Una rivista sulle riviste underground italiane

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UNA RIVISTA SULLE RIVISTE UNDERGROUND ITALIANE |

CONTROCULTURA POLITICA IN ITALIA DAL 1968 AL 1977




Nella pagina a fianco: ritagli di giornale su beatniks e capelloni






I fogli dei folli

Viaggio nel mondo delle riviste underground italiane. Con un’intervista a Matteo Guarnaccia. n° 12 del 14.06.2003

Nel panorama letterario del Novecento, c’è una tipologia di testo - ma anche di genere - ancora poco studiato; parliamo delle riviste underground italiane, nate sull’onda lunga del fenomeno beat americano (che negli States prese il via a partire dal secondo dopoguerra) a cominciare dalla metà degli anni ‘60. Se è comprensibile il disinteresse da parte della cultura di massa, visti i difficili argomenti affrontati e una diffusione non certo commerciale, colpisce piuttosto che altrettanta poca attenzione sia stata dedicata all’argomento anche dalle numerose storie degli anni ribelli in Italia; eppure l’underground precedette e in parte preparò il terreno ai movimenti del ’68. Senza modelli editoriali precisi (ma forse la libreria-casa editrice City Lights Books diretta da Ferlinghetti, ne era per molti un tacito esempio), l’arcipelago delle riviste under si espresse come uno splendido mosaico dalle più diverse tessere: da quelle più politicizzate (Re Nudo) a quelle squisitamente visionarie (Pianeta fresco), da quelle che si rifacevano ai provo olandesi (Gatti selvaggi) a quelle dei “capelloni” tout court (Mondo beat), dalle voci del situazionismo militante (“S”) al negazionismo (Puzz), ai comix alternativi (Fallo!), all’omossessualità (Fuori!) ai semplici (ma non secondari) bollettini delle comuni. Se il numero delle testate che presero vita è vasto, essendo prodotte da numerosissime realtà, non certo facile è l’approccio ad esse, visto che le tirature non erano, di solito, quantitativamente significative, e che la distribuzione, spesso svolta a cielo aperto, era destinata non certo a collezionisti e bibliofili. Queste premesse per dire che gli exempla sui quali ci soffermeremo nella scheda (vedi a pag. 27) saranno quelli che abbiamo potuto visionare direttamente, o dei quali abbiamo potuto reperire un sufficiente numero d’informazioni in quanto più noti per il loro contenuto, sia linguistico che grafico. Ai lettori, poi, il piacere d’approfondire, tramite testi come quello di Matteo Guarnaccia (tra i tanti, “Underground italiana”, ed. Malatempora). Venendo allo specifico di queste riviste, per quanto riguarda il contenuto - pur nella loro spesso accesa diversità - esse trattavano con candida innocenza (ma anche con anarchica irriverenza) temi poco meno che blasfemi per la morale comune del tempo: antimilitarismo, liberazione sessuale, anticlericalismo, stati modificati di coscienza indotti da droghe, gratuità della musica, antiautoritarismo in genere. Ed è forse quest’ultima connotazione, la sistematica allergia ad ogni forma di potere, a differenziare questi movimenti da quelli della sinistra extraparlamentare: compagni di vita e di gioco da una parte, compagni di lotta e di partito dall’altra, due binari che non esiteranno più volte ad incrociarsi, specie in alcune fasi del movimento del ’77. Se sperimentali e pressoché inediti erano gli argomenti, l’apparato grafico, spesso ricchissimo, che le accompagnava non era da meno, a cominciare dall’impaginazione dei testi, costruiti con una libertà formale che ricorda la rivoluzione tipografica dei futuristi o le sperimentazioni dada, e non è forse un

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caso che non sia difficile trovare qualcuna di queste riviste tra le biblioteche dedicate all’arte contemporanea; del resto basti pensare che tra i designer di questi fogli underground ci sono artisti del calibro di Matteo Guarnaccia (Fallo!, Insekten Sekte), Ettore Sottsass (Pianeta Fresco) e Gastone Novelli (autore del fumetto beat I viaggi di Brek). Segni visionari, tracce di viaggi nell’altrove, siano essi il bianco e nero tra l’azteco e l’art nouveau di Insekten Sekte, i cromatismi iridescenti di Paria (storica rivista under della svizzera italiana), o il grottesco iperbolico e dissacratore dei comix americani (in primis i lavori di Crumb, Wilson e Shelton, papà dei celebri Freak brothers) pubblicati su Fallo!, che non tarderanno ad influenzare geni nostrani come Tamburini e Pazienza, nel loro magnifico sodalizio sulle pagine di Cannibale (1977), che proseguirà poi su Il Male e Frigidaire, termine ultimo del nostro filo rosso underground. Sull’esperienza underground italiana abbiamo voluto sentire la testimonianza di uno degli artisti più attivi di allora, Matteo Guarnaccia, che a partire dal 1970 diede vita a una serie immemorabile di pubblicazioni, copertine di dischi, quadri, sculture, performances ed altro ancora, il tutto caratterizzato dal suo inconfondibile segno, che unisce la dolcezza al sogno, la psichedelia allo sciamanesimo, l’erotismo al divino, il tantrico al mostruoso; un fare visionario che si ricollega a grandi maestri come Bosch e Blake, ma anche all’arte popolare di civiltà perdute, passando per la grafica naïf dei prodotti industriali.


Matteo Guarnaccia. Quando hai cominciato a dar vita a quel mondo incantato di dolcissimi freak che sono un po’ l’icona della tua arte? Attorno ai 14/15 anni, con la frequentazione di un certa scena creativa, disegnare è diventato un bisogno biologico, oltre che un piacere. Andavo a cercarmi l’arte anche dove abitualmente non si dovrebbe; ovviamente gironzolavo per musei e divoravo monografie d’artisti (Bosch, Holbein, Maestro di Re Renato, Blake, Doré, Mucha, Klimt), ma ero irresistibilmente attratto dalla imagerie popolare, i fumetti (Tin Tin, Blake e Mortimer, Coccobill, Little Nemo, Quadratino, Dan Dare, Popeye), le etichette delle scatole di fiammiferi e dei pelati, le figurine dei chewing gum e dei formaggini, le sorpresine dei detersivi (i marzianini del Tide!), le immaginette sacre indù, i giocattoli di latta, i flipper. Era affascinante inventarsi un mondo visionario assolutamente personale, lontano da quello che ci veniva imposto dal sistema. Poi, quando mi sono trasferito ad Amsterdam la visione si è fatta ancor più chiara e mi sono piacevolmente dedicato a illustrare il mondo delle tribù in cui ero entrato come membro effettivo. Tribù colorate, gioiose con grandi occhi aperti al mondo, che vedevo intorno a me, e che incontravo lungo la strada: ragazzi di razza elfico-tibetano-rinascimental-pellirossa, che friggevano dalla voglia di camminare sull’arcobaleno. Il giornale di bordo di quelle esperienze era la rivista-poster che producevo in quegli anni, Insekten Sekte, di cui recentemente ho curato un “Best of ” per la Jubal di Trieste (jubaleditore@yahoo.it). Come hai vissuto la Milano di quegli anni, e com’è iniziata la collaborazione con Angelo Quattrocchi? La Milano che frequentavo, quando non ero in giro per il pianeta, per me si limitava essenzialmente al quartiere di Brera, attorno all’omonima Accademia di Belle Arti. Qualche stradina, alcune osterie, molte case di ringhiera e molte menti felici che tra il ‘70 e il ‘72 si erano coagulate in una repubblica popolare hippie, un’oasi creativa evolutiva in una città pesantemente grigia e poco disposta alla leggerezza. La via principale del quartiere aveva un nome tanto bello da parere inventato: via Fiori Chiari, un nome che dipinge perfettamente quegli anni. Tra i tanti personaggi che potevi incontrare c’era anche Angelo Quattrocchi, un agit-prop che si era messo in testa di coinvolgermi nella produzione di un giornale underground dal nome promettente di “Fallo!” (in tutti e due i sensi). Con lui ho collaborato a molte iniziative più o meno deliranti, dal partito ippi (una fortunata beffa mediatica) ai libri, volantini e riviste. Lui stava a Roma e ogni tanto le nostre strade si incrociavano. Se gli inizi della controcultura in Italia scaturivano da un vento nuovo fatto di voglia di stare insieme, giocosità, desiderio di uguaglianza, libertà e liberazione dall’uomo a una dimensione e perciò rappresentavano un milieu ideale per lo sviluppo di un’arte innocente, cosmica e psichedelica come la tua, come sei riuscito a resistere, ad avere una sorta di coerenza, su quel finire di anni ‘70 fatto di lotta armata, suicidio della pischedelia nell’eroina, misticismo spesso scaduto in dipendenza da guru improvvisati? Naturalmente c’era chi di quella voglia di stare insieme, della giocosità, del desiderio di uguaglianza, della libertà e della liberazione non sapeva che farsene e che, passato il primo momento di sbandamento, ha messo in atto le contromisure necessarie. Eroina e terrorismo sono state le Scilla e Cariddi attraverso cui si

è cercato di far passare i dissidenti come bestie al macello. Aggiungiamoci la citrullaggine dei vari guru e avremo un quadro completo delle armi schierate dalla controriforma. Fortunatamente non sono mai stato attratto da una certa iconografia macho decadente (Velvet Underground) militarista (gruppuscoli estremisti) o mistico-imprenditoriale (ho avuto un padre molto autoritario e non sentivo alcun bisogno di un surrogato indù). Ho sempre pensato che la vera rivoluzioneevoluzione passasse per la bellezza e la creatività, inoltre avevo un delizioso figlioletto da crescere e quindi avevo di meglio da fare. Non è che non sentissi lo spirito del tempo (pesante e tossico) e non abbia patito pesanti batoste karmiche, ma in qualche modo sono andato avanti cocciutamente per la mia strada. La tua arte è, e a ragione, associata al mondo della psichedelia, tanto che fra i tuoi più accesi ammiratori c’è nientemeno che Albert Hoffmann, padre della psichedelia. La simbologia, le forti evocazioni di riti sciamanici, di popolazioni precolombiane e tribali, in cui vita e visione sono un tutto indistinguibile, sono semplici invenzioni decorative nate dalla tua fantasia o c’è un rapporto d’incontro, di studio di queste remote civiltà? Ci sono entrambe le cose. Quando sei giovane pensi con arroganza di essere stato il primo a fare certe cose, poi ti rendi conto che fai parte di una lunga fila di ricercatori, di una cospirazione evolutiva che è iniziata molto tempo prima che iniziassi a prendere in mano una matita. Per cui c’è molto “automatismo”, molte esperienze personali, ma anche lo studio di culture diverse. In un numero di Fallo! c’è una bellissima storia, “Minestrone again”, in cui i dolcissimi abitanti di una comune ricevono la visita di un furgone di sballati che con i loro spinelli, acidi e anfetamine rappresentano la paranoia urbana, e per questo vengono cacciati, quasi a fucilate. Un richiamo a una modificazione dello stato di coscienza che sappia trovare anzitutto nella testa, nel pensiero creativo e immaginifico, la sua “sostanza” liberatrice? La storia fa riferimento a un preciso momento in cui alla ricerca si è sostituito il concetto di sconvolgimento. Le sostanze sono diventate un prodotto di mercato autoconsolatorio, un avvitarsi su se stessi. Un aiuto alla robotizzazione, all’adeguamento a copioni scritti da altri, non al risveglio. Quindi le ritengo poco interessanti e decisamente fastidiose. Nel nostro cuore abbiamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno; certo ci vuole disciplina, bisogna aver costanza, preparare il campo all’amore, che è la più alta forma di modificazione di coscienza. Com’è la vita di chi, artista, continua ad inseguire la gioia della creazione più che i successi del mercato? Non penso di fare cose particolarmente straordinarie. Mi limito a tenere aperto il sentiero del cuore. Che senso ha la tua arte al tempo di Berlusconi? Per prima cosa faccio arte (o come la vuoi chiamare) perché non ne posso fare a meno fisiologicamente. Certo è anche una forma di resistenza. Ha una funzione di risveglio, mi offre continuamente nuovi punti di vista sulla vita. Modifica il mio stato percettivo. C’é da meravigliarsi che in un mondo di proibizionismi l’arte non sia ancora stata dichiarata illegale. Anzi lo è se non fai l’impiegato dell’industria culturale, se non fai arte di consenso, se non fai merce. Da sempre è in atto una vera guerra tra artista e potere: qualunque potere, non solo quello che tu menzioni.


Di seguito propongo l'esauriente racconto di Matteo Guarnaccia relativo a venticinque anni di pubblicazioni della rivista Insekten sekte, tratto dalla pubblicazione "Fanza italiana", curata da Piermario Ciani ed edita da Arcinova Pordenone, nei primi anni '90.

Verso i quattordici anni, spinto da indecifrabile e ineludibile bisogno ormonale, gironzolando per quello che ai tempi (sessantotto o giù di lì) era considerato il quartiere bohemien milanese, Brera, durante le interminabili discussioni su scienze occulte, anarchismo e storia dell'arte, mi dilettavo a riempire col mio horror vacui vari metri quadri di tovagliolini di carta dei bar. Presto scoprii che i miei disegnini erano dotati di effetti collaterali non indifferenti sulle persone che assistevano all'operazione. Poi inevitabile arrivava la domanda: "Che, me lo dai?". Così prima ancora che l'inchiostro fosse asciutto i mieì ghìrigori partivano. Fu uno studente d'architettura che aveva trasformato il suo abbaino in uno strabiliante centro di raccolta per sacchi a pelo (con relativi contenuti umani) a consigliarmi di disegnare su carta da lucido, portare poi il foglio da un eliografo e farne più copie, così potevo tenermene una e soddisfare più persone. Mi diede addirittura le prime duecento lire con cui mi precipitai a far stampare la matrice, lasciando interdetto il commesso abituato a mappe catastali e planimetrie di geometri. Di lì a poco me ne andai da casa, incontrai quello che sarebbe diventato il mio compagno d'avventure "on the road", Gary, un americano che, tra le altre sollecitazioni sensoriali, mi introdusse ai cartoni animati degli anni '30 ed ai comix underground. Grazie alla sua intraprendenza i miei disegni eliografati divennero presto la nostra fonte di scambio, baratto, comunicazione e sostentamento. Nel '70 immerso in piena "Summer of Love" ad Amsterdam, tra barconi alieni, piantagioni pensili, mucche

INSEKTEN SEKTE

pezzate, raid al Paradiso e deliri vari, vidi scritto su un muro INSEKTEN SEKTE. Il suono e l'insieme di lettere mi intrigò moltissimo e da allora lo aggiunsi a tutti i manifesti... ecco come è venuto fuori questo nome paraesoterico. Solo recentemente ho scoperto che era il nome di un gruppo di artisti provocatori olandesi. Da allora in poi Insekten Sekte ha continuato ad uscire su e giù per A pianeta come e quando ha potuto, soldi e voglia permettendo, annotando scrupolosamente come in un giornale di bordo astrale tutti gli amori, le albe al fosfospruzzo, le giornate plananti piene di meraviglia, lo stupore, le impudenze selvagge di quella banda di tarantolati che "non potevano stare fermi per la grande gioia che li faceva andare a piedi nudi e danzare per le strade, come in preda ad una luce troppo grande, chissà quale gioia eccessiva". La creazione di ogni numero era una celebrazione di amore e di amicizia, il foglio lucido poggiato sulle superfici più improbabili: tavolino di bar o assi da cantiere, scatoloni o mobilio di recupero. Assieme a me c'erano sempre altre penne ad aggiungere saluti, storie, pennellate e ditate di bambini, macchie inspiegabili e moscerini kamikaze. Renata, Valerio, Piripacchio, Erik, Enzo, Luciano, Caterina e tutti gli altri di cui non ricordo i nomi, hanno benedetto quei momenti, innaffiati di spuma all'arancia e dondolati dal suono dei pennini sul foglio e dalle combustioni vegetali. Dal '70 al '75 sono usciti 17 numeri, dal piccolo n. 1 (32x37 cm) al mostruoso n. 17 (35x 170 cm) che sono stati realizzati tra Milano, Montedomenico (Ge), Roma, le Alpi austriache, Kabul, Katmandu, Amsterdam e

Goa. La tiratura non è assolutamente quantificabile, dato che ogni numero è stato soggetto a moltiplicazione incontrollata; chi voleva prendeva il lucido, lo duplicava a sua volta e ne stampava quanti voleva, dalle dieci alle mille copie (il n. 5 e il n.7 sono stati i best sellers inarrivabili). È bene far presente che la riproduzione eliografica, a parte il raccapricciante odore di ammoniaca, per la sua resa ed economicità (in quei tempi) è stata scelta da altri artisti per diffondere il loro lavoro, nonostante l'effetto collaterale poco gradito dovuto alla scomparsa della stampa se esposta alla luce del sole. Non mi risulta che il procedimento sia stato usato in altri paesi, mentre in Italia, oltre ad Insekten Sekte può contare su altri nobili seguaci. Giò Tavaglione ad esempio, fantastico disegnatore di Mondo Beat pare sia stato il primo. Max Capa col suo leggendario Puzz. Poi due (a)periodici romani disegnati collettivamente da membri delle comuni storiche "Madria" e "Comune n.". Più tardi, nel '73, uscì Tampax di Giulio Tedeschi. Tutti esempi di strabiliante inventiva grafica, della capacità di trarre prodigi da un "mezzo povero". Solo quattro varianti di colore: blu, nero, seppia e magenta; ma in quanto a deliri grafici non avevano nulla da invidiare ai fratelli californiani che potevano permettersi raffinate stampe multicolori, avendo alle spalle la potenza economica del rockbiz. Tutta questa proliferazione di vibrazioni su carta è stata etichettata come psichedelia e underground dai critici d'arte, divenendo nel corso degli anni un genere "cult", raccogliendo un

sempre maggior numero di fedeli ed appassionati (per non dire col


lezionisti). Nel '77 la galleria Out Off di Milano ha tenuto la prima mostra dedicata ad Insekten Sekte. Dopo la fase storica c'è stato un letargo durato parecchi anni finché, spinto dall'incessante richiesta, "back by popular demand" e per accompagnare l'uscita del mio libro "Arte Psichedelica e controcultura in Italia", nell'88 produco tre numeri di I.S. (col gentile aiuto di Gigi Marinoni), ancora eliografati e formato manifesto. I quattro numeri successivi sono megalomani e bulimici, perdipiù segnano l'abbandono dell'eliografia (dati i costi) ed il passaggio alla fotocopia. N.23/26, 36 pagine formato A4: si esce dalla stampa under e si entra difilato nel mondo delle fanzine. Dall'89 nuova metamorfosi, diventa "I.S. Matteo Guarnaccia Psychedelic & Pagan'zine", sottotitolo: ''ciclico, polivalente ad ampio spettro, stati modificati di coscienza, sciamanesimo, misteri cosmici, viaggi interiori ed in metropolitana, modellismo e giardinaggio zen". 16 pagine formato A5, per fans duri! Sino ad oggi inesorabilmente, tempo e pigrizia permettendo, ne sono usciti 46 numeri di cui 20 in fotocopia. La distribuzione lillipuziana è affidata alle ansimanti Poste Italiane e non più al passamano, segno dei tempi. Vi ricompaiono in perfetta salute i fantasmi del passato e gli spiriti futuri Storie e disegni a go-go, grafica psico-attiva e collaborazione apprezzatissime (es. Gianluca Lerici). Vi fa persino capolino il computer, anche se "tutto fatto a mano, senza coloranti e conservanti" rimane una priorità ed un orgoglio della casa.

Sopra: sciopero della fame contro la polizia A fianco: Anno 1, numero 1 di Mondo beat


Fallo, giornale quindicinale degli anni ‘70



Numero di Mondo Beat sull’arresto di Vittorio di Russo


Nelle immagini a lato: roberto Pieracini portato via dagli agenti,Gunilla Unger e Melchiorre Gerbino



Pagine interne di Mondo Beat













Esempi di alcune delle pi첫 importanti riviste underground americane





http://www.questotrentino.it/2003/16/pivano.htm

Fernanda Pivano e “Pianeta fresco” A seguito di una fortunata occasione di colloquio con Fernanda Pivano, autorità indiscussa nel campo della letteratura americana fin dagli anni Cinquanta (a lei dobbiamo la conoscenza di autori come Burroughs, Ginsberg, Kerouac, Ferlinghetti, Bukowski…), abbiamo pensato, in quest’ultima uscita sulle le riviste underground italiane, d’inserire un breve approfondimento sul suo Pianeta Fresco, tra i più bei prodotti editoriali alternativi degli anni Sessanta.w Fernanda Pivano. Pianeta Fresco, due soli numeri editi dalla libreria Hellas di Torino tra 1967 e 1968, è senza dubbio un tentativo unico di collegare l’alto e basso del panorama alternativo internazionale, e cioè il mondo degli intellettuali con quello dei giovani alternativi, fragili e vagabondi. Considerato uno dei più bei prodotti della neo-avanguardia italiana, i nomi di artisti e scrittori che presero parte al progetto sono senz’altro di prim’ordine: Ginsberg, Sottsass, Leary, Ferlinghetti, Burroghs, Paul McCartney, Pistoletto, Crippa. Arti, visioni, immaginario, esperienze, filosofia, resoconti di viaggio (nel secondo numero si parla di un cheap travel tra Afghanistan e Pakistan, più avventuroso di un Salgari, più on the road di un Kerouac) e molto altro ancora. Ecco ciò che ci ha detto a questo proposito Fernanda Pivano. Può raccontarmi come nacque Pianeta Fresco e quali furono le reazioni alla sua uscita? “Al tempo, siamo nella metà degli anni Sessanta, avevo molti amici negli Stati Uniti; avevo quindi la possibilità di vedere direttamente i risultati d’avanguardia dell’underground press, come il San Francisco Oracle, ma anche come il londinese Oz. Io ed alcuni amici, in particolare Ettore Sottsass ed Allen Ginsberg, decidemmo quindi di dar vita anche in Italia ad un progetto simile, traducendo articoli comparsi sulle pubblicazioni USA ed affiancandoli con una serie di contributi originali appositamente realizzati da autori indipendenti dalle grandi case editrici. La reazione in Italia non fu decisamente positiva. Certo, il primo numero andò subito esaurito, essendo la tiratura di sole 275 copie, ed anche il secondo (ed ultimo) numero si esaurì in breve tempo. Ma nella critica ufficiale, conservatrice e bigotta, Pianeta Fresco suscitò solo indignazione e disprezzo. Il rifiuto fu completo: chi vi scriveva veniva considerato un drogato, un allucinato, un delinquente… insomma, un giudizio in linea con quello che accoglieva gli autori che già da anni stavo ‘importando’ in Italia traducendoli dall’inglese”.

Una delle cose che più colpisce sfogliando le pagine di Pianeta Fresco è la grafica, acida e curatissima… “In effetti la grafica, come l’innovazione tipografica, erano veramente fantastiche… in linea con quella beat delle riviste dell’UPS (Underground Press Syndicate) del quale faceva parte. Autori ne furono Ettore Sottsass ed alcuni dei suoi amici, rimasti anonimi”. Quali erano i temi più sentiti dai partecipanti al progetto di Pianeta Fresco? “Quelli legati al vento nuovo portato in quegli anni: i diritti civili, l’amore nella sua accezione più ampia, la non violenza, il disarmo, la liberazione, l’esperienza, il viaggio… insomma, la libertà.” Pablo Echaurren, nel suo testo sull’underground in Italia, ha affermato che per lei la stagione di Pianeta Fresco, nonostante i due soli numeri usciti, non è mai finita, perché le proposte di decondizionamento e comunicazione in esso affermate sono sempre valide. Ancora oggi, nella guerra permanente di Bush e nel collasso ecologico del pianeta, niente affatto fresco? “Certamente, ancor più oggi sono valide e meritevoli. La libertà e la non violenza in particolare sono idee sempreverdi, che occorre ribadire in ogni occasione. Ed è quello che ho affermato da poco nella prefazione alla terza edizione del mio C’era una volta un beat…”.













‘70












Inserti su tipografia e stampa alternativa, Re Nudo


interviste a Ginsberg e Burroghs, Re Nudo




CICLO ST ILE

Il ciclostile, o duplicatore stencil (o anche mimeografo, raro in lingua italiana ) è un sistema di stampa meccanico oramai obsoleto, utilizzato in passato per produrre stampe di bassa qualità in piccola tiratura a costi estremamente contenuti, se paragonati con quelli della stampa industriale. La stampa a ciclostile lega il suo nome in modo indissolubile alla pratica delle fanzine sino agli anni ottanta, quando anche per queste edizioni fu sostituita dalla xerogra fia (fotocopia). Tuttavia, non richiedendo energia elettrica per il suo funzionamento, trova ancora applicazione nel cosiddetto terzo mondo. Principio di funzionamento [modifica] Si basa fondamentalmente sullo stencil, il trasferimento del colore attraver so una maschera sagomata. La maschera è costituita da un foglio estremamente sottile (carta di riso) rivestito da uno strato di cera agganciato sul lato superiore ad una striscia di cartonc ino. Il foglio incerato è protetto da un ulteriore foglio di carta velina, che deve essere rimosso prima di iniziare il processo di stampa. L'impressione del profilo dei caratteri, ottenuta attraverso una macchina per scrivere meccanica o penna, distrugge lo strato di cera sottostante, rendendo permeabile la carta in quel punto. Il foglio risultante, chiamato matrice, viene agganciato al tamburo della macchina di stampa, riempito di inchiostro denso (oleoso). Il meccanismo di rotazione del tamburo sincronizza il trascinamento dei fogli vuoti, sui quali si ha il trasferimento dell'inchiostro nelle sole parti prive di cera. La bassa qualità di stampa è dovuta essenzialmente alla trama del foglio matrice, che si traduce in una grossolana puntinatura degli elementi in stampa. Influenza la qualità del risultato anche l'abilità nella battitura dei caratteri con la macchina per scrivere, poiché una azione del martelletto particolarmente forte distrugge anche la cera nelle vicinanze, produce ndo un carattere sbiadito e privo di dettagli. Il sistema può permettere, in una certa misura, stampe a colori: per ciascun colore deve essere preparata una matrice dedicata, ed il processo di stampa ripetuto riproces sando i fogli per ciascuno dei colori. Origine [modifica] Un'immagine pubblicitaria del Mimeograph di Edison del 1889 Thomas Alva Edison ricevette il brevetto US 180.857 per la Autographic Printing l'8 agosto 1876[1]. Il brevetto copriva la penna elettrica utilizzata per realizzare gli stencil ed una macchina duplicatrice a piano orizzontale (flatbed). Nel 1880 Edison ottenne un successivo brevetto, US 224.665: Method of Preparing Autographic Stencils for Printing, che copriva la realizzazione degli stencil attraverso una serie di piastre metalliche scanalate ed uno stilo metallico.[2] Altri che lavorarono indipendentemente allo sviluppo del duplicatore stencil furono Eugenio de Zaccato e David Gestetner, entrambi in Inghilterra.



Striscia satirica all’interno di Re Nudo






Schema, rivista di attualitĂ fotografia e controcultura politica ritrovata tra le vecchie riviste di mio padre, Fabriano 2010




‘77




Il male Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. l male è stata una delle più importanti riviste satiriche italiane. Fu fondata da Pino Zac (nome d’arte di Giuseppe Zaccaria), e diretta, dal quarto numero in poi, da Vincino. Tra i partecipanti della prima ora furono da annoverarsi i disegnatori Angese, Enzo Sferra, Jacopo Fo, Vauro Senesi, Cinzia Leone, il grafico Francesco Cascioli e lo scrittore Angelo Pasquini. Dapprima nominato Il quaderno del sale divenne, poi, Il male per un accordo con il distributore Parrini. Il male ebbe come fonte satirica d’ispirazione il giornale satirico parigino Le Canard enchaîné, dal quale Pino Zac proveniva. Un ruolo importante nella fondazione del giornale e nella sua direzione fu svolto da Vincenzo Sparagna, che collaborò con la testata fino 1980, quando andò a fondare, con altri, Frigidaire. Il settimanale cessò le pubblicazioni nel marzo 1982. Il male nacque nel settembre 1977 a Roma. Fondatori: Pino Zac, Sergio Saviane, Jacopo Fo, Riccardo Mannelli, Vauro Senesi, Vincino, Perini. Alla direzione fu posto Lillo Calogero Venezia. Nelle pagine de Il male i lettori trovavano vignette e articoli giornalistici. Una delle più brillanti invenzioni del settimanale fu l’imitazione a più riprese delle prime pagine dei quotidiani, con titoli assolutamente demenziali ma verosimili; molti caddero nell’inganno, e il giornale passò alla storia del costume. Assieme a racconti, poesie farneticanti e interviste - vere e fasulle - il settimanale fu contraddistinto dalla ferocia dei suoi fumetti e delle sue vignette, alcune delle quali pubblicate persino sotto pseudonimo, per evitare denunce. Ebbe moltissimi sequestri e più di cento processi per “offese a capo di stato estero” (il papa, definito Giampaolo II), “vilipendio”, “diffusione di materiale osceno” e altro. Riscosse un grande successo, e la sua satira corrosiva gli procurò una storia tormentata di ritorsioni e censure. Fra le beffe più famose de Il Male quella cui si prestò Ugo Tognazzi, del quale veniva annunciato l’arresto con l’accusa di essere il capo delle Brigate Rosse[1][2]: su falsi di diversi quotidiani (Paese Sera, Il Giorno e La Stampa) escono le immagini del noto attore ammanettato e scortato da agenti in divisa, tra i quali si riconosce uno dei redattori. « Rivendico il diritto alla cazzata! » (Ugo Tognazzi spiegando il suo arresto) O anche il posizionamento a Villa Borghese (Roma) di un busto in marmo di Giulio Andreotti, subito sequestrato dalla polizia. Alla “cerimonia” era presente anche l’attore Roberto Benigni il quale ricevette una denuncia per aver deriso il cognome del funzionario di Pubblica Sicurezza, Pompò, giunto sul posto per la rimozione. Da ricordare anche il numero con “Dieci grammi di droga gratis” (contenente una bustina di pepe), o il falso numero de la Repubblica dal titolo “Lo Stato si è estinto” durante i funerali di Aldo Moro. Sollevò un certo clamore anche il finto numero del Corriere dello Sport - Stadio, dove si annunciava l’annullamento del titolo argentino ai Mondiali del ‘78, in seguito alla segnalazione per doping di alcuni calciatori olandesi, una voce realmente circolata dopo la sconfitta azzurra contro la nazionale olandese, giunta alla finale. L’evento causò l’ira di Giorgio Tosatti, all’epoca direttore del Corriere dello Sport - Stadio, il quale affermò che lo sport e il calcio non andavano infangati. Nel settembre 1978, al termine di un congresso del PCI, apparve un falso de l’Unità dove l’allora segretario Enrico Berlinguer annunciava la rottura con la Democrazia cristiana e quindi la fine del compromesso storico. Seguì nell’inverno dello stesso anno un falso del Corriere della Sera che annunciava l’incontro di una delegazione ONU con degli extraterrestri (“Arrivano da un’altra galassia”) e sei mesi dopo, in concomitanza delle elezioni politiche anticipate del 1979, con la notizia “La Democrazia Cristiana abbandona”. Una copia giunse persino in Parlamento, ma deliziò i lettori del settimanale. Nel frattempo, durante la guerra tra Cina e Vietnam, a seguito della liberazione della Cambogia dal regime di Pol Pot, un’edizione straordinaria de La Repubblica con tanto di foto di fungo atomico, annuncia lo scoppio di un terzo conflitto mondiale. I falsi erano credibili per l’impaginazione e la grafica. Superato lo stupore iniziale, il lettore si dilettava nella lettura di intere colonne di articoli dal sapore satirico insieme alle versioni rivedute e corrette d’inserti pubblicitari allora conosciuti. Proseguendo sulla stessa linea, anni dopo il mensile Frigidaire realizzò un falso numero della Pravda, recante in copertina il disegno di Gaetano Liberatore che ritraeva un soldato dell’Armata Rossa che spezzava il kalashnikov, sotto il titolo “La guerra è finita, torniamocene a casa”. Copie della falsa Pravda (tradotte in russo grazie all’aiuto di Natalia Ginzburg) vennero affisse nottetempo per le vie di Kabul, allora occupata dall’Armata Rossa, fruttando una condanna a morte in contumacia per alcuni dei redattori. La nascita de Il male aprì una stagione in cui molti editori, di varie tendenze politiche, pubblicarono vari giornali satirici, che quasi sempre ebbero vita breve. Alcuni esempi: Il Peccato, La Peste, Lira di Dio, Perestrojka, La pecora nera, Senza quore.[senza fonte] Alcuni degli autori che pubblicarono su Il male furono: Karen (Jacopo Fo), Roberto Perini, tra i fondatori. Cinzia Leone, tra i fondatori, oltre che de Il male, anche dell’Avventurista,Tanino Liberatore, Andrea Pazienza,Filippo Scozzari,Stefano Tamburini,Bruno D’alfonso,Pino Zac,Francesco Cascioli, autore dei fotomontaggi della rivista. Il comico Daniele Luttazzi, parlando del periodo dal 1978 ai primi anni ‘80, ha dichiarato: «Oggi è quasi impossibile pensare che all’epoca esistesse un settimanale satirico come Il male, veramente all’avanguardia, avanti di 50 anni, insomma divertentissimo»[3]. Il direttore, Lillio Calogero Venezia, è stato il secondo giornalista del dopoguerra, dopo Giovannino Guareschi, a finire in carcere per diffamazione a mezzo stampa. Martedì 25 maggio 2010, Vauro, Vincino e Massimo Caviglia hanno trascorso alcune ore fuori da Palazzo Montecitorio truccati da “morti viventi” per coinvolgere alcuni politici nell’iniziativa di promozione del ritorno de “Il Male”. Tuttavia, durante la giornata Vauro ha dichiarato che quando e come “Il Male” sarà resuscitato rimane un segreto.[4]



testi ed immagini si riferiscono a: Pablo Echaurren, Controcultura in Italia 1966-1977, Torino, Bollati Boringhieri, 1999 G. Maffei e P. Peterlini, Riviste d’arte d’avanguardia, Sylvestre Bonnard, 2005 Mondo beat Pianeta Fresco Re Nudo webgrafia varia all’interno

ricerca Alberto Bolzonetti corso Progettazione per l’editoria docente Leonardo Sonnoli Isia Urbino aa.2009/2010


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