Africa n°5 2019

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AFRICA N. 5 SETTEMBRE-OTTOBRE 2019 - ANNO 98

RIVISTA BIMESTRALE

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MISSIONE • CULTURA

VIVERE IL CONTINENTE VERO

Zimbabwe

Vivere nella savana Mozambico

L’ombra del jihad Kenya

Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 , DCB Milano.

Resilienza turkana

Somaliland

IL PAESE CHE NON C’È


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Dialoghi sull’ AFRICA

MISSIONE • CULTURA

A Milano un week-end di incontri per capire, conoscere e confrontarsi

SABATO 23 E DOMENICA 24 NOVEMBRE WORKSHOP Venerdì 22 CONVEGNO gratuito “IL VIAGGIO E L’INCONTRO”

con: Jasmine Abdulcadir, Marco Aime, Piergianni Addis, Maurizio Ambrosini, Mohamed Ba, Giusy Baioni, Dante Bartoli, Pietro Bartolo, Daniele Bellocchio, Emma Bonino, Enrico Casale, Cristina Cattaneo, Lorenzo Cremonesi, Maurizio Davolio, Enrico De Luca, Davide Demichelis, Maria da Ressurreição Graça, Monique Diarra, Mario Giro, Modou Gueye, Eugene Kongnyuy, Raffaele Masto, Pier Maria Mazzola, Kasha J. Nabagesera, Paolo Narcisi, Florence Omorogieva, Leonardo Palmisano, Gigi Pezzoli, Adriana Piga, Giovanni Porzio, Alberto Salza, Andrea Semplici, suor Dorina Tadiello, Jean-Léonard Touadi, Marco Trovato, Angelo Turco, Michele Usuelli, Arturo Varvelli, Massimo Zaurrini, Emanuela Zuccalà

S. Ramazzotti

Quota di partecipazione: 240 e - studenti 190 e 40 e di sconto a chi si iscrive entro il 30 settembre

Agevolazioni per gli abbonati

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Sommario

SETTEMBRE - OTTOBRE 2019, N° 5

COPERTINA 46

Somaliland. Benvenuti nel Paese che non c’è

3

EDITORIALE Il sogno dei nuovi Icaro

di François Misser

di Pier Maria Mazzola

ATTUALITÀ 4 prima pagina di Raffaele Masto 6 colpo d’occhio di Marco Trovato

AFRICA

8 panorama di Enrico Casale 10 economia di Michele Vollaro

MISSIONE • CULTURA

Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo

Mali. Chi ha paura dei Peul? di Marco Aime e Bruno Zanzottera 16 Le ombre del Mozambico di Giovanni Porzio 22 L’inferno delle donne di Valentina Giulia Milani e Bruno Zanzottera

12

Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) DIRETTORE RESPONSABILE

Pier Maria Mazzola DIRETTORE EDITORIALE

SOCIETÀ Kenya. Resilienza turkana di Greta Semplici e Maurizio Di Pietro Festival di solidarietà nel deserto di Irene Fornasiero e Giulio Paletta 37 La WhatsApp Girl del Togo di Francesca Spinola 38 Sudafrica. L’elisir degli elefanti di Kevin Smoothfield 40 Capo Verde. La riscossa di Zany di Laurindo Vieira e Marco Trovato 45 Tanzania. Libere di nuotare di Daniele Bellocchio

26

Marco Trovato

32

WEB

Enrico Casale e Marco Simoncelli (news) Raffaele Masto (blog) SEGRETERIA E UFFICIO STAMPA

Matteo Merletto AMMINISTRAZIONE E ABBONATI

Patrizia Scotti e Valeria Gusmini PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE

Claudia Brambilla

NATURA

PROPRIETÀ

53

Internationalia Srl EDITORE

Provincia Italiana della Società dei Missionari d’Africa detti Padri Bianchi PUBBLICITÀ

segreteria@africarivista.it FOTO

Il più cacciato di tutti di Veronique Viriglio 54 L’amica dei ghepardi di Diego Fiore 56 Ecovacanze tra le lagune del Senegal di F. Ricapito e R. Fournier 60 La mia nuova vita nella savana di Marco Trovato

Si ringrazia Parallelozero In copertina: Eric Lafforgue Mappe a cura di Diego Romar - Be Brand

CULTURA

STAMPA

Jona - Paderno Dugnano MI Periodico bimestrale - Anno 98 settembre-ottobre 2019, n. 5 Aut. Trib. di Milano del 23/10/1948 n. 713/48 SEDE

Viale Merisio, 17 - C.P. 61 - 24047 Treviglio BG 0363 44726 0363 48198 info@africarivista.it www.africarivista.it Africa Rivista @africarivista @africarivista africa rivista UN’AFRICA DIVERSA La rivista è stata fondata nel 1922 dai Missionari d’Africa, meglio conosciuti come Padri Bianchi. Fedele ai principi che l’hanno ispirata, è ancora oggi impegnata a raccontare il continente africano al di là di stereotipi e luoghi comuni. L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dai lettori e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite verranno utilizzate al solo scopo di inviare ai lettori la rivista e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 196 del 30/06/2003 - tutela dei dati personali).

L’Africa sfuggente di Mario Giro 72 Siamo felici. Ma... voi non lo vedete

66

di Stefania Ragusa

SPORT 74

Le leonesse di Mathare

di Simon Marks e Filippo Romano

RELIGIONI 78 Il

senso religioso degli africani per la fede

di A. E. Orobator

INVETRINA

85 GrAfric Novel di Roberto Morel Eventi di Valentina G. Milani 86 Sapori di Irene Fornasiero CalendAfrica di P.M. Mazzola 87 Solidarietà di Valentina G. Milani 81 Arte di Stefania Ragusa 82 Vado in Africa di Martino Ghielmi 88 Viaggi di Marco Trovato 91 Bazar di Giusy Baioni 83 Musica di Claudio Agostoni 92 NerosuBianco di Daniele Scaglione 83 Glamour di Stefania Ragusa 84 Libri di Pier Maria Mazzola 80

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*contiene l'archivio della rivista dal 2008 AFRICA N. 5 SETTEMBRE-OTTOBRE 2019 - ANNO 98

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Il sogno dei nuovi Icaro In un giardinetto dietro casa a Clapham, nel borgo di Lambeth. Sul tetto di un edificio della Kew Road, a Richmond upon Thames. Su un albero del parcheggio di un supermercato per il giardinaggio sulla Manor Road, ancora a Richmond. Su un marciapiede di Mortlake, stesso quartiere. Che cos’hanno in comune questi luoghi di Londra e dintorni? Di trovarsi sotto la rotta battuta da molti aerei di linea che qui cominciano ad aprire i carrelli prima di atterrare a Heathrow. E dai cui vani, ogni tanto, piomba un cadavere. Dell’ultimo, a luglio, si sa solo che “viaggiava” in provenienza da Nairobi. Dopo l’atterraggio, nel vano carrello hanno trovato ancora una bottiglia d’acqua e un po’ di cibo. Di altri si conoscono nome e origine. Come Carlito Vale, giugno 2015. Era mozambicano di Beira, un orfano di guerra che aveva provato a farsi una vita dapprima in Uganda e poi in Sudafrica. Poi tenta il grande salto su un volo British Airways che decolla da Johannesburg. L’ultima foto lo ritrae sorridente con la moglie e una t-shirt che reca stampato in grande il sogno: London. José Matada, settembre 2012. Un altro mozambicano, partito però da Luanda. In tasca gli troveranno solo una sterlina e una moneta del Botswana. Era il giorno del suo 26° compleanno. Non solo Africa: nel luglio 2011 aveva conosciuto la stessa fine Mohammed Ayaz, 21 anni, pachistano. Si era “imbarcato” in Bahrein. E di storie simili ce ne sono altre. Davanti a casi come questi, estremi, numericamente pochi ma emblematici, si possono fare tante considerazioni, anche di segno diverso. A ciascuno di fare la propria riflessione. Personalmente mi domando in quali percentuali siano presenti – nel mix di motivazioni di questi novelli

Icaro – la sottovalutazione del rischio, la disperazione, la determinazione. Certo questi “passeggeri” sono in ogni caso l’immagine più plastica, e tragica, di un sogno irrinunciabile. Uno di loro, “Youssoup” Matada, era stato al servizio di una donna svizzera quando questa abitava in Sudafrica. A lei, nel frattempo rientrata nel suo Paese, aveva confidato via sms l’intenzione di «viaggiare verso l’Europa in cerca di una vita migliore». Ma senza rivelare tempi e modalità della sua emigrazione. È stata poi la signora a riconoscere Youssoup: dal tatuaggio su un braccio. Qui vogliamo solo aggiungere un altro episodio, il primo noto della serie, che molti avranno ancora in mente e che accadde esattamente vent’anni fa. Allora commosse il mondo, oggi chissà. Ai due adolescenti guineani che furono trovati assiderati a Bruxelles, sempre in un vano carrello, è stato dedicato un film (Il sole dentro di Paolo Bianchini) e, ultimamente, il bel libro di Marco Sonseri Yaguine e Fodé (ed. Buk Buk). Portavano con sé una struggente lettera a «Loro eccellenze i signori membri e responsabili dell’Europa» nella quale, scusandosi «moltissimo» per «aver osato scrivervi questa lettera in quanto voi siete degli adulti a cui noi dobbiamo molto rispetto», non dimenticavano di dire che «se vedete che ci sacrifichiamo e rischiamo la vita, è perché soffriamo troppo in Africa e abbiamo bisogno di voi per lottare contro la povertà e mettere fine alla guerra in Africa. Ciò nonostante noi vogliamo studiare, e noi vi chiediamo di aiutarci a studiare per essere come voi in Africa». Con ingenua captatio benevelontiae, si appellavano «alla vostra solidarietà e alla vostra gentilezza». Avrebbero usato le stesse parole, vent’anni dopo? Pier Maria Mazzola

RICEVI AFRICA A CASA La rivista (6 numeri in formato cartaceo e/o digitale) si riceve con un contributo minimo suggerito di: · carta:Italia: 35 €; Estero 50 €; Svizzera: 45 Chf · digitale (pdf): 25 €/Chf · carta + digitale - Africa Social Club Italia/Svizzera: 50 € / Chf Estero: 60 € · Africa + Nigrizia: 60 € (anziché 70 €)

Si può pagare tramite: · Bonifico bancario su BCC di Treviglio e Gera d’Adda IBAN: IT93 T088 9953 6400 0000 0001 315 · Versamento postale su C.C.P. n. 67865782

I lettori che vivono in Svizzera possono versare i contributi tramite: · PostFinance - conto: 69-376568-2 IBAN: CH43 0900 0000 6937 6568 2 Intestato a “Amici dei Padri Bianchi” Treviglio BG

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Beneficiario: Missionari d’Africa (Padri Bianchi) C.P. 61 – 24047 Treviglio BG

Per informazioni: segreteria@africarivista.it


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Salva Kiir In Sud Sudan il presidente-cowboy Salva Kiir e il capo dell’opposizione armata Riek Machar sono incapaci, malgrado i numerosi proclami di pace, di porre fine a una guerra che dal 2013 ha provocato migliaia di morti e tre milioni di profughi.

MOZAMBICO, CANDIDATA DONNA Maria Alice Mabota sarà la prima donna candidata alle elezioni presidenziali in Mozambico (15 ottobre). Rappresenterà la Coligação

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Abubakar Abdullahi Imam-eroe nigeriano, 83 anni, ha salvato da un commando di miliziani jihadisti 262 cristiani nascondendoli nella sua moschea. Secondo stime governative, dal 2009 i terroristi di Boko Haram hanno ucciso oltre 27 mila persone.

IL PAPA IN AFRICA Ha suscitato grande entusiasmo il viaggio pastorale di Papa Francesco, programmato dal 4 al 10 settembre in Mozambico, Madagascar e Isole Mauritius. Nel 2015 il pontefice aveva visitato Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana.

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Aliança Democrática, alleanza di sei partiti dell’opposizione. AIDS ANCORA PERICOLOSO Dal 2010, secondo UnAids, i decessi da Hiv-Aids sono calati del 40% nell’Africa australe e in quella orientale. Ma nel Maghreb, il numero è aumentato del 9%.

18 MILIONI DI RIFUGIATI Secondo l’agenzia dell’Onu Unhcr, l’Africa subsahariana ospita 18 milioni di rifugiati (26% del totale mondiale). Il loro numero è aumentato a causa delle crisi in Centrafrica, Nigeria, Sud Sudan e Grandi Laghi.

BANANE MINACCIATE Gli afidi, una famiglia di insetti parassiti, stanno minacciando la produzione di banane nel Mozambico. Le autorità hanno abbattuto 30mila piante per prevenire la loro diffusione.

BRACCONIERI VS RAPACI In Botswana i bracconieri sterminano avvoltoi e aquile. Motivo? I rapaci, predando le carcasse di animali uccisi, indicano ai ranger i luoghi dove operano i cacciatori di frodo.

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NEWSCasale di Enrico NEWS nione europea, che richiede la tracciabilità degli animali.

PASSAPORTO NEGATO Gli africani hanno il doppio delle probabilità di vedersi rifiutare i visti del Regno Unito rispetto a persone di altre parti del mondo. Lo denunciano i parlamentari britannici che definiscono il sistema «discriminante».

PICK-UP AFRICANO A settembre sarà lanciato il pick-up studiato per l’Africa dal gruppo Psa (Peugeot-Citroen). Il veicolo nasce da una collaborazione con il gruppo cinese Dong Feng.

FESTIVAL ALLE SORGENTI DEL NILO Dal 5 all’8 settembre a Jinja, sulle rive del Lago Vittoria, in una foresta alle sorgenti del Nilo, si svolge il festival Nyege Nyege, affollatissima kermesse di musica e arte ugandese.

ECOWAS, MONETA COMUNE La Comunità economica per gli Stati dell’Africa occidentale avrà una moneta unica. Si chiamerà Eco e sarà immessa sul mercato entro il 2020. MUCCHE MARCHIATE Le mucche ugandesi riceveranno i certificati di nascita. Questa misura faciliterà l’esportazione di bovini nell’U-

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AFRICA

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MAURITANIA 2 TURNI | 1 – 9 DICEMBRE

8–16 DICEMBRE 2019

con Elena Dak (Guida sahariana, scrittrice, esperta di culture nomadi) Un itinerario sospeso nel tempo tra le dune del Sahara e le acque dell’Atlantico. Alla scoperta di antiche città carovaniere, oasi prodigiose, moschee e biblioteche circondate dalle sabbie. Un viaggio che ha il sapore dell’esplorazione. Con l’accompagnamento esclusivo di una guida d’eccezione.

Quota: 1.800 € a persona

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Programma: www.africarivista.it/mauritania Informazioni e prenotazioni:viaggi@africarivista.it africa · 5 · 2019 9 Tel. 348 7342358 - 334 2440655


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TURISMO, UNA CRESCITA INTELLIGENTE 64 milioni di visitatori in un anno, 10 milioni di posti di lavoro, 91 miliardi di dollari prodotti. Sono i numeri del boom del settore turistico in Africa. Che punta sempre di più sulla qualità e sulla sostenibilità

L’industria del turismo è tra i settori dell’economia che in Africa conosce negli ultimi anni il ritmo di crescita più sostenuto. Nel 2018, secondo i dati forniti dall’Organizzazione mondiale del turismo (Omt), l’apporto diretto del comparto al prodotto interno lordo continentale è stato pari a poco meno di 91 miliardi di dollari: un valore in aumento del 23% rispetto ai 73 miliardi registrati l’anno precedente e che è equivalente a un tasso di crescita sei volte maggiore rispetto a quello registrato dalle economie dell’Africa nel loro complesso. SETTORE TRAINANTE L’impatto del turismo sull’economia continentale non si limita però solo al contributo dei pagamenti effettuati dai circa 64 milioni di persone che hanno visitato un Paese dell’Africa, ma va esteso anche ai suoi effetti indiretti e indotti. Bisogna cioè prendere in considerazione anche quelle ricadute su altri settori della spesa sostenuta per investimenti nel comparto turistico (come per esempio l’acquisto di un nuovo aereo, la costruzione di nuovi alberghi, l’acquisto di arredi per le strutture ricettive e così via), per gli acquisti di materie prime e servizi nonché i

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NEWSVollaro di Michele NEWS

ricavi generati dalle spese delle persone direttamente o indirettamente occupate nel settore. È così che il turismo si rivela, in particolare nei Paesi con un’economia emergente, uno dei settori più importanti per la crescita economica e la creazione di posti di lavoro. Quello del turismo è infatti un ambito produttivo ad alta intensità di lavoro (sono oltre 10 milioni le persone impiegate direttamente), con la capacità di favorire forse la più ampia intersettorialità della produzione (dalle infrastrutture alla cultura, solo per citare due comparti che possono essere considerati lontani e indipendenti l’uno dall’altro), con l’obiettivo finale di migliorare lo stile e la qualità della vita di turisti e residenti. Sulla base di questa interpretazione più ampia del contributo che il settore turistico può dare all’economia, il Consiglio mondiale dei viaggi e del turismo (Wttc) ha valutato che nel 2018 il settore abbia generato in Africa ricavi per un valore complessivo pari a 194 miliardi di dollari, equivalenti all’8,5% dell’intero prodotto interno lordo continentale. SOSTENIBILE E RESPONSABILE Con la consapevolezza del potenziale esistente, la maggior parte dei Paesi dell’Africa ha perciò elaborato dei piani strategici per sviluppare le opportunità offerte dal settore turistico come catalizzatore dello sviluppo economico. Se i Paesi del Nord Africa, il Sudafrica e le nazioni insulari dell’Oceano Indiano sono ancora le mete predilette soprattutto per la presenza di infrastrutture e collegamenti più efficienti, progressivamente anche altre destinazioni che in precedenza erano considerate poco attraenti a causa dell’instabilità politica, della violenza o di altre forme di crisi sono riuscite a trasformare la loro immagine grazie a campagne di promozione turistica svolte con successo, ma soprattutto a concreti miglioramenti. Il Ruanda promuove così forme di turismo ambientale sostenibile e responsabile nei suoi parchi di montagna, mentre l’Etiopia propone ai visitatori internazionali le attrazioni artistiche e culturali dell’antico impero d’Abissinia. L’interesse dei governi africani è quindi incoraggiare soprattutto flussi di arrivi selezionati anziché il turismo di massa, ed evitare in questo modo che le presenze di visitatori dall’estero si aggiungano alle già gravi pressioni causate dall’aumento demografico, dall’urbanizzazione incalzante e dalle conseguenze negative dei cambiamenti climatici su territori e realtà sociali ancora fragili. Alessandro Gandolfi

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ATTUALITÀ testo e foto di Giovanni Porzio

Le ombre del Mozambico

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REPORTAGE DALLE REGIONI SETTENTRIONALI, SPLENDIDE E POTENZIALMENTE RICCHISSIME, DIVENUTE IL SIMBOLO DI UN PAESE MALATO

La regione di Cabo Delgado, coi suoi enormi giacimenti di gas naturale e di rubini, e le sue spiagge da cartolina, dovrebbe scoppiare di salute. Invece è lacerata da ingiustizie sociali, corruzione, traffici illeciti e terrorismo jihadista L’ultimo episodio è di poche settimane fa. Un gruppo di miliziani ha attaccato un autobus che viaggiava su una strada rurale nell’estremo Nord del Mozambico uccidendo almeno 15 persone. Testimoni hanno riferito al giornale locale O Pais che «alcuni uomini armati hanno decapitato i passeggeri e li hanno bruciati all’interno del veicolo». Negli ultimi due anni, la regione settentrionale di Cabo Delgado è stata teatro di un’ondata di attacchi sanguinari condotti da sospetti miliziani jihadisti. Le vittime finora sono più di 200 – la maggior parte per decapitazione – e oltre 600 le case incendiate. Un’escalation di violenze dai contorni terrificanti. I terroristi sbucano dalla foresta nel cuore della notte armati di machete e di coltelli. Bruciano i villaggi. Uccidono uomini, donne, bambini. Poi scompaiono nella terra di nessuno che segna l’incerto confine con la Tanzania. «È un nemico invisibile – afferma dom Luiz Fernando Lisboa, vescovo cat◀ Nella “città di pietra”, l'antico quartiere portoghese dell'Isola di Mozambico (nella regione di Nampula), che fu la prima capitale del Paese

tolico di Pemba, capoluogo della regione –. Nessuno sa chi sono e cosa vogliono gli assassini che si nascondono nella boscaglia». La gente li chiama al-Shabab, anche se non sembrano avere alcun legame con le omonime milizie che infestano la Somalia. È però identica l’ideologia di riferimento dei misteriosi killer, metastasi australe del contagio jihadista che da Mogadiscio, passando per il Kenya, si propaga lungo la costa dell’Oceano Indiano. Scia di sangue La malandata strada che da Pemba sale a Mocímboa da Praia, cittadina di frontiera a quasi tremila chilometri dalla capitale Maputo, attraversa le province più miserande del Paese. Un brullo paesaggio di savana e baobab che sarà presto allagato dalle piogge monsoniche. Ai posti di blocco i militari fermano camion e chapa, gli scassati pullmini, in cerca di armi e di bakshish, una mancia. Gli elicotteri dell’esercito sorvolano villaggi di makuti, le capanne dai tetti di foglie di palma, dove non c’è luce elettrica, non ci sono scuole, ambulatori e nemmeno fognature. Le donne si spezzano africa · 5 · 2019 17

Phil Moore/Afp/Getty


la schiena portando sulla testa fascine e secchi d’acqua. I bambini, seminudi e malnutriti, offrono manghi ai passanti per pochi centesimi. I pescatori strappano la sopravvivenza al mare su canoe scavate nei tronchi, con vele di plastica e zanzariere come reti. I contadini piantano manioca e tagliano la foresta per farne carbone: un sacco da 20 chili per meno di due dollari. È Mocímboa che i jihadisti hanno preso di mira nel loro primo raid, il 5 ottobre 2017, trucidando due poliziotti e lasciando sul campo 24 militanti dopo otto ore di battaglia. Ed è poco distante, nel villaggio di Makulo, che un mese dopo hanno bruciato una chiesa e issato lo stendardo dello Stato Islamico. Era l’inizio di un brutale conflitto, quasi del tutto ignorato dai media internazionali e volutamente minimizzato dal governo mozambicano. Solo nel mese di novembre, in una serie di attacchi e imboscate sono state massacrate a colpi di machete, bruciate vive o decapitate almeno venti persone.

◀ La cucina di un ristorante familiare sull’isola di Ibo, duramente colpita dai cicloni tropicali dei mesi scorsi ◀ Un fabbro riposa nella bottega dove lavora l'argento ◀ Un sarto al lavoro con una macchina da cucire Singer di fabbricazione cinese ◀ Le acque turchesi dell'arcipelago delle Quirimbas, paradiso naturale e potenziale magnete turistico 18 africa · 5 · 2019

Disperati pronti a tutto Il governo ha reagito con durezza, arrestando più di 400 sospetti jihadisti di diverse nazionalità (mozambicani, tanzaniani, ugandesi, somali e zimbabwani, alcuni dei quali deceduti in carcere), demolendo la moschea Nanduaua di Mocímboa da Praia, ritenuta un covo jihadista, e bombardando il villaggio di Mitumbate (almeno 50 morti), dove gli islamisti radicali avrebbero una loro base. Ma l’impiego della forza, in una regione a maggioranza musulmana che si sente abbandonata e oppressa dai cristiani del Sud e dai laici del partito Frelimo al potere, rischia di innescare un pericoloso conflitto settario. Dopo la lotta di liberazione dal dominio portoghese, dopo l’indipendenza proclamata da Samora Machel nel 1975, dopo sedici anni di guerra civile contro i bandidos armados della Renamo (un milione di morti e sei milioni di rifugiati), il Mozambico ha faticosamente risalito la china. Nel 1992, quando furono siglati gli accordi di pace a Roma nella sede della Comunità di Sant’Egidio, il reddito medio pro capite non arrivava a 60 dollari. Oggi supera i 400 e il Pil, benché in rallentamento, cresce ancora al ritmo del 3,5 per cento. Ma la ricchezza è sempre più concentrata in poche mani. Due terzi dei 29 milioni di abitanti vivono al di sotto della soglia della povertà. Il Mozambico è il terzo Paese al mondo per



ATTUALITÀ testo di Valentina Giulia Milani – foto di Bruno Zanzottera

L’inferno delle donne

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BOTTE, MOLESTIE, ABUSI: VIAGGIO NELLA REGIONE MINERARIA DI RUSTENBURG, EPICENTRO DI UNA SPAVENTOSA ONDATA DI AGGRESSIONI SESSUALI

Uno stupro ogni trentasei secondi, novecentomila violenze domestiche in un anno. Sono i numeri agghiaccianti che fotografano una vera e propria emergenza sociale in Sudafrica. Dove otto uomini su dieci trovano normale picchiare la propria donna Poppy osserva con viso corrucciato il foglio scuro e plastificato che tiene sulle ginocchia. Dopo aver tentennato qualche minuto, si fa coraggio e lo solleva verso il cielo. La lastra si illumina in controluce e palesa le ossa della spalla spezzate. Poppy, 52 anni, è una delle tante vittime di violenza di Rustenburg, area mineraria dove si estrae il più grande quantitativo di platino al mondo e dove si registra uno dei più alti tassi di abusi sessuali a livello globale. «Mio marito mi picchiava e insultava ogni giorno», racconta la donna con un filo di voce davanti alla sua casa nel villaggio di Bapong, a una cinquantina di chilometri a ovest di Pretoria. «Ci siamo sposati nel 2005, all’inizio tutto filava per il meglio. Abbiamo avuto due figli, lui era premuroso e affettuoso. Poi ha incominciato a buttare lo stipendio in birra e alcolici. È diventato violento e cattivo».

◀ Poppy, 52 anni, mostra a un'amica la lastra che evidenzia la frattura della sua spalla provocata dal marito dopo l'ennesima violenza

Il silenzio delle innocenti La vergogna e la paura hanno portato Poppy a nascondere per una decina d’anni quanto stava vivendo fino a quando, nel 2015, l’uomo quasi non la uccise di botte spaccandole una spalla. «Quel giorno qualcosa è scattato dentro di me: ho capito che non potevo più sopportare le sue prepotenze, così nel 2017 ho chiesto il divorzio. Non sapevo dove andare e cosa fare, ero sola e lui mi perseguitava. Poi sono entrata nel programma di Medici senza frontiere che aiuta le donne vittime di abusi. Ho ricevuto sostegno psicologico e sanitario. E ho ritrovato il sorriso». La donna ha così trovato un posto sicuro dove vivere. «Una volta la settimana partecipo alla terapia di gruppo, dove mi posso confrontare con altre donne che hanno vissuto i miei stessi orrori e questo mi aiuta molto». Le vittime di violenza in Sudafrica sono un esercito silenzioso: maltrattamenti, percosse e stupri sono diventati parte integrante della routine quotidiana per le donne di Rustenburg. Secondo il Medical Research Institute of South Africa, ogni 36 secondi una donna subisce aggressioni sessuali, un africa · 5 ·2019

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uomo su quattro ha commesso un reato sessuale e il 40% degli uomini ha picchiato la propria donna. Dati che diventano ancor più inquietanti se si pensa che nella Nazione Arcobaleno si registra un tasso di femminicidi circa sei volte più alto rispetto alla media globale, come certifica un recente rapporto di Medici senza frontiere (Msf). Ferite indelebili In molti casi la morte è causata dall’eccesso di violenza: tante donne che si sono salvate affermano di aver «visto la morte in faccia e di essere grate di essere ancora vive». Come Bridjette, 31 anni e

◀ Bridjette Monogi, madre di due bambini, è stata violentata da due uomini ubriachi mentre rientrava a casa dal lavoro ◀ Una giovane sudafricana viene visitata nella clinica comunitaria, gestita da Sister Georgina, una suora anglicana, in collaborazione con Medici Senza Frontiere. Qui i casi di violenze sessuali sono quotidiani ◀ Fuori da un bar di Rustenburg. L’alcolismo è una piaga sociale che si acuisce con la crisi economica. A farne le spese sono soprattutto le donne, vittime designate della violenza domestica ◀ Manifestazione contro la violenza sulle donne. In Sudafrica si registra un tasso di femminicidi sei volte più alto rispetto alla media globale. E nella regione di Rustenburg 4 uomini su dieci trovano normale picchiare la moglie 24

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due figli di 14 e 6, che ripercorre in lacrime quanto accaduto la scorsa primavera: «Stavo andando a trovare il mio fidanzato a piedi quando due ragazzi mi hanno fermata, immobilizzata e portata dietro ai cespugli. Mi hanno violentata e poi lasciata per terra. Chiamavo il mio compagno col cellulare ma lui non rispondeva. Pensavo di morire, così ho telefonato alla polizia». Ora Bridjette non ne vuole più sapere di uomini e dice di «sopravvivere» giorno per giorno: «Appena dopo “il fatto” sono caduta in depressione. Oggi, grazie al progetto di Msf, medici e psicologi mi stanno aiutando a superare il trauma, a differenza del mio fidanzato, ormai ex, che non mi è mai stato vicino, anzi, si è allontanato dopo l’accaduto… Quasi si vergognasse di me». Traumi fisici e psicologici sono le conseguenze assicurate delle violenze. Ma in alcuni casi i danni possono essere anche più gravi: «Molte donne contraggono l’Hiv oppure rimangono incinte senza realmente desiderare la gravidanza. Così si ritrovano ancora più isolate, senza forze e con figli da crescere completamente sole. Questo le porta a chiudersi in sé stesse e a vergognarsi di chiedere aiuto», spiega Belina Molefe di Msf. «Il nostro programma prevede un trattamento antiretrovirale a breve termine per ridurre la probabilità di infezione da Hiv dopo un’esposizione potenziale, come, per esempio, in seguito a uno stupro».



SOCIETĂ€

testo di Greta Semplici – foto di Maurizio Di Pietro

Resilienza turkana


POLVERE, SPINE E CAMBIAMENTI CLIMATICI NEL SEMI-DESERTO DEL NORD DEL KENYA

I pastori sono alle prese con il progressivo inaridimento del loro territorio. Una ricercatrice italiana ha studiato – camminando e ascoltando – la loro capacità di adattarsi ai mutamenti. Facendo scoperte che sanno di poesia Siedo con Apa Aruk nell’ombra circolare di una grande acacia lungo gli argini di un wadi secco. Là dove l’ombra finisce, l’aria trema. Indica il cielo, color latte. Apa Aruk è uno dei più anziani di un villaggio nel cuore delle piane desertiche del Turkana centrale. «Devi camminare con Apa Aruk, se vuoi imparare dei nostri luoghi, della nostra storia», mi avevano suggerito degli amici turkana. Camminare, qui, non è solo un movimento fisico. Camminare vuol dire osservare. Conoscere. Con Apa Aruk ho camminato lungo sinuosi fiumi invisibili, fra impronte di cammelli e capre. Lungo la strada in terra battuta, contando sacchi di carbone che aspettano di essere venduti. Aumentano quando la stagione secca avanza. Si accumulano l’uno sull’altro. C’è un ordine invisibile fra quei

◀ Donna nei pressi del Lake Turkana Wind Power: un parco eolico composto da 365 turbine che si estendono su un territorio di 160 kmq nella regione di Marsabit, destinato a produrre il 20% dell'elettricità attualmente consumata in Kenya

sacchi di carbone. Una legge di villaggio che ne regola la priorità. Apa Aruk mi ha portato ai pozzi, alla scuola elementare, alle latrine costruite con aiuti umanitari – che nessuno, a parte me, usa. Camminando, Apa Aruk raccontava. La sua storia, i suoi ricordi. I cambiamenti della sua terra. Insegnava mentre io imparavo. E ora, all’ombra dell’acacia, guarda il cielo: «Ricordo un gioco che facevamo da bambini: rincorrevamo l’ombra delle nuvole. Giocavamo con il vento. Adesso non ci sono più nuvole e il cielo ha il colore del latte». Emergenza continua Il Turkana è una delle 47 contee del Kenya. Una terra arida, classificata come “semi-deserto”, soggetta a siccità ricorrenti – 5 negli ultimi 20 anni. La temperatura media è aumentata di 2 gradi fra il 1967 e il 2012, e le stagioni delle piogge si stanno accorciando. Conflitti con popolazioni confinanti, accaparramento di risorse, pascoli, acqua sono altre sfide per questa popolazione prevalentemente pastorale. E adesso c’è anche il petrolio che trivella la terra, la rompe, la africa · 5 · 2019 27


frammenta, la divide, ne ostruisce il passaggio. E poi c’è la diga. Quella diga. Un dinosauro di cemento che blocca il fiume Omo, ne beve l’acqua. Il Lago Turkana, un mare di giada, il più grande lago desertico al mondo, è alimentato al 90% dall’Omo, e nei prossimi anni sparirà – la stessa fine del Lago d’Aral in Asia centrale. Non è chiaro che ne sarà delle trentamila persone che hanno fatto del lago la loro vita, mescolando pesca e pastorizia e varie attività commerciali. Quasi ogni giorno, ormai da anni, quando siedo di fronte al computer leggo di problemi innumerevoli, cambiamenti, disastri che affliggono – mi immagino – le famiglie che mi hanno ospitato nelle loro ca-

Una comunità di pastori nomadi in cerca di risorse sempre più rare. Le popolazioni della regione del Lago Turkana si contendono a colpi di armi da fuoco i pascoli e le sorgenti d’acqua. E la siccità acuisce le tensioni tribali

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panne e condiviso il latte. Nelle scorse settimane, dalle zone di Turkana e Baringo sono filtrate notizie della carestia in corso. L’assenza di piogge si protrae da un anno, allevamenti e raccolti sono andati perduti e almeno nove persone sono morte di fame. È la contea dove «quasi tutto è un’emergenza», secondo Peter Lokoel, vicegovernatore della nuova amministrazione del Turkana. Ma io credo ci sia dell’altro. Come rughe sulla pelle Ho vissuto 14 mesi nell’area del Lago Turkana per la mia ricerca di dottorato. Ho cercato di capire il significato di resilienza dal punto di vista dei pastori. Dal 2010 in Africa orientale è esploso il numero di

programmi di cooperazione e sviluppo per building resilience – costruire resilienza. In psicologia, la resilienza è un concetto che indica la capacità di far fronte a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà. Che cosa vuol dire resilienza per un pastore turkana? Passati gli altopiani di Eldoret e Kitale, modellati secondo piani agricoli coloniali, si aprono le grandi distese desertiche. Con gli occhi di un uccello, seduta all’oblò di un piccolo aereo che connette Nairobi al capoluogo del Turkana, Lodwar, vedo la terra sottostante che si accartoccia. Come rughe sulla pelle di una vecchia signora, anse secche tagliano le savane dorate.

Capanne dello stesso colore si perdono nel paesaggio, insieme ai cammelli. Un altro modo di raggiungere il Turkana è la strada. Piccoli autobus, i matatu, partono da Nairobi il mattino presto e raggiungono Kitale la notte. Qui il viaggio si arresta fino all’alba. Un autobus o un pick-up partirà il mattino seguente sulle strade dissestate che si dispiegano da Marich Pass al confine fra le contee di West Pokot e di Turkana. Il paesaggio che velocemente scorre di fronte agli occhi trema all’orizzonte, dove il deserto incontra il cielo bianco. Confini invisibili Solo camminando, questa terra apparentemente monotona, di spine e polvere, vive di un altro sguardo.



SOCIETÀ di Irene Fornasiero – foto di Giulio Paletta

Festa di solidarietà nel deserto

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QUATTRO GIORNI

DI FILM E CULTURA

A SOSTEGNO

DEI PROFUGHI SAHRAWI

Ogni anno, nel profondo Sud-ovest dell’Algeria, tra le zone più inospitali del pianeta, si tiene il FiSahara Festival. Un evento di cultura e solidarietà organizzato da attivisti europei a favore di un popolo costretto all’esilio da 44 anni In cielo spuntano le prime stelle quando il grande schermo bianco montato su un tir si anima di luci e suoni. Migliaia di persone di ogni età, assiepate sui tappeti srotolati sulla sabbia, sgranano gli occhi. «È un momento magico che attendiamo con ansia ogni anno», spiega Samira, 25 anni, il volto avvolto in un leggero velo azzurro. «Certo, non è come stare seduti in una sala cinematografica – prosegue con un sorriso –. Non ci sono poltroncine e popcorn. Ma nel posto desolato in cui viviamo quello schermo è una finestra di libertà che ci permette di evadere con la testa lontano da qui». Siamo nel Sud-ovest dell’Algeria, in pieno deserto, nei pressi della città di Tindouf: una zona arida e pietrosa, tra le più inospitali della Terra, arroventata dal sole durante il giorno e flagellata da frequenti tempeste di sabbia.

◀ Proiezione di film nel campo profughi di Dakhla. Il FiSahara (fisahara.es) è il festival cinematografico «più remoto al mondo»: si tiene ogni anno nel deserto dell’Algeria, a migliaia di chilometri da Algeri e da Rabat

Sabbia rovente Qui dal 2003 si tiene ogni anno – in primavera o autunno – il FiSahara Festival, una manifestazione di cultura, arte e solidarietà promossa da decine di attivisti europei, specialmente spagnoli, a favore dei rifugiati sahrawi. Questi sono circa 150.000, suddivisi in quattro campi profughi – El Aaiun, Awserd, Smara e Dakhla —, costretti all’esilio da 44 anni. La loro terra di origine, il Sahara Occidentale (l’ex colonia spagnola del Río de Oro e Saguia el-Hamra), è stata occupata militarmente nel 1975 dal Marocco. È una regione ricca di fosfati, ferro e gas, affacciata su un mare tra i più pescosi al mondo. Esercito marocchino e Fronte Polisario (il movimento di liberazione del popolo sahrawi) hanno smesso di spararsi nel 1991. Ma il cessate il fuoco non ha portato né pace né giustizia. Secondo il diritto internazionale, la popolazione dovrebbe sancire con un referendum l’indipendenza del territorio o l’annessione al Marocco, ma le due parti non si accordano sui criteri di voto. In questa situazione stagnante, il governo di Rabat ha instaurato uno africa · 5 · 2019 33



SOCIETÀ di Francesca Spinola / Agi

La WhatsApp Girl del Togo Farida Nabourema è un’attivista digitale. Sfrutta le potenzialità dei social media per combattere l’oppressione, denunciare i soprusi, promuovere la democrazia. A rischio della vita «Repression make us smarter». La repressione ci ha reso più furbi. A dirlo è una giovane donna, ben vestita, capelli afro, occhiali neri, che sta parlando da un palco all’aperto, sul tetto di una decadente costruzione dalla pianta circolare nel cuore di una zona fieristica semiabbandonata di Accra. Si rivolge a una folla eterogenea di persone giunte in Ghana per parlare di digital society. Il suo nome è è Farida Nabourema. È togolese e sta raccontando come si diventa attivista dei diritti umani – lei ha cominciato a 13 anni – e come internet, il web e la digitalizzazione della comunicazione stiano aiutando lei e gli altri attivisti a portare avanti la loro battaglia nel nome dei principi di libertà e democrazia in cui credono.

“Faure Must Go”, che da allora è diventato un segno distintivo della lotta togolese al dominio oppressivo di Faure Gnassingbé e della sua famiglia, al potere in Togo da oltre cinquant’anni. Per la sua opposizione al governo Farida ha dovuto rompere ogni legame con la famiglia e solo nell’ultimo anno ha cambiato 22 Paesi. «Sono stata anche in Ghana e in Senegal – racconta –, ma nessun governo vuole quella che considera

un’agitatrice sociale». Oggi è la direttrice esecutiva della Lega civile togolese, un gruppo che mobilita attivisti pro-democrazia, a rischio della vita (decine le vittime della repressione, di cui però la stampa non parla). Nabourema utilizza i social media per diffondere la consapevolezza sulle ingiustizie in Togo e mobilitare i suoi coetanei nella lotta per il cambiamento. «Come attivista – ci spiega –, dobbiamo documentare la nostra lotta e spiegare la storia, e questo devono farlo i creativi, utilizzando più piattaforme social e digitali possibili». Una di queste è WhatsApp, quella che le ha fatto guadagnare il soprannome di “WhatsApp girl”, ma oggi, spiega, «WhatsApp lo usiamo solo per promuovere e propagandare idee e

eventi, non per organizzarli: il governo sa come bloccarci o infiltrarsi». Ora gli attivisti togolesi usano Telegram Messenger per organizzare gli eventi, un’app in cui i testi sono fortemente crittografati e possono autodistruggersi. Un ulteriore strumento di comunicazione digitale che aiuta Farida e gli attivisti come lei, ci spiega, è Tutanota, un servizio di posta elettronica con crittografia automatica, progettato in Germania, che permette di scambiarsi email sicure.

▼ Farida Nabourema alla Ted Conference. La giovane attivista tologese è anche autrice di La Pression de l’oppression, un libro che parla dell’oppressione politica in Africa

Il movimento “Faure Must Go” Farida è anche scrittrice e blogger, e nel 2011 ha cofondato il movimento africa · 5 · 2019 37


SOCIETÀ testo di Laurindo Vieira e Marco Trovato – foto di Marco Trovato

La riscossa di Zany

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DAL CARCERE

ALLE SFILATE, LA FAVOLA

VERA DI UNA GRANDE

Zany Moreno è la regina dell’eleganza creola. Designer e imprenditrice di moda, crea abiti raffinati che colorano le isole di Capo Verde. Ma il successo è arrivato dopo prove terribili

STILISTA CAPOVERDIANA «La bellezza salverà il mondo», scriveva Fëdor Dostoevskij in un celebre passo dell’Idiota. Qualcuno l’ha ribadito con la vernice sul muro di una casa fatiscente dell’isola di Santiago, la più grande dello Stato-arcipelago di Capo Verde. E la stilista Zany Moreno, cresciuta in quei frammenti galleggianti di terra africana, ha incarnato il concetto e ne ha fatto un motto vincente. Una vita, la sua, segnata da momenti bui e prove di coraggio, cadute rovinose e formidabili riscosse. «Non cerco rivincite, né

◀ Zany Moreno, 44 anni, la regina della moda capoverdiana, con una modella e dei tessuti nel suo atelier di Praia.

rinnego il mio passato – dice con un sorriso –. Ho pagato caro gli sbagli che ho commesso e ho imparato da ogni errore. Oggi guardo avanti con tenacia e fiducia, senza dimenticare i periodi difficili della mia storia personale: quelli che mi hanno resa più forte e più consapevole delle mie potenzialità». Piedi per terra Quarantaquattro anni portati splendidamente, elegante in un completo luminoso come i suoi occhi, Zany ci accoglie nel suo laboratorio sartoriale affacciato su una strada trafficata della capitale Praia. Come ogni mattina le attività lavorative fervono. I clienti vengono a scegliere tessuti e modelli. «Disegno abiti su misura,

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SOCIETÀ testo di Daniele Bellocchio

Libere di nuotare Le donne di Zanzibar sfidano l’oscurantismo e scoprono il piacere di emanciparsi in mare... con un costume rivoluzionario

Paradiso esotico? Per comprendere come sia possibile che un semplice capo d’abbigliamento sia oggi uno strumento di lotta contro un sistema conservatore e arcaico, occorre fare un passo a ritroso e spiegare qual è la realtà dell’isola africana. Spiagge da cartolina e villaggi turistici, palme e pesci tropicali, sole tutto l’anno e la casa natale di Freddie Mercury: così le agenzie di viaggi dipingono quest’isola dell’Oceano Indiano, regione semiautonoma della Tanzania. Ma Zanzibar non è solo questo, anzi, al di fuori degli itinerari turistici rivela una situazione sociale complessa e punteggiata da problematiche soprattutto per quel che riguarda

la condizione femminile. Il 98% della popolazione abbraccia il credo islamico e il rigorismo religioso è da sempre una delle ragioni per cui alle donne di Zanzibar è proibito andare al mare e soprattutto nuotare. Ciò che può sembrare un paradosso – vivere circondati dal mare ma non avere alcun rapporto con l’acqua se non di paura – è in realtà una condizione con la quale, sino a pochi anni fa, le bambine, le ragazze e le donne zanzibarine hanno dovuto fare i conti. E non saper nuotare, o meglio, essere impossibilitate a farlo, ha causato anche diverse tragedie, come nel 2011, quando un traghetto affondò tra Zanzibar e Pemba e oltre 200 persone, per la maggior parte donne e bambini, morirono affogate.

ne si sentissero a loro agio anche da un punto di vista culturale e religioso. Il burqini è stato accettato dalla comunità e, dopo che un importante capovillaggio ha deciso di mandare sua figlia ai corsi di nuoto, anche gli altri leader locali hanno seguito il suo esempio».

Corsi di nuoto Fu quel doloroso incidente a sconvolgere Khadija Sharriff, una donna di Zanzibar che decise allora di intervenire per evitare altre tragedie simili. Nel 2011 decise di dar vita al Pange Project con l’obiettivo di insegnare a donne e bambine dell’isola a Getty

Il burqini, il costume integrale femminile che lascia scoperti solo mani, viso e piedi, utilizzato da molte donne musulmane e al centro di polemiche in Europa, nell’isola di Zanzibar è invece lo strumento con il quale un gruppo di donne sta attuando una piccola rivoluzione e un’importante battaglia per l’emancipazione femminile.

nuotare, ad apprendere le tecniche di sicurezza in acqua e a come comportarsi in caso di naufragio. Quando il progetto prese il via ufficialmente, nel 2013, vi aderirono solo in 20; oggi, a quasi sei anni dal lancio, Pange Project gestisce programmi su tutta l’isola e ha insegnato a nuotare a 7000 persone. «Zanzibar ha una società prevalentemente musulmana e molto conservatrice. Quando abbiamo iniziato i corsi di nuoto, gli anziani dei villaggi non riuscivano proprio a concepire che le loro figlie venissero in spiaggia e imparassero a prendere confidenza con l’acqua. Per loro era inaccettabile, inimmaginabile», spiega Khadija. Che poi chiarisce: «Abbiamo disegnato e confezionato i burqini in modo tale che le don-

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COPERTINA di François Misser

Sven Torfinn/ Panos / Luz

Benvenuti nel Paese che non c’è


IL SOMALILAND NON È RICONOSCIUTO DALL’ONU, MA RESTA AL CENTRO DI INTERESSI ECONOMICI E STRATEGICI

Con i suoi quasi trent’anni di indipendenza autoproclamata e ignorata dal mondo, il Somaliland vanta una posizione strategica e risorse che fanno gola a molti – da quelle ittiche al petrolio, di cui inizierà l’estrazione a breve… La diplomazia è un gioco strano. Il Somaliland, che ha autoproclamato l’indipendenza il 18 maggio 1991, alla fine della guerra civile somala, è uno Stato a tutt’oggi non riconosciuto. Eppure questa ex colonia britannica aveva già ottenuto l’indipendenza il 26 giugno 1960, come entità separata dalla Somalia ex italiana, prima della fusione delle due parti avvenuta cinque giorni dopo, il 1° luglio. L’ignoranza del diritto all’indipendenza del Somaliland è un caso flagrante di ipocrisia diplomatica, dal momento che per la stessa Unione Africana (Ua) le frontiere ereditate dal colonialismo sono intangibili. Un deputato del Somaliland, Abdurahman Atan, spiega l’atteggiamento dell’Ua, che è il medesimo dell’Onu, con il timore che l’apertura all’indipendenza del Somaliland aprirebbe un vaso di Pandora: vi si potrebbero ispirare altri movimenti indipendentisti africani. Al tempo stesso, però, è la realpolitik a prevalere. Molti Paesi hanno scambi ◀ In un bar di Hargheisa, capitale dell' autoproclamato Somaliland, i ragazzi bevono tè speziato e chattano coi amici e parenti emigrati all'estero

commerciali e di altro genere con questo Stato del Corno d’Africa che emette i propri passaporti e batte moneta. Le ragioni del paradosso sono evidenti. Mentre le milizie islamiste di al-Shabaab intensificano gli attacchi nel territorio teoricamente controllato dal governo federale di Mogadiscio, il Somaliland – come ha constatato lo scorso maggio lo stesso segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres – appare ben più stabile e democratico. Luci e ombre Il Somaliland è una democrazia pluralista, in cui coabitano tre partiti (Kulmye, Ucid e Waddani) che rappresentano soprattutto i clan. Vige la libertà di stampa, anche se di recente sono state segnalate violazioni. Il 17 maggio, per esempio, il Committee to Protect Journalists di New York ha pregato le autorità di Hargheisa di liberare un reporter di Bulsho TV Channel, Abdirahman Keyse Mohamed, che era stato picchiato dalla polizia, poi messo in detenzione, per aver girato interviste a testimoni dell’arresto di un deputato dell’opposizione. In precedenza, il 15 febbraio, un africa · 5 · 2019 47



NATURA di Veronique Viriglio / Agi

Il più cacciato di tutti Il pangolino è il più cacciato di tutti. È un mammifero simile al formichiere, rivestito da un’armatura di scaglie. Nonostante sia protetto a livello internazionale, è l’animale più contrabbandato al mondo. Colpa della medicina tradizionale asiatica… È tra gli animali più singolari al mondo, l’unico mammifero ricoperto di squame. Ma è a rischio estinzione. Il pangolino, conosciuto anche come “formichiere squamoso”, è l’animale più cacciato e più contrabbandato al mondo. In pochi giorni, in Vietnam, al porto di Hai Phong sono stati sequestrati due carichi illeciti di 9 tonnellate in tutto di squame di pangolino, presumibilmente di provenienza nigeriana. Un amico ugandese Le sue squame contenenti cheratina – la stessa sostanza delle unghie – sono un ingrediente fondamentale in molte formule dei farmaci tradizionali in Asia. Solo in Cina esistono più di 200 case farmaceutiche che utilizzano le squame di pangolino per la produzione di medicinali, motivo per cui il contrabbando è ancora molto attivo. Ma il pangolino viene anche cacciato per la sua carne, considerata un’ottima fonte di proteine sia in

Asia che in Africa (in particolare nelle foreste del bacino del fiume Congo). Se in Zimbabwe e Sudafrica la Tikki Hywood Foundation sta lottando strenuamente per la sua salvaguardia, in Uganda un contadino di nome Moses Arineitwe fa della salvezza del pangolino la sua missione di vita. «Cerco di convincere la gente a non cacciarli, perché possono essere più utili da vivi. Ad esempio per il turismo: ai quattro angoli del pianeta molta gente non ha mai vi-

sto un pangolino», ha spiegato Arineitwe alla Bbc, dando il via alla sua battaglia ambientalista. Divieti inutili Nonostante il divieto del commercio mondiale, in vigore dal 2000, la popolazione di pangolini è notevolmente diminuita tanto in Asia come in Africa. A sud del Sahara viene braccato dalla Costa d’Avorio al Malawi, dalla Liberia al Congo, dalla Nigeria al Camerun. Creature timide e docili, tipicamente notturne, sdentate ma con una lingua lunga quanto il corpo, i pangolini possono consumare ventimila formiche in un giorno. Le loro tane sotterranee non arrivano a proteggerli dall’aggressività dell’uomo. I pangolini, cuccioli o adulti che siano, sono finiti al centro di un vasto traffico mondia-

le: nella sola Hong Kong 14 tonnellate di squame sono oggi in circolazione sul mercato nero… Solo la punta dell’iceberg di un commercio inarrestabile. Nei primi cinque mesi del 2019 le autorità di vari Paesi asiatici hanno dichiarato di aver confiscato 30 tonnellate di squame di pangolino, riconoscendo di fatto l’inefficacia del bando in vigore da quasi vent'anni. Non esistono fondamenta scientifiche che attestino l’efficacia curativa delle squame di questi mammiferi, eppure le leggi internazionali non riescono a bloccare il traffico di questi animali prossimi all’estinzione. ▼ Un esemplare di pangolino. Animale timido e tipicamente notturno, sdentato ma con una lingua lunga quanto il corpo, può consumare ventimila formiche in un giorno

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NATURA testo di Francesco Ricapito – foto di Raphaël Fournier

Ecovacanze tra le lagune del Senegal

La guida naturalistica Biram Sarra del campeggio Keur Bamboung indica a due turisti degli uccelli celati tra le mangrovie 56 africa · 5 · 2019


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