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Sommario
NOVEMBRE - DICEMBRE 2018, N° 6
COPERTINA 40
Non c’è futuro senza energia EDITORIALE Disobbedienti
3
4 prima pagina di Raffaele Masto
6 panorama di Enrico Casale
di Matteo Leonardi e Marco Garofalo
di Marco Trovato
ATTUALITÀ
AFRICA
8 economia di Michele Vollaro
MISSIONE • CULTURA
9 innovazione di Martino Ghielmi
2018. Un anno per immagini di Marco Trovato 14 Libia. Nel cuore ferito di Bengasi di Marco Trovato e Giovanni Diffidenti 20 Il cammino della democrazia di Giovanni Carbone 24 Somalia. Mogadiscio, ritorno alla vita di D. Bellocchio e M. Gualazzini
10
Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo
Plinio il Vecchio (I secolo d.C.)
DIRETTORE RESPONSABILE
Pier Maria Mazzola DIRETTORE EDITORIALE
SOCIETÀ
Marco Trovato
32
WEB
36
Enrico Casale (news) Raffaele Masto (blog) PROMOZIONE E UFFICIO STAMPA
Matteo Merletto AMMINISTRAZIONE E ABBONATI
Paolo Costantini PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE
Claudia Brambilla PROPRIETÀ
Internationalia Srl
Zambia. Piovono pietre sui pompieri di Marco Simoncelli Sierra Leone. Il caffè di Hannah di Marco Trovato
NATURA «L’Africa resta la mia casa» di Valentina G. Milani Eric torna a casa di Enrico Casale 52 Va’ dove ti porta il vento di Paola Marelli 56 Mozambico. La foresta ritrovata di Irene Fornasiero 48
51
EDITORE
Provincia Italiana della Società dei Missionari d’Africa detti Padri Bianchi
CULTURA
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segreteria@africarivista.it FOTO
Si ringrazia Parallelozero In copertina: Marco Garofalo Mappe a cura di Diego Romar - Be Brand STAMPA
60 64
Sudan. Nubia, splendido enigma di Raffaele Masto Etiopia. Le frustate che attirano i turisti di Alberto Salza
SPORT Senegal. La stoccata vincente
Jona - Paderno Dugnano MI
68
Periodico bimestrale - Anno 97 novembre - dicembre 2018, n° 6 Aut. Trib. di Milano del 23/10/1948 n. 713/48
RELIGIONI
SEDE
Viale Merisio, 17 - C.P. 61 - 24047 Treviglio BG 0363 44726 0363 48198 info@africarivista.it www.africarivista.it Africa Rivista @africarivista @africarivista africa rivista UN’AFRICA DIVERSA La rivista è stata fondata nel 1922 dai Missionari d’Africa, meglio conosciuti come Padri Bianchi. Fedele ai principi che l’hanno ispirata, è ancora oggi impegnata a raccontare il continente africano al di là di stereotipi e luoghi comuni. L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dai lettori e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite verranno utilizzate al solo scopo di inviare ai lettori la rivista e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 196 del 30/06/2003 - tutela dei dati personali).
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di Enrico Casale e Marco Garofalo
I profeti della paura di Mario Giro Le religioni dell’estasi di Francesca Ghirardelli Beati d’Algeria di Enrico Casale
76 78
INVETRINA Eventi di Valentina G. Milani 81 Arte e Glamour di Stefania Ragusa 82 VadoinAfrica di Martino Ghielmi 84 Sapori di Irene Fornasiero 85 Solidarietà di Valentina G. Milani 86 Libri di Pier Maria Mazzola 87 Musica di Claudio Agostoni
80
Viaggi di Marco Trovato 90 Web di Giusy Baioni 91 Bazar di Sara Milanese 92 Nero su Bianco di Fabrizio Floris e Francesca Casella 88
(Survival) 92
africa 6 · 2018 1 Calendafrica di· P.M. Mazzola
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Disobbedienti
Il 16 ottobre, dopo due settimane di arresti domiciliari, che aiutano i migranti a superare le frontiere, avvocati e mea Mimì Lucano è stato notificato il divieto di dimora dici che si espongono a rischi pur di dare una mano a chi è in nel suo proprio paese. L'accusa al sindaco di Riace, difficoltà, preti e funzionari dello Stato che forzano le regole divenuto simbolo mondiale dell’accoglienza, è di faper permettere affidi, ricongiunzioni familiari e matrimoni voreggiamento dell’immigrazione clandestina e abuso tra italiani e stranieri, normalizzando situazioni che la bud’ufficio. La procura di Locri gli contesta di aver favorocrazia rende impossibile sbrogliare. Le leggi migratorie rito due cooperative sociali che operano coi rifugiati e i sembrano pensate apposta per produrre clandestini, alirichiedenti asilo, nonché di aver promosso matrimoni “di mentare le situazioni di illegalità, spingere a contravvecomodo” tra cittadine e migranti. Colpevole o innocente? nire allo Stato anche i cittadini più onesti. Premesso che il giudice per le indagiNell’esprimere la sua solidarietà al ni preliminari ha escluso che il primo sindaco di Riace, don Gino Rigolcittadino di Riace abbia violato la legge di, cappellano del carcere minorile per tornaconto personale, e che la maBeccaria di Milano, ha ammesgistratura farà il suo corso, l’opinione so: «Capita di forzare la legge, di pubblica si è spaccata: qui i difensori incorrere in qualche piccolo arranoltranzisti della legalità, là chi assolve il giamento magari anche penalmensindaco, ritenendolo vittima di una ritorte rilevante, se si è di fronte alla sione politica, o responsabile tutt’al più disperazione più cupa, al dovere di Bertolt Brecht di un «reato di umanità» e di «disobbepreservare diritti umani fondamendienza civile». Tra le fila di questi ultimi tali e inviolabili che prevalgono su ci sono attivisti e intellettuali che credono legittimo, anzi tutto. È capitato anche a me, che pure cerco di rispettare doveroso, infrangere le regole quando minano diritti umasempre le norme. Se venissi esaminato con ottuso rigore ni inalienabili. Questione non da poco, come dimostrano di legge, un rigore privo di compassione per chi cerco di i casi di pescatori siciliani e tunisini finiti sotto processo aiutare, potrei finire anche io nei guai». A Riace, le miper aver soccorso natanti nel Mediterraneo con migranti a gliaia di persone accorse da ogni dove, il 6 ottobre, per bordo. O come illustra la vicenda delle ong criminalizzate. manifestare a favore del sindaco gridavano all’unisono in Diciamo le cose come stanno: il reato di cui Domenico tono di sfida: «Arrestateci tutti». Urla di complicità e indiLucano è accusato potrebbe essere contestato a una molgnazione che continuano a riecheggiare su svariate piazze titudine di italiani. Ci sono imprenditori che fanno carte d’Italia da Palermo a Milano, e fanno venire alla memoria false per regolarizzare dipendenti stranieri a rischio espuldon Milani: «L’obbedienza non è più una virtù». sione, pensionati che danno ospitalità a clandestini, giovani Marco Trovato
“Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere”
RICEVI AFRICA A CASA La rivista (6 numeri annuali in formato cartaceo e/o digitale) si riceve con un contributo minimo suggerito di: · carta (Italia): 35 € · digitale (pdf): 25 €/Chf · carta + digitale (Africa Social Club) Italia: 50 € Svizzera: 50 Chf Estero: 60 € · Africa + Nigrizia: 60 € (anziché 70 €)
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I lettori che vivono in Svizzera possono versare i contributi tramite: · PostFinance - conto: 69-376568-2 IBAN: CH43 0900 0000 6937 6568 2 Intestato a “Amici dei Padri Bianchi” Treviglio BG
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AFRICA, LA NUOVA FRONTIERA DEL BUSINESS Aumentano gli investimenti stranieri nel continente. Le grandi potenze economiche puntano ai settori strategici: elettricità, telecomunicazioni, manifattura, trasporti e petrolio. E l’Italia, con le sue imprese, non ha mai investito così tanto Stati Uniti, Regno Unito e Francia sono ancora i principali investitori esteri in Africa. È quel che emerge andando a leggere il consueto rapporto annuale sugli investimenti mondiali realizzato dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (Unctad), da cui si nota come lo stock di investimenti da questi tre Paesi, cioè il loro insieme effettuato nel tempo e ancora investito localmente, sia rimasto tutto sommato costante nel corso degli ultimi dieci anni. Secondo i dati a disposizione, alla maggiore economia mondiale e alle due ex potenze coloniali si ascrivono infatti stock per un valore rispettivamente di 57, 55 e 49 miliardi di dollari in società registrate in Africa. Questa realtà potrebbe però presto subire un mutamento perché la Cina, che nel 2009 registrava uno stock di circa 9 miliardi, è arrivata nel 2016 a un totale di 40 miliardi. Ma la sorpresa maggiore a leggere i dati dell’Unctad arriva quando si scopre che l’Italia ha più che raddoppiato in dieci anni il totale dei propri investimenti nel continente e nel solo 2017 è stata il maggiore investitore internazionale in assoluto in Africa, con un totale di 10,4 miliardi di dollari in nuovi progetti: più della Cina (8,9 miliardi), dell’Arabia Saudita (4 miliardi), degli Stati Uniti (3,9 miliardi) e del Regno Unito (2,3 miliardi). Comprendere in quale settore dell’economia sono impe-
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NEWSVollaro di Michele NEWS
gnati gli investimenti esteri di ciascun Paese è più complesso, perché non sono disponibili studi aggiornati che abbiano analizzato il fenomeno disaggregando la moltitudine di dati che gli organismi internazionali mettono a disposizione di chiunque ne faccia richiesta. Quel che è possibile, però, è osservare a cosa è stato destinato il flusso degli investimenti negli ultimi anni, individuando così in qualche modo le tendenze del settore privato interessato a investire in Africa. Si nota per esempio che, degli 85 miliardi di dollari in nuovi investimenti esteri annunciati lo scorso anno nei diversi Paesi dell’Africa, il 44% è stato relativo a progetti nel settore dell’elettricità e delle risorse idriche, il 25% ad attività industriali (soprattutto chimica e tessile) mentre il 13% ha riguardato il settore estrattivo e petrolifero. L’anno precedente, invece, a fare la parte del leone sono stati gli investimenti nel settore dei servizi alle aziende (24% del totale), nella manifattura industriale (20,6%), nelle costruzioni (17,4%), in elettricità e risorse idriche (16,6%), nei trasporti e nelle telecomunicazioni (13,7%), mentre al settore estrattivo e petrolifero è andato solo il 4% del totale. Relativamente agli investimenti italiani, le partecipazioni maggiori sono in Algeria (per un totale di 8,5 miliardi di euro), Egitto (7 miliardi), Tunisia e Sudafrica (ciascuna oltre 1,5 miliardi). A guidare la classifica delle nostre imprese che investono di più c’è l’Eni (gas e petrolio), seguito da Enel (energia), Ferrero (dolciario), Inalca (gruppo Cremonini, alimentare) e Salini Impregilo (costruzione di strade, dighe, grandi opere). In tutto, le aziende con sede in un Paese dell’Africa partecipate o controllate da capitali italiani sono circa 2000, hanno sugli 80.000 dipendenti e generano un fatturato di poco superiore ai 30 miliardi di euro l’anno.
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news di Martino Ghielmi - vadoinafrica.com
LA MULTINAZIONALE AFRICANA DEI PAGAMENTI DIGITALI Fondata nel 2002 dal keniano Ken Njoroge e dal nigeriano Bolaji Akinboro, Cellulant è una vera e propria multinazionale tecnologica africana. «Tutto è nato da una conversazione al ristorante, il nostro primo business plan l’abbiamo scritto sul tovagliolo. Le operazioni le abbiamo iniziate con 3000 dollari dei nostri risparmi», ricorda Njoroge. I due imprenditori sono tra i pionieri assoluti dei pagamenti digitali in Africa. Cellulant, che ha oggi oltre 250 dipendenti, offre i propri servizi a banche, telecomunicazioni, governi e multinazionali. Si stima che oltre il 15% degli utilizzatori di un cellulare in Africa adoperi un servizio sviluppato da questa azienda. La società, quotata alla Borsa di Londra, si è assicurata quest’anno uno dei più importanti round di investimento del continente: 47,5 milioni di dollari. Tra i servizi di maggior successo, Agrikore, portafoglio blockchain utilizzato da oltre 7 milioni di agricoltori, e Mula, app che consente di pagare digitalmente ogni tipo di bolletta nonché di acquistare credito telefonico e abbonamenti a media. «I due terzi della popolazione africana sono esclusi dal sistema finanziario, nonostante i cellulari arrivino ovunque. Vogliamo cambiare le cose, contribuendo a costruire il secolo africano», sottolinea Akinboro. cellulant.com DEMOCRATIZZARE L’ENERGIA SOLARE Nel diffondersi della tecnologia fotovoltaica in tutta l’Africa si nota una forte polarizzazione: enormi parchi solari finanziati da investitori internazionali da un lato, e dall’altro piccoli impianti pensati per la singola abitazione. The Sun Exchange è un’azienda sudafricana che rende possibile a tutti l’investimento in progetti solari di media dimensione (un impianto per una scuola, una piccola azienda o un villaggio) ricevendone i benefici finanziari per la durata, tipicamente ventennale, degli impianti. Il processo è un vero e proprio crowdfunding (raccolta fondi attraverso piattaforme online) che accetta anche criptovalute. Premiata come “Best Blockchain Business” all’African Fintech Awards 2016, The Sun Exchange ha sede a Città del Capo e a Dubai. thesunexchange.com MANCANO I NUMERI CIVICI? ZERO STRESS In assenza di numeri civici (e, alcune volte, dei nomi delle strade), trovare un luogo in una qualsiasi città africana non è mai un’operazione scontata. Anche i Gps sono spesso inaffidabili e si deve di norma chiedere più volte indicazioni. Mboni è una startup che ambisce a risolvere questo problema con un codice alfanumerico, una mappa interattiva che include la registrazione delle indicazioni per raggiungere il luogo; è in più lingue (francese, fon, yoruba, dendi, per il momento). Ne è fondatore il beninese Joane Setangni, 27 anni, autodidatta, che da ragazzino trascorreva «gran parte delle vacanze al cybercafé affascinato dall’idea di creare software». L’azienda sta trattando per lanciare l’applicazione in altri Paesi dell’Africa occidentale. mboni.net
L’UBER NIGERIANA DEI CAMION La logistica africana è un settore opaco: gran parte dei contratti (si parla di 150 miliardi di dollari l’anno) sono gestiti al telefono, spesso tramite costosi intermediari, e i prezzi non sono mai chiari. Kobo360 è una startup nigeriana che coordina una flotta di oltre 7000 camion, gestiti da padroncini indipendenti, rendendone le tariffe trasparenti e i viaggi tracciabili e assicurati grazie a un’app (ad oggi) trilingue: inglese, pidgin e hausa. Il fondatore Obi Ozor, già dirigente di Uber Nigeria, vuole «creare valore rendendo più semplice la vita ai camionisti, che possono concordare tempi e luoghi di carico/scarico merci con i clienti, essere pagati all’istante e guadagnare più di 3000 dollari al mese». Il segreto sta nell’efficientamento reso possibile dall’analisi dei dati, riducendo la pratica dei viaggi di ritorno a cassone vuoto. Ammessa quest’anno al prestigioso Y Combinator a San Francisco, Kobo360 potrebbe ricevere capitali per una rapida espansione. Al tasso di crescita attuale l’obiettivo è avere 20.000 camion attivi tra Nigeria e Ghana entro la fine dell’anno. kobo360.com
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ATTUALITÀ testo di Marco Trovato – foto di Giovanni Diffidenti
Feranmi Olusegun
Nel cuore ferito di Bengasi
REPORTAGE ESCLUSIVO DAL CAPOLUOGO DELLA CIRENAICA DEVASTATO DALLA GUERRA CIVILE, MENTRE SI ADDENSANO NUBI SUL FUTURO DELLA LIBIA
A sette anni dal crollo del regime di Gheddafi, la Libia è sempre lacerata dalle violenze tra milizie e dalle tensioni tra fazioni politiche alimentate da ingerenze straniere. Le macerie di Bengasi sono il simbolo di una nazione da ricostruire Muri crivellati dai proiettili, edifici sventrati dalle bombe, veicoli carbonizzati dalle esplosioni. I segni della guerra sono ovunque. Il centro storico di Bengasi, seconda città della Libia, cuore economico e politico della Cirenaica, non esiste più. Cumuli di macerie, frammenti di vetro, strade deserte, botteghe saccheggiate. Un silenzio irreale e l’odore acre del fumo avvolgono rovine annerite: ciò che resta degli eleganti palazzi costruiti negli anni Venti e Trenta dagli architetti italiani durante l’occupazione coloniale. Per tre anni e mezzo, dal 2014 al 2017, Bengasi è stata un campo di battaglia. Le forze armate del generale Khalifa Haftar hanno combattuto e sconfitto le truppe jihadiste che controllavano la città dal 2012. Le organizzazioni umanitarie hanno documentato l’orrore compiuto sulla popolazione civile dagli uomini dello Stato islamico (Isis) e delle formazioni paramilitari
◀ Un soldato fedele al generale Haftar si scatta un selfie in cima ad un palazzo. Alle sue spalle, una delle zone più devastate di Bengasi
affiliate ad altre organizzazioni terroristiche come Ansar al-Sharia e la stessa al-Qaeda. Centinaia di intellettuali assassinati – avvocati, professori, giornalisti –, donne violentate e lapidate, uomini torturati e impiccati, persino anziani e bambini decapitati. Testimonianze raccapriccianti affiorate solo quando le forze armate filogovernative sono riuscite a riprendere il controllo della città. Quartieri rasi al suolo I combattimenti più cruenti per la conquista di Bengasi sono avvenuti nei due quartieri-enclave di Ganfuda e di Sabri, dove si erano asserragliati i jihadisti. Qui i soldati hanno combattuto strada per strada, in ogni edificio, per piegare la resistenza dei miliziani. Il 5 luglio 2017 Haftar ha annunciato la liberazione completa di Bengasi dai terroristi islamici. La vittoria è costata la vita a oltre diecimila persone. Oggi le zone teatro della guerra, un’area di oltre sette chilometri quadrati, sono territori fantasma. Completamente spopolati sono la zona del porto, la medina, il mercato del pesce, l’antico bazar. I naafrica · 6 · 2018 15
I resti del Palazzo del Governo italiano, costruito nel 1930
Una veduta sulle macerie da un ambulatorio dell'Ospedale Maggiore di Bengasi
16 africa ¡ 6 ¡ 2018
ATTUALITÀ di Giovanni Carbone
Jekesai Njikizana
Il cammino della democrazia
TRA LUCI E OMBRE, NELL’AFRICA SUBSAHARIANA SI REGISTRANO SEGNALI DI CONSOLIDAMENTO DEMOCRATICO
L’epoca dei tiranni e non è tramontata. Permangono regimi autoritari che soffocano le libertà e presidenti incollati al potere. Ma la direzione appare chiara. Le “primavere” africane hanno inaugurato una stagione che, mediamente, sta mantenendo le promesse Quando pensiamo all’Africa subsahariana, la democrazia non è, in genere, la prima associazione mentale che facciamo. Ci vengono più facilmente in mente povertà, emergenze umanitarie o migrazioni. Magari la cooperazione. Se proprio dobbiamo ragionare su come gli Stati del continente vengono governati, allora è facile richiamare immagini di putsch, conflitti e regimi dittatoriali. Escludendo il leader più noto – Nelson Mandela –, gli altri nomi che nel corso dei decenni hanno raggiunto una certa notorietà al di fuori del continente sono quasi tutti di famigerati autocrati di cui si celebrò la (troppo) tardiva caduta: i vari Mobutu in Zaire/Congo, Mugabe in Zimbabwe, Siad Barre in Somalia, Idi Amin in Uganda e molti altri ancora. Il primo trentennio L’Africa resta una terra difficile per la democrazia – che peraltro attraversa un periodo complicato in diverse altre aree del mondo ◀ Zimbabwe, 21 novembre 2017. Parlamentari esultano alla notizia delle dimissioni del presidente Robert Mugabe, 94 anni, in carica dal 1987
– ma non una terra impermeabile. Se, anzi, adottiamo una prospettiva di lungo periodo, verifichiamo che alcuni semi importanti sono stati gettati. Semplificando un po’, la vicenda dei Paesi africani indipendenti, iniziata attorno ai primi anni Sessanta, può essere suddivisa in due grandi periodi. Uno che possiamo chiamare “postcoloniale” e che coincide con i primi trent’anni, e quello a noi più prossimo dei tre decenni successivi – a partire dagli anni Novanta – che potremmo dire “contemporaneo”. La prima fase è caratterizzata dall’insediarsi di governi sovrani, almeno nominalmente, con l’emergere delle nuove leadership africane. Pensiamo a Kwame Nkrumah in Ghana o a Julius Nyerere in Tanzania. Benché molte di esse avessero in origine un qualche tipo di investitura elettorale, ottenuta peraltro spesso prima dell’indipendenza stessa, nell’arco di pochi anni la duplice traiettoria che avrebbero seguito diventò evidente. Da un lato, fecero la loro comparsa i colpi di Stato, già ampiamente sperimentati pressoché in ogni altra epoca e continente, che aprivano la via africa · 6 ·2018
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IN CONGO UNA SVOLTA… NEL SEGNO DELLA CONTINUITÀ Un regno lungo quasi diciotto anni sta volgendo al termine. Joseph Kabila, presidente della Repubblica democratica del Congo, non correrà per un terzo mandato alle elezioni del 23 dicembre 2018. Si temeva che volesse restare al potere sfidando le regole e seguendo l’esempio di illustri colleghi – seppur in modalità diverse – della regione dei Grandi Laghi (basti pensare a Kagame in Ruanda o a Nkurunziza in Burundi). Ma il candidato unico per il Fronte comune per il Congo (Fcc) – sigla che racchiude i partiti a sostegno dell’attuale maggioranza – sarà Emmanuel Ramazani Shadary, un uomo tanto potente e conosciuto nelle gerarchie del potere di Kinshasa quanto relativamente ignoto all’estero. Originario della provincia orientale del Maniema, fedelissimo del presidente, Shadary, 58 anni, ha ricoperto la carica di ministro dell’Interno con cui si è guadagnato l’appellativo di Monsieur coup sur coup. Suoi, infatti, gli ordini di reprimere con tutti i mezzi, “colpo su colpo”, le manifestazioni di piazza anti-Kabila a Kinshasa e la ribellione Kamwina Nsapu nel Kasai. A causa delle violenze perpetrate, la Ue gli ha negato il visto e imposto il congelamento dei suoi beni in Europa. Diversi fattori hanno portato Kabila a puntare le sue fiches su Shadary. In primo luogo, la fedeltà ventennale al suo clan garantisce al capo dello Stato uscente il riparo da possibili ripercussioni sul piano politico ed economico una volta dismesse le vesti presidenziali. Poi, certamente la profonda conoscenza dei poteri forti di Kinshasa – ivi inclusi i settori chiave della polizia e dell’esercito – dovuta alla sua lunga esperienza istituzionale. In terzo luogo, l’origine geografica. Shadary dovrebbe intercettare, nelle intenzioni dell’Fcc, la maggioranza dei voti dell’Est, che costituisce ben il 60% del corpo elettorale congolese, mentre Kinshasa e l’Ovest sono tradizionalmente più legati all’opposizione. Vedremo i risultati delle elezioni: la politica congolese è da sempre una ricca fornace di sorprese. Roberto Morel
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al controllo diretto del governo da parte dei militari. I leader civili di Togo, Benin e Congo (Brazzaville) furono solo i primi a cadere. Dall’altro lato, l’eliminazione dei partiti minori e il consolidamento di regimi a partito unico. Kenya, Zambia e molti altri si avviarono su questa strada. Svolta negli anni Novanta Nel 1989, quando il crollo del Muro di Berlino stravolgeva la geopolitica mondiale, riverberando in modo importante anche nella regione subsahariana, la quasi totalità dei Paesi dell’area aveva seguito l’una o l’altra via, e talvolta una combinazione delle due. La prima metà degli anni Novanta, tuttavia, aprì le porte a un’inattesa fase di trasformazioni politiche la cui portata rivoluzionaria, come rapidamente osservarono alcuni analisti, sarebbe stata seconda solo al momento delle indipendenze. Con una sorta di effetto domino, e un diffuso entusiasmo, nell’arco di pochissimi anni un Paese africano dopo l’altro fu spinto a introdurre elezioni aperte a più partiti. In un certo numero di casi, fu il preludio all’uscita di scena di governanti che erano stati in carica senza interruzioni per due o tre decenni – i più noti: Kenneth Kaunda nello Zambia e Hastings Banda in Malawi. In completa controtendenza rispetto al trentennio precedente, le elezioni formalmente competitive divennero il nuovo standard della
politica anche a sud del Sahara, come già stava avvenendo da alcuni anni su scala mondiale. Da allora e fino ad oggi, la frequenza dei colpi di Stato è crollata e, con pochissime eccezioni, anche i governanti dall’indole più antidemocratica si sono sentiti in obbligo di pagare un tributo alle nuove prassi e di mostrare periodicamente almeno una facciata di competizione elettorale. Questioni aperte Fin dall’avvio dell’epoca delle riforme, tuttavia, fu chiaro che molti nodi sarebbero comunque rimasti irrisolti. Ancora oggi, gli ostacoli da superare restano numerosi e i dubbi sui progressi effettivi legittimi. Tra questi, due interrogativi particolari. Il primo: al di là dell’adozione delle forme della competizione democratica – il suffragio universale, il voto periodico, la molteplicità dei partiti, le istituzioni rappresentative – qual è oggi l’effettivo grado di democraticità di questi governi? Alla forma corrispondono, almeno in certa misura, progressi sostanziali? La seconda questione riguarda il senso più ampio delle riforme avviate quasi trent’anni fa: se è vero che le aperture democratiche nascevano anche da pressioni popolari per superare il malgoverno e la stagnazione economica che avevano caratterizzato la seconda metà degli anni Settanta e gli anni Ottanta, qual è stato il loro impatto sulla ripresa, da parte dei Paesi
ATTUALITÀ testo di Daniele Bellocchio – foto di Marco Gualazzini
Mogadiscio, ritorno alla vita
24 africa · 6 · 2018
REPORTAGE DALLA CAPITALE DELLA SOMALIA, CHE DOPO TRENT’ANNI DI GUERRA ACCAREZZA IL SOGNO DELLA PACE
L’ex colonia italiana convive ancora con l’insicurezza e il terrorismo, ma l’intensità delle violenze è diminuita e la gente guarda al futuro. Tornano gli esuli e gli investimenti stranieri, riaprono le attività, riprendono i piaceri della vita… Le luci dei riflettori illuminano dappertutto, il vociare della folla è incessante, i tifosi non cessano di affluire, il parcheggio esterno allo stadio è sorvegliato da uomini della polizia, dell’esercito e delle forze di sicurezza privata. L’attenzione e lo stato d’allerta sono massimi e quello che sta per andare in scena è un evento unico, straordinario, storico. Non è la finale di Champion’s League e neanche della Coppa del Mondo 2018. È soltanto una partita di calcio, ma con un valore e un’importanza assoluti che si spingono ben oltre quello che è il semplice esito di una competizione sportiva. L’incontro che sta per andare in scena ha il potere evocativo e simbolico di celebrare la rinascita di un intero Paese: la Somalia. Esplosioni di gioia La scena è quella del Konis Stadium di Mogadiscio, rinnovato l’anno scorso dalla Fifa, e in campo ci sono le formazioni cittadine dello Hodan e del Wa◀ Lido Beach affollata di bagnanti è uno dei luoghisimbolo della rinascita della capitale somala. Sulla spiaggia stanno aprendo nuovi chioschi e ristoranti frequentati da giovani
beri. Sta per prendere il via il primo match ufficiale di calcio in questo Paese del Corno d’Africa dopo tre decadi di violenza totalizzante: da quella dei “signori della guerra” al jihad di al-Shabaab. Gli spalti sono un tripudio di colori e di grida; assiepati sulle tribune ci sono donne, uomini e famiglie. Prima che la manifestazione prenda il via, il sindaco della città, il ministro dello Sport e i volti noti della società dell’ex colonia italiana si impadroniscono della metà campo e ribadiscono, davanti a una popolazione entusiasta ed eccitata di vita, l’importanza del momento per l’avvenire della Somalia. Il match inizia e gli occhi di migliaia di spettatori sembrano ricercare, rincorrendo con lo sguardo il pallone, l’inizio del proprio avvenire di pace in una sfera che, anziché essere di cristallo, è fatta di cuoio e provoca esplosioni di gioia ed esultanze. I figli della diaspora La Somalia sta cambiando, è evidente, e lo si percepisce in una pluralità di aspetti. Mogadiscio è in continua trasformazione, convive ancora con la guerra, ma cerca quoafrica · 6 · 2018 25
SOCIETÀ testo e foto di Marco Trovato
Il caffè di Hannah
UNA GIOVANE IMPRENDITRICE DI FREETOWN SFIDA IL COLOSSO AMERICANO STARBUCKS
36 africa · 6 · 2018
Sulle colline della Sierra Leone cresce spontaneamente una pregiatissima qualità di caffè. Ma nessuno aveva mai pensato di trasformare quei chicchi in una bevanda per il mercato locale. Finché una studentessa tenace e temeraria… Il primo appuntamento è saltato per motivi di studio. «La prego di scusarmi, devo finire di preparare l’esame di marketing», si è giustificata al telefono. Pochi giorni dopo, incontro Hannah Tarawally, 23 anni, nel suo laboratorio di Wilkinson Road, nel cuore vecchio di Freetown, a pochi passi dalla lunga spiaggia di Lumley. È radiosa. «È andata bene – mi dice con gli occhi che brillano –. Un altro passo nella giusta direzione». La giusta direzione è la laurea in Economia e commercio. «Non vedo l’ora di mettere in pratica quel che sto imparando». La ragazza è sveglia, intraprendente, ambiziosa. Orfana di padre in un Paese povero e travagliato, ha dovuto ben presto rimboccarsi le maniche. Due anni fa, per pagarsi gli studi, ha avviato una piccola attività che oggi le sta dando gran◀ Nel giardino del suo laboratorio, Hannah raffredda e scortica i chicchi di caffè appena tostati. Chi fosse interessato a sostenere l’attività di questa giovane imprenditrice sierraleonese può scrivere a: salonecoffee@gmail.com ▶ Hannah impegnata nella fase di tostatura, o torrefazione, che viene eseguita a mano sul fuoco per 15-20 minuti africa · 5 · 2018 37
COPERTINA testo di Matteo Leonardi – foto di Marco Garofalo
Non c’è futuro senza energia
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africa · 6 · 2018
IN ANTEPRIMA, LE IMMAGINI DELLA NUOVA MOSTRA FOTOGRAFICA
In Africa avere l’elettricità in casa è ancora un privilegio. Larga parte della popolazione vive al buio o dispone di una fornitura insufficiente a soddisfare i bisogni domestici. Il deficit energetico è, al tempo stesso, causa e conseguenza del sottosviluppo
DEDICATA AL DIFFICILE ACCESSO ALL’ENERGIA IN AFRICA
L’Africa ha bisogno di energia. Secondo le statistiche della International Energy Agency, circa 600 milioni di africani, il 60% della popolazione, non ha accesso all’elettricità. Le Nazioni Unite hanno recentemente inserito l’accesso universale a forme moderne di energia tra gli Obiettivi di sviluppo sostenibile da conseguire entro il 2030. Da qualche anno le maggiori organizzazioni internazionali dedite ai programmi di cooperazione e la maggior parte dei Paesi in via di sviluppo hanno delineato e stanno mettendo in pratica strategie e piani, più o meno ambiziosi e più o meno fattibili, per raggiungere l’ambito traguardo. La Banca Mondiale è tra i promotori dell’iniziativa Sustainable Energy for All, che contestualmente all’accesso universale mira a raddoppiare i contributi delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica
◀ Tanzania, Engosheraton (Arusha). Non mancano gli smartphone a rischiarare la notte nella casa senza elettricità
al 2030. Imprese, monopoli nazionali dell’energia, società internazionali e nuove startup completano il quadro. L’energia è ovunque Ma cosa vuole dire accesso all’energia? È la domanda che si è posta il progetto World Access to Modern Energy della Fondazione Aem, lanciando un lavoro di documentazione fotografica sulle famiglie e il loro modo di avere accesso all’energia elettrica. Gli scatti di Marco Garofalo ci accompagnano in Tanzania, Kenya e Ghana per raccontare cos’è l’accesso all’energia per milioni di persone. È una collezione di quadri che nella loro semplicità ci mostrano come l’energia elettrica sia oramai un bisogno primario per ogni popolazione del mondo. Bene o male, in un modo o nell’altro, l’energia elettrica è presente ovunque. In ognuna delle case visitate abbiamo stimato il consumo energetico, la spesa media e la quantità di CO2 emessa per produrre l’elettricità. I risultati sono evidenziati nelle foto pubblicate in queste pagine. Per fare un raffronto, una famiglia italiana consuma in media africa · 6 ·2018
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ENERGY AFRICA
MISSIONE • CULTURA
RITRATTO DI UN CONTINENTE PIENO DI ENERGIA
NOLEGGIA LA NUOVA MOSTRA Il fotografo Marco Garofalo ha immortalato decine di famiglie nelle loro abitazioni, per raccontare il difficile accesso all’energia in Africa. Dove ogni notte seicento milioni di persone
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MISSIONE • CULTURA
s’ingegnano per non restare al buio.
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NATURA di Paola Marelli
Afp / Getty
Va’ dove ti porta il vento
CULTURA di Raffaele Masto – foto di Marco Trovato
Nubia, splendido enigma
PROPONIAMO
UN NUOVO VIAGGIO TRA PIRAMIDI, TEMPLI E OASI,
SULLE TRACCE DELLA MISTERIOSA CIVILTÀ DEI FARAONI NERI
Nel Nord del Sudan le acque del Nilo si fanno strada fra le dune del Sahara. Seguendo il loro corso, scopriamo una regione affascinante e ricca di storia, come testimoniano gli straordinari siti archeologici che affiorano tra le sabbie Dall’alto, il Nilo è uno spettacolo. Qualunque aereo che parta dall’Europa diretto in Africa orientale sorvola il suo bacino e, se è giorno, lo scenario dall’oblò è impagabile: una striscia argentea che serpeggia all’interno di una guaina di un verde intenso e poi, da una parte e dall’altra, una immensità a perdita d’occhio di varie tonalità di ocra: lo sterminato deserto del Sahara. Porta dell’Africa nera Quando si scende a vederlo da vicino, la percezione di grandezza e maestosità del Grande Fiume si amplifica. In alcuni punti sembra immoto, il suo ampio letto fa apparire l’acqua ferma. In altri, dove il letto si stringe, le acque si increspano, prendono velocità e non sono navigabili. Sono le cateratte, che per lungo tempo hanno rappresentato un ostacolo invalicabile per chiunque volesse raggiungere il cuore del continente. Il Nilo infatti era
la porta dell’Africa nera, il suo corso introduceva in regioni inesplorate, delle quali si intravvedeva in lontananza, nelle giornate terse, una catena di monti che gli antichi chiamarono “Montagne della Luna” e che altro non era che il Rwenzori. Nell’impossibilità di risalire il fiume fino alle sorgenti, la regione della Nubia diventava un corridoio cruciale. Di là, nell’antichità, passarono arabi ed europei: esploratori, schiavisti, commercianti, missionari… Ancora oggi, ripercorrere quell’itinerario fa assapo-
rare il gusto della scoperta di una storia affascinante. L’influenza egizia Appena sopra Khartoum, la capitale del Sudan, il Nilo compie una grande ansa disegnando nel deserto una specie di quadrato. Proprio qui nacque, nell’800 a.C. circa, la civiltà dei Faraoni Neri, che per molti secoli rivaleggiò con l’Antico Egitto. Questi sovrani – discendenti dei sacerdoti di Amon esiliati da Tebe e rifugiatisi a Napata, in Nubia, all’inizio della XXII dinastia – diedero vita a un sistema di potere e di organizzazione
sociale ispirato alla civiltà egizia ma influenzato anche da altre culture: di altre aree africane, ellenistica e romana. Per oltre un millennio la Nubia sviluppò una potenza economica e politica tale da contrastare le armate egizie, intessendo una fitta rete di relazioni commerciali con il Nord Africa. Da Kerma partivano le navi e le carovane per il Mediterraneo, colme dell’oro del deserto nubiano. Le navi egizie a loro volta risalivano il Nilo, sfruttando il vento costante da nord, portando manufatti artigianali e la loro cultura.
◀ Una piramide affiora tra le dune di sabbia nei pressi della necropoli della città reale di Meroe: il più grande agglomerato di piramidi al mondo, non lontano dal Nilo (foto a destra) africa · 6 ·2018
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i vi A ggi di
AFRICA
MISSIONE • CULTURA
NUBIA (SUDAN) DAL 29 MARZO AL 6 APRILE 2019 con Raffaele Masto (reporter e scrittore) ed Elena Belgiovine (archeologa e guida) Un viaggio d’autore in Sudan nel cuore dell’antica Nubia, regione di superba bellezza, culla di affascinanti civiltà del passato, alla scoperta di templi e piramidi che affiorano dalle sabbie del deserto. Un itinerario esclusivo con due guide d’eccezione.
Quota: 2.990 € a persona
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RELIGIONI di Mario Giro
Gwenn Dubourthoumieu
I profeti della paura
IN AFRICA PROLIFERANO CHIESE PENTECOSTALI E SETTE CRISTIANE
Miriadi di predicatori promettono miracoli e la liberazione dagli “spiriti maligni”. Per conquistare nuovi fedeli fomentano pregiudizi ancestrali e alimentano un pericoloso clima di caccia alle streghe
CHE MISCHIANO VANGELO E PENSIERO MAGICO
L’esorcismo di un uomo colpito dalla maledizione di un enfant sorcier (un bambino accusato di stregoneria) nella Chiesa Gallicana di Kinshasa, capitale della Repubblica democratica del Congo
Nel tessuto sociale di tutta l’Africa subsahariana odierna c’è una realtà da non trascurare: le Chiese pentecostali e “sette” varie. Un mondo ramificato e in costante movimento, che in tanti casi perpetua una “religione della paura”. Un mondo in continuo sviluppo. A livello globale, il pentecostalismo è passato da zero a mezzo miliardo di fedeli in un secolo: molti in Africa. Quale liberazione dal male Si pensa in genere a “sette” dal forte carattere coesivo, ma i pentecostali sono di molti tipi diversi. Una gran parte delle denominazioni fa leva sull’autostima, utilizzando la morale (non bere, niente sesso fuori dal matrimonio, ecc.) come forma di ricostruzione della personalità. In questo senso devono essere guardate come comunità che coinvolgono soggettivamente il fedele, non solo masse rumorose. L’immagine del “pastore-profeta” che grida a squarciagola e canta non è sufficiente a descriverle. Non si tratta solo di una questione comunicativa. Da una parte è molto utilizzato il senso magico del
panteismo: Dio è dovunque, e ogni gesto, accadimento, evento della vita può essere riportato alle “forze divine” o a quelle contrarie. Ecco allora le preghiere per le guarigioni, che divengono preghiere per la “liberazione” dagli spiriti maligni. Preghiere e magia In Africa ciò è strettamente legato all’ossessione per la stregoneria: una guerra spirituale che vede il male dappertutto. Si tratta di “una religione della paura”, dove occorre “dare la caccia allo stregone”. Ogni fedele è invitato a cercarne i segni nel suo ambiente, in famiglia. Indicata come nemico perfetto, la stregoneria riacquista così valore: la demonizzazione degli spiriti pagani ne consacra il potere. Infatti, parallelamente ai pentecostali si va rinvigorendo il mondo della magia nera. E si rafforzano i pregiudizi ancestrali: contro gli albini, i bambini-stregoni, gli anziani-stregoni che rubano la vita. Un vecchio problema che rivive sotto nuova forma. In Benin, per esempio, prima della colonizzazione i “bambini-stregoni” venivano esiliati e affidati alla tribù africa · 6 · 2018 73
UNO SGUARDO SULL’AFRICA? MEGLIO DUE
AFRICA e NIGRIZIA: due riviste, un’unica passione
AFRICA N. 6 NOVEMBRE-DICEMBRE 2018 - ANNO 97
RIVISTA BIMESTRALE
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MISSIONE • CULTURA
VIVERE IL CONTINENTE VERO
Libia
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Tra le macerie di Bengasi
Somalia
Mogadiscio, ritorno alla vita
Mozambico
La foresta ritrovata
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Energia
LUCE SUL FUTURO
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RELIGIONI di Enrico Casale
Beati d’Algeria L'8 dicembre la Chiesa proclama beati 19 religiosi massacrati negli anni Novanta dagli integralisti islamici. Tra loro, il vescovo Pierre Claverie, i monaci di Tibhirine e quattro Padri Bianchi
Furono “anni di piombo” gli anni Novanta in Algeria, anni segnati da uno scontro feroce tra i miliziani jihadisti e l’esercito. I terroristi del Gia (Gruppo islamico armato) e, in seguito, i gruppi salafiti seminarono morte nelle città e nelle campagne. I terroristi colpivano gli stranieri (anche sette marinai italiani, nel 1994) e soprattutto gli stessi algerini: circa 150.000. Tanta
gente comune. Tra essi, religiose e religiosi cattolici. I primi a cadere, l’8 maggio 1994, furono fratel Henri Vergès e suor PaulHélène Saint-Raymond. Il 23 ottobre toccò ad altre due suore. Poco dopo Natale, il 27 dicembre, furono massacrati a Tizi Ouzou quattro Padri bianchi. Il 3 settembre 1995 fu il turno di altre due suore. Il 10 novembre, di suor Odette Prévost. Nella pri-
mavera del 1996 furono rapiti e uccisi sette monaci trappisti di Tibhirine. Non sazi, i carnefici prepararono l’ultimo agguato contro un uomo di Chiesa e puntarono al bersaglio grosso. Il 1° agosto 1996 fecero esplodere una bomba che uccise il vescovo di Orano, mons. Claverie – figura nota per la sua fede nel dialogo islamo-cristiano –, insieme a Mohamed, suo autista e amico. Decennio nero La vicenda più nota e controversa è quella di Tibhirine. Più volte minacciati, i trappisti scelsero di non abbandonare il loro convento e di rimanere con la gente del posto. Furono portati via nella notte tra il 26 e il 27 marzo. Di loro, a fine maggio, verranno rinvenute solo le teste, non lontano dal monastero. Chi li sequestrò? Il Gia rivendicò l’azione, ma alcune indagini ipotizzarono ambiguità di politici locali, responsabili delle forze dell’ordine e agenti dei servizi segreti. Non molto diversa, nella sostanza, Il vescovo di Orano, Pierre Claverie, franco-algerino. Con lui fu martire consapevole il suo giovane autista musulmano
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la vicenda dei Padri bianchi. Jean Chevillard, Alain Dieulangard e Christian Chessel, francesi, vivevano a Tizi Ouzou, il capolouogo della Cabilia, la regione orientale dell’Algeria. Lavoravano con la povera gente ed erano benvoluti. La loro dedizione era ricambiata dall’amore della popolazione (in quattromila parteciparono ai loro funerali). Verranno uccisi tutti e tre, più il loro confratello belga Charles Deckers, appena arrivato da Algeri (Africa 4/2018). La cerimonia di beatificazione dei 19 martiri si terrà a Orano. nel santuario di Notre-Dame di Santa Cruz. Una scelta dal valore simbolico, che richiama in primo luogo la figura di mons. Claverie. La sua morte colpì profondamente l’Algeria, anche perché insieme a lui venne ucciso Mohammed, il giovane autista musulmano. L’immagine del sangue dei due amici che si mescola è l’icona del calvario vissuto dalla Chiesa algerina insieme a un numero spropositato di musulmani, anch’essi vittima della violenza cieca del “decennio nero”.
A Natale fai un regalo Ai Padri Bianchi Sostieni i missionari impegnati in Africa. Scegli il tuo progetto. PROGETTO N. 5 Sudafrica - Aiuto seminaristi PB (p. Luigi Morell) PROGETTO N. 8 Italia - Per il progetto più urgente (p. Paolo Costantini) PROGETTO N. 9 Assistenza ai padri anziani (p. Paolo Costantini) PROGETTO N. 10 Algeria - Comunità dei PB Biblioteca per universitari (p. Aldo Giannasi)
AMICI DEI PADRI BIANCHI ONLUS MISSIONARI D’AFRICA
PROGETTO N. 12 Burkina Faso Investire nella cultura (p. Giancarlo Pirazzo) PROGETTO N. 13 Burkina Faso Scuola per nomadi Peul (p. Maurice Oudet) PROGETTO N. 14 Ghana (Wa) Assistenza ai malati mentali (Mons. Richard Baawobr - PB, vescovo di Wa)
COME AIUTARE: Con un'offerta fiscalmente deducibile alla stessa onlus Con un'offerta per Sante Messe - fiscalmente non deducibile Nella causale indica: Aiuto ai Padri Bianchi o Sante Messe o specifica un progetto Dona tramite: - WEB con PayPal dal sito www.missionaridafrica.org - POSTA CCP n. 9754036 - BANCA IBAN: IT73 H088 9953 6420 0000 0172 789 BIC/SWIFT: ICRAITRRTR0
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IN VETRINA
NEROsuBIANCO
ritagli dal blog di www.africarivista.it
Bracconieri? O custodi della foresta? di Francesca Casella (Survival) Per molti cacciatori-raccoglitori Bayaka del Congo, conservazione dell’ambiente significa spesso solo questo: violenze e furto di terra. Survival International ha documentato decine di casi: molestie, pestaggi e torture ai danni di uomini, donne, bambini e anziani, e perfino persone disabili. Il Parco nazionale di Nouabale Ndoki, nella Repubblica del Congo, fu creato dal governo nel Capodanno 1993: in un attimo, ai Bayaka venne sottratta un’ampia porzione della loro terra ancestrale, da destinare a conservazionisti, biologi e turisti. La Wildlife Conservation Society (Wcs) – una delle più grandi organizzazioni americane per la conservazione, legata allo Zoo del Bronx di New York – contribuì a creare il parco, senza però prima ottenere il consenso della tribù. Oggi Wcs gestisce l’area finanziando anche le squadre antibracconaggio che impediscono ai Bayaka di entrare in quella che è la loro casa.Non solo. Wcs ha stretto partnership con due compagnie del taglio del legname. Secondo la versione ufficiale, le due società – Cib e Ifo – dovrebbero promuovere un taglio più “sostenibile”, ma la realtà è ben differente. Ricercatori indipendenti e organizzazioni di advocacy, tra cui Greenpeace, denunciano infatti che nella regione il taglio del legname continua a ritmi insostenibili e – addirittura – studi recenti mostrano che la foresta scompare a un ritmo più veloce proprio nelle aree delle concessioni che dovrebbero essere “sostenibili”. Contrariamente a quanto sostengono le organizzazioni per la conservazione, quei territori non sono affatto “selvaggi” o “vergini”: popoli come i Bayaka li hanno vissuti, plasmati e gestiti per centinaia di anni. “Un Bayaka ama la foresta come fosse una parte del suo corpo”, recita un detto locale, e infatti i Bayaka sono nella posizione migliore per difenderla, e prendersene cura è parte della loro vita quotidiana.
CALENDAFRICA 9 NOVEMBRE Ken Saro-Wiwa † 1995. Viene impiccato, con otto compagni, il leader ambientalista nigeriano, e uomo di cultura, che lottava contro la devastazione del Delta del Niger provocata dagli impianti Shell e Chevron. 92 africa · 6 · 2018
Per questo, quando vengono sfrattati dalle loro terre ancestrali, non sono solo i popoli indigeni a risentirne, ma lo stesso ambiente, che viene privato dei suoi tradizionali custodi. Prendere di mira i cacciatori indigeni distoglie l’attenzione dalla lotta ai veri bracconieri: criminali collusi con funzionari corrotti. Proprio questo è il paradosso: i popoli indigeni vengono sfrattati illegalmente dalle loro terre nel nome della conservazione della flora e della fauna, e intanto le stesse terre vengono aperte al turismo, ai cacciatori di trofei, al bracconaggio e alle imprese che ne sfruttano le risorse.
La sindrome di Precious di Fabrizio Floris Arriva sempre in taxi e si vede subito che lei non è del solito gruppetto delle case popolari di Mirafiori: troppo smart, troppo fashion, ma soprattutto troppo sorridente. Prende il figlio, risale sul taxi e se va in gran fretta. Sempre così, finché un giorno le dico: «Idea l’a need» (ci vorrebbe un’idea – uno slang nigeriano). Lei è sorpresa, parliamo degli Igbo, della guerra del Biafra, degli antenati, del crollo di un mondo, della sua agadi-nwanyi (protettrice). Con le sue parole mi porta nel villaggio di Ukwu, tra gli spiriti della foresta malvagia. Ricorda la caccia notturna con le reti dei pipistrelli della frutta, l’arrivo di ebola e dei rifugiati dal Camerun. La fuga verso Lagos, Benin City, il viaggio, la strada e la liberazione dal vodu di Oba Ewuare. Ma il suo non è un racconto, è una sorta di realtà aumentata: sei lì quando parla della traversata del lago (Mar Mediterraneo), quando ricorda i giorni in cui in Libia le guardie le dicevano di lavarsi (significava che volevano abusare di lei), sei lì quando passa le notti nel ghetto di Rignano Garganico, quando incontra una signora (suora) dal volto felice che l’aiuta a imparare l’italiano, sei lì quando nasce Jerrik. Sorride, ora capisco perché non è del posto, ha una strana sindrome: è una portatrice sana di felicità.
a cura di P.M. Mazzola
26 NOVEMBRE Charles Lavigerie † 1892. Muore l’arcivescovo di Algeri e cardinale, fondatore dei Padri Bianchi e delle Suore Bianche. Memorabile la sua lotta alla schiavitù in Africa, tramite anche la sensibilizzazione dell'opinione pubblica europea.
13 DICEMBRE Norbert Zongo † 1998. Giornalista burkinabè, è ucciso mentre investiga su un omicidio di cui è sospettato l’entourage del presidente Compaoré. Come Sankara, Zongo diventa un’icona della sete di libertà e democrazia.
trovi (molto) di più su www.africarivista.it 26 DICEMBRE Jean-Marc Ela † 2008. Muore in esilio il sociologo camerunese dell’«Africa dal basso» e teologo della liberazione in chiave africana: un grande intellettuale a tutto tondo. Come prete, era stato discepolo di Baba Simon.
MISSIONARI D’AFRICA Notizie e progetti dei padri bianchi italiani e svizzeri N. 4 NOVEMBRE-DICEMBRE 2018 - ANNO 97
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a cura di Enrico Casale
AMICI DEI PADRI BIANCHI ONLUS MISSIONARI D’AFRICA
PADRI BIANCHI: IL FUTURO È PIENO DI SPERANZA
ALLEGATO REDAZIONALE
L’8 dicembre iniziano le celebrazioni per il 150°anniversario dei Missionari d’Africa. Una Società religiosa che sta cambiando, e che ha ancora un grande avvenire
L’8 dicembre segna l’avvio delle celebrazioni del 150° della nascita della Società dei Missionari d’Africa (Padri Bianchi). Dall’8 dicembre l’evento sarà ricordato con varie iniziative. Saranno momenti in cui si ricorderà il passato, si analizzerà il presente e si guarderà al futuro della nostra Società. Il 19 ottobre 1868 prese il via il primo noviziato, con 12 aspiranti missionari. All’origine della fondazione ci fu una grave emergenza umanitaria. In Algeria era in corso una tremenda siccità che aveva causato una carestia e molte epidemie. Le persone morivano a migliaia. Il card. Charles-Martial Allemand Lavigerie, arcivescovo di Algeri, dovette farsi carico di più di duemila orfani. Fu questo che lo spinse a creare una Società di religiosi in grado di occuparsi degli orfani, per la maggior parte musulmani. Sapendo però che l’Algeria era, ed è, una porta aperta su un continente di milioni di persone. Il cardinale diceva: «Voi siete gli iniziatori, la vera evangelizzazione sarà opera degli africani…». È quanto si sta realizzando adesso. Noi europei dovremmo cambiare il nostro modo di guardare all’avvenire, cercando di essere più ottimisti. Dobbiamo chiederci quali segni
Giovane diacono africano, futuro sacerdote Missionario d'Africa (Padre Bianco)
positivi si presentano a noi. Dalla fondazione a oggi, hanno lavorato nella nostra Società 5228 padri e fratelli, di cui 138 italiani. Negli scorsi anni, la presenza dei Padri Bianchi continuava a diminuire. Nel 2018, l’inversione di tendenza: hanno fatto il giuramento 38 giovani, che sono così diventati missionari. La società ha ora 507 giovani in formazione. Pensando al futuro possiamo quindi essere sereni. L’8 dicembre prossimo è anche la data della beatificazione dei 19 martiri d’Algeria, tra di cui quattro nostri confratelli: Jean Chevillard,
Alain Dieulangard, Christian Chessel e Charles Deckers. È un segno della benedizione del Signore in occasione del nostro anniversario di fondazione. Quattro martiri che si uniscono ai 50 morti ammazzati in questi 150 anni di vita missionaria (i primi nel 1876, quando tre padri furono uccisi nel deserto del Sahara). I Padri Bianchi hanno aperto nuove comunità comunità in Europa, con impegni missionari rivolti agli immigrati e ai musulmani. Vogliamo ricordare le comunità di Berlino e Karlsruhe (Germania), Liverpool (Gran Bretagna), Tolosa e Marsiglia (Francia), Roquetas de Mar (Andalusia, Spagna), Bruxelles e Modica (Sicilia). In queste comunità lavorano padri europei assieme a confratelli africani. Tutti questi segni positivi ci aiutano a guardare al domani con fiducia e speranza. Non rivivremo il tempo delle vacche grasse, ma possiamo immaginare una nuova partenza. La Società, fiera del suo passato, può sperare in un bell’avvenire. Ogni anno parecchi confratelli europei ritorneranno in patria, caleremo di numero in Europa, ma questo non significa la fine della nostra avventura missionaria. Gaetano Cazzola
CONTRO LO STIGMA DELLA MALATTIA MENTALE Mons. Baawobr, vescovo di Wa (Ghana), già superiore generale dei Padri Bianchi, offre cure e riabilitazione ai malati psichici, e combatte la discriminazione che li colpisce Vanno a cercarli per strada e donano loro cibo, vestiti puliti e cure adeguate. È questo il progetto che mons. Richard Kuuia Baawobr, vescovo di Wa e già superiore generale dei Padri Bianchi, ha lanciato nel 2016 in Ghana a favore dei malati mentali. Un progetto che sta dando i suoi primi risultati e che vuole andare oltre, creando strutture di cura moderne e combattendo lo stigma sociale. Quello del disagio psichico è un problema sentito in Ghana. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, dei 21,6 milioni cittadini, 650.000 soffrono di un grave disturbo mentale e altri 2.166.000
sono affetti da un disturbo mentale moderato o lieve. I servizi di salute mentale sono presenti solo nelle grandi città: ma si tratta di grandi ospedali che hanno un approccio superato alla malattia mentale. Nelle campagne esistono alcuni piccoli centri, ma sono privati e i loro servizi non sono alla portata di tutti. A ciò si aggiunge lo stigma di cui sono vittima i disabili mentali che vengono abbandonati dalle famiglie e che sono spesso maltrattati, isolati, vessati. I loro diritti sono negati. Per rispondere ai bisogni di tante persone vulnerabili, mons. Baawobr ha lanciato un progetto coinvolgendo parrocchie, organizzazioni ecclesiali, religiosi e laici. Dal 2016, gruppi di volontari del posto portano cibo e vestiti ai malati mentali che vivono sulla strada. Alcuni medici e infermieri si sono resi disponibili a fornire cure e medicinali. A due anni dall’avvio, il progetto è ormai strutturato, ma il vescovo ha deciso di fare di più. «Abbiamo in programma – ha annunciato – di costruire un centro di riabilitazione per ospitare i malati che vivono per strada. Qui potranno essere sottoposti ai trattamenti necessari e seguire un processo di riabilitazione e reinserimento nelle comunità di origine». Il progetto vorrebbe coinvolgere il servizio sanitario del Ghana, il quale dovrebbe offrire i medicinali e la consulenza per aiutare i pazienti nel ritorno alla normalità. Il vescovo vuole cercare di combattere anche l’emarginazione. «In collaborazione con l’Unità mentale di Wa – osserva – verrà organizzato un talk show radiofonico per educare il pubblico sulla salute mentale. Durante le te-
rapie, inoltre, i malati riceveranno una formazione professionale che li aiuti a rendersi autonomi». Per sostenere il progetto tramite la Onlus: Prog n. 14, Ghana (Wa) Assistenza ai malati mentali Ref. Italia: Maria Eva Coronelli
«ECCO L’INFERNO DI GOMA» Padre Locati ha pubblicato un libro in cui racconta la sua esperienza tra gli sfollati in fuga dalle violenze nella regione orientale della Rd Congo
Ho visto e non posso tacere: è questo il titolo dell’ultima fatica (letteraria) di padre Giuseppe Locati. In 408 pagine padre Pino racconta quattro anni vissuti nelle regioni orientali della Rd Congo. Regioni sconvolte da una lunghissima guerra provocata dalle enormi ricchezze minerarie di quell’angolo dell’ex
colonia belga, dall’avidità dei regimi congolesi (da Mobutu Sese Seko a Joseph Kabila, passando per Laurent-Désiré Kabila), dalla cupidigia degli Stati vicini, dall’avidità di potenze, multinazionali e Stati esteri. Non ha confine politico né limite geografico lo sfruttamento dei preziosi “minerali insanguinati”. Una guerra che ha causato sette milioni di morti. Un’immane tragedia, un olocausto, un femminicidio silenzioso (due milioni sono le
Il libro, disponibile anche su www.mondadoristore.it, può essere richiesto direttamente all’autore: 339 1602559. Il ricavato andrà a profitto dell’Associazione “Alle Periferie” per l’assistenza alle ragazze africane ridotte in “schiavitù sessuale” sulle nostre strade.
Giuseppe Locati Ho visto e non posso tacere Ed. Corponove – luglio 2018 pp. 408
donne violentate – è questo il campo d’azione del ginecologo congolese Denis Mukwege, Nobel per la Pace 2018), il peggior disastro umanitario dopo la Seconda guerra mondiale. Padre Pino ha vissuto le situazioni disperate dei 170.000 sfollati congolesi accampati intorno a Goma. Persone che ha incontrato quotidianamente: anziani e bambini disabili, donne violentate e ragazze madri, malati di aids, scolari senza scuola, uomini senza lavoro, dei quali ha descritto amaramente la “morte annunciata”. Lo Stato assente, la Chiesa locale in difficoltà e talvolta trincerata dietro le sue sicurezze, le milizie violente e predatorie: nelle pagine di padre Locati è descritto un Congo simile più a un girone infernale che non a un Paese ricchissimo in cui la gente potrebbe vivere serenamente, e che invece è costretta a fare i conti con una povertà estrema (il 63% della popolazione vive con meno di due euro al giorno). UNA MESSA PER LE MISSIONI
Uno dei modi per sostenere i Padri Bianchi in Italia o in missione è di far celebrare loro una Messa per i defunti. È semplice: basta fare un piccolo versamento tramite la Onlus indicando nella causale: «Santa Messa». Un gesto attraverso il quale ricordare i propri cari e per sostenere le attività dei nostri missionari.
«A BUKAVU, TRA I CARCERATI HO RAFFORZATO LA MIA FEDE» Padre Alex Goffinet, 86 anni, missionario nella Rd Congo, racconta di come la sua esperienza in un penitenziario a fianco dei detenuti lo abbia cambiato nel profondo, avvicinandolo al messaggio evangelico
La Provvidenza mi ha concesso di essere ancora attivo in Africa all’età di 86 anni. E gliene sono grato. Detto ciò, a cosa può mai servire un vecchio missionario in un Paese quasi all’equatore e irrequieto come la Repubblica democratica del Congo ? Eppure… Un giorno, un nostro novizio, Arsène, mi invita ad accompagnarlo nella prigione centrale di Bukavu, capoluogo del Kivu. È un posto indescrivibile, pieno di miseria. Da allora - è passato più di un anno ogni mercoledì mattina entriamo in carcere come membri dell’équipe pastorale. Il nostro compito è quello di applicare ciò che viene insegnato nelle sessioni di Giustizia e Pace, e che si riassume in tre parole: presenza, assistenza, difesa. Tre parole magiche Presenza: devi andare. Bisogna essere presenti tra gli infelici, ascoltarli, amarli. Nel giorno del giudizio, Cristo dirà: “Missionario, che cos’hai fatto per i tuoi poveri? Dov’eri?”. Superiori generali,
vescovi, missionari, dovremmo incontrare i meno fortunati. Ogni mese, ogni settimana, per ascoltarli e amarli. Cristo amava camminare per le strade e incontrare le persone, preferibilmente le più disgraziate: storpi, lebbrosi, peccatori. Loro sono accorsi a lui, mentre i farisei si tenevano distanti. L’incontro con il mondo che è ai margini dà un grande impulso spirituale. I soldi, il prestigio, la fama diventano irrisori, persino ridicoli, in confronto al grande onore di trovare il Cristo dell’Eucarestia in mezzo agli ultimi. Il nostro compito è ascoltarli, parlare con loro, affrontare la loro angoscia e la loro colpa. Difesa: è il secondo passo, e consiste nel riportare ai responsabili del carcerari i nomi delle persone condannate per reati minori e richiederne la liberazione. Con nostra grande soddisfazione, la collaborazione con le autorità è buona. Gli agenti sono consapevoli del dramma del sovraffollamento. Dal settembre 2017 a oggi abbiamo ottenuto il rilascio di 415 detenuti. Sono ancora in 1750 in questa prigione costruita per 350 persone. Supporto: il rilascio di un detenuto richiede un procedimento legale che paghiamo fino a 50 dollari. Abbiamo inviato richieste di aiuto e la generosità di tanti ci ha edificati. Durante la sua vita, un missionario partecipa a numerose riunioni, che spesso finiscono con un rapporto archiviato negli scaffali. Sono momenti anche importanti, ma scendere in strada è molto più convincente. Noi non siamo una ong, non
abbiamo un ufficio, un’auto o una diaria… Tutto è volontario. Paghiamo di tasca nostra per viaggiare con i mezzi pubblici. Di questo siamo felici. Alex Goffinet
COME AIUTARE
Ognuno può fornire un aiuto economico, anche piccolo, per la realizzazione dei progetti promossi dai Padri Bianchi. Le offerte vanno intestate a: Amici dei Padri Bianchi Onlus (cod. fiscale: 930 363 001 63), specificando l’intenzione e/o il numero del progetto, tramite:
• Assegno: intestato a
Amici dei Padri Bianchi Onlus CCP n. 9754036
• Bonifico bancario:
IBAN: IT73 H088 9953 6420 0000 0172 789 BIC/SWIFT: ICRAITRRTR0 (zero finale)
• Web con PayPal o carta di credito: www.missionaridafrica.org/ sostieni-i-missionari
Offerte e Donazioni sono fiscalmente deducibili e una certificazione di donazione può essere richiesta a: Amici dei Padri Bianchi Viale Merisio 17, C.P. 61 24047 Treviglio BG oppure via mail a: paolo@africarivista.it Un altro aiuto è il tuo 5x 1000 da versare sul Cod. Fisc. 930 363 001 63 della Onlus Amici dei Padri Bianchi
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