Africa Nr 5-2012 Settembre-Ottobre 2012

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anno 90

n.5 settembre-ottobre 2012

www.missionaridafrica.org

Mauritania

Uganda

Egitto

Somalia

Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Milano.

Gli ultimi Musica Missione Alba su schiavi a Kampala tra i rifiuti Mogadiscio

tanzania

Perle Swahili


Dialoghi sull’Africa

e n o i z i d e 2a

Un weekend di incontri per capire, conoscere e confrontarsi

Con: Marco Aime, antropologo Riccardo Barlaam, Il Sole 24 ORE Fabrizio Floris, sociologo Kossi A. Komla-Ebri, scrittore

Raffaele Masto, reporter Guido Olimpio, Corriere della Sera Chawki Senoussi, Radio Popolare Pietro Veronese, La Repubblica

Quando: sabato 1 e domenica 2 dicembre 2012 Dove: redazione rivista Africa, Treviglio (BG) Quota di partecipazione: 200 euro, studenti 150 euro Numero partecipanti: 30 Info: animazione@padribianchi.it 334.2440655 www.missionaridafrica.org I primi 8 iscritti potranno usufruire del pernottamento, semplice ma gratuito, offerto dai missionari Padri Bianchi

LIONS CLUB – TREVIGLIO HOST


editoriale

di Raffaele Masto

MISSIONE C

hi ha fatto il mio mestiere, cioè il giornalista che ha percorso l’Africa per raccontare il continente e gli Africani che lo abitano, ne ha incontrati parecchi ottenendo da loro ospitalità e imparando a guardare alle vicende con occhio attento ai problemi e alla vita quotidiana della gente. Sto parlando dei missionari, che in Africa sono una presenza sulla quale si può contare: sono gli ultimi ad abbandonare il territorio quando c’è una guerra, i più impegnati quando carestie, siccità o altre calamità naturali rendono la vita impossibile. Gli unici ad accettare di vivere a lungo in luoghi remoti, senza lussi... Insomma i missionari sono parte integrante dell’Africa. E l’Africa, per molti versi, li ha adottati. Per noi bianchi, indigeni europei, senza i missionari l’Africa non sarebbe il continente che conosciamo.

Un po’ esploratori Del resto, ai tempi in cui il cuore di questo continente era segnato nelle carte geografiche con una macchia bianca e la frase Hic Sunt

Leones, i missionari furono anche un po’ esploratori e contribuirono a colorare quella macchia bianca. Un esempio per tutti: molti decenni prima che l’Italia coronasse il sogno di conquistare l’altopiano etiopico, un missionario vi era arrivato e aveva ottenuto dal “selvaggio” Menelik il permesso di installarsi nel suo regno. Si trattava di Guglielmo Massaja, più conosciuto col nome di Abuna Messias.

Una forza antirazzista Questa sarebbe già sufficiente per celebrare il loro merito. Ma i missionari hanno un primato, o meglio una peculiarità, che ha segnato la storia e continua ad influenzarla. La missione è stata (ed è) una formidabile forza antirazzista che ha saputo riconoscere ad entrambi i soggetti una storia, un percorso, una origine, avvicinando così i Bianchi “civilizzatori” ai Neri “selvaggi”. Questo i missionari lo hanno fatto - e continuano a farlo - condividendo, accettando, cercando di comprendere e valorizzare tradizioni e cultura locale.

Centro Missionario Diocesano Padova

Più che un’avventura!

Certo, non si possono negare gli errori compiuti in buona o meno buona fede; come non si può negare che la Chiesa in Africa e altrove ha favorito, a volte, le forze colonialiste di questa o quella potenza europea, o le esigenze commerciali di imprese che non si curavano affatto delle sorti della gente ma solo dei propri bilanci.

Annunciatori Ma la stragrande maggioranza dei missionari che ha scelto l’Africa - uomini o donne, laici o consacrati -, tutti lo hanno fatto con un genuino desiderio di conoscere e di annunciare alle genti che siamo tutti fratelli, perché figli dello stesso Dio. E che, dunque, tutti meritiamo di

essere trattati con rispetto in quanto possessori di dignità umana. È questa la forza rivoluzionaria che li spinge ancora oggi ad impegnarsi per il riconoscimento dei diritti umani. Il mese di ottobre è tradizionalmente consacrato alle missioni. Pensiamo a questa formidabile avventura, ancora attuale, per uno sviluppo inteso non solo come avanzamento materiale ma soprattutto come progresso integrale dell’Uomo. Un progresso in cui la priorità non è il commercio, il successo, il potere di influenza... Non è poco, in tempi in cui feticci come la crescita, la tecnologia, la scienza promettono di risolvere tutti i problemi, di dominarli e di poterli gestire. • africa · numero 5 · 2012

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sommario

lo scatto 8. La rotta della speranza Nord Africa EditorE

Prov. Ital. della Soc. dei Missionari d’Africa detti Padri Bianchi dirEttorE rEsponsabilE

Alberto Rovelli

dirEttorE EditorialE

Paolo Costantini CoordinatorE

Marco Trovato wEbmastEr

Paolo Costantini amministrazionE

Bruno Paganelli

promozionE E UffiCio stampa

Matteo Merletto

progEtto grafiCo E rEalizzazionE

Elisabetta Delfini

dirEzionE, rEdazionE E amministrazionE

Cas. Post. 61 - V.le Merisio 17 24047 Treviglio (BG) tel. 0363 44726 - fax 0363 48198 africa@padribianchi.it www.missionaridafrica.org http://issuu.com/africa/docs

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copertina

Copertina Bruno Zanzottera/Parallelo Zero Si ringrazia Olycom Collaboratori

Claudio Agostoni, Marco Aime, Giusy Baioni, Enrico Casale, Giovanni Diffidenti, Marco Garofalo, Raffaele Masto, Pier Maria Mazzola, Giovanni Mereghetti, Aldo Pavan, Giovanni Porzio, Anna Pozzi, Andrea Semplici, Daniele Tamagni, Alida Vanni, Bruno Zanzottera, Emanuela Zuccalà CoordinamEnto E stampa

Jona - Paderno Dugnano

Periodico bimestrale - Anno 90 settembre - ottobre 2012, n° 5

Aut. Trib. di Milano del 23/10/1948 n.713/48 L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dai lettori e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite verranno utilizzate al solo scopo di inviare ai lettori la testata e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 196 del 30/06/2003 - tutela dei dati personali).

per la Svizzera:

Ord.: Fr 35 - Sost.: Fr 45 Africanum - Rte de la Vignettaz 57 CH - 1700 Fribourg CCP 60/106/4

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Kenya

cultura

3 Africanews 4 Gli ultimi schiavi 10 Mogadiscio anno zero 16 Secessione! 18 Algeria, la rivoluzione è donna 22 Lady Coraggio 24 Il tiranno di Asmara

54 Libri e musica

attualità

a cura della redazione di Roberto Paolo

di Marco Trovato

di L. De Santi e F. Oggiano di Michela Offredi di Ibrahim Jaber

società

26 29 A scuola di voodoo 30 La città della musica 38 Il volo di Patricia Sciamani pallidi

di Luca Spampinato

di C. Crieti e B. Zanzottera

di Paola Marelli

COME RICEVERE AFRICA per l’Italia: Contributo minimo consigliato 30 euro annuali da indirizzare a: Missionari d’Africa (Padri Bianchi) viale Merisio, 17 - 24047 Treviglio (BG) CCP n.67865782 oppure bonifico bancario su BCC di Treviglio e Gera d’Adda Missionari d’Africa Padri Bianchi IBAN: IT 93 T 08899 53640 000 000 00 1315

60. Trasloco

50 Maxi-raduno

di Alberto Salza e Bruno Zanzottera

di Marco Trovato

africa rivista

Kenya

40 Mondo Swahili

di D. Bellocchio e M. Gualazzini

foto

48. Il prelievo

di Francesca Guazzo

libri - musica di Marco Trovato e Claudio Agostoni

sport

56 I guerrieri del cricket 59 Momenti di gloria

di Richard Naimado e Carl De Souza di Marco Trovato

italia

62 La Super Tata!

di Marco Trovato

storia

66 Un “selvaggio” in gabbia di Enrico Casale

chiese

68 Missionario tra i rifiuti 74 News di Chiesa togu na 76 vita nostra 77

di Anna Pozzi e Bruno Zanzottera di Anna Pozzi

a cura della redazione

a cura della redazione

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news

a cura della redazione

Africanews, brevi dal continente 1 R.d. Congo, l’Onu denuncia La MONUSCO, Missione delle Nazioni unite in Congo, ha denunciato il reclutamento forzato di civili, tra i quali diversi bambini, da parte dei gruppi della guerriglia (e in particolare l’M23) che operano nella regione orientale del Kivu. L’Onu ha raccolto testimonianze che accertano almeno un centinaio di casi di reclutamento forzato.

2 Gabon, la tensione continua Almeno dieci persone sono rimaste ferite negli scontri tra la polizia e i sostenitori del disciolto partito Unione nazionale, a Libreville. La polizia ha arrestato decine di persone. L’Unione nazionale aveva chiesto l’autorizzazione - negata però dalle autorità - per una manifestazione nel centro della città per reclamare una Conferenza nazionale.

3 Uganda, di nuovo Ebola 36 casi di febbre emorragica causata dal virus Ebola, per un totale di 14 decessi, sono stati segnalati in Uganda occidentale. Già nel passato il virus Ebola aveva colpito l’Uganda e altri Paesi della regione (Sudan, Sud Sudan, Congo e Gabon) i quali hanno immediatamente adottato misure negli aeroporti e nei passaggi di confine per evitare una diffusione della malattia. Purtroppo nella

R.d. Congo sono già stati segnalati almeno nove decessi causati dal virus.

4 Etiopia, scontri per la terra Violenti scontri etnici nella regione di Moyala, nel sud dell’Etiopia. Il bilancio provvisorio è di almeno 18 morti, una dozzina di feriti gravi e la fuga di più di 20.000 persone che cercano riparo nel vicino Kenya. Gli scontri oppongono le comunità Borana e Garri per antiche dispute sull’uso dei terreni. Il governo ha inviato l’esercito ma le tensioni permangono.

5 Zambia, no a “Nazione cristiana” Intervenendo nel processo di revisione della Costituzione, i Vescovi hanno suggerito di omettere la dichiarazione che lo Zambia è una nazione cristiana perché – spiegano – sarebbe in contraddizione con il preambolo che riconosce lo Zambia come una nazione multi religiosa. I Vescovi danno anche consigli sulla cittadinanza e sullo sfruttamento delle risorse naturali del Paese.

6 Senegal, processo a Hissène Habré Il Senegal e l’Unione africana hanno concluso un accordo sulle modalità del processo all’ex Presidente del Ciad, Hissène Habré, accusato di aver fatto tortu-

giunti dall’estero, peculato e riciclaggio.

rare o uccidere migliaia di oppositori politici. In base all’accordo, un magistrato africano, assistito da due giudici senegalesi, presiederà una Corte speciale a Dakar. A luglio, la Corte penale internazionale aveva lanciato un ultimatum al Senegal: “Processatelo o estradatelo”. Robert Dossou, rappresentante dell’UA, ha commentato: “Questi procedimenti dimostreranno che l’Africa può processare se stessa”.

8 Tanzania, navi cambiano bandiera La Tanzania ha scoperto che, a sua insaputa e senza la sua approvazione, un agente marittimo di base a Dubai ha cambiato lo Stato di bandiera a 36 petroliere iraniane battenti bandiera tanzaniana. Lo Stato africano ha avviato un’indagine sul fatto, chiedendo agli Stati Uniti e all’Unione europea collaborazione nel controllo delle imbarcazioni battenti la bandiera della Tanzania.

7 Guinea Equatoriale, Obiang Jr e la giustizia La giustizia francese ha posto sotto sequestro la dimora parigina di Teodorin

Fonti: Misna, Bbc, Jeune Afrique, Ansa

6 4 Obiang, figlio del Presidente della Guinea Equatoriale. Sita in uno dei quartieri più chic della capitale, la casa ha un valore stimato intorno ai 100-150 milioni di euro. La giustizia francese aveva già spiccato un mandato d’arresto internazionale contro di lui, con l’accusa di sottrazione di fondi pubblici

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attualità

testo e foto di Roberto Paolo

Gli ultimi schiavi

Mauritania, le sconcertanti testimonianze di chi è costretto a vivere in catene

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in Mauritania la schiavitù è formalmente vietata dal 1980, ma solo sulla carta. ancora oggi migliaia di neri africani soprattutto donne e bambini - sono sfruttati e maltrattati dai loro padroni arabi

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er incontrare Aichetou bisogna fare mezz’ora di auto dal centro di Nouakchott, schivando capre, carretti tirati da asini e mandrie di cammelli, per arrivare alla bidonville di Dar Beidha, a sud della capitale della Mauritania. Qui vivono i parenti che hanno accolto Aichetou e i suoi figli, quando pochi mesi fa è scappata dai suoi padroni. Aichetou era una schiava e perciò anche i suoi sette bambini erano di proprietà del padrone, destinati a una vita di servitù. Ora la donna siede su un tappeto colorato, in un angolo della baracca di fango, assi e lamiere, avvolta in un velo viola che le copre anche il capo. Ai suoi piedi, avvolto in una coperta, c’è un fagottino scuro con tanti capelli. È l’ottavo figlio di Aichetou: il primo nato libero. Lei ha 38 anni ed è schiava da sempre: «Mia madre era schiava, e così anch’io». Non sa né leggere né scrivere: «Agli schiavi non è permesso andare a scuola, nemmeno i miei figli sono mai andati a scuola».

La maledizione dei neri La sua vita era servire la famiglia del padrone, un arabo bianco, in lingua hassanya un beyda-

ne. «Andavo a prendere l’acqua al pozzo, facevo le pulizie, cucinavo, la sera andavo a raccogliere gli animali». In cambio solo vitto e alloggio. «Da bambina mi picchiavano quasi tutti i giorni, da grande no. Ma se non mi comportavo bene mi lasciavano senza mangiare o dovevo dormire fuori all’aperto». Qui in Mauritania è un destino comune a molti neri africani, gli Haratines, discendenti delle popolazioni locali che furono scacciate o sottomesse nel XV secolo dagli arabi bianchi, i Mauri, provenienti da Medio Oriente e Yemen, calati fin qui passando per l’Africa settentrionale. Ancora oggi i Beydane detengono il potere amministrativo, economico, militare e giudiziario nel Paese. Il presidente Aziz, un mauro bianco, ha preso il potere con un golpe militare nel 2008 ed è stato “legittimato” dalle elezioni del 2009. La maggioranza di governo, formata prevalentemente da Mauri, nega l’esistenza della schiavitù. «Perché sono anch’essi degli schiavisti», replica Biram Abeid, combattivo leader dell’Ira (Iniziativa per la rinascita dell’antischiavismo) e membro del Partito radicale italia-

A sinistra, Aichetou mint Mbarek, 39 anni, schiava fuggiasca, accanto ad un cugino che la ospita nella sua baracca alla periferia di Nouakchott. In braccio ha l’ottavo figlio: il primo nato libero. «Non ce la facevo più a sopportare le prepotenze del mio padrone», racconta. «Finalmente ho trovato la forza di scappare». In questa immagine, Moctar Bilal, 13 anni, fuggito anche lui da una casa-prigione per vivere in libertà

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La denuncia dei missionari in una mostra

non ci sono certezze perché gli schiavi non vengono registrati all’anagrafe, non hanno documenti, viene loro negata persino un’identità. Per lo Stato è come se non esistessero. Sono “oggetti”, animali di proprietà del proprio padrone. È il caso di Moctar, che avrà più o meno 13 anni. Lo incontriamo a casa di un attivista dell’Ira, dove si è rifugiato da pochi giorni. Moctar è la terza volta che fugge. Il suo padrone lo frustava con i fili della corrente, racconta mostrando anche orribili segni di bruciature sul petto e su un braccio. «Semplici incidenti domestici», dice. Moctar fugge anche dai suoi genitori che già due volte lo hanno riportato indietro: «Stavolta indietro non ci torno», dice con gli occhi al pavimento, lo sguardo duro di chi è cresciuto troppo in fretta.

«Voglio studiare, imparare le lingue, lavorare con i turisti stranieri», sogna ad occhi aperti. Agli schiavi non viene insegnato neanche a pregare, così non possono nemmeno recitare le cinque preghiere quotidiane obbligatorie per ogni buon musulmano. È come rubargli persino l’anima.

Servi della gleba Secondo il leader dell’Ira Biram Abeid, in Mauritania almeno 500mila persone vivono ancora oggi in schiavitù, in massima parte donne e bambini. Per Aminetou mint Moctar, presidentessa e fondatrice dell’Associazione donne capofamiglia, gli schiavi sarebbero intorno al 15% della popolazione totale, qualcosa come 300mila persone sui 2 milioni circa di mauritani. E poi ci sono gli schiavi affrancati, che o non sono del tutto liberi

I missionari Padri Bianchi sono sempre stati in prima linea nel combattere la schiavitù in Africa. Già nel 1887 il loro fondatore, cardinale Charles Lavigerie, arcivescovo di Algeri, lanciò una coraggiosa campagna antischiavista avente come primo obiettivo la liberazione di giovani schiavi neri. Lavigerie progettò di affrancare, ovvero di comperare, migliaia di piccoli schiavi nell’allora Sudan francese (l’attuale Africa occidentale francofona) per offrire loro una vita finalmente libera. Allo stesso tempo, il cardinale si prodigò nel denunciare in Europa le condizioni disumane imposte agli schiavi africani, reclamando un intervento abolizionista della Santa Sede e della comunità internazionale. Oggi, a 125 anni dalla campagna antischiavista del cardinale Lavigerie, i Padri Bianchi e le Suore Bianche ravvivano l’opera di denuncia del loro fondatore realizzando una mostra fotografica itinerante intitolata Spezziamo le catene! che illustra il dramma della schiavitù in Africa, di ieri e di oggi. Per informazioni e richieste: tel. 0363 44726 africa@padribianchi.it o sono comunque vittime di razzismo da parte del resto della popolazione di mauri. La crisi economica che sta colpendo la Mauritania produce effetti anche in questo settore. I padroni che non hanno più terreni, mandrie e sostanze per mantenere gli schiavi, li lasciano liberi di andare a lavorare altrove o di coltivarsi un proprio campo, a patto che versino al padrone parte del proprio salario o gli consegnino parte del prodotto del proprio lavoro. Si passa così dalla schiavitù alla servitù della gleba. Un fenomeno che fuori dai confini mauritani è poco conosciuto o volutamente ignorato, mentre la

comunità internazionale continua a fare affari e stipulare accordi per la sicurezza della regione con il presidente Aziz. Brahim ould Bilal, professore di filosofia e attivista dell’Ira, accusa: «L’Europa e l’Occidente chiudono gli occhi davanti a questo scandalo per compiacere il presidente Aziz, considerato un ottimo alleato nel contrasto all’espansione dell’Aqmi, il gruppo terroristico di Al-Qaeda nel Maghreb». Ma chi paga in prima persona il prezzo di questa alleanza sono le migliaia di donne e bambini haratines ancora oggi ridotti in schiavitù in Mauritania. •

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lo scatto

testo di Marco Trovato foto di Roberto Salomone/Afp

La rotta della speranza 8

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Nord Africa

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na barca stipata di migranti africani intercettata dalla Guardia Costiera nei pressi dell’isola di Lampedusa. La crisi economica che sta flagellando l’Italia - e l’intera Europa meridionale - ha ridotto, ma non ha arrestato il flusso di gommoni e imbarcazioni provenienti dalle coste libiche e tunisine. Nei mesi scorsi oltre 1300 persone - in fuga da guerre e povertà - sono giunte via mare nel nostro Paese. Almeno 200 sono morte o rimaste disperse nel tentativo di attraversare il Mediterraneo (nel 2011, l’anno delle Primavere arabe, il triste bilancio aveva superato le 1500 vittime). Il traffico dell’immigrazione illegale è controllato da scafisti criminali che vendono i viaggi della speranza per non meno di 2500 dollari. Tra gli immigrati africani aumenta però il numero di chi chiede il rimpatrio nel proprio Paese d’origine, dove l’economia cresce e le condizioni di vita migliorano.

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attualità

testo di Daniele Bellocchio foto di Marco Gualazzini/Luzphoto

Mogadiscio

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anno zero La capitale somala prova a risorgere dalle sue macerie africa 路 numero 5 路 2012

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attualità

devastata da vent’anni di guerra, la città di Mogadiscio sta vivendo una fase di insolita tranquillità. Ma nei cosiddetti “quartieri pacificati” la popolazione vive ancora nel terrore imposto dai miliziani jihadisti legati ad al-Qaeda

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ogadiscio è già avvolta dal buio. Il muezzin chiama all’ultima preghiera. Poi, poco a poco, uno stillicidio di fedeli abbandona le moschee. E da quel momento le strade della capitale cadono in balia del coprifuoco. Non ci sono luci di sera e nessuno si aggira per le vie. Solo spari, colpi di mortaio, traccianti di Ak 47. Di giorno, la morte viene esorcizzata con i riti della vita: in moschea, in spiaggia, nei mercati; la notte, però, bisogna fare i conti con l’ostinazione della guerra. Un anno fa l’avanzata delle truppe Amisom, il

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attualità

Secessione! di Marco Trovato

La mappa dei movimenti indipendentisti in Africa Gli ultimi a reclamare con le armi l’indipendenza sono stati i ribelli tuareg del Mali. Ma l’intero continente è scosso da vecchie e nuove spinte separatiste 1. Angola Nell’enclave di Cabinda - una regione ricca di petrolio e separata dal resto dell’Angola da una striscia di terra appartenente alla Repubblica Democratica del Congo - è attivo da trent’anni il Fronte per la liberazione di Cabinda (il Flec) che conduce attentati, rapimenti e sabotaggi rivendicando l’indipendenza del territorio e denunciando le condizioni di povertà in cui vive la popolazione locale.

2. Etiopia Da trent’anni il Fronte Nazionale di Liberazione dell’Ogadèn lotta contro il governo di Addis Abeba per l’indipendenza della regione confinante con la Somalia. L’accordo di pace siglato nel 2010 è stato rotto con un’escalation di violenze che hanno causato centinaia di morti e 200mila sfollati. Il caos deI confInI Le attuali frontiere degli Stati africani sono state ereditate in larga parte dall’epoca coloniale. Negli anni Sessanta del secolo scorso, durante la decolonizzazione, l’Unione Africana prese la storica decisione di conservare i vecchi confini coloniali - tracciati in modo arbitrario e spesso illogico dalle potenze europee - per scongiurare lo scoppio di sanguinose guerre. Tale scelta, sostenuta anche dall’Onu, provocò malumori e tensioni in alcune popolazioni che ancora oggi non esitano a usare la violenza per rivendicare la propria indipendenza.

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3. Camerun Da cinquant’anni le regioni anglofone sud-occidentali del Camerun (un tempo sotto amministrazione britannica), al confine con la Nigeria, reclamano l’indipendenza dal resto del Paese, dove la popolazione è francofona. Manifestazioni e scioperi si susseguono nelle città di Bamenda e Kumbo, dove i secessionisti minacciano periodicamente il ricorso alla violenza.

4. Kenya Sulle coste keniane agisce nella clandestinità dal 1990 un gruppo separatista, il Mombasa Republican Council, dichiarato nel 2010 «illegale» e «criminale» dal governo di Nairobi. I separatisti swahili rivendicano l’indipendenza di una striscia di terra costiera larga una ventina di chilometri, che un tempo era controllata dal Sultano di Zanzibar.

5. Mali Lo scorso aprile i ribelli tuareg del Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad hanno proclamato l’indipendenza del Nord del Mali dal governo di Bamako. La regione secessionista oggi è nelle mani dei miliziani islamici vicini ad Al-Qaeda che controllano le città di Timbuctu, Gao e Kidal dove hanno imposto con la forza la legge coranica.

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6. Marocco Dal 1976 il popolo saharawi rivendica l’indipendenza del Sahara Occidentale, l’ex colonia spagnola occupata militarmente dal Marocco. Le trattative tra le autorità marocchine e gli indipendentisti del Fronte Polisario sono a un punto morto.

7. Nigeria Nella regione del Delta del Niger, cassaforte del petrolio nigeriano, sono attivi i guerriglieri separatisti del Mend, che accusano il governo centrale di aver svenduto la regione, un tempo fertile e pescosa, alle multinazionali petrolifere responsabili dell’inquinamento locale.

8. Senegal

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Dal 1982 si susseguono gli attacchi militari condotti dal Movimento delle Forze Democratiche della Casamance, un gruppo armato che combatte per l’indipendenza della fertile regione meridionale del Senegal abitata in gran parte da tribù animiste. Le violenze si alternano a negoziati e fragili tregue con l’esercito di Dakar.

9. Somalia Nel 1991 i secessionisti del Somaliland (le regione del Corno d’Africa che fino al 1960 era sotto protettorato britannico) hanno dichiarato l’indipendenza dal resto del Paese. Oggi l’autoproclamata Repubblica del Somaliland è uno Stato fantasma, che attende il riconoscimento internazionale.

10. Sudan Nella regione occidentale del Darfur si sono sviluppate spinte secessioniste, in contrasto con il governo centrale di Khartoum, che hanno innescato sanguinose rappresaglie sulla popolazione civile da parte dell’esercito regolare e dei miliziani arabi Janjawid (letteralmente “demoni a cavallo”).

11. Tanzania Forti pulsioni separatiste agitano la piccola isola di Zanzibar, la cui popolazione è al 99% musulmana e accusa il governo centrale di discriminazione. Le tensioni si acuiscono in occasione delle elezioni, quando a Zanzibar si registrano disordini e violenze.

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attualità

testo di Laura De Santi foto di Francesca Oggiano

Algeria,la rivol

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Il nuovo volto femminile della politica araba

luzione è donna Nel Parlamento algerino, dopo le ultime elezioni il numero delle deputate è triplicato. Ma la lotta delle donne per il riconoscimento dei diritti civili è ancora lunga

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Asma Benkada, ex moglie di Yusuf Al-Qaradawi, ex conduttrice di Al Jazeera Tv, eletta nella lista del Fln (Fronte di liberazione nazionale) alle ultime elezioni legislative

n filo di khol intorno agli occhi. I capelli avvolti in un velo di raso lucido, perfettamente intonato con i colori del suo tailleur dal gusto un po’ retrò. È abituata a curare la sua immagine, Asma Benkada. Ha imparato durante la sua lunga permanenza sugli schermi di Al Jazeera. Per anni volto noto dell’emittente panaraba, sa come rispettare la tradizione islamica strizzando l’occhio all’Occidente. E oggi, poi, è un giorno speciale. Asma sa di aver vinto. Lei è una delle 145 donne del nuovo Parlamento algerino. Una delle 68 deputate del Fronte di liberazione nazionale. Smentendo gli analisti che, dopo Tunisia, Egitto e Marocco, davano vittoriosi i partiti di influenza islamica, l’ex partito unico si è affermato ancora una vol-

ta conquistando 208 seggi sui 462 dell’Assemblea.

Solo fumo negli occhi? Sono le donne l’unica vera novità del panorama politico del più grande Stato africano (dopo la divisione del Sudan). In seguito alla quota voluta dal presidente Abdelaziz Bouteflika, rappresentano il 31,39% del Parlamento. Un balzo enorme rispetto al 7% della precedente legislatura, che fa dell’Algeria uno dei Paesi con la maggior rappresentatività femminile, non soltanto nel mondo arabo. Nonostante la “Primavera”, la percentuale delle donne elette nei parlamenti arabi è rimasta circa al 10, anzi, in Egitto, con la vittoria dei Fratelli Musulmani, le deputate sono crollate dal 12,7 a meno del 2. Ma il Parlamento algerino è diventato molto più rosa anche di quello di Paesi come Italia (21,6%), Francia o Stati Uniti. Un indiscutibile passo avanti per alcuni, come Ban Ki Moon o Hillary Clinton, pronti a lodare i progressi di Algeri, fumo negli oc-

chi per altri, tra cui anche diverse deputate, convinte che la scelta di Bouteflika sia soltanto una mossa di facciata che non porterà nessun cambiamento nel Paese né, tanto meno, migliorerà la condizione delle algerine.

Per volere di Allah «Siamo lontane da ogni ideologia femminista», ci spiega Asma, ex moglie del predicatore egiziano Sheik Youssouf al-Qaradaoui. «Non vogliamo, come le europee, inseguire un modello maschile alla Thatcher o alla Merkel». «I dettami dell’islam non verranno messi in discussione», precisa Saïda Bouneb, una delle quattro donne sindaco del Paese. Dettami che in Algeria si traducono nel discusso Codice della Famiglia, adottato proprio dall’attuale segretario del partito, Abdelaziz Belkhadem, nel 1984. Nonostante gli emendamenti introdotti nel 2005, «la donna continua ad essere considerata una minore a vita», sottolinea Taïati Meziani Hayat, neodeputata del Fronte delle Forze socialiste (Ffs). africa · numero 5 · 2012

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attualità

Admane Karima eletta al Parlamento per la Coalizione verde che racchiude tre partiti islamisti e che nelle ultime legislative ha ottenuto in totale 48 seggi su 462

Taiati Meziani Hyat eletta per il Fronte delle Forze socialiste alle ultime elezioni legislative. È una delle 145 donne che entreranno in Parlamento grazie alla riforma elettorale del presidente Bouteflika

Suzanne, studentessa, ha votato per il partito di Liberazione nazionale «perché è il più conosciuto». Il suo sogno: diventare modella. A sinistra, Nadia Chiouttam, eletta per la seconda volta al Parlamento nella lista del Partito dei lavoratori (PT), l'unico partito guidato da una donna: Louisa Hanoune, candidata a Presidente nel 2004

Amina, studentessa di chimica all'Università centrale di Algeri, alle ultime legislative non ha votato per il rinnovo del Parlamento

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Samira Kerkouche eletta per il Fronte nazionale di liberazione (FLN) è stata la prima donna algerina ad essere eletta nelle Assemblee provinciali


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testo di Michela Offredi

Lady Coraggio

Joyce Banda, Presidentessa saggia e temeraria del Malawi

È salita al potere da pochi mesi, ma ha già realizzato riforme epocali e preso decisioni politiche audaci che hanno spiazzato molti colleghi maschi

Una vita tutta in salita

N

La “donna dei poveri”, come viene chiamata per la sua attenzione alle classi meno abbienti, è nata 62 anni fa in un villaggio del Malawi meridionale. Prima di cinque figli, ha studiato a Cambridge, quindi in Italia e infine si è trasferita a Nairobi, dove ha sposato un uomo dal quale ha avuto tre figli. Dopo dieci anni di matrimonio, ha trovato il coraggio di denunciare gli abusi subiti dal marito e lo ha lasciato per trasferirsi a Lilongwe. Qui, grazie all’appoggio del nuovo marito (un giudice dell’Alta Corte Penale), ha fondato la National Business Women Association per offrire un sostegno all’imprenditorialità femminile. Nel 2004 è entrata in parlamento e, dopo aver guidato il dicastero delle Pari opportunità, è stata nominata ministro degli Esteri. Nel 2009 è stata eletta vice del presidente Bingu wa Mutharika, ma il rapporto fra i due si è incrinato fino alla rottura: nel 2010 Joyce Banda è stata cacciata dal partito al potere. Difficile prevedere che sarebbe finita così.

on ha voluto Omar el-Bashir. Senza giri di parole la neopresidente del Malawi si è rifiutata di accogliere - in occasione del vertice dell’Unione Africana programmato lo scorso luglio a Lilongwe - il leader del Sudan ricercato per crimini di guerra e genocidio. Ma non è l’unica decisione clamorosa che ha portato alla ribalta internazionale questa donna ricca di fascino e carisma, monumento vivente di una politica audace e concreta. A tre mesi dalla sua nomina, Joyce Banda ha riallacciato il dialogo con l’Occidente, smantellato il regime precedente, impostato un piano per uscire dalla difficile situazione economico-sociale. E, per risanare le finanze statali, ha liquidato il jet presidenziale e 22

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le Limousine tanto care al suo predecessore.

Prova di forza «Questo incarico sarà un fardello pesante - disse dopo la sua nomina a Capo di Stato -. Lo porterò per tutte le donne del Malawi. Se fallirò, falliranno con me, se invece avrò successo dovranno stringersi a me». Un monito per coloro che, appena deceduto il presidente Bingu wa Mutharika, avevano pensato di eliminarla dalla partita. Al suo posto - alla faccia della Costituzione - avrebbero preferito il ministro degli Esteri, Peter Mutharika, fratello del Presidente e fido alleato della nomenklatura locale. Il ruolo di delfina Joyce Banda lo perse nel 2010, quando iniziò ad accusare Mutharika di autoritarismo


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attualità

testo di Ibrahim Jaber

Il tIranno L’inquietante parabola del Presidente eritreo Isayas Afeworki, ex combattente per la libertà, è diventato uno dei dittatori più spietati dell’Africa. Si è specializzato nel far sparire nel nulla giornalisti e dissidenti.

E

ra l’uomo della speranza, è diventato il dittatore più feroce del continente africano. Il presidente eritreo Isayas Afeworki, 67 anni, da combattente per la libertà si è trasformato in un despota terrificante. Quando salì al potere nel 1993,

all’indomani della vittoria nella guerra di liberazione contro l’Etiopia, promise di trasformare la sua piccola e povera nazione, ex colonia italiana, in un’isola di prosperità e pace. «Farò tesoro degli errori commessi dai politici africani che hanno governato pri-

ma di me», aveva giurato. È stato di parola, nel senso che si è ispirato alle nefandezze compiute dai peggiori tiranni. Ha negato ai suoi cittadini la libertà di opinione, di voto e di stampa. Ha stretto alleanze con regimi autoritari e - assicura la Cia - persino coi

despoti d’africa Benché la democrazia si stia rafforzando in diversi Paesi, il club dei dittatori africani è ancora molto affollato. Sono almeno una decina i Presidenti - saliti al potere con colpi di Stato o attraverso elezioni “pilotate” - che restano incollati ai posti di comando, governando col pugno di ferro. In Guinea Equatoriale dal 1979 regna Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, ormai settantenne, uno degli uomini più ricchi del mondo, rieletto per la quinta volta Presidente nel 2009 con il 95,4% dei consensi. 24

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In Sudan c’è Omar al-Bashir, da 23 anni al potere, ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità e genocidio. In Ciad l’inossidabile Idriss Déby, sostenuto dalla Francia dal 1990, è accusato di aver ucciso, torturato e imprigionato centinaia di dissidenti. In Camerun il presidente eterno Paul Biya, 78 anni, al potere dal 1982, altro pupillo di Parigi, è stato confermato per la

terroristi somali affiliati ad Al-Qaeda. Ha litigato con la comunità internazionale, rifiutato gli aiuti e isolato l’Eritrea. Peggio: nel 1998 ha condannato a morte migliaia di ragazzi, mandati a combattere una nuova folle guerra contro l’Etiopia. Nel 2001 ha fatto

di Marco Trovato

sesta volta nel 2011 a capo di un Paese tra i più corrotti al mondo. Il Burkina Faso è controllato da Blaise Compaoré, Presidente dal 1987, accusato di molteplici brogli e complotti politici. A Gibuti l’uomo-forte Ismail Omar Guelleh, in carica da 13 anni, è il dittatore più votato del


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testo di Luca Spampinato

Sciamani

pallidi

In Sudafrica si moltiplicano gli stregoni bianchi

Un tempo i guaritori tradizionali sudafricani avevano tutti la pelle scura. Oggi la dilagante passione per gli spiriti ancestrali e le cerimonie di divinazione ha frantumato l’ultimo tabù post-apartheid 26

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parola di stregone C’è da fidarsi di un sangoma bianco? Le capacità di un sangoma non dipendono dal colore della pelle né dalla tribù di appartenenza. Ognuno può imparare a comunicare con gli spiriti. Come si fa a diventare uno sciamano? Non si può decidere di diventare sangoma: non dipende dalla propria volontà. I sangoma hanno risposto a una chiamata. Gli spiriti ci parlano attraverso i sogni e le prove della vita che dobbiamo affrontare. Chi ritiene di avere questa vocazione cosa deve fare? Deve anzitutto trovare un insegnante di fiducia. Come tutto il nostro percorso di vita, è importante essere affiancati dalle persone giuste. Fidatevi del vostro istinto e dei vostri sogni. John Lockley (african-shaman.com).

«H

o perso il lavoro. Mia moglie mi tradisce. Non ho più un soldo in tasca. Soffro di una malattia incurabile. Sono insoddisfatto delle mie performance sessuali… La gente viene da me con le richieste e i problemi più vari. Ma io non faccio miracoli: posso solo aiutare a ritrovare la propria strada perduta».

Dottori dello spirito John Lockley, sudafricano bianco, è un autentico guaritore tradizionale. Fa parte di una categoria - quella dei sangoma - che in Sudafrica gode di grande prestigio e popolarità. La popolazione locale si affida, per curarsi,

A sinistra il sudafricano Luke Van Vuuren, 50 anni, durante una cerimonia tradizionale nel villaggio di Gogogo. In alto, un altro celebre sangoma bianco: John Lockley

a questi dottori - erboristi chiaroveggenti dai poteri eccezionali. Mister Lockley riceve i suoi pazienti nella provincia del Capo Orientale, dove ha conseguito l’attestato che certifica le sue capacità sciamaniche. «Dopo sette anni di apprendistato sono stato iniziato alla medicina tradizionale da una vecchia guaritrice xhosa (l’etnia a

cui appartengono Nelson Mandela e Desmond Tutu, ndr)», racconta raggiante. Oggi passa le sue giornate a visitare “gente bisognosa” proveniente da ogni parte del mondo. Nel suo sito internet (www.african-shaman.com) elenca i disturbi dell’anima che può curare (depressione, insonnia, nevrosi, ansia…) e ricorda le sfere d’intervento in cui è specializzato (crescita spirituale, interpretazione dei sogni, blocchi emotivi, superamento di vecchi traumi…).

Consulenze sciamaniche La differenza sostanziale tra uno psicologo o psichiatra occidentale e John

Lockley è che quest’ultimo non propone ai suoi pazienti farmaci chimici o sedute di psicoterapia. Li sottopone a una cerimonia di “benedizione” che - chiarisce lui stesso - «mi permette di entrare in comunicazione con lo spirito del cliente e le sue guide spirituali ancestrali». Per cominciare, lo stregone dal viso pallido e i lunghi capelli biondi effettua un rito divinatorio per identificare i problemi più profondi del paziente. In una ciotola tradizionale getta pezzi di ossa, conchiglie e altri oggetti sacri; poi interpreta i segni simbolici che solo un vero sangoma può vedere. I clienti venafrica · numero 5 · 2012

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testo e foto di Marco Trovato

Beethoven e

Lezione di piano di James Ssenanda, 25 anni, alla Kampala Music School e a destra Jero William, trombettista, 29 anni, suona tra le baracche dello slum di Katanga

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La città


Mozart dall’alba al tramonto. A Kampala

Nella capitale dell’Uganda la vita scorre sul pentagramma. Tra lezioni di musica, orchestre sinfoniche, liutai autodidatti e fanfare composte da ragazzi di strada

A

Kampala capita di essere svegliati dai rumori più strani. Un giorno è il trambusto di una discoteca itinerante gremita da giovani rappettari. Un altro è il verso sgradevole di un marabù, uno di quegli uccelli-spazzini che affollano la metropoli nutrendosi di rifiuti. Un altro ancora è la voce sguaiata di un predicatore cristiano in estasi mistica che tenta di sovrastare il richiamo dei muezzin. Anche quando in città sembra regnare

un’insolita tranquillità, c’è sempre qualcosa di fastidioso e inatteso - il ronzio di un generatore diesel, le martellate di un cantiere, le urla di un venditore di strada - che spezza la quiete del mattino.

Una tromba stregata Nello slum di Katanga è tutta un’altra musica. Qui ogni nuova giornata viene annunciata dalle melodie languide e struggenti di Miles Davis. Allo spuntare del sole le note del celebre

jazzista serpeggiano irrefrenabili tra i vicoli sudici e penetrano nelle catapecchie di fango e lamiere abitate da migliaia di persone. A dare la sveglia alla gente della baraccopoli ci pensa Jero William, trombettista di 29 anni, talento musicale del quartiere, che vive con la sua famiglia in una casupola ingombra di materassi, scodelle e… strumenti a fiato. «La musica è la mia vita», spiega Jero sfoderando la sua inseparabile tromba. «Quando

l’ho presa in mano la prima volta non sapevo neppure come si suonasse. All’epoca vivevo sulla strada, la mia unica preoccupazione quotidiana era trovare qualcosa da mangiare e un riparo per la notte. Un giorno - avevo appena dieci anni - capitai per caso in un centro giovanile dove stava suonando un gruppo di scout. Mi fermai ad ascoltarli per ore. Alla fine delle prove, soffiai per curiosità in una tromba e ne rimasi stregato».

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di seconda o terza mano. «Le orchestre in Europa se ne disfano perché li considerano dei ferrivecchi», spiega Charles Dickens, giovane liutaio autodidatta. «Ma qui a Kampala, con un po’ di pazienza e inventiva, riusciamo a farli tornare come nuovi». I pezzi di ricambio non sono un problema: quando si rompe la corda di un basso, la si sostituisce con il cavo di un freno; una grancassa bucata viene rattoppata con pelli di capra o di serpente; l’arco di un violino, in assenza dei crini di cavallo, è riparato coi capelli artificiali venduti dai parrucchieri.

L’arte dell’arrangiarsi «Ci arrangiamo alla meglio», sospira uno studente piegato dal peso di un violoncello portato a tracolla. «È la mia croce», scherza mentre sgattaiola nell’androne della Kampala Music School. Gli allievi della scuola si accalcano in minuscole aule insonorizzate coi cartoni delle uova. Alle nove iniziano le lezioni di violino e pianoforte, poco dopo attaccano i tromboni e i contrabbassi, a metà mattinata irrompono i vocalizzi degli aspiranti tenori e soprani. Nella sala principale, un

FUORI DAI GHETTI, GRAZIE ALL’ARTE In Nigeria un progetto di arte-terapia ideato da un’attivista italiana aiuta i giovani provenienti dai sobborghi più difficili di Lagos e Port Harcourt testo di Christine Ajulumpu foto di Aderemi Adegbite Il nome “BornTroWay” nello slang nigeriano significa “nato e abbandonato”. Ma non c’è un filo di disperazione in questa storia. BornTroWay è un progetto di ‘arteterapia’ rivolto agli adolescenti provenienti dai ghetti urbani più difficili. Un progetto ideato da Ilaria Chessa, una giovane attivista italiana emigrata in Nigeria, assieme all’artista locale Ade Bantu. «L’abbiamo lanciato un paio di anni fa ad Ajegunle, il sobborgo più grande di Lagos, dove abitano due milioni di persone», spiegano i promotori. L’iniziativa ha avuto successo e ben presto è stata replicata nella città di Port Harcourt, nel Delta del Niger. «In pratica offriamo la possibilità ai giovani di seguire gratuitamente un corso intensivo di formazione artistica - chiarisce Ilaria Chessa - grazie ad una rete di istruttori professionisti Designer senza frontiere che tengono lezioni di musica, poesia, danza e in ruanda, nella città di Butare, è attiva una recitazione». Alla fine del corso i partecipanti danno cooperativa di 300 artigiani vita ad uno spettacolo. «E non sono pochi i ragazzi (in maggioranza donne) che preferiscono restare sul palcoscenico, tentare che produce oggetti in la carriera artistica, anziché tornare a bighellonare legno e fibra vegetale destinate alle botteghe del in strada». Philip Abu, vent’anni, si è innamorato commercio equo in italia. della danza e adesso passa da un’audizione a un a coordinare la produzione concorso. Kemi Bakare, 17 anni, ha scoperto di aver c’è una volontaria italiana, Maria Pellerano, laureata una grande passione per la letteratura e ora scrive in design industriale e racconti e poesie. Francisca Agbanzo, stessa età, ha fondatrice della onlus fondato nel suo quartiere la “Casa della Poesia”, un Designers senza frontiere, che si è recata in ruanda luogo di aggregazione dove i giovani si incontrano per per valorizzare le recitare e preparare performance teatrali. Infine, Peace tecniche di lavorazione Maseba, 22 anni, di Port Harcourt, ha partecipato tradizionali e far decollare con successo alla competizione canora televisiva il business dell’artigianato di qualità. www. Nigerian Idol (il corrispettivo locale di X-Factor). designersenzafrontiere.org «Senza il Progetto BornTroWay non avrei mai creduto di esserne capace», confessa. Per seguire e sostenere l’iniziativa: http://borntroway. tumblr.com

A fianco, in alto, le prove della M-Lisada Brass Band. Spiega il fondatore Bosco Segawa: «Grazie ai concerti riusciamo a sfamarci e a pagare l’affitto del fabbricato in cui viviamo». In basso: la piccola orchestra della Kampala Music School africa · numero 5 · 2012

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società

Il volo dI Pa di Paola Marelli

L’appassionante decollo della prima donna

F

in da piccola desideravo volare nel cielo: avrei fatto qualsiasi cosa pur di realizzare quel sogno». Patricia Mawuli Nyekodzi, 24 anni, ce l’ha messa tutta per staccare i piedi da terra e spiccare il volo. Ma prima di riuscire a toccare le nuvole con un dito ha dovuto affondare le mani nella terra. Era il 2007 quando si presentò agli uffici del Kpong Airield, un piccolo aeroporto privato nell’est del Ghana,

«

Patricia Mawuli Nyekodzi, 24 anni, è partita da un povero villaggio di capanne. E dopo tanti sacrifici è arrivata più in alto di tutti

50 chilometri a nord della città di Tema. Patricia era in cerca di un lavoro. Le consigliarono di parlare col responsabile dello scalo: Jonathan Porter, conosciuto da tutti come “Captain Yaw”.

La fiducia dal capitano «Ricordo bene quel giorno di cinque anni fa», racconta l’uomo, 48 anni, origini inglesi, ingegnere aeronautico, amministratore dello Waasps

Aviation Development (azienda leader nei voli leggeri in Africa occidentale). «Quella ragazza mi colpì subito: aveva lo sguardo sveglio e un incontenibile entusiasmo. Era spuntata all’improvviso dalla savana, proveniva da un villaggio della zona… La spedii sulla pista di atterraggio con un machete e una zappa chiedendole di tagliare le erbacce e sradicare gli arbusti».

«Venne da me in cerca di lavoro e la spedii a pulire la pista di atterraggio». Captain Jonathan Porter

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copertina

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testo di Alberto Salza foto di Bruno Zanzottera/Parallelozero

Mondo Swahili

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Alla riscoperta di un’antica civiltà sulla costa della Tanzania

C’

era una volta un povero che viveva accanto a un ricco. Il povero aveva un piccolo recinto con dentro una capra. Il ricco aveva un grande recinto con dentro mille capre. Il ricco voleva la capra del povero, e se la prese. Il povero disse: «Sgozza pure la capra e mangiatela, ma restituiscimi la pelle, per favore». E così il ricco fece. Il povero esclamò: «Quant’è cretino! Mi ha restituito la proprietà!».

Tra l’africa e l’asia

Questa è una storia che ha a che fare con il rapporto tra il deserto e la foresta, la miseria e l’abbondanza. La si narra sulle barriere di sabbia della costa dell’Africa orientale, in quel sottile interfaccia tra mare e boscaglia che è abitato dagli Swahili. Gli Swahili

sono un incrocio di mondi: uno sconosciuto numero di popolazioni africane, in fuga da colline e savane semiaride, si è insediato lungo la costa a sud di Capo Guardafui, l’estrema punta della Somalia; un egualmente ignoto numero di persone provenienti da oriente, mercanti, pescatori, sbandati, rifugiati, con e senza famiglia, si è piazzato sulla stessa costa arrivando dall’Arabia, dalla Persia, dall’India, dal Madagascar. Il risultato è un omogeneizzato: gente che parla una lingua essenzialmente africana e vive una cultura eminentemente orientale. Viaggiando a mio rischio e pericolo sui matatu, i taxi collettivi che sfrecciano lungo le coste di Kenya e Tanzania, sono stato ingozzato di pollo, trippa e riso al curry: Africa più Asia in culinaria. Come tutti i marinai, gli Swahili odiano il mare. Il pesce lo mangiano i turisti.

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Lettura del Corano a Zanzibar. Gli Swahili, in maggioranza musulmani, seguono scrupolosamente la legge islamica. Nella pagina accanto, la Grande Moschea di Kilwa Kisiwani, un tempo la più grande di tutta l’Africa Orientale. Nella foto di apertura, la panoramica aerea dell’isola di Songo Songo, al largo della costa della Tanzania

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Kenya

lo scatto

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testo di Nzioka Museru foto di Jean Curran/AFP

U

n’infermiera cinese della naveospedale Peace Ark, ancorata al porto di Mombasa, esegue un prelievo di sangue per esami diagnostici a un giovane keniano. I controlli medici gratuiti fanno parte di una missione umanitaria promossa dal governo di Pechino. La Cina è diventata il primo partner dell’Africa: negli ultimi cinque anni i suoi investimenti nel continente sono decuplicati e oggi gli scambi commerciali superano i 100 miliardi di dollari. Pechino ha un disperato bisogno delle ricchezze africane: anzitutto petrolio e minerali strategici. Al tempo stesso, l’Africa rappresenta un immenso mercato per le imprese cinesi. Dietro gli aiuti sanitari, insomma, si celano contratti milionari per appalti, cantieri e concessioni. Niente di nuovo.

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il


prelievo africa 路 numero 5 路 2012

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cultura

testo e foto di Francesca Guazzo

Maxi-

Joel Sartore/National Geographic

Zambia, la pacifica invasione

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La migrazione dei pipistrelli potrebbe richiamare molti turisti in Zambia. Come avviene nella riserva Eckert James River Bat Cave, in Texas, dove in luglio l’esodo di 6 milioni di pipistrelli messicani è un’attrazione redditizia

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-raduno dei pipistrelli migratori

Ogni anno dieci milioni di pipistrelli volano per migliaia di chilometri nei cieli africani per raggiungere il Kasanka National Park. È la più grande migrazione di mammiferi al mondo. Uno spettacolo che lascia senza fiato

F

orse un po’ a sorpresa, lo spettacolo della più grande migrazione di mammiferi sulla Terra non è quello offerto dalle immense mandrie di gnu e zebre che tra Kenya e Tanzania percorrono centinaia di chilometri alla ricerca di fresche praterie, ma è quello, altrettanto emozionante e scenografico, che ogni anno vede protagonisti circa dieci milioni di pipistrelli da frutta (Eidolon helvum) che approdano al Kasanka National Park, in Zambia, provenienti dalle foreste del Congo e dalle savane di Uganda e Sud Sudan.

Enigma affascinante

I biologi e i ricercatori hanno tentato di spiegare il motivo di questa migrazione di massa, così come le rotte seguite dagli stormi, ma gli studi non hanno finora svelato l’affascinante segreto che attiva ogni anno il maestoso esodo, lungo migliaia di chilometri. I pipistrelli da frutta (la cui apertura alare arriva a misurare un metro) si africa · numero 5 · 2012

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KASANKA NATIONAL PARK

“bat safari”

Il tour operator Africa Wild Truck (www.africawildtruck.com) propone dal 1° al 14 dicembre 2012 una spedizione all’interno del Kasanka National Park (www.kasanka. com), 390 chilometri quadrati di natura selvaggia, un piccolo paradiso abitato da antilopi, ippopotami, coccodrilli, elefanti... E milioni di pipistrelli da frutta. Con un trekking a piedi nella foresta di Fibwe si entra nel cuore della grande migrazione, salendo anche su torrette di avvistamento per godere meglio dello spettacolo. Per maggiori informazioni: info@africawildtruck.com

nutrono principalmente di bacche: durante la stagione delle piogge trovano nel Kasanka National Park un luogo in cui rifocillarsi, riuscendo ad ingerire giornalmente una quantità di cibo fino a due volte il loro peso corporeo. Dopo essersi saziati e riposati, i pipistrelli iniziano a riprodursi e dopo il parto iniziano ad allattare.

Golosi di frutta Ogni anno, ogni sera, da metà ottobre fino a fine dicembre, al calar del sole il cielo si copre di milioni di ali silenziose: l’atmosfera rimane suggestiva e magica per settimane, durante

il periodo in cui migliaia di colonie di questi mammiferi diventano residenti e trovano casa tra gli alberi del parco. Durante il giorno si riposano; la concentrazione è talmente alta che il loro peso arriva a far crollare alcune piante secolari. Al crepuscolo e per tutta la notte, invece, si attivano e riescono a percorrere anche cento chilometri in cerca di bacche, senza disdegnare i frutti di mango che in questo periodo si trovano abbondanti. Per l’ecosistema l’importanza di questo spettacolo è incredibile, basti pensare che l’impollinazione e la germinazione dei semi delle

Il lungo volo dei pipistrelli permette di impollinare e diffondere i semi che rinnovano la foresta foreste tropicali dipendono in larga parte dai pipistrelli. Anche per questo, la pacifica invasione di questi animali viene salutata con gioia dalla popolazione locale. • africa · numero 5 · 2012

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libri

di Marco Trovato

Animali africani

di Davide Bomben

L’Italien

di Rino Bianchi

L’ombra dell’uomo

Sulle strade dell’utopia

Un cantiere senza progetto

Nel 1960 la ventiseienne inglese Jane Goodall arriva sulle rive del lago Tanganica, in Tanzania, per studiare il comportamento degli scimpanzé allo stato brado. Sprovvista di un’adeguata preparazione scientifica (ma dunque libera dalle idee preconcette del mondo accademico), la Goodall dovrà affrontare enormi difficoltà: la malaria, le mosche tse-tse, la diffidenza o l’aperta ostilità dei primati… Ma riuscirà con tenacia nell’incredibile impresa di farsi accettare dagli scimpanzé come membro della loro comunità. Considerato un testo fondamentale sullo studio del comportamento degli animali, L’ombra dell’uomo è la cronaca di un’avventura - scientifica e umana - straordinaria, nel cuore dell’Africa selvaggia, che cattura il lettore dalla prima all’ultima riga.

C’era a Bologna un prete, scomodo e rude cappellano degli universitari, che per quarant’anni ha trascinato gruppi di studenti in Africa. Per aprirli alla mondialità, per provocarli a mettere la loro futura professione a servizio dei poveri. Don Tullio Contiero, scomparso nel 2006, ha lasciato il segno in generazioni di goliardi. Questo libro ne presenta la biografia e un’antologia di scritti.

Italia, Paese cattolico? Il Belpaese diventa sempre più una “Italia delle religioni”, come insiste il sottotitolo di questo Rapporto 2012, uscito ora a tre anni dal precedente, Il muro di vetro. Una quarantina di autorevoli esperti tratteggia le linee di forza del fenomeno multireligioso che si sta affermando sotto i nostri occhi e di cui non è sempre facile cogliere proporzioni e caratteristiche. Ferve l’attività di un «cantiere delle fedi», dicono i curatori, «ma senza un progetto chiaro», anche per la mancanza di un riconoscimento costituzionale dei diritti delle varie comunità. In questa vasta ma snella ricognizione non potevano mancare capitoli sull’islam «che cambia e non cambia» come sulla «leadership di seconda generazione» dell’Ucoii nonché sulle «Chiese etniche e multietniche».

di Jane Goodall

Primo volume, dedicato ai mammiferi, di una nuova collana di manuali pratici dedicata agli amanti dei safari. Un’opera rigorosa, di taglio scientifico, ma piacevolmente divulgativa, che svela caratteristiche, abitudini, habitat e curiosità su decine di piccoli e grandi animali che abitano le savane e le foreste dell’Africa (ma anche i mari: ci sono i delfini e le otarie). E fornisce notizie aggiornate sullo stato di salute di alcune specie minacciate dall’uomo. Particolarmente ricca la sezione dedicata ai felini predatori, ai ruminanti e ai grandi primati. L’autore ha lavorato per anni come guida in Namibia e oggi si occupa della formazione dei ranger delle unità antibracconaggio nei parchi e nelle riserve dell’Africa. Informazioni: www. espertiafrica.it

L’italien è il soprannome affibbiato a un giovane imprenditore del legno che sbarca in Africa occidentale nel 1967. Il romanzo si dipana tra Gabon e Costa d’Avorio, nazione che diventa per il protagonista una seconda patria (diverrà direttore di un’azienda modello). Una storia che ripercorre cinquant’anni di storia di un Paese già simbolo del miracolo economico africano L’autore, classe 1933, uno dei massimi esperti nel settore del legno - è nato a Lissone, città di grandi mobilifici -, ha trascorso gran parte della vita in Costa d’Avorio, dove ha guidato la Compagnie Industrielle du Bois (vicende narrate in un altro volume, pubblicato nel 2004: Noce Tanganika). www.edizionibiografiche.it Edizioni Biografiche 2012, pp. 191, 10 euro

Aiea 2010, pp. 391, 30 euro Orme editori 2012, pp. 317, 18,50 euro 54

africa · numero 5 · 2012

di Pier Maria Mazzola

Emi 2011, pp. 157, 12 euro

Storia Un libro per appassionati di storia coloniale: Le grandi figure dell’Africa lusofona, a cura di Severino Ngoenha e Luca Bussotti. Un interessante excursus sui protagonisti delle indipendenze delle ex colonie portoghesi: Agostinho Neto (Angola), Amílcar Cabral (GuineaBissau), Eduardo Mondlane e Samora Machel (Mozambico). www.timeforafrica.it Aviani 2011, pp. 203, 18 euro

a cura di Paolo Naso e Brunetto Salvarani

Emi 2012, pp. 368, 18 euro


musica

di Claudio Agostoni

Go AfrIcA DjAb MAkAy

«Africa svegliati. Vai. Costruisci la pace e l’unità. Fallo ora. Vai Africa. Africani neri, voi siete l’Africa. Africani bianchi, voi siete l’Africa. Giovani africani, voi siete l’Africa. Mettiamo a disposizione le nostre mani e lavoriamo per rendere economicamente forte la nostra Africa. Per renderla forte politicamente e culturalmente. Mettiamo a disposizione le nostre mani e costruiamo la pace». Queste le esortazioni che Djab Makay, musicista e scrittore nato e cresciuto a Bamako (Mali), ripete più volte nella title track che dà il nome a tutto il lavoro. Realizzato con l’ausilio del berlinese Martin Michna, è una raccolta di 15 canzoni dalla facile orecchiabilità. Un CD che rimarrà nella storia della musica africana, che si ascolta con piacere. www.djabmakay.com

LA GUINÉENNE Mory kAnTe

La noce di cola è una specie di grossa fava dal gusto amarognolo. Ha effetti stimolanti e per via dei suoi rapporti preferenziali con il cavo orale è eternamente associata ai poteri del griot, la bocca per antonomasia. Il guineano Mory Kante, con album come Ten Cola Nuts, è una delle bocche grazie alle quali le culture musicali (e non) della sua terra sono sbarcate nel nord del mondo. Dopo aver vissuto qualche anno a Parigi è tornato in Guinea diventando una fonte d’ispirazione per le nuove generazioni africane. La guinéenne, il brano che dà il nome al suo undicesimo album, è un omaggio alle donne, troppo spesso oppresse malgrado i loro sacrifici e il ruolo centrale nello sviluppo delle società dove vivono.

D’AbIDjAN À PArIS MAgiC SySTeM

Lo sticker appiccicato sulla copertina del doppio cd urla: “Tutte le canzoni del più grande gruppo africano contemporaneo”. Ed elenca i titoli: Chérie Coco, Ler Gaou, Zouglou Dance, Bouger Bouger, Ambiance à l’Africaine… I titoli che contano in effetti ci sono tutti, e in più c’è un prezioso inedito Tango Tango. Forse si sono un po’ allargati definendo la band ivoriana “il più grande gruppo africano contemporaneo”, ma di sicuro sono un ensemble fondamentale: sia per la loro proposta musicale che per l’impatto sociale che i loro brani hanno determinato. Non bisogna infatti dimenticare che da parecchi osservatori il loro genere musicale, lo zouglou, è considerato un antidoto per le malattie sociali che affliggono la Costa d’Avorio, e gran parte dell’Africa.

ISIS

oDwAllA

È la nona pubblicazione di un gruppo meticcio composto da musicisti africani e italiani. L’album è doppio e include un DVD live registrato al teatro Giacosa di Ivrea in occasione dell’Open World Jazz Festival, mentre il secondo è un CD di improvvisazioni che contiene tracce live con ospiti internazionali del calibro di Famoudou Don Moye, Doussou Touré, Dudu Kwateh e molti altri.

radio africa

Per essere aggiornati sulle novità musicali di un significativo scampolo d’Africa basta ascoltare Radio Africa, la più importante radio dell’Africa lusofona. Il sito www.rtp. pt/rdpafrica/ consente di ascoltare le programmazioni in streaming le trasmissioni diffuse on air a Capo Verde, Guinea Bissau, Mozambico, São Tomé e Príncipe. I programmi sono diffusi per 20 ore al giorno dagli studi di Lisbona. africa · numero 5 · 2012

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sport

testo di Richard Naimado foto di Carl De Souza/Afp

I guerrieri

Un antico sport importato dai coloni inglesi sta app I Maasai Warriors sono la prima e unica squadra di cricket composta da giovani della celebre tribù keniota. Si allena in piena savana. Sotto gli ordini di una donna

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L

a globalizzazione ci ha insegnato a non stupirci più di nulla. Ma davvero non avremmo mai creduto di vedere un gruppo di guerrieri masai impegnato ad allenarsi nel più british degli sport: il cricket. Accade sulle spiagge di

Mombasa, nota località turistica keniana, dove gli atleti del Maasai Warriors Cricket Team si stanno preparando per affrontare un torneo internazionale. «In questo periodo dell’anno fa troppo caldo per giocare in piena savana», spiega l’allenatrice Aliya


TaccUino

Il cricket è nato in Gran Bretagna ed è praticato principalmente nei Paesi del Commonwealth (in Africa è molto popolare in Sudafrica e Zimbabwe). Viene giocato fra due squadre di undici giocatori ciascuna che si affrontano su un campo in erba dalla forma ovale o rettangolare. A turno i giocatori sono impegnati nel lanciare la palla e difendere il proprio campo. Gli avversari alla battuta, una volta eliminati, sono sostituiti da un compagno di squadra fino all’eliminazione del decimo battitore. Tra un tempo e l’altro, le squadre invertono i propri ruoli. Scopo del gioco è quello di mettere a segno più punti possibile e di non farsi eliminare quando si è in battuta, e viceversa di non far segnare punti e di eliminare i battitori avversari quando questi sono al lancio. Le partite possono durare da due ore a intere giornate.

del crIcket

assionando i guerrieri Masai del Kenya Bauer. «La gran parte dei miei giocatori non aveva mai visto prima il mare. Ma non siamo venuti sulla costa per fare vacanza: dobbiamo addestrarci duramente perché ci attendono sfide impegnative». Aliya Bauer, 34 anni, professione naturalista, in

passato è stata una giocatrice professionista di cricket in Sudafrica, suo Paese d’origine. Ancora oggi coltiva una grande passione per questo antico sport di squadra (ne abbiamo notizia già nel 1550), esportato in mezzo mondo dagli inglesi ai tempi

delle colonie. «In Kenya il cricket è rimasto per lungo tempo confinato in pochi club esclusivi di Nairobi», spiega la donna che per prima ha portato l’equipaggiamento e le divise da gioco in un piccolo villaggio della savana, Polei, nelle regioni centrali del

Paese, non lontano da dove vive e lavora.

Atleti formidabili «Cinque anni fa ho recuperato a mie spese tutto l’occorrente per giocare: mazze, palle, caschi e protezioni. Ho iniziato ad insegnare le regole del gioco africa · numero 5 · 2012

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sport

testo di Marco Trovato

Ruanda protagonista alle Paralimpiadi

Momenti di gloria M

entre andiamo in stampa, a Londra si stanno svolgendo, dal 29 agosto al 9 settembre, le Paralimpiadi, riservate agli sportivi affetti da handicap fisici, con una presenza record di atleti provenienti da quaranta Paesi africani (www. africanparalympic.org). A far notizia è la squadra ruandese di Sitting Volleyball - una specie di pallavolo praticata dalle persone amputate agli arti inferiori -, la prima dell’Africa nera a qualificarsi per questa speciale disciplina (si gioca stando seduti sul pavimento, con il campo più piccolo e con la rete più bassa): «Una bella rivincita per chi è stato costretto per anni a vivere ai margini della società», ha commentato l’allenatore (di origini olandesi) Peter Karreman. Dal Ruanda sono sbarcati a Londra anche i corridori Hermas Cliff Muvunyi, 25 anni, e

Il goal deI cIechI In Ruanda si è da poco concluso un campionato speciale che ha coinvolto dieci squadre e migliaia di tifosi: il Goal Ball National Championship. Il goal ball (in italiano, “pallarete”) è un gioco praticato da persone affette da gravi problemi di vista. Le squadre sono composte di tre giocatori e cercano di lanciare la palla (che ha dei campanelli al suo interno) nella porta avversaria; tutti i giocatori sono bendati durante la partita, per garantire parità di condizione fra ciechi e ipovedenti. Questa disciplina venne creata nel 1946 come strumento di riabilitazione per i veterani della Seconda guerra mondiale. Nel cuore dell’Africa viene promossa dalla Rwanda National Blind Sports Association.

Théoneste Nsengimana, 23 anni, specialisti sulle distanze dei 1.500 metri e dei 5.000 metri, due talenti in erba del gran fondo che sognano di emulare le imprese del runner sudafricano Oscar Pistorius. Il sollevatore di pesi Théogène Hakizimana, invece, ha già realizzato il suo sogno: «Partecipare alle olimpiadi era l’obiettivo della vita: impareggiabile», ha dichiarato l’atleta, 31 anni, costretto a vivere su una sedia a rotelle in un sobborgo di Kigali. Molti atleti ruandesi approdati a Londra sono stati mu-

Si sono appena conclusi i giochi olimpici riservati ai disabili. In evidenza gli atleti ruandesi impegnati nella corsa, nella pallavolo e nel sollevamento dei pesi

tilati a colpi di machete durante il genocidio del 1994; il loro prolungato e faticoso percorso di recupero psicologico e fisico è stato possibile grazie al Comitato Paralimpico del Ruanda (www.npcrwanda.com) che ha ideato per decine di giovani disabili un ambizioso progetto sportivo di riabilitazione sociale. Londra è una tappa importante di questo percorso. I risultati non sono fondamentali. Conta soprattutto esserci, scendere in campo. E il Ruanda non ha deluso. •

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lo scatto

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testo di Edward Mayumbe foto di Tony Karumba / Afp

africa 路 numero 5 路 2012

TR


Kenya

U

n elefante addormentato viene caricato su una cassa speciale per essere trasportato dalla regione di Narok, 150 chilometri a sud di Nairobi, alla riserva naturale del Masai Mara. Dallo scorso ottobre le autorità keniane sono impegnate in una complicata operazione di spostamento di duecento grandi pachidermi per arginare le crescenti distruzioni di campi coltivati e villaggi circostanti. Gli elefanti vengono colpiti dai ranger con frecce narcotizzanti lanciate da un elicottero; una volta addormentati, sono caricati con una gru su un Tir che li trasporta nella riserva.

ASLOCO africa · numero 5 · 2012

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italia

a cura di Marco Trovato

La

Una baby-sitter capace Dalla Nigeria alla tivù italiana. May Okoye, una delle protagoniste del programma televisivo SOS Tata, si racconta. E fornisce consigli ai genitori sull’orlo di una crisi di nervi

D

«

a piccola ero una bambina tranquilla e ubbidiente, ma dai dieci anni in poi ho avuto anch’io dei momenti di ribellione». Tata May, nome di battesimo May Okoye, protagonista del popolare programma televisivo SOS Tata, si confessa ad Africa. Nata in Nigeria nel 1974, all’età di dodici anni si è trasferita in Italia. Ha studiato all’Università La Sapienza di Roma. Nel 2005 ha frequentato un corso di educatrice negli Stati Uniti, dove ha acquisito solide e innovative basi di puericultura. Poliglotta, brillante e riso-

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storia

testo di Enrico Casale

All’inizio del Novecento il piccolo Ota Benga fu prelevato con la forza dalle foreste del Congo e spedito negli Stati Uniti dove venne esposto al pubblico come rappresentante dei “selvaggi africani”. Una vicenda terribile, maledettamente vera… Con un finale amaro

Un “selvaggio” in gabbia La storia del pigmeo trasformato in attrazione dello zoo di New York

C

hissà a cosa ha pensato Ota Benga prima di rivolgere l’arma contro sé stesso e fare fuoco. Forse alla sua famiglia, o alla foresta in cui andava a cacciare da ragazzo. O forse agli insulti e alle percosse subiti negli Stati Uniti. Nessuno lo saprà mai, i suoi pensieri sono svaniti con lui. A noi rima-

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ne la sua storia, un condensato dell’assurdità e della violenza del razzismo. Soprattutto quando questo indossa una veste pseudoscientifica.

Vivo ma deportato Ota nasce intorno al 1883 nell’allora Congo Belga, possedimento personale di re Leopoldo II. Tra l’Ot-

tocento e il Novecento, il Congo è messo a ferro e fuoco per sfruttarne le risorse ai danni della popolazione locale (gli storici calcolano che, in quel periodo, siano morti per le atrocità commesse dai belgi fra i 3 e i 10 milioni di congolesi). Nel 1904, alcuni imprenditori iniziano a interessarsi alla regione

(che il clima e le caratteristiche del terreno rendono adatta per le piantagioni di gomma) dove sorge il villaggio di Ota. Le capanne vengono rase al suolo e la famiglia sterminata. Lui si salva solo perché è a caccia. Rientrato a casa, si trova davanti al massacro. Catturato dalla Force Publi-


presso l’università di Genova -, sotto l’influsso degli studi di Joseph Arthur de Gobineau, l’antropologia biologica suddivideva l’umanità in razze, ognuna delle quali aveva caratteristiche morali e psicologiche innate. Quegli studi, smentiti a livello scientifico solo dopo la seconda guerra mondiale, vennero utilizzati a livello politico per dimostrare la superiorità della razza bianca sulle altre».

Libero… di uccidersi

gruppo di pigmei da presentare all’esposizione di antropologia di Saint Louis, Missouri.

Assieme alle scimmie

Una foto del 1910 di Ota Benga. Il giovane era costretto a sorridere sempre per mostrare ai visitatori i suoi denti acuminati (un’usanza dei Pigmei congolesi)

que belga, viene venduto come schiavo in un villaggio, dove incontra Philips Verner, un personaggio controverso. Missionario protestante, era stato incaricato di procurarsi un

Così, per un chilo di sale e un rotolo di stoffa, Verner acquista Ota, che viene portato negli Stati Uniti ed esposto come rappresentante dei selvaggi. Conclusa la mostra, viene trasferito nello zoo del Bronx, a New York. Ufficialmente è l’inserviente che deve curarsi delle scimmie, ma davanti alla gabbia presto compare un cartello: «Ota Benga, pigmeo africano». Ad apporlo è William Thornaday, il direttore dello zoo, convinto che sia possibile studiare gli animali e i loro pensieri, attraverso uomini con «scarsa capacità di apprendimento». «In quegli anni - spiega Marco Aime, docente di Antropologia culturale

Ota diventa un’attrazione. Migliaia di persone accorrono a vedere il pigmeo. I visitatori lo deridono, lo molestano, cercano di farlo cadere facendogli lo sgambetto. Lui sopporta per mesi, poi non ce la fa più: con l’arco che gli è stato dato come complemento della scenografia inizia a scagliare frecce sul pubblico. La sua reazione, insieme alle proteste della comunità nera, convince le autorità a lasciarlo libero. Il pastore James H. Gordon lo prende sotto la sua custodia e cerca di «americanizzarlo», facendogli imparare l’inglese e incapsulandogli i denti (che i pigmei hanno aguzzi perché se li limano). Ota viene poi assunto in una fabbrica di tabacco, ma proprio mentre sta per progettare il rientro in Africa scoppia la Grande guerra che vanifica i suoi progetti. Cade così in depressione. Il 20 marzo 1916, dopo essersi tolto le capsule dai denti, accende un fuoco cerimoniale e si uccide. •

Il libro Un altro ignobile caso Nel 1613 i primi coloni inglesi approdati alla penisola del Capo, nell’attuale Sudafrica, decisero di cercare un indigeno del luogo a cui insegnare l’inglese, così da farne una guida e un interprete fidato. La scelta cadde su un certo Coree, un khoikhoi molto socievole, sulla quarantina, di «media altezza e intelligenza, fisicamente forte», con moglie e figli piccoli. Con qualche astuzia, forse usando cibo, tabacco e alcolici come esca, gli inglesi riuscirono ad attirare Coree su una nave, quindi salparono verso la madrepatria. Un sequestro in piena regola. A Londra, Coree ricevette «un buon vitto, dei buoni abiti, un buon alloggio». Ma, lontano dagli affetti e dagli spazi aperti cui era abituato, perse la voglia di vivere. Nel suo inglese rudimentale gemeva: «Coree andare a casa». Alla fine gli inglesi realizzarono che da Coree non avrebbero ricavato nessuna informazione utile, e lo fecero rimpatriare. Questa vecchia storia è stata portata alla luce dallo studioso Gabriele Catania nel suo bel libro Sudafrica (Castelvecchi 2010, pp. 371, euro 19,50). africa · numero 5 · 2012

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chiese

testo di Anna Pozzi foto di Bruno Zanzottera/Parallelozero

Padre Luciano Verdoscia, sacerdote comboniano di origini pugliesi, da diciassette anni vive nella capitale dell’Egitto. Il suo desiderio di stare in mezzo ai più poveri lo ha portato a lavorare nello sconvolgente quartiere-discarica abitato dagli zabbalin

Missionario

Un religioso italiano aiuta i raccoglitori

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tra i rifiuti

di immondizia del Cairo

S

opra, c’è il grande complesso monastico di San Simone, meta privilegiata di pellegrinaggio dei copto-ortodossi del Cairo. E lì accanto, tutta una metropoli che si espande in modo tentacolare sulla collina del Muqattan. Sotto, ci sono loro, i raccoglitori di immondizia, gli zabbalin. Un intero enorme quartiere, invaso dalla spazzatura e da pesanti effluvi, che diventano un’atmosfera quasi densa quando si mischiano alla polvere sollevata da un vento molesto. Sono 20, forse 30mila gli zabbalin del Muqattan. Ma molti altri - sino a 70mila - sono distribuiti in alcuni quartieri periferici della capitale egiziana. Rappresentano ancora oggi una delle

principali forme di raccolta differenziata dell’immondizia in una capitale che conta circa 20 milioni di abitanti. Tutta a mano. Questo, nonostante le autorità del Cairo abbiano concesso contratti milionari a compagnie internazionali per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti. Un tempo, il quartiere era fatto di casupole e baracche, solcato da asinelli stracarichi di sacchi di immondizia. Oggi è un insieme di palazzoni senza intonaco, appiccicati l’uno all’altro. La spazzatura sta ovunque. Per terra, ma ancor più sui tetti-terrazza, dove viene smistata. Visto dall’alto, sembra un quartiere sommerso dai rifiuti.

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emarginati, cercando di contribuire a far crescere una generazione nuova, più istruita e aperta».

Condizioni disumane Esbet el Nakhl è un enorme quartiere popolare alla periferia nord del Cairo. Non molto diverso da quello del Muqattan. Stessi

palazzoni tirati su senza grazia né lungimiranza, stradine strette e dissestate, cumuli di spazzatura ovunque. E anche qui c’è una grossa comunità di zabbalin. L’intera area viene chiamata Zaraib, che significa «stalle». Perché qui si allevano i maiali, preziosi alleati nel riciclaggio dei

rifiuti organici. Una prerogativa concessa solo ai cristiani, essendo i maiali considerati animali impuri dai musulmani. «C’è molta povertà e vera e propria miseria - racconta padre Luciano - e c’è molta ignoranza. La maggior parte della gente non ha alcuna istruzione. Come,

del resto, in tutto l’Egitto. Gli zabbalin, oggi, sono quelli che tutto sommato stanno meglio in questo quartiere, anche se vivono in condizioni tutt’altro che dignitose. Molti altri, però, lavorano letteralmente come schiavi, pagati poco più di niente: cinquanta lire egiziane al giorno,

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chiesa in africa

a cura di Anna Pozzi

Nigeria •

Le Associazioni cristiane contro Jonathan

RD Congo • No AL sAc

E

rano centomila secondo la polizia di Kinshasa, 200mila secondo gli organizzatori. Ad ogni modo erano un’enormità i partecipanti alla Marcia della speranza, che si è svolta il primo agosto in tutte le città del Paese sede di diocesi. Si tratta, infatti, di un’imponente mobilitazione della Chiesa congolese che, per l’ennesima volta, ha chiesto pace e unità per il Paese. Uno degli slogan principali della manifestazione era: “No alla balcanizzazione della R.D. Congo. No al saccheggio delle nostre risorse”.

D

opo gli ennesimi attacchi della setta Boko Haram contro chiese e obiettivi cristiani, le Associazioni cristiane della Nigeria (Can) di 19 Stati del Nord e del territorio della capitale federale Abuja hanno chiesto al presidente Goodluck Jonathan di rassegnare le dimissioni perché non in grado di contrastare efficacemente e tempestivamente le violenze e la distruzione provocate da Boko Haram. La Can riunisce le principali confessioni cristiane del Paese ed è presente in tutti gli Stati della Federazione (36). Particolare disappunto avrebbe suscitato una dichiarazione attribuita al Presidente, secondo la quale i membri della setta Boko Haram «sono nostri fratelli e non si può usare l’esercito per spazzare via la tua famiglia».

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Nonostante denunce e appelli, specialmente le regioni orientali del Paese continuano a essere destabilizzate da forze ribelli che, sostenute dai Paesi limitrofi - in particolare dal Ruanda - depredano le ingenti risorse minerarie, provocando morte e distruzione nei villaggi. Migliaia di persone sono state nuovamente costrette, in questi ultimi mesi, a lasciare le proprie case, centinaia sono state uccise e moltissime donne violentate. Da più di 18 anni ormai le regioni del Nord e Sud Kivu subiscono guerra e violenza da parte di numerosi gruppi di miliziani che si sono alternati in questa zona, spesso senza che le forze dell’or-

Foto AFP

18 anni di violenze

Africa • il ruolo dei media Che cosa significa essere giornalisti “cattolici” in Africa? Quali le sfide in un continente che cambia? Secondo L’Union Catholique Africaine de la Presse (Ucap) che ha organizzato un seminario di quattro giorni a Mombasa (Kenya) è oggi sempre più necessario riflettere sul ruolo dei media nella risoluzione dei conflitti, nella costruzione della pace e nella promozione del buon governo.

Al convegno hanno partecipato giornalisti provenienti da vari Paesi africani. Secondo l’Arcivescovo di Mombasa, Boniface Lele, che ha aperto i lavori, l’Africa ha bisogno di giornalisti preparati e responsabili che aiutino il continente a far luce sulle questioni emergenti che rischiano di dar vita a nuovi conflitti. Inoltre, ha invitato i giornalisti cattolici

a promuovere una visione cristiana della vita, utilizzando tutte le nuove forme di comunicazione e le grandi potenzialità offerte da Internet e dai social network. «Questi ultimi - ha fatto notare - non solo hanno cambiato il nostro modo di comunicare, ma la comunicazione stessa, tanto che si potrebbe dire che stiamo vivendo un periodo di grande trasformazione culturale».


cheggio deL PAese dine e i militari facessero nulla per fermarli. E senza che l’imponente missione dell’ONU riuscisse a intervenire efficacemente.

Le denunce della chiesa In questi ultimi mesi, è il gruppo cosiddetto M23 che sta destabilizzando il Nord Kivu con l’appoggio del Ruanda. Già negli anni passati il regime di Kigali aveva sostenuto veri gruppi allo scopo di poter mettere le mani sulle risorse minerarie di questa regione e, secondo molti osservatori, sulla regione stessa. Solo ora, però, dopo che la Chiesa locale e i missionari (in particolare i Saveriani che animano la Rete pace per il Congo) avevano fatto numerose denunce e pubblicato documenti, anche la comunità internazionale sembra essersi accorta delle mire espansionistiche del Ruanda, al punto che due dei principali partner, Stati Uniti e Gran Bretagna, hanno sospeso l’invio di aiuti. Intanto, la Chiesa congolese, che rappresenta l’unica autorità veramente nazionale in un Paese enorme e frammentato, continua a insistere per il ripristino della pace e la salvaguardia del territorio. Il giorno prima della grande Marcia della speranza, nella città di Kisangani, capoluogo della Provincia Orientale, i rappresentanti di diverse confessioni religiose e della società civile hanno lanciato «un caloroso appello» alla conversione del Ruanda e dei suoi dirigenti, affinché «riscoprano nella R.D. Congo e nei Congolesi, un fratello e una sorella, da amare e non da aggredire». Già lo scorso giugno, i vescovi del Kivu avevano denunciato le violenze commesse dai ribelli del gruppo M23 contro la popolazione civile e il saccheggio delle risorse minerarie locali, in particolare oro, coltan e cassiterite. Sudan del Sud • Zambia •

U

Espulso per una predica

na predica può valere un’espulsione? È quanto sembra sia successo a padre Viateur Banyangandora, sacerdote di origini ruandese espulso dalle autorità dello Zambia a fine luglio. Durante un’omelia il sacerdote, ordinato in Zambia nel 2004, aveva affrontato il problema del prezzo troppo basso del cotone che minaccia la possibilità dei contadini di ottenere un reddito minimo per la sussistenza. Circa 130 sacerdoti hanno preso le sue difese. E hanno chiesto alle autorità del Paese di promuovere l’armonia nelle relazioni Chiesa-Stato, lanciando un appello perché si affrontino i veri problemi che interessano i poveri, come appunto il prezzo del cotone, del mais, di altri prodotti agricoli.

Una chiesa che si riorganizza

A

poco più di un anno dalla proclamazione dell’indipendenza, anche la Chiesa del Nord e del Sud Sudan - che continua a essere unita in un’unica Conferenza episcopale - procede a piccoli ma significativi passi verso un riassestamento. L’ultimo riguarda il trasferimento del Seminario di Teologia di San Paolo da Khartoum a Juba, capitale del Sud. La sezione della filosofia, invece, sarà sospesa per due anni, mentre gli edifici per ospitare i seminaristi sono già pronti al Seminario Maggiore San Paolo a Munuki-Juba. È proprio qui che il seminario aveva la propria sede originaria per poi essere trasferito a Khartoum negli anni Ottanta a causa della guerra civile. africa · numero 5 · 2012

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togu na - la casa della parola lettere Senza falsi pudori anno 90

n.4 luglio-agosto 2012

Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Milano.

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modafashion

Dakar

Mauritania

Schiave del peso

Cairo

Kenya

Revolution Carcadè Art equo

Uganda

Sogni spaziali

Vorrei farvi i complimenti per la copertina dell’ultimo numero di Africa. Finalmente la bellezza delle donne africane non viene censurata da un certo moralismo bigotto. Finalmente una rivista missionaria che si occupa anche di moda. Non c’è nulla di scandaloso né di volgare nel pubblicare le foto di ragazze che mettono in mostra tutta la loro orgogliosa signorilità e algida eleganza. Grazie, continuate così. Francesca Blanco, Napoli

e della dichiarazione di indipendenza promulgata dai Tuareg del Mali, su Facebook il lettore Belkassem Yassine: «L’autodeterminazione dei popoli è fondamentale; l’importante è, però, che non vengano lesi i diritti altrui». Un altro lettore, Marco Cavallini, la pensa diversamente: «Trovo intollerabile le secessione dichiarata in Mali perché i Tuareg sono in verità una minoranza tra quelli che hanno occupato la regione, mentre stanno dominando le bande di integralisti islamici che impongono la sharia».

Grasse per forza attualità

attualità

testo di Marco Aime foto di Bruno Zanzottera/Parallelozero

La mitica città santa del Mali è nelle mani di Al Qaeda

A

Timbuctu è ritornato il medioevo. È ritornato in gran parte del Sahara. Lungo le stesse piste di sabbia dove un tempo le carovane di cammelli trasportavano merci preziose e schiavi, oggi grossi camion e fuoristrada trasportano droga, sigarette e migliaia di persone, incatenate al mito della ricchezza dell’Europa, che tentano di raggiungere le coste del Mediterraneo. Cambiano i mezzi, cambiano le merci, gli uomini sono sempre schiavi. Quante volte in passato Timbuctu è stata presa e razziata dai Tuareg! Anche questa è una storia già vista e raccontata. Questa volta però c’è qualcosa di diverso.

Il suo nome ha fatto sognare generazioni di esploratori e viaggiatori, le sue biblioteche hanno richiamato schiere di studiosi, le sue leggendarie miniere d’oro hanno attratto i conquistatori. Oggi la capitale dei Tuareg è presa in ostaggio dai miliziani jihadisti

Una pericolosa alleanza Nei primi giorni di aprile gruppi armati di Tuareg dell’Mnla, il Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad, il territorio che comprende tutto il Mali nord-orientale, sono entrati nella città. I militari maliani di stanza nella caserma della città, avevano già bruciato le loro divise, si erano vestiti

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in borghese, per confondersi con la popolazione locale. Gli unici colpi di arma da fuoco sono stati quelli sparati in aria durante i caroselli dei pick-up, lungo le vie della città dei 333 santi. Sembrava una cosa indolore, ma così non è stato. Un paio di settimane dopo,

Tra il fiume e le dune Il periodo di splendore della città risale all’impero Songhay, nel 1440, quando i suoi ventimila abitanti erano dediti al commercio e sfruttavano la posizione strategica, tra il Sahara e il fiume Niger. Le carovane che transitavano per Timbuctu trasportavano schiavi, penne di struzzo, avorio, ma soprattutto il salgemma di Taoudeni e l’oro del Ghana

sono entrati in città anche i gruppi armati di Ansar Dine (i difensori della religione). Anche loro Tuareg, ma mentre l’azione dell’Mnla è dettata da aspirazioni politiche, quella dell’Ansar Dine si svolge interamente all’insegna del jihad e all’imposizione della shaaria. Al comando di Iyad Ag Ghali, leader storico delle ribellioni degli anni Novanta e poi convertitosi al salafismo, questi Tuareg provengono dalla Libia, dove erano stati armati e addestrati da Gheddafi per la sua difesa personale. Fin dall’inizio si sono avvicinati moltissimo ai terroristi della Aqmi, Al Qaeda nel Maghreb Islamico, con cui sembrano avere stretto un’alleanza, nonostante l’opposizione del Mnla.

L’ultima invasione Entrati a Timbuctu, questi guerriglieri integralisti hanno saccheggiato tutti i bar, distruggendo non solo i depositi di birra, ma anche ogni bevanda che richiamasse l’Occidente e depredando i negozi delle loro merci. In pochi giorni

Fantasmi a Timbuctu

africa · numero 4 · 2012

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A proposito dell’articolo Fantasmi a Timbuctu

testo e foto di Roberto Paolo

In Mauritania sopravvive la tradizione dell’ingr assamento forzato delle bambine

Grasse per forza B

ouchara ha 18 anni e due figli. Ma a guardarla mostra almeno il doppio della sua vera età. Si è sposata a dodici anni e ha avuto la prima bambina a tredici. «Non sapevo nemmeno cosa significasse la parola matrimonio». Per lei hanno deciso i genitori, come accade a quasi tutte le donne in Mauritania. Vengono “cedute” al marito sulla base di un contratto scritto e dietro il pagamento di un cospicuo corrispettivo in denaro contante. Bouchara pesa-

Migliaia di giovani sono costrette dai famigliari a ingozzarsi giorno e notte di latte, cuscus e farmaci veterinari. Devono gonfiarsi fino quasi a scoppiare. «Solo così possono ambire a trovare un marito» va oltre centodieci chili, e per questo la somma che il marito ha dovuto pagare ai suoi genitori è stata piuttosto alta.

Vere torture

Al contrario di quanto accade in Occidente, dove è più che mai fiorente l’industria delle diete e le adolescenti rischiano l’anoressia per inseguire miti da copertina, in Mauritania “grasso è bello”. Ma non è sempre bella la strada per perseguire questo ideale di avvenenza femminile fondato sulle

rotondità e la pinguedine. In francese si chiama gavage; in italiano si potrebbe tradurlo con “ingrassamento forzato”. Come quello che in Francia si fa con le oche per produrre il fois gras. Bouchara ha cominciato a nove anni. La zia era una professionista del gavage, a lei si rivolgevano tutte le famiglie del villaggio. E l’ha fatto anche a lei. Per tre anni. Ingozzata di latte di cammella e cuscus. «Mi costringevano a bere dieci litri di latte al giorno. Spesso avevo nausea

L’ultima follia congolese: il dado in supposta Bouchara ha subito la tortura del gavage dall’età di nove anni. «Mi costringevano a bere dieci litri di latte al giorno. Avevo la nausea, ma se mi rifiutavo venivo picchiata»

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Sugli uomini blu

a cura della redazione

africa · numero 4 · 2012

Una pericolosa moda sta dilagando tra le donne della Repubblica democratica del Congo. Per rispecchiare l’ideale di bellezza locale, che le vuole con natiche grandi e rotonde, migliaia di giovani congolesi usano il popolare dado Maggi (condimento usato in cucina per esaltare i sapori delle pietanze) a mo’ di supposta. Così facendo le ragazze credono che il concentrato, a base di carne o verdure, faccia crescere la zona interessata a dismisura, soddisfacendo le richieste degli uomini. Molte di loro, però, si trovano ben presto costrette a recarsi in ospedale con infiammazioni e bruciori dovute alle spezie contenute nel dado. Il musicista congolese Shiko Mawatu ironizza su questa incredibile moda nella canzone Ntaba Ya Bandundu: «Hanno già consumato otto dei dieci dadi che c’erano in cucina, lasciate gli altri due per insaporire i fagioli». africa · numero 4 · 2012

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In merito all’articolo pubblicato sul numero 4/2012, trovo incredibile e inaccettabile che ancora oggi sopravviva la barbara tradizione dell’ingrassamento forzato delle bambine. Mi chiedo perché l’Unione Europea non imponga delle sanzioni

nei confronti delle autorità mauritane che permettono il persistere di questa odiosa forma di tortura che rovina la vita a migliaia di giovani indifese. Daniele Lupi, Frosinone

(In)giustizia internazionale Sul numero 4/2012 di Africa avete pubblicato un articolo sui presunti criminali ricercati dalla giustizia internazionale. L’elenco è impressionante: capi ribelli, ex Presidenti, attuali capi di Stato… Mi sorge un dubbio: perché l’Onu e il Tribunale dell’Aia spiccano tanti mandati di cattura nei confronti di personalità africane. Non voglio difendere chi si è macchiato di orribili reati, ma ho l’impressione che la comunità internazionale usi due pesi e due misure: mille attenuanti se si tratta di un occidentale, senza alcun riguardo se si tratta di per un africano. Perché l’attivismo che il Tribunale dell’Aia mostra contro gli africani non viene esteso anche ai criminali europei, americani, asiatici? Vincent Bouadé, via mail

Il libro Sullo scorso numero di Africa abbiamo pubblicato un articolo dedicato al business dell’industria militare nelle guerre africane. Per chi desidera approfondire l’argomento vi segnaliamo un libro fresco di stampa: Affari di armi, percorsi di pace (Ed. Emi 2012, pg. 272, euro 17,00), a cura dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere. Il volume si occupa tra l’altro delle vicende giudiziarie dell’azienda Beretta e del “riciclaggio” di pistole usate destinate all’Iraq, nonché della presenza di armi leggere bresciane negli scontri delle primavere arabe, in particolare in Libia, con Gheddafi prima sotto embargo, poi “sdoganato”, quindi cliente dell’industria militare europea, prima di essere eliminato in una guerra andata ben oltre la legalità internazionale.

sondaggIo ParerI raccoltI sulla PagIna Facebook dI aFrIca I movimenti touareg del nord del Mali hanno dichiarato l’indipendenza dal potere centrale con l’obiettivo di creare una nuova nazione nel continente africano. Pensi che: 38% 15% 15% 32%

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Ne abbiano il diritto. È un’azione unilaterale intollerabile. La comunità internazionale deve intervenire in soccorso del Mali. Nessun intervento, nemmeno diplomatico. È una questione interna al Mali.

africa rivista


n. 5 settembre . ottobre 2012 www.missionaridafrica.org

L’inesauribile padre Jean Con i suoi 83 anni, ha la forza per aiutare centinaia di giovani Avrebbe l’età per godersi il meritato riposo in pensione, ma l’infaticabile Jean Le Vacher, un “vecchio” Padre Bianco francese, non vuole saperne di fermarsi. «Nel Nord dell’Uganda c’è una scuola da mandare avanti»... con l’aiuto dei lettori di Africa

Un angolo del noviziato di Masaka. Le aspiranti religiose provvedono loro stesse ai fabbisogni della comunità in modo da essere autosufficienti

a cura di Paolo Costantini Padre Jean Le Vacher, un missionario “diversamente giovane” – classe 1929! – non manca di coraggio e non può essere accusato di tirare i remi in barca. È uno di quei “vecchi” Padri Bianchi che hanno consacrato la propria vita all’incontro dell’altro, a tendere la mano a chi ne ha bisogno. Ha seguito la sua formazione missionaria in Algeria, nella storica casa di Maison Carrée, e poi in Tunisia, dove venne ordinato sacerdote nel 1953.

Dal Sahara ai Monti Nuba

A contatto ravvicinato con l’islam, come tanti altri sui confratelli ha creduto - e crede tuttora - al dialogo con il mondo musulmano. Ha cominciato il suo ministero missionario in Algeria, nelle storiche oasi di Laghouat, Ghardaïa, Béchar, al limitare delle dune di sabbia, dove ha vissuto la difficile transizione verso l’indipendenza di questo grande Paese. Nel 1975 la missione lo chiama nel Sudan, un altro Paese musulmano dove covano tensioni, guerriglie e tante atrocità: trascorre nove anni nella capitale Khartoum e poi nel Sud, in piena savana, nella diocesi di Torit. Nel febbraio 1980 viene sequestrato dalle forze ribelli dell’SPLA/ALPS, insieme al vescovo ed un altro confratello. Liberati tre mesi più tardi, renderà omaggio al coraggio di alcune donne che portavano loro da mangiare di nascosto. Sono gli anni Novanta e nel Sud-Sudan imperversa una guerra feroce, che di-

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Sosteniamo la sua scuola

Una veduta delle aule della scuola “Beato Damiano” che ospita più di 60 alunni

strugge migliaia di famiglie e spinge i giovani rimasti orfani a fuggire lontano dai propri villaggi, in cerca di un po’ di pace. Padre Jean viene chiamato ad una nuova impegnativa missione: portare soccorso ai bambini nuba vittime della guerra.

accetta con entusiasmo e che lo impegna ancora oggi, all’età di 83 anni, perché spiega lui stesso - «non potrei abbandonare quei bambini che confidano nella presenza dei missionari per poter continuare a studiare e costruirsi un futuro».

Scuola di speranza

«La vita è bella»

Sono centinaia, provengono dai Monti Nuba flagellati dal conflitto e hanno trovato rifugio in campi profughi dove, però, corrono il rischio di essere reclutati per diventare soldati. Il missionario (con l’aiuto di Monsignor Taban Paride, allora vescovo di Torit) ottiene aiuto da una comunità di suore che si trova nella vicina Uganda, poco oltre la frontiera, nel distretto di Masindi. Finalmente, nel 1996, a Kyatiri, nel nord-ovest dell’Uganda, riesce ad aprire una scuola destinata ai giovani profughi sudanesi in fuga dalle zone dei combattimenti. La dedica al “Beato Damiano”, il santo lebbroso di Molokai. Il primo gruppo di alunni è composto di 56 bambini, soprattutto Nuba. Ma ben presto le classi si gonfiano fino quasi a scoppiare. La gestione della scuola è affidata ad una congregazione ugandese, le Suore missionarie di Maria, Madre della Chiesa, sotto la guida di Suor Safia Asiimwe. A Padre Jean resta il compito di supervisionare e amministrare la struttura: una responsabilità che

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L’infaticabile religioso francese si occupa anche dell’animazione e della formazione spirituale delle giovani donne - aspiranti suore - che vivono nel noviziato di Masaka. Si tratta di ragazze che hanno terminato gli studi secondari. Alcune sono insegnanti o infermiere, segretarie o contabili. Molte sono dovute fuggire dai villaggi natali per le violenze seminate da Josef Kony e dal suo Esercito di liberazione del Signore (LRA). A Masaka le future religiose scoprono e studiano con attenzione la Sacra Scrittura, ma non disdegnano affatto il lavoro manuale per essere autosufficienti: coltivano un piccolo orto, producono il vino per la messa, realizzano candele di cera... E nonostante i suoi 83 anni, padre Jean offre ogni giorno il suo aiuto occupandosi della manutenzione degli alloggi. «La vita è bella e sono felice della mia missione», scrive in una sua recente lettera. «Qui c’è ancora tanta povertà e miseria, incertezza e confusione, ma vedo tanti semi di

A Kyatiri, nel nord-ovest dell’Uganda, Padre Jean Le Vacher gestisce assieme ad una comunità di suore ugandesi - una scuola che offre rifugio a centinaia di bambini meno fortunati: orfani, rifugiati, ex babysoldati, abbandonati, amputati… Tutti bisognosi di aiuto. La scuola è dedicata al Beato Damiano, il santo eroe di Molokai, un missionario lebbroso che fu un esempio straordinario di compassione e di sacrificio verso i più dimenticati e abbandonati. Attualmente la struttura ospita più di 600 allievi, ugandesi e sudanesi. Il numero degli alunni è in continuo aumento e le strutture non bastano. Ci vogliono nuovi dormitori, un refettorio, qualche aula di studio in più, e una sala per imparare i fondamenti dell’informatica (i computer sono stati donati dai Padri Bianchi degli Usa). Inoltre servirebbero più docce e servizi igienici, un’infermeria... E anche una cappella. Insomma i bisogni non mancano. Per questo l’instancabile missionario francese ha bisogno dell’aiuto dei lettori di Africa. Chi desidera dare il proprio contribuito può effettuare una donazione tramite la Onlus Amici dei Padri Bianchi, CodFisc.: 93036300163 - con la causale: Progetto 16-12, Sudan, Scuola Beato Damiano - Conto Corrente Postale: CCP Nr: 9754036 IBAN: IT32 E076 0111 1000 0000 9754 036 - oppure: Cassa Rurale Credito Cooperativo di Treviglio BG -IBAN: IT73 H088 9953 6420 0000 0172 789 speranza per un avvenire migliore, per il Regno di Dio in terra». Il “vecchio” missionario merita veramente di essere sostenuto. Per questo Africa lancia un appello alla generosità dei suoi lettori che, ne siamo certi, non mancheranno di offrire aiuti ai bambini della scuola di Padre Jean.


«Quella volta sbagliai»

Non sono stato capace di difendere i diritti dei più deboli Con la sua proverbiale semplicità e umiltà, padre Alberto Rovelli ci racconta come, in un affare riguardante l’accaparramento delle terre, si fece imbrogliare da faccendieri legati ai governanti del Mali, tradendo la fiducia dei contadini

mai riuscito a conoscere la loro esatta identità. Sapevo solo che lavoravano per la moglie del presidente Amadou Toumani Touré. Insomma si trattava di faccendieri fortemente legati alla nomenclatura locale. E non facevano mistero di avere il potere politico dalla loro parte. Ricordarono ai contadini che, secondo la legge del Mali, la proprietà effettiva dei terreni spettava ad un organismo governativo, l’Office du Niger. Quegli oscuri affaristi consigliavano ai contadini di non opporsi al sequestro della terra, aggiungendo che «comunque sarebbe stata tolta loro, con le buone o con le cattive».

Fu nel 2008 che per la prima volta sentii parlare di un grande progetto di pianificazione delle campagne di Sanamadugu, villaggio situato nel cuore del Mali. Si trattava di un territorio di 7mila ettari, sulle rive del Niger, che avrebbero dovuto essere irrigati e riservati alla coltivazione del grano. Il progetto mi pareva interessante.

Mediazione impossibile

Minacciati dai potenti

Qualche mese dopo, alcune persone di Bamako vennero a Sanamadugu e proposero - o meglio, intimarono - ai contadini di cedere loro i propri campi. Non sono

Mi sforzai di capire che cosa c’era in gioco. Con il Direttore della scuola cattolica andai a consultare l’imam, il capo villaggio ed altri notabili... Ma ovunque incontrai un clima di omertà... Si parlava sì, ma evitando di abbordare il vero problema. Le autorità dell’Office du Niger sostenevano che il progetto avrebbe sviluppato la regione: una strada, una maternità, una scuola nuova... Si distribuirono soldi e regali a una parte soltanto dei contadini, dividendo così gli abitanti e le famiglie stesse. Ai giovani vennero offerti palloni,

Padre Alberto a colloquio con un capo villaggio della regione. Il capo villaggio è un notabile molto importante nella tradizione locale

di Alberto Rovelli un locale per la musica, un bar ed altre cose similmente utili. All’Associazione delle donne regalarono due mulini, che rimasero rinchiusi per sei mesi nelle aule della scuola cattolica, perché il capo villaggio li aveva rifiutati. Cosa che lo spinse ad un certo punto ad accusarmi di essere il porta parola dei responsabili del progetto. Un complice di quell’esproprio...

Triste epilogo

Io invece mi sforzavo di capire esattamente cosa volessero questi signori venuti dalla capitale. Proposi ai contadini di presentare un controprogetto, cercai di negoziare qualche reale vantaggio per gli abitanti della zona, scongiurando la confisca di terre coltivate da almeno duecento anni... Volevo fare capire alla gente che questo progetto della coltivazione del grano si sarebbe realizzato lo stesso, con o senza la loro approvazione, e che era necessario trovare un accordo, un compromesso con le autorità. Ci furono delle sommosse, una settantina di contadini imprigionati e pestati dalla polizia. (Ndr: per una documentazione più completa: http://www.youtube.com/ watch?v=Geh-gMgj8_g) Mi ero illuso di poter ottenere una mediazione dai responsabili del progetto. Fu tutto inutile. L’avidità di affaristi e politicanti sfrattò le famiglie di Sanamadugu dalle loro terre. Oggi vorrei farmi perdonare da quei contadini che hanno perso i loro campi; vorrei far sapere loro che non ho mai cercato gli interessi dei padroni del progetto, ma che ho cercato di individuare una strada che avremmo potuto intraprendere insieme per una soluzione più onorevole e vantaggiosa per i più deboli. Ma ho fallito ed è giunto il momento di presentare le mie scuse.

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PROGETTI SOSTENUTI da AMICI DEI PADRI BIANCHI - ONLUS Progetto 01-10 RD Congo Centro nutrizionale e acquedotto Referente: padre Italo Iotti

Progetto 04-10 Mali Chiesa di Masina

Referente: padre Alberto Rovelli

Progetto 07-10 Borse di Studio Aiutare i seminaristi Padri Bianchi Referente: padre Luigi Morell

Progetto 09-10 Mozambico Adotta un bambino

Referente: padre Claudio Zuccala

Progetto 01-11 Algeria Scolarizzazione femminile

Referente: padre José Maria Cantal

Progetto 02-11 Algeria Una biblioteca a Tizi-Ouzou

Referente: padre José Maria Cantal

Progetto 04-11 Mali Un dispensario a Gao

Referente: padre Alberto Rovelli

Progetto 13-11 Kenya A scuola grazie a suor Agata Referente: padre Luigi Morell

Progetto 14-12 RD Congo Con i giovani di Goma

Referente: padre Giovanni Marchetti

Progetto 15-12 Mali Lotta contro la carestia

Referente: padre Vittorio Bonfanti

Progetto 16-12 Sud Sudan Scuola “Beato Damiano”

Referente: padre Jean Le Vacher Per ogni invio, si prega di precisare sempre la DeStinAziOne del vostro dono (numero progetto, Sante messe, rivista, offerte, ecc) ed il vostro cOGnOMe e nOMe DOnAziOni Assegni, bonifici e versamenti vanno intestati a: AMici Dei PADri BiAnchi ccP: n. 9754036 iBAn: it32 e076 0111 1000 0000 9754 036 credito cooperativo di treviglio BG iBAn: it73 h088 9953 6420 0000 0172 789 info: 0363 44726 - africa@padribianchi.it

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A BASSANO DEL GRAPPA Il XXXIV raduno degli ex alunni dei Padri Bianchi avrà luogo il 30 settembre 2012 - ultima domenica di settembre - a Bassano del Grappa presso l’Istituto Scalabrini Potete inviare fin d’ora le vostre adesioni a: Rizzi Agostino agostino.rizzi@virgilio.it Tel. 339 834 95 71 padre Paolo paolo@padribianchi.it Tel. 0363 44726 Fax 0363 0363 48198 Oppure per lettera a: Redazione Africa XXXIV Raduno Cas. Post. 61 Viale Merisio 17 24047 TREVIGLIO BG

Francobolli per le missioni Raccogliamo francobolli usati. Inviare a: P. Sergio Castellan Padri Bianchi Casella Postale 61, 24047 Treviglio (Bergamo)

AMICI DEI PADRI BIANCHI ONLUS Codice fiscale 93036300163

Ricordiamo che l’associazione AMICI DEI PADRI BIANCHI onlus tra le sue attività ha quelle di • promuovere le sottoscrizioni di sostegno alla rivista “Africa”, pubblicata dai Padri Bianchi; • aiutare le Associazioni umanitarie e i centri di raccolta a favore di popolazioni bisognose di solidarietà; • sostenere le opere dei Padri Bianchi, rappresentati dalla Provincia Italiana dei Missionari d’Africa.

Le vostre donazioni possono fruire dei benefici fiscali concessi dalla legge, attraverso gli strumenti delle della detrazione/deduzione solo se vengono effettuate con pagamento tracciabile: assegno, bonifico, carta di credito, bancomat, CCP. È sufficiente allegare alla dichiarazione dei redditi la ricevuta del vostro dono. Versamenti, assegni e bonifici vanno indirizzati a: Amici dei Padri Bianchi - Onlus, V.le Merisio 17 24047 Treviglio BG CCP - c/t nr: 9754036 IBAN: IT32 E076 0111 1000 0000 9754 036 Cassa Rurale di Treviglio e Gera d’Adda IBAN: IT73 H088 9953 6420 0000 0172 789 BIC/SWIFT: BCCTIT2T


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Africa, la ricevi per posta con un contributo minimo di 30 euro l’anno Informazioni allo 0363 44726 africa@padribianchi.it www.missionaridafrica.org C.P. 61 - 24047 Treviglio (BG)


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