Spartiti di Maggio A cura del M째 Ezio Bonicelli
In copertina: Paolo Ilariuzzi detto Potiol disegno a lapis di Filippo Basetti
Spartiti di Maggio a cura di Ezio Bonicelli
Che cos’è la tradizione? Una autorità superiore a cui si deve obbedienza, non perché comandi cose utili, ma perché comanda. Nietzche
Il Museo del Maggio pubblica con grande emozione gli spartiti per l’accompagnamento musicale al canto del Maggio curati dal Maestro Ezio Bonicelli. E’ la prima volta che il repertorio di queste musiche esce dalla cultura orale e diventa scrittura, documento. Mi auguro possa essere strumento di rilancio e di crescita per le nuove leve di suonatori. La maggior parte degli spartiti pubblicati (31 su 52) provengono dal Fondo Romolo Fioroni di Costabona ed in particolare da un quadernetto di musica scritto da don Savino Bonicelli che Ezio Bonicelli ha avuto in fotocopia da Romolo stesso con l’invito a lavorarci sopra. Nel libro Il Maggio di Sesto Fontana (1964) sono stati trovati gli spartiti musicali usati nella provincia modenese (Valle della Scoltenna, del Dolo e del Dragone). Nel testo La valle dei cavalieri di Giuseppe Micheli (1915) sono stati trovati gli spartiti musicali usati per l’area parmigiana (Val Cedra, Val Parma e Val d’Enza). Ci sono infine alcune trascrizioni fatte direttamente sul campo. Mi sono preso il piacere di allegare alla fine degli spartiti una piccola antologia fotografica dei musicisti del Maggio, una figura forse poco notata, periferica alla rappresentazione ma così essenziale al canto e all’ allegria successiva del ballo. Una figura, il musico del Maggio a cui si dovrebbero dedicare monumenti E’ davvero bello avere tra le mani la trascrizione completa delle musiche del Maggio, compresi i balli - che un tempo non mancavano mai alla fine di ogni rappresentazione - ma devo confessare che io non so leggere la musica e non so suonare nessuno strumento . Sono però convinto che molti altri, ignari come me o provetti musicisti, sapranno cogliere il tesoro che c’è in questo piccolo libro e fin d’ora, per me e per loro, ne gioisco.
Per il Museo Benedetto Valdesalici
Per il Maggio e i suoi spartiti. Quando ero piccolo mio padre c’erano dei giorni in estate che mi portava in dei posti, mi portava nei boschi e nei boschi c’erano delle radure o dei campi vicini e lì c’erano un sacco di persone in costume, con gli scudi e le spade e gli elmi e in mezzo alla gente come noi, queste persone iniziavano a cantare e duellare per delle ore. Dentro quel canto c’era una storia lontana che io seguivo in silenzio e speravo non finisse mai e allora ogni tanto guardavo mio padre e anche lui, lo vedevo dal suo sguardo, anche lui secondo me sperava che quella storia e quel canto non finissero mai. Mi ricordo quei giorni la musica che suonavano: era quella di una fisarmonica, forse una chitarra, ma soprattutto un violino. Oggi sono passati degli anni da quel tempo che le storie nei boschi non finivano mai e quando penso a quella musica mi sembra ancora di sentirla, come se mi tornasse nelle orecchie, mi sembra, tutte le volte che mi capita di sentire ancora quel certo violino, di tornare a quel tempo lì, che mi perdevo nei boschi con mio padre ad ascoltare le storie, a sentire i ciocchi degli scudi e le spade, a domandarmi alla fine, perché poi c’era una fine anche in quei posti, in quei giorni, come mai vincevano sempre gli stessi, come mai alla fine qualcuno doveva per forza vincere, perché ero convinto, quando poi si tornava a casa, che se non ci fosse stata quella cosa lì che alla fine uno vinceva, forse la storia e il canto non sarebbero finiti mai, davvero. Così oggi sento anche della gente che quando parla delle musiche del Maggio dice delle frasi tipo Quella musica lì poi è tutto uno zinzin e io ci penso alle cose che dicono e forse per certi versi hanno anche ragione, però poi se uno studia la faccenda un po’ meglio e un po’ più da vicino, come ad esempio ha fatto il mio amico Ezio che suona il violino, scopre che quelle musiche lì, a parte i soliti valzer polke mazurke, han dei nomi bellissimi, si chiamano per esempio: Picchiarina Beguina Piva Furlana Ballo dei gobbi Monferina Monferina dei fulmini Bigordino. E io, solo a pensarci, poi a dirli e cantarli sottovoce, quei nomi qui, mi sembra che mi entri ancora nelle orecchie anche la luce di quei boschi, di quei campi e di quei giorni, mi sembra, tutto questo tempo, di essere sempre rimasto lì, ad aspettare che la storia finisse, e la storia non finiva, e anche oggi questa storia è ancora qui, come una furlana che si balla alla fine del Maggio, che non smette e non finisce, altro che tutto uno zinzin.
Emanuele Ferrari
Presentazione Questo libro è una raccolta di tutte le parti strumentali utilizzate prima durante e dopo la rappresentazione del maggio dell’appennino emiliano. Si rivolge ai musicisti di tutte le età ed estrazione (professionisti, dilettanti, studenti), in oltre può essere un utile strumento nella regia in genere affidata al “campione” che mette in scena la rappresentazione. Ora può stabilire con esattezza quali musiche inserire. Il carattere marcato e la semplicità delle melodie rendono questo lavoro adatto ad un utilizzo didattico strumentale rivolto in particolare all’infanzia. Da molti anni suono, trascrivo, ascolto e osservo musiche popolari del territorio in cui vivo e non solo, la forte carica espressiva ottenuta con la massima semplicità, che nel presente lavoro è particolarmente evidente, fa sì che questa musica sia accessibile anche nei primissimi anni di studio, in particolare del violino, ma estendibile anche a tutti gli altri strumenti. Tale peculiarità mi piace definirla “didattica naturale”, ossia quella didattica che oltre a fornire gli strumenti e le conoscenze adatte a sviluppare abilità tecniche, fornisce subito anche abilità espressive implicite al linguaggio musicale. L’espressione musicale della tradizione trova una sinergia fra chi suona e le persone che ascoltando riconoscono il linguaggio. Questo è un modo per affermare quell’identità culturale di cui la musica è essenza. Ho scelto di compilare questa raccolta in forma di spartito per vari motivi: lo spartito è la forma in cui con pochissimi simboli si possono avere molte informazioni, la melodia e gli accordi (scritti in notazione alfabetica). Tali informazioni sono tutto ciò che serve per poter suonare il brano in modo completo. Non ho inserito troppi dettagli perché ogni persona possa utilizzare anche la propria immaginazione. I presenti spartiti strumentali sono uno spunto completo su cui improvvisare o trascrivere partiture più complesse. Inoltre lo spartito è comodo da portare con sè anche al maggio. La numerazione progressiva che identifica molti brani ha un senso pratico legato al suo principale utilizzo. Ho riunito tutti gli stacchi che hanno caratteristiche comuni, offrendo così la possibilità di collegarli fra loro e comporre piccoli brani sul momento. Da numero 1 al 19 sono tutte polke, swing e beguine, Dal numero 20 al 43 sono tutti stacchi di valzer e mazurche Dal numero 43 al 52 è una piccola raccolta di balli che si possono eseguire a conclusione. Inoltre lo sparito inizia con la Picchiarina (una polka utilizzata come marcia d’ingresso) a cui seguono gli inviti al canto: ciò che deve suonare il violino o chi per lui per dare il tono – l’attacco appunto - al cantante.
Il curatore Maestro Ezio Bonicelli
La Picchiarina Il Picchiarino di Novellano
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Piccola antologia fotografica delle orchestrine e dei musicisti del Maggio antico, moderno e contemporaneo
Gli originali sono depositati presso il Museo del Maggio in Villa Minozzo (RE) Piazza della Pace 1
Scrive nel 1915 Giuseppe Micheli ne LA VALLE DEI CAVALIERI 1915 Il solo istrumento che accompagni alle volte le cantilene dei Maggi è il violino, l' unico che abbia risuonato per tanto tempo nelle Valli, nei paesi delle quali si è venuta quasi formando una scuola di artisti indigeni: essa viene ormai scomparendo giacchè il mandolino e la fisarmonica hanno preso il sopravvento. Non vi era sagra o funzione religiosa che non terminasse in un ballo; non matrimonio villereccio che non desse occasione alle danze. Le stesse fienagioni dei pascoli più lontani, si facevano in giorni determinati col concorso di molta popolazione, la battitura del grano era festeggiata da popolari festini improvvisati qua e là all'arrivo del violinista, della venuta dei quale i giovanotti si erano bene assicurati. Così il violinista era diventato una istituzione. Tutti lo cercavano tutti lo volevano. Tanta che alcuni di essi traevano unicamente dell'opera loro di artisti la vita. Qualcuno recava seco religiosamente strumenti di valore, e non è rado trovare anche oggi nelle nostre case qualche stradivario. Nessuno di essi ebbe studi, ma aiutati dalla naturale melodica disposizione dell'animo, riuscirono colla costanza a formarsi un repertorio copiosissimo e scelto, nel genere che la clientela richiedeva: autodidatti veramente ammirevoli composero, riproducendo forse i motivi di pezzi più antichi, giunti attraverso le veglie e le danze dei tempi giovanili, a colpire la loro fantasia Ognuno dei nostri violinisti aveva qualche suonata di propria fattura, alcuni ne avevano molte. Paolo ORLANDI, nativo del Cerchio di Ranzano, sembra il maggiare della coorte. Era sopranominato Paganen dal Serc dal nome del grande violinista genovese. Era artista nato e sarebbe diventato un ottimo concertista se fornito di qualche istruzione tecnica. Molti sopravissuti che furono presenti ai suoi trattenimenti assicurano ch'egli era di una fluidità ed agilità straordinaria. Aveva un fratello che pare possedeva buon talento musicale, Pietro che lo accompagnava spesso col violoncello, alle corde del quale erano state sostituite funicelle. Suonava anche il violino l'altro fratellò Vincenzo e si ricorda anche, il nonno Giammaria Orlandi, pure di Ranzano, come ottimo suonatore. Paolo si dedicò all'arte solo negli ultimi anni, finché fu giovane, cogli altri di sua famiglia, lavorava da contadino e suonava, come suol dirsi, a tempo perso. Morì nel 1883: a Vairo, dove fu parecchio tempo ospite di Filippo Basetti, del quale fu maestro. Parecchie sono le sue composizioni ricordate: La Monferrina. È delle più popolari, assai vivace. Consta di due sole parti, la girata ed il balletto (detto la bdénna). Qualche volta faceva nel balletto una variazione con diesis. Il Maestro Alessandro De Paoli ne chiese copia e la fece suonare dalla banda di Montepulciano, ove ottenne grande successo. Furlana in sol maggiore. Era la preferita dall'autore, che la suonava con varianti improvvisato e con movenze caratteristiche. Si ricordano tuttora le matte risate ch'egli faceva, quando lo strumento rendeva in modo particolarmente magistrale ed inspirato le sue note. Piva in là minore. Era la più richiesta nei balli pubblici, ove si suona tutt'ora. Dobbiamo la riproduzione di essa al Prof. Nicolò Mezzadri di Pizzano il quale ce la invia chiamandola: « la più popolare dell'Appenmno Parmense ». La merlotta furlana celerissima. È conservata pure un'altra Monferrina di Giammaria Orlandi. MIETO PIANFORINI, di Arzano (Neviano Arduini), morì circa trent'anni or sono vecchissimo. Durante l'inverno si recava a piedi a Parma a vendere tordi, e siccome non abbandonava mai lo strumento, ebbe occasione di suonare in pubblici esercizi con plauso e vantaggio Egli pure dimorò qualche tempo
a Vairo, e Filippo Basetti lo ritrasse in vari disegni. Nel suonare gettava alle volte grida selvagge di gioia, accompagnava a motivi con atteggiamenti del viso mobilissimo. Suonava- ordinariamente con sole tre dita, giacche teneva il mignolo sotto il manico del violino. Era, come Paganen, un grande bevitore, tanto che il pubblico lo apostrofava ironicamente: L'è chi Pianforen la so boca l'an sa d'ven. Fu il più fecondo compositore di musiche rusticane, fra esse ricordiamo: La precipitosa, monferrina senza tempo.La farsa di Mantova, monfèrrina in tono minorè.La passerina, ballabile ch'egli suonava sbrigliatamente, danzando nello stesso tempo egli pure. Il ballo della lepre, la Bisajina, el contínten da l'alti, Teresa di per Teresa di pom, Caro Amore, il Bigordino, ed altre. Certo Barabani, segretario a Tizzano, comune che Pianforini molto frequentava, ne raccolse e scrisse alcune, altrettanto fece Filippo Basetti col Mezzadri nel i)øli ed a costoro dobbiamo se di tutte queste composizioni resta ancora una copiosa raccolta. Il capolavoro del Pianforini consiste senza dubbio nella Marcia degli sposi, che l'autore suonava accompagnandola con parole pure di sua invenzione. Era divisa in tre parti, e chiusa infine con una codetta. Si apriva con un andante mosso, che doveva rappresentare dalla casa della sposa; seguiva il secondo pezzo con musica più movimentata riproducente la letizia degli animi; il terzo patetico raffigurava il distacco della famiglia colle relative lacrime. Anche Paolo Orlandi ha la sua Marcia degli Sposi, ch'egli abbelliva volta per volta con aggiunte, ma il pubblico ha sempre preferito quella del Pianforini. Luca MANINI del fu Giuseppe, ricco signore e proprietario di Palanzano, ove morì nel 1883. A differenza dei due primi aveva conoscenza di musica, ma nessuna dote però di armonia né di contrappunto. Superiore in dottrina all'Orlandi, non lo raggiungeva in ispirazione. L'abbondanza dei mezzi gli dava modo di trovarsi spesso a Parma, ed avendo consuetudine coi professori d'allora potè formarsi non poco. Il Malvisi anzi gli diede parecchie lezioni. Egli suonava in casa, e presso gli amici. Rimangono raccolte dal Basetti, parecchie monferrine e furlane, e tutte dinotano un certo gusto. Caratteristica è la Marcia funebre scritta in morte del Duca Carlo III; veniva suonata dall'autore, adoperando una chiave per sordina., ed accompagnata da alcune parole. Dopo i primi strappi diceva: l'è chi che ‘l dievel ch'ella tira zò. Seguiva qualche contrasto: as s'arcmanda e al dis - en voi miga gnir ed alla suonata finale il diavolo rispondeva: aah! ven pur via! Paolo ILARIUZZI detto Potiol, era nativo di Montedello, ove sempre abitò. Era contadino e suonava specialmente alle sagre del Piovanino, cercando però di distrarsi il meno possibile dal lavoro dei campi. Era dei più caratteristici fra i nostri suonatori rusticali. Come Pianoforini non conosceva nota musicale. Al nome di questo devesi aggiungere una torba di minori, i due Bibbani detti bdn, padre e figlio di Nirone, Ambrogio Irali di Vairo,il Patogna di Valditacca, el Sartorèn di Trefiumi, il Gabrielli di Vaestano detto il Tacca il Casoni detto el Re'd Campra, Maggiali Michele di Selvanizza detto d'Orland, Anderiet di Scurano, Annibale Pini da Pignone, Sagramora di Tizzano e fra i Reggiani più vicini a noi Marchin Bindana di Costa de' Grassi di Castelnuovo Monti, orecchiante bravissimo e rinomato per singolari colpi variatissimi e sempre indovinati e Don Pietra Bertoldi di Ramiseto di cui si suona ancora La Primavera, monferrina rimasta popolare anche di qua dall'Enza. Questo elenco, nel quale non abbiamo abbiamo compresi i pochi viventi ed i suonatori del Cornigliese, dimostra quanti seguaci avesse la musica popolare fra noi e quanta messe potrebbe raccogliere chi volesse completare questi nostri accenni.
2015