stato tradito, sia come agente che come marito, lei gli dice: «Povero George, per te il mondo è un posto terribilmente complicato»), c’è un brevissimo, liquido bagliore nei suoi occhi che rivela delusione e smarrimento; nel secondo, durante il quale si comporta duramente con lei – e sembra che per lui sia giunto il momento in cui di lei non ne vuole più sapere – lo stesso, fugace bagliore ci rivela che in realtà la ama ancora disperatamente, e che la sua durezza è dettata esclusivamente dal volerla 98


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tenere lontana da sé per evitarle possibili ritorsioni da parte degli agenti sovietici (è in preparazione la trappola dentro la quale conta di far cadere Karla). Di gufi e di gatti Gli occhi, dunque. Una barzelletta spagnola racconta di un tizio che voleva tanto comprare un pappagallo, ma un furbo venditore è riuscito a convincerlo a prendersi invece un gufo. Un giorno, il tizio incontra un amico. «Allora, te lo sei comprato, il pappagallo? - «No, al suo posto mi sono preso un gufo». «Y ¿habla, este búho?» (e sa parlare, questo gufo?) - «No, ¡pero se fija mucho!» (no, però è un ottimo osservatore). Dietro le spesse lenti, gli occhi di Smiley lo fanno rassomigliare parecchio a un gufo. Questo aspetto è stato molto attentamente ripreso dall’ottimo Gary Oldman nella recente versione cinematografica di La talpa (Tinker Tailor Soldier Spy, 2011): sempre silenzioso, sempre all’erta, sempre con l’occhio fisso su ciò che deve guardare. Lo Smiley di Guinness è diverso: è ugualmente silenzioso (la sua voce, baritonale, è bellissima, ma la usa poco, preferendo ascoltare gli altri), ma i suoi sguardi in tralice, le occhiatacce “da moderatore gesuita”, gli improvvisi e presto richiusi sprazzi di sentimento gli conferiscono piuttosto il carattere sornione ma attento di un gatto che fa la posta al topo. Smiley/gufo, Smiley/gatto: entrambe sono letture pertinenti e azzeccate del personaggio creato da John le Carré. Eppure, a noi pare che il felino abbia da regalarci qualche sfumatura in più. (1) John le Carré, A Mission Into Enemy Territory, prefazione ad Alec Guinness, My Name Escapes Me. The Diary of a Retiring Actor, Hamish Hamilton, Londra 1996. (2) La talpa cui Smiley dà la caccia è ricalcata sul celeberrimo caso dei “Cambridge Five”: Kim Philby, Guy Burgess e Donald Maclean (cui sono da aggiungere Anthony Blunt, esperto d’arte e curatore delle gallerie della Regina, il cui status di traditore fu reso pubblico negli anni Ottanta, e un quinto uomo, la cui identità è tuttora oggetto di congetture). Tutti di buona famiglia, tutti con studi a Cambridge, vennero arruolati negli anni Trenta da agenti sovietici. Le loro motivazioni furono sempre ideologiche e chi nel 1951 (Burgess e Maclean), chi nel 1963 (Philby), defezionarono in URSS. Arrivato a Mosca, Philby fece saltare la copertura di molti agenti inglesi, fra i quali c’era lo stesso le Carré, che all’epoca faceva parte dell’MI6, era assegnato in Germania e dovette lasciare il servizio. Per questa ragione, le Carré ha sempre avuto un’estrema antipatia per Philby, cosa che lo ha portato spesso a polemizzare con Graham Greene che di Philby invece era amico. (3) Queste informazioni, come altre che seguiranno, sono desunte da due interviste allo scrittore, una contenuta come extra nel dvd di Smiley’s People (BBC Worldwide Ltd., 2004), l’altra rilasciata nel corso di un omaggio all’attore presso il National Film Theatre di Londra il 5 ottobre 2002. (4) Assai curiosi l’intreccio e l’ambientazione della commedia di Bennett: i sei personaggi, tutti inglesi, conversano amabilmente del più e del meno – di cose relative alla cara vecchia Inghilterra, per lo più –, in quella che sembra essere una tipica casa di campagna inglese; solo in un secondo tempo, e un po’ per volta, ci rendiamo conto che questa, in realtà, è una dacia nei dintorni di Mosca, e la maggior parte dei personaggi è gente che ha defezionato oltrecortina. Secondo la critica, questa fu una delle migliori interpretazioni teatrali di Guinness. Bennett, da noi famoso per La pazzia di re Giorgio (donde il film), pare nutrire uno spiccato interesse per i “Cambridge Five”: sue sono anche le commedie Un inglese all’estero (sull’esilio moscovita di Guy Burgess) e Una questione di attribuzione (dialogo immaginario fra la Regina e Anthony Blunt). (5) John Russell Taylor, Alec Guinness. A Celebration, Pavillion Books, Londra 1985. (6) La “teoria della crepa” si riferisce al momento in cui, secondo Maigret, anche nella corazza del più sicuro degli interrogati si apre una piccola breccia. Nel caso di Smiley, inquisitore altrimenti esperto quanto Maigret, la crepa si apre quando affiora la sua vulnerabilità sentimentale di fronte alla moglie. Che lei se ne renda conto, è tutto da vedere… 99


ALEC GUINNESS: UNO, NESSUNO, CENTOMILA

Filmografia di Alec Guinness a cura di Arturo Invernici

1934 | Evensong Regia: Victor Saville; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: un soldato al concerto 1946 | Great Expectations | Grandi speranze Regia: David Lean; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: Herbert Pockett 1948 | Oliver Twist | Le avventure di Oliver Twist Regia: David Lean; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: Fagin 1949 | Kind Hearts and Coronets | Sangue blu Regia: Robert Hamer; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: il Duca/il banchiere/il parroco/ il generale/l’ammiraglio/il giovane Ascoyne/il giovane Henry/lady Agatha

1952 | The Card | Asso pigliatutto Regia: Ronald Neame; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: Edward Henry “Denry” Machin 1953 | The Captain’s Paradise | Il paradiso del capitano Holland Regia: Anthony Kimmins; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: il capitano Henry St. James 1953 | The Malta Story | Una storia di guerra Regia: Brian Desmond Hurst; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: il tenente Peter Ross

1949 | A Run for Your Money Regia: Charles Frend; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: Whimple

1953 | The Square Mile (short) Origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: voce narrante

1950 | Last Holiday Regia: Henry Cass; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: George Bird

1954 | Father Brown | Padre Brown Regia: Robert Hamer; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: padre Brown

1950 | The Mudlark | Un monello alla corte d’Inghilterra Regia: Jean Negulesco; origine: Gran Bretagna/USA. Alec Guinness: il primo ministro Benjamin Disraeli

1955 | To Paris with Love | Due inglesi a Parigi Regia: Robert Hamer; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: sir Edgar Fraser

1951 | The Lavender Hill Mob | L’incredibile avventura di Mr. Holland Regia: Charles Crichton; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: Mr. Holland 100

1951 | The Man in the White Suit | Lo scandalo del vestito bianco Regia: Alexander Mackendrick; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: Sidney Stratton

1955 | The Prisoner | Il prigioniero Regia: Peter Glenville; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: il cardinale 1955 | The Ladykillers | La signora omicidi Regia: Alexander Mackendrick; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: il professor Marcus


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1955 | Baker’s Dozen (tv) Regia: Desmond Davis; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: il maggiore

Regia: David Lean; origine: Gran Bretagna/USA. Alec Guinness: il principe Feysal

1956 | The Swan | Il cigno Regia: Charles Vidor; origine: USA. Alec Guinness: il principe Albert

1964 | The Fall of the Roman Empire | La caduta dell’impero romano Regia: Anthony Mann; origine: USA. Alec Guinness: l’imperatore Marco Aurelio

1957 | The Bridge on the River Kwai | Il ponte sul fiume Kwai Regia: David Lean; origine: Gran Bretagna/USA. Alec Guinness: il colonnello Nicholson

1961 | Situation Hopeless… But Not Serious | Situazione disperata ma non seria Regia: Gottfried Reinhardt; origine: USA. Alec Guinness: Wilhelm Frick

1957 | Barnacle Bill | Il capitano soffre il mare Regia: Charles Frend; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: il capitano William Horatio Ambrose, e i suoi antenati

1965 | Doctor Zhivago | Il dottor Zivago Regia: David Lean; origine: USA/Italia. Alec Guinness: Yevgraf Zivago

1958 | The Horse’s Mouth | La bocca della verità Regia: Ronald Neame; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: Gulley Jimson [anche sceneggiatura] 1959 | The Scapegoat | Il capro espiatorio Regia: Robert Hamer; origine: Gran Bretagna/ USA. Alec Guinness: John Barratt/Jacques De Gué 1959 | Our Man in Havana | Il nostro agente all’Avana Regia: Carol Reed; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: Jim Wormold 1959 | Startime (serie tv, ep. The Wicked Scheme of Jebal Deeks) Regia: Franklin J. Schaffner; origine: USA. Alec Guinness: Jebal Deeks

1966 | Hotel Paradiso | Hotel Paradiso Regia: Peter Glenville; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: Benedict Boniface 1966 | The Quiller Memorandum | Quiller Memorandum Regia: Michael Anderson; origine: Gran Bretagna/USA. Alec Guinness: Pol 1967 | The Comedians | I commedianti Regia: Peter Glenville; origine: USA/Francia. Alec Guinness: il maggiore H.O. Jones 1969 | ITV The Saturday Night Theater: The Twelfth Night | La dodicesima notte (tv) Regia: John Sichel; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: Malvolio 1970 | Cromwell | Cromwell Regia: Ken Hughes; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: re Carlo I

1960 | Tunes of Glory | Whisky e gloria Regia: Ronald Neame; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: il maggiore Jock Sinclair

1970 | Scrooge | La più bella storia di Dickens Regia: Ronald Neame; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: il fantasma di Jacob Marley

1961 | A Majority of One | Il molto onorevole ministro Regia: Mervyn LeRoy; origine: USA. Alec Guinness: Koichi Asano

1972 | Brother Sun, Sister Moon | Fratello Sole, sorella Luna Regia: Franco Zeffirelli; origine: Italia/Gran Bretagna. Alec Guinness: papa Innocenzo III

1962 | H.M.S. Defiant | Ponte di comando Regia: Lewis Gilbert; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: il capitano Crawford 1962 | Lawrence of Arabia | Lawrence d’Arabia

1973 | Hitler: The Last Ten Days | Gli ultimi 10 giorni di Hitler Regia: Ennio De Concini; origine: Gran Bretagna/Italia. Alec Guinness: Adolf Hitler 101


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L’incredibile avventura di Mr. Holland

1974 | The Gift of Friendship (tv) Regia: Mike Newell; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: Jocelyn Broome

1977 | Star Wars | Guerre stellari Regia: George Lucas; origine: USA. Alec Guinness: Ben “Obi-Wan” Kenobi

1976 | Murder By Death | Invito a cena con delitto Regia: Robert Moore; origine: USA. Alec Guinness: Bensonmum/Jamesignora Bensignore

1979 | Tinker Tailor Soldier Spy | La talpa (tv) Regia: John Irvin; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: George Smiley

1976 | Caesar and Cleopatra (tv) Regia: James Cellan Jones; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: Giulio Cesare 102

1980 | The Empire Strikes Back | L’Impero colpisce ancora Regia: Irvin Kershner; origine: USA. Alec Guinness: Ben “Obi-Wan” Kenobi


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1980 | Raise the Titanic | Blitz nell’oceano Regia: Jerry Jameson; origine: Gran Bretagna/USA. Alec Guinness: John Bigalow 1980 | Little Lord Fauntleroy | Il piccolo lord Regia: Jack Gold; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: il conte di Dorincourt 1980 | The Morecambe & Wise Show (serie tv, ep. 1980 Christmas Show) Origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: lo psichiatra/se stesso 1982 | Smiley’s People | Tutti gli uomini di Smiley (tv) Regia: Simon Langton; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: George Smiley

Regia: Rodney Bennett; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: padre Quixote 1988 | A Handfull of Dust | Il matrimonio di lady Brenda Regia: Charles Sturridge; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: Mr. Todd 1988 | Little Dorrit Regia: Christine Edzard; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: William Dorrit 1991 | Kafka | Delitti e segreti Regia: Steven Soderbergh; origine: Francia/USA. Alec Guinness: il capoufficio

1983 | Lovesick | Un inguaribile romantico Regia: Marshall Brickman; origine: USA. Alec Guinness: Sigmund Freud

1992 | Tales from Hollywood (tv) Regia: Howard Davies; origine: Gran Bretagna/USA. Alec Guinness: Heinrich Mann

1983 | The Return of Jedi | Il ritorno dello Jedi Regia: Richard Marquand; origine: USA. Alec Guinness: Ben “Obi-Wan” Kenobi

1993 | A Foreign Field (tv) Regia: Charles Sturridge; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: Amos

1984 | A Passage to India | Passaggio in India Regia: David Lean; origine: Gran Bretagna/USA. Alec Guinness: il professor Godbole

1994 | Mute Witness | Gli occhi del testimone Regia: Anthony Waller; origine: Germania/Gran Bretagna/USA/Russia. Alec Guinness: il Carnefice

1984 | Edwin (tv) Regia: Rodney Bennett; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: sir Fennimore Truscott 1987 | Monsignor Quixote | Monsignor Quixote (tv)

1996 | Eskimo Day (tv) Regia: Piers Haggard; origine: Gran Bretagna. Alec Guinness: James

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Henry Cass

Last Holiday Gran Bretagna, 1950, 88’, bn

Regia Henry Cass Soggetto, Sceneggiatura J.B. Priestley Fotografia Ray Elton Montaggio Monica Kimmick Scenografia Duncan Sutherland Musica William Alwyn Suono Harry Nelson, Stan Jolly Interpreti Alec Guinness (George Bird), Beatrice Campbell (Sheila Rockingham), Kay Walsh (la signora Poole), Grégoire Aslan (Gambini), Jean Colin (Daisy Clarence), Muriel George (lady Oswington), Wilfrid Hyde-White (Halfont), Ernest Thesiger (sir Trevor Lampington) Produttori Stephen Mitchell, A.D. Peters, J.B. Priestley Produzione Associated British Pictures Corporation, Watergate Films Distribuzione Associated British-Pathé

Filmografia essenziale Happy Deathday (1968) Give a Dog a Bone (1965) Man Who Couldn’t Walk (1962) Blood of the Vampire (Il sangue del vampiro, 1958) Windfall (1955) Castle in the Air (1952) Young Wives’ Tale (Racconto di giovani mogli, 1951) Last Holiday (1950) The Glass Mountain (La montagna di cristallo, 1949) The Sword of the Spirit (1942) 104

L’ultima vacanza [t.l.] Quando gli viene diagnosticata una malattia che non gli lascia più di una manciata di settimane di vita, George Bird, timido e ordinario venditore di macchine agricole, decide di seguire il consiglio del suo medico: ritirare tutti i suoi risparmi dal conto in banca e godersela per il poco che gli rimane. Si trasferisce in un hotel di lusso i cui avventori, notandone il comportamento blasé nonché la disinvoltura nelle spese, cominciano presto a farsi domande sulla sua identità. Ciò gli procura non poche soddisfazioni: preziose opportunità di affari, conoscenze in società, persino l’amore. Un giorno, gli capita di scoprire che la sua diagnosi era errata. Però… Last Holiday deve molto alla sceneggiatura originale di J.B. Priestley – la storia di un uomo che, dato per spacciato da una malattia, decide di vivere il poco che gli rimane facendo le cose che altrimenti non si sarebbe mai sognato di fare. Il finale è tipico di Priestley, memore di alcune delle sue time plays pseudopsicologiche nelle quali è il destino alla fine ad avere l’ultima parola. Qualunque cosa si possa dire sulla presunta facile ironia della sceneggiatura di J.B. Priestley, per lo meno questa dà a Guinness un’ottima opportunità per fare ciò che sa fare al meglio. Il suo personaggio all’inizio è una tabula rasa, la quintessenza della nullità. Gradualmente fiorisce, prende forma e colore, diviene una persona. È quasi come vedere in diretta il processo creativo attoriale di Guinness stesso, e osservare come l’uomo senza volto ne assume uno un po’ per volta. (John Russell Taylor, Alec Guinness. A Celebration, Pavillion Books Ltd., Londra 1985)


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Charles Crichton

The Lavender Hill Mob Gran Bretagna, 1951, 81’, bn

L’incredibile avventura di Mr. Holland Mr. Holland è un compìto e metodico impiegato della Banca d’Inghilterra incaricato di sovrintendere al trasporto dei lingotti d’oro dalla fonderia ai caveau della sede. Quando conosce Pendlebury, un fabbricante di souvenir, gli viene un’idea geniale: sottrarre una partita di lingotti e fonderli in tante piccole torri Eiffel da spedire in Francia in barba alla polizia e alle dogane. Con l’aiuto di due piccoli imbroglioni, il colpo riesce, i lingotti fusi e la partita inviata sul Continente. Arrivati a Parigi, i sue sodali scoprono però, con grande disappunto, che sei delle Torri sono state vendute ad altrettante scolarette inglesi in gita nella capitale. Inizia così una caccia forsennata. Durante il periodo in cui ero stato poliziotto nella riserva del servizio militare, una notte in cui ero di turno al telefono ricevetti un rapporto su di un’auto rubata, il cui numero di targa suonava stranamente familiare. Con grande divertimento scoprii quello di cui nessuno si era accorto: si trattava in realtà della macchina del nostro ufficiale di servizio. La nostra sequenza finale scattò immediatamente, quando decisi di far rubare ad Alec e Stanley un’auto della polizia. L’approccio di Alec al film fu essenziale. Passò diversi giorni con noi sulla sceneggiatura, soppesando ogni battuta e dando suggerimenti che non ci sarebbero mai venuti in mente. «Dovremmo in qualche maniera sottolineare l’incongruenza di una persona come Holland che si atteggia a capobanda. La strada per raggiungere l’effetto giusto potrebbe essere quella di fargli avere delle difficoltà nella pronuncia della “r”». Era puro genio al lavoro; noi non eravamo così matti da contraddirlo, e per questo siamo stati pienamente ricompensati.

Regia Charles Crichton Soggetto, Sceneggiatura T.E.B. Clarke Fotografia Douglas Slocombe Montaggio Seth Holt Scenografia William Kellner Costumi Anthony Mendleson Musica Georges Auric Suono Leslie Hammond, Stephen Dalby Interpreti Alec Guinness (Mr. Holland), Stanley Holloway (Pendlebury), Sid James (Lackery), Alfie Bass (Shorty), Marjorie Fielding (la signora Chalk), Audrey Hepburn (Chiquita) Produttore Michael Balcon Produzione Ealing Studios Distribuzione J. Arthur Rank Film Distributors

(T.E.B. Clarke, This Is Where I Came In, Michael Joseph, Londra 1974) Filmografia essenziale A Fish Called Wanda (Un pesce di nome Wanda, 1988) The Battle of the Sexes (La battaglia dei sessi, 1959) Law and Disorder (Benvenuto a Scoltand Yard!, 1958) Man in the Sky (L’uomo nel cielo, 1957) The Love Lottery (L’idolo, 1954) The Titfield Thunderbolt (1953) Hunted (La colpa del marinaio, 1952) The Lavender Hill Mob (L’incredibile avventura di Mr. Holland, 1951) Dance Hall (Ragazze inquiete, 1950) Hue and Cry (Piccoli detectives, 1947) 105


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Alexander Mackendrick

The Man in the White Suit Gran Bretagna, 1951, 85’, bn

Regia Alexander Mackendrick Soggetto dalla commedia di Roger MacDougall Sceneggiatura Roger MacDougall, John Dighton, Alexander Mackendrick Fotografia Douglas Slocombe Montaggio Bernard Gribble Scenografia Jim Morahan Costumi Anthony Mendleson Musica Benjamin Frankel Suono Arthur Bradburn, Mary Habberfield Interpreti Alec Guinness (Sidney Stratton), Joan Greenwood (Daphne Bimley), Cecil Parker (Alan Bimley), Michael Gough (Michael Corland), Ernest Thesiger (sir John Kierlaw), Vida Hope (Bertha) Produttore Michael Balcon Produzione Ealing Studios Distribuzione General Film Distributors Filmografia Don’t Make Waves (Piano piano non t’agitare, 1967) A High Wind in Jamaica (Ciclone sulla Giamaica, 1965) Sammy Going South (Sammy va al Sud, 1963) Sweet Smell of Success (Piombo rovente, 1957) The Ladykillers (La signora omicidi, 1955) The Maggie (1954) Mandy (Mandy la piccola sordomuta, 1952) The Man in the White Suit (Lo scandalo del vestito bianco, 1951) Whisky Galore! (Whisky a volontà, 1949) 106

Lo scandalo del vestito bianco Sidney Stratton è un chimico geniale, ma l’industria tessile per cui lavora lo ha assegnato a compiti marginali. Convinto della validità delle sue ricerche, Stratton conduce di nascosto esperimenti che lo conducono a una grandiosa invenzione: un tessuto che non si sporca, non si lacera, praticamente indistruttibile. Con questo tessuto confeziona un vestito bianco, che indossa a scopo dimostrativo. La notizia di questa invenzione ha però esiti imprevisti: avviare la sua produzione determinerebbe la crisi del settore (un tessuto così non si consuma, e quindi dopo un po’ crollerebbe il mercato). Dirigenza e sindacati, mossi da ragioni diverse, si coalizzano contro Stratton. Che però è intenzionato a difendere con i denti la sua creazione. Lo scandalo del vestito bianco non voleva essere una satira soltanto rispetto al mondo dell’industria. Come molta altra gente, sono infastidito dalla nostra incapacità di fare un uso costruttivo di quello che gli scienziati vanno offrendo all’umanità. Questo era il tema centrale del film, che non ha un vero e proprio messaggio. Si limita a esporre un problema, lasciando la soluzione al pubblico. Mi sono divertito molto scoprendo che critici dalle opinioni politiche più diverse sembravano apprezzarlo nella stessa maniera. Era in un certo senso, una satira politica. Ogni personaggio della storia era costruito come la caricatura di un distinto atteggiamento politico; e tutti insieme coprivano l’intero arco che dal comunismo, attraverso il sindacalismo sociale, l’individualismo romantico, il liberalismo, il capitalismo illuminato e non illuminato, arriva fino alla reazione militarista. Anche la figura del protagonista era un po’ la rappresentazione comica della Scienza Disinteressata. Ma il film, ripeto, non aveva alcun messaggio diretto. (Alexander Mackendrick, As I See It, «The Film Teacher», primavera 1953)


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Ronald Neame

The Card Gran Bretagna, 1952, 91’, bn

Asso pigliatutto Edward Henry, detto Denry Machin è un giovanotto i cui scarsi mezzi sono compensati dall’inventiva e dall’ambizione. Con un trucchetto si fa ammettere in una buona scuola e, all’età di sedici anni, trova posto come aiuto presso lo studio di Herbert Duncalf, importante funzionario municipale. In tale veste, ha modo di conoscere l’affascinante contessa di Chell, una delle clienti del capo. Autoinvitatosi a un ricevimento, riesce a ballare con la contessa, ma il suo comportamento spregiudicato è notato da Duncalf, che lo licenzia. Poco male: trovato un lavoro come esattore di affitti, ricomincia la sua scalata, che lo porterà al posto di sindaco. Ma con Ruth e Nellie, le donne di cui si innamora, le cose saranno un po’ più complicate. Ciò che Alec temeva di più, nella prima fase della sua carriera al cinema, era che questi ruoli comici confermassero il condiscendente giudizio di John Gielgud, il quale diceva che fosse al meglio in «quelle piccole parti che tu sai fare così bene». Quando venne intervistato da Melvyn Bragg per il South Bank Show nel 1985, Alec espresse la sua irritazione per il fatto che la Ealing lo avesse promosso commercialmente come “l’uomo dai mille volti”. La cosa lo aveva indisposto, disse, perché in film come Lo scandalo del vestito bianco e Asso pigliatutto non c’era nessun artificio espressivo se non l’inevitabile toupé. Ma la sua irritazione svelava altre due ansietà: che all’epoca la sua bravura a impersonare questi personaggi, al cinema, lo ostacolasse nel farsi valere in altri tipi di ruoli; e che dietro cerone e posticci rischiasse di essere percepito solamente come un uomo dai mille, e nessun volto. (Piers Paul Read, Alec Guinness. The Authorised Biography, Simon & Schuster UK, Londra 2003)

Regia Ronald Neame Soggetto dal romanzo di Arnold Bennett Sceneggiatura Eric Ambler Fotografia Oswald Morris Montaggio Clive Donner Scenografia T. Hopewell Ash Costumi Sophie Devine Musica William Alwyn Suono Gordon K. McCallum, C.C. Stevens, Harry Miller Interpreti Alec Guinness (Edward Henry “Denry” Machin), Glynis Jones (Ruth Earp), Valerie Hobson (la contessa di Chell), Petula Clark (Nellie Cotterill), Edward Chapman (Herbert Duncalf ), Veronica Turleigh (la signora Machin) Produttore John Bryan Produzione Ronald Neame Productions, British Film-Makers Distribuzione General Film Distributors

Filmografia essenziale [1] Foreign Body (Medico per forza, 1986) First Monday in October (Una notte con Vostro Onore, 1981) Hopscotch (Due sotto il divano, 1980) Meteor (id., 1979) The Odessa File (Dossier Odessa, 1974) The Poseidon Adventure (L’avventura del Poseidon, 1972) Scrooge (La più bella storia di Dickens, 1970) The Prime of Miss Jean Brodie (La strana voglia di Jean, 1969) 107


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Anthony Kimmins

The Captain’s Paradise Gran Bretagna, 1953, 94’, bn

Regia Anthony Kimmins Soggetto Alec Coppel Sceneggiatura Alec Coppel, Nicholas Phipps Fotografia Edward Scaiffe Montaggio Gerald Turney-Smith Scenografia Paul Sheriff Costumi Julia Squire Musica Malcolm Arnold Suono John Cox, Red Law, Bert Ross, Lee Doig Interpreti Alec Guinness (il capitano Henry St. James), Yvonne De Carlo (Nita St. James), Celia Johnson (Maud St. James), Charles Gildner (il primo ufficiale Ricco), Miles Malleson (Lawrence St. James), Walter Crisham (Bob) Produttore Anthony Kimmins Produzione London Film Productions Distribuzione British Lion Film Corporation Filmografia essenziale The Amorous Prawn (Gli ospiti di mia moglie, 1962) Aunt Clara (1954) The Captain’s Paradise (Il paradiso del capitano Holland, 1953) Mr. Denning Drives North (Direzione Nord, 1952) Bonnie Prince Charlie (Carlo di Scozia, 1947) Mine Own Executioner (Carnefice di me stesso, 1947) Come On, George! (Forza Giorgio, 1939) Trouble Brewing (In cerca di guai, 1939) It’s in the Air (Vorrei volare, 1938) Bypass to Happiness (1934) 108

Il paradiso del capitano Holland Dividersi fra due coste può avere i suoi innegabili vantaggi, come ben sa il capitano St. James, al comando di un traghetto che fa la spola fra Gibilterra e il porto nordafricano di Kalique. Nelle due città il capitano, in effetti, ha due mogli: sulla sponda europea Maud, impeccabile e tranquilla casalinga poco più giovane di lui; su quella africana Nita, di sangue caliente e molto più giovane di lui. Con la prima ha un ménage tranquillo, fatto di abitudini sobrie e di cioccolate calde prima di andare a dormire presto; con la seconda, conduce una pirotecnica vita fatta di locali notturni e bagni in mare al chiar di luna. La doppia vita del capitano va avanti senza intoppi per anni. Finché, un giorno… Sussurri e grida è un film singolarmente ricco di valori formali e sostanziali. Diversi critici hanno usato giustamente l’aggettivo “sontuoso”. Il racconto si svolge seguendo una serie di puntigliose simmetrie. Quattro donne sono le protagoniste, a conferma che per Bergman il quattro è un numero magico. E quattro sono anche i personaggi maschili, che però hanno ancora una volta un ruolo completamente secondario, negativo. I quattro personaggi femminili, a loro volta, sono simmetrici a due a due. Le due sorelle sono i personaggi più negativi, mentre Agnes e Anna sono quelli più positivi. Tutte e quattro le donne sono sole, ma soltanto Agnes e Anna riescono a colmare la loro solitudine, perché aperte all’amore e pertanto all’infinito. Torna qui il tormento di Bergman sulla trascendenza e sull’anima. Le uniche tracce di Dio riscontrabili nel mondo sono, secondo lui, nell’amore. Così i due personaggi che hanno la fede sono anche le due persone che hanno l’amore. (Sergio Trasatti, Ingmar Bergman, Il Castoro, Milano 1993)


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Peter Glenville

The Prisoner Gran Bretagna, 1955, 95’, bn

Il prigioniero In un imprecisato Paese dell’Europa centrorientale, appena dopo l’instaurazione di un regime comunista, un cardinale è arrestato con l’accusa di tradimento. Il funzionario incaricato di interrogarlo è stato un suo amico d’infanzia, e adesso ha il compito di convincerlo a rendere una pubblica ammissione di colpa. Impresa ardua, considerata la profonda capacità dialettica del cardinale nel tener testa al suo inquisitore. Questo, però, scopre di avere un asso nella manica, ben sapendo le origini del prigioniero. Così, comincia a far leva sul fatto che il cardinale, a suo tempo, si era fatto prete non per vocazione, ma per fuggire alla miseria del suo ambiente familiare. Questo ruolo, arrivato nel bel mezzo di una serie di commedie, apparve come un violento cambio di passo. Ma a ben vedere manifestò anche quella che oggi riconosciamo come la più importante e distintiva delle qualità del talento di Guinness: la sua abilità nel suggerire il pensiero, nel convincerci che i suoi personaggi hanno una vita interiore come esteriore, e che l’intelletto non è per niente incompatibile con l’umanità. Il suo cardinale è chiaramente un uomo per il quale la vita intellettuale è tutto, eppure non è meno umano per questo; è un essere umano per certi aspetti fallibile, e questo perché il suo intelletto non gli dà le difese sufficienti contro gli attacchi del suo subconscio, delle sue emozioni, dei suoi istinti. E alla fine il cardinale è per molti versi il vincitore, dal momento che la sua personalità e la sua determinazione nel portare l’autoanalisi ai limiti, se necessario, dell’autodistruzione hanno conquistato il rispetto e l’ammirazione del suo inquisitore.

Regia Peter Glenville Soggetto dall’opera teatrale di Bridget Boland Sceneggiatura Bridget Boland Fotografia Reginald H. Wyer Montaggio Frederick Wilson Scenografia John Hawkesworth Costumi Julie Harris Musica Benjamin Frankel Suono Dudley Messenger Interpreti Alec Guinness (il cardinale), Jack Hawkins (l’inquisitore), Kenneth Griffith (il segretario), Jeanette Sterke (la ragazza), Ronald Lewis (il guardiano), Raymond Huntley (il generale) Produttore Vivian Cox Produzione Facet Productions, London Independent Producers Produzione, Distribuzione Columbia Pictures Corporation

(John Russell Taylor, Alec Guinness. A Celebration, Pavillion Books, Londra 1985)

Filmografia The Comedians (I commedianti, 1967) Hotel Paradiso (id., 1966) Becket (Becket e il suo re, 1964) Term of Trial (L’anno crudele, 1962) Summer and Smoke (Estate e fumo, 1961) Me and the Colonel (Io e il colonnello, 1958) The Prisoner (Il prigioniero, 1955) 109


ALEC GUINNESS: UNO, NESSUNO, CENTOMILA

Robert Hamer

To Paris with Love Gran Bretagna, 1955, 78’, col.

Regia Robert Hamer Soggetto Sterling Noel Sceneggiatura Robert Bruckner Fotografia Reginald H. Wyer Montaggio Anne V. Coates Scenografia Maurice Carter Costumi Yvonne Caffin Musica Edwin Astley Suono Roger Cherrill Interpreti Alec Guinness (sir Edgar Fraser), Odile Versois (Lizette Marconne), Vernon Gray (John Fraser), Elina Labourdette (Sylvia Gilbert), Jacques François (Victor de Colville), Austin Trevor (Leon de Colville) Produttore Antony Darnborough Produzione Two Cities Films Distribuzione General Film Distributors

Filmografia essenziale [1] School of Scoundrels (La scuola dei dritti, 1960) The Scapegoat (Il capro espiatorio, 1959) To Paris with Love (Due inglesi a Parigi, 1955) Father Brown (Uno strano detective: Padre Brown, 1954) The Long Memory (Vendicherò il mio passato, 1953) His Excellency (1952) 110

Due inglesi a Parigi Quando si dice avere una meta in comune, ma finalità completamente opposte. Sir Edgar Fraser vorrebbe che suo figlio John cominciasse a farsi un’esperienza al di fuori del dorato guscio garantitogli dal suo status, e che iniziasse a godersi la vita. Decide così di portarlo a Parigi. John, da parte sua, condivide la destinazione, ma spera che lì lo scapestrato padre possa conoscere una brava donna che lo sottragga alla noia dell’avito castello in Scozia e al tempo stesso gli faccia mettere la testa a partito. Nella Ville Lumière i due si danno da fare e, attraverso tutta una serie di equivoci e disavventure, ognuno di loro troverà la donna giusta. Alec Guinness e Robert Hamer, che avevano già lavorato insieme per il capolavoro Sangue blu, con questa commediola si presero una vacanza dal loro datore di lavoro abituale, la Ealing. Anche se appare un po’ meno ispirato rispetto ai loro lavori presso la casa diretta da Michael Balcon, Due inglesi a Parigi nella sua routine è una commedia amabile e romantica. Hamer getta Guinness in un paio di situazioni comiche fisicamente impegnative, come stare attaccato a un albero o impigliato in una rete da badminton. Altrimenti, l’umorismo della storia è sempre declinato dal regista secondo il suo abituale metodo: tempi gentili, quasi lubitschiani, che vengono cambiati repentinamente di ritmo per creare l’effetto comico. Questa peculiarità, assieme alla bella fotografia a colori e alle atmosfere parigine, rende questo film una visione assai godibile. (Jeffrey M. Anderson, The Eiffel Truth, www.combustiblecelluloid.com)


ALEC GUINNESS: UNO, NESSUNO, CENTOMILA

Charles Frend

Barnacle Bill Gran Bretagna, 1957, 87’, bn

Il capitano soffre il mare Ultimo discendente di una nobilissima quanto antichissima schiatta di autentici lupi di mare, William Horatio Ambrose ha seguito le orme dei suoi avi, diventando capitano di Marina. Un serio problema, però, gli impedisce di essere all’altezza dei suoi antenati: soffre il mal di mare, e per questo si è dovuto limitare al comando di un vecchio pontile vittoriano, pomposamente battezzato “Arabella” ma solidamente ancorato a riva. Quando il sindaco locale, per interessi personali, dispone l’abbattimento del pontile, il capitano Ambrose non si arrende: fa registrare l’“Arabella” come imbarcazione, lo adibisce a “nave per crociere stanziali” e passa al contrattacco. C’è un doppio filo conduttore che unisce gran parte delle commedie Ealing: da un lato l’utilizzo dei cliché di genere, dall’altro la contrapposizione fra la piccola borghesia e l’autorità costituita. La signora omicidi si serve degli stereotipi maggiormente consolidati del gangster movie – la banda composta da individui eterogenei; la preparazione minuziosa del colpo – per metterli a confronto con un altro stereotipo, quello della tranquilla anziana signorina della porta accanto. Passport to Pimlico narra della rivolta di un quartiere londinese contro i rigori del razionamento postbellico. Il capitano soffre il mare, da parte sua, si avvale dello squisito tocco dello sceneggiatore T.E.B. Clarke per giocare con gli stereotipi trasformandoli in paradossi: un uomo di mare che non si muove mai da terra (per il mal di mare di cui soffre; ma anche Nelson, pare che ne soffrisse…); una nave che è un pontile ben ancorato alla costa. Alec Guinness, che durante la guerra ha comandato davvero una corvetta, porta qui il suo impareggiabile aplomb, dilettandosi anche con i cameo – molto à la Sangue blu – di alcuni degli antenati del protagonista. (Amy Todd Rutledge, Seadogs on the Silver Screen, «The Portsmouth Weekly», 29 febbraio 1964)

Regia Charles Frend Soggetto, Sceneggiatura T.E.B. Clarke Fotografia Douglas Slocombe Montaggio Jack Harris Scenografia, Costumi Alan Whitty Musica John Addison Suono Stephen Dalby, Cyril Swern, Alastair McIntyre Interpreti Alec Guinness (il capitano William Horatio Ambrose, e i suoi antenati), Irene Browne (la signora Barrington), Maurice Denham (Crowley), Percy Herbert (Tommy), Victor Maddern (Figg), Lionel Jeffries (Garrod) Produttore Michael Balcon Produzione Ealing Studios Produzione, Distribuzione Metro-Goldwyn-Mayer

Filmografia essenziale Cone of Silence (La tragedia del Phoenix, 1960) Barnacle Bill (Il capitano soffre il mare, 1957) The Cruel Sea (Mare crudele, 1953) The Magnet (Alba generosa, 1950) A Run for Your Money (1949) Scott of the Antarctic (La tragedia del capitano Scott, 1948) The Loves of Joanna Godden (1947) Dead of Night [ep. Golfing Story] (Incubi notturni, ep. Una storia di golf, 1945) San De metrio London (Naufragio, 1943) The Big Blockade (1942) 111


ALEC GUINNESS: UNO, NESSUNO, CENTOMILA

Ronald Neame

The Horse’s Mouth Gran Bretagna, 1958, 97’, col.

Regia Ronald Neame Soggetto dal romanzo di Joyce Cary Sceneggiatura Alec Guinness Fotografia Arthur Ibbetson Montaggio Anne V. Coates Scenografia William C. Andrews Costumi Julia Squire Musica William Alwyn Suono John Cox, Red Law, George Stephenson, Leslie Hodgson Interpreti Alec Guinness (Gulley Jimson), Kay Walsh (Dee Coker), Renee Houston (Sara Monday), Mike Morgan (Nosey), Robert Coote (sir William Beeder), Veronica Turleigh (lady Beeder) Produttore John Bryan Produzione Knightsbridge Films Distribuzione United Artists Corporation Filmografia essenziale [2] Gambit (Gambit – Grande furto al Semiramis, 1966) A Man Could Get Killed (M5 codice diamanti, 1966) Mister Moses (Il filibustiere della Costa d’Oro, 1965) The Chalk Garden (Il giardino di gesso, 1964) I Could Go on Singing (Ombre sul palcoscenico, 1963) Escape from Zahrain (Fuga da Zahrain, 1962) Tunes of Glory (Whisky e gloria, 1960) The Horse’s Mouth (La bocca della verità, 1958) 112

La bocca della verità Gulley Jimson è un pittore di genio di mezza età che, giunto a una fase della sua esistenza nella quale può permettersi di infischiarsene del giudizio degli altri, conduce una vita eccentrica, fatta di atteggiamenti apertamente bohémiennes e condita con frequenti concessioni a comportamenti estremi. Adesso, per esempio, è appena uscito di galera, dove ha scontato un mese per aver molestato un suo mecenate per questioni di soldi. Decide quindi di installarsi nella casa di un altro patron delle arti, con l’intenzione di dipingere quello che sarà il suo quadro di più grandi dimensioni nonché il suo capolavoro assoluto. Portato con sé un amico scultore, dà inizio alla sua opera. Fu Merula, la moglie di Alec, a suggerirgli che dal romanzo di Joyce Cary si potesse fare un buon film. Forse nel personaggio di Gulley Jimson ci vedeva una somiglianza con un artista idolatrato dalla sua famiglia, Augustus John. Forse, riconosceva nel carattere del protagonista l’artista anarchico intrappolato in un marito dai modi formali e amante della precisione; forse, in Gulley Jimson non ci vedeva solo una somiglianza ad Augustus John, Paul Gauguin o Vincent Van Gogh, ma anche a santi anticonformisti come Charles de Foucauld o Teresa di Lisieux tanto ammirati da Alec. […] Nel suo ritratto di Gully Jimson, Alec diede la convincente interpretazione di un uomo che, come il colonnello Nicholson di Il ponte sul fiume Kwai, sa essere gradevole e sgradevole in egual misura. Jimson è sgarbato, ispido ed egoista, ma ha anche un suo fascino, grazie all’ipnotizzante recitazione di Alec, alle sue buffonerie, alle sue idiosincrasie e a una ruvida voce. (Piers Paul Read, Alec Guinness. The Authorised Biography, Simon & Schuster UK, Londra 2003)


ALEC GUINNESS: UNO, NESSUNO, CENTOMILA

Robert Hamer

The Scapegoat Gran Bretagna • USA, 1959, 91’, bn

Il capro espiatorio L’inglese John Barratt è un insegnante che, ogni estate, passa le sue vacanze in Francia. Una sera, in un bar, conosce Jacques De Gué, un nobilotto locale che ha la particolarità di assomigliargli come una goccia d’acqua. Fanno amicizia, un bicchiere tira l’altro e, alla fine della serata, i due sono talmente sbronzi che il francese invita l’inglese a dividere la sua camera d’albergo. Al risveglio, di Jacques non c’è più traccia. Non solo: i vestiti di John sono spariti, e l’autista di Jacques gli si palesa trattandolo come se fosse il suo padrone. A John non rimane che reggere il gioco: giunto alla magione dei De Gué, ha ben presto modo di vedere che la famiglia e l’esistenza del suo sosia sono a dir poco complicate. Basato sul principio del Principe e del Povero, Il capro espiatorio ha tutti gli elementi di un thriller di Hitchcock: lo scambio di identità, un uomo innocente intrappolato in un intrigo pericoloso, l’inganno, l’infedeltà. Inoltre, è tratto da un romanzo di Daphne Du Maurier, tre volte trasposta sullo schermo dall’autore di Gli uccelli. Hamer se la cava piuttosto bene, con le atmosfere giuste e la giusta dose di cinismo e ambiguità (grazie anche a Gore Vidal, che collaborò alla sceneggiatura), ma rimane il dubbio che Hitchcock si sarebbe accanito di più sui protagonisti della storia. Il film risulta eccellente grazie ai suoi interpreti, soprattutto Guinness nel ruolo centrale. La calma elegante e un po’ stralunata che mette nel personaggio piuttosto ordinario di John Barratt è il vero valore aggiunto del film. È un peccato non vederlo di più nei panni del suo doppio malvagio Jacques anche se, nelle poche scene a lui dedicate, l’attore sa essere ugualmente incisivo.

Regia Robert Hamer Soggetto dal romanzo di Daphne Du Maurier Sceneggiatura Robert Hamer, Gore Vidal Fotografia Paul Beeson Montaggio Jack Harris Scenografia Elliot Scott Costumi Olga Lehmann Musica Bronislau Kaper Suono Stephen Dalby, Norman King, Lionel Selwyn Interpreti Alec Guinness (John Barratt/Jacques De Gué), Bette Davis (la contessa), Nicole Maurey (Bela), Irene Worth (Françoise), Pamela Brown (Blanche), Annabel Bartlett (Marie-Noël) Produttore Michael Balcon Produzione Du Maurier-Guinness, Metro-Goldwyn-Mayer Distribuzione Metro-Goldwyn-Mayer

(Basile Palewski, Sir Alec le Magnifique, «Le petit fécampois», 16 ottobre 1983)

Filmografia essenziale [2] The Spider and the Fly (Il ragno e la mosca, 1949) Kind Hearts and Coronets (Sangue blu, 1949) It Always Rains on Sunday (1947) Pink String and Sealing Wax (1945) Dead of Night [ep. The Haunted Mirror] (Incubi notturni, ep. Lo specchio maledetto, 1945) 113


ALEC GUINNESS: UNO, NESSUNO, CENTOMILA

John Irvin

Tinker Tailor Soldier Spy ep. 1 Return to the Circus | ep. 2 Tarr Tells His Story | ep. 3 Smiley Tracks the Mole | ep. 4 How It All Fits Together | ep. 5 Tinker Tailor | ep. 6 Smiley Sets a Trap | ep. 7 Flushing Out the Mole Gran Bretagna, 1979, 315’ [7 ep. da 45’], col.

Regia John Irvin Soggetto dal romanzo di John le Carré Sceneggiatura Arthur Hopcraft Fotografia Tony Pierce-Roberts Montaggio Chris Wimble, Clare Douglas Scenografia Austen Spriggs Costumi Joyce Mortlock Musica Geoffrey Burgon Suono Malcolm Webberley, Michael Crozier Interpreti Alec Guinness (George Smiley), Ian Bannen (Jim Prideaux), Bernard Hepton (Toby Esterhase), Ian Richardson (Bill Haydon), Alexander Knox (Control), Siân Phillips (Ann Smiley), Beryl Reid (Connie Sachs), Patrick Stewart (Karla) Produttore Jonathan Powell Produzione BBC, Paramount Pictures Messa in onda BBC Filmografia essenziale The Fine Art of Love: Mine Ha-Ha (L’educazione fisica delle fanciulle, 2005) The Fourth Angel (Il quarto angelo, 2001) City of Industry (La spirale della vendetta, 1997) A Month by the Lake (Un mese al lago, 1995) Widow’s Peak (Tre vedove e un delitto, 1994) Next of Kin (Vendetta trasversale, 1989) Hamburger Hill (Hamburger Hill – Collina 937, 1987) Turtle Diary (Tartaruga ti amerò, 1985) Ghost Story (Storie di fantasmi, 1981) Tinker Tailor Soldier Spy (La talpa, serie tv, 1979) 114

La talpa Negli anni della Guerra fredda, Control, capo dell’MI6, il servizio di spionaggio inglese, manda l’agente Jim Prideaux in Cecoslovacchia per prendere contatto con un alto ufficiale che pare abbia deciso di collaborare con l’Occidente. La missione fallisce, e Prideaux è ferito e fatto prigioniero. Per questo, Control, assieme al suo braccio destro George Smiley, sono costretti a dimettersi. È chiaro, adesso, ciò che Control da tempo sospettava: al Circus (nome con cui si definisce convenzionalmente la sede dell’MI6) c’è una talpa. E la talpa non può che essere uno di quelli che siedono ai vertici. A George Smiley viene affidato informalmente l’incarico di indagare. Per Guinness la chiave del carattere di Smiley era la sua vulnerabilità. Nei romanzi è descritto come immensamente intelligente, circospetto, autorevole, e tuttavia con il tallone d’Achille delle sue emozioni personali, in particolare per quanto riguarda la sua bella, infedele moglie. La sfida principale era rendere tale vulnerabilità evitando che gli spettatori si chiedessero come una persona con questo carattere potesse detenere tanto potere, e allo stesso tempo essere convincente sulla sua intelligenza senza usare troppi dialoghi. […] Alla sua messa in onda nel settembre del 1979, la serie fu uno dei più grandi trionfi della televisione inglese e, nonostante l’abituale tendenza di Guinness all’autocritica («Probabilmente sono andato sopra le righe… devo aver fatto un pasticcio»), per lui si rivelò un enorme successo personale: tanta era all’aderenza fra personaggio e interprete, che chiunque legga oggi i libri di le Carré non può fare a meno di pensare a Smiley con i tratti di Guinness. (John Russell Taylor, Alec Guinness. A Celebration, Pavillion Books, Londra 1985)


Falso d’autore


Falso d’autore

F come falso – Verità e menzogne

Le cadavre exquisi, ovvero: non illudersi di non sapere Andrea Frambrosi «La verità ti fa male, lo so» (Caterina Caselli, Nessuno mi può giudicare, 1966)

È sempre istruttivo, ogni tanto, dare un’occhiata al vocabolario. Scorrendo la voce “falso” sul Vocabolario della Lingua Italiana Treccani, leggiamo: «In genere, si definisce falso tutto ciò che è sostanzialmente non vero, ma è creduto o si vuol far passare per vero. In particolare: che non ha fondamento di verità e si discosta da essa pur avendone l’aspetto, per cui può trarre in inganno o condurre all’errore». Fermi tutti: ma questa non è la definizione del cinema? O meglio, non si avvicina abbastanza a ciò che del cinema ci affascina: rendere vero quello che è palesemente falso: wow! Sarebbe facile – e non potrebbe essere altrimenti, del resto – fare il titolo su F come falso (F for Fake, 1973), uscito in Francia come Vérités et mensonges, di Orson Welles. Un film che è “falso” sin dall’inizio presentandosi sotto le mentite spoglie di un documentario, che sembra un saggio e che pretende di raccontare la verità su una serie di falsari d’arte e di memorie (quelle di Howard Hughes, la cui vita è di per sé un raro esempio di confusione tra vero e falso: e che per altro doveva poi servire come base per Quarto potere, Citizen Kane, 1941, e che invece, come è stato notato, «divenne una “falsa” inchiesta su William Randolph Hearst»): insomma: in sostanza un film sull’«arte come menzogna che dice la verità». «Ha delle noie, Capitano?». Il Capitano (Edmund Gwenn) sta trascinando un cadavere «in un idilliaco posto di campagna nel Vermont, in una bella giornata d’autunno» – 116


Falso d’autore

dall’intervista di Truffaut a Hitchcock (1) –, quando viene apostrofato così dalla zitella del posto. Succede nel più strano, affascinante, perturbante e delizioso divertissement realizzato da Alfred Hitchcock: La congiura degli innocenti (The Trouble with Harry, 1955). Dove il cadavere del povero Harry viene seppellito e disseppellito più volte e tutti i protagonisti possono essere sia colpevoli che innocenti, vittime del meccanismo geniale e perverso generato dal regista per cui tutti si credono assassini senza esserlo. Il film è una sorta di cadavre exquisi visivo: la tecnica del “cadavere squisito” inventata dai surrealisti francesi consiste nello scrivere un testo partendo da una frase che viene nascosta al secondo scrivente, che aggiunge il suo testo e lo passa a un terzo e così via. Si chiama così perché la prima frase ottenuta era: le cadavre exquis boira le vin nouveau (il cadavere squisito berrà il vino nuovo). E a proposito di cadaveri, come non citare Delitto in pieno sole (Plein soleil, 1960) di René Clément, tratto dal fenomenale romanzo di Patricia Highsmith Il talento di Mister Ripley (Tom Ripley fa fuori un amico benestante e ne assume l’identità), e L’uomo che non è mai esistito (The Man Who Never Was, 1956) di Ronald Neame (durante la Seconda guerra mondiale viene fatto ritrovare ai tedeschi il cadavere di un soldato inglese con indosso finte indicazioni sullo sbarco alleato in Sicilia), dove c’è un cadavere vero che porta informazioni false, il tutto tratto da una storia vera: piuttosto vertiginoso. Un falso cadavere e un falso omicida sono anche al centro di L’inchiesta dell’ispettore Morgan (Blind Date, 1959) di Joseph Losey. In Mr. Klein (M. Klein, 1976) di Joseph Losey la dicotomia vero/falso sovrappone al tema del “doppio” una figura che, come notavano Cremonini e De Marinis: «afferma l’esistenza di un’assenza, di un vuoto in cui Klein tenta disperatamente di riconoscersi: il doppio è un’ombra, la compresenza di due affermazioni che si negano l’una l’altra, annullandosi e svuotandosi» (2). Non è forse lo stesso meccanismo che informa La donna che visse due volte (Vertigo, 1958) di Alfred Hitchcock? E la commedia? Con le ambiguità, il falso che sembra vero e viceversa, ci va a nozze. Per dire di alcuni esempi strepitosi: dal Roger Willoughby (Rock Hudson) di Lo sport preferito dall’uomo (Man’s Favorite Sport?, 1964), commedia-capolavoro di Howard Hawks degna del miglior Jerry Lewis, all’altrettanto strepitoso Zelig (id., 1983) di Woody Allen, recordman di trasformismo. Mentre è un po’ più old style il Monsieur (Jean Gabin) di Intrigo a Parigi (Monsieur, 1964) di Jean Paul Le Chanois (un banchiere che si finge maggiordomo). Ma se alla fine la vita non fosse altro che teatro? Un continuo interscambio di ruoli e di ribaltamenti di scena? Sembra pensarla così il geniale Joseph Leo Mankiewicz (“insospettabile”, come lo definì l’indimenticato Franco La Polla) di Masquerade (The Honey Pot, 1967): un fulgido esempio di “semiosi illimitata”, dove la verità e il suo contrario si scambiano continuamente di posto. Come ci si districa, a questo punto? Con i versi di Emily Dickinson: «Wonder, is not precisely Knowing / And not precisely Knowing not» (non essere sicuri di sapere, ma anche non poter affermare con sicurezza di non sapere, non poter sapere di non sapere). Ma, come notava Alessandro Portelli in Canoni americani: «L’indecidibilità totale è figlia dell’universale equivalenza di tutto; e, come sappiamo, l’equivalenza di tutto a tutto, la definitiva indifferenza, è il punto di arrivo finale dell’entropia» (3). Vero o falso? (1) François Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, Pratiche Editrice, Parma 1977. (2) Giorgio Cremonini, Gualtiero De Marinis, Joseph Losey, La Nuova Italia, Firenze 1981. (3) Alessandro Portelli, Canoni americani. Oralità, letteratura, cinema, musica, Donzelli, Roma 2004. 117


Falso d’autore

Alfred Hitchcock

The Trouble with Harry USA, 1955, 99’, col.

Regia, Produttore Alfred Hitchcock Soggetto dal racconto di Jack Trevor Story Sceneggiatura John Michael Hayes Fotografia Robert Burks Montaggio Alma Macrorie Scenografia John B. Goodman Costumi Edith Head Musica Bernard Herrmann Suono Winston H. Leverett, Harold Lewis, Jim Miller, Ad Tice Interpreti Edmund Gwenn (il capitano Albert Wiles), John Forsythe (Sam Marlowe), Shirley MacLaine (Jennifer Rogers), Mildred Natwick (la signorina Ivy Gravely), Jerry Mathers (il piccolo Arnie), Philip Truex (il povero Harry), Alfred Hitchcock (l’uomo che passa accanto all’auto del collezionista) Produzione Alfred J. Hitchcock Productions, Paramount Pictures Distribuzione Paramount Pictures

La congiura degli innocenti Pochi luoghi al mondo possono competere con la bellezza e la tranquillità del paesaggio agreste del Vermont, soprattutto in autunno, quando i colori della natura indossano le sfumature più belle, dal bruno al dorato. Aria pulita, paesaggi da favola, sussurrar di ruscelli, selvaggina in abbondanza e, a volte, persino un cadavere che spunta misteriosamente da dietro un cespuglio. Chi è il povero Harry, e perché tutti quelli che vi hanno avuto a che fare sono convinti di essere responsabili della sua morte? Se lo chiedono un capitano di Marina in pensione, un’anziana signorina, la graziosa vedova d el defunto; i quali, aiutati da un locale pittore astratto, avranno il loro bel daffare a nascondere le tracce della dipartita del caro estinto.

Filmografia essenziale [1] Family Plot (Complotto di famiglia, 1976) Marnie (id., 1964) The Birds (Gli uccelli, 1963) Psycho (Psyco, 1960) North by Northwest (Intrigo internazionale, 1959) Vertigo (La donna che visse due volte, 1958) The Trouble with Harry (La congiura degli innocenti, 1955) Rear Window (La finestra sul cortile, 1954) Strangers on a Train (Delitto per delitto, 1951) Notorious (Notorius, 1946)

(Alfred Hitchcock in François Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, Pratiche Editrice, Parma 1977)

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È un film che ho girato abbastanza liberamente a partire da un soggetto che avevo scelto e, quando l’ho terminato, nessuno sapeva cosa farne, come sfruttarlo. Era troppo strano, ma, per me, non era assolutamente strano. È adattato molto fedelmente da un romanzo inglese di Jack Trevor Story e, per il mio gusto, conteneva un umorismo molto ricco; per esempio, quando il vecchio Edmund Gwenn trascina il cadavere per la prima volta, la zitella lo incontra nella foresta e gli dice: «Ha delle noie, Capitano?». È una delle frasi più buffe e per me racchiude lo spirito di tutta la storia. […] Rispondeva al mio desiderio di stabilire un contrasto, di lottare contro la tradizione, contro gli stereotipi. Nella Congiura degli innocenti tolgo il melodramma dalla notte buia per portarlo alla luce del giorno. È come se facessi vedere un assassinio in riva a un ruscello che mormora e versassi una goccia di sangue nell’acqua limpida. Da questi contrasti nasce un contrappunto, e forse anche un improvviso innalzamento delle cose normali della vita.


Falso d’autore

Ronald Neame

The Man Who Never Was Gran Bretagna, 1956, 103’, col.

L’uomo che non è mai esistito È la storia di una delle più brillanti operazioni di depistaggio a opera dei Servizi segreti inglesi durante la Seconda guerra mondiale. Alla vigilia dello sbarco in Sicilia, l’ufficio diretto dal tenente comandante Ewen Montagu concepisce e sviluppa l’idea di far credere ai nazisti che lo sbarco non avverrà nell’Italia meridionale, ma in Grecia. A tale scopo, viene raccolto in un ospedale londinese il corpo di un giovane morto di polmonite, lo si veste da ufficiale, gli si lega al polso una valigetta con falsi documenti e lo si abbandona in mare non lontano dalla costa di Huelva, in Spagna. Quando gli emissari dei Servizi segreti nazisti, presenti in loco, metteranno le mani sulle carte, il gioco sarà fatto. Svelto, vagamente asettico ma estremamente competente film sulla Seconda guerra mondiale, basato sul resoconto dello stesso Ewen Montagu, di una vera storia di inventiva amatoriale tipicamente britannica. Senza nessuna scena di combattimento, il film gode di una ricostruzione della Londra dell’epoca accurata ed evocativa, e di un paio di schizzi d’acido molto espliciti – la sceneggiatura è di Nigel Balchin –, soprattutto in merito al reperimento del cadavere (Moultrie Kelsall, l’addolorato padre in lutto, ha un fremito di offesa quando viene a sapere che il suo fiero figlio scozzese darà un grande contributo per l’Inghilterra). Il film ha un’impennata nella parte in cui una spia irlandese (Stephen Boyd) viene mandata a Londra per verificare le credenziali del morto e ha a che fare con un contatto (Cyril Cusack) ancor più cinico e sgradevole di lui. La voce del Primo Ministro, annunciante il via libera alla fortunata operazione, è di Peter Sellers.

Regia Ronald Neame Soggetto dalle memorie di Ewen Montagu Sceneggiatura Nigel Balchin Fotografia Oswald Morris Montaggio Peter Taylor Scenografia John Hawkesworth Costumi Sam Benson Musica Alan Rawsthorne Suono Basil Fenton-Smith, J.B. Smith Interpreti Clifton Webb (il tenente comandante Ewen Montagu), Gloria Grahame (Lucy Sherwood), Robert Flemyng (il tenente George Acres), Josephine Griffin (Pam), Stephen Boyd (Patrick O’Reilly), Laurence Naismith (l’ammiraglio Cross), Cyril Cusack (il tassista) Produttore André Hakim Produzione Sumar Productions Distribuzione 20th Century Fox Film Corporation

(Jpy, www.timeout.com) Filmografia essenziale Foreign Body (Medico per forza, 1986) First Monday in October (Una notte con Vostro Onore, 1981) Hopscotch (Due sotto il divano, 1980) The Prime of Miss Jean Brodie (La strana voglia di Jean, 1969) The Chalk Garden (Il giardino di gesso, 1964) The Horse’s Mouth (La bocca della verità, 1958) The Man Who Never Was (L’uomo che non è mai esistito, 1956) The Card (Asso pigliatutto, 1952) Golden Salamander (La salamandra d’oro, 1947) 119


Falso d’autore

Alfred Hitchcock

Vertigo USA, 1958, 128’, col.

Regia, Produttore Alfred Hitchcock Soggetto dal romanzo D’entre les morts di Pierre Boileau e Thomas Narcejac Sceneggiatura Alec Coppel, Samuel Taylor, Maxwell Anderson [non accr.] Fotografia Robert Burks Montaggio George Tomasini Scenografia Henry Bumstead, Hal Pereira Costumi Edith Head Musica Bernard Herrmann Suono Jim Miller, Winston H. Leverett, Harold Lewis, George Dutton, Bill Wistrom Interpreti James Stewart (John “Scottie” Ferguson), Kim Novak (Madeleine Elster/Judy Barton), Barbara Bel Geddes (Midge Wood), Tom Helmore (Gavin Elster), Henry Jones (il coroner), Alfred Hitchcock (l’uomo che passa davanti ai cantieri Elster) Produzione Alfred J. Hitchcock Productions, Paramount Pictures Distribuzione Paramount Pictures Filmografia essenziale [2] Lifeboat (Prigionieri dell’oceano, 1944) Shadow of a Doubt (L’ombra del dubbio, 1943) Suspicion (Il sospetto, 1941) Foreign Correspondent (Il prigioniero di Amsterdam/Corrispondente 17, 1940) Rebecca (Rebecca, la prima moglie, 1940) The Lady Vanishes (La signora scompare, 1938) The 39 Steps (Il club dei 39, 1935) Rich and Strange (Ricco e strano, 1931) Blackmail (Ricatto, 1929) The Lodger (Il pensionante, 1927) 120

La donna che visse due volte John “Scottie” Ferguson, tenente della polizia di San Francisco, ha trovato il momento meno opportuno per scoprire di avere l’acrofobia (ovvero, la paura per i luoghi alti): nel corso di un inseguimento sui tetti, scivola e rimane appeso a una grondaia; l’agente che è con lui, per aiutarlo, precipita nel vuoto. Esonerato dal servizio, Scottie viene sottratto dalla noia del prepensionamento grazie a Gavin Elster, un suo vecchio compagno di università che lo ingaggia per far pedinare la moglie. Questa, negli ultimi tempi, ha preso a comportarsi in maniera strana: fa lunghe quanto misteriose passeggiate, e sta sviluppando una sinistra immedesimazione con una sua antenata morta suicida. Quello che mi interessava erano gli sforzi che faceva James Stewart per ricreare una donna, partendo dall’immagine di una morta. C’è un aspetto che chiamerò “sesso psicologico”, ed è qui la volontà che spinge quest’uomo a ricreare un’immagine sessuale impossibile; in poche parole, quest’uomo vuole andare a letto con una morta, si tratta di necrofilia. […] Tutti gli sforzi di James Stewart per ricreare la donna, cinematograficamente, sono mostrati come se cercasse di spogliarla invece che di vestirla. E la scena che sentivo di più era quando la donna torna dopo essersi fatta tingere i capelli di biondo. James Stewart non è completamente soddisfatto perché non ha raccolto i suoi capelli in uno chignon. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che è quasi nuda davanti a lui, ma si rifiuta ancora di togliersi le mutandine. Allora James Stewart si mostra supplichevole e lei dice: «D’accordo, va bene», e ritorna nel bagno. James Stewart attende. Attende che ritorni nuda questa volta, pronta per l’amore. (Alfred Hitchcock in François Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, Pratiche Editrice, Parma 1977)


Falso d’autore

Joseph Losey

Blind Date Gran Bretagna, 1959, 95’, bn

L’inchiesta dell’ispettore Morgan Jan Van Rooyer è un giovane pittore squattrinato olandese che mette insieme il pranzo con la cena dipingendo e dando lezioni d’arte a Londra. Mentre gironzola per l’appartamento dove aspetta la sua amante, ha la sgradita sorpresa di veder arrivare la polizia, che lo accusa di omicidio. La vittima pare essere Jacqueline Cousteau, la donna con cui aveva appuntamento. Jan dichiara la sua innocenza e all’ispettore Morgan, incaricato dell’indagine, racconta della loro relazione. Morgan sulle prime è convinto della colpevolezza di Jan; ma l’eccessivo interessamento al caso da parte di un alto funzionario di Scotland Yard fa capire all’ispettore che molto probabilmente c’è sotto dell’altro. Losey rispetta sia i canoni che la logica del giallo: fornisce allo spettatore tutti gli elementi per capire cosa è successo, ma mistificandoli rispetto alla prospettiva smaliziata dello spettatore. Se il reale (nella sua duplice struttura in opposizione) appare ambiguo, è perché è ambigua la visione; la macchina registra e non sceglie, non indica. Così, se questo film insegna qualcosa (ma nessun messaggio, per carità!), insegna a diffidare di ciò che si vede, a diffidare del criterio della clareté, delle cose chiare ed evidenti. Se questo film è in qualche modo un atto di accusa (ma nessuna denuncia, per carità!), accusa lo spettatore di vedere senza saper vedere, lo culla in una seduzione dall’apparente innocuità per poi rivelare di averlo truffato, di averlo cacciato in un cul-de-sac della logica. Dice Jan nella Tate Gallery: «Oh, siamo tutti ciechi. Vediamo bene solo le cose con le quali lavoriamo ogni giorno». (Giorgio Cremonini, Gualtiero De Marinis, Joseph Losey, La Nuova Italia, Firenze 1981)

Regia Joseph Losey Soggetto dal romanzo di Leigh Howard Sceneggiatura Ben Barzman, Millard Lampell Fotografia Christopher Challis Montaggio Reginald Mills Scenografia Harry Pottle Costumi Vi Murray Musica Richard Rodney Bennett Suono Lee Page, Malcolm Cooke Interpreti Hardy Krüger (Jan Van Rooyer), Stanley Baker (l’ispettore Morgan), Micheline Presle (Jacqueline Cousteau), John Van Eyssen (l’ispettore Westover), Gordon Jackson (il sergente), Robert Flemyng (sir Brian Lewis) Produttori David Deutsch, Luggi Waldleitner Produzione Sydney Box Associates, Independent Artists Distribuzione J. Arthur Rank Film Distributors

Filmografia essenziale [1] Steaming (id., 1985) Don Giovanni (id., 1979) Mr. Klein (id., 1976) The Assassination of Trotsky (L’assassinio di Trotsky, 1972) The Go-Between (Messaggero d’amore, 1970) Figures in a Landscape (Caccia sadica, 1970) Boom (La scogliera dei desideri, 1968) Accident (L’incidente, 1967) Modesty Blaise (Modesty Blaise. La bellissima che uccide, 1966) King & Country (Per il re e per la patria, 1964) 121


Falso d’autore

René Clément

Plein soleil Francia • Italia, 1960, 118’, col.

Regia René Clement Soggetto dal romanzo Il talento di Mr. Ripley di Patricia Highsmith Sceneggiatura René Clément, Paul Gégauff Fotografia Henri Decaë Montaggio François Javet Scenografia Paul Bertrand Costumi Bella Clément Musica Nino Rota Suono Maurice Rémy, Jean-Claude Marchetti Interpreti Alain Delon (Tom Ripley), Maurice Ronet (Philippe Greenleaf ), Marie Laforêt (Marge Duval), Erno Crisa (Ricordi), Billy Kearns (Freddy Miles), Ave Ninchi (la signora Gianna), Frank Latimore (O’Brien) Produttori Raymond Hakim, Robert Hakim Produzione Robert et Raymond Hakim, Paris Film, Paritalia, Titanus Distribuzione Robert et Raymond Hakim (Francia), Titanus (Italia) Filmografia Le passager de la pluie (L’uomo venuto dalla pioggia, 1970) Parigi brucia? (Paris brûle-t-il?, 1966) Les félins (Crisantemi per un delitto, 1964) Plein soleil (Delitto in pieno sole, 1960) This Angry Age (La diga sul Pacifico, 1958) Monsieur Ripoux (Le amanti di Monsieur Ripoux, 1954) Jeux interdits (Giochi proibiti, 1952) Le château de verre (L’amante di una notte, 1950) La bataille di rail (Operazione Apfelkern, 1946) Signe ton gauche (Cura il tuo sinistro, 1936) 122

Delitto in pieno sole Tom Ripley, un giovanotto di talento che però non ha ancora incontrato l’occasione giusta per soddisfare le sue ambizioni, si trova in Italia, dove ha fatto amicizia con il ricco Philippe Greenleaf. In realtà, Tom è stato mandato lì dal padre dell’amico, un facoltoso industriale americano, per convincere Philippe a dare un taglio alla vita da bohémien di lusso che sta conducendo nel Bel Paese e tornare negli Stati Uniti a seguire gli affari di famiglia. Tom, invidioso dello status dell’amico, e al contempo innamorato della di lui fidanzata Marge, decide tuttavia che può essere molto più proficuo rimanere lì ed elaborare un piano per prenderne il posto. Il film di René Clément è girato in solari toni pastello e uno stile da travelog che funzionano alla perfezione come lugubre contrasto ai piani di Tom. La stessa musica di Nino Rota non va quasi mai su toni sinistri; al contrario, è molto pacata, discreta, cosa che rende il tutto più inquietante (e Clément usa la musica dello stesso autore in maniera meno ovvia che Fellini). Alain Delon, da parte sua, nel 1960 non era ancora del tutto assurto allo status di idolo dello schermo, di modo che all’epoca doveva apparire come un giovanotto implume, e tuttavia perfettamente a suo agio nella parte di un ragazzo senza scrupoli che si è imbarcato con decisione nel colpo gobbo della sua vita. Come era giusto che fosse: il fascino del Ripley creato da Patricia Highsmith sta tutto nella maniera con cui questi se la cava con il crimine: più avanti pianificherà tutto con cura; qui, alle prime armi, improvvisa un po’. (Roger Ebert, Purple Noon, rogerbert.suntimes.com)


Falso d’autore

Howard Hawks

Man’s Favorite Sport? USA, 1964, 120’, col.

Lo sport preferito dall’uomo Ad ascoltare i racconti degli altri, e far tesoro della loro esperienza, è cosa saggia e utile assai. Ne sa qualcosa Roger Willoughby che, a partire dai resoconti di esperti pescasportivi, si è fatto una conoscenza talmente approfondita in materia da scrivere volumi assai autorevoli sull’argomento. Per questo, lui stesso viene creduto da tutti un pescatore infallibile; e gli va bene così, dal momento che tale fama gli fa vendere un sacco di copie dei suoi libri, anche se in realtà non ha mai catturato un pesce in vita sua. I problemi arrivano quando Abigail Page, una caparbia ragazza, si mette in testa di farlo partecipare a un importante torneo di pesca. C’è dell’inversione nell’aria, da entrambe le parti: ma, andando l’uno verso l’altro, ciascun sesso si ferma a metà strada. Basta pensare a Susanna, dove l’amore spoglia l’uomo della sua corazza professionale, o a Lo sport preferito dall’uomo, dove l’amore (o l’accecamento che lo sostituisce) lo barda affidandogli sempre lo stesso armamentario. […] Per quanto siano eroici, gli eroi di Hawks rimangono un po’ superficiali, come se il regista li guardasse, sa pure benevolmente, dall’alto. Hawks si fa beffe dei suoi eroi. Per lui, uomo di cinema, la perfezione non è interessante. Gli stessi uomini esemplari non sono per niente interessanti, come non lo sono quelli ordinari. Per questo non si deve prendere sul serio la supposta passione del regista per gli “specialisti”, quantunque da lui stesso professata. È una strana passione, che spinge questi “specialisti” a cadere nelle trappole più grottesche che la vita possa loro riservare, utilizzando le loro stesse competenze per renderli ridicoli. (Jean-Louis Comolli, H.H. ou l’ironique, «Cahiers du Cinéma» n. 160, novembre1964)

Regia, Produttore Howard Hawks Soggetto dal racconto The Girl Almost Got Away di Pat Frank Sceneggiatura John Fenton Murray, Steve McNeil Fotografia Russell Harlan Montaggio Stuart Gilmore Scenografia Alexander Golitzen, Tambi Larsen Costumi Edith Head Musica Henry Mancini Suono Joe Lapis, Waldon O. Watson Interpreti Rock Hudson (Roger Willoughby), Paula Prentiss (Abigail Page), Maria Perschy (Isolde “Easy” Mueller), John McGiver (William Cadwalader), Charlene Holts (Tex Connors), Norman Alden (John Aquila Urlante), Roscoe Karns (il maggiore Phipps) Produzione Gibraltar Productions, Laurel Productions, Universal Pictures Distribuzione Universal Pictures

Filmografia essenziale Man’s Favorite Sport? (Lo sport preferito dall’uomo, 1964) Rio Bravo (Un dollaro d’onore, 1959) Monkey Business (Il magnifico scherzo, 1952) Red River (Fiume rosso, 1948) The Big Sleep (Il grande sonno, 1946) Air Force (Arcipelago in fiamme, 1943) Ball of Fire (Colpo di fulmine, 1941) Only Angels Have Wings (Avventurieri dell’aria, 1939) Bringing Up Baby (Susanna, 1938) Scarface (Scarface – Lo sfregiato, 1932) 123


Falso d’autore

Jean-Paul Le Chanois

Monsieur Francia, 1964, 105’, bn

Regia Jean-Paul Le Chanois Soggetto dalla commedia di Claude Gével Sceneggiatura Georges Darrier, Pascal Jardin Fotografia Louis Page Montaggio Emma Le Chanois Scenografia Jean Mandaroux Costumi Marie Martin Musica Georges Van Parys Suono Jean Rieul Interpreti Jean Gabin (Monsieur), Mireille Darc (Suzanne), Liselotte Pulver (Elizabeth Bernadac), Philippe Noiret (Edmond Bernadac), Berthe Granval (Nathalie Bernadac), Gaby Morlay (madame Bernadac) Produttore Raymond Danon Produzione Films Copernic, Les Films Corona, Zebra Films Distribuzione Comacico

Intrigo a Parigi Dopo la dipartita dell’amata moglie, per Monsieur, un ricco banchiere di Parigi, la vita non ha più alcun significato. Decide di buttarsi nella Senna, ma è fermato da Suzanne, una sua ex cameriera ora costretta a prostituirsi. Alla rivelazione di questa, che lo mette al corrente dell’infedeltà della defunta consorte, Monsieur decide di partire alla riscossa e riappropriarsi della sua esistenza. Giunge a casa in tempo per recuperare i soldi nella cassaforte prima che vi mettano sopra le mani i suoi rapaci suoceri. Poi, con Suzanne, lascia Parigi per la provincia. I due, facendosi passare per padre e figlia, trovano posto come maggiordomo e cameriera presso la scombinata famiglia dei Bernadac. Monsieur, semplicemente Monsieur. Così viene chiamato, per tutto il film, il protagonista di questa commedia gustosamente narrata da Jean-Paul Le Chanois. Ha un passato, ma non ha un nome. Ha dei parenti, ma vuole tenerli ben a distanza (e ne ha ben donde). Ha perso la moglie, che peraltro non era la santa che lui credeva. Su di una cocente delusione (che tuttavia salva il Nostro da un’intenzione di suicidio), e sulla conseguente voglia di riprendere in mano la propria esistenza, si basa questa storia che ha molto della commedia degli equivoci, e molto, scavando appena sotto la superficie, dell’apologo al vetriolo sulla voracità umana e, allo stesso tempo, della celebrazione della tolleranza e dell’eccentricità come veri valori da coltivare. Il portentoso Jean Gabin ci mette parecchio del suo nel delineare il ritratto di questo revenant gentile nei modi, impeccabile nella professione, arguto di spirito, affezionato verso chi se lo merita e determinato nel mettere alla berlina ogni ipocrisia e ogni egoismo. (Alain Joseph d’Iverny, Monsieur, «La Gazette de Trigreville», 24 aprile 1964)

Filmografia Le jardiner d’Argenteuil (Un ombrello pieno di soldi, 1966) Monsieur (Intrigo a Parigi, 1964) Les misérables (I miserabili, 1958) Le cas du Dr Laurent (1957) Les évadés (Gli evasi, 1955) Papa, maman, la bonne et moi… (Papà, mammà, la cameriera e io, 1954) … sans laisser l’adresse (… e mi lasciò senza indirizzo…, 1951) La belle que voilà (Anime incatenate, 1950) L’école buissonnière (1949) La vie est à nous (La vita è nostra, 1936) 124


Falso d’autore

Joseph L. Mankiewicz

The Honey Pot USA, 1967, 150’, col.

Masquerade Il ricchissimo Cecil Sheridan Fox, che vive in splendido ritiro in un sontuoso palazzo veneziano, assume l’attore William McFly perché impersoni il suo segretario. Ha in mente un piano: farsi passare per moribondo e invitare a palazzo le tre donne della sua vita, che suppone attratte dalla possibile eredità. Arrivano dunque la squattrinata principessa Dominique, la diva in declino Merle McGill e la milionaria Lone Star Crockett, in compagnia della sua infermiera Sarah. Una di loro muore, apparentemente suicida. Per il commissario Rizzi, chiamato a investigare, sarà un bel rompicapo. Fox è il classico intrigante e cospiratore mankiewicziano, che inventa uno schema a sciarada di cui finirà vittima. Aristocratico snob, disprezza chi è socialmente inferiore. «Voi gente da poco scegliereste sempre il “più” piuttosto che il “meglio”», dice nel film «Quantità sì, qualità no. Venezia è minuscola e preziosa. Los Angeles gigantesca e terribile. Chi vorrebbe viverci? Quasi tutti». Ma, alla fine, la gerarchia sociale funzionerà alla rovescia. […] Anche Fox ha l’ossessione dell’immortalità: il suo modo di raggiungerla è sostituire la vita con un copione teatrale di sua invenzione, falsificare la realtà con l’illusionismo di un trompe-l’œil. Impresa, abbiamo visto, alla fine vana. Persino il giardino di Fox si rivela un frutteto artificiale, in cui una meridiana rammenta l’ossessione del padrone di casa. Perseguitato dall’incubo del tempo che passa, Fox cerca di fermarlo. Si beffa di chi (la gente comune) «ingoia il tempo come fosse un hamburger». (Alberto Morsiani, Joseph L. Mankiewicz, La Nuova Italia, Firenze 1991)

Regia, Sceneggiatura Joseph L. Mankiewicz Soggetto dal romanzo Mr. Fox of Venice di Frederick Knott e Thomas Sterling, ispirato alla commedia Volpone di Ben Jonson Fotografia Gianni Di Venanzo Montaggio David Bretherton Scenografia John DeCuir Costumi Rolf Gerard Musica John Addison Suono David Hildyard, Len Shilton, Jim Groom Interpreti Rex Harrison (Cecil Sheridan Fox), Susan Hayward (Lone Star Crockett Sheridan), Cliff Robertson (William McFly), Capucine (la principessa Dominique), Edie Adams (Merle McGill), Maggie Smith (Sarah Watkins), Adolfo Celi (il commissario Rizzi) Produttore Charles K. Feldman Produzione Famous Artists Productions Distribuzione United Artists Corporation

Filmografia essenziale Sleuth (Gli insospettabili, 1972) There Was a Crooked Man (Uomini e cobra, 1970) The Honey Pot (Masquerade, 1967) Cleopatra (id., 1963) Suddenly, Last Summer (Improvvisamente l’estate scorsa, 1959) Guys and Dolls (Bulli e pupe, 1955) The Barefoot Contessa (La contessa scalza, 1954) Julius Caesar (Giulio Cesare,1953) Five Fingers (Operazione Cicero, 1952) People Will Talk (La gente mormora, 1951) 125


Falso d’autore

Orson Welles

F for Fake/ Vérités et mensonges Francia • Iran • Germania, 1973, 89’, col.

Regia, Soggetto Orson Welles Sceneggiatura Orson Welles, Oja Kodar [non accr.] Fotografia François Reichenbach Montaggio Marie-Sophie Dubus, Dominique Engerer, Orson Welles [non accr.] Musica Michel Legrand Suono Paul Bertault Con Orson Welles, Oja Kodar, Elmyr de Hory, Clifford Irving, Nina van Pallandt, Lawrence Harvey, Joseph Cotten, François Reichenbach, Richard Wilson, Paul Stewart, Alexander Welles, Andrés Vicente Gómez, Gary Craver Produttori Dominique Antoine, Richard Drewitt, François Reichenbach Produzione Les Films de l’Apostrophe, Janus Film un Fernsehen, S.A.C.I. Distribuzione Planfilm

F come falso – Verità e menzogne Orson Welles, dopo aver eseguito alcuni numeri di magia sulla banchina della Gare d’Austerlitz a Parigi, annuncia che quanto andrà a raccontare nell’ora seguente è la pura e semplice verità. Ci parla quindi di Elmyr de Hory, un falsario di Picasso, Matisse, Modigliani e molti altri, la cui abilità sconfina nel genio; di Clifford Irving, assurto agli onori delle cronache giudiziarie per una falsa autobiografia di Howard Hughes; di lui stesso, e di come aveva fatto parlare di sé con la falsa radiocronaca dell’invasione della Terra da parte dei marziani. Poi, Welles passa a raccontare di come una volta la sua compagna Oja Kodar, in vacanza nel paese di residenza di Pablo Picasso… Accanto a Elmyr de Hory e Clifford Irving, lo stesso Welles si mette in scena come falsificatore del reale nei mezzi di comunicazione (la radio e il cinema). Welles realizza questa idea mediante un gioco di specchi in cui trasforma l’esercizio del fake realizzato intorno al cinegiornale March of Time di Quarto potere in un nuovo esercizio intorno a un falso notiziario su Howard Hughes. Welles costruisce un grande saggio sulla relatività della verità nel mondo contemporaneo e sul problema della finzione. […] In un’epoca in cui la passione per la cultura della mimesi si è estesa verso le molteplici manifestazioni della cultura visuale, la finzione non può essere intesa come inganno, ma come un sistema di creazione che istituisce un gioco con la forma. La questione chiave è sempre radicata nella posizione dello spettatore, nel modo in cui noi riusciamo a considerare, o a non considerare, il visto come vissuto. (Ángel Quintana, F for Fake e i confini del documentario contemporaneo, in Giorgio Placereani, Luca Giuliani, a cura di, My Name Is Orson Welles, Il Castoro, Milano 2007)

Filmografia essenziale F for Fake/Vérités et mensonges (F come falso – Verità e menzogne, 1972) Chimes at Midnight/Campanadas a medianoche (Falstaff, 1965) Le procès (Il processo, 1962) Touch of Evil (L’infernale Quinlan, 1958) Mr. Arkadin (Rapporto confidenziale, 1955) Othello (Otello, 1952) Macbeth (id., 1948) The Lady from Shanghai (La signora di Shanghai, 1947) The Stranger (Lo straniero, 1946) The Magnificent Ambersons (L’orgoglio degli Amberson, 1942) Citizen Kane (Quarto potere, 1941) 126


Falso d’autore

Joseph Losey

M. Klein Francia • Italia, 1976, 123’, col.

Mr. Klein Nella Francia occupata dai nazisti, Robert Klein sta facendo affari d’oro incamerando opere d’arte di proprietà delle famiglie israelite perseguitate dalle leggi razziali. Alsaziano di buona famiglia, a saper suo non ha mai avuto parentele nella comunità ebraica. Un giorno, tuttavia, riceve una copia di un giornale ebraico con il suo nome sulla fascetta. Evidentemente si tratta di un caso di omonimia: ne informa la Prefettura, che lo mette al corrente del fatto che un altro Robert Klein, ricercato, ha fatto perdere le proprie tracce. Per Robert, quello che sembrava la fine di un equivoco diventa l’inizio di un incubo, che lo porterà a vivere di persona la tragica giornata della retata al Vel d’Hiv di Parigi. Mr. Klein è punteggiato di primi piani silenziosi, una successione di volti che nel migliore dei casi sono indagatori, nel peggiore angosciati. Maschere ambigue, al tempo stesso innocenti e colpevoli. Gli impulsi contraddittori danno a ognuno di loro – il direttore del giornale, l’ispettore di polizia, l’avvocato, l’operaia, la portinaia – la stessa, identica aria di stanca malinconia. Trafitti, i loro futuri si librano ancora in aria, per un attimo. […] Il film è un’esperienza raggelante. Parla dell’uomo come di una singola specie, ma i suoi personaggi rimangono a distanza l’uno dall’altro e anche da noi. L’orrore dell’occupazione e dei suoi tradimenti è qualcosa che dovremmo condividere come un pericolo potenzialmente attuale, e invece restano freddamente nel passato. Klein, svuotato di charme da un generoso Alain Delon, ha quel che si merita; eppure è difficile prendersela a cuore. (Philip Strick, Mr. Klein, «Sight & Sound» Vol. 64, n. 3, estate 1977)

Regia Joseph Losey Soggetto Franco Solinas Sceneggiatura Franco Solinas, Fernando Morandi, Costa-Gavras [non accr.] Fotografia Gerry Fisher Montaggio Marie Castro-Vasquez, Henri Lanoë, Michèle Neny Scenografia Alexandre Trauner Costumi Colette Baudot, Annalisa Nasalli-Rocca Musica Egisto Macchi, Pierre Porte Suono Maurice Dagonneau, Jean Labussière Interpreti Alain Delon (Robert Klein), Jeanne Moreau (Florence), Francine Bergé (Nicole), Juliet Berto (Jeanine), Suzanne Flon (la portinaia), Massimo Girotti (Charles), Michael Lonsdale (Pierre), Michel Aumont (il funzionario della Prefettura) Produttori Alain Delon, Robert Kuperberg Produzione Lira Films, Adel Productions, Nova Films, Mondial Te. Fi. Televisione Film Distribuzione Fox-Lira (Francia), Titanus (Italia) Filmografia essenziale [2] The Servant (Il servo, 1963) The Damned (Hallucination, 1963) Eve (Eva, 1962) The Criminal (Giungla di cemento, 1960) Blind Date (L’inchiesta dell’ispettore Morgan, 1959) Time Without Pity (L’alibi dell’ultima ora, 1957) The Prowler (Sciacalli nell’ombra, 1951) M (id., 1951) The Lawless tLinciaggio, 1950) The Boy with Green Hair (Il ragazzo dai capelli verdi, 1946) 127


Falso d’autore

Woody Allen

Zelig USA, 1983, 79’, bn • col.

Regia, Soggetto, Sceneggiatura Woody Allen Fotografia Gordon Willis Montaggio Susan E. Morse Scenografia Mel Bourne Costumi Santo Loquasto Musica Dick Hyman Suono Frank Graziadei, Marjorie Deutsch Interpreti Woody Allen (Leonard Zelig), Mia Farrow (la dottoressa Eudora Fletcher), Susan Sontag, Irving Howe, Saul Bellow, Bricktop, Bruno Bettelheim, John Morton Blum (se stessi), Patrick Hogan (il narratore) Produttore Robert Greenhut Produzione, Distribuzione Orion Pictures Corporation

Zelig Leonard Zelig è il nome di uno degli uomini più famosi della sua epoca (gli anni Venti e Trenta del XX secolo), un caso clinico talmente eclatante da catturare l’interesse di tutta la comunità scientifica oltre che della cronaca. Affetto da un misterioso disturbo psicosomatico, che lo porta ad assumere sia la personalità che l’aspetto fisico delle persone con cui entra in contatto, è di volta in volta cinese con i cinesi, italoamericano con gli italoamericani, musicista jazz con i musicisti jazz, aristocratico in mezzo agli aristocratici, democratico in mezzo alla servitù e così via. Di lui ne parla per la prima volta nei suoi diari Francis Scott Fitzgerald. Quando il mondo medico si accorge di lui, è affidato alle amorevoli cure della dottoressa Eudora Fletcher.

Filmografia essenziale Blue Jasmine (2013) Midnight in Paris (id., 2011) Whatever Works (Basta che funzioni, 2009) Sweet and Lowdown (Accordi & disaccordi, 1999) Hannah and Her Sisters (Hannah e le sorelle, 1986) The Purple Rose of Cairo (La rosa purpurea del Cairo, 1985) Zelig (id., 1983) Manhattan (id., 1979) The Sleeper (Il dormiglione, 1973) Take the Money and Run (Prendi i soldi e scappa, 1969)

(Emanuela Martini, Zelig di Woody Allen, «Cineforum» n. 229, novembre 1983)

128

Leonard Zelig è esistito, esiste, ce lo portiamo appresso, certamente è lo stesso Allen. Ebreo, basso e brutto, in questo film, molto quietamente, fa i conti con l’irrazionalità che induce il diverso all’inutile impresa di amalgamarsi con l’universo dominante. Leonard si trasforma in un brillante conversatore della generazione perduta, in un gangster aggressivo, in uno psicoanalista di origine germanica, in un nazista, tirando fuori di volta in volta quella parte minima di ognuno di questi personaggi che ha in sé. Nella parte dello psicoanalista, dice la dottoressa Fletcher, avrebbe ingannato chiunque non fosse del mestiere. La tenerezza, e la tragedia, nascono dall’incapacità di Zelig di dominare, servendosene, questa attitudine. Nella sua instancabile voglia di essere accettato, diventa anche un suonatore nero di jazz e un disgraziato sottoproletario cinese. È clinicamente malato perché non ha il controllo della malattia del secolo.


Fantamaratona


Fantamaratona

William Castle

House on Haunted Hill USA, 1958, 75’, col.

Regia, Produttore William Castle Sceneggiatura Robb White Fotografia Carl E. Guthrie Montaggio Roy V. Livingston Scenografia David Milton Costumi Norah Sharpe, Roger J. Weinberg Musica Von Dexter Suono Ralph Butler, Charles G. Schelling Interpreti Vincent Price (Frederick Loren), Carol Ohmart (Annabelle Loren), Richard Long (Lance Schroeder), Alan Marshal (il dottor David Trent), Carolyn Craig (Nora Manning), Elisha Cook jr. (Watson Pritchard), Julie Mitchum (Ruth Bridgers) Produzione William Castle Productions Distribuzione Allied Artists Pictures

Filmografia I Saw What You Did (Gli occhi degli altri, 1965) Strait-Jacket (Cinque corpi senza testa, 1964) The Old Dark House (Il castello maledetto, 1963) Mr. Sardonicus (1961) Homicidal (1961) 13 Ghosts (I 13 fantasmi, 1960) The Tingler (Il mostro di sangue, 1959) The House on Haunted Hill (La casa dei fantasmi, 1958) Macabre (Macabro, 1958) The Houston Story (I banditi del petrolio, 1956) 130

La casa dei fantasmi Non si può certo dire che a Frederick Loren, eccentrico milionario, manchi il senso dello spettacolo, né tantomeno il gusto per l’atmosfera. La sua ultima trovata è quella di organizzare un party in una casa spettrale, affittata per l’occasione, che si dice essere infestata da fantasmi. A questo party invita cinque sconosciuti, li fa venire in loco su di un corteo di limousine nere guidate da un carro funebre, consegna a ciascuno di loro una pistola e promette la somma di diecimila dollari a testa se sapranno resistere per un’intera notte all’interno della magione. Come se non bastasse già l’allegria del bell’ambientino, la signora Loren avverte gli astanti che suo marito è uno psicotico… Immediatamente successivo a Macabre, The House on Haunted Hill gode della superlativa prova di Vincent Price, che con l’abituale classe dipinge il ritratto di un milionario eccentrico con una spiccata passione per curiosi party a tema. La regia di William Castle, la sceneggiatura di Robb White, gli ambienti suggestivi pur nella loro relativa semplicità di realizzazione, concorrono a rendere questo film un horror vecchio stile, che è anche una godibilissima parodia del genere stesso. Per certi versi, il milionario Price è come il regista Castle: entrambi se la godono un mondo nel tiranneggiare, spaventandolo a morte, il loro uditorio. Così come il loro uditorio (che siamo noi) se la gode un mondo a lasciarsi spaventare a morte. Come d’abitudine, Castle alle prime proiezioni organizzò uno dei suoi famosissimi scherzi: in questo caso, un finto scheletro calato sugli spettatori nel corso della sequenza più orrorifica. (Edwin Albert Moskowitz, Seen on TV: William Castle Anthology, «The Bedford Morning Herald», 14 luglio 1987)


fantamaratona

Robert Moore

Murder by Death USA, 1976, 94’, col.

Invito a cena con delitto In una serata tetra e nebbiosa, al castello del ricco Lionel Twain giungono i sei detective più famosi del mondo: gli eleganti Dick e Dora Charleston, il belga Milo Perrier, l’anziana signorina inglese Jessica Marbles, il gentiluomo cinese Sidney Wang, lo scafato Sam Diamante. Del padrone di casa non c’è ancora traccia, ma gli ospiti sono accolti da un singolare maggiordomo, che è cieco e si presenta con un nome a dir poco complicato. I detective cominciano a subire, uno dietro l’altro, misteriosi tentativi di assassinio. Finalmente appare Twain, il quale annuncia che un delitto avrà luogo… Nel suo celebre saggio La semplice arte del delitto, Raymond Chandler afferma che il merito principale di Dashiell Hammett è stato di togliere il delitto dal vaso di ceramica per restituirlo al suo vero ambiente, la strada. Neil Simon, sceneggiatore di Invito a cena con delitto, fa il lavoro inverso: prende un detective alla Sam Spade e lo sbatte nei Dieci piccoli indiani di Agatha Christie. Non contento, gli mette a fianco cinque dei più famosi detective della letteratura poliziesca. È una palese parodia del genere, che tuttavia si rivela anche come un’operazione piuttosto intelligente: i principi del mistero della camera chiusa e del whodunit sono portati al parossismo, in un gioco di decostruzione che alla fine trasforma il film in un gioco da tavolo tipo Cluedo ridisegnato da un poeta dadaista. E poi, ci sono le impeccabili e spassose prove degli attori, capitanati da un magistrale, ambiguo, machiavellico, camaleontico Alec Guinness. (George Castle, Murder by Death, «The Bletchley Gazette», 10 ottobre 1976)

Regia Robert Moore Sceneggiatura Neil Simon Fotografia David M. Walsh Montaggio John F. Burnett Scenografia Stephen B. Grimes Costumi Ann Roth Musica Dave Grusin Suono Jerry Jost, Frank E. Warner Interpreti David Niven (Dick Charleston), Maggie Smith (Dora Charleston), Alec Guinness (Bensonmum/ Jamesignora Bensignore), Peter Sellers (Sidney Wang), Peter Falk (Sam Diamante), Eileen Brennan (Tess Skeffington), James Coco (Milo Perrier), Elsa Lanchester (Jessica Marbles), Truman Capote (Lionel Twain) Produttore Ray Stark Produzione Rastar Pictures, Columbia Pictures Corporation Distribuzione Columbia Pictures Corporation Filmografia It’s Not Easy (Sembra facile, serie tv, pilot, 1983) Chapter Two (Capitolo secondo, 1979) The Cheap Detective (A proposito di omicidi…,1978) Annie Flynn (tv, 1978) The Sunshine Boys (tv, 1977) Cat on a Hot Tin Roof (tv, 1976) Don’t Call Us (tv, 1976) Murder by Death (Invito a cena con delitto, 1958) Thursday’s Game (tv, 1974) 131



Robert GuĂŠdiguian


Robert Guédiguian

Scegliere da che parte stare Angelo Signorelli Regista francese, ma soprattutto marsigliese, meticcio e cittadino del mondo, perché il padre era di origini armene e la madre tedesca. La giovinezza trascorsa nel quartiere dell’Estaque, nella zona nord di Marsiglia, con un piccolo porto, luogo ameno e turistico della borghesia tra Ottocento e Novecento, reso celebre dai dipinti di artisti come Renoir, Cézanne, Braque, Dufy. In tempi più recenti, luogo di fabbriche, di petroliere, di lavoratori del porto, di prostituzione, di scioperi, di lotte operaie, di divisioni della sinistra, di immigrati, di razzismi, di industrie che chiudono, di trasformazioni. Per riassumere, un “ritratto” del mondo di oggi, il carattere dell’universalità che non è la globalizzazione, ma la realtà che c’è nelle aree industrializzate del mondo, dove il liberismo capitalistico esprime tutte le sue contraddizioni e il peggio di sé. Dall’altra parte, perché si tratta veramente dell’altra parte, c’è la classe – parola grossa, forse inattuale, ma ancora forte se la si riferisce a un insieme di categorie sociali – dei deboli, dei diseredati, dei disadattati, dei semplici, degli umili. È un universo complesso, colmo di conflitti, minato dalla droga e da una criminalità disperata, incapace ormai di fare sentire la sua voce; ma anche un generatore di vitalità, di fantasia, di solidarietà, di una moralità che viene dal basso e “sorveglia” le relazioni tra gli individui e le comunità. Un grande quartiere, quasi una città nella città, dove spesso le donne impugnano le armi della determinazione e della volontà decisa a tutto; dove le persone si amano con la forza dei sentimenti, al di là di ogni calcolo, dove l’amicizia è un valore sacro, dove famiglia e gruppo significano accoglienza, condivisione, speranza. Questo è ciò che vediamo nei film di Robert Guédiguian, fin dai suoi primi film, come Dernier été (1981) e Rouge midi (1985), il primo che racconta il quartiere e tanti modi di arrangiarsi, il secondo la storia di tre generazioni di una famiglia di immigrati italiani, dove ci stanno anche il Fronte Popolare, le lotte operaie, il Partito Comunista. Il cinema del regista francese osserva la realtà, lo sguardo per nulla aggressivo, con una certa simpatia per i personaggi, ma mantenendosi alla “distanza giusta”, discreto ma capace di tradurre caratteri, stati d’animo, emozioni, sempre inseriti, però, nella Storia, piccola o grande che sia, quella passata o quella presente. Cercando anche di forzare la rappresentazione con qualche iniezione di ottimismo, mostrando vicende “esemplari”, che raccontano la felicità, seppure raggiunta per strade impervie, come in Marius e Jeannette (Marius et Jeannette, 1997), storia di un amore difficile per via della memoria che pesa e opprime, o come nell’ultimo film, Le nevi del Kilimangiaro (Les neiges del Kilimandjaro, 2011), dove una coppia di coniugi attempati è costretta a fare lunghi giri per ritrovarsi “uniti alla meta”; senza dimenticare À l’attaque (2000), la cronaca, abilmente giostrata da due sceneggiatori in corso d’opera, della lotta vincente degli addetti di un garage contro i potentati economici che ne stanno mettendo a rischio l’esistenza. Certo, Guédiguian non mostra reticenza a sporcarsi le mani, a mettere il dito nella piaga, quando ritrae lo sfacelo, il rancore, il degrado, come in La ville est tranquille – La 134


Robert Guédiguian

città è tranquilla (La ville est tranquille, 2000), quasi un ossimoro di questi tempi, dove una giovanissima si consuma nella prostituzione e nella droga, o in Dieu vomit les tièdes (1991), dove un serial killer abbandona in mare cadaveri galleggianti. Ma i suoi film non sono mai storie di singoli, perché c’è sempre una comunità in azione e qui ci sono affetti, legami indissolubili, piccoli eroismi che fanno andare avanti il mondo. In Al posto del cuore (À la place du coeur, 1998), i due giovani che si amano da sempre possono alla fine ricongiungersi grazie alla tenacia dei genitori di lei e al buon cuore del proprietario di casa; in L’argent fait le bonheur (1993), un curato poco ortodosso e una madre combattiva fanno in modo che nel quartiere siano cancellate le divisioni e si torni a convivere anche e soprattutto infrangendo la legge, perché così è sempre stato e perché il denaro va distribuito con un po’ più di “giustizia”. Questo è anche Robert Guédiguian: uno sguardo critico sulla diseguaglianza, sull’oppressione dei più deboli da parte dei più forti, alla luce anche dei valori di libertà e fraternità che erano stati sanciti dalla Rivoluzione Francese. Ecco perché a volte è bene interrogare la Storia, come in L’armeé du crime (2009), che racconta le azioni terroristiche nella Parigi occupata di un gruppo di giovani partigiani comunisti comandati dal poeta armeno Missak Manouchian, o in Le passeggiate al Campo di Marte (Le promeneur du Champ de Mars, 2005), una riflessione sul socialismo, la solitudine e la morte attraverso la figura di Mitterrand negli ultimi mesi di vita. E poi c’è la memoria, perché il passato può servire a capire se stessi (Le voyage en Arménie, 2006) o riaffiorare a disturbare il presente (Ki lo sa?, 1985; Lady Jane, 2008 e Mon père est ingénieur, 2004). Ribellione, quando è necessaria; un po’ di utopia, quando la delusione prende il sopravvento ed è difficile rassegnarsi; incoscienza, perché ormai non si ha più nulla da perdere... e poi qualche pastis e una mangiata tra amici, davanti al mare, a volte ubriachi, con il sole al tramonto... e sentirsi veramente a casa. Da cui ci si può allontanare perché non si può rinunciare alla felicità, come la protagonista di Marie-Jo e i suoi 2 amori (Marie-Jo et ses deux amours, 2002), che non ce la fa senza il suo Marco, ma deve fare i conti con quei magneti potentissimi che sono gli affetti. Perché le famiglie ci sono, grandi e complicate, solidali e rissose, sempre allargate, dove ci può stare di tutto, come ci fa vedere À la vie, à la mort! (1995), un titolo che dice tante cose. 135


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Regia Robert Guédiguian Sceneggiatura Robert Guédiguian, Frank Le Vita Fotografia Gilberto Azevedo Montaggio Vincent Pinel Scenografia, Costumi Régine Pignol Musica François Béranger, Antonio Vivaldi Suono Luc Perini Interpreti Gérard Meylan (Gilbert), Ariane Ascaride (Josiane), Jean-Pierre Moreno (Mario), Djamal Bouanane (Banane), Malek Hamazoui (il Muto), Joëlle Modola (Martine), Jim Sortino (Boule) Produzione Réné Feret, Les Films Arquebuse, Maison de la Culture de Bobigny, du Havre e de La Rochelle

Regia, Sceneggiatura Robert Guédiguian Fotografia Gilberto Azevedo Montaggio Bernard Sasia Costumi Régine Amazaoui Musica Alexandre Desplat Suono Philippe Combe Interpreti Jean-Pierre Darroussin (Dada), Ariane Ascaride (Marie/Charlot), Gérard Meylan (Gitan), Pierre Banderet (Pierrot), Alain Lenglet (il cliente di Marie) Produzione Édouard Bobrowski, Robert Guédiguian, COL.IMA.SON

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Dernier été Francia, 1981, 90’, col.

L’ultima estate [t.l.] L’Estaque Riaux, quartiere nord di Marsiglia, estate 1980. Al porto non assumono lavoratori da molto tempo; alcune fabbriche minacciano di chiudere. A casa, i genitori rimuginano di continuo gli incidenti al cantiere che hanno spezzato le loro vite. Nei terreni abbandonati e nelle cave giocano i bambini lasciati a se stessi. Sulla terrazza del Bar du Centre, Bert e i suoi amici, il Muto, Mario e Banane, eterni adolescenti di venticinque anni, poltriscono tra un pastis e una partita a calciobalilla. L’incontro con Josiane, una giovane operaia molto carina, potrebbe cambiare la sua vita, ma Bert deve trovare il denaro per riparare una stupidaggine commessa da suo fratello, Boule...

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Ki lo sa? Francia, 1985, 90’, col.

Chi lo sa? [t.l.] In una grande villa, di cui è il custode, Dada convoca i suoi amici d’infanzia, che non vede da dieci anni. L’intenzione è quella di ritrovarsi come se non ci si fosse mai lasciati. Solo tre rispondono all’appello: Gitan, Pierrot e Marie, soprannominata Charlot. Ma, una volta passati i convenevoli scherzosi e consumati i riti del ritrovarsi, i tre devono riconoscere che sono dei “disadattati”. Fuori dal giardino c’è il mondo e questi ragazzi cresciuti non hanno trovato il loro posto. Se si sono ritrovati così in pochi, è perché gli altri conducono quella “vita semplice” alla quale nessuno di loro riesce a convertirsi. Licenziato dai suoi datori di lavoro, Dada si trova presto senza lavoro e senza casa. Gitan è un alcolista, mezzo vagabondo e del tutto disincantato. Pierrot si fa mantenere dalla madre e non riesce a scrivere niente di nuovo. Marie sopravvive prostituendosi.


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Rouge midi Francia, 1985, 110’, col.

Rouge midi Sauveur sta per lasciare Marsiglia. Prima di partire per trasferirsi a Parigi, ripensa al proprio passato e rivive la storia della sua famiglia. Il suo bisnonno è emigrato dall’Italia nel 1920 con la moglie e i figli. Da contadino è diventato operaio, come dopo di lui i suoi due figli e la figlia. La nonna, Maggiorina, ha cresciuto due figli, mentre il nonno, Jérôme, operaio e simpatizzante comunista, combatteva i fascisti, si entusiasmava per il Fronte Popolare e diventava partigiano per sfuggire allo STO (Service du Travail Obligatoir) in Germania durante la guerra. Il padre, Pierre, insegnante comunista, ha continuato la lotta come intellettuale e ha sposato Céline, sua madre. Nel giovane Sauveur vive lo spirito di tre generazioni. Dopo la morte dei suoi cari, decide di lasciare i luoghi in cui è cresciuto.

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Dieu vomit les tièdes Francia, 1991, 100’, col.

Dio vomita i deboli [t.l.] Cochise, scrittore di successo, lascia Parigi e ritorna a casa, nel Midi. Si sistema nella casa dove vive ancora la madre, e ritrova i suoi amici d’infanzia, Frisé, Quattrocchi e Tirelire, al bar di Fernand, sotto il ritratto di Che Guevara, che nessuno, eccetto loro, sa chi sia. La “retroguardia” è sfinita da anni di lavoro; la generazione più giovane non trova né il lavoro né una ragione per combattere. Nell’anno del bicentenario della Rivoluzione Francese, non c’è più rivolta alcuna, se non quella di un qualche fanatico che semina la morte nel quartiere.

Regia Robert Guédiguian Sceneggiatura Robert Guédiguian, Frank De Vita [coll.] Fotografia Gilberto Azevedo Montaggio Catherine Poitevin Scenografia Michel Vandestien Costumi Régine Pignol Musica Antonio Vivaldi Suono Antoine Ouvrier Interpreti Gérard Meylan (Jérôme/Sauveur), Ariane Ascaride (Maggiorina), Raul Gimenez (Mindou), Martine Drai (Ginette), Pierre Pradinas (Pierre), Frédérique Bonnal (Céline), Abdel Ali Sid (Sauveur bambino) Produzione Patricia Moraz, Alain Dahan, Robert Guédiguian, Abiléne Productions, Centre Méditerranéen de Création Cinématographique, Paris Occitanie Production, COL.IMA.SON

Regia Robert Guédiguian Sceneggiatura Robert Guédiguian, Sophie Képès Fotografia Bernard Cavalié Montaggio Bernard Sasia Scenografia, Costumi Michel Vandestien Musica Giovan Battista Pergolesi, Kurt Weill Suono Philippe Combes, Laurent Lafran Interpreti Jean-Pierre Darroussin (Cochise), Gérard Meylan (Frisé), Ariane Ascaride (Tirelire), Pierre Banderet (Quattrocchi), Jacques Boudet (Fernand), Farouk Bermouga (Karim), Patrick Bonnel (Rachid) Produzione Alain Guesnier, Yvon Davis, Gilles Sandoz, Robert Guédiguian, CDN Production, Agat Films

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Regia Robert Guédiguian Sceneggiatura Robert Guédiguian, Jean-Louis Milesi Fotografia Bernard Cavalié Montaggio Bernard Sasia Scenografia, Costumi Michel Vandestien Musica Fatima Laourassia, Rossini Suono Laurent Lafran Interpreti Jean Pierre Darroussin (il curato), Ariane Ascaride (Simona Viali), Jean-Jérôme Esposito (Pierre Viali), Pierre Banderet (il signor Degros), Frédérique Bonnal (la signora Degros), Abdel Ali Sid (Mourad Amzoula) Produzione Caméras Continentales, France 2 Cinéma, CNC

Regia Robert Guédiguian Sceneggiatura Robert Guédiguian, Jean-Louis Milesi Fotografia Bernard Cavalié Montaggio Bernard Sasia Scenografia Michel Vandestien Musica Johann Strauss, Mendelssohn Suono Laurent Lafran Interpreti Ariane Ascaride (Marie-Sol), Gérard Meylan (José), Lean-Pierre Darroussin (Jaco), Jacques Gamblin (Patrick), Pascale Roberts (Josépha), Jacques Boudet (Papa Carlossa), Jacques Pieiller (Otto), Farid Ziane (Farid), Laetitia Pesenti (Vénus) Produzione Agat Films & Cie

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L’argent fait le bonheur Francia, 1993, 90’, col.

Il denaro fa la felicità [t.l.] In un quartiere un tempo tranquillo, un giovane geloso, Pierre, ferisce con un colpo di pistola Mourad che fa delle avances troppo audaci a Isabelle. Due clan si affrontano, separati materialmente da una riga gialla dipinta alla base degli edifici e per terra. Il curato, per lo più impegnato a raccogliere siringhe e a organizzare uscite sportive alle quali nessuno dei ragazzi desidera partecipare, tenta in tutti i modi di fare ragionare gli uni con gli altri. I suoi metodi farebbero di sicuro digrignare i denti al Vaticano, ma la guerra è la guerra. Per far tornare la pace tra le due comunità, egli immagina, riunendo l’assemblea delle donne guidate da Simona Viali, la madre di Pierre, una soluzione... non molto cattolica!

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À la vie, à la mort! Francia, 1995, 100’, col.

Alla vita, alla morte! [t.l.] Al Perroquet Bleu, un piccolo locale un po’ decaduto sulla riva del mare, ci si aiuta a vicenda. Josépha si ritrova troppo vecchia per fare il suo striptease quotidiano; Papa Carlossa rimugina sulla guerra di Spagna, persuaso che Franco sia ancora vivo; Marie-Sol fa le pulizie e prega la Vergine Maria di darle un sacco di bambini; il marito Patrick è disoccupato, come il fratello José, come il suo migliore amico Jaco, che sta per essere lasciato dalla moglie e dalle figlie. La giovane Vénus si droga, ma Farid, un adolescente volenteroso e innamorato, decide di aiutarla a venirne fuori. Tutti si amano, si insultano e si soccorrono a vicenda.


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Marius et Jeannette Francia, 1997, 102’, col.

Marius e Jeannette Jeannette cresce i suoi due figli, nati da due padri diversi, in una piccola casa dell’Estaque situata in un cortile dove abitano anche Dédé e Monique, una coppia che battibecca di continuo, e da Caroline e Justin, due celibi le cui solitudini si ritrovano a volte davanti a un piatto di fave. Jeannette vuole ridipingere la casa e cerca di rubare due latte di vernice da un cementificio in demolizione. Qui è sorpresa dal custode Marius, un uomo zoppo e armato di un minaccioso fucile che, con poche e sgarbate parole, le intima di andarsene. Il giorno dopo se lo vede arrivare in casa con la pittura che aveva cercato di portare via. Tra i due nasce un sentimento d’amore, tra tante difficoltà. Entrambi feriti dalla vita, hanno alle spalle due matrimoni finiti tragicamente e guardano alla vita con malinconico disincanto.

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À la place du coeur Francia, 1998, 113’, col.

Al posto del cuore A Marsiglia... I quartieri popolari, i capannoni, il mare... I neri, i bianchi. Gli arabi, gli armeni, i portoghesi... Gli operai, gli uomini, le donne, i bambini... Clémentine, soprannominata Clim, è innamorata da sempre di François, detto Bébé. Sono decisi a sposarsi anche se lui non ha ancora compiuto diciotto anni e lei ne ha appena sedici. Ma Bébé è accusato di avere violentato una donna. Il ragazzo è un figlio adottivo, di pelle nera e un giorno ha la sfortuna di incontrare lo sguardo gelido di un poliziotto dalle tendenze razziste. Sono le accuse di questo poliziotto che spediscono Bébé in prigione. Il film inizia nel giorno in cui Clim, come tutti gli altri giorni, si reca a fargli visita in carcere. Questa volta, però, contrariamente alla sua abitudine, Clim non lo chiama Bébé, bensì François. Infatti, deve annunciargli una cosa seria: che è incinta.

Regia Robert Guédiguian Sceneggiatura Robert Guédiguian, Jean-Louis Milesi Fotografia Bernard Cavalié Montaggio Bernard Sasia Scenografia Karim Hamzaouil Musica Antonio Vivaldi, Johann Strauss Suono Laurent Lafran Interpreti Ariane Ascaride (Jeannette), Gérard Meylan (Marius), Pascale Roberts (Caroline), Jacques Boudet (Justin), Frédérique Bonnal (Monique), Jean-Pierre Darroussin (Dédé), Laetitia Pesenti (Magali), Miloud Nacer (Malek) Produzione Agata Films & Cie, La Sept Cinéma, Canal+ Distribuzione Columbia Tristar Film Italia

Regia Robert Guédiguian Soggetto dal romanzo Si Beale Street pouvait parler di James Baldwin Sceneggiatura Robert Guédiguian, Jean-Louis Milesi Fotografia Bernard Cavalié Montaggio Bernard Sasia Scenografia Michel Vandestien Musica Franz Liszt, Louis Amstrong Suono Laurent Lafran Interpreti Ariane Ascaride (Marianne), Jean-Pierre Darroussin (Joël), Gérard Meylan (Frank), Laure Raoust (Clim), Alexandre Ogou (Bébé), Christine Brücher (Francine), Véronique Balme (Soeurette), Patrick Bonnel (Jaime) Produzione Agat Films & Cie, La Sept Cinéma, France 2 Cinéma, Le Studio Canal+, Diaphana Distribuzione BIM

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Regia Robert Guédiguian Sceneggiatura Robert Guédiguian, Jean-Louis Milesi Fotografia Bernard Cavalié Montaggio Bernard Sasia Scenografia Michel Vandestien Costumi Catherine Keller Musica Erik Satie Suono Laurent Lafran Interpreti Ariane Ascaride (Michèle), Jean-Pierre Darroussin (Paul), Pierre Banderet (Claude), Gérard Meylan (Gérard), Véronique Balme (Ameline), Chritine Brücher (Viviane), Alexandre Ogou (Abderamane), Julien Sevan Papazian (Sarkis), Jacques Boudet (il padre di Paul), Pascale Roberts (la madre di Paul) Produzione Agat Films & Cie, Diaphana, Canal+ Distribuzione Istituto Luce

Regia Robert Guédiguian Sceneggiatura Robert Guédiguian, Jean-Louis Milesi Fotografia Bernard Cavalié Montaggio Bernard Sasia Scenografia Michel Vandestien Costumi Catherine Keller Musica Jacques Menichetti, Johann Strauss, Johann Sebastian Bach Suono Laurent Lafran Interpreti Ariane Acaride (Lola), Jacques Boudet (Pépé Moliterno), Jean-Pierre Darroussin (Jean-Do), Gérard Meylan (Gigi), Frédérique Bonnal (Marthe), Dennis Podalydès (Yvan), Jacques Pieiller (Xavier) Produzione Agat Films & Cie, Diaphana, TF1 Films Productions, Canal+ Distribuzione Istituto Luce

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La ville est tranquille Francia, 2000, 132’, col.

La ville est tranquille – La città è tranquilla Il film narra la storia di Michèle, che lavora al mercato del pesce e vive solo per salvare sua figlia dalla droga... ... di Paul, che tradisce i suoi amici scaricatori in sciopero per diventare tassista... ... di Viviane, musicista che non sopporta più la sinistra realista rappresentata da suo marito... ... di Abderamane, trasformato dalla prigione, che cerca di aiutare i suoi fratelli... ... di Claude, che è l’ultimo ad essere ascoltato dagli attivisti di estrema destra... ... di Gérard, che fa mistero del rapporto con la propria morte e quella degli altri... ... dei genitori di Paul, in pensione, che non voteranno più... ... di Ameline, il cui corpo fa mostra del benessere che lei vorrebbe infondere alla gente ricordandogli le proprie origini pre-monoteiste... ... di Sarkis, che lotta per il pianoforte che sogna da sempre...

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À l’attaque! Francia, 2000, 90’, col.

À l’attaque! Due sceneggiatori riflettono sul modo di scrivere un film politico che sia efficace senza essere deprimente. Muovendosi tra due bar, aiutandosi con qualche biscotto Prince e parecchi riposi, bisticciano e si divertono, creano situazioni e le fanno derapare. Il film che via via prende corpo racconta le vicende quotidiane del garage Moliterno & Co. in cui Gigi e Jean-Do riparano le auto. Il lavoro è duro: dodici ore al giorno per sei giorni la settimana. Ma è meglio questo che la disoccupazione. Il direttore della filiale locale di una multinazionale sta però per affossare tutto. Intende dichiarare fallimento per uscirne comunque senza danni. Il garage Moliterno è uno dei più forti creditori dell’azienda. Se il fallimento è accettato, Gigi e gli altri finiranno sul lastrico. Ma i nostri eroi imbracceranno le armi...


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Marie-Jo et ses deux amours Francia, 2002, 124’, col.

Marie-Jo e i suoi 2 amori Un giorno, durante un picnic, Marie-Jo mette la lama del coltello sul suo polso. Vorrebbe morire perché non riesce a scegliere tra suo marito Daniel e il suo amante Marco, che ama con la stessa intensità. Ma la vita di ogni giorno continua, le stagioni si susseguono; Daniel continua a costruire case e Marco seguita ad andare per mare. Anche un gesto così estremo come tagliarsi le vene non risolverebbe il problema perché come il sole sorge e tramonta ogni giorno, così Marie-Jo ogni giorno si sente divisa tra i suoi due amori.

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Mon père est ingénieur Francia, 2004, 108’, col.

Mio padre è ingegnere [t.l.] La Vergine Maria e Giuseppe camminano nel freddo notturno per trovare un rifugio dove far nascere il loro bambino. Marie ha lo stesso volto di Natacha, in stato catatonico per una ragione sconosciuta e a cui la madre legge senza sosta quella bellissima storia delle origini, quella “pastorale” provenzale. Chiamato al capezzale di Natacha, Jérémie, un suo vecchio amore, tenta di riportarla alla vita e ricorda il loro passato in quella casa della periferia marsigliese, dove Natacha aveva esercitato fino alla “malattia” il lavoro di pediatra. Ogni anno, avevano l’abitudine di porsi una domanda ormai rituale: «La finiamo o continuiamo?», ma un giorno Natacha ha risposto: «La finiamo», e sono partiti, ognuno per la sua strada.

Regia Robert Guédiguian Sceneggiatura Robert Guédiguian, Jean-Louis Milesi Fotografia Renato Berta Montaggio Bernard Sasia Scenografia Michel Vandestien Costumi Cathérine Keller Musica Franz Schubert, Antonio Vivaldi, Wolfgang Amadeus Mozart, Arcangelo Corelli, Louis Amstrong, Manu Chao Suono Laurent Lafran Interpreti Ariane Ascaride (Marie-Jo), Jean-Pierre Darroussin (Daniel), Gérard Meylan (Marco), Julie-Marie Parmentier (Julie), Jacques Boudet (Jean-Christophe), Yann Tregouët (Sylvain) Produzione Agata Films & Cie, France 3 Cinéma, Canal+ Distribuzione BIM

Regia Robert Guédiguian Sceneggiatura Robert Guédiguian, Jean-Louis Milesi Fotografia Renato Berta Montaggio Bernard Sasia Scenografia Michel Vandestien Costumi Juliette Chanaud Musica Arto Tunçboyaciyan Suono Laurent Lafran Interpreti Ariane Ascaride (Natacha/Marie), JeanPierre Darroussin (Jérémie/Joseph), Gérard Meylan (il signor Vadino/ Roustido), Christine Brücher (la signora Vadino), Pascale Roberts (la madre di Natacha), Jacques Boudet (il padre di Natacha), Pierre Banderet (l’asino), Patrick Bonnel (il bue) Produzione Agat Films & Cie, France 3 Cinéma, Mikros Image, Gimages Films

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Regia Robert Guédiguian Soggetto dal libro Le dernier Mitterrand di GeorgesMarc Benamou Sceneggiatura Gilles Taurand, Georges-Marc Benamou Fotografia Renato Berta Montaggio Bernard Sasia Scenografia Michel Vandestien Costumi Juliette Chanaud Suono Laurent Lafran Interpreti Michel Bouquet (il Presidente), Jalil Lespert (Antoine Moreau), Philippe Fretun (il dottor Jeantot), Anne Cantineau (Jeanne), Sarah Grappin (Judith), Catherine Salviat (Mado), JeanClaude Frissung (René) Produzione Film Oblige, Agat Films & Cie, Arte France Cinéma Distribuzione BIM

Regia Robert Guédiguian Sceneggiatura Ariane Ascaride, Marie Desplechin, Robert Guédiguian Fotografia Pierre Milon Montaggio Bernard Sasia Costumi Anne-Marie Giacalone Suono Laurent Lafran Musica Arto Tunçboyaciyan Interpreti Ariane Ascaride (Anna), Gérard Meylan (Yervanth), Marcel Bluwal (Barsam), Chorik Grigorian (Schaké), Roman Avinian (Manouk), Simon Abkarian (Sarkis), Madeleine Guédiguian (Jeannette), Jean-Pierre Darroussin (Pierre) Produzione Agat Films & Cie, France 3 Cinéma, Canal+, Ciné Cinéma, Cofimage 17, Soficinéma, Banque Populaire Images 6, CNC, Région Provence Alpes Côte d’Azur, Paradise Ltd

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Le promeneur du Champ de Mars Francia, 2005, 117’, col.

Le passeggiate al Campo di Marte Guédiguian segue l`uomo Mitterrand negli ultimi mesi del suo mandato, ormai minato dal tumore che lo porterà, in breve tempo, alla morte. Lo fa ispirandosi a un libro-intervista e utilizzando i lunghi colloqui di un giovane giornalista con il Presidente. Ne emerge il ritratto di un uomo colto, consapevole dei rischi che il potere comporta, dispiaciuto dell’invidia che lo circonda e dei colpi bassi che non gli vengono risparmiati. Alla fine del suo mandato e dei suoi giorni, il presidente socialista affida le sue confidenze a Antoine Moreau, un giovane giornalista di sinistra che raccoglie le sue parole per farne un libro e che non evita domande imbarazzanti.

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Le voyage en Arménie Francia, 2006, 125’, col.

Viaggio in Armenia [t.l.] Anna, medico di professione, sa che il cuore di suo padre, Barsam, non reggerà a lungo. Ma, invece di prendersi cura di sé come la figlia gli chiede, il vecchio prende il largo. Anna viene a sapere che è ripartito per l’Armenia, il suo paese d’origine e decide di mettersi sulle sue tracce. La donna scopre, così, un mondo al quale non credeva di appartenere e che le sembra allo stesso tempo familiare, inquietante e sorprendente. Un vecchio autista la guida tra le strade di Erevan, dove conosce dal parrucchiere una ragazza che le si attacca addosso e le chiede di portarla in Francia. Incontra anche Yervanth, un ex mercenario e tenera canaglia. Da questo viaggio forzato Anna ne uscirà cambiata.


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Lady Jane Francia, 2008, 105’, col.

Lady Jane All’epoca in cui i Rolling Stones cantavano Lady Jane, Muriel, François e René, amici d’infanzia nati nei quartieri popolari di Marsiglia, dopo aver ucciso un gioielliere durante una rapina, decidono di metter fine alla loro vita di delinquenti. Per farsi dimenticare, si incontrano raramente, fino al giorno in cui il figlio di Muriel viene rapito. Subito si ristabilisce l’amicizia di un tempo e i tre riescono a mettere insieme il denaro per il riscatto. Muriel si presenta puntuale all’appuntamento con i rapitori in una grande piazza deserta, portando con sé i soldi necessari. Il figlio le va incontro sorridente, ma un proiettile lo colpisce mortalmente alla testa e i rapitori non tentano di recuperare il denaro. Dopo alcuni giorni René riesce a scoprire il colpevole...

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L’armée du crime Francia, 2009, 120’, col.

L’esercito del crimine [t.l.] È il 1943 e, in una Parigi occupata dai tedeschi, il poeta armeno Missak Manouchian si pone a capo di un gruppo di giovanissimi partigiani di provenienze disparate. Sono ebrei, ungheresi, polacchi, rumeni, spagnoli, italiani e armeni, tutti uniti dal credo comunista, che rischiano la vita per liberare la Francia dal nazismo e restituirle il titolo di patria dei Diritti dell’Uomo. Il film segue il costituirsi del gruppo, partendo dagli attacchi isolati e occasionali dei singoli fino all’istituzione di una vera e propria squadra organizzata, in un crescendo di azioni di sanguinosa guerriglia urbana, che culminano nell’attentato che porterà all’arresto e alla condanna a morte, nel febbraio del ’44, di tutti i membri della banda: ventidue uomini e una donna. La propaganda di regime trasforma, allora, l’evento in un’operazione contro il movimento partigiano, ribattezzando il gruppo “L’armée du crime”.

Regia Robert Guédiguian Sceneggiatura Robert Guédiguian, Jean-Louis Milesi Fotografia Pierre Milon Montaggio Bernard Sasia Scenografia Michel Vandestien Costumi Juliette Chanaud Suono Laurent Lafran Musica Antonio Vivaldi, Nacimiento Interpreti Ariane Ascaride (Muriel), Gérard Meylan (René), Jean-Pierre Darroussin (François), Jacques Boudet (Henri), Pascale Roberts (Solange), Frédérique Bonnal (Charlotte, la moglie di François), Pierre Banderet (il padrone del bar) Produzione Agat Films & Cie

Regia Robert Guédiguian Sceneggiatura Robert Guédiguian, Serge Le Péron, Gilles Taurand Fotografia Pierre Milon Montaggio Bernard Sasia Scenografia Michel Vandestien Costumi Juliette Chanaud Musica Alexandre Desplat Suono Gérard Lamps Interpreti Simon Abkarian (Missak Manouchian), Virginie Ledoyen (Mélinée Manouchian), Robinson Stévenin (Marcel Rayman), Lola Naymark (Monique Stern), JeanPierre Darroussin (l’ispettore Pujol), Ariane Ascaride (la signora Elek), Ivan Franek (Feri Boczov) Produzione Agat Films & Cie, Studio Canal, France 3 Cinéma, Canal+, Ciné Cinéma, CNC, Agence Nationale pour la Cohésion Sociale et l’Egalité des Chances (ACSE), Région Ile-de-France

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Regia, Sceneggiatura Robert Guédiguian Soggetto dal poema Les pauvres gens di Victor Hugo Fotografia Pierre Milon Montaggio Bernard Sasia Scenografia Michel Vandestien Costumi Juliette Chanaud Musica Alexandre Desplat Suono Gérard Lamps Interpreti Ariane Ascaride (Marie-Claire), Jean-Pierre Darroussin (Michel), Gérard Meylan (Raoul), Marilyne Canto (Denise), Grégoire Leprince-Ringuet (Christophe), Anaïs Demoustier (Flo), Adrien Jolivet (Gilles), Robinson Stévenin (il commissario) Produzione Agat Films & Cie, France 3 Cinéma, Canal+, Les Films de la Belle de Mai, CinéCinéma, France Télévision, Banque Postale Image 4, Cinémage 5, Soficinéma 7, Cofimage 22, Région Provence-AlpesCôte d’Azur, CNC Distribuzione Sacher Distribuzione

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Les neiges du Kilimandjaro Francia, 2011, 107’, col.

Le nevi del Kilimangiaro Michel non ha più un lavoro ma ha ancora una moglie a cui lo legano trent’anni d’amore, due figli e tre piccoli nipoti. La sua vita serena, trascorsa all’insegna dell’amicizia e della solidarietà, è bruscamente interrotta da una rapina, in cui resta coinvolto e sconvolto insieme alla compagna, alla sorella e al cognato. Deciso ad ottenere giustizia e a recuperare il maltolto e due biglietti per l’Africa, regalo di anniversario dei figli, Michel scoprirà accidentalmente che uno dei rapinatori è un giovane operaio licenziato insieme a lui. Amareggiato ma persuaso all’azione, lo denuncia alla polizia che lo arresta davanti agli occhi dei due fratelli più piccoli. Il ragazzo rischia adesso una pena di quindici anni e una detenzione lontana dai fratellini di cui da anni si prendeva cura. Dopo un duro scontro verbale con il rapinatore, Michel lo colpisce con uno schiaffo. Il gesto involontario lo getta in una profonda crisi dalla quale riemergerà interrogandosi sulla sua vita, sul valore del perdono e sul futuro di due bambini rimasti soli.


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Kino club

Kuky se vrací

Kino Club e oltre Una proposta cinematografica dedicata ai ragazzi è prima di tutto la risposta a un bisogno: vedere la sala cinematografica piena di giovani e giovanissimi, un pubblico che, a Bergamo come altrove, spesso diserta gli eventi culturali, vuoi per disinteresse, disinformazione o, più semplicemente, perché l’offerta è riservata a un pubblico più maturo. Purtroppo le regole dei festival cinematografici parlano chiaro: se non hai compiuto diciotto anni, al festival non ci puoi andare. I film che passano in rassegna, quando sono inediti, non sono stati sottoposti al visto di censura, quindi occorre vietare l’accesso ai minori, escludendoli a priori. Come se il cinema fosse solo una passione per adulti. 146


Kino club

D’altra parte, giovani e giovanissimi hanno una grande dimestichezza con il linguaggio audiovisivo, poiché ogni giorno sono bombardati da immagini di ogni tipo, ma non si può dire che la loro esperienza cinematografica sia particolarmente ricca e diversificata: inizia con il consumo televisivo di cartoni animati e qualche sporadica frequentazione della sala per vedere quella manciata di film per ragazzi distribuiti in un anno, e prosegue poi in modo casuale, quando si diventa un po’ più grandi, tra film e serie tv in televisione, in rete o alla multisala con gli amici. La scuola, dal canto suo, non ha percorsi didattici dedicati alla cultura cinematografica. Sono rarissime le opportunità date agli studenti di seguire percorsi dedicati al cinema e all’audiovisivo, conoscere il linguaggio cinematografico, scoprire autori e film del presente e del passato, all’interno degli istituti scolastici. Vedere un film è di per sé una cosa semplice, che possono fare tutti. Avere gli strumenti per analizzarlo e sviluppare una capacità critica richiede un passo in più, un approccio approfondito e non passivo. L’impresa di portare i ragazzi al cinema, riempire la sala di piccoli spettatori, aprire il Festival anche ai più giovani, non può che partire dal creare una proposta, o meglio, una serie di proposte, di coinvolgimento e di approfondimento ad hoc. Da diversi anni, con il progetto “Una giornata particolare”, Bergamo Film Meeting, in collaborazione con gli insegnanti, offre l’opportunità agli studenti delle scuole superiori di partecipare alle proiezioni mattutine del Festival, per vedere i film delle retrospettive storiche. Con la scorsa edizione, l’offerta si è fatta più articolata, arricchendosi di una rassegna internazionale, “Kino Club”, che propone diversi percorsi per i ragazzi delle scuole primarie e secondarie. Durante le giornate di questa trentunesima edizione, il festival proporrà, inoltre, due laboratori pratici: “Cinema... lavori in corso!”, un divertente percorso basato sulla realizzazione dei giochi ottici, e “Videoattivo. Curiosi punti di vista... insolite visioni”, laboratorio con la tv a circuito chiuso in collaborazione con Associazione Avisco di Brescia. E ancora corsi, laboratori, seminari, proposti durante il resto dell’anno, con i progetti che abbiamo chiamato “Summer School” e “Winter School”. Il cinema è un linguaggio che consente di comunicare con tutti e tutti possono scoprirne le potenzialità artistiche, espressive, innovative. Tutti possono conoscerlo più da vicino, a qualsiasi età.

La rassegna: Kino Club «L’animazione è una magia e l’animatore è uno sciamano» (Jan Švankmajer)

Film lunghi e film corti per rappresentare il vivace panorama del cinema d’animazione. Un viaggio nel cinema d’autore, tra opere provenienti da tutto il mondo, di cui sono esplorati stili e tecniche differenti. Piccoli capolavori, selezionati ai festival d’animazione internazionali, che mettono in luce talenti emergenti o consolidati, tecniche sperimentali, tendenze attuali e future. 147


Kino club - Cartoni animati in... corsia

Sceneggiatura, Regia, Fotografia, Animazione a cura dei bambini e dei ragazzi (dai quattro ai diciassette anni) dei reparti di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, Chirurgia pediatrica e Oncoematologia pediatrica dell’Ospedale dei bambini di Brescia nell’ambito del progetto “Cartoni animati in... corsia” Montaggio Irene Tedeschi Produzione, Contatti Avisco – AudioVisivoScolastico, via Tosio 11, 25121 Brescia, Italia, tel./fax +39 030 4199398 info@avisco.org, www.avisco.org

Regia, Sceneggiatura, Fotografia, Animazione a cura delle ragazze (dagli undici ai diciassette anni) del reparto di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’Ospedale dei bambini di Brescia nell’ambito del progetto “Cartoni animati in... corsia” Montaggio Irene Tedeschi Produzione, Contatti Avisco – AudioVisivoScolastico, via Tosio 11, 25121 Brescia, Italia, tel./fax +39 030 4199398 info@avisco.org, www.avisco.org

AA.VV.

Strappi Italia, 2012, 5’ 10’’, col., senza dialoghi, animazione – carta strappata, stop motion

Strappi Tanti personaggi – strappati dal cartoncino colorato – si compongono in un collage movimentato. Tante storie, emozioni e colori quanti gli autori bambini che hanno realizzato le animazioni.

AA.VV.

Viaggio marino spaziale poetico ambientale Italia, 2012, 2’ 07’’, col., senza dialoghi, animazione – carta strappata, stop motion Viaggio marino spaziale poetico ambientale Un omino di carta è comodamente sdraiato sulla spiaggia della sua isola deserta quando decide di fare un bel tuffo in mare. Inizia così un viaggio breve ma intenso, che lo porterà ad esplorare luoghi distanti e misteriosi. E dopo aver tanto viaggiato? Un cartone animato speciale con un titolo che è una piccola poesia.

“Cartoni animati in... corsia” è un progetto pilota che ha coinvolto trentuno giovani e giovanissimi pazienti di alcuni reparti dell’Ospedale dei bambini di Brescia nella realizzazione di due brevi film d’animazione in carta strappata. Grazie a un agile set d’animazione portatile – low tech e low budget – gli operatori Avisco, in collaborazione con gli educatori, hanno messo a disposizione dei ragazzi tutto il necessario per realizzare il proprio piccolo cartoon. Inventare, costruire e animare una storia o un personaggio di carta significa esprimere le proprie idee e il proprio punto di vista sulla realtà, dando corpo e voce al proprio mondo interiore. È un modo magico per raccontarsi, indiretto e discreto, che non passa attraverso le parole. 148


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Loretta Arnold, Andrea Schneider, Marius Portmann, Fabio Friedli

Heimatland Svizzera, 2010, 6’, col., senza dialoghi, animazione – plastilina, stop motion La mia patria [t.l.] Hausi, un patriota svizzero, conduce una vita ordinata e felice nella sua umile casa. Tutto sembra tranquillo fino al giorno in cui uno straniero si trasferisce nella casa accanto, sconvolgendo il suo mondo.

Regia, Sceneggiatura, Animazione, Fotografia, Montaggio, Costumi Loretta Arnold, Andrea Schneider, Marius Portmann, Fabio Friedli Musica Müslüm Suono Philipp Sellier Produzione, Distribuzione Hochschule Luzern Contatti Swiss Films, Neugasse 6, P.O. Box, CH 8031 Zurich, tel. +41 43 2114050, fax +41 43 2114060, info@swissfilms.ch

Il film ha ottenuto il premio Amnesty Corto Giffoni Film Festival con la seguente motivazione: «per il grande messaggio universale contro la xenofobia racchiuso in soli sei minuti, per la grande cura dei particolari, per l’estrema semplicità di comprensione e per il genio creativo».

Frédéric Back

L’homme qui plantait des arbres The Man Who Planted Trees Canada, 1987, 30’, col., animazione – disegni animati, matite colorate su acetato L’uomo che piantava gli alberi [t.l.] Provenza 1913. Un viaggiatore incontra un pastore solitario, Elzéard Bouffier, che ogni giorno raccoglie e semina ghiande in una terra arida. Anno dopo anno, tornando a far visita al pastore, il viaggiatore vedrà il paesaggio trasformarsi gradualmente e scoprirà l’obiettivo del suo continuo seminare: riforestare l’intera vallata. «La prima volta che lessi il racconto, mi commosse la generosità del pastore, che non pretendeva nessuna ricompensa. È l’essenza stessa della felicità, poiché la ricompensa è nel gesto stesso e nella visione delle sue conseguenze benefiche. Di solito un film d’animazione si svolge con un ritmo vivace, con numerosi cambiamenti di scene e situazioni surreali. Il soggetto invece richiedeva dignità, e mi sono persuaso che il disegno animato fosse il miglior modo per raggiungere un vasto pubblico e donare al racconto un aspetto non da film documentario».

Regia Frédéric Back Sceneggiatura Jean Giono Soggetto dal racconto L’uomo che piantava gli alberi di Jean Giono Animazione Frédéric Back, Lina Gagnon Montaggio Norbert Pickering Musica Normand Roger Suono Michel Descombes, Andrè Gagnon Voce narrante Toni Servillo [voce originale Philippe Noiret] Produttori Frédéric Back, Hubert Tison Produzione Canadian Broadcasting Corporation (CBC), National Film Board of Canada (NFB), Société Radio-Canada Distribuzione Société Radio-Canada

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Regia, Fotografia, Produttore, Contatti Loris Mora, loris.mora@popvi.it Soggetto Loris Mora, Omer Sacic Sceneggiatura Loris Mora, Omer Sacic, Debora Bettiol, Toio De Savorgnani Animazione, Montaggio Omer Sacic Scenografia, Costumi Betty Gobbo Interpreti Caterina Camarotto, Mauro Cutrona, Gloria Livotto Voci narranti Marcello Sbigoli, Stefano Masoni Produzione Il Dettaglio Cinematografico

Loris Mora

Caterina e il magico incontro Katherine and the Magic Experience Italia, 2012, 27’, col., animazione – tecnica mista, elementi di computer grafica Caterina e il magico incontro Caterina è una bambina di otto anni di origini cimbre. Vive con i genitori in una casetta tra i faggi nella foresta del Cansiglio. Ama sinceramente la Natura, che un giorno le riserverà un’emozionante sorpresa: il privilegio di incontrare un simpatico gnomo, una creatura del “Piccolo Popolo” invisibili ai più, ma che si manifestano agli animi innocenti. Una storia semplice, una fiaba, ma anche un messaggio per le attuali e future generazioni. «Il messaggio che il film vuole trasmettere agli adulti, ma soprattutto ai bambini, è improntato all’amore per la natura e per tutte le sue creature. L’intento è quello di far arrivare il senso del mistero e del rispetto, che una foresta vasta e importante come quella del Cansiglio dovrebbe infondere. Il film auspica, per le nuove generazioni, lo sviluppo di una sensibilità ecologica legata alla percezione della bellezza e al rispetto dell’ambiente, degli alberi e del bosco, soprattutto ora, nell’Anno internazionale delle foreste».

Regia, Montaggio, Fotografia Johan Oettinger Sceneggiatura Richard Raskin Animazione Rie Nymand, Johan Oettinger Scenografia Emil Kastrup Brahe, Anders Bøge Henriksen, Johan Oettinger Costumi Ann Juel Nielsen Musica Emil Kastrup Brahe Suono Jess Wolfsberg Produttore Ellen Riis Produzione, Contatti Basmati Film (Ellen Riis), Filmbyen 23 st., 8000 Aarhus C, Denmark, tel. +45 23257414, ellen@basmatifilm.dk Distribuzione Det Danske Filminstitut/Danish Film Institute

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Johan Oettinger

Seven Minutes in the Warsaw Ghetto Danimarca, 2012, 7’, bn, senza dialoghi, animazione – burattini Sette minuti nel Ghetto di Varsavia [t.l.] Ghetto di Varsavia, 1942. Basato su un fatto realmente accaduto, il film racconta la storia di Samek, un bambino ebreo di otto anni che vive nel Ghetto di Varsavia durante la Seconda guerra mondiale. «Questo film mostra l’infanzia di un bambino, e la vita che conduce prima che comprenda pienamente il mondo di privazioni e pericoli in cui lui e la sua famiglia sono stati catapultati. Senza un banale crescendo narrativo o soluzioni artificiose, il film finisce nel momento più tragico, lasciando lo spettatore con un senso di perdita e disperazione. In questo modo viola la convenzione seguita dalla maggior parte dei film sull’Olocausto, che offrono al pubblico un senso di sollievo dopo aver mostrato eventi intollerabili. Come un bambino, mi sono innamorato del materiale e della natura artigianale dei burattini. È per questo che ho deciso di mostrare le giunture metalliche e i difetti, un modo per sottolineare la storia, la fragilità e la personalità dei personaggi. Ho voluto che ci fossero occhi umani, di attori, sul viso dei burattini, perchè credo che l’anima e le emozioni si esprimano attraverso gli occhi. Ed è proprio nella bellezza degli occhi, piuttosto che nei gesti teatrali, che i burattini esprimono al meglio pensieri e sentimenti».


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Marco Pavone

Zero Zero Italia, 2011, 71’, col., animazione – computer grafica 2D/3D

Zero Zero 1946. Yuri è un bambino chiuso e insicuro. Il suo unico amico è Cappellaccio, un pupazzo dal grande cappello. Una notte, in seguito a un incidente, Yuri deve attraversare il bosco con Cappellaccio. Secondo una vecchia leggenda, in questo luogo lugubre e misterioso si nasconde un temibile fantasma, pronto ad assalire chiunque profani la sua dimora. Quella notte Yuri si troverà ad affrontare il fantasma per salvare i suoi genitori, svelando così il mistero che lo porterà a conoscere se stesso e il suo destino.

Regia, Sceneggiatura, Animazione, Montaggio Marco Pavone Fotografia James Musica Luna Voci Alex Polidori (Yuri), Massimiliano Alto (Cappellaccio/Yuri adulto), Domitilla D’Amico (la mamma), Mino Caprio (il papà), Sonia Scotti (la nonna), Stefano Oppedisano (il primo maestro), Enzo Avolio (il secondo maestro), Guido Di Naccio (il soldato) Produttori Marco Pavone, Maurizio Pavone Produzione, Contatti Pav1, pav1@alice.it, www.pav1.net

«Zero Zero è nato dalla voglia di fare un film sulla paura utilizzando la grammatica del film di genere horror, combinandolo però al gusto della fiaba. L’idea è nata negli anni successivi all’11 settembre. In quegli anni di terrore, sembrava quasi un crimine non mostrarsi impauriti e cercare di essere ottimisti. Così ho pensato alla storia di un bambino speciale, che attraverso un’avventura spaventosa potesse dimostrare che era ancora possibile vincere la paura».

Jan Svěrák

Kuky se vrací Kooky Repubblica Ceca, 2010, 95’, col., animazione – tecnica mista, burattini, stop motion Torna a casa Kuky [t.l.] Ondra è un bambino asmatico di sei anni. A causa della sua malattia, la mamma lo costringe a buttare nella spazzatura il suo giocattolo preferito, un vecchio orsetto di pezza chiamato Kuky. Ondra si addormenta sconsolato e sogna il viaggio di Kuky verso casa, con incredibili peripezie, attraversando boschi e discariche, per tornare da lui. Il titolo cita il famoso film Torna a casa Lassie. «Nei film come Boog & Eliott a caccia di amici o Shrek il paesaggio è più bello che nella realtà, tutto immerso nella luce rosata, abeti giganti. Mi sono detto: “Mio Dio, ammireranno il paesaggio artificiale e nessuno noterà il paesaggio reale”. Così decisi di fare il contrario: sfruttare le possibilità date dal computer, ma senza intromissioni nella creazione artistica. Kooky sarà limitato nella forma e nelle espressioni, ma a differenza dei film fatti con il computer è reale, perchè si svolge “dietro casa”. E ci sono piccole cose che i bambini possono inventare o riprodurre: stimola la fantasia. Mi ricordo che quando ero bambino nei film mi piacevano le cose che potevo fare anch’io: “Mi costruisco una casa nel bosco, mi faccio un ascensore con un cestino!”. I personaggi di Kooky sono così semplici che i genitori insieme ai figli possono ricrearli: infilano un palo nel muschio e ottengono un personaggio!».

Regia, Sceneggiatura Jan Svěrák Animazione Lukas Herrmann, Tomas Kalhous, Viktor Plch, David Vána Fotografia Mark Bliss, Vladimír Smutný Montaggio Alois Fišárek Scenografia Jan Vlasàk Musica Michal Novinski Suono Jakub Cech, Robert Gumala, Juraj Mravec, Pavel Rejholec, Pavel Stverák, David Titera, Andrea Veselková Interpreti Ondřej Svěrák (Ondra), Kristýna Nováková (la mamma), Filip Čapka (la tata), Oldřich Kaiser (il clochard) Produttori Jan Svěrák, Erik Abraham Produzione Biograf Jan Svěrák, Ceská Televize, Phoenix Film Investments, U.F.O. Pictures Contatti Biograf Jan Svěrák Ltd. (Martina Moudrá), Pod Svahem 7, 147 00 Prague 4, Braník, Czech Republic, tel. +420 244468100, mob. +420 728643223, martina@sverak.cz

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indici Indices


indici indices

INDICE DEI REGISTI INDEX TO DIRECTORS

K Keleti, Miklòs, 72 Kimmins, Anthony, 108

A AA.VV., 148 Abma, Daniel, 34 Allen, Woody, 128 Arnold, Loretta, 149 Aste, Andrea, 77

L Lacoste, Paul, 39 Le Chanois, Jean-Paul, 124 Losey, Joseph, 121, 127 Lotz, Lars-Gunnar, 22

B Back, Frédéric, 149 Bakker, Daan, 68 Bamford, Josh, 69 Berger, Pablo, 78 Brady, Cathy, 69 C Carax, Léos, 79 Cass, Henry, 104 Castle, William, 130 Clément, René, 122 Coton, Maxime, 35 Crichton, Charles, 105 D Damian, Anca, 62 D’Anolfi, Massimo, 36 E Eghbal, Afarin, 70 F Feehan, Seb, 69 Frend, Charles, 111 Friedli, Fabio, 149 G Geyrhalter, Nikolaus, 37 Glenville, Peter, 109 Guédiguian, Robert, 136-144 Gurtovaj, Viktoria, 70 H Hahn, Clarisse, 38 Hamer, Robert, 110, 113 Hawks, Howard, 123 Hitchcock, Alfred, 118, 120 Horowitz, Yariv, 18 Hurst, Brian Desmond, 83 I Irvin, John, 114 J Jaroszuk, Grzegorz, 71 Jiménez, Miguel Ángel, 20 Jokinen, Heta, 71

W Wagner, Zohar, 46 Welles, Orson, 126 Wubs, Hark’oh, 47 Z Zambelli, Andrea, 81 Złotorowicz, Piotr, 48

M Maccioni, Germano, 40 Mackendrick, Alexander, 82, 106 Magnússon, Sigurður Hallmar, 63 Mankiewicz, Joseph L., 125 Marczewski, Filip, 24 Mashlanka, Anne, 70 Metev, Ilian, 41 Mismetti, Ramona, 72 Moore, Robert, 131 Mora, Loris, 150 N Neame, Ronald, 107, 112, 119 O Oettinger, Johan, 150 P Parenti, Martina, 36 Pavone, Marco, 151 Pessoa, Regina, 80 Pichler, Gabriela, 64 Pirot, François, 26 Pixa, Libor, 73 Pomares, Fernando, 73 Portmann, Marius, 149 R Reijmers, Joost, 74 Roucaut, Magali, 42 S Sabini, Demian, 65 Schillaci, Rossella, 43 Schneider, Andrea, 149 Schöller, Pierre, 66 Sjögren, Jens, 28 Sokerov, Simeon, 74 Streker, Stephan, 30 Survila, Mindaugas, 44 Svěrák, Jan, 151 T Tsitos, Filippos, 67 V Von Praunheim, Rosa, 45

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indici Indices

INDICE DEI FILM INDEX TO FILMS 5 Times, 74 A Adikos kosmos/Unfair World, 67 Abuelas/Grandmothers, 70 À la place du coeur/ Al posto del cuore, 139 À l’attaque!, 140 À la vie, à la mort!, 138 Alchimista (L’), 77 A l’oeuvre/At Work, 35 Alto Sauce, 73 Argent fait le bonheur (L’), 138 Armée du crime (L’), 143 Äta sova dö/Eat Sleep Die, 64 B Barnacle Bill/Capitano soffre il mare (Il), 111 Bez wstydu/Shameless, 24 Bizarre samenloop van omstandigheden (Een)/ Curious Conjunction of Coincidences (A), 74 Blancanieves, 78 Blind Date/Inchiesta dell’ispettore Morgan (L’), 121 C Captain’s Paradise (The)/ Paradiso del capitano Holland (Il), 108 Card (The)/Asso pigliatutto, 107 Caterina e il magico incontro, 150 Chaika/Seagull, 20 Crulic – Drumul spre dincolo/ Crulic, la strada per l’aldilà, 62 D Dangerous Moonlight, 83 Dernier été, 136 Dieu vomit les tièdes, 137 Dit is hoe een land ontstond/This Is How a Country Became, 47 Donauspital SMZ Ost/ Danube Hospital, 37 Dos au mur/Back Against the Wall, 72 E Eighty Eight, 69 Entre le Bras/ Step Up to the Plate, 39 Exercice de l’État (L’)/Ministro. L’esercizio dello Stato (Il), 66 154

F Fedele alla linea, 40 F for Fake/Vérités et mensonges/F come falso – Verità e menzogne, 126 Forcine, 72 Friche (La)/Wasteland, 42 G Graffitiger, 73 H Heimatland, 149 Holy Motors, 79 Homme qui plantait des arbres (L’)/ Man Who Planted Trees (The), 149 Honey Pot (The)/Masquerade, 125 Horse’s Mouth (The)/Bocca della verità (La), 112 House on Haunted Hill/Casa dei fantasmi (La), 130 I Iceland: Year Zero, 63 J Jacco’s Film, 68 K Kali, o Pequeno Vampiro/Kali, the Little Vampire, 80 Ki lo sa?, 136 König des Comics/King of Comics, 45 Kuky se vrací/Kooky, 151 L Lady Jane, 143 Last Holiday, 104 Lavender Hill Mob (The)/ Incredibile avventura di Mr. Holland (L’), 105 Limite (Il), 43 Lycka till och ta hand om varandra/Good Luck. And Take Care of Each Other, 28 M Man in the White Suit (The)/ Scandalo del vestito bianco (Lo), 106 Man’s Favorite Sport?/Sport preferito dall’uomo (Lo), 123 Man Who Never Was (The)/ Uomo che non è mai esistito (L’), 119 Marie-Jo et ses deux amours/ Marie-Jo e i suoi 2 amori, 141

Marius et Jeannette/ Marius e Jeannette, 139 Materia oscura, 36 M. Klein/Mr. Klein, 127 Mobile Home, 26 Mond ist ein schöner Ort (Der)/ Moon Is a Wonderful Place to Live (The), 70 Monde nous appartient (Le)/ World Belongs to Us (The), 30 Mon père est ingénieur, 141 Monsieur/Intrigo a Parigi, 124 Murder by Death/ Invito a cena con delitto, 131 N Nach Wriezen/ Beyond Wriezen, 34 Neiges du Kilimandjaro (Les)/ Nevi del Kilimangiaro (Le), 144 Notre corps est une arme – Prisons/Our Body Is a Weapon – Prisons, 38 O Opowiesci z chlodni/ Frozen Stories, 71 P Plein soleil/ Delitto in pieno sole, 122 Poslednata lineika na Sofia/ Sofia’s Last Ambulance, 41 Prisoner (The)/ Prigioniero (Il), 109 Promeneur du Champ de Mars (Le)/Passeggiate al Campo di Marte (Le), 142 R Rock ba’kasba/Rock the Casbah, 18 Rouge midi, 137 S Scapegoat (The)/Capro espiatorio (Il), 113 Schuld sind immer die Anderen/ Shifting the Blame, 22 Seven Minutes in the Warsaw Ghetto, 150 Sivussa/Murky Papers, 71 Small Change, 69 Stebuklų laukas/ Field of Magic (The), 44 Strappi, 148 Sweet Smell of Success/Piombo rovente, 82


indici indices

T Terrados/Rooftops, 65 Tinker Tailor Soldier Spy/Talpa (La), 114 To Paris with Love/Due inglesi a Parigi, 110 Trouble with Harry (The)/ Congiura degli innocenti (La), 118 U Uomo che corre (L’), 81 V Vertigo/Donna che visse due volte (La), 120 Viaggio marino spaziale poetico ambientale, 148 Ville est tranquille (La)/Ville est tranquille – La città è tranquilla (La), 140 Voyage en Arménie (Le), 142 W Wiosna, lato, jesień/Spring, Summer, Fall, 48 Y Yemei hazohar/Doll – Why Did You Dance Naked?, 46 Z Zelig, 128 Zero Zero, 151

INDICE GENERALE CONTENTS MOSTRA CONCORSO EXHIBITION COMPETITION Rock ba’kasba/Rock the Casbah, 18 Chaika/Seagull, 20 Schuld sind immer die Anderen/ Shifting the Blame, 22 Bez wstydu/Shameless, 24 Mobile Home, 26 Lycka till och ta hand om varandra/Good Luck. And Take Care of Each Other, 28 Monde nous appartient (Le)/ World Belongs to Us (The), 30 VISTI DA VICINO CLOSE UP Nach Wriezen/Beyond Wriezen, 34 A l’oeuvre/At Work, 35 Materia oscura, 36 Donauspital SMZ Ost/Danube Hospital, 37 Notre corps est une arme – Prisons/Our Body Is a Weapon – Prisons, 38 Entre le Bras/Step Up to the Plate, 39 Fedele alla linea, 40 Poslednata lineika na Sofia/ Sofia’s Last Ambulance, 41 Friche (La)/Wasteland, 42 Limite (Il), 43 Stebuklų laukas/Field of Magic (The), 44 König des Comics/King of Comics, 45 Yemei hazohar/Doll – Why Did You Dance Naked?, 46 Dit is hoe een land ontstond/This Is How a Country Became, 47 Wiosna, lato, jesień/Spring, Summer, Fall, 48 CANTIERE EUROPA Crulic – Drumul spre dincolo/ Crulic, la strada per l’aldilà, 62 Iceland: Year Zero, 63 Äta sova dö/Eat Sleep Die, 64 Terrados/Rooftops, 65 Exercice de l’État (L’)/Ministro. L’esercizio dello Stato (Il), 66 Adikos kosmos/Unfair World, 67

CANTIERE EUROPA: THE BEST OF CILECT PRIZE Jacco’s Film, 68 Eighty Eight, 69 Small Change, 69 Abuelas/Grandmothers, 70 Mond ist ein schöner Ort (Der)/ Moon Is a Wonderful Place to Live (The), 70 Opowiesci z chlodni/ Frozen Stories, 71 Sivussa/Murky Papers, 71 Dos au mur/ Back Against the Wall, 72 Forcine, 72 Graffitiger, 73 Alto Sauce, 73 Bizarre samenloop van omstandigheden (Een)/ Curious Conjunction of Coincidences (A), 74 5 Times, 74 ANTEPRIME Alchimista (L’), 77 Blancanieves, 78 Holy Motors, 79 Kali, o Pequeno Vampiro/ Kali, the Little Vampire, 80 Uomo che corre (L’), 81 BERGAMO FILM MEETING INAUGURA BERGAMO JAZZ Sweet Smell of Success/ Piombo rovente, 82 i 50 anni del Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo Dangerous Moonlight, 83 ALEC GUINNESS: UNO, NESSUNO, CENTOMILA Last Holiday, 104 Lavender Hill Mob (The)/ Incredibile avventura di Mr. Holland (L’), 105 Man in the White Suit (The)/ Scandalo del vestito bianco (Lo), 106 Card (The)/Asso pigliatutto, 107 Captain’s Paradise (The)/Paradiso del capitano Holland (Il), 108 Prisoner (The)/Prigioniero (Il), 109 To Paris with Love/ Due inglesi a Parigi, 110 Barnacle Bill/Capitano soffre il mare (Il), 111 155


indici indices

Horse’s Mouth (The)/ Bocca della verità (La), 112 Scapegoat (The)/ Capro espiatorio (Il), 113 Tinker Tailor Soldier Spy/ Talpa (La), 114 FALSO D’AUTORE Trouble with Harry (The)/ Congiura degli innocenti (La), 118 Man Who Never Was (The)/ Uomo che non è mai esistito (L’), 119 Vertigo/Donna che visse due volte (La), 120 Blind Date/Inchiesta dell’ispettore Morgan (L’), 121 Plein soleil/ Delitto in pieno sole, 122 Man’s Favorite Sport?/Sport preferito dall’uomo (Lo), 123 Monsieur/Intrigo a Parigi, 124 Honey Pot (The)/ Masquerade, 125 F for Fake/Vérités et mensonges/F come falso – Verità e menzogne, 126 M. Klein/Mr. Klein, 127 Zelig, 128 FANTAMARATONA House on Haunted Hill/ Casa dei fantasmi (La), 130 Murder by Death/ Invito a cena con delitto, 131 ROBERT GUÉDIGUIAN Dernier été, 136 Ki lo sa?, 136 Rouge midi, 137 Dieu vomit les tièdes, 137 Argent fait le bonheur (L’), 138 À la vie, à la mort!, 138 Marius et Jeannette/ Marius e Jeannette, 139 À la place du coeur/ Al posto del cuore, 139 Ville est tranquille (La)/ Ville est tranquille – La città è tranquilla (La), 140 À l’attaque!, 140 Marie-Jo et ses deux amours/ Marie-Jo e i suoi 2 amori, 141 Mon père est ingénieur, 141 Promeneur du Champ de Mars (Le)/Passeggiate al Campo di Marte (Le), 142 Voyage en Arménie (Le), 142 Lady Jane, 143 156

Armée du crime (L’), 143 Neiges du Kilimandjaro (Les)/ Nevi del Kilimangiaro (Le), 144 KINO CLUB Strappi, 144 Viaggio marino spaziale poetico ambientale, 148 Heimatland, 148 Homme qui plantait des arbres (L’)/ Man Who Planted Trees (The), 149 Caterina e il magico incontro, 150 Seven Minutes in the Warsaw Ghetto, 150 Zero Zero, 151 Kuky se vrací/Kooky, 151




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