Terrae motus

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luglio 2009

Terrae motus Alberto Abruzzese Non so se parlando di politica riesco ancora a essere padrone di me, ovvero mantenere il controllo che si reputa necessario ad un pensiero responsabile. Voglio provarci, ma perdonatemi se qualche volta mi farò prendere la mano… dall’ironia. Dal grottesco? Si deve pur vivere. E l’ironia è l’unica via d’uscita per sopravvivere alla politica, essendo essa trasformatasi da promessa di felicità in certezza di disperazione: dunque mutata da cosa incredibile in cosa indesiderabile. Parlare di politica significa farsi e fare del male. Il pensiero politico è un delirio della mente contro la nostra carne. L’agire politico è roba da sadici e masochisti: due figure della necessità. Detto questo, la proposta di rientro delle sinistre disperse nel PD a me pare buona. Richiede un coraggio o una leggerezza di portata davvero eccezionale, ma è buona. Buona, a patto di farla essere un paradosso: entrare per uscire. Mettiamola così: le vecchie e nuove, piccole e grandi organizzazioni politiche dovrebbero strapparsi dal destino lungo e mortale in cui sono precipitate. Dovrebbero uscire da se stesse, fuori di sé. Dovrebbero, dunque, “dare di matto”. S-venire in sé. Con-venire altrove. Questo gesto può somigliare a quello di chi sente una terribile scossa di terremoto e – consapevole della morte che incombe su se stesso e sui suoi cari – si strappa al proprio domicilio, abbandona ogni sua comodità, conforto, abitudine, rendita. E corre a occupare uno spazio vuoto e piatto, senza rigide strutture, destrutturato, e proprio per questo più sicuro delle stanze e dei palazzi del proprio ordinario sistema di vita e di azione. E questo suo rifugiarsi immediato là dove tuttavia nessuno ha disegnato e previsto rifugio, il terremotato lo fa mescolandosi a tanti altri che come lui hanno deciso di vivere insieme il gesto di riparare ancor più che il luogo in cui ripararsi. Non per sempre, ma sino a quando il terremoto, situazione episodica e straordinaria, non sarà finito. Sino a quando non saranno scongiurati i suoi effetti. Una coalizione di scelte – un insieme di vie d’uscita – per riparare e ripararsi contro il terremoto. Ecco chi sono quelli che pensano al PD come a un rifugio. Si sono radunati prima di tutto fuori di se stessi. Questa è la scelta più violenta ma anche più necessaria. E non intendono stare insieme dopo una lunga discussione sul che fare e sui principi e valori della loro anima o del loro portafoglio o della loro poltrona. E neppure si trovano là per cominciare di nuovo a discutere. Sono là all’aperto, senza tetto e senza chiesa, solo perché è stato necessario in un attimo. È necessario. Perché uscire da se stessi e dalle proprie prigioni identitarie è stato il frutto non di una scelta ma di un evento indiscutibile. Perché hanno deciso che il punto da cui partire, anzi a cui arrivare, non


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