LOTUS INTERNATIONAL

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Natur-Park Südgelände, Berlin-Schöneberg Una imprevista vittoria della natura/An Unexpected Victory of Nature Fotografie di/Photos by Giovanni Chiaramonte Annegret Burg Il Natur-Park Südgelände a Berlino-Schöneberg, inaugurato nel maggio del 2000, è un parco-modello che propone una strategia nuova e insolita per la conversione di ex aree ferroviarie o industriali. Questo parco è di particolare interesse perché qui si sovrappongono i concetti apparentemente contrastanti di parco archeoindustriale e di parco artistico con una natura vergine e selvaggia. Il terreno, circa diciotto ettari, si estende sullo stesso luogo, dove, dal 1889 fino al 1945, era situata, insieme a una stazione di smistamento e a uno scalo merci, una delle aree ferroviarie più importanti della città. Nel Dopoguerra a causa della divisione di Berlino la sua attività fu ridotta fino alla completa chiusura avvenuta nel 1952. In seguito, la natura si è appropriata del luogo e ha cominciato a svilupparsi un ambiente affascinante e straordinario, nel quale entrano in contrasto la vegetazione spontanea, i relitti storico-tecnologici – come i binari, la torre d’acqua, le locomotive, le cabine di blocco in rovina, il deposito delle locomotive o la piattaforma girevole – e i pochi e cauti interventi che rendono il luogo accessibile al pubblico. È stata proprio l’originaria destinazione ad area ferroviaria a essere la causa dello sviluppo di un biotopo molto particolare, che ora stupisce gli scienziati e affascina gli ammiratori della natura. Nonostante quest’area, occupata da binari, massicciate di ghiaia, strutture tecnologiche e opere ferroviarie, sia stata per settant’anni un deserto ostile a ogni tipo di vita, sono state proprio queste circostanze particolari dovute alla sua destinazione originaria a essere la causa della rinascita di flora e fauna. Vegetali e insetti sono entrati in abbondanza come passeggeri clandestini grazie ai trasporti di merce da tutta l’Europa, nascosti nella paglia degli imballaggi degli agrumi e delle merci delicate, con i trasporti annuali degli alberi di Natale oppure a causa di impreviste perdite di merci o di resti di frutta e di altri cibi gettati via da passeggeri e operai. Da queste occasioni si è sviluppata una nuova vita straordinaria da quando le attività e gli interessi dell’uomo hanno poi abbandonato il sito. La cartografia scientifica documenta la presenza di circa 350 specie di piante diverse, 49 specie di funghi, 30 specie di uccelli (e un falco scovato nella vecchia torre dell’acqua) e tra la infinita fauna di insetti non meno di 95 specie di api selvatiche, delle quali 34 tutelate. Ai bordi del parco si trovano le piante pioniere, come la betulla e l’acacia, che hanno formato un primo manto boschivo, poi seguite da altri alberi come l’acero o il faggio e da una insolita quantità di alberi da frutta. A distanza di alcuni chilometri si può scorgere l’impressionante landmark del parco rappresentato dalla torre

d’acqua alta 50 metri, con una rigida forma geometrica di acciaio arrugginito, realizzata nel 1927, mentre a poca distanza sorge la bellissima stazione della S-Bahn, e a delimitare il Naturpark ci sono a sud i binari della SBahn e a nord un altro stretto percorso ferroviario. Passeggiare in questa natura vergine, tra i vecchi impianti dei binari occupati da una vegetazione indomabile, e sentire ogni tanto il rumore dei treni è di particolare suggestione: ricorda un progetto artistico degli anni Ottanta a Berlino ovest, quando sul terreno della devastata Anhalter Bahnhof erano stati montati alcuni altoparlanti che trasmettevano in linea diretta l’acustica della stazione centrale di Colonia. Il Natur-Park Schöneberg, sorto grazie alle proteste dei cittadini, che nel 1980 impedirono il previsto abbattimento degli alberi, è ora oggetto di notevole interesse internazionale. Realizzato con una spesa complessiva di circa 3,5 milioni di Marchi, metà proveniente da una donazione della Fondazione Ambientale della Assicurazione Allianz, è stato un progetto esterno dell’EXPO 2000 di Hannover ed è ora inserito come modello esemplare di conversione in diverse liste di best practice, tra cui quelle del New York City Government. In May 2000 the Natur-Park Südgelände at BerlinSchöneberg was opened, a model park that proposes a new and unusual strategy for the conversion of former railroad or industrial areas. This park is of particular interest because here the apparently contrasting concepts of archeological-industrial park, sculpture garden and unspoiled and wild nature have been superimposed. The park, covering around eighteen hectares, is located on the site where, from 1889 until 1945, one of the most important railroad areas in the city was located, along with a switchyard and a goods yard. Owing to the division of Berlin after the war, its activity was reduced and it was finally closed down completely in 1952. Later, nature took over the site and a fascinating and extraordinary environment began to develop, in which the spontaneous vegetation contrasted with the historical and technological relics—such as the tracks, the water tower, the locomotives, the ruined interlocking towers, the locomotive depot or the turntable— and the few cautious interventions to make the place accessible to the public. It was precisely the original use of the area as a rail yard that led to the development of a highly unusual biotope, one that now amazes scientists and fascinates nature lovers. Although this area, occupied by tracks, beds of crushed stone, technological structures and

other railroad works, was for seventy years a desert hostile to any kind of life, it was just these peculiar circumstances due to its original function that provided a guarantee of the rebirth of its flora and fauna. Large numbers of plants and insects had entered the site as stowaways on freight trains from all over Europe, hidden in the straw used to pack citrus fruit and other delicate merchandise, as well as with the annual transport of Christmas trees, and as a result of the unexpected loss of goods or the remains of fruit and other food thrown away by passengers and workers. Out of all this a new and extraordinary life emerged as soon as human activities and interests abandoned the site. Scientific surveys have documented the presence of about 350 different species of plants, 49 species of mushrooms, 30 species of birds (including a hawk found in the old water tower) and among the endless fauna of insects no less than 95 species of wild bee, 34 of them protected. At the edges of the park grow pioneer plants, like silver birch and needle bush, which formed an initial forest cover that was then followed by other trees like maple and beech and by an unusual quantity of fruit trees. The park’s striking landmark is visible from a distance of several kilometers: the 50-meter-tall water tower with a rigid geometric structure of rusty steel that was built in 1927, as was the beautiful station of the S-Bahn located not far away. To the south there are the tracks of the S-Bahn, to the north another narrow stretch of railroad line, marking the boundaries of the Natur-Park. Strolling around in its virgin nature, between old rail beds now occupied by an indomitable vegetation, the sound of an occasional passing train is particularly evocative. It calls to mind an artistic project of the eighties in West Berlin, when several loudspeakers were mounted on the site of the devastated Anhalter Bahnhof to transmit live the noises of the central station of Cologne. The Natur-Park Schöneberg, created thanks to the protests of the local people, who in 1980 blocked plans to fell the trees, is now the subject of considerable international interest. Realized at an overall cost of around 3.5 million deutschmarks, half of which came from a donation by the Environmental Foundation of the Allianz insurance company, it was an external project of Expo 2000 in Hanover and is now included as an exemplary model of conversion on many best-practice lists, including those of the New York City government.


NATUR-PARK SÜDGELÄNDE, BERLIN 2010


NATUR-PARK SÜDGELÄNDE, BERLIN 2010

NATUR-PARK SÜDGELÄNDE, BERLIN 2010


NATUR-PARK SÜDGELÄNDE, BERLIN 2010


NATUR-PARK SÜDGELÄNDE, BERLIN 2010


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Above Ruins 02_Giovanni Chiaramonte Natur-Park Südgelände, Berlin-Schöneberg 08_Richard Pare URSS, 1922-1932. L‘Avanguardia perduta/The Lost Vanguard 32_Michele Nastasi L‘Aquila, 2010. Framework Town 46_Nina Bassoli 2010, L‘Aquila un anno dopo il terremoto 2010, L’Aquila One Year After the Earthquake 60_RuattiStudio Architetti Progetto C.A.S.E. 62_Corvino + Multari Progetto C.A.S.E. 64_Antonio Citterio and Partners Chiesa di San Bernardino e mensa Celestiniana 66_Beyond Architecture Group Eco Villaggio Autocostruito 67_Giulia Carnevale/Andrea Tomaselli Scuola materna di Onna 68_Shigeru Ban Architects L‘Aquila Concert Hall 69_Lamberto Rossi Associati Casa dello Studente San Carlo Borromeo 70_Mario Cucinella Architects Nuovo Teatro Stabile de L’Aquila 71_RPBW Auditorium del Castello 72_Pietro Valle Uno sguardo retrospettivo/An Overview 76_Giovanni Chiaramonte Neues Museum, Berlin, 1859-1943/45-2009. David Chipperfield‘s Restoration 88_Fulvio Irace Il restauro del Neues Museum di David Chipperfield The Neues Museum Restoration by David Chipperfield 95_David Chipperfield Architects Neues Museum, Museum Island, Berlin, 1997-2009 100_Paolo Rosselli Ca‘ Granda. Università Statale Milano. Liliana Grassi‘s Restoration 1946-1985 116_Francesco Repishti Liliana Grassi e la Ca‘ Granda Liliana Grassi and the Ca‘ Granda 123_Gabriele Neri L'Antico e il Moderno: texture alla Ca‘ Granda Antique and Modern: Texture at the Ca‘ Granda 126_Liliana Grassi Università Statale di Milano. Restauro e progetto/Restoration and Project


URSS, 1922-1932 L'Avanguardia perduta The Lost Vanguard Fotografie di/Photos by Richard Pare, 1993-2007

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KONSTANTIN MEL'NIKOV CLUB OPERAIO RUSAKOV, MOSCA 1927 KONSTANTIN MEL'NIKOV RUSAKOV WORKERS‘ CLUB, MOSCOW 1927



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IL‘JA GOLOSOV CLUB OPERAIO ZUEV, MOSCA 1926 IL‘JA GOLOSOV ZUEV WORKERS‘ CLUB, MOSCOW 1926


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L窶連quila, 2010 Framework Town Fotografie di/Photos by Michele Nastasi

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PIAZZA SAN BERNARDINO



LARGO NINO CARLONI

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PIAZZA SANTA MARIA DI ROIO

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2010, L’Aquila un anno dopo il terremoto 2010, L’Aquila One Year After the Earthquake Nina Bassoli Gli autori del testo e del saggio fotografico ringraziano l'Ing. Luciano Marchetti, Vice Commissario delegato per la tutela dei Beni Culturali, l'Ufficio emergenza e ricostruzione del Comune de L'Aquila e Sergio Ciarrocca per il supporto durante la ricerca. 1. Il 35° vertice del G8 si è svolto a L’Aquila dall’8 al 10 luglio 2009 in seguito alla decisione del Governo, annunciata il 23 aprile, di spostare la sede del summit dall’isola della Maddalena al capoluogo abruzzese appena colpito dal terremoto. 2. Jean Hatzfeld, L’Air de la guerre, L’Olivier, Paris, 1994. 3. È possibile seguire l’avanzamento dei lavori di messa in sicurezza dal sito del Comune de L’Aquila www. scscaq.it. 4. Georg Josef Frisch (a cura di), L’Aquila. Non si uccide così anche una città?, Clean Edizioni, Napoli, 2009.

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Il Centro storico: la messa in sicurezza Il centro storico de L’Aquila è delimitato da transenne che segnano i confini della zona rossa: l’intera area, inaccessibile anche ai proprietari degli immobili e agli ex abitanti, è una massa deserta. In occasione del G81, nel luglio 2009, per mostrare al mondo il pittoresco spettacolo delle rovine prodotte dal terremoto del 6 aprile, una piccola porzione del corso principale è stata riaperta, fino a piazza Duomo, e, circa un anno dopo, all’inizio dell’estate 2010, l’intero cardo è tornato a essere percorribile: un canale che solca il blocco chiuso del centro storico. Il corso è piuttosto animato: alcuni giapponesi fotografano la cortina impacchettata dei palazzi eclettici tardo ottocenteschi, scorci di una città che forse, agli occhi di un visitatore in cerca di suggestioni, appare ora più emozionante di prima. Alcuni aquilani sbirciano attraverso le transenne cercando di riconoscere profili, edifici, vetrine, ma per la configurazione densa dell’impianto medievale del centro è difficile guardare dentro la massa critica. Sembra di camminare attraverso la Strada Novissima, una scenografia invalicabile costruita per l’immaginazione. Da architetti, siamo abituati a misurare lo spazio urbano attraverso le attività e i flussi che lo animano e a osservare i comportamenti degli abitanti per comprendere come esso venga attraversato e occupato. Camminando per le vie deserte della zona rossa, mi accorgo che questi parametri sono stravolti e che è possibile lasciarsi andare, estraniati dalla realtà, alle sollecitazioni visive e formali, come se ci si trovasse in un collage surrealista. Inizio a osservare le opere provvisionali con più attenzione e a classificare le differenze tra i puntellamenti dovute alle esigenze strutturali, o, più spesso, ai materiali disponibili e alle squadre coinvolte nei lavori. Osservo la forma dei contrafforti, le trame delle fasciature e dei tiranti, i prospetti sovrascritti da protesi tecnologiche che costituiscono una sorta di calco degli edifici, un filtro capace di svuotare la città della sua dimensione reale. Se le rovine provocano di per sé una distorsione percettiva simile a quella che deve aver colto Jean Hatzfeld durante i suoi reportage di guerra nei Balcani 2 o, in una visione ancor più immorale, Karlheinz Stockhausen a sostenere che l’attacco alle Torri gemelle fosse «la più grande opera d’arte possibile nell’intero cosmo», il contrasto inquietante tra il peso dei sostegni e la fragilità delle facciate impacchettate evoca sperimentazioni artistiche e induce alla tentazione di leggere la città come una potente installazione a scala urbana. I fittissimi reticoli di tralicci tubo-giunto addossati ai palazzi mi appaiono come ossessive ripetizioni geometriche della struttura, come tridimensionali Wall Drawings di Sol LeWitt. Massicce travi di abete trentino ricalcano i caratteri dei prospetti accostate a lamiere e coperture mobili che riparano i crolli: sembrano

sperimentazioni decostruzioniste dei primi lavori di Gehry, di Coop Himmelb(l)au o installazioni del gruppo Site. Ci sono soglie private della loro funzione e murate dalle macerie dei crolli interni che fanno pensare alle «porte chiuse con pietre» di Jannis Kounellis, ci sono crepe profonde che attraversano le facciate come «dissezioni edilizie» inflitte ai corpi da Gordon MattaClark. Ci sono tracce di un’architettura che, sconvolta da una catastrofe naturale, è sfuggita all’ordine della norma e poi protesi, stampelle, sostegni che ci assicurano che presto sarà riparata. L’intera città – i lavori continuano, ma saranno ultimati probabilmente entro l’autunno3 – è stata messa in sicurezza. Mentre proteggono premurosamente le rovine del passato, le opere provvisionali mettono in mostra (senza precedenti in Italia) le più avanzate tecnologie di protezione, assicurandoci che adesso siamo al sicuro, che nessun bene architettonico degraderà ulteriormente, che nessuno si farà più male, che l’ordine della norma sarà presto ristabilito. Ripresami da questa deriva estetica inizio a chiedermi in che modo questi organismi medicati potranno guarire e ricominciare a vivere, tornare a essere una città. Affrontare la ricostruzione di un centro storico così grande, con un danno così profondo e diffuso e per di più capoluogo di regione, e senza riferimenti di analoghe proporzioni nella storia recente italiana, non è affare da poco. Servirebbe fin da subito un’idea di città, una strategia che aiuti a distinguere gli edifici da ricostruire da quelli da sostituire, che stabilisca un piano di priorità nell’affrontare la riorganizzazione dei sistemi urbani e la riattivazione progressiva delle funzioni. Da cosa cominciare? Cerchiamo di capire cos’è successo fino a oggi. Nei due mesi successivi al sisma, la Protezione civile ha effettuato una classificazione, poi ufficializzata dal Comune, che cataloga gli edifici in base alla agibilità, in una scala che va da A/B (agibili/temporaneamente inagibili per problemi risolvibili con interventi locali) a E/F (inagibili/inagibili per problemi esterni all’edificio). Considerando l’intero cratere di danneggiamento gli edifici in classe A o B sono il 65,9%, mentre quelli di classe E o F sono il 30,4%, ma nel centro storico de L’Aquila gli A e B sono solo il 22,9% mentre gli E e F superano il 74%4. Per tutti questi edifici si sono dunque rivelati necessari interventi volti a rimuovere il pericolo di ulteriori crolli, prima ancora di decidere quali verranno restaurati, quali parzialmente demoliti e quali sostituiti del tutto. Dopo la prima classificazione, ogni edificio appartenente a un comune del cratere è oggetto di un ulteriore sopralluogo da parte di un Gruppo tecnico di Sostegno, incaricato di compilare una scheda che stabilisce la tipologia di intervento necessaria a eliminare lo stato di pericolo. Sulla base di questi rilievi, una gara d’appalto indetta dal Comune affida i relativi lavori, organizzati per piccoli comparti edilizi, alle ditte. Per


quanto riguarda i beni vincolati, invece, nonché per qualsiasi intervento di demolizione, anche parziale, di qualsiasi tipologia di immobile, il Comune non ha voce in capitolo, ma è l’Ufficio del vice commissario delegato per la Tutela dei beni culturali, Dipartimento della Protezione civile, ad amministrare e coordinare i lavori, avvalendosi della collaborazione progettuale di alcune università (tra cui Genova, Torino, Milano, Padova, Napoli, …) e di quella operativa del Dipartimento dei Vigili del fuoco. In tutto il territorio del cratere, il numero di beni culturali che hanno necessitato o necessitano provvedimenti è altissimo (1900): ad esempio, sulle 1038 chiese presenti, solo 360 sono agibili senza provvedimenti, e solo all’interno del centro storico i beni vincolati sono più di 1100, senza contare i vincoli esterni e tutti gli immobili confinanti. Salvo eccezioni, sono i Vigili del fuoco che si occupano di effettuare i lavori di messa in sicurezza, sulla base dei progetti concordati con la Sovrintendenza e degli abachi di intervento del dipartimento. Tutte le opere provvisionali sono acquistate dallo Stato con il presupposto che quando in futuro la ditta vincitrice della gara per il restauro inizierà i lavori di risanamento definitivo sarà costretta a riacquistarli. Per farsi un’idea, un tubo zincato venduto in esclusiva dalle acciaierie Marcegaglia costa 3,40 euro al metro e un giunto cardanico circa 2 euro. Puntellare un palazzo può costare circa 500.000 euro e nei momenti di lavoro più intenso sono stati impiegati fino a 2000 vigili contemporaneamente. Da alcuni dettagli ci si può rendere conto di cosa possa significare organizzare una tale quantità di lavoro in condizioni di emergenza. In piazza del Duomo, un grande tendone bianco posizionato nella parte inaccessibile della piazza ospita un enorme ferramenta mobile che aiuta i Vigili del fuoco e gli altri operatori pubblici a rifornirsi dei materiali necessari senza dover ogni volta fare una gara d’appalto per una vite in più. L’interno è pieno di casse e scaffali con attrezzature di ogni tipo e una serie di blocchetti su cui segnare le quantità e le tipologie di materiale prelevato. I vigili entrano ed escono freneticamente dal tendone come se fosse la sala operatoria di un pronto soccorso. Talvolta può accadere perfino che, prima che il Comune abbia effettuato la gara d’appalto e che la ditta preposta faccia in tempo a installare le proprie strumentazioni sul posto, alcuni edifici pericolanti vengano puntellati da squadre di Vigili del fuoco. Molto spesso in questi casi le opere provvisionali vengono rimosse e sostituite con quelle, di proprietà, della ditta, raddoppiando di fatto il lavoro. Le operazioni devono poi essere controllate, aggiornate, i tiranti stretti, le fasciature raddrizzate, ma si prevede che entro la fine dell’anno i lavori di messa in sicurezza possano essere ultimati. Mese dopo mese, comparto dopo comparto, il fermo immagine della città sospesa sarà ricomposto.

Le C.A.S.E.: temporanee e permanenti La ricostruzione ha tempi che non sono paragonabili con quelli della costruzione, e con ancor più difficoltà si riescono ad accostare a quelli dell’emergenza. A maggior ragione a L’Aquila, dove l’emergenza post-sisma è stata affrontata con modalità inedite proponendo un enorme programma di nuove costruzioni da portare a termine nei tempi dell’emergenza. Così, come la sede per il G8 è stata imbastita in due mesi anziché in due anni, 185 edifici antisismici, per un totale di circa 4.500 alloggi sono stati realizzati in poco più di sei mesi5. Nonostante il progetto C.A.S.E. abbia avuto una diffusione mediatica senza precedenti, l’aspetto architettonico della vicenda è passato piuttosto sotto silenzio e le valutazioni tecniche tardano a emergere, probabilmente inibite dall’acceso dibattito politico. I 19 aggregati residenziali sono composti da un numero variabile di edifici a tre piani, appoggiati ognuno sopra una piastra che nasconde il parcheggio sottostante (circa 30 posti auto per edificio) e soprattutto isola sismicamente l’edificio grazie alla maglia di colonne contentenenti dispositivi antisismici a pendolo scorrevole. I complessi, tutti di dimensioni e tipologia molto simile, realizzati in circa ottanta giorni, presentano finiture e materiali di costruzione diversi a seconda dei sistemi prefabbricati utilizzati (legno lamellare, calcestruzzo precompresso, laterizi, metallo isolato termicamente) e delle scelte progettuali adottate delle sedici imprese vincitrici. A oggi, più di 15.000 persone vivono nelle C.A.S.E., (e altre 2300 nei M.A.P., Moduli abitativi provvisori prefabbricati in legno a uno o due piani6) da circa un anno, teoricamente fino a quando la casa di proprietà, distrutta o inagibile, del tipo E o F, o in zona rossa nel comune de L’Aquila, non sarà ripristinata. A quel punto gli edifici potrebbero essere convertiti in residenze per studenti o sistemazioni turistiche. Visito qualche area del progetto per cercare di capire come gli abitanti si siano insediati in questi quartieri durevoli, che di fatto non sono né temporanei né definitivi, ma uno strano insieme delle due cose. Ho l’impressione di trovarmi di nuovo di fronte a un paradosso legato all’immobilità di una situazione provvisoria. Sebbene siano ancora completamente privi di servizi e di un vero e proprio ruolo nella rete territoriale, mi sembrano quartieri di gran lunga migliori e con maggiori potenzialità rispetto a molte speculazioni edilizie sorte massicciamente negli ultimi decenni nelle aree di espansione della città. Fuori dalle C.A.S.E., il landscape ben progettato per ogni insediamento inizia a fiorire, si vedono comparire piscinette, giochi per bambini, persino piccoli orti all’interno del curato spazio a verde, e recinti, tende, fioriere sui ballatoi di distribuzione degli edifici. Tuttavia, l’interno degli alloggi è nella maggior parte dei casi immutato rispet-

5. Il progetto C.A.S.E., previsto dall’articolo 2 del decreto legge 39/2009 (Decreto Abruzzo) pubblicato il 28 aprile 2009, ha previsto la costruzione di abitazioni destinate ai cittadini del comune dell’Aquila con casa distrutta o inagibile. L’edificio tipo è costruito su una piastra sismicamente isolata di 20 x 56 m circa atta a sostenere un edifico di tre piani con una pianta di 12 x 48 m. La superficie utile è quindi di 1800 mq circa suddivisi in 30 alloggi atti a ospitare 80 persone. 185 edifici, per un totale di 4449 alloggi sono stati realizzati con 792 milioni di euro, per un costo al metro quadro di 2700 euro circa, inclusi i costi di urbanizzazione. I primi cantieri sono stati aperti l’8 giugno 2009 e gli ultimi chiusi il 19 febbraio 2010, calcolando un tempo di realizzazione di circa ottanta giorni per ogni edificio. 6. I MAP, Moduli abitativi provvisori in legno, sono destinati alle persone residenti nel “cratere sismico” (56 Comuni attorno a L’Aquila) che hanno la casa distrutta o inagibile. In tutto sono stati realizzati 3535 edifici al costo di circa 800 euro/mq.

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Neues Museum, Berlin,1859-1943/45-2009 David Chipperfield‘s Restoration

COLONNATO SUD/SOUTH COLONNADE

Fotografie di/Photos by Giovanni Chiaramonte

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COLONNATO NORD/NORTH COLONNADE


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COLONNATO NORD/NORTH COLONNADE


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