Epopea del Maggio

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Quaderni del Museo del Maggio del Comune di Villa Minozzo (RE)

Primo quaderno

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Romolo Fioroni

L’EPOPEA DEL MAGGIO Cenni di antropologia appenninica

Quaderni del Museo del Maggio del Comune di Villa Minozzo (RE) Primo quaderno a cura di Benedetto Valdesalici

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Quando il mondo fu creato Fu creato un paradiso Con bell'ordine preciso Perchè fosse I'uom beato. da Il Presente e l‟Avvenire d‟Italia di Domenico Cerretti (1841-1923)

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Indice La nostra terra, le nostre radici Nota del curatore Quando il crinale ci univa alla Toscana

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Cerretti: il cantore cieco

p. 14

Battista e Martino: poeti, sindaci e amici

p. 19

Stefano Fioroni, un fuoriclasse

p. 23

La culla: tra il Dolo e il Dragone

p. 31

Sullâ€&#x;aia gli tolsero la vita, non la voce

p. 39

Quando la trama si colora di rosa

p. 45

Efisio, quasi geometra certamente poeta

p. 56

Costabona: la capitale

p. 64

Quelli di Romanoro

p. 71

La ricca terra di Cadignano

p. 80

Poeti si nasce

p. 88

In appendice pagine tratte da IL MAGGIO DRAMMATICO di Tullia Magrini

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Comune di Villa Minozzo

LA NOSTRA TERRA, LE NOSTRE RADICI La nostra montagna è ricca di persone che ne hanno segnato la storia della cultura e delle più care tradizioni. Il “Maggio” ricopre senza alcun dubbio quanto di più “storico” e fondamentale nel nostro territorio. Ancor oggi, dopo tanti anni, è una tradizione viva che con forza e vigore cerca di rinnovarsi per restare al passo coi tempi. Per mantenere accesa nella memoria di tutti gli appassionati parte di questa storia, il Comune di Villa Minozzo, in collaborazione col curatore del presente “quaderno” Benedetto Valdesalici, ha deciso di ripubblicare gli articoli usciti su diversi numeri della rivista “Tuttomontagna” scritti dal Maestro Romolo

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Fioroni relativi ad alcuni protagonisti del Maggio della nostra terra, autori ed attori. Il tutto vuole essere un “omaggio” al Maestro Fioroni che, per anni, con cura, abnegazione e tanta passione, ha portato avanti questa antica tradizione sino a tramandarla ai nostri giovani che, ancor oggi, con la medesima passione, intendono proseguire sulla sua strada. Ogni articolo, ogni intervista ed ogni fotografia permette al lettore un'immersione profonda nel mondo del Maggio sino a renderlo partecipe in “prima persona” di questo straordinario mondo che ogni anno è messo in scena e non vuole perdere il reale significato di genuinità che rappresenta in coloro che ce lo hanno tramandato. La pubblicazione ha l'intento e lo scopo di aiutare e sostenere le Compagnie che, a tutt'oggi, mantengono vivo il Maggio sul territorio del nostro Comune. Con l'auspicio di trasmettere e divulgare questa unica forma di teatro popolare, rivolgiamo a tutti l'augurio di una buona lettura!

Aurelio Corsini

Assessore alla Cultura

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Nota del curatore

Ho creduto indispensabile dare una veste grafica agli articoli pubblicati su Tutto Montagna - dal n.126 al n.136 dal maestro Romolo Fioroni, uno dei più noti e apprezzati cultore di Maggi dei due versanti del crinale ToscoEmiliano. Gli articoli, dedicati a 26 Autori del Maggio, raccolti in questo quaderno sono un compendio di metaletteratura maggistica, sono un baedeker per coloro che volessero addentrarsi nella nostra tradizione di teatro, danza e canto. Il titolo L’epopea del Maggio è dello stesso Romolo Fioroni che immaginava già dal suo primo articolo un‟epopea della letteratura popolare contadina raccolta in schede: Compagnie / Autori / Testi / Rappresentazioni e Ascolti celebri… Questo volume è dedicato alle schede autori e più precisamente a Domenico Cerretti, a Battista Ferrarini e Martino Bonicelli, a Stefano Fioroni,a Francesco Chiarabini e Romeo Sala, a Giacomo Alberghi, a Luigia Correggi, a Costante Coli e Domenico Notari,a Efisio Pozzi, a Giuseppe Ferrarini e Vincenzo Mercanti, a Michele e Tebaldo Costi, a Prospero Bonicelli, a Tranquillo Turrini,a Battista e Liberto Dieci, a Lorenzo

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Aravecchia,a Giuseppe Cappelletti,a Mario Prati e Natale Ferrari,a Berto Zambonini,a Domenico Zannini e Dino Dallari. Queste schede sono la fotografia virata seppia di un percorso bellissimo. Già nel 1792, scrive Romolo Fioroni, il Maggio veniva definito: antica pratica del popolo. Dal 1792 a tutto il 1900, questa pratica ha resistito in molti modi ed è ancora viva. C‟è ancora il bisogno di distinguere tra il bene e il male; c‟è ancora bisogno di smascherare quelli che fingono di essere buoni e sono cattivi; c‟è ancora il bisogno di stare insieme, c‟è ancora il bisogno di storie, di canto, di danza, c‟è ancora bisogno, insomma, di rimettere le cose al loro posto. Romolo Fioroni è la nostra coscienza etnografica; egli ha raccolto, indagato, raccontato e, badate bene, scrivendo del Maggio emiliano ha scritto di sé e di noi. Conosci te stesso era l‟esortazione scritta sul tempio dell‟oracolo di Delfi. Trova la verità dentro te stesso e non nel mondo delle apparenze. Non voglio portare Socrate in ottava rima , ma nutro la speranza che questo quaderno sia utile a quelli che, nati sull‟Appennino, non smettono, nonostante tutto, di amarlo!

Benedetto Valdesalici Poiano settembre 2009

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Quando il crinale ci univa alla Toscana Già nel 17 92 veniva definito “antica pratica del popolo”. Testi emiliani a partire dal 1850. Il ruolo della transumanza e dell‟emigrazione stagionale.

Il maggio, in area emiliana, si canta da tempo immemorabile. Certamente dall‟inizio del XVIII secolo, se non da prima. Fanno fede i documenti che escono dagli archivi dei Comuni, ma soprattutto delle parrocchie e dei privati. Ricercati con passione e costanza dagli studiosi di questa forma di spettacolo o dagli storici che, setacciando le carte per determinate vicende, vi si imbattono per caso. Al prof. Marco Piacentini, studioso, autore di un pregevole componimento moderno dal titolo Marzo 1944 e direttore del complesso di Frassinoro “La nuova compagnia del Maggio”, è stato fornito da un amico, il prof. Luciano Ruggi, uno di questi importanti documenti. Lo ha illustrato in un convegno che si è tenuto a Villa Minozzo nel 2000. Nel manoscritto, datato 7 maggio 1792, viene descritta la controversia tra il parroco di Vetriola, don Matteo Corti, e i parrocchiani sull‟usanza del canto del Maggio. Il parroco accusa di “cialtroneria” una compagnia di giovinastri che, ogni anno, forse per fargli dispetto, “intervengono pomposamente, in diverse fogge di commedianti ad ascoltare la messa”.

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Don Giovanni Giuseppe Ruggi interviene, invece, in favore dei cantamaggio: “E‟ sicuro fuossi cantato il maggio in Casola così detto Paris e Viena (...) che si canta per antica consuetudine ad oggetto di suffragare le anime del Purgatorio con le oblazioni. (...) Che il maggio si canta non per impulso del Parroco ma per antica pratica del popolo (...) che il Maggio di Paris e Vienna si è cantato in Casola nel 1790 e in detto anno si cantò anche nella piazza di Montefiorino e per quanto si è sentito dire si è cantato nella Piano de Lagotti, in Fontanaluccia e da altri luoghi senza che niuno siasi mai formalizzato (stupito) a riserva del Sacerdote Don Matteo Corti”. Un altro importante segno della presenza viva dello spettacolo del Maggio nella montagna reggiana è riportato da un altro storico, il prof. Giuseppe Giovanelli. “Erano i primi giorni del mese di maggio dell‟anno 1832 - scrive Giovanelli - quando un certo Domenico Bortolani si presentò al conte Antonio della Palude, podestà del Comune di Castelnovo ne‟ Monti. Gli umiliava una supplica per conto di nove abitanti di Vallisnera i quali intendevano rappresentare un maggio nella loro villa e nelle ville limitrofe di Valbona, Collagna, Acquabona e Nismozza. Nulla di straordinario in tutto ciò. La consuetudine del maggio era profonda e radicata. Segnava il ritorno dei pastori dalle Maremme dove, nelle lunghe soste invernali, si dedicavano a imparare forme e testi delle rappresentazioni sacre e popolari toscane per importarle nei loro paesi del crinale emiliano (o „lombardo‟ come allora si diceva)”. In quel tempo, la congiura contro il Duca di Modena, ordita da Ciro Menotti e terminata con la sua impiccagione dodici mesi addietro, aveva indotto il Buongoverno esten-

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se a misure di eccezionale rigore. Così, il podestà Antonio della Palude, per paura o per scrupolo, girò la supplica al direttore di polizia della città di Reggio e provincia. Non si conosce la risposta, che fu sen‟altro negativa perché il testo del Maggio non fu restituito. E‟ rimasto così sepolto per ben 155 anni tra le scartoffie d‟un archivio di polizia, dal quale Giovanelli lo ha riportato alla luce nel 1987. Si tratta di uno dei testi più antichi ritrovati in provincia di Reggio Emilia, di origine certamente toscana. Ha un lungo titolo: Maggio sopra Carlo Magno Imperatore contro il Re Amansore di Barberia per cagione di Bradamante figlia del Imperatore, che la voleva il gran Turco. Tutto ciò conferma che il Maggio è arrivato in terra emiliana dalla vicina Toscana. Con la transumanza, ma anche con l‟emigrazione stagionale - nella parte centrale della stagione invernale - per i lavori agricoli nella Lucchesia e nella Maremma. Ma anche per il commercio di bestiame, frumento, sale e generi vari che avveniva nel corso di tutto l‟anno. Michele Costi (1868-1942) detto “Rigun”, di Costabona, abitualmente valicava l‟Appennino portando a spalla, a mo‟ di zaino, una cassettiera contenente chincaglieria: il suo negozietto ambulante, che esponeva di casa in casa. Diversi componimenti di Maggio - soprattutto quelli stampati dalla tipografia Sborgi di Volterra (Pisa) sono entrati nel Reggiano e nel Modenese sulle sue spalle. Qui venivano acquistati dai “campioni” delle diverse frazioni. Letti, modificati, ampliati a seconda delle esigenze dei complessi che si costituivano all‟ombra di ogni campanile. Hanno spesso assunto la paternità del trascrittore che, dopo la parola fine, apponeva la sua firma. E‟ capitato so-

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vente di considerare autore di un determinato componimento chi lo aveva trascritto, firmato, diretto e accertare, in seguito, che proveniva dalla Toscana. E‟ lecito, quindi, affermare che la produzione di testi, in area emiliana, non inizia prima della metà del XIX secolo. Risale al 1808 uno dei testi più antichi dell‟ormai ricca raccolta del vostro appassionato cronista. Ma è un componimento che, per struttura, argomento e numero di quartine, proviene sicuramente dal versante toscano. E‟ stato ritrovato in un archivio privato del comune di Ramiseto da un amico, Alessandro Salsi. Manoscritto a inchiostro, le 82 stanze sono riportate su quattro fogli di 31x21 centimetri, cuciti con filo al centro, su due colonne. All‟inizio, prima dei nove “interventori al Magio”, la scritta “Magio datto l‟anno 1808”. Non ha titolo, ma il contenuto farebbe pensare a un Ruggero e Bradamante. Al termine, dopo la quartina n. 82, riservata al buffone, “Finis coronat opus”. Che nel presente Magio si rappresenta in ristretto l‟incontro di Rinaldo e Orlando, la passione di Ruggiero per Bradamante, la giostra, lo sposalizio e la morte di Rodomonte”. Nel testo manoscritto, inoltre, ha un ruolo fondamentale (28 quartine) il buffone. Importanza del singolare personaggio - trascurata dagli autori emiliani che si riscontra anche nel testo del 1832 ritrovato dal prof. Giovanelli nel 1987 (10 quartine). Nel primo, inoltre, figurano due ottave; una sola nel secondo. Un terzo esempio conferma la tesi che i testi rappresentati prima del 1850 provengono dalla Toscana. Si tratta del Maggio Costantino imperatore, di 248 stanze, che anche la tipografia Sborgi pubblica nel 1886. Fu rappresentato per la prima volta a Costabona nell‟estate del 1858.

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Sull‟ultima pagina del manoscritto originale, infatti, dopo l‟annotazione “sono stanze 274”, si legge “Villa Minozzo lì 29 agosto 1858 / visto: se ne permette la recita / pel Commissario / Giannotto cancelliere Far...”. Sul timbro: “Classe III - Comissariato P. / Minozzo”. Successivamente Stefano Fioroni, intorno al 1900, lo ritrascrisse per il suo complesso (quello di Costabona) modificandone profondamente forma e contenuto. Questa radicale trasformazione indusse il pubblico ad attribuirgliene la paternità.

Piazza di Villa Minozzo – fine 800 -

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Cerretti: il cantore cieco

L‟autore riveste grande importanza in ogni forma di rappresentazione teatrale. Così come nello spettacolo del “Maggio cantato”. Quella forma di teatro popolare, propria del nostro Appennino, che trae origine dalle antiche canzoni inneggianti al mese di maggio e alla primavera. Che si identificano nel “Maggio lirico” o nel “Maggio profano”. Due forme di spettacolo che si svolgono la notte fra il 30 aprile e il 1° maggio. La prima per raccogliere offerte in suffragio delle “anime purganti”. La seconda, detta anche “maggio delle ragazze”, per propiziare la venuta della buona stagione, inviare messaggi amorosi alle giovani del paese e per raccogliere cibi e bevande per una festa della comunità. Dalle due forme di maggioprocessione è derivato il maggio epico-drammatico, influenzato certamente dalle “sacre rappresentazioni”. Di autori nati nell‟Ottocento ne abbiamo censito ben 34: di quattro comuni reggiani (Busana 3, Ligonchio 4, Toano 5, Villa Minozzo 14), altrettanti modenesi (Frassinoro 4, Montefiorino 1, Pievepelago 1, Serramazzoni 1) e uno di Neviano degli Arduini, nella provincia di Parma. I più anziani sono risultati essere Clemente Fiori (nato nel 1835) e Domenico Cerretti (1841) di Rovolo di Frassinoro, Elia Del Fante (1842) di Neviano degli Arduini e Battista Ferrarini, che fu anche sindaco di Villa Minozzo, dove nacque nel 1849. Vediamo di conoscere questi semplici personaggi che, pur disponendo di una modesta cultura, erano dotati di talento,

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fantasia, una vena poetica e un amore per la bellezza veramente eccezionali. A partire da uno dei più noti e fecondi, per quanto riguarda la produzione di testi per lo spettacolo del Maggio: Domenico Cerretti. Domenico Cerretti Domenico Cerretti nacque a Rovolo, nell‟Appennino modenese, sul versante destro del Dolo, da una famiglia contadina che viveva del magro reddito proveniente da un‟avara terra coltivata direttamente. Così, in una lettera al prof. Sesto Fontana, autore del volume Il Maggio, il Cerretti descrive la sua infanzia e la sua prima giovinezza: “Disgraziato dalla nascita alla morte. Di cinque mesi caduto nel fuoco e ne porto sempre il segno nella guancia destra; quindici giorni stetti (così mi fu detto) senza aprire gli occhi. Quanto soffersi non ricordo. Ero il primo dei maschi. Il mio lavoro era quello dei campi, la famiglia numerosa: cinque maschi e cinque femmine, allevati tutti nella miseria. Passiamo oltre. Venti anni. Soldato di prima categoria. Stetti sette anni e più sotto le armi e tanta era la mia abilità che non potei acquistare il grado di caporale, non sapendo né leggere né scrivere ed essendo poco energico. Questo tempo fu il migliore della mia vita”. In quel periodo, però, perde il padre. Rientrato in famiglia, ne assume le redini e tenta di rimettervi ordine. I fratelli e le sorelle mal sopportano la sua determinazione. Domenico è così costretto ad uscire dalla famiglia, privo di tutto. Sposa una brava moglie che gli dà quattro figli. A quarant‟anni diventa cieco (la caduta nel fuoco da bambino ne è la causa scatenante?) e sovente è in preda alla

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disperazione. Rinchiuso in se stesso, dedica la vita alla poesia: “Per esser cieco, e nulla più vedere / so troppo poco, e troppo per sapere”. Tanto da scrivere, a conclusione della lettera al prof. Fontana: “Sono giunto al punto di togliermi la vita, se non fossi stato troppo vile; ma più vile sarei stato se non avessi saputo resistere all‟avversa fortuna”. Oltre al lavoro, che pratica - purtroppo, letteralmente “alla cieca” - accudendo il bestiame, zappando la terra e pareggiando le zolle con le mani, dedica alla poesia i rimanenti, lunghi quarant‟anni che lo separano dalla fine. Liriche in quartine, sestine e ottave (i metri che prediligeva). Sono tante quelle composte e mandate a memoria. Pochissime e molto belle quelle fatte scrivere, sotto dettatura, e pervenute fino a noi. Il settore dove ha modo di esprimersi a piacimento è la composizione di Maggi. Undici quelli dettati nei suoi quarant‟anni di cecità. Di seguito l‟elenco dei titoli, di cui non sempre è dato di sapere l‟anno o gli anni in cui sono stati composti e dettati (pare a una fedele nipote): Calloandro e Leonilda, tratto dal romanzo Il Calloandro Fedele di G. B. Marini, che è il vero tipo dei romanzi eroico-galanti del „600, 430 strofe; Gli Esiliati a Barra, tratto dall‟omonimo romanzo. Composto nel 1904 (376 strofe); Battaglia di Benevento (470 strofe); I tre moschettieri (420 strofe); Il conquisto di Granata, dal poema omonimo di Gerolamo Graziani (464 strofe); L‟Orlando Matto, composto nel 1910 (463 strofe); Il Sacco di Roma (385 strofe); Il Presente e l‟Avvenire d‟Italia, composto nel 1921 (247 strofe); Il Bel Secolo Passato, composto nel 1922 (379 strofe); La Guerra di Albracca e L‟Assedio di Parigi.

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Degli ultimi due componimenti non è dato sapere il numero delle strofe, e tantomeno la data di composizione. Lo stesso prof. Sesto Fontana, che ebbe modo di incontrare Cerretti nel 1920, confessò di non essere riuscito a rintracciarli. Il Maggio Il presente e l‟avvenire d‟Italia - un tentativo di affrontare i problemi sociali che riflette le situazioni reali vissute nell‟immediato dopoguerra 1915-„18 - è stato cantato in questi ultimi vent‟anni dalla “Nuova Compagnia del Maggio” di Frassinoro, diretta da Marco Piacentini, per rivisitare il famoso poeta-compositore, alla cui ricca produzione scarsamente hanno attinto i famosi complessi che hanno operato nella zona. Un compositore abile, riflessivo e sensibile, il Cerretti. Che possiede tutte le qualità richieste all‟autore di uno spettacolo come il Maggio: conoscenza del pubblico; capacità di individuare soggetti in grado di avvincerlo e conquistarlo, abilità nel ricondurre a sintesi il tema prescelto, estro poetico e grande sensibilità artistica. Se si considera, poi, che manca di un‟indispensabile senso come la vista, ed è quindi costretto a farsi leggere i romanzi di cui sente parlare, a ridurli e a comporli senza l‟uso di carta e matita, la sua vasta e ottima produzione stupisce davvero. Abbiamo avuto modo di rappresentare, con il complesso della “Società del maggio costabonese”, Sanclaire delle Isole o Gli Esiliati a Barra, uno dei suoi componimenti. Nel corso dell‟estate „63 fu proposto ben cinque volte; altre quattro nel „78. Fu, come tutti i componimenti del secolo scorso, opportunamente ridotto a 198 strofe. Ebbe il successo che meritava per le qualità espresse nel testo dall‟autore ma anche per la vicenda trattata: un romanzo popolare di Montelieu. Il romanzo è stato ritrovato diversi

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anni fa da Giorgio Vezzani su una bancarella. Uscì in 21 dispense (due per ogni puntata) della Editrice “Gloriosa” (Milano, 1924). Gli undici fascicoli erano, evidentemente, stati raccolti e rilegati in un volume da una legatoria artigiana. Vezzani lo pagò 3.500 lire. Oltre alla qualità e alla popolarità del soggetto, il Cerretti era riuscito a tradurlo in quartine e ottave deliziose e meditate. Un vero successo dell‟autore, impostosi all‟attenzione del vasto e specializzato pubblico del Maggio, della critica e di attenti studiosi, come il prof. Sesto Fontana, che per il cieco cantore di Rovolo ebbe tanta meritata simpatia.

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Battista e Martino: poeti, sindaci e amici Ferrarini fu primo cittadino per quasi trent‟anni. Bonicelli componeva e insegnava musica. Scrissero a quattro mani “Attila”, cantata insieme da Villa e Costabona. “La Gerusalemme Liberata” ricopiata in una notte.

Come annunciato nel numero scorso, continuiamo la presentazione di alcuni autori di Maggio. Di quelli più significativi, vissuti nel XIX secolo. Sono ben 35, il 33,6% dei 98 incontrati nelle nostre ricerche. Dopo Domenico Cerretti, il modenese poeta cieco di Rovolo di Frassinoro, ci occupiamo di due villaminozzesi che furono prima di tutto validi sindaci di questo Comune. In successione, dal 1871 al 1908. Battista Ferrarini

Battista Ferrarini (1849-1909) è uno dei 18 autori villaminozzesi dell‟800. Possidente, per quasi trent‟anni (fino alla morte) fu sindaco. Oltre che appassionato cultore dello spettacolo, Ferrarini fu un ottimo rielaboratore di componimenti per il suo complesso. La sua vita e la sua attività artistica sono lega-

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te alla grande amicizia e collaborazione con Martino Bonicelli, suo predecessore come primo cittadino. Insieme composero il Maggio Attila (manoscritto di 273 stanze, mancano le prime 24), cantato dal complesso che risultò dalla fusione di quello di Villa Minozzo con Costabona. Fatto veramente insolito per quei tempi. Il campanilismo e l‟attaccamento al nome del paese erano valorizzati e considerati al massimo. E Villa Minozzo, uno dei centri più importanti della zona, viveva la tradizione del Maggio con un complesso fra i più importanti. Ma Ferrarini fu anche un ottimo attore della compagnia che dirigeva. Memorabile la sua interpretazione del personaggio Rinaldo nel componimento La Gerusalemme Liberata. I più anziani, poi, ricordano le eccezionali rappresentazioni (l‟intervista, nel 1969, a Vincenzo Pigozzi di Villa Minozzo lo conferma) di Battista Bonicelli (Tancredi), Domenico Bonicelli (Argante), Giuseppe Ferrari (Clorinda) di Costabona, e quelle di Arsilio Zobbi, Egidio Toni e Giuseppe Pigozzi di Villa Minozzo. Le prove, sotto le vigili, precise e autorevoli direzioni di Ferrarini e Bonicelli, si facevano sul greto del Secchiello, nel punto denominato Barsaj (la pista ove si praticava il gioco del tiro della ruzzola o ci si esercitava al tiro a segno). Le rappresentazioni vere e proprie a Villa Minozzo e a Costabona. Ferrarini fu anche un ottimo poeta dialettale. Compose moltissime poesie (o satire) tanto apprezzate e numerose in quel periodo, di cui, però, non è rimasta traccia.

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Martino Bonicelli

Martino Bonicelli (1838-1881) Figlio di Luigi e Domenica Ferrarini, nacque a Costabona, ove è sempre vissuto, nell‟antica casa dei Bonicelli. Abitazione che fu poi - e fino a qualche tempo fa - trattoria, albergo, bartabaccheria e negozio. Sposò Agata Paroli (di Gova ?) e dall‟unione nacque Vittorio (1860), che divenne poi segretario comunale a Cesena, dove si trasferì dando origine a un ramo familiare nel quale troviamo l‟omonimo nipote giornalista e grande sceneggiatore cinematografico (basti citare il film di De Sica Il giardino dei Finzi Contini) morto nel 1994. Nel 1871 Martino venne nominato sindaco di Villa Minozzo, carica che lo impegnò fino al 1880. Bonicelli fu un personaggio veramente poliedrico. Appassionato di musica, la conosceva perfettamente perché compositore e insegnante. Di lui ci sono pervenuti un Te Deum a tre voci,

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composto nel 1881, e un “metodo”, manoscritto, per l‟insegnamento del “canto gregoriano, ossia fermo” di dodici facciate, con abbondanti note. Martino e l‟amico Battista ricopiarono in una sola notte il componimento La Gerusalemme Liberata, avuto in prestito a Montefiorino. Il tempo accordato per leggerla fu impiegato per ricopiarla (non esistevano a quel tempo le fotocopiatrici!). Successivamente fu corretta e adattata al complesso di Villa Minozzo-Costabona. Un testo pregevole, forse uno dei capolavori della letteratura del Maggio, sicuramente apprezzato dal pubblico del tempo. Del poema del Tasso, infatti, oltre ad alcune fedeli vicende, traspaiono la soavità e la dolcezza che animarono il grande poeta. Nel nostro “archivio” è catalogato al n. 30. Sono ben quattro le copie: un manoscritto, due fotocopie rilegate, fotocopia rilegata del dattiloscritto del maestro Rolando Zobbi. Le stanze sono 387, sia nel manoscritto che nel dattiloscritto. E‟ stato attribuito a Battista Ferrarini. Ci pare, però che ugual merito vada anche a Bonicelli. Ma questi, unitamente a Domenico Ferrari, è ricordato a Costabona anche per la cosiddetta “questione dei banchi”. Inaugurata la nuova chiesa parrocchiale di Costabona nel 1881, si decise di dotarla di nuovi banchi, non “personalizzati”. I due “fabbriceri”, Martino Bonicelli e Domenico Ferrari, si opposero. L‟operazione originò una seria questione e divise la parrocchia in due fazioni. La vicenda si concluse in tribunale con la condanna del parroco, don Domenico Fioroni, che la costruzione della nuova chiesa aveva organizzato, guidato e sicuramente anche finanziato.

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Stefano Fioroni, un fuoriclasse

Viene considerato il caposcuola del filone elegiaco-sentimentale. Promotore di iniziative sociali e di solidarietĂ . Cinque i suoi componimenti. Nei campi col taccuino in tasca.

Un altro grande autore di Maggi della nostra montagna è Stefano Fioroni (1862-1940), di Costabona di Villa Minozzo. Con la composizione di due ormai famosi testi, in particolare, Ventura del Leone e Brunetto e Amatore, ha influenzato e in un certo senso illuminato la storia del

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Maggio cantato. Si interruppe così il ciclo degli spettacoli di potenza, forza e guerra cui il pubblico si era abituato dopo il periodo incentrato sulla vita dei santi e dei martiri. Vennero sostituiti con vicende, soprattutto fantastiche, dominate dal sentimento, dal tono elegiaco, con caratteri malinconici, nostalgici e talora anche funebri per esaltare al massimo i valori di giustizia, sacrificio, fratellanza e solidarietà. A giudizio del Fioroni, lo spettacolo del Maggio, al pari di ogni altra forma di rappresentazione, è strumento per educare. Soprattutto nell‟ambiente collettivo, gli animi si esaltano e si contagiano di fronte ad atti di bontà e condivisione della sofferenza umana. Servono quindi a migliorare la società. Un nuovo filone elegiacosentimentale divenne così efficace mezzo educativo e pervase un lungo periodo della storia del Maggio cantato. Continuò per tutto il XX secolo, nonostante tentativi anche lodevoli di modificarne l‟indirizzo, come il “realismo” - la dottrina che accetta la realtà obiettiva così come si presenta - nella seconda metà del secolo scorso. Nel Roncisvalle (1957), infatti, il protagonista Orlando muore nella gola pirenaica per l‟attacco dei mori; Spartaco (1993), alla fine della sua nobile vicenda terrena viene crocifisso. La famiglia Stefano Fioroni veniva da una famiglia benestante di agricoltori che aveva dato alla Chiesa numerosi e autorevoli sacerdoti. Per volontà del fratello don Domenico, si iscrisse al ginnasio del seminario vescovile di Marola. Interruppe però gli studi al primo anno per la morte del padre Prospero. Il lavoro della terra e l‟artigianato in orologeria lo

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resero popolare in tutta la zona. Nel 1889 sposò Clementina Chiesi, che morì l‟anno dopo nel dare alla luce la prima figlia Aldegonda. Nel 1891 Stefano sposò in seconde nozze Dina Bonicelli, che gli diede sei figli. Vita pubblica Una curiosa e per quel tempo avveniristica notizia è stata ritrovata nel nostro archivio: una “Società Mutua Cooperativa contro la mortalità e gli infortuni del bestiame bovino” alla quale potevano aderire le aziende delle frazioni di Quara, Monzone, Costabona e Vogno. Un regolare statuto che riporta anche la ricevuta di adesione e notizie sulla ditta associata è stampato dalla tipografia Casoli di Castelnovo Monti. Una ricevuta-statuto reca la data 1° maggio 1911. Presiedeva la cooperativa Stefano Fioroni, mentre Francesco Schenetti figurava come vice presidentecassiere e Marino Bonicelli segretario. Così, l‟autore di favolosi componimenti di Maggi era anche promotore di iniziative sociali e di solidarietà. Aderì fin dai primi tempi al Partito Popolare di don Luigi Sturzo. Di Villa Minozzo fu stimato consigliere comunale per diverse legislature, ma anche membro della giunta del sindaco Natale Morelli, eletta nelle amministrative del 1920. Era composta esclusivamente da esponenti del Partito Popolare e fu l‟ultima della provincia a cadere, nel dicembre 1923, sotto l‟incalzare della marea fascista dopo un lungo periodo di vessazioni invano contrastate dal sindaco. Silenziosamente, Stefano si ritirò nella sua Costabona e si dedicò al lavoro di artigiano e agricoltore. Non trascurò l‟aspetto culturale, forte dei suoi trascorsi nel seminario di

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Marola, ove visse solo alcuni intensi anni di studi ginnasiali. I componimenti La cultura in genere, ma soprattutto la poesia che utilizzava i componimenti del Maggio, lo affascinavano e occupavano parte del suo tempo libero. L‟approccio con questo tipo di letteratura semplice e popolare risale al 1880 circa, con l‟esame e il rifacimento del componimento storico Costantino e Massenzio, proveniente (come accertato in seguito) dalla vicina Toscana e pubblicato nel 1886 dalla tipografia Sborgi di Volterra. Vi apportò tante e tali modifiche da indurre il pubblico ad attribuirgliene la paternità. Ebbe molto successo. In questo lavoro di rivisitazione e modifiche dei componimenti, Fioroni continuò per molti anni. Era infatti il periodo in cui, per fornire testi validi al complesso che dirigeva, dopo esserseli procurati li esaminava, correggeva, adattava e riscriveva. E‟ il caso della Gerusalemme Liberata, Gerardo di Fratta e Conquista di Granata. Fino a quando, negli anni Venti, divenne il grande compositore che è oggi unanimemente considerato. Per alimentare il suo rinnovato complesso - costituito soprattutto da giovani, fra cui i fratelli Prospero, Vito, Oreste e Livio Bonicelli, Prospero Monti, Ettore e Battista Costi, Meo Agostinelli, Enrico “Richin” Cabrioni e alcune ragazze che si prestarono dietro pressanti richieste (a quel tempo i personaggi femminili di Onelia, Marianna, Lucia ed Evelina erano interpretati da uomini) - Stefano si dedicò alla composizione vera e propria.

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Il primo testo pare sia stato Ginevra di Scozia, tratto dai canti quarto, quinto e sesto de L‟Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Intorno a questa vicenda, negli anni Venti Fioroni costruì la delicata e patetica storia d‟amore e di morte di Ginevra. Fu rappresentata con grande successo nel 1923. Seguirono nel tempo Ventura del Leone, Orlando Pazzo e Brunetto e Amatore o I Figli del Re dei Tartari, soggetti di pura fantasia. Il primo tratto da una favola e il secondo sentito in una predica di un quaresimalista. Intorno a questi aneddoti, la sua grande fantasia intesseva una fitta rete di vicende concatenate e conseguenti per cui la trama, alla fine, risultava quella che vuole lo spettacolo del Maggio. I versi, in genere puliti ed efficaci, erano composti anche durante i lavori di campagna, annotando le quartine, i sonetti e le ottave su un taccuino tascabile. “Qualche volta - raccontava la moglie Dina - lo vedevo gesticolare da solo, declamare sottovoce e, sovente, lo si vedeva tornare a casa per fissare sulla carta il frutto delle sue fantastiche e poetiche meditazioni”. Il lavoro di lima e di perfezionamento (lo confermano i manoscritti) lo faceva dopo la prima rappresentazione, che curava - regìa e direzione - personalmente. I suoi lavori non sono datati. Di Stefano Fioroni scrive il prof. Sesto Fontana nel suo autorevole libro Il Maggio (Leo Olschki, editore, 1964): “... il Cerretti e il Fioroni sono stati, se così posso esprimermi, i due assi, i due „fuoriclasse‟, i due mattatori del genere, separati da appena un ventennio di età, rimasti a sventolare e a tenere alta nel sole questa bandiera, nella valle del Dolo, dalle opposte sponde; l‟uno dalla bicocca di Rovolo, frazione di Frassinoro, sul versante modenese;

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l‟altro dal dolce pendio di Costabona, frazione di Villa Minozzo, nel versante reggiano...”. Nel manoscrito Brunetto e Amatore o I figli del re dei Tartari, che lo stesso Fontana ricopiò a mano avendolo avuto da Costante Serradimigni di Casola di Montefiorino, troviamo 435 strofe. In alto, a margine della prima pagina, la seguente annotazione: “Un po‟ di giudizio. Maggio nobile, distinto, notevolissimo, oserei anzi dire perfetto: comunque veramente fuori dell‟ordinario per espressione, concetto, impostazione, tatto. Molta eleganza e vetustà. Degne di attenzione le lezioni varie e le abbondanti annotazioni in margine. Il verseggiare tradisce un compositore abile e sicuro. Buone anche le strofe che nel manoscritto figurano cancellate... Grande proprietà di linguaggio, vivaci, briose, brillanti, chioccianti come onde di ruscello che s‟infrangono tra i sassolini fluenti come fresche acque di abbondante sorgiva, i dialoghi. Metri nuovi affatto: sestina di quinari, sestina di settenari, quartina di decasillabi ”. Evidentemente i testi prodotti avevano un loro occulto mercato e venivano ceduti (quale il compenso?) per essere utilizzati da altri complessi. Una specie di “tacito diritto d‟autore”, non essendo in alcun modo remunerata la fatica del compositore. Il Ventura del Leone ebbe identica accoglienza. Memorabili le rappresentazioni - si raccontava del 1923 e „27. Servirono anche di accoglienza a un costabonese emigrato in America - Ruggero Caroli - che aveva fatto fortuna, come si suol dire. In occasione del suo primo rientro, nel 1923, alle festose accoglienze rispose con il finanziamento dell‟acquedotto principale del paese, dotato di ben due fontane. Nella successiva venuta a Costa-

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bona (1927) mise a disposizione la somma per le opere (ponti e manufatti) del tratto di strada Quara-Costabona. La carreggiata fu invece realizzata con “prestazioni gratuite”, progetto compreso, redatto dal geom. Prospero Fioroni, figlio di Stefano. Nel film di Zavattini I componimenti citati conservano ancora intatto il loro fascino e sono apprezzatissimi dal pubblico che segue il Maggio. Costantino e Massenzio fu molto apprezzato quando venne scelto, nel 1947, arricchito dal gruppo guidato da Domenico Fioroni, per il complesso di Costabona, che riprese in quell‟anno le rappresentazioni dopo il conflitto mondiale. Nel 1962 i due testi Brunetto e Amatore e Ventura del leone sono stati rappresentati 11 volte il primo e ben 18 il secondo. In precedenza, nel „53, Brunetto e Amatore è stato ripreso in un film-documentario: Cesare Zavattini, che a Cervarezza assistette allo spettacolo completo, interpretato dal complesso di Costabona, lo fece riprendere dal regista Francesco Maselli. Zavattini, inoltre, dedicò all‟avvenimento una bellissima pagina del suo “diario” su Cinema Nuovo e Maselli un simpatico articolo “Torri di Paglia e fiumi di seta” - sul n° 42 della medesima rivista. Il critico teatrale Vito Pandolfi, inoltre, ha inserito il testo completo nel libro Copioni da quattro soldi della collezione “I Castori”. Stefano Fioroni fu amato e stimato per la semplicità e il carattere mite e generoso da quanti lo conobbero, in modo particolare dai suoi compaesani che a lui ricorrevano in ogni evenienza. Lo ricordo ancora, negli anni che prece-

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dettero l‟ultimo conflitto mondiale, assistere, ormai sofferente alle rappresentazioni che si tennero alla “Carbonaia” dirette dal figlio Prospero. Si commuoveva all‟ascolto del canto dei suoi bellissimi versi, al dipanarsi delle sue tenere e coinvolgenti storie d‟amore e di sofferenza, e tutto ciò per noi non era comprensibile. La morte lo colse il 23 agosto 1940. Si diceva che stesse pensando a un nuovo testo, La rivolta di Spartaco. Questi i titoli dei suoi cinque componimenti: Costantino e Massenzio, Ventura del Leone, Brunetto e Amatore o I figli del re dei Tartari, Ginevra di Scozia e Orlando Pazzo.

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La culla: tra il Dolo e il Dragone Due zone produttive nelle quali questa forma di espressione culturale ha posto solide radici. Chiarabini di Gova riscrisse per 5 volte “Fermino”, il suo capolavoro. Sala di Morsiano è l‟autore più fecondo e rappresentato del versante emiliano: 38 opere per 170 recite.

Due torrenti impetuosi o pacati a seconda delle stagioni discendono dall‟Appennino reggiano-modenese in direzione sud-nord dall‟alto crinale alla bassa pianura: il Dolo e il Dragone. Il primo dalla frazione di Civago al fiume Secchia, in cui confluisce, segna il confine fra le province di Reggio e Modena. Il secondo ha il suo bacino nell‟attigua valle del confinante Appennino modenese. Nel tempo l‟attività umana ha trasformato le due valli in zone produttive e, fino al periodo della emigrazione di massa, intensamente coltivate e abitate. In questa vasta zona, il “magio cantato”, una delle più apprezzate forme di cultura popolare degli ultimi due secoli, ha trovato l‟ambiente per affondarvi le radici e prosperare. Nella quasi totalità dei paesi delle due valli sono state trovate forme di produzione autoctona di testi e di complessi che autonomamente li interpretavano. Favoriti dai due vicini valichi appenninici, delle Radici e delle Forbici, dalla transumanza, ma anche dagli scambi commerciali

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con la vicina Toscana, testi, esperienze e confronti si sono intensificati. Così, in ogni paese o centro abitato di una certa consistenza, troviamo vive reminiscenze dei complessi che, nel tempo, vi hanno agito, e degli autori che hanno importato, riadattato o prodotto nuovi testi. Alla destra del Dragone, a Palagano, Boccasuolo, Monchio e Susano hanno agito complessi, così come a Saltino di Prignano; in quel di Frassinoro, a Piandelagotti, Sassatella e Casola, fino a qualche anno fa lo spettacolo del Maggio era ancora vivo e apprezzato. Sulla sponda modenese del Dolo, a partire da Fontanaluccia, Rovolo, Romanoro e Macognano, autori e complessi hanno agito e ancora vi si rappresenta il Maggio. Diversi autori, tra cui Tranquillo Turrini, Mirko Tazzioli, i fratelli Lorenzo e Miriam Aravecchia, hanno prodotto o ancora sfornano apprezzatissimi testi. E‟ stata conservata la tradizione anche in molti paesi del versante reggiano, alla sinistra del Dolo, come Cervarolo, Gazzano, Novellano e Gova, vi sono autori affermati quali Viviano Chesi e Franco Sorbi, e complessi in attività nel Toanese, a Monzone, Toano e Cerredolo, ove ha agito fino a pochi anni fa il complesso diretto da Alberto Schenetti, che è anche affermato autore. Si può quindi sostenere che le valli del Dolo e del Dragone, ma anche quelle del Secchiello e del Secchia, di cui parleremo in una prossima occasione, siano state per anni la culla della riaffermata cultura popolare, e in particolare del Maggio cantato. Esaminiamo ora la vita e la produzione di componimenti di Maggi di due autori popolari e famosi della valle del Dolo.

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Francesco Chiarabini

Nato a Gova di Villa Minozzo il 4 aprile 1893, Francesco Chiarabini per tutta la vita aveva esercitato la professione di contadino (mezzadro nel fondo di Gova detto “Caivello”). Nel corso del primo conflitto mondiale i proprietari del fondo ne vendettero una parte, per cui l‟azienda divenne insufficiente per la famiglia Chiarabini, che decise di trasferirsi nella vicina Romanoro, nel Modenese. Andò a coltivare, sempre a mezzadria, il più vasto fondo della prebenda parrocchiale locale. Al grande conflitto partecipò attivamente col figlio Pellegrino. Soltanto lui, però, ebbe la fortuna di tornare, e poco prima della morte venne insignito della croce di Cavaliere di Vittorio Veneto. Pellegrino, invece, figura soltanto nell‟elenco dei caduti del monumento eretto in paese a ricordo del grande evento. Francesco morì a Milano, ove si era trasferito dopo la pensione con figli e nipoti, il 23 aprile 1974. Venne sepolto nel cimitero di Romanoro, dove lo aveva preceduto la moglie, Gilda Bertolini, deceduta prematuramente il 13 marzo 1949. Francesco cominciò a scrivere a 38 anni, invogliato dall‟assidua lettura di romanzi popolari e dal periodo aureo che stava vivendo lo spettacolo popolare del Maggio. Considerava come suo capolavoro Fermino, che aveva fatto e rifatto per ben cinque volte in quanto non lo soddidfaceva. “Cominciai per dispetto - diceva in una intervista nel 1968, quando il complesso di Costabona rappresentò la sua opera -. Avevo letto questo romanzo del Bastardo, di Fermino, e mi era piaciuto molto. L‟ho fatto cinque

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volte per paura di sbagliarlo e per correggerlo. Per la festa di Santa Scolastica un gruppo di un paese vicino, Macognano, me lo chiese. Accettai, però guidai io. Era tutta gente che non aveva mai cantato. Però, ripeto, c‟ero io, sempre a schiena (vicino agli attori, ndr) e insegna, insegna... tutti ubbidienti, facevano come dicevo io e fecero... furore!”. Tutti i Maggi composti da Chiarabini sono stati tratti da romanzi che, sapientemente e con vera maestrìa, adattava alle proprie esigenze e a quelle del complesso per cui componeva. Fermino fu rappresentato a Costabona per ben tre volte nel 1968, e fu ripreso dalla Rai per la rubrica “Cronache Italiane”. Dal complesso costabonese il componimento, che ebbe vero successo, fu anche esportato. Fu presentato al numeroso pubblico a Sassatella, in località Pescine di Ca‟ di Gianni dal prof. Sesto Fontana, nativo della vicina borgata di Spervara. In quell‟occasione furono ricordati dal noto studioso e autore del prestigioso volume Il Maggio i caduti della guerra 1915-„18. Successivamente Fermino fu riproposto a Villa Minozzo e a Castelnovo Monti. Chiarabini fu presente ad alcune rappresentazioni. In almeno due è ripreso alla Carbonaia di Costabona e sembra veramente soddisfatto. Approvò le soluzioni adottate per la messa in scena dello spettacolo e si complimentò pubblicamente con tutti gli interpreti. In seguito, inviò a Giorgio Vezzani, direttore della rivista Il Cantastorie, una lettera manoscritta che è conservata nella sua cartella personale. Accompagnava una sua nuova composizione - La Leggenda di Ulisse - e testualmente affermava: “Mi accorgo di aver scritto un‟opera che a quelli di Costabona non può andar bene perché è un soggetto che non si abbi-

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na con altri maggi da loro cantati. Questa non è la morte di nessuno. Allorché non vada bene, me la rimandano; non la darò a nessuno...”. Fu invece passata dalla famiglia al complesso Val Dolo di Romanoro, che la rappresentò nel 1990, prima a Morsiano e poi a Romanoro. L‟anno seguente, in occasione della 13ª Rassegna Nazionale, fu invece portato, dal medesimo complesso, a Gragnanella (Castelnuovo di Garfagnana). Da ricordare, infine, che Chiarabini, oltre che ottimo autore e direttore di complesso, è stato anche interprete. Confidò, infatti, di aver cantato, a 29 anni, con il complesso di Romanoro, quando interpretò la parte del figlio di Priamo nel Maggio La Guerra di Troia. Ma Francesco “ha sfogato la sua facile vena poetica anche in poesie di argomento vario e perlopiù scherzoso, assai indovinate e spiritose - scrive Sesto Fontana nel volume Il Maggio - alcune delle quali egli stesso mi dettò nel lontano 1945”

. Francesco Chiarabini sul campo di Maggio

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Romeo Sala

Nato alla “Teggia” di Morsiano il 13 febbraio 1905, Romeo Sala iniziò con la sua famiglia l‟attività di contadinomezzadro dopo aver conseguito il titolo di studio obbligatorio per quel tempo, la 3ª elementare. Dal matrimonio con Rita Maria Bertolini nacquero tre figli: Arturo, Ideo e Maria. Nel „62 cessò l‟ attività di mezzadro per seguire i due maschi, divenuti casari. Passando al campo artistico, nel 1934 compose Rimadoro, il suo primo Maggio. Risulterà anche il soggetto più rappresentato della sua copiosa produzione: 29 volte dai complessi di Asta, Cerrè Sologno, Gazzano, Morsiano e Novellano. In assoluto Sala è l‟autore più fecondo e quello più rappresentato del versante emiliano. Sono infatti 38 i componimenti che otto compagnie - soprattutto della valle del Dolo - hanno utilizzato in 170 recite. Diversi anche i riconoscimenti ufficiali ottenuti, tra i quali, nel 1981, una

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targa in argento del Comune di Frassinoro; ma quello più gradito crediamo sia la targa, sempre in argento, conferitagli nel 1990 a Morsiano dall‟Associazione “Amici di Romeo Sala” a dal complesso “Val Dolo” in occasione della speciale rappresentazione del suo Ferrando e Brandiglione. Nella targa è scritto: “A Romeo Sala, con riconoscenza e affetto, per aver fatto divertire per oltre 50 anni gli amici del maggio di tutte le età”. Così descrisse l‟opera di Sala Il Conte di Montecristo - cui aveva assistito, rappresentata a Novellano da quel ricostituito complesso - lo studioso Giorgio Vezzani sulla rivista Il Cantastorie: “Con un copione del più rappresentato e fecondo autore di Maggi della montagna reggiana, Romeo Sala, la compagnia di Novellano ha messo in scena, a distanza di trent‟anni dalla sua prima rappresentazione, il maggio Il Conte di Montecristo che fu cantato la prima volta nel 1952... La vicenda ben nota del Conte di Montecristo si è prestata assai bene alla rappresentazione maggistica mettendone in evidenza i personaggi caratteristici sia del romanzo che del maggio. E‟ stata, anche, un‟occasione per vedere recitare i giovani Chesi, Pigozzi, Costi, Giovanni Manfredi, insieme agli „anziani‟ interpreti come Dorino Manfredi, Sorbi, Novellani e, anche, Gino „Gerardo‟ Diambri e Fiorino Manfredi, che pur con brevi interventi hanno offerto il loro contributo per la continuità del maggio a Novellano”. Al suo paese d‟origine, Morsiano, Romeo tornò il 13 settembre 1993, proveniente dall‟Ospedale S. Anna di Castelnovo Monti, ove si era serenamente addormentato per sempre due giorni prima. Ad officiare il rito di commiato nella chiesa stracolma di gente i parroci don Giorgio Vel-

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lani, don Giuseppe Corradini e don Giuseppe Gobetti, presenti i familiari ma anche tanti “maggerini” protagonisti dei suoi componimenti. Da ricordare, in questa dolorosa circostanza, Renzo Rossi, che con Adelmo Campomagnani e lo scomparso Ennio Rossi costituirono il nucleo portante del grande complesso di Morsiano nel primo lustro dopo la fine dell‟ultimo conflitto mondiale. Le spoglie mortali di Romeo Sala riposano nel cimitero di Morsiano, dirimpetto al camposanto di Romanoro, sull‟altra sponda del Dolo, ove da tempo giace Francesco Chiarabini. I loro spiriti si sono ritrovati nel Padre, purificati dalle umane traversie ma certamente più limpidi per aver coltivato e amato una delle arti nobili: la poesia.

Piazza di Villa Minozzo – 1946 –

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Sull’aia gli tolsero la vita, non la voce

Giacomo Alberghi: una delle vittime dell‟eccidio di Cervarolo. Fu emigrante. Poco ci è giunto della sua copiosa produzione. I titoli dello zio Antonio. Nell‟alta valle del Dolo, nello scorso numero definita “culla del maggio cantato”, due noti autori di Maggio della famiglia Alberghi di Cervarolo: Giacomo e lo zio Antonio. Cervarolo è una delle diciotto frazioni di Villa Minozzo, costituita da diverse borgate: Casa Pelati, Coccarello, Querciole, Lame di Pietrachetta, Sommaterra, Strinati e, appunto, Cervarolo, la più grossa e quella divenuta tristemente famosa il 20 marzo 1944 per l‟eccidio che venne

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compiuto dalle truppe nazifasciste, nel quale vennero barbaramente trucidate 23 persone. Fra queste anche un autore di Maggio, il più importante: Giacomo Alberghi. Ma anche un altro, il poeta Remigio Fontana, 76 anni, falegname, che di Giacomo era inseparabile amico, anche nel comporre. E‟ diventata famosa la storia della lepre che improvvisamente appare sulla piazza di Villa Minozzo in occasione del mercato settimanale del giovedì, quando in mezzo a bancarelle di stoffe, frutta e oggetti vari si trovano anche alcuni cacciatori, armati di tutto punto, in piacevole conversazione. Il selvaggio animale sorprende tutti e nessuno riesce a muoversi per catturarlo. Naturalmente, come allora usava, fu composta una poesia di versi endecasillabi, che fortunatamente è arrivata fino a noi. Ci dà infatti modo di conoscere come in tutti i paesi della montagna venissero documentati e divulgati fatti curiosi e piacevoli. Il più delle volte anche in dialetto, sotto il nome di satire, sovente non scritte ma tramandate a memoria (la scrittura nella lingua parlata, il dialetto, era ed è tuttora difficile). La riporta Armando Zamboni in Vita sull‟Appennino (ed. Sei, Torino, 1951, pp. 152 e 156). Riteniamo utile trascrivere due delle 24 stanze composte sull‟argomento. Così il Fontana, concludendo il suo dire: “O Brescia, che commetti grandi errori / ritira i tuoi fucili senz‟indugio / perché non dànno a lor nessun profitto:/ nemmen di lepre piace a loro il fritto”. E l‟Alberghi: “Dimmi, Toano, e svelami tu, Quara / come potete Villa contrastare?/ Dove l‟avete voi cosa sì rara,/ che vengon lepri i banchi a visitare?”.

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Gli Alberghi Giacomo Alberghi era nato a Cervarolo l‟11 aprile 1875 da Michele e Vittoria Beltrami. Morì nel corso del feroce eccidio del 20 marzo 1944. E‟ sepolto con tutte le altre vittime nel sacello che l‟Amministrazione comunale di Villa Minozzo ha costruito davanti alla cappella, nel locale cimitero. Della sua tragica fine, della sua violenta scomparsa, ha scritto il prof. Umberto Monti nel volumetto Raffiche di mitra in montagna: “Giacomo, il più anziano dei tre fratelli, era un bravo poeta popolare, e molti Maggi erano usciti dalla sua penna. Quante battaglie, fra Turchi e Cristiani aveva descritte! Avrebbe mai pensato che una di quelle aie che egli aveva riempito di stragi immaginarie sarebbe stata teatro di una strage vera, da far impallidire la barbarie degli antichi pagani e che egli sarebbe stato fra le vittime?”. Il prof. Monti, nel librodiario della tragica vicenda (è stato scritto nel 1946) riporta ancora, a proposito di Giacomo, una particolare operazione di cui fu protagonista: “I tedeschi avevano incaricato Giacomo Alberghi di accompagnare alcune mucche in fondo al paese; ma giunto presso l‟aia, per intimargli che si fermasse, non avevano trovato nulla di meglio che sparargli due colpi alle spalle. Un proiettile gli aveva sfiorato i panni. Voltandosi, bianco per lo spavento, capì che il tedesco gli faceva segno di andare col gruppo dei condannati. Ubbidì, ma gli rimase un tremito nella persona che non l‟abbandonò più fino al momento dell‟esecuzione”. Per la feroce, incomprensibile rappresaglia, la frazione di Cervarolo e, per essa, il Comune di Villa Minozzo, fu de-

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corato di medaglia d‟argento al valor militare con la seguente motivazione: “Sottoposta a fiera rappresaglia nemica non piegò sotto il tallone tedesco e ogni cittadino fu combattente sorretto dall‟amore dei vecchi, delle donne e dei fanciulli. Con le fiamme che distrussero le sue case si elevarono al cielo l‟ardore e la passione che hanno santificato il martirio dei suoi figli caduti”. La prestigiosa onorificenza fu solennemente consegnata nel 1952, quando era sindaco Aldo Coriani. Come tutta la popolazione attiva, Giacomo Alberghi, giovanissimo, fu costretto ad emigrare per far quadrare il bilancio familiare. Il reddito derivato dalla coltivazione della povera e avara terra non consentiva ad alcuna famiglia, ad alcuno dei suoi membri attivi, di poter onestamente campare. Lo troviamo così a Marsiglia, ove rimase per oltre due anni; nel 1898 ritornò a Genova, ove lavorò come manovale alla costruzione della Porta Pia, sopra Brignole. Poi rientrerà per dedicarsi a tempo pieno alla coltivazione della sua piccola proprietà terriera, a Cervarolo, e alla sua ricca produzione di testi di Maggio. Tra essi, troviamo Fioravanti, composto a Genova nel 1898; i due soggetti di Tristano e Isotta (due testi) nel 1906; La distruzione di Troia; i due Maggi di Emilio Perduto, cantati uno a Gazzano e l‟altro a Cervarolo; La Rotta di Roncisvalle, cantato a Civago nel 1919; Morbello (da I Paladini di Francia); Guido Santo, due testi cantati a Cervarolo rispettivamente nel 1923 e nel 1925; Il Calloandro. Occorre ricordare che della sua copiosa produzione non è giunto a noi nulla; se non, forse, qualche rara copia che non siamo riusciti a consultare (forse perché sono stati mutati dai trascrittori i titoli originali).

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In questo modo lo scrittore Umberto Monti (1882-1968) presenta il suo conterraneo autore di maggi Giacomo Alberghi nel suo studio “Il Maggio nella montagna reggiana” (La Provincia di Reggio, anno IV, n. 10, ottobre 1925): “Ormai il più noto scrittore di questi drammi, nella montagna reggiana, è Alberghi Giacomo di Cervarolo. L‟amore per i maggi è tradizionale nella sua famiglia. Un suo zio, Antonio, ne scrisse diversi, tra cui Rodomonte, Il conquisto della Croce, Le guerre di Roma, Fioravanti, Calvandro, dato ancora quest‟anno in Gazzano. Il nostro Alberghi (Giacomo, ndr) è nato in Cervarolo nel 1875. Ha fatto la prima elementare, dopo si aiutò leggendo con passione, durante le lunghe sere d‟inverno, i capolavori della nostra letteratura e i principali romanzi cavallereschi. Lesse così l‟Iliade, l‟Eneide, La Gerusalemme Liberata, l‟Orlando Furioso, i Reali di Francia, i Cavalieri della Tavola rotonda, Bovo D‟Antona, Tristano e Isotta, Guerrin Meschino, I Paladini di Francia, Guidosanto, Emilio Perduto, Il Morgante Maggiore, Rinaldo Appassionato”. Si tratta di testi importanti per la successiva composizione di testi di Maggio. Che faranno di lui uno degli autori più rappresentati dell‟alta zona del Villaminozzese. Notizia rara e curiosa quella che ci informa che Giacomo Alberghi compose anche tre “bruscelli”: “Una forma di teatro popolare toscano alla cui origine contribuiscono tre matrici - scrive Giorgio Vezzani nel volume La tradizione del Maggio a proposito della voce “bruscello” - che hanno dato vita ad altrettanti temi nei quali si identifica questa manifestazione: l‟argomento nuziale, l‟argomento cavalleresco (proprio dei maggi), la rievocazione di una scena di caccia che si rappresentava anticamente con una

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lanterna e un ramoscello da cui probabilmente derivò lo stesso nome di bruscello”. Questi i titoli che il Monti (il vero e unico biografo di Giacomo Alberghi) ci fornisce: “Balordo”, “Ideale” e “Marchione”. Poco si sa, invece, dello zio di Giacomo, Antonio Alberghi, se non quello che lo stesso Monti indica come produzione di testi nello studio già citato. Neppure la data o l‟anno di nascita, né altri dati riguardanti la vita. Inutili le ricerche negli uffici del Comune di Villa Minozzo (gli archivi furono dati alle fiamme senza motivi plausibili nel luglio 1944, quando le forze partigiane occuparono il municipio). Gli archivi parrocchiali delle sedi prive di titolari sono giustamente stati trasferiti nell‟archivio generale della Curia vescovile di Reggio Emilia e quindi difficilmente consultabili.

Piazza di Villa Minozzo - Primi 900

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Quando la trama si colora di rosa Luigia Correggi viveva sola e cantava lungo i sentieri. Fu la prima donna a scriverne uno: “Paris e Vienna”. Costante Coli immortalò il difficile amore di Elemento e Rusina, mentre Domenico Notari fu campioniere di eccezionale memoria. La tradizione teatrale a Cervarezza e Marmoreto. Continua l‟ideale viaggio nella nostra montagna, sede del “maggio cantato”. In questa tappa abbiamo ritenuto doveroso fermarci nelle località di Cervarezza e Marmoreto, nel comune di Busana. Qui, infatti, avremo il piacere di incontrare un‟autrice - una delle poche, fino a qualche anno fa - che hanno prodotto o composto un Maggio: Luigia Correggi di Cervarezza. L‟altra, nel versante opposto, sulla destra del Dolo, è Miriam Aravecchia, che da diversi anni ha iniziato a scrivere, con successo, e ne ha già al suo attivo due: La Bastarda del Nilo (composto nel 1999) e I figli di Tanus (2000). L‟incontro con Luigia Correggi era dovuto e doveroso. L‟occasione ci consentirà - tenuto conto che siamo in zona - di incontrare anche l‟autore Costante Coli e un altro singolare personaggio, Domenico Notari, che fu trascrittore (a lui si deve una splendida Gerusalemme Liberata, sicuramente arrivata dalla Toscana), organizzatore e direttore o, come comunemente si definiva, campion o campioniero (colui che tiene il copione), suggeritore, ed è quasi sempre il regista dello spettacolo.

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Luigia Correggi

Per quanto riguarda Luigia Correggi, ogni notizia sulla sua vita ci è stata fornita dalla sua notissima biografa, la maestra Teresa Romei Correggi. A una nostra lettera dell‟ottobre1975, la famosa poetessa di Cervarezza rispose qualche giorno dopo così: “Egregio e caro signor Romolo, la sua limpida, bella lettera è motivo per me di vera gioia. Un disturbo? Niente affatto. E‟ un incontro, fra le quartine dei maggi, denso di ricordi, di memorie semplici e feconde, che mi riporta alla bontà, all‟onestà, all‟appagamento dei nostri vecchi, che sapevano trarre la poesia dagli umili grandi motivi che conservano valori eterni...”. Si scusava col dirci che, a motivo degli occhiali

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“non buoni” non poteva trasriverci a mano la biografia dell‟autrice, Luigia Correggi. Forniva, poi, indicazioni sulla trama dell‟unico maggio composto, Paris e Vienna, e notizie sulle date in cui fu rappresentato dal complesso di Cervarezza. Scrive la Romei Correggi: “La geniale autrice del maggio Paris e Vienna nacque il 18 dicembre 1871, a Cervarezza, a casa del Tenente, quintogenita di numerosa famiglia: cinque maschi e due femmine, figli di Giacomo e di Borelli Maria Rosa”. Si sofferma poi a ricordare le località in cui i numerosi Correggi si erano diramati: a Selvanizza, in territorio parmense, a Milano, Torino, in Corsica e anche in Francia. La famosa sartoria Courrège discenderebbe dalla “casata del Tenente”. Che a sua volta avrebbe tratto origine dal ramo cadetto dei principi Da Correggio, di origine longobarda. L‟ispirazione poetica, poi, era una virtù nativa, un vizio di famiglia. Ma Luigia era anche uno spirito indipendente e originale. Viveva sola in una modesta casetta, ereditata da un suo nipote, Marino Correggi. “Il suo duro mestiere di merciaia ambulante - continua col solo mezzo delle sue povere gambe e delle sue spalle, la portava in tutti i paesini, allora sperduti, della nostra montagna, e in quelli del Parmense prossimo. Si spingeva, a volte, anche in quelli confinanti con la Garfagnana e quanta buona gente conosceva, quante ospitali canoniche frequentava e benediceva”. Ricorda che anche camminando, carica di fagotti, pregava e cantava i campetti del suo Maggio che componeva sui sentieri “della fatica, del sacrificio e della poesia”. Nel periodo invernale, conclude la biografa, si riposava “nella sua raccolta casina, e si dedicava a una simpatica attività di estetica e di palpitante

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poesia: uscivano dalle sue mani gentili fiori di carta ma così belli, così belli che erano più veri di quelli veri. E fregi e modellini di abiti ch‟erano una meraviglia”. Morì il 15 dicembre 1951. L‟unico Maggio Paris e Vienna, composto da Luigia Correggi nel periodo 1920-„25 è stato cantato dall‟allora famoso complesso di Cervarezza, nel periodo 1924-„36 e nel „52, quando si esibì a Reggio Emilia, al teatro Municipale e nel parco Terrachini. Nello stesso anno partecipò anche al primo “Concorso dei maggi”, organizzato dall‟Ente provinciale per il turismo (Ept) di Reggio Emilia, con il medesimo componimento Paris e Vienna. Fu rappresentato a Cervarezza il 6 luglio 1952. Gli altri complessi che parteciparono furono quello di Villa Minozzo (si esibì col famoso componimento La Gerusalemme Liberata), quello di Morsiano (L‟Esiliato d‟Irlanda, di Nello Felici, rappresentato a Quara), e quello di Costabona (Costantino Imperatore, di Stefano Fioroni, cantato alla Carbonaia di Costabona). La commissione giudicatrice era composta da Renato Marmiroli, presidente Ept, Giannino Degani, Francesco Manfredi, Giulio Piombi e Mario Vezzani. I premi furono assegnati mediante preciso e circostanziato verbale della commissione nel seguente modo: 1° premio (50.000 lire e coppa) ex aequo a Cervarezza e Morsiano; 2° premio (20.000 lire e coppa) a Costabona. In considerazione, poi, dello sforzo compiuto dal complesso di Villa Minozzo, la commissione istituì un quarto premio, del medesimo valore (20.000 lire), che assegnò alla compagnia villaminozzese. A questo primo concorso non ne seguirono altri. Peccato. La cronaca di questo eccezionale avvenimento è con-

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servata e facilmente rintracciabile nei quotidiani locali dell‟epoca. Nella preziosa corrispondenza con la Romei Correggi, vengono poi anche ricordati i principali interpreti del complesso di Cervarezza: Maria Mazzoni nella parte di Vienna; Clemente Cecchetti in quella di Delfino; Domenica Correggi (Regina Diana), Amedeo Correggi e Giuseppe Vezzosi che si alternarono in quella di Paris e, quale “paggio”, Andrea Romei. Tutta l‟azione del testo - 373 stanze - è imperniata sull‟amore contrastato di Vienna, l‟unica avvenente figlia di Re Delfino, alla quale sono negate le nozze con Paris, giovane scudiero di suo padre, figlio di un nobiluccio di corte. Amore segreto, matrimonio segreto, celata complicità di cuori benigni, torneamenti con famosi guerrieri, intrecci di astuzie e di ingenuità, progetti sventati, fughe, separazioni, dolorosi castighi; e su tutte le vicende, la fedeltà eroica degli innamorati, da cui scaturiscono i lieti trionfi e la vita trova il suo ritmo ideale di appagamenti e bontà. L‟ultimo dattiloscritto, riprodotto personalmente dal compianto Gian Battista Galassi in sette copie, è fortunatamente preceduto da una ricca e interessante pagina di preziose note. Riguardano le rappresentazioni che del testo furono effettuate dal complesso di Cervarezza; i nomi dei protagonisti; quelli che nel tempo “han posto mano” al copione; la preghiera della regina Diana, di Teresa Romei Correggi (da cantare quando Vienna è fuggita dalla corte) e, infine, i “metri” e i “motivi” in cui venivano cantate serenate, preghiere, invocazioni e simili.

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Costante Coli

Diverse notizie sul Maggio Elemento e Rusina, composto da Costante Coli di Marmoreto (1860-1930), provengono dal farmacista di Villa Minozzo, dr. Severino Moratti. Si tratta, in particolare, di un pezzo dal titolo “Il Maggio a Busana”, apparso sul mensile La giovane Montagna (ottobre 1939). Moratti, uomo di grande cultura, attento alla storia, alla produzione letteraria del tempo, poeta lirico e dialettale (suo il volune Dal Cusna - sonetti dialettali, 1930), è stato anche grande amico dell‟on. Giuseppe Micheli. Ed è proprio dallo studioso parlamentare parmense che ha avuto incarico di sostituirlo alla rappresentazione del Maggio Elemento e Rusina, cui era stato invitato a partecipare. Così, sulla “Balilla” del nipote Gianni Pedrazzoli, raggiunse Busana in una giornata di pioggia. Al pranzo, nell‟albergo dell‟amico Bonfiglio Berretti, li raggiunse l‟organizzatore dello spettacolo, Lodovico Bianchi, che riassunse (si fa per dire) l‟argomento della rappresentazione. La complicata vicenda si svolge in Terrasanta, ove l‟imperatore romano re Austero accompagna la moglie che sta per diventare madre. Austero, però, è sconfitto e ucciso a Cesarea. La moglie, risparmiata, è accettata nella corte del vincitore, cui è anche stato regalato un figlio, Elemento. I due ragazzi, diventati adulti (Elemento e Rusina) vengono ad amarsi. Il re di Cesarea, che non vede di buon occhio la relazione, allontana il figlio e vende a certi mercanti la giovane, che viene portata in Turchia. Divenuto adulto, Elemento cerca Rusina. Trovatala, si fa battezzare, la sposa e diventa imperatore romano. “Natu-

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ralmente - aggiunge Moratti - vi sono episodi che Bianchi definisce bellissimi, tali da tener occupati per qualche ora i 21 personaggi che animano il maggio, composto dal defunto Costante Coli”. In un‟intervista del 1978, Domenico Notari sintetizzò il famoso maggio Elemento e Rusina con una quartina del “paggio”: “In quest‟oggi, miei cristiani/ pria che il sol al mar declina/ di Elemento e di Rusina/ sentirete i casi strani”. E, per elencare i centri e le località in cui il Maggio fu cantato in quell‟ormai lontana stagione 1932 dal complesso di Marmoreto che dirigeva, ci cantò questa “ottava” di versi endecasillabi: “A Marmoreto demmo il primo canto,/ a Busana pel secondo fumm chiamati/ a Cervarezza il terzo pure canto/ Caprile di Ligonchio ritornati./ A Cinquecerri il quinto con il vanto./ Di Vaglie il sesto che fummo invitati/ e a Cola fu il settimo paese./ Quattro settembre poscia si sospese”. A proposito dei personaggi del complesso di Marmoreto, questo siamo riusciti a scoprire, sempre conversando con Domenico Notari, quel giorno che lo incontrammo nella sua casa. Chiedemmo i nomi del complesso di Marmoreto e così, in dialetto e in lingua, egli rispose: “Alora, me fava al suggeritur; Domenico Notari è il primo, poi dopo c‟è Giovanni Coli si chiamava, l‟era po‟ al padròn dal magg... perché questo Maggio l‟ha trascritto da romanzi suo padre, un certo Costante Coli, un vecchio che è già morto da molti anni, nel 1930... Allora c‟era Giovanni Coli che faceva la parte di Re Austero, poi il povero mio padre, Battista Notari faceva la parte del Re di Francia, poi gh‟era un certo Giulio Coli... faceva la parte del re cristiano. Poi c‟erano due mercanti, uno si chiamava...

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Lino Coli, mio cugino, che sta qui dietro, e un certo Amos Cecchi e un certo Alberto Castellini... poi c‟era uno che faceva la parte del generale pagano, Dario Coli e del sultano, Ettore Coli, e due donne... Santina Coli, nella parte di Rusina e Antonio Zanichelli, ancora vivente, quella di Elemento...”.

Marmoreo 1932 – Elemento e Rusina -

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Domenico Notari

Il 3 settembre 1895 naque a Marmoreto di Busana e lì morì nell‟agosto 1983. Fin da ragazzo mostrò le sue non comuni doti di apprendimento. Venne così avviato all‟unica, vera scuola popolare allora esistente nella nostra montagna: il seminario di Marola. Ciclo di studi che dovette però interrompere perché la famiglia numerosa richiese il suo aiuto. Allora diventò muratore. Facile alla rima, influenzato dagli studi classici, divenne subito campioniere del locale complesso del Maggio. Così scrive la sua autorevole biografa, la prof. Laura Artioli: “Insegnò le parti a chi non sapeva leggere e, con discrezione, a spettacolo in corso, cercò di ovviare, suggerendo agli eventuali vuoti di memoria degli interpreti, lui che per averci tanto lavorato non aveva più bisogno di ricorrere al testo scritto. A Marmoreto è rimasto il ricordo di

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tanta passione, di tanto impegno e di tanto successo. Con il nome che portava nel maggio, qualcuno dei protagonisti di allora è ancora conosciuto in paese”. Ma Domenico Notari è stato soprattutto rimatore e poeta. Così si presentava a Ultimio Fontana, falegname e rimatore di Cervarolo di Villa Minozzo, che aveva conosciuto sul lavoro: “Son rimator, di quote son dotato/comunque ti do pure il nome mio/Domenico Notari son chiamato/e a Marmoreto tengo suol natio”. Con Ultimio Fontana intrattenne poi per lungo tempo uno scambio di episodi poetici, sapientemente e anche umoristicamente improntati a vicende note e meno note. Purtroppo, nulla è rimasto di questa allora apprezzata produzione. L‟amore, la passione e le capacità di scegliere e dirigere lo spettacolo del Maggio sono state la sua grande prerogativa. Ancora la prof. Artioli: “Domenico ha raccontato la festa del Ventasso e le stanze di casa sua contemporaneamente alle gesta dei paladini ed era, soprattutto, una persona da conoscere, da vedere e da ascoltare”. Lo abbiamo conosciuto e ascoltato il 23 agosto 1968 nella sua casa di Marmoreto. Raccontò che aveva cantato nel Maggio di Costante Coli Elemento e Rusina nel 1932 e nel „33; diresse la Gerusalemme Liberata, scritta da un prete fiorentino e da lui trascritta unitamente a Primo Coli. Ci recitò anche una “ottava” in cui erano elencati i paesi nei quali il complesso si era esibito nel corso del „32. Ci parlò con ammirazione di Domenica Zanichelli che aveva interpretato due personaggi in Elemento e Rusina. Ci cantò due quartine dell‟Angelo, personaggio della “sua” Gerusalemme Liberata. Recitò inoltre alcune poesie improvvisate, in contraddittorio con Ultimio Fontana che aveva cono-

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sciuto durante la costruzione della colonia Roversi di Busana. Non mancò, a conclusione, la recita della composizione poetica Il Ventasso, composta in occasione della festa di S. Maria Maddalena che ogni anno si celebra nel santuario sul monte, alla presenza di tutti i valligiani. Un vero, grande personaggio, Domenico Notari, legato allo spettacolo del Maggio, nella importantissima parte di organizzatore, direttore e regista. Un vero, dotto “campioniere”!

Marmoreto 1932 – Elemento e Rusina –

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Efisio, quasi geometra e tutto poeta

Della dinastia dei Pozzi di Romanoro, si trasferì a Rondaneda. Generò 5 maggi e 8 figli. L‟istruzione dello zio prete. Giuseppe Ferrarini e Vincenzo Mercanti, di Monzone, altri grandi toanesi. Una volta c‟era un vero e proprio mercato dei testi di Maggio.

La dinastia dei Pozzi, in quel di Romanoro di Frassinoro, unitamente alle famiglie Turrini e Marzocchini costituirono l‟asse portante del “maggio cantato” nella vivacissima frazione del medio torrente Dolo. Fornirono allo spettacolo, con la passione ereditata dagli avi, insuperabli interpreti ma anche dotti autori di testi, tanto da costituire uno dei complessi più celebrati e ammirati della valle. Non è an-

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cora spenta l‟eco delle capacità canore e interpretative di Antonio Pozzi, il celebre e in un certo senso insuperato Tugnin, la cui voce e il cui temperamento avvincevano. Lo ricordiamo ancora nelle rare occasioni in cui si proponeva nelle cosiddette “sfide canore” del dopomaggio. Una, in particolare, è rimasta memorabile a Ponte Dolo, e vide affrontarsi due autentici campioni del tempo: Tugnin e l‟altrettanto bravo Prospero Bonicelli (Prusprin da la Roca). L’autore di “Barbacano” Efisio Pozzi era nato a Romanoro nel 1881 da famiglia agiata (proprietari terrieri di un tempo; si dice possedessero oltre un centinaio di biolche reggiane). Il padre Mansueto aveva sposato Domenica Riotti, la sorella del parroco don Andrea, destinato da Asta alla cura delle anime della parrocchia di Romanoro, dove rimase fino alla morte. Dall‟unione nacquero Efisio, Benedetto ed Erasmo. Essendo di costituzione debole, Efisio fu educato e istruito dallo zio prete. Così fu insegnante “patentato” delle scuole elementari per insegnare a scrivere e far di conto, ma anche muratore e capomastro. Costruì fra l‟altro anche il mulino del luogo, ma fu pure imbianchino e, nei mesi invernali, con i fratelli, “segantino” a domicilio (riducevano i grossi tronchi in tavole da lavoro). Mente veramente dotata e versatile, studiò “in proprio” per la professione di geometra, tanto da esercitarla, con profitto, nella divisione di immobili e nella stesura di progetti. Nel 1922 acquistò a Rondaneta di Toano un fondo (gli altri due fratelli lo acquistarono a Castellarano e se lo divisero), ed Efisio vi si trasferì con la moglie Marianna Righi e i due figli, Lina e

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Mario. Tutti gli altri 6 sono nati quindi nel Toanese: Antonio (caduto sul fronte russo nel „43), Mosè, Quinto, Sesto (deceduto a 10 anni), Giulio e Firmina (madre dell‟attuale sindaco di Toano, Michele Lombardi). Efisio fu per lungo tempo vice sindaco a Frassinoro e, a Toano, apprezzato consigliere e assessore nella Democrazia Cristiana. Oltre ad aver sistemato diversi maggi precedenti, Efisio Pozzi ne compose personalmente cinque: Sirio e Fidalma, Diocleziano, Barbarossa o I figli di Guerrin Meschino (immortale), Barbacano (introvabile) e Peglione e Doralba. Dopo aver cantato nella compagnia di Toano ed avervi rappresentato, fra gli altri, i maggi Diocleziano e Peglione e Doralba, si spense il 24 novembre1966, ad 84 anni. L‟autorevole prof. Sesto Fontana ne parla nel volume Il Maggio (Leo Olschki editore): “Ai Boschi di Romanoro ho potuto avere da Zelindo Pozzi i Maggi di Bianca e Fernando e di Leonildo e più ampie notizie sopra un altro autore fra i più cospicui, Efisio Pozzi, a me già noto in parte. Ai Boschi, dove la schiatta dei Pozzi è numerosissima e dove Efisio già dimorò come in un suo feudo e roccaforte e fu una specie di dittatore (s‟intende nell‟accezione più simpatica del termine), egli ha ancora quelle che si dicono un‟ottima fama e un‟ottima stampa; ma, da diversi anni, è emigrato a Toano, sul versante opposto del Dolo. Io non ho pensato di sconfinare in quel di Reggio e raggiungere Toano, un po‟ per pigrizia, essendo la strada assai lunga e malagevole, un po‟ per il dubbio di fare quel viaggio inutilmente, perché ho l‟impressione che anche il Pozzi, come il Cappelletti, sia piuttosto geloso dei suoi Maggi e restìo alle interviste”.

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Qualche giorno fa abbiamo incontrato uno dei figli, Quinto, che vive a Toano con la moglie Maria Cappucci. Lo sostiene una memoria viva e presente. Con i ricordi della guerra che, come alpino, ha combattuto su diversi fronti, sono riaffiorati vivi e presenti i ricordi, le rocambolesche vicende vissute con l‟inseparabile amico, il sergente Fleano Governari di Secchio di Villa Minozzo, che oggi vive in Francia. Ogni anno rientrava per una visita al paese, ai parenti e agli amici. Ora non più. Ma si è parlato anche del Maggio, delle sue presenze attive nel complesso diretto dal padre Efisio. Ha ricostruito a memoria molte delle stanze che costituiscono il “paggio” dei maggi che lo hanno visto presente e che abbiamo puntualmente trascritto, unitamente alle diverse date in cui i componimenti sono stati cantati dal complesso di Toano. In particolare, il celebre Barbarossa fu cantato a Romanoro nel 1920 e a Toano nel 1926. Fra gli attori, Noè Turrini nella parte del protagonista, ma anche Matusalemme Mariani, Giovanni Manfredi e Quinto Pozzi, che nel “paggio” cantarono: Millenovecentoventi /finalmente giunti siamo/ ed a tutti auguriamo:/ siano i vostri cuor contenti; Dopo guerre sanguinose/ che tremar fè i nostri petti,/ per dar pace agl‟intelletti/ torna maggio con le rose. E così Barbacano fu cantato a Toano, nel 1947; Corradino a Romanoro nel 1930, a Farneta nel „47 e a Toano nel „48; Diocleziano fu rappresentato a Romanoro nel 1937 e a Toano nel „48. Fra i migliori interpreti anche Mario, figlio dell‟autore, ricordato ancor oggi come una delle migliori voci della zona.

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A Fazzano c’era “Bonett”

Coltivatore diretto, quarta classe elementare, vedovo di Beatrice Caselli, due figli, Arturo ed Emilia, Giuseppe Ferrarini era nato il 19 dicembre 1888. A 23 anni aveva cominciato a scrivere, componendo il maggio Le sventure di Milone. E‟ stato il direttore-capomaggio del complesso di Monzone, la parrocchia e la frazione di Toano rivierasca del Dolo. Gli altri tre maggi li ha infatti composti per il suo complesso: Scapigliato, Giostra per la figlia dell‟Imperatore di Russia e Rotta di Roncisvalle. Il Ferrarini, chiamato anche Bonett, ha inoltre rielaborato diversi altri componimenti acquistati da venditori ambulanti o da altri autori. Un tempo vi era, infatti, un vero e proprio mercato di testi di maggio. Gli autori non ricevevano compenso alcuno per la loro fatica e quindi erano, in un certo senso, obbligati a cedere il loro prodotto per rientrare almeno delle spese vive sostenute (carta, quaderni, inchiostro e penne). In un‟intervista rilasciata nel 1972 a Fazzano, una delle tante borgate della parrocchia, dove risiedeva, disse di aver comprato da Michele Costi il maggio Amerigo. Fa infatti parte dell‟elenco dei maggi “rieleborati”, con Trieste, La presa di Babilonia, La fine del mondo e La dolorosa vita di Drosilla. Oltre che a Monzone, al di là del famoso fosso che divideva gli appasionati di maggio e quelli delle commedie, guidati da Vincenzo Mercanti, il complesso si esibiva anche a Casa Casolotti, Toano, Casa Balletti di Massa (altra frazione del Toanese).

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Ferrarini è vissuto, solo, nella sua bella casa di Fazzano fino alla morte che lo ha colto il 2 ottobre 1982. Riposa nel cimitero della parrocchia, nella vicina Monzone. Ma il solitario Giuseppe era anche un attento osservatore. Si divertiva a registrare quanto accadeva. La vena poetica non mancava e scriveva, a suo modo, in rima e nella lingua parlata: il dialetto. Sono cosÏ uscite ben otto poesie manoscritte. Un tempo venivano imparate a memoria e non scritte, per cui facilmente si perdevano. Il figlio Arturo ce le ha donate quando ci siamo rivolti a lui per rifotocopiare i componimenti di maggio che avevamo riprodotto su carta chimica, facilmente deteriorabile. Ora le sue satire (cosÏ venivano chiamate) sono entrate nella sua cartella. Ci ricordano e ci ricorderanno, se non altro, un mondo e un modo di vita ormai scomparso.

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Mercanti Vincenzo il centenario

Era nato a Monzone di Toano, in località Casella, l‟11 marzo 1896. Fu insignito del titolo di Cavaliere di Vittorio Veneto per aver prestato servizio e combattuto per quattro lunghi anni, come caporal maggiore, nel 3° Reggimento Alpini, battaglione Granero, riportando anche una grave ferita a un ginocchio. Conclusa la lunga parentesi bellica e militare, rientrò in paese. Nel 1920 si unì in matrimonio con Maria Belli e da lei ebbe 11 figli, di cui quattro in parti gemellari. Quelli ancora in vita - Gaetano, Rina, Giuseppe, Diana e Dino - sono sparsi per il mondo, come si suol dire. Tanti i nipoti e i pronipoti. Fin da ragazzo partecipò ai diversi momenti aggregativi del tempo, appassionandosi e avvicinandosi anche allo spettacolo del maggio, fino a comporre un apprezzato testo dal titolo Il Cavaliere della Spada, mai rappresentato. Quando lo incontrammo, nella primavera del 1996, ci de-

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clamò anche diverse stanze, imparate a memoria, del celebre maggio Guido di Santa Croce, il componimento composto in America nel 1907 da Fortunato Montelli di Asta e Marino Bonicelli di Quara. Là fu rappresentato, con grande successo di pubblico, da un gruppo di emigrati della nostra montagna. Accanito lettore, Vincenzo si appassionò anche al teatro, diventando uno degli animatori e protagonisti di una filodrammatica locale. Negli anni Cinquanta rappresentò drammi popolari nei minuscoli teatri (si fa per dire) di paese e in qualche caso anche all‟aperto. Ricordiamo, in quell‟epoca, di aver assistito a una di queste rappresentazioni nella sala di Ca‟ Marastoni. Vincenzo Mercanti è morto il 21 febbraio 1998, a Toano, dove risiedeva con il figlio Giuseppe e la nuora Bianca Spadazzi, alla veneranda età di 102 anni. Riposa per sempre nel cimitero della natìa Monzone.

Romolo Fioroni intervista Ferrarini Giuseppe

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Costabona: la capitale Michele Costi fu ricercatore di testi. Il suo secondogenito, Teobaldo, ha firmato 11 componimenti e non si curava del gradimento. Prospero Bonicelli, maggerino per eccellenza.

Qualche tempo fa Costabona è stata definita la capitale del maggio. “Alcuni portali in arenaria impreziosiscono il cuore di Costabona, una frazione villaminozzese abitata da un centinaio di persone, in prevalenza agricoltori dai cognomi ricorrenti e legati da una grande passione: il „maggio‟”, quello spettacolo che la poetessa di Cervarezza Teresa Romei Correggi ha definito “storia, leggenda, religiosità, fantasia, poesia, dramma della vita e delle aspirazioni di tutti i tempi”. E proprio a Costabona - dove oggi i residenti sono per la precisione 64 - lo spettacolo del maggio ha avuto, oltre a valentissimi interpreti, anche i suoi popolari e noti autori. Di Stefano Fioroni abbiamo già parlato. Ora ne presentiamo altri tre: Michele Costi, suo figlio Teobaldo, e Prospero Bonicelli. Quest‟ultimo, oltre a essere stato uno dei più grandi interpreti di tutti i tempi, ha inteso proporsi anche come autore. Per la verità, con minor autorevolezza. A Costabona i Costi sono stati e sono una grande famiglia, una dinastia di antica discendenza che continua. Oltre ad essere ben radicati in paese, si sono trasferiti in molte città del Centro-Nord dove hanno affondato le proprie radici.

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Michele Costi Michele è uno dei tanti che hanno contribuito alla diffusione del casato. Nacque a Costabona nel 1868 da Enrico e Filomena Lombardi. Autore e attore di maggi, fu conosciuto negli anni Venti in tutta la montagna reggiana e modenese per la sua singolare professione di venditore ambulante di merceria e articoli religiosi. Fu anche un paziente e instancabile ricercatore di manoscritti di maggi, che poi rielaborava e ridistribuiva con prodigalità ai numerosi complessi allora esistenti nella nostra zona fino al vicino Modenese. Attore mediocre e di scarsi mezzi, suppliva alle deficienze naturali con una volontà ferrea e una passione irriducibile. Ancor oggi, infatti, per indicare un attore volenteroso e fortemente attaccato alla tradizione, lo si chiama “Michele”. Gli sono attribuiti undici componimenti, ma è difficile accertare con sicurezza la paternità delle opere a lui assegnate (dalla biografia di Giuseppe Ferrarini si apprende che da Costi egli acquistò il testo di Rampilla. Il valore di un componimento, a quel tempo, era di 10-15 lire). Costi interpretò le parti di numerosi personaggi nel complesso costabonese. Organizzò e diresse personalmente quello della vicina frazione di Secchio, dove morì il 20 dicembre 1942. Un suo discendente, Marino Governari, grande cultore del maggio e a sua volta autore, risiede a Varazze, in quel di Savona.

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Teobaldo Costi

Il secondogenito di Michele è molto conosciuto nell‟ambiente del maggio. Nel 1968-„69, chi scrive ha prodotto con lui anche il componimento L‟Amorotto. Costruimmo la trama e a Teobaldo fu lasciata la composizione in rima. Ebbe un discreto successo, nell‟estate del 1969, nelle cinque rappresentazioni a Costabona, Polinago e Castelnovo Monti. Questa l‟originale e scarna autobiografia di Teobaldo: “Niente scuola da ragazzo; 1924/27 carabiniere (scritto Sigfrido), poi licenza elementare, ispettorato di emigrazione M.E. Napoli-Genova-NewYork cinque anni di scuola serale di inglese. Nel 1935, tornato in Italia, stabilimento (formatore a mano e macchina); nel 1939 richiamato carabiniere, 1940 Dalmazia, Bocche di Cattaro, 1943 partigiano di Tito; 1945, rientrato in Italia, stabilimento e pensione. Sposato 1936, figlia nata 1937 (ora infermiera), moglie stabilimento. Niente iscrizione a partiti o associazioni, ho ciò che mi occorre per le mie modeste pretese, sono tranquillo (13 marzo 1968)”. Ha composto ben undici testi di maggio: Bramante e Marfisa, Il ponte dei sospiri, Bevul, Sigfrido, Amadigi, Giovanna d‟Arco, Giulietta e Romeo, Il Cavaliere Nero, Domenico Amorotto, Una scintilla nella guerra dei due mondi, Fedora e Cormano. A proposito dei suoi testi, scriveva: “Premetto che se i miei maggi vengono cantati o no, mi lascia indifferente, come quel cercatore di funghi che pone tanto impegno a cercarli e prova tanto piacere a trovarli, poi a tavola non li mangia perché non gli piacciono”. O quando, a proposito del testo Amorotto, riprende

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una leggenda (non nota) che vuole il personaggio prima vinto a Novellano da un certo Germano, indi salvato dal vescovo di Reggio che si trova a Baiso per la cresima, si converte e diventa eremita. Ritiratosi, penitente, sul Monte Cusna, si dedica a scavare e a modellare la catena montuosa a forma di uomo, morto e disteso. Nel momento della fine, il leggendario fuorilegge scaverà una profonda buca sulla parte più alta della montagna. Vi si calerà per rimanervi per sempre. E Teobaldo conclude: “Il vecchio che mi aveva raccontato la vicenda mi disse per concludere, indicando la vetta della montagna, „An dar a ment a chi at dirà chi l‟è o ch‟in l‟è; l‟Amurot l‟è ancura là su!‟ (Non dar retta a chi ti dirà chi è o non è; l‟Amorotto è ancora lassù!)”. Quanta semplicità e fede in questi popolari cantori e cultori di storia e poesia! Teobaldo morì a Genova, dove risiedeva, il 18 ottobre 1990, a 85 anni. Fu sepolto nella medesima città, nel cimitero “della Castagna”. Nell‟agosto del 1999 i suoi resti furono traslati nel cimitero dell‟amica parrocchia di Secchio.

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Prospero Bonicelli

Era nato nella patriarcale famiglia Bonicelli di Costabona il 13 giugno 1909, settimo di quindici fratelli nati dall‟unione di Flaminio prima con Maria Bonicelli, e successivamente con Arduina Chiesi. Intelligente, estroverso, dotato di mezzi intellettuali superiori alla media, mal si adattò al monotono lavoro dell‟azienda agricola del padre. Pertanto, cercò diversivi nello studio, come autodidatta, della religione, della poesia, della musica e del canto. Divenne in questo modo l‟infaticabile animatore della vita religiosa in parrocchia, a sostegno delle iniziative della piccola comunità. Compose “satire dialettali” e poesie. Le prime nozioni di musica le apprese dal noto musicista di Costabona mons. Savino Bonicelli, suo parente. Successivamente si impegnò per suonare dignitosamente l‟armonium in chiesa. Costituì e guidò la “schola cantorum” parrocchiale nell‟esecuzione di messe cantate, a due e tre voci, del celebre compositore mons. Lorenzo Perosi. Durante il servizio militare entrò nella banda del reggimento e suonò il “bombardino”. Il violino è un altro degli stumenti musicali che imparò a “strimpellare” in modo decoroso. Ma il settore in cui emersero le sue non comuni doti fu il canto. Una bella e melodiosa voce tenorile lo impose all‟attenzione dei dirigenti del complesso del maggio di Costabona degli anni Venti. Anche il suo temperamento, il suo modo di vivere e sentire la parte, faranno successivamente di Prospero il maggerino per eccellenza, l‟insuperato interprete di cui tutti conserveranno

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indelebile il ricordo. Divenne così protagonista indiscusso fino alla metà degli anni Ottanta. Dopo aver interpretato tanti personaggi di complicate storie d‟amore e di morte, sentì il desiderio di cimentarsi nella composizione di testi. Ma con poca fortuna. Pur tuttavia, compose e interpretò il suo maggio Il ritorno degli esiliati. Tradusse in versi una trama desunta da un testo letto in gioventù durante la leva militare. Dopo lunghe rielaborazioni e aver riletto il testo a stampa in versi martelliani dell‟Editore Campi di Foligno, Prospero decise il grande passo, e nel 1967 lo affidò al suo complesso per le rappresentazioni di quell‟anno. Fu cantato sei volte. Alla Carbonaia si tennero tre spettacoli, più altri tre rispettivamente a La Verna (Modena), a Ponte Dolo e Villa Minozzo. Non ebbe il successo sperato. Dimostrò, infatti, i suoi limiti nella sceneggiatura, nell‟incapacità di sintetizzare gli avvenimenti da descrivere, nel perseguire la rima ad ogni costo. Gli altri componimenti di Prospero Bonicelli sono Graziano e Graziella (del 1981, inedito), “Davide-1ª parte e “Davide-2ª parte (dattiloscritti, inediti). All‟epoca Bonicelli spiegò i motivi che lo avevano spinto a tradurre la sua storia in quartine: “L‟ho fatto in questo senso, poter cercare di dare un po‟ di sensibilità più morale al popolo di adesso e anche l‟amore della famiglia, che purtroppo sembra vada un po‟ scomparendo l‟amore filiale verso i genitori. Il mio scopo è sempre stato questo, di fare il maggio per dare alla gente che ascolta la stessa sensibilità che ho ricevuto nel leggere questo libro”. Rimasto solo dopo la morte della moglie Onelia Costi, si affidò alle cure delle due figlie, Giovanna e Maria, che si presero cura di lui soprattutto negli ultimi due anni, quan-

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do un ictus minò profondamente le sue residue capacità fisiche. Si spense serenamente il 13 aprile 1994. Ai solenni funerali che si tennero nella chiesa di Costabona accorsero i tanti amici ed estimatori. In quell‟occasione fu cantata anche la caratteristica “messa del maggerino”, che utilizza i motivi fondamentali dello spettacolo del maggio che Prospero aveva contribuito a trasferire sul pentagramma. Due anche le speciali sestine della preghiera dei fedeli (sei in totale) a lui dedicate in quel giorno memorabile: “Di Prospero nel cielo l‟alma è ascesa;/ sue fredde spoglie tornano alla terra:/ l‟uman distacco i nostri cuori serra,/ ma un dì lo rivedrem: la speme è accesa. Nel cerchio dei Beati è certo assiso/ suo spirto dal dolor quaggiù provato./ Signor, per la gran fede ha meritato/ in premio il dolce, eterno, paradiso”. Seguì il lungo, lento, riverente corteo che accompagnò Prospero al minuscolo cimitero della parrocchia per il riposo eterno. Nella direzione dei ricchi boschi, degli avari campi arati, dei fertili pascoli d‟un tempo. Al cospetto della vera montagna, del grande e maestoso massiccio del Cusna.

Teobaldo Costi con Romolo Fioroni

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Quelli di Romanoro Per Tranquillo Turrini, quattro opere e tre ingredienti: testo, pubblico e complesso. Gli otto componimenti del setacciaio Battista Dieci. Nella famiglia del più giovane Lorenzo Aravecchia, il maggio è un genio che “risorge per li rami”.

Già tre importanti e stimati autori di maggi di Romanoro Domenico Cerretti, Francesco Chiarabini ed Efisio Pozzi sono stati presentati. In questo numero ne proponiamo altri tre, anch‟essi nati nella contigua provincia di Modena. Per il loro complesso, per il loro paese, hanno prodotto in modo veramente pregevole. Si tratta dei viventi Tranquillo Turrini e Lorenzo Aravecchia e dello scomparso Battista Dieci.

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Tranquillo Turrini

Nato a Romanoro di Frassinoro il 6 aprile 1923, nell‟autobiografia che inviò nel 1966 all‟istituto “Ernesto De Martino” di Milano, che la inserì nel fascicolo “I Maggi della Bismantova” unitamente al testo completo del suo maggio I fratelli ammutinati, Tranquillo Turrini si descriveva così: “Sono il quarto di dodici fratelli, proveniente da famiglia contadina, ho sempre però lavorato come muratore e risiedo a Sassuolo. Dal 1956 sono titolare di una piccola azienda di costruzioni edili. Sono sposato, con tre figli. Sull‟Appennino modenese e reggiano, quella del maggio è una passione che contamina un po‟ tutti, così io spinto dalle gesta cavalleresche di tanti per-

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sonaggi di vari film e libri di Cappa e Spada, ho composto quattro maggi, scritti nel periodo posteriore alla Seconda guerra mondiale. Il primo maggio da me composto è La sconfitta di Amoriano, che ha avuto inizio e termine nel 1946. Per questo maggio mi sono ispirato al dominio romano nella Spagna. A distanza di due anni composi Le sventure di Roberta, che trovò ispirazione nei faraoni d‟Egitto. Nel 1951, traendo ispirazione da un libro che parlava del dominio arabo sulla Spagna, scrissi con abbellimenti e idee mie I fratelli ammutinati. L‟ultimo della serie lo scrissi nel 1955 e lo intitolai Bentlei principe di Baviera, parla del periodo longobardo. I suddetti maggi più che storici sono frutto della mia viva fantasia”. I figli Ercole e Leo sono assai noti. Il primo è stimato e valido medico con specializzazione in pneumologia e lavora presso l‟ospedale di Sassuolo. L‟altro, apprezzato giornalista sportivo, è cresciuto al Resto del Carlino, di cui è anche inviato speciale. E‟ autore di numerose pubblicazioni (12 per la precisione), tra cui biografie di grandi sportivi. Alcuni titoli: Bartali, Schumacher, Enzo Ferrari e Pazza Inter, cento anni di una squadra da amare. Non ha però dimenticato la terra ove affondano le sue radici. Un ottimo suo “pezzo” è riportato nel volume Romanoro - Frammenti di storia, arte e tradizioni, curato da Lorenzo Aravecchia. Sulla Gazzetta di Reggio del 5 agosto 1952 Pietro Alberghi racconta di aver assistito, a Morsiano, alla rappresentazione del componimento Le Avventure di Roberta e ne riassume l‟intera vicenda. Nel volume Il maggio, il prof. Sesto Fontana ricorda l‟autore Turrini, anche per aver assistito, nel 1953, a La Verna, alla rappresentazione del testo I fratelli ammutinati e, nel 1955, a Il

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Principe di Baviera, “... entrambi con scene assai belle e canto assai curato...”. G. Vezzani, sempre sulla Gazzetta di Reggio del 4 gennaio 1977, lo intervista sulla sua partecipazione al film Novecento di Bernardo Bertolucci. A. Mattioli lo intervista per la tesi di laurea il 27 marzo 1985 e, fra l‟altro, dopo avergli chiesto se avesse avuto discussioni coi giovani, sul modo di organizzare il maggio, egli rispose: “Con quelli del paese no. Per fare un buon maggio ci vogliono tre cose: un buon testo, un buon pubblico, quindi un pubblico competente, non si può cantare il maggio a Milano o a Modena, bisogna cantare dove il maggio è nato, poi ci vuole un buon complesso. Lorenzo, mio nipote, la pensa come me, è giovane ma non ha cambiato niente. Se invece prendiamo una squadra come quelli di Frassinoro, io per loro sono un vecchio che la pensa diversamente. Intendiamoci: il maggio di Frassinoro è molto bello... è fatto da Piacentini che è un intellettuale...”. Da un po‟ di tempo Turrini non si vede in giro, forse per colpa di qualche problema di salute. Gli auguriamo di riprendersi al più presto. Certi uomini devono ancora illuminare la nostra non del tutto chiara esistenza.

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Battista Dieci

Nato nella borgata di Chiesa il 4 gennaio 1904 da Battista e Caterina Giannasi, quando viene alla luce Battista Dieci è già orfano del padre, deceduto nell‟agosto dell‟anno precedente. Sarà subito chiamato da tutti Battistin di Butioo. Dopo la scuola dell‟obbligo (diploma di 3ª elementare, otterrà quello di 5ª dopo la guerra), Battistin lavorava nel piccolo podere di famiglia, condotto direttamente. Ma venne avviato anche all‟apprendimento del lavoro artigianale ambulante di “setacciaio”, occupandosi della costruzione e riparazione di setacci per la farina. Ad ogni apparir dell‟autunno, e per la durata anche di tutto il lungo inverno, partivano da casa e prendevano direzioni diverse: la Toscana, la nostra Bassa, il circondario. Per visitare, a piedi, le abitazioni di una miriade di località di paesi diversi. Come si comportavano, ad esempio, gli “arrotini” di Minozzo, gli “stagnini” di Farneta, i “madonnai” di Carù, gli “scrannai” di Belluno, o gli “inchiostrai” di Gova. Ov-

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viamente, partivano da casa con tutto l‟occorrente per il loro lavoro, eseguito in luoghi sovente isolati e scomodi. Di carattere calmo, affabile e cortese, Battista si affezionò subito al paese e alle sue tradizioni. In particolar modo al canto del maggio, di cui Romanoro era, a ragione, divenuta una delle località più famose. Mandò a memoria diverse scene dei componimenti più famosi e in voga. Così, nei suoi lunghi viaggi e nella sua solitudine aveva sempre come unica compagna la poesia e il maggio in cui si esprimeva. Dotato di una vena poetica semplice e lineare, creò molti personaggi rimasti famosi e cari nella fantasia popolare. Come, ad esempio, Viviano d‟Altavilla. Compose in tutto otto opere: nel periodo 1930-1960 Bianco e Bruno, Frontino e Doviglia, la vendetta di Clarina, Tesbina e il conte d‟Altavilla. In epoca successiva, invece, Amore e Odio (1976), Amore infinito (1979) e La pagana senza cuore (1984). Battista Dieci morì il 10 dicembre 1988, assistito dal figlio Aldo (l‟unico avuto dalla moglie Emma, scomparsa nel „76), che ora vive a Villa Minozzo. In chi amava la poesia, apprezzava la sua umiltà e le sue non appariscenti qualità, ha lasciato un vuoto profondo.

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Liberto Lorenzo Aravecchia

“Ego sum. Data la mia giovane età, ho appena 20 anni, essendo nato l‟11 giugno 1953, ho ben poche cose da raccontare sulla mia vita e quelle poche sono certo che avranno una relativa importanza per chi le leggerà. Tuttavia dirò molto sinteticamente i fatti salienti. Sono nato a Romanoro, piccolo paese della cara e silenziosa valle dell‟amato fiume Dolo, unico figlio maschio - ho una sorella minore - di una famiglia rurale, titolare di una piccola azienda in cui sono vissuto e vivo tuttora, alternando le mansioni agricole alla mia professione effettiva di operaio metalmeccanico. Di studi ho fatto fino alla terza professionale conseguendone il diploma, ma se la volontà e la determinazione non mi abbandoneranno spero di conseguire in un domani neppure lontano un diploma più consistente, studiando da autodidatta. Credo di aver ereditato da mia madre, che proviene da una delle più cospicue e celebri famiglie di „maggerini‟ dell‟intera montagna folckloristica, la grande passione che fin da bambino mi

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lega a questo spettacolo di semplici costumi e suggestiva risonanza. Tradizionalista per natura, è per me fonte di struggente rimpianto il fatto inconfutabile che il maggio sta gradatamente scomparendo, soffocato da questa società ciecamente protesa al più globale sviluppo scientifico e industriale, che ha rubato ad esso buona parte del suo nucleo indispensabile, cioè gli attori. Che se ne sono andati dalla montagna a imborghesirsi, ed ha rubato in quelli che sono rimasti quell‟entusiasmo e quel disinteresse senza i quali il maggio scade a spettacolo freddo e noioso”. Questa l‟autobiografia, datata 1973, di Lorenzo Aravecchia. Siamo andati a trovarlo 34 anni dopo. Ora è un uomo maturo. Si è diplomato come aveva promesso e oggi è perito meccanico. Lavora nella centrale idroelettrica di Farneta. E‟ sposato dall‟„82 con Adima Gazzotti e ha due figli, Massimiliano e Manuel. Il primo è laureando in lingue, il secondo in ingegneria informatica. Entrambi sono inoltre appassionati di maggio ed hanno già vestito i costumi di “maggerino”, esibendosi con successo nel complesso “I giovani del maggio romanorese”. La sorella Miriam ha già composto cinque opere e ne ha viste rappresentate ben quattro. Evidentemente è portata per lo spettacolo, certamente per temperamento, per genio di razza, in lei disceso dagli avi; genio che “risorge per li rami”, come dice Dante e si continua nei discendenti... Lo scorso 21 luglio, a Farneta, è stato rappresentato un suo lavoro, Il sentiero degli inganni. Il “Val Dolo” che Lorenzo dirige è tornato ad essere l‟ottimo complesso che era (al suo attivo ha 114 rappresentazioni). I suoi componimenti sono saliti di numero e qualità. Lorenzo, poi, oltre che autore (ben sette

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componimenti hanno già affrontato e superato brillantemente l‟esigente pubblico della zona), è anche un diligente e preciso storico locale. Ha dato vita al “Gruppo culturale per il recupero delle memorie storiche”. Cinque studiosi del luogo hanno già pubblicato due interessanti volumi: Romanoro - frammenti di storia, arte e tradizioni, pubblicato nel 1997 e andato a ruba, e Romanoro - sui sentieri della memoria, uscito nel „99 e tuttora in vendita. Un buon lavoro, quello portato a termine da Lorenzo Aravecchia, bravo e preciso cultore della nostra storia e, soprattutto, delle nostre tradizioni. Di cui, sicuramente, rimarrà traccia indelebile.

Un Maggio a Secchio nei primi del secolo

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La ricca terra di Cadignano Sono due i personaggi provenienti da questa borgata di Gova: Giuseppe Cappelletti e Mario Prati. L‟opera di Natale Ferrari da Quara. Prosegue l‟ideale viaggio nell‟alto Appennino reggianomodenese alla ricerca degli autori del Maggio cantato. Facciamo tappa a Gova di Villa Minozzo dove ne troviamo subito due: Giuseppe Cappelletti e Mario Prati. A breve distanza, in direzione Quara, ne incontriamo un altro, Natale Ferrari, vissuto nella borgata di Montebiotto. Giuseppe Cappelletti

Nella frazione di Gova, borgata Cadignano, sul greto del torrente Dolo, il 19 settembre 1875 nacque Giuseppe Cappelletti. In una famiglia benestante e in una vecchia, nobile casa un tempo di proprietà dei conti Manini, dotata an-

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che di un artistico oratorio, un vero gioiello del XVII secolo, costruito dalla bottega di Andrea Ruggi, di Casola di Montefiorino, nel 1684. Oltre alla costruzione vera e propria, Ruggi scolpì anche i pregevoli ornamenti in arenaria della facciata e lo stemma di famiglia sulla casa di fronte al tempietto. Dotato di un‟intelligenza straordinaria, Giuseppe fu subito avviato agli studi classici nei seminari di Marola e Albinea. Proseguì in sede universitaria quelli giuridici, che non riuscì a completare a motivo di vicende familiari che lo costrinsero a rientrare in famiglia. Si dedicò così alla conduzione dei fertili campi e vigneti, dedito alla famiglia, alla lettura e alle vicende politiche e sociali della montagna. Sposò Ida Cavazzini, che gli diede sei figli: Gino, Duilio, Aldo, Zita, Rita e Lucia. Lo spettacolo del Maggio, in quanto evento culturale che interessò tutta la zona e la montagna, non passò inosservato. Giuseppe lo valutò e per lui fu anche oggetto di studio e di profondo interesse. Si cimentò nella composizione di nuovi testi, alla fine saranno ben sei: Acherone o le avventure dei figli di Ercolano (composto nel 1922 e rappresentato a Gova nel 1922, „30,„38 e, in Asta, nel 1981); Le avventure di Rodolfo; Saliarte o le guerre di Spagna (composto e rappresentato a Gova nel 1927); Caifa (Gova, „33); Isabella (Gova, „38) e La guerra di Maratona. Come si può notare, alla vita del Cappelletti è legata anche la storia del complesso di Gova, che animava e dirigeva personalmente, come ha ricordato anche Gino Chiesi, uno dei suoi più fedeli interpreti ed estimatori. Da ricordare, ancora, che un suo nipote, Ruggero, figlio di Gino, è un abile suonatore di chitarra. Accompagna, attualmente, il com-

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plesso “Val Dolo” e, unitamente a Battista Prati (violino) ha seguito validamente, diversi anni fa, anche quello di Costabona. Il prof. Sesto Fontana, nativo di Spervara di Sassatella (Modena), a proposito del maggio di Giuseppe Cappelletti Saliarte o le guerre di Spagna, così si esprime nel volume Il Maggio (Leo Olschki, Firenze, 1964): “Il testo di 400 quartine è un altro conflitto di cristiani e di turchi, argomento, come si vede, assai caro e congeniale all‟autore. Composizione diligente, accurata. Trama semplice. Felice l‟inizio. C‟è sentimento e buon gusto. Molte strofe assai buone, particolarmente quelle che parlano di amori e di battaglie. Vaghe le ariette. Dialoghi e battibecchi vivaci e interessanti... Gli furono riconosciuti, a suo tempo, una grande autorità e un grande prestigio... dove emerse, meritando di essere confermato, si può dire in continuità, consigliere comunale per la sua frazione”. Fu infatti, e per lungo tempo, consigliere del Comune di Villa Minozzo e, dopo il 1945, anche sindaco del Comune di Frassinoro. Morì il 29 maggio 1961. E‟ sepolto nel bellissimo cimitero di Gova insieme alla moglie.

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Mario Prati

Sempre a Cadignano, ma poco più a monte, si trova la bella corte della famiglia Prati. I diversi eredi che, nel tempo, ne hanno acquisito porzioni, sembra non siano riusciti a mantenerla nelle pregevoli, originarie condizioni, a motivo dei restauri a dir poco discutibili. Fa bella mostra di sé la bella casa d‟abitazione, al centro del cortile, con portale in arenaria, a chiave di volta, con cuspide datata e sormontata da una sfera. Di fronte i servizi: un vecchio metato e il forno a legna; a oriente il fienile e il meraviglioso portico con archi in pietra, sorretti da due splendidi capitelli su colonne in arenaria. In questa località è vissuto Mario Prati, nato il 21 aprile 1909 e morto pochi giorni dopo aver compiuto 83 anni. Di professione piccolo proprietario, coltivatore diretto sulla sponda sinistra del Dolo, il corso d‟acqua che lambisce e accarezza quei fertili campi rivieraschi che hanno il solo torto di essere sovrastati da un terreno pendente e difficile da risalire. Diversi i Maggi che Mario Prati ha composto nel tempo, favorito dalla contemplazione che il silenzio suscita negli animi

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miti e semplici: Bovo d‟Antona; Galliano in Trebisonda; Cilene alla città del sole; Mauro e Luculla alla reggia e Distruzione di Troia. Il primo componimento, messo in scena dal complesso di Costabona alla “Carbonaia”, fu Galliano in Trebisonda, nell‟estate 1965, rappresentato per tre volte. Fu abbinato al testo Ginevra di Stefano Fioroni. Ebbe il successo che meritava. Al punto che l‟anno seguente fu la volta di Cilene alla città del sole. Fu rappresentato il 29 giugno e replicato sette volte. Da Montefiorino a Cervarezza Terme, da Ponte Dolo e Cinquecerri a Sassatella e, ovviamente alla “Carbonaia” di Costabona per ben tre volte. Ebbe successo, tanto che la Rai di Bologna, per l‟allora rubrica “Cronache Italiane” realizzò un documentario che destò enorme scalpore. Scene dello spettacolo furono riprese da una troupe guidata dal giornalista Angelo Silvio Ori nel luglio 1966 e trasmesse poche settimane dopo. Ebbe notevole popolarità anche Prati. Mario e la moglie Diomira riposano nel cimitero di Gova. A Cadignano è rimasto il figlio Emo, sposato e a sua volta padre di due figli.

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Natale Ferrari

In una sua autobiografia, Natale Ferrari si descrive sommariamente ma anche con l‟efficacia che in questi casi è richiesta: “A 13 anni sono emigrato in Francia e vi ho imparato il mestiere di calzolaio; a 18 sono andato in Inghilterra, ho imparato il mestiere di fotografo e sono rientrato a 22 anni per il servizio militare. Essendomi rifiutato di assoggettarmi a prendere la tessera del fascio, i fascisti mi hanno proibito di esercitare ogni mestiere per conto terzi. Mi sono assoggettato a dover fare il contadino; ho dato prova di buon agricoltore. A mio tempo a scuola si andava a Casella di Monzone, andata e ritorno erano sei chilometri e mezzo. Proscioglimento scolastico (terza elementare)”. Una seconda intervista è datata 1968 e venne pubblicata sul n. 15 della rivista Il Cantastorie. Questo il testo. “Natale Ferrari è nato a Montebiotto il 23 maggio 1892 nella

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medesima rustica casa del piccolo centro abitato ove l‟abbiamo incontrato. Con lui abbiamo avuto occasione di parlare lungamente di letteratura, arte, poesia e naturalmente del maggio e dei suoi autori e attori. Dal matrimonio con Carolina Ferrari, cugina di secondo grado, sono nate due figlie: Leonilde Leonida (deceduta) e Adriana. Attualmente vive solo, dedicando buona parte della giornata alle letture preferite che abbracciano tutto il campo dello scibile: attualità, filosofia, storia, letteratura e anche medicina. Gli scrittori che predilige sono: Dumas, Hugo, Manzoni, Mantegazza, Giusti, Dante, Lucrezio. Conosce, ovviamente, moltissime opere della letteratura maggistica e, fra i soggetti che maggiormente gli sono piaciuti, cita Brunetto e Amatore e Ventura del leone di Stefano Fioroni, in quanto „... oltre all‟intreccio, presentano anche una bella e buona poesia‟. Gli autori ai quali si è ispirato nella composizione dei suoi maggi sono i classici della lettura cavalleresca, Tasso e Ariosto. Le sue composizioni poetiche: il maggio Adriana, di 340 quartine, scritto nel 1925 e rappresentato a Quara nel 1926 da quel complesso; Ettore Fieramosca, di 330 quartine, composto nel 1965; Orazio, di 328 quartine, del 1966; Rolando Candiano, del 1967, di 328 strofe; Francesca da Rimini, iniziato nel 1967 e completato nel febbraio del 1968, di 280 quartine. Gli ultimi tre soggetti non sono mai stati rappresentati”. Va aggiunto il Torquato Tasso, trasformato nel corso della composizione in Gli amori del Tasso. Curiosa ed eloquente, poi, la nota del Prologo. Illustra il tema, le difficoltà incontrate, i suggerimenti avuti in merito dagli amici e le date e i tempi della composizione (iniziata nel „67, fu

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scritta fino alla quarta scena e abbandonata. Su invito di amici ed estimatori, fu ripresa e completata dopo due anni, il giorno del suo 78° compleanno). La raccolta mi fu generosamente data dal nipote, Viviano Chesi (figlio di Adriana), a sua volta giovane e promettente autore, che attualmente dirige il complesso “Val Dolo” di Romanoro. Si tratta delle sei fotocopie di dattiloscritti, in quanto l‟autore componeva direttamente alla macchina da scrivere. Natale Ferrari morì all‟ospedale di Montecchio Emilia il 21 marzo 1975. Riposa nel cimitero di Quara.

in Notiziario 1954

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Poeti si nasce Berto Zambonini e le sue infinite capacità. La prima opera di Zannini risale agli anni Trenta. I fantastici componimenti di Dino Dallari.

La carrellata di autori di Maggio continua con altri tre personaggi, due reggiani di Asta e un modenese di Macognano. Berto Zambonini

Nato ad Asta di Villa Minozzo, in località Case Balocchi, il 21 settembre 1923, Berto Zambonini è il terzo di cinque fratelli, nati in una famiglia di agricoltori, piccoli proprietari. Di intelligenza viva, spiccata e versatile, si è dedicato

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e si dedica ad ogni genere di attività: scultore, pittore, liutaio, ma anche disegnatore tecnico, elettricista ed elettrotecnico (per corrispondenza ha costruito il suo televisore e in passato era solito riparare quelli di chi aveva bisogno). Si è cimentato anche in lavori di falegnameria, muratura, imbiancatura e persino di parrucchiere. Ma Berto è stato anche uno dei migliori interpreti del “maggio cantato”. La sua bella e forte voce baritonale, le sue capacità interpretative, lo hanno imposto come uno dei migliori del suo complesso. A questo genere di spettacolo, a cui, anche per antica tradizione familiare, si è sempre alimentato, ha dato ogni sua migliore energia. Così, ha costruito tutti gli elementi scenici del complesso “Monte Cusna” di Asta. Ma anche le armi e i costumi. Il reperire gli elmi è sempre stata impresa ardua, e Berto ha pensato bene di realizzarli nella sua bottega. Il primo, ad esempio, è stato costruito nel 1953 in lamiera da grondaia e lo utilizzò per tutti gli anni Cinquanta; oggi è passato alla “guerriera” Giovanna Piguzzi. Sono oggetti bellissimi, con rifiniture in ottone veramente pregevoli. Si può anche tranquillamente affermare che tutti i più belli ornino i migliori “maggerini” di tutti i complessi. La seconda guerra mondiale non lo ha risparmiato, anzi, lo ha duramente provato e segnato per la vita. Arruolato negli alpini e soltanto da venti giorni in servizio al Brennero, venne fatto prigioniero dai tedeschi e tradotto a Innsbruck a piedi. Internato in campo di concentramento nella Prussia orientale (Polonia), vi rimase due mesi prima di essere avviato al lavoro in Sassonia, nell‟“AutoUnion”, ove lavorò per circa venti mesi fino al termine del conflitto. Liberato dai tedeschi alla fine della guerra, si avviò a piedi

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verso l‟Italia. Dopo oltre 400 chilometri incontrò le truppe americane. In Italia rientrò con automezzi francesi sovraccarichi di uomini. A Case Balocchi giunse il 5 luglio 1945. Si sposò con Felicita Paini, classe 1928, che gli diede tre figli: Corinto (1952), Nadia („55) e Leda („59). E‟ grande invalido di guerra poiché venne colpito, al termine del conflitto, dalla Tocsite tubercolare ossea. Venne ricoverato in ospedale a Venezia nel 1955 e, dopo un trapianto osseo, fu costretto a quattro anni di ingessatura all‟arto inferiore sinistro e ad altrettanti di stampelle. Da allora l‟arto è rimasto rigido. E‟ sempre stato circondato dall‟affetto dei suoi cari, che lo adorano e lo considerano quella grande figura che è stato ed è tuttora. Un artista poliedrico, un grande personaggio nella vita di tutti i giorni. Ecco, in proposito, la meravigliosa lettera che i figli, a tre mani, gli hanno scritto: “Parlare di te, papà, è un po‟ come dispiegare una stoffa finemente arabescata: da un lato una trama messa in risalto dai numerosi giornalisti che hanno saputo descriverti quale artista eclettico, dotato di grande meticolosità figurativa, accurato nella scelta e preparazione dei soggetti, pervaso da grande estro e gusto artistico; dall‟altro un ordito meno visibile ma tenace, formato dai fili della nostra comune memoria. I paesaggi ad olio, le chine, i bianconeri a carboncino apprezzati da molti, sono per noi i racconti ascoltati della tua infanzia, della tua montagna così tanto conosciuta, amata e immancabilmente ritratta. Leggere il poema della tua vita, scritto in ottave di endecasillabi, altro non è se non tornare ai lunghi inverni quando, piccini, ascoltavamo la storia della tua prigionia in Germania, il rocambolesco ritorno, l‟invalidità che da allora con complicità

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forzata e dolorosa ha accompagnato il tuo percorso d‟artista e di uomo. „Al nonno nascondevo qualche pezzetto di legno da scolpire di nascosto, legno che lui considerava sprecato‟, ci dicevi mentre intagliavi il solido camino in noce con la storia del tuo povero maialino ucciso dagli adulti, la stupenda Madonna della nicchia con le fattezze di tua madre, l‟incredibile scacchiera in acero bianco e noce. Pezzi unici, di finezza e gusto irripetibili. Quando terminasti le due alzate del letto con quattro pannelli a bassorilievo (la mamma ti aveva chiesto di costruirle una cosa molto semplice ma tu... ti facesti prendere la mano!) finisti su tutti i giornali. Ma noi quell‟allegoria impressa nel legno la conoscevamo già, l‟avevi usata per spiegarci la vita. Dall‟infanzia con la pianta in fiore e il sole che nasce, al mattino, attraverso la spensierata adolescenza e la maturità che chiama l‟uomo a scegliere tra bene e male, fino all‟albero spoglio dell‟inverno intriso del grigiore e della malinconia di un vecchio al tramonto, del presagio di gufi e pipistrelli ma anche della speranza di chi, come il giovane stambecco, continuerà a perpetrare la vita. E poi è tornato, per te, il tempo dei maggi. Cascate e cascate di stoffe colorate che tu e la mamma cucivate per intere giornate: padiglioni, bandiere, fiumi, costumi variopinti, perline, nastri, frange dorate. Costruivi marchingegni d‟ogni sorta, leoni, cervi, troni da re, elmi e scudi. Che divertimento per noi ragazzini e che stupore per questa ennesima abilità! La voce, che ti ha reso indimenticato maggerino, si sentiva spesso dalle nostre camere quando s‟indovinava il fuoco morire sugli accordi che traevi dalla tua chitarra a dodici corde (fu il terzo strumento che costruisti dopo due violini). E

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come non ricordare i tuoi componimenti poetici, sonetti, quartine e ottave da maggio: Paris e Vienna, I due gemelli, Carlo Magno, oltre alla attenta rielaborazione di antichi copioni adottati poi dalla tua compagnia maggistica Monte Cusna, diretta con passione per tanti anni. Adesso l‟età si fa sentire, a volte l‟emozione ti coglie improvvisa quando rivedi ciò che hai costruito e a stento trattieni le lacrime. Ma per noi sei sempre l‟invitto guerriero che lotta instancabile per il bene e la giustizia, che ci ha insegnato a valicare monti e attraversare valli, a guardare le cose con occhi attenti ma ad ascoltarle, prima ancora, col cuore...”.

Berto Zambonini gioca con gli scacchi che si è scolpito da sé nel noce e nel nocciuolo.

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Domenico Zannini

Nato ad Asta di Villa Minozzo il 20 febbraio 1910, Domenico Zannini studiò fino alla 3ª elementare (la scuola dell‟obbligo del tempo). Sposò Giuditta Bianchi, da cui non ebbe figli. Con il fratello Ettore conduceva l‟azienda agricola a Riparotonda ed esercitava anche la professione di piciarin. Negli anni Cinquanta scese a Villa Minozzo per dar vita, sempre col fratello, a un‟azienda artigiana per la lavorazione della pietra, del marmo e del granito, oggi la principale e la più avviata della zona. Il primo maggio, I due selvaggi, lo compose negli anni Trenta, e venne rappresentato dal complesso di Asta, che metterà poi in scena anche tutti gli altri suoi componimenti. La sua produzione, dopo la morte, avvenuta l‟8 gennaio 1993, è stata affidata alla nipote Giovanna Piguzzi, maggerina, che ha sempre interpretato le parti di guerriera, in quanto abilissima spadaccina e dotata di una voce possente, inconfondibile. A giudizio del fratello Ettore “è l‟unica della famiglia in grado di capire e apprezzare ciò che lo zio Domenico ha

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scritto fino a 83 anni”. Una produzione composta da sette maggi: I due selvaggi, Trobazio, Ezzelino da Romano, Fornaretto di Venezia, Ponte dei sospiri, Otello, il Moro di Venezia e Porsenna, re di Chiusi. Molti sono stati pubblicati dal Comune di Villa Minozzo in occasione delle Rassegne nazionali. I due selvaggi, invece, figura sulla rivista Il Cantastorie dell‟ottobre 1981 con la presentazione di Giordano Zambonini, direttore e regista del complesso “Monte Cusna”. Un dato per tutti conferma la popolarità di questo autore, amico fraterno di Romeo Sala: il complesso di Asta ha utilizzato i suoi componimenti per 71 rappresentazioni dal 1929 a oggi. Della sua attività hanno scritto Sesto Fontana, Gastone Venturelli, Antonio Zambonelli e Giorgio Vezzani. Ecco un‟intervista rilasciata ad Attilio Mattioli: “Ho fatto tutti i mestieri. Avevo come tutti il mio pezzo di terra, ma per tirare avanti si facevano altre cose. Ho fatto l‟imbianchino, il falegname, ho fatto lo scalpellino che si andava nei torrenti a fare le briglie, alla fine ho messo su questa piccola impresa. Questi mestieri li facevo l‟inverno, ma non in Toscana. Io non andavo in Toscana. Quasi tutti gli altri vi andavano, da Asta a Porto Ferraio. Era dura. Facevano gli sfondi da metterci le viti. Prendevano una lira al giorno. Il maggio ho cominciato a farlo nel „29. Quasi tutti gli anni cantavamo tre, cinque, dieci volte. Qualche anno non cantavamo perché ci venivano delle discussioni nella compagnia per la distribuzione delle parti: c‟era chi non gli andava bene una parte, chi non gli andava bene l‟altra. Bisognava lasciare che si calmassero un po‟ gli animi, poi si ricominciava come se niente fosse successo. Delle volte cantavamo due copioni.

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Ad esempio, nel ‟37 ricordo che abbiamo cantato Leandra e Rodomonte. Una prova o due si sono sempre fatte, adesso cantano senza fare una prova e lo cantano poi alla meglio. I maggi che ho scritto sono stati rappresentati tutti meno uno, perché c‟erano troppe donne. Per scrivere un maggio impiego 4-5 mesi. Leggo romanzi e preferisco prenderli da essi piuttosto che dall‟Ariosto o dai Reali, perché ormai i passaggi di quei poemi li hanno utilizzati tutti. Leggo il romanzo per bene, prendo gli episodi più belli, li combino insieme e alla fine metto giù le quartine, il lavoro più difficile. Nella Cieca di Sorrento, ad esempio, ho preso tutti i personaggi del libro, gli episodi più importanti e ho aggiunto i duelli per abbellire un po‟ l‟opera, perché nel romanzo le guerre non c‟erano. Io sono nato con un po‟ di capacità per scrivere in versi, non mi ha insegnato nessuno. Poeti si nasce, non si diventa. Tutti quelli istruiti che hanno cominciato da grandi a scrivere maggi sono poeti da far ridere. I poeti bravi sono sempre stati pochi. Io sono uno così così, faccio delle quartine buone e altre meno buone. Continuo a scrivere perché mi è rimasta un po‟ di vena”.

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Dino Dallari

Nato a Macognano di Montefiorino il 27 febbraio 1920, Dino Dallari era un piccolo proprietario, coltivatore diretto, che ha esercitato anche la professione di muratore. Dall‟unione con Ada Prandi sono nate due figlie, che ora vivono una a Castellarano e l‟altra Roma. Nel 1956 emigrò in Venezuela, ove rimase per cinque anni lavorando come cameriere. Durante quel periodo scrisse due maggi di contenuto fantastico: Miedo o l‟uomo gorilla e Orisello. I nomi dei personaggi dei componimenti sono tratti dalle liste dei cavalli da corsa. Di lui si è interessato Sesto Fontana nel suo volume Il Maggio (Olschki Editore, Firenze,1964): “Dino Dallari, il più giovane dei compositori da me conosciuti nel 1945, ci ha dato Florina di 325 strofe, maggio composto nel 1935„36, di intreccio semplice, atto a incontrare il favore di un pubblico montanaro. Fatti e nomi sono presi in parte dal

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Furioso e in parte inventati. C‟è la contaminazione di varie fonti e nella composizione vengono a confluire diverse reminiscenze letterarie. Florina è psicologicamente vera e aderente alla realtà, con tutte le sue incertezze e contraddizioni, con tutta la storia e la vicenda del suo amore: qui l‟autore mostra di saper guardare bene addentro al cuore della donna. C‟è della stoffa e della capacità. La lotta è sempre tra Cristiani e Saraceni. Anche Cimoso è Turco! Il Corano è un Dio, non un codice di leggi e una dottrina religiosa! Olanda è una città! Sempre ben rese le situazioni sentimentali e sempre espressi con efficacia gli affetti. Buone le ottave”. Continua su un altro componimento: “Assai ben riuscito e, forse, meritevole di essere stampato per intero (ma l‟autore si oppone!), il Ruggero Secondo, di 410 strofe. Rima sicura, espressioni scelte, notevole l‟inizio. Da tale labirinto di vicende è bravo a districarne una singola ben limitata e a cavarne un Maggio. Orlando pazzo è legato, mentre dorme: variante indovinata e adatta all‟azione del Maggio che non comporta complicazioni e procedimenti troppo macchinosi e difficili. Ruggero 2° è quello di Bradamante”. Questi gli altri componimenti di questo autore: Esiliati a Barra (1943-„47), Il leone di Damasco (1945-„46), Bovo d‟Antona (1947-„48), Una guerra in Palestina (1977), Amori e tormenti (1990-„91). Dino Dallari è morto all‟ospedale di Sassuolo il 10 aprile 2002. E‟ sepolto nel minuscolo e caratteristico cimitero della natìa Macognano.

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È con piacere che l‟Istituto Musicale Achille Peri concede il patrocinio alla pubblicazione di questo volume, edito dal comune di Villa Minozzo e curato da Benedetto Valdesalici, che raccoglie i recenti scritti di Romolo Fioroni, apparsi nella rivista TuttoMontagna, su 25 eminenti autori di Maggi. Quella forma di espressività popolare è tra le poche nella nostra provincia che godono ancora di buona salute e per ora non corre rischi di estinzione anche grazie a personalità come Fioroni il quale, oltre all‟ impegno prodigato nell‟organizzazione delle rassegne del Maggio, è sicuramente uno dei maggiori ricercatori attivi in materia. Romolo Fioroni, membro della consulta dell‟Archivio Etnomusicologico Giorgio Vezzani - Il Cantastorie , è da sempre attento “ da dentro” alle mutazioni epocali delle nostre tradizioni ed in particolare alle evoluzioni che il Maggio Emiliano ha subito.

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Crediamo che nonostante la sua vitalità il Maggio abbisogni di iniziative attorno ad esso che vadano aldilà della mera rappresentazione. Ci riferiamo al sempre miglior funzionamento dei centri di raccolta e di documentazione, alla promozione di ricerche ed approfondimenti a 360 gradi su tutta la materia, alla elargizione di contributi che favoriscano lo sviluppo del vivaio canoro e musicale. L‟Archivio del Cantastorie, nato nel 2004 grazie al corposo conferimento dei preziosissimi materiali di Giorgio Vezzani, conserva molte testimonianze sul Maggio ed è interessato all‟argomento. Ricordiamo infatti, tra le attività curate da Bruno Grulli responsabile dell‟Archivio, la pubblicazione del CD “ Musica tradizionale a Cervarolo di Villa Minozzo” dove si accenna al ruolo dell‟ orchestrina che accompagna la sceneggiatura drammatica. Già da tempo però avremmo voluto inserire tra le altre iniziative un momento sul Maggio ma le difficoltà sono state tante. Ciononostante non è ancora spenta la speranza di giungere ad una rappresentazione nei cortili dei Chiostri di San Domenico o ad un convegno organizzato dal Peri sullo stato attuale e sulle prospettive future del Maggio e sulla sua vocazione sopranazionale che coinvolga tutte le parti in causa. Se la sorte ci sarà propizia. Il direttore dell‟Istituto Achille Peri Mo. Andrea Talmelli

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Grazie a Tutto Montagna e al suo editore Michele Campani, che con la consueta cortese solerzia, ci ha fornito i testi e buona parte delle immagini che corredano questo, per me e spero anche per voi, prezioso quaderno.

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