TESI - la musica congelata di un elemento

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LA MUSICA CONGELATA DI UN ELEMENTO

TESI DI LAUREA DI MASPERI ALESSANDRO 761568

RELATORE: DORIGATI REMO CORRELATORE: CORSO RENATO JUAREZ POLITECNICO DI MILANO AA 2013-2014



RINGRAZIAMENTI Ringrazio particolarmente il relatore Dorigati Remo e il correlatore Corso Renato Juarez per il loro aiuto alla ricerca svolta, ma soprattutto per avermi dato la possibilità di confrontarmi con loro. Questo credo che mi abbia fatto maturare sia in campo architettonico che umano. Ringrazio Mariagiusi Troisi, mio fratello Francesco Masperi e Marta Cataldi per l’auto alla stesura e alla revisione del testo. Ringrazio inoltre De Magistris Alessandro e Scotti Aurora per il consulto bibliografico datomi all’inizio, che mi ha indirizzato il cammino. Ringrazio specialmente e con riconoscenza tutte le persone che direttamente o indirettamente hanno contribuito alla mia formazione e quindi sono state coinvolte alla formulazione della tesi, in particolar modo a tutte quelle che in maniera non accademica mi hanno ispirato, informandomi, quindi formandomi. In ultimo, non ringrazio, ma dedico con amore questo lavoro alle due persone a me più care, che hanno praticamente permesso tutto questo, supportandomi senza mai dubitare di questa esperienza. Nel corso di questi quattro anni sono state essenziali, senza di loro non potrei essere felice.



INDICE

PREFAZIONE INTRODUZIONE: La percezione, ovvero come si riconosce un elemento 3 LA SCATOLA: Le caratteristiche di un solido

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IDEA DELLO SPAZIO: Un punto di vista

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SENSAZIONI NELLO SPAZIO: Un diverso punto di vista

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L’ELEMENTO: Lo spigolo nell’Architettura

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IMMAGINI AGGIUNTIVE

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CITAZIONI

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BIBLIOGRAFIA

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INDICE DELLE IMMAGINI

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PREFAZIONE Questa tesi non è stata concepita con il fine di proporre una visione oggettiva di un fatto e per quanto la stesura mi abbia coinvolto, non può essere ritenuta esauriente. La musica congelata di un elemento parla di architettura, in particolare di un elemento di essa: lo Spigolo, imprescindibile limite fisico e percettivo con il quale nella storia l’architetto ha dovuto dialogare producendo, a volte, risultati magistrali. Le parole che seguono potrebbero essere considerate come il risultato di un’esperienza, ma in realtà credo che siano l’inizio di una ricerca personale e per questo non ho la pretesa di dichiarare una verità. Esse sono state precedute da uno studio bibliografico che ha messo le basi sulle quali ho strutturato il testo, che spiega dal mio punto di vista la genesi e l’evolversi e le possibili suggestioni di questo personale ‘fundamental‘. Più che un trattato quello che leggerete è un “flusso di coscienza”, come tale va letto, è inoltre un tentativo di sviluppare un ragionamento, il più possibile chiaro e coerente che è anche stato la base sulla quale ho voluto progettare una cappella laica, simbolo di un legame che ho con luogo per me sacro. Il progetto ho scelto di escluderlo dalla tesi scritta perché ritengo siano due ricerche differenti anche se consequenziali. Sebbene tutto il contenuto sia stato revisionato più volte, potrà presentare degli errori o inesattezze, per questo mi scuso in anticipo.

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CAPITOLO I

INTRODUZIONE La percezione, ovvero come si riconosce un elemento

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Ogni architettura ha un limite, sia che lo si intenda come limite fisico, cioè dove termina, sia come limite percettivo. La possibilità di vedere un manufatto architettonico nella sua interezza dà la sensazione di poter cogliere appieno la struttura, la forma, la composizione. In prima analisi tutto ciò che vediamo basta per una elaborazione critica del gusto dell’autore. I particolari possono far perdere il senso generale del progetto e quindi la sostanza. Se da una parte questo è giusto nel senso che è imprescindibile guardare l’architettura ad una scala generale (piccola), dove addirittura il contesto è parte di essa, dall’altra è una pratica oramai troppo comune e sopravvalutata. Con l’immediatezza dei motori di ricerca si hanno quantità d’immagini che ai nostri occhi paiono sufficienti per la comprensione/analisi architettonica. Dico “paiono“ perché alla quantità d’informazioni che si trovano non corrisponde una varietà, ne tantomeno una qualità, di fatto le fotografie in rete sono per la maggior parte uguali e mostrano un solo lato di un oggetto il quale solitamente è ben più complesso. Per esempio vengono raramente visualizzati i dettagli o gli elementi che sembrano di contorno ma che a mio parere sono necessari per <<parlare architettura>>1. Tali elementi possono appartenere a varie scale come quella urbana, di dettaglio o più comunemente architettonica, ma per tutte c’è un termine in comune, lo Spigolo, che le conclude, ma soprattutto che funge da giuntura. Esso unisce e crea le relazioni con gli elementi circostanti. Come si riconosce questo elemento? Parlando dello spigolo di un edificio si può semplicemente dire che coincide con il punto dove si interrompe la facciata, il materiale cambia forma e l’ombra ne accentua la consistenza. Con la mancanza di visuale può anche creare una tensione con il contesto originando curiosità, paura, incertezza, sorpresa.

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La composizione della facciata può cambiare secondo l’importanza dell’affaccio, e questo elemento fungere da colla tra le due parti. Non è solo questa la caratteristica però, nella storia dai greci fino a Mies van der Rohe è stato interpretato e progettato molte volte. Per primi, i greci, si sono interrogati su come dovesse terminare il triglifo d’angolo nei templi. Questo problema chiamato “conflitto angolare nell’ordine dorico“ ha assillato tra il VII e il VI secolo a.C. gli architetti, i quali modificarono continuamente la soluzione, prova del fatto che era rilevante per la disposizione della facciata e l’armonia dell’intero tempio. <<A corner is a corner is a corner, avrebbe detto Gertrude Stein scrivendo di quell’elemento architettonico che materializza alla lettura il più astratto e allo stesso tempo semplice dei sistemi, quello cartesiano>>2. Corner significa angolo, cantone, è la parte di piano compresa tra due semirette uscenti da uno stesso punto. Estensivamente può assumere significato di luogo appartato o nascosto, parte remota3. Nonostante riferimenti allo spazio nell’architettura credo si debba far riferimento più precisamente allo spigolo, perché essendo definito (dal dizionario etimologico Devoto-Oli) linea di intersezione di due superfici considerata dalla parte in cui si presenta acuta e sporgente; in esso sono presenti le caratteristiche di base di un OGGETTO TRIDIMENSIONALE, e quindi ha un VALORE SPAZIALE più forte (fig. 1). Al contrario degli angoli gli spigoli sono l’esterno di un oggetto. Interagiscono con il contesto quasi intromettendosi in uno spazio. Hanno la peculiarità di crearlo lo spazio e non di esserlo come invece l’angolo è, se visto in planimetria. L’angolo, vissuto in prima persona, dà controllo visivo a chi lo possiede, dà sensazioni di potere. Da ciò ne deriva sicurezza mentale e data la conformazione chiusa (introversa) rassicura anche fisicamente.

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Fig. 1 07


Mi sono brevemente dilungato a spiegare il mio parere riguardo la terminologia perché ho sentito la necessità di chiarire delle sfaccettature, forse un po’ tediose, con le quali progettando si può dialogare. Di fatto <<senza una lingua, non si parla. Anzi, com’è noto, la lingua ci parla nel senso che offre strumenti comunicativi in mancanza dei quali l’elaborazione stessa dei pensieri sarebbe preclusa>>4. Precisamente la descrizione è indicata a ricreare sensazioni, che altrimenti non potrebbero essere espresse, o meglio, la descrizione scritta aumenta l’efficacia del disegno (fotografia o immagine), benché rimane, a mio avviso, il mezzo di comunicazione principale, più diretto ed efficace. Scrive J. N. L. Durand in Lezioni di architettura nel paragrafo intitolato Seguito dell’introduzione, di come studiarla l’architettura. In una parte parla specificatamente di quali disegni sono necessari per apprenderla: <<per presentare l’idea completa di un edifico, bisogna fare tre disegni, che si chiamano pianta, sezione, alzato: il primo rappresenta l’edificio secondo la direzione orizzontale, il secondo la sua disposizione verticale o la sua costruzione, il terzo infine, che non può essere che il risultato dei primi due, rappresenta il suo aspetto esterno>>5 (fig. 2). La peculiarità di questa rappresentazione sta nel fatto che la parte considerata è la zona terminale. Durand ha scelto di disegnare la porzione estrema di questi fantomatici edifici, perché è il nodo attorno al quale ruota la geometria della pianta, la composizione della facciata e la statica strutturale, che qui assume più coerentemente significato di tettonica. L’architettura ha attribuito allo spigolo funzione portante, per secoli la presenza era necessaria e ha prodotto notevoli risultati. <<Si osservi il convento dei Filippini ideato da Borromini; il blocco enorme, smembrato in settori funzionali rispetto agli spazi interni e alla città. Fronte concavo, che risucchia il mondo esterno; a sinistra, un angolo supremo, il più straordinario della

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Fig. 2

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storia dell’architettura, adesca nella stradina laterale; lunga parete opaca, con bucature quasi episodiche, dissonanti; giunti a piazza dell’orologio, lo slargo urbano stimola l’edificio ad elevarsi in una torre, sollecitando il cielo con arabeschi lineari di ferro battuto>>6. Quando questo elemento non viene più percepito come necessario e nuovi materiali vengono sperimentati, la sua presenza statica ed estetica viene messa in discussione, elaborando nuovi codici, portatori di nuovi valori <<nella formulazione del nuovo linguaggio architettonico, in cui si evidenzia il tema della discontinuità [...]. Ad esempio, la rottura della scatola muraria di Wright parte dall’idea dell’architettura come volume chiuso che viene aperto e lacerato: si contrapponga la Winslow House a scatola chiusa alla Thomas Gale o alla Ingalls House. Infrangere la scatola, è questa la ricerca sistematica e la vittoria di Wright: evento catastrofico determinante all’interno del nuovo linguaggio architettonico. Liberarsi della schiavitù delle mura attaccate ad angolo retto. Egli stesso descrive il processo di disgregazione, di annullamento dell’involucro scatolare per giungere all’interpretazione spaziale tra interno ed esterno; Wright risolve i quesiti che la poetica neoplastica andava enunciando. <<Penso di aver inizialmente pensato ‘consciamente‘ di cercare di abbattere la scatola nel Larkin Building. Trovai uno sfogo naturale alla liberazione che cercavo quando dopo una lunga battaglia finalmente spostai la torre con le scale fuori dagli angoli dell’edificio principale e la resi indipendente con caratteristiche individuali -scrive Wright...- Questo bisogno di ‘caratteristiche‘, l’avevo sentito molto presto nella mia vita di architetto [...]. Ora cercherò di mostrarvi perché l’architettura organica è l’architettura della libertà democratica. Diciamo che questa è la vostra scatola, ciò che voi vedete è il quadrato imballaggio del contenimento. Non ho mai avuto l’ambizione di

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essere un ingegnere, ma ne sapevo abbastanza di ingegneria per sapere che gli angoli esterni di una scatola non erano dove i suoi più economici supporti dovevano essere se intendi fare un edificio. Il supporto economico deve essere invariabilmente trovato ad una certa distanza da ogni lato. Mettendo dei supporti a questi punti si crea una breve travatura agli angoli che diminuisce la luce effettiva e lascia l’angolo libero e aperto per qualsiasi distanza si scelga. Ad ogni modo gli angoli spariscono sia che si scelga di lasciar entrare lo spazio sia che si scelga di lasciarlo uscire. Invece di una costruzione di travi e pilastri, il solito edificio a scatola, si ha ora per mezzo della travatura e della continuità un nuovo senso di costruzione. In questo semplice cambiamento di pensiero sta l’essenza del cambio architettonico dalla scatola al piano libero e la nuova realtà che è spazio invece di oggetto. Da questo momento in poi bisogna parlare di architettura organica, invece che di architettura classica [...].>> (An American Architecture, New York, pp. 76)>>7. Altre esperienze vengono compiute più tardi prima nel progetto per una Casa di campagna in mattoni (1924) o poi nel padiglione di Barcellona (1928-29) da Mies van der Roheche in questi due casi, <<ripercorrendo la strada del razionalismo, impone un ulteriore rottura alla scatola di Wright>>8. <<Il linguaggio architettonico di Mies si forma sui modelli della poetica De Stijl>>9 e sulla “poetica De Stjil” circolano pensieri molto significativi riguardo la visione e il disegno della scatola e dei suoi estremi.

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CAPITOLO II

LA SCATOLA Le caratteristiche di un solido

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<<Ci sono due concezioni del mondo: una antica e una nuova>>10 Così il gruppo De Stijl aprì nel novembre 1918 l’omonimo manifesto che aveva come obiettivo la combinazione organica dell’architettura, della scultura e della pittura in un modo costruttivo, lucido, non sentimentale, fatto per elementi. I firmatari (Theo van Doesburg, Robt van’t Hoff, Vilmas Huszor, Antony Kok, Piter Mondrian, G. Vantangerboo, Jon Wils) erano convinti che la tradizione, così come la si interpretava, era da disfare, bisognava lottare contro l’individualismo e ogni forma di accademismo che limitasse la capacità creativa. Di simili vedute era anche il Bauhaus di Gropius, che nel 1919 veniva fondato a Weimar grazie all’unione della Scuola d’arte applicata (Kunstgewerbeschule) e l’Istituto superiore di Belle Arti (Kunstakademie). Le due esperienze non erano distanti, anzi sempre nel 1919 Bruno Taut e Theo van Doesburg si incontrarono a Berlino per un confronto, dal quale nacque l’intento di creare un corso attorno al De Stijl, che tuttavia si concretizzò solo nel 1922. Intanto anche gli Stati Uniti d’America, specialmente New York e Chicago, sviluppano una loro forma architettonica, che però stenta a diventare un linguaggio codificato. Esempio di notevole importanza è il concorso bandito nel 1922 dal quotidiano Chicago Tribune perché fu la prima occasione di confronto per gli architetti europei ed americani ai quali si offrì <<una possibilità di concentrare l’attenzione su aspetti formali e di creare un prototipo per la “rivalutazione estetica“ delle città americane>>11. Si conclude con la costruzione di un grattacielo che anche se di concezione strutturale moderna presenta una facciata neogotica con guglie e archi rampanti. Passato il periodo di crisi postbellico, van Doesburg sette anni dopo il manifesto scrisse i principi fondamentali dell’architettura neoplastica, con i quali tende a strutturare un metodo per una migliore elaborazione dell’architettura. Con quest’ultimo postulato egli afferma nuovamente la necessità di

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un’identità propria, scissa dalla storia e come <<convergenza di tutte le arti plastiche>>12. Questo in ambito europeo si differenziava dalla dialettica di Le Corbusier che alla progettazione offre soluzioni derivate in parte dallo studio delle proporzioni umane. A tal proposito Bruno Zevi afferma che van Doesburg esprime un processo e Le Corbusier offre degli elementi. <<Ne deriva che il manierismo purista lecorbuseriano è assai più diffuso di quello neoplastico [...]. In breve, Le Corbusier dice il CHE, Wright il PERCHE’, van Doesburg il COME dell’architettura>>13. Parlando del COME in architettura ci si riferisce all’idea di oggetto architettonico (per l’appunto oggetto perché come tale è creato, quindi pensato) che van Doesburg con i 17 principi regola, dà una serie di risposte a dei problemi della <<nuova concezione del mondo>>14 dal punto di vista progettuale e compositivo. Un passaggio molto interessante si trova nell’undicesimo principio: l’aspetto plastico: quarta dimensione dello spazio-tempo (fig.3). Il De Stijl, dice Zevi, è stato l’<<unico tentativo di elaborare un codice per l’architettura moderna, propugnò un’operazione rigorosa, generalizzabile. Se il problema consiste nel disfare il blocco prospettico, dobbiamo anzitutto sopprimere la terza dimensione, decomponendo la scatola, scindendola in lastre. Non più volumi. Una stanza? No, sei piani: il soffitto, quattro pareti, il pavimento. Scollando le giunture, emancipiamo i setti, la luce penetra negli angoli già bui, lo spazio si anima. E’ l’uovo di Colombo, un decisivo avvio alla libertà architettonica. La cavità rimane cubica ma, così illuminata, appare completamente diversa. Prolunghiamo il ragionamento. I setti sono oramai indipendenti, possono sconfinare dal perimetro della vecchia scatola, estendersi, alzarsi o abbassarsi, valicare i limiti che separavano fin qui l’interno dall’esterno. La casa, la

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Fig. 3 17


città può trasformarsi in un panorama di lastre blu, gialle, rosse, bianche e nere, come sognava Mondrian. Smembrata la scatola, i piani non ricomporranno più i volumi finiti, contenitori di spazi finiti; anzi, fluidificheranno gli ambienti agganciandoli e incastrandoli in un discorso continuo. Alla staticità del classicismo subentra una visione dinamica, temporalizzata o, se si vuole, quadridimensionale>>15. Nell’arte c’è però un precedente: l’avanguardia cubista è la prima corrente artistica che rompe la convenzione rinascimentale della prospettiva e dà la possibilità al pittore di vedere un oggetto da varie angolazioni (spazio) e in diversi momenti (tempo). Trasponendo ciò in architettura, significa che uno spigolo, o più in generale ogni elemento (un fundamental) può assumere diverse accezioni. Se il punto di vista cambia l’elemento si può rivelare cavo all’interno e quindi apparire come una nicchia, oppure, se posto in una giusta posizione può creare due ambienti e di conseguenza essere percepito come una parete. Le possibili implicazioni sarebbero molte e varie. Per parlare di questo approfonditamente bisognerebbe scrivere un libro, l’argomento è troppo complesso e variegato, però nel capitolo successivo proverò a dare una breve interpretazione. Ora faccio un passo indietro. Per spiegare la ‘nascita’ di questo elemento è necessario astrarre lo spigolo e incominciare a ragionare sul foglio di carta. La bidimensionalità serve a comprendere meglio il processo di transizione che porta dalla linea retta alla linea spezzata o angolo (vedi spiegazione differenza angolo-spigolo di pag. 6), passaggio necessario per la dimensione spaziale. <<Poiché le linee spezzate sono costituite da linee rette, esse appartengono alla categoria I [NdA categoria della linea] e vengono collocate nella seconda sezione di questa categoria B. La linea spezzata nasce dalla pressione di due forze, nel modo seguente (fig 4). Le forme più semplici delle linee spezzate sono costituite da due parti e

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sono il risultato di due forze che hanno arrestato la propria azione solo dopo un urto. Ma questo semplice processo crea una differenza importante tra le linee rette e le linee spezzate: in queste ultime si ha un contatto molto più intenso con la superficie, la linea spezzata porta già in sé qualcosa che appartiene alla natura della superficie. La superficie sta nascendo, e la linea spezzata diventa un ponte. Le differenze fra le innumerevoli linee spezzate dipendono esclusivamente dall’ampiezza degli angoli, perciò esse possono essere divise in tre tipi schematici: - ad angolo acuto 45° - ad angolo retto 90° - ad angolo ottuso 135° Gli altri sono angoli acuti o ottusi atipici e differiscono dai tipici per la maggiore o minore ampiezza di gradi. Così, alle tre prime linee spezzate può essere aggiunta una quarta -una linea spezzata aschematica: - ad angolo libero e così questa linea spezzata dovrà essere designata come linea spezzata libera. L’angolo retto si erge solitario nella sua grandezza e varia solo la sua direzione. Gli angoli retti in contatto tra loro non possono essere più di quattro: o si toccano con i vertici, e in questo caso si forma una croce, o attraverso il contatto dei lati divergenti si creano superfici rettangolari -nel caso più regolare il quadrato. La croce orizzontale-verticale è costituita da una linea calda e una fredda -non è altro che la posizione centrata dell’orizzontale e della verticale. Da ciò deriva la temperatura freddocalda o caldofredda dell’angolo retto- a seconda della sua direzione; su questo parlerò più lungamente nel capitolo sulla superficie di fondo. L’ulteriore differenza nelle linee spezzate semplici è data dalla lunghezza dei

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singoli segmenti -che modificano molto il suono fondamentale di queste forme. Il suono assoluto delle forme date dipende da tre condizioni e varia nel modo seguente: - suono delle rette con le variazioni suddette (fig. 5) - suono dell’inclinazione verso una tensione più o meno acuta (fig. 6) - suono dell’inclinazione verso una minore o maggiore conquista della superficie (fig. 7) Questi tre suoni possono formare una pura triade. Ma si può anche usare un solo suono, o due suoni. Ciò dipende dalla costruzione generale: i tre suoni non possono essere eliminati completamente, ma uno qualunque di essi può sovrapporsi agli altri in modo tale che questi possono a stento essere ancora uditi. Dei tre angoli tipici il più oggettivo, e perciò anche il più freddo, è l’angolo retto. Esso divide la superficie quadrata in 4 parti. L’angolo che ha la massima tensione, e perciò anche il più caldo, è l’angolo acuto. Esso scompone la superficie quadrata in 8 parti esatte. Superato l’angolo retto, si indebolisce la tensione in avanti, e la voglia di conquista della superficie aumenta in conseguenza. Ma questo desiderio viene ostacolato dal fatto che l’angolo ottuso non è in grado di dividere esattamente tutta quanta la superficie: esso vi è compreso 2 volte e ne lascia una parte di 90° non conquistata>>16. La classificazione di Kandinskij serve a comprendere come sulla superficie di fondo si possano ottenere diverse sensazioni attraverso l’uso accurato del colore e delle forme. Ad esso va però inteso che se l’angolo acuto è il più caldo deriva dal fatto che questi sono gesti realizzati su una superficie ben definita (la tela) e che oltre ad avere due dimensioni è anche statica, cioè non può essere ruotata variandone il punto di vista e nemmeno può avere le caratteristiche di un solido, che nello spazio “vive” e si trasforma, quindi può

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Fig. 4

Fig. 5

Fig. 6

Fig. 7

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assumere, come ho già detto, accezioni diverse. Ora vorrei analizzare attraverso le parole di Le Corbusier quello che, secondo la mia modesta opinione, è tra i tanti l’Angolo per antonomasia: l’angolo retto, attorno al quale gran parte dell’architettura moderna ha costruito teorie e progetti. Mies van der Rhoe, il movimento De Stijl sia in arte sia in architettura, la scuola del Bauhaus e Le Corbusier stesso, ne hanno dichiarato la purezza esaltandone le caratteristiche nelle molte teorie e progetti della prima metà del 900. <<L’angolo retto è lo strumento necessario e sufficiente per agire, dato che serve per delimitare lo spazio con un rigore perfetto>>17, ma non solo, perché esso ha anche delle caratteristiche peculiari che sin dalla “nascita” lo costruiscono, <<la perfezione dell’angolo retto risiede, così, innanzitutto nell’essere il risultato geometrico dell’incontro, tra la verticale e l’orizzontale, di due leggi fondamentali: è la legge della gravità quella che produce la verticale, mentre l’orizzontale è il piano del suolo terrestre o del livello in cui finalmente le acque trovano stabilità, la linea orizzontale. [...] Il livello orizzontale delle acque, punto di equilibrio in mezzo alla mutevolezza e instabilità della natura. E’ questo incontro tra l’appiombo verticale della gravità e quell’orizzontalità ‘livellata’ ciò che conferisce all’angolo retto la sua perfezione:<<... dell’infinità di angoli possibili, l’angolo retto è l’angolo tipo; l’angolo retto è uno dei simboli della perfezione>>. Di lì l’esistenza di uno spirito ortogonale, simbolo del persistente, del terreno fermo su cui poggia la creazione umana, mentre l’obliquo è sempre l’espressione di ciò che è instabile>>18. A ciò non si può aggiungere altro, sottolineo solo due aspetti chiave nella lettura dell’angolo. Il primo è strumento necessario il secondo rigore perfetto, sono questi che danno alle caratteristiche di un solido la potenza per far diventare maestosa l’Architettura.

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CAPITOLO III

IDEA DELLO SPAZIO Un punto di vista

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Cambiato il punto di vista la percezione dello spazio, fino a poco prima chiaramente avvertito, cambia; nella fattispecie ci muoviamo in tre direzioni e le variazioni sono continue. Quest’utilizzo dello spazio “totale” dà la possibilità di vivere un ambiente in diverse situazioni. Da ognuna di esse si ha un punto di osservazione che permette differenti letture del luogo abitato, di ciò che ci circonda ma soprattutto ci orienta permettendoci di riconoscere ed associare gli elementi che compongono il paesaggio ad una immagine conosciuta. <<Perspectiva è una parola latina, significa vedere attraverso>>19. La riflessione in questo senso può cominciare già dal disegno su carta, o meglio, da <<una finestra, attraverso la quale noi cerchiamo di guardare lo spazio>>20, perché dopo aver geometricamente codificato la prospettiva nel rinascimento oggi siamo decisamente istruiti a capire un disegno con la 3° dimensione, la profondità. Con questo intendo dire che avendo acquisito le conoscenze tecniche per rappresentare ciò che vogliamo possiamo anche capire meglio come lo spazio si articola. La conoscenza, intesa come consapevolezza e comprensione dei fatti, dà la possibilità di ottenere, attraverso l’esperienza, le informazioni necessarie per interpretare un fenomeno (dal greco phainomenon -ciò che è manifesto, visibile). Questa interpretazione però non è rigida, univocamente riconoscibile. Lo esemplifico con un fatto: guardando il Cubo di Necker (fig. in copertina del capitolo) ci si rende conto che i nostri sensi possono essere illusi. In realtà secondo gli studi della Gestalt (die gestalt significa figura, forma, configurazione), la figura può essere vista secondo tre diversi punti di vista: il primo e meno comune suggerisce una lettura bidimensionale; quindi noi vediamo serie di linee che formano figure geometriche semplici come triangoli, rombi e trapezi. La seconda e la terza sono molto simili e indicano la presenza di un cubo ma in due posizioni diverse. L’interpretazione è soggettiva, ma in ogni

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modo giusta sia che lo si veda con la faccia superiore rivolta verso di noi sia che la si veda nascosta. Analogamente lo spazio tridimensionale può essere avvertito in maniere diverse, <<l’ambiente fisico, sociale, produttivo, è un principio attivo che influenza la persona, costruisce la sua coscienza; e siccome vi è diversità da persona a persona, l’ambiente e la persona determinano un comportamento>>21. Così lo spettatore interpreta Giulio Paolini che compone <<delle tele giustapposte a segnare l’angolo di un ambiente, inteso come elementare punto di origine di uno spazio – sviluppa le più diverse configurazioni ottiche, mettendo in gioco lo scarto tra il presupposto logico – il dato elementare e razionale – e la complessità illogica e mutevole della percezione>>22 (fig. 8). Interpretabile in questo senso è anche la Casa de retiro spiritual di Emilio Ambasz. Dalla vallata può apparire come un cubo, ma in realtà è composto da due pareti dove sono poste altrettante scale che a loro volta portano a due altri spazi ben definiti. Questo insieme di cose lo percepiamo come unitario, e nonostante la mancanza di un confine materiale, vengono definiti due ambienti: uno interno ed uno estero (fig. 9). La costruzione di questi due volumi non è neutrale rispetto al tempo, con esso dialogano dando la possibilità di esistere in più forme e con più significati (davanti-dietro, sotto-sopra, destra-sinistra). Nelle tele bianche di Paolini questa possibilità viene amplificata, a tal punto che l’assenza di punti di riferimento suggerisce uno spazio infinito dove virtualmente tutto può essere astrattamente contenuto, in antitesi con La prospettiva come <<forma simbolica>> scritto da Erwin Panofsky dove viene affermato che <<la percezione ignora il concetto d’infinito>>23. In riferimento all’argomento Rosalind Krauss nel dopoguerra scrive a proposito dell’opera di Giacometti:<< [...] non esiste oggetto che ci sia dato in

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Fig. 8

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Fig. 10

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maniera neutra, per essere poi modificato dalla distanza da cui lo vediamo o dall’angolatura che adottiamo. Distanza e punto di vista non si aggiungono all’oggetto, ma sono inerenti al suo stesso significato, come i suoni che sottendono il nostro linguaggio con un senso già dato da sempre, distinguendoli così dal puro rumore o dal caos. <<Un uomo a duecento passi non è forse più piccolo che uno a cinque passi?>> chiede Merleau-Ponty al suo lettore. <<Egli lo diviene solo se lo isolo dal contesto percepito e se misuro la grandezza apparente. Altrimenti, non è né più piccolo né del resto eguale in grandezza: è al di qua dell’eguaglianza, è lo stesso uomo visto da più lontano>>. I “dati” percettivi sono così ricaratterizzati come significati che le cose presentano da un certo punto di vista>>24. Detto ciò, nella Gipsoteca canoviana di Scarpa (fig. 10 e 11), a mio avviso, si può leggere un’opposta maniera di trattare lo spazio, invece che crearne uno la stanza è svuotata di quattro elementi: gli spigoli superiori. Da essi si ricava <<lo spigolo vetrato>>25 che <<diventa un blocco azzurro spinto verso l’alto, e quando si è all’interno la luce illumina perfettamente tutte le quattro pareti>>26. La funzionalità di questi è ottima e la fattura tanto raffinata da rendere il progetto uno dei migliori esempi museali di sempre. La composizione di questi spazi può essere riassunta così: - vuoto, il volume è sgombro di ogni oggetto, ma è idealmente abitabile (fig. 8) - pieno, il volume è definito e può contenere altri luoghi (fig. 9) - vuoto nel pieno, in un volume ben definito tolgo della massa e creo un nuovo elemento (fig. 10) -pieno nel pieno, in un volume ben definito aggiungo un elemento modificandone la massa (fig. 11) Nonostante la “semplicità“ di questi tre progetti si può intendere bene come la varietà delle interpretazioni è notevole. Molto dipende dal punto di vista

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e dal tempo. In un cuntinuum spazio-tempo gli oggetti prendono la forma che naturalmente hanno, questo concetto sta alla base della percezione che noi abbiamo del mondo. Preso per assunto questo, <<l’illusionismo che avvolge la bottiglia di Boccioni è dovuto a un’illusione del movimento che rimanda a sua volta a un modello di integrazione concettuale. Perché l’illusione funzioni, si deve vedere nella bottiglia un elemento che trascende lo spazio reale. Al contrario, la radicalità dei rilievi d’angolo di Tatlin proviene dal rifiuto che si esprime di qualsiasi spazio trascendentale [...]. Ogni rilievo d’angolo si organizza apertamente in funzione della giunzione delle due pareti piane che Tatlin usa come supporti fisici della sua opera. All’opposto del piedistallo dello Sviluppo di una bottiglia, questo elemento architettonico -l’angolo- fa pienamente parte dello spazio reale della stanza in cui sono esposti i Controrilievi. Là dove il piedistallo, in Boccioni, mette l’oggetto scultorio tra parentesi e lo strappa dallo spazio naturale, dichiarando che il vero contesto dell’opera differisce in un modo o nell’altro, l’angolo investito da Tatlin invece permette di insistere sull’interpretazione del rilievo e dello spazio del mondo, continuum da cui il suo significato dipende. A differenza della spina dorsale della bottiglia che organizza l’opera intorno a un nocciolo fittizio, l’elemento centrale e verticale del Rilievo d’angolo rimanda dunque esplicitamente alla piega verticale formata dall’incontro tra le pareti reali. Il rilievo si legge come una proiezione in avanti di questo elemento architettonico specifico. E, come la prua di una nave che fende una massa d’acqua va compresa nel suo doppio rapporto con il volume in movimento di cui costituisce il più importante punto fermo [...]>>27. Cuntinuum vuol dire continuare. Mentre Boccioni intende staccarsi completamente dallo spazio, appunto trascenderlo, Tatlin ne fa parte nel senso che si

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lega con le proprie radici culturali per portare avanti un pensiero in continua crescita, in altre parole asseconda il tempo. Naum Gabo, connazionale di Tatlin e portatore anch’esso dei valori costruttivisti, aveva avuto a che fare con il concetto di cuntinuum e <<mirava piuttosto a rilevare una realtà trascendente che a manifestare la realtà fattuale. [...] La chiarezza dell’opera con cui svelava la struttura dell’opera condusse a qualificare i suoi oggetti e le sue teorie come “costruttiviste” . [...] La primissima molla di questo dogma non era altro che il principio di costruzione da Gabo battezzato “stereometria“. Lo espone nella sua forma più semplice attraverso un piccolo diagramma che accompagna un articolo sui fondamenti del metodo costruttivista. Il diagramma mostra le immagini di due cubi uno accanto all’altro. Il cubo I è un solido ordinario che, come gli oggetti che percepiamo nello spazio reale, ci presenta una veduta spaziale di sé: essendo chiuso, ne vediamo solo tre lati. Quanto al cubo II, è costruito diversamente: le sue quattro facce verticali sono state soppresse e, al loro posto, due piani in diagonale tagliano l’interno del cubo intersecandosi ad angolo retto al suo centro. I due piani contribuiscono a strutturare un volume cubico - servendo da armatura o da supporto ai piani inferiore e superiore della figura - e al tempo stesso di vedere l’interno della forma. Secondo Gabo, questo secondo cubo aperto non si accontenta di rivelare uno spazio solitamente nascosto dalla chiusura dei volumi, rivela il nocciolo dell’oggetto geometrico, diventato tanto esplicito quanto il principio di intersezione stessa, e rende la figura comprensibile secondo un modo analogo a quello dei teoremi geometrici che isolano e danno a vedere le caratteristiche essenziali dei solidi [...]>>28. La stereometria fa parte della geometria che si occupa dello studio e della misurazione dei solidi e dello studio delle caratteristiche delle figure immu-

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cubo I

cubo II

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tabili per effetto di un gruppo di trasformazioni. Con essa l’architettura si confronta. «L’architettura come la musica si percepisce nella quarta dimensione, nella dimensione del tempo e della memoria oltre che nelle tre dimensioni dello spazio»29.

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CAPITOLO IV

SENSAZIONI NELLO SPAZIO Un diverso punto di vista

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Tutto quello che facciamo ha una rilevanza estetica. Il gusto estetico è una coscienza critica che attiviamo continuamente: l’atto del vestirsi lo richiede, il muoversi tra la gente e lo scegliere le parole giuste in una conversazione o in un testo, come questo. Attiviamo tutti sensi per vivere, ma quello visivo e tattile sono i sensi maggiormente usati quando si cerca di cogliere la forma dell’architettura, la sua sostanza. In fondo noi siamo attenti alla forma, molto spesso ne siamo più attratti rispetto al contenuto, purtroppo è una questione di possibilità, nel senso che oggi è molto più facile collezionare informazioni varie (e nella maggior parte dei casi superficiali) con una velocità infinitamente maggiore rispetto ai mezzi posseduti trent’anni fa. Di fatto molta della nostra conoscenza, come ho già detto all’inizio, è direttamente influenzata dai motori di ricerca che in breve tempo e dappertutto nel mondo ci mostrano le informazioni che cerchiamo (già pronte e confezionate). Da questo si possono fare delle osservazioni immediate e quindi trarre delle conclusioni utili ai propri fini, tutto questo risparmiando fatica. La forma è solitamente la prima “immagine“ che troviamo perché arriva priva di filtri al nostro intelletto, ci fermiamo alla “cultura dell’immagine” poiché banalmente non sono necessarie sovrastrutture per comprenderla, è una questione di gusto; al contrario, il pensiero che arricchisce (e fa nascere) la forma è più difficile da cogliere poiché per capirlo è necessario un background culturale che porti ad un ragionamento. Ai fini della ricerca architettonica è quindi più semplice progettare un oggetto “di buon gusto” e quindi “bello” che però spesso porta ad architetture “vuote” di contenuto e, quindi, mediocri. <<Nel dichiarare che la forma non è l’obbiettivo immediato del lavoro dell’architetto, bensì soltanto il risultato, Mies sembra avvertirci che l’ansia di giungere alla bellezza fa si che spesso ce ne allontaniamo>>30. Scrivendo della

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bellezza è immediato riferirsi al fatto che non si può trovare nulla di più incerto, non si ha mai un parametro inequivocabile sul quale fare affidamento. Se la bellezza è sinonimo di piacere, allora si potrebbe dire che quello che ci allieta è bello, ma naturalmente lo è solo ai nostri occhi. Un esempio potrebbe essere il nobile Don Chisciotte che in una semplice contadina vede la più bella imperatrice della Castiglia -La Mancia affibiandole pure un nome, simbolo della sua bellezza, Dulcinea del Toboso. Senza alcuna pretesa cito pure Nino Costa; egli innamorato dei suoi paesaggi scrive una poesia che nella malinconia per la recente scomparsa del figlio partigiano, rende soave la bellezza del cielo di Torino. Trascritti a fianco ci sono gli ultimi versi di Nivole esemplificativi di un sentimento così sano e potente da non poter immaginare altro che delle bellissime nuvole. Tutto questo si basa su una concezione di valori che possono essere definiti come “canonici”, ma se per un attimo invertissimo questi valori -base del mondo e della società- potremmo ottenere un giudizio inquietante ai più. Come sarebbe la bellezza filtrata attraverso occhi di un folle? Erasmo da Rotterdam nell’Elogio della follia esprime un punto di vista a riguardo: <<Felicità? [...] Mettiamo che uno si nutra di salamoia di pesce marcio, di cui un altro non potrebbe neanche sopportarne l’odore; per lui, però, sa di ambrosia: che differenza c’è, ditemelo, dal punto di vista della felicità? E se a uno invece fa schifo lo storione, che importa per vivere felici? Se uno ha una moglie straordinariamente brutta, che però secondo il marito potrebbe gareggiare perfino con Venere, non sarebbe lo stesso che se fosse bella davvero? Se uno ammira e va in estasi per un quadro impiastricciato male di minio e di ocra, persuaso che è un dipinto di Apelle o di Zeusi, non sarebbe anche più felice di chi ha pagato un occhio della testa un’opera autentica di quegli artisti, ricevendo forse meno piacere dal fatto di contemplarla?>>32.

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Quando arriverà l’ora più grande: l’ultima, e mi chiederanno che cosa ho fatto di bello io risponderò che ho guardato le nuvole: le nuvole che vanno... attraverso il cielo.31

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Condividere o meno tali parole è questione di “gusto” appunto. Io ne sono affascinato poiché penso che la qualità delle cose è data in gran parte dal valore che ad esse attribuiamo. Inoltre la follia è relativa tanto quanto la bellezza: basti pensare alla capacità che un uomo ha di compiere dei gesti “normali“. Mi spiego meglio, se per una persona agli inizi del novecento era “normale” arrampicarsi senza protezioni ad un centinaio di metri di altezza per costruire un grattacielo, oggi questo è considerato folle, proibitivo ai più per la paura di cadere. Come ho già detto per il gusto e la bellezza, anche la normalità è relativa, ad essa ci si riferisce quando un carattere o condizione segue la norma, ne è conforme, quindi consueta, ordinaria, regolare. Al di fuori troviamo cose con le quali non abbiamo confidenza, che spesso non ci piacciono, cose alle quali cerchiamo di trovare un rimedio, modificando o sostituendo il pezzo indesiderato. Per trovare questo equilibrio possiamo ricorrere alla memoria visiva che si esprime attraverso la rappresentazione, emblema e sintomo di una voglia di <<ritrovare la propria identità e l’origine degli oggetti del proprio desiderio [...]. Goethe aveva l’abitudine di dire ciò che non ho disegnato non l’ho visto. Il vedere è un fare per difendersi dall’assenza>>33. Se al fatto del vedere si aggiunge l’atto del guardare i nostri gusti vengono influenzati. Infatti ci sono studi che hanno permesso di capire come collocare cartelli, che dimensioni dargli e come e cosa scrivergli, solo per riuscire ad attirare maggiore attenzione. Basta leggere alcune pagine di Learning from Las Vegas di Robert Venturi, Denise Scott Brown e Steven Izenour per capirne alcuni aspetti. L’attenzione ai particolari e lo studio dell’aspetto possono influenzare le esigenze di una persona a tal punto che le formalità diventano importanti per il giusto progetto di una stanza, per la quale <<un uomo che abbia sensibilità estetica si torturerà su ogni particolare. Il telefono, per

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esempio: dove lo collocherò? Sotto la scala forse, o a un angolo buio del corridoio, dove non attiri l’attenzione. Intanto interro i cavi elettrici che attraversano il giardino, occulto gli interruttori dentro gli armadi a muro o sotto le mensole, fa serpeggiare i fili là dove cade l’ombra dei pavimenti >>34. Il gusto estetico è opinabile, naturalmente, ma se in un progetto il ragionamento precede la conclusione formale, l’analisi critica che scaturisce acquisisce un valore diverso. E’ come se si portasse il discorso su un piano “superiore” , che non deve dare la sensazione di essere “in una posizione più alta“ o sovrastante. Il semplice fatto di non seguire il “gusto ordinario“ crea una coscienza personale che quindi non è più opinabile sotto certi aspetti. Cos’è che ha valore in un disegno o in un’opera d’arte? Il gesto, l’idea che sta dietro, non l’oggetto in sé.

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CAPITOLO V

L’ELEMENTO Lo spigolo nell’Archiettura

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“I judge an architect by how he handles the corner“ Mies

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freddo

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curvo

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caldo

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geometrico

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composto

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scavato

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percepibile

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infinito

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tettonico

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smaterializzato

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svuotato

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mancante

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CAPITOLO VI

IMMAGINI AGGIUNTIVE

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Immagini del capitolo I

varie scale

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ordine dorico

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angolo

spigolo

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un angolo supremo

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scatola chiusa

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abbattere la scatola

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Immagini del capitolo II

De Stijl - Bauhaus - Chicago Tribune

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disfare il blocco prospettico

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diverse accezioni

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punto di equilibrio

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spirito ortogonale

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Immagini del capitolo III

perspectiva

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l’ambiente e la persona determinano un comportamento

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tempo

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illusionismo - cuntinuum

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Immagini del capitolo IV

rilevanza estetica

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la bellezza è sinonimo di piacere

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Come sarebbe la bellezza filtrata attraverso occhi di un folle? 76


La musica congelata di un elemento

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CITAZIONI

CAPITOLO I 1 - Bruno Zevi, Il linguaggio moderno dell’architettura, Premessa, Milano, Einaudi, 1973 2 - Mariana Siracusa, Angoli, in “Inventario 07”, p. 38 , Milano, 2013 3 - Giacomo Devoto Gian Carlo Oli, Dizionario della lingua italiana, Milano, Edumond Le Monnier, 2008 4 - Bruno Zevi, Il linguaggio moderno dell’architettura, Premessa, Milano, Einaudi, 1973 5 - J. N. L. Durand, Lezioni di architettura, pp.29-30, Milano, Clup, 1986 6 - Bruno Zevi, Il linguaggio moderno dell’architettura, p.41, Milano, Einaudi, 1973 7 - Benincasa Carmine, Architettura come dis-identità. Teoria delle catastrofi e architettura, cap III, Bari, Dedalo libri, 1978 8 - Ibid 9 - Ibid CAPITOLO II 10 - Manifesto De stijl, novembre 1918 11 - William J. R. Curtis, L’architettura moderna dal 1900, p. 220, Phaidon, 2006 12 - Theo van Doesburg, I principi fondamentali dell’architettura neoplastica, punto 17, 1925 13 - Bruno Zevi, Poetica dell’architettura moderna, p.114, Torino, Einaudi, 1974 14 - Theo van Doesburg, I principi fondamentali dell’architettura neoplastica, 1925 15 - Bruno Zevi, Il linguaggio moderno dell’architettura, pp.37-38, Milano, Einaudi, 1973 16 - Wassily Kandinsky, Punto linea superficie, pp. 71-75, Miliano, Adelphi, 2010 17 - Le Corbusier, Urbanisme, Parigi, 1925 18 - Le Corbusier, Poème de l’angle droit, pp. 183, Milano, Mondadori, 2007 CAPITOLO III 19 - Erwin Panofsky, La prospettiva come <<forma simbolica>>, p. 11, Milano, Abscondita, 2007 20 - Ibid 21 - Attilio Marcolli, Teoria del campo, p.146, Firenze, Sansoni Editore, 1991 22 - Maddalena Disch, Giulio Paolini. Catalogo ragionato 1960-1999, vol. 2, p. 892, cat. n. 94, Milano, Skira editore, 2008, 23 - Erwin Panofsky, La prospettiva come <<forma simbolica>>, p. 14, Milano, Abscondita, 2007 24 - Rosalind E. Krauss, L’originalità dell’avanguardia e altri miti modernisti, p. 270, Roma, Fazi Editore, 2007 25 - Passi tratti dalla registrazione di una lezione, Volevo ritagliare l’azzurro del sielo, Rassegna (Carlo Scarpa, Frammenti 1926/1978), Milano, 1981 26 - Ibid 27 - Rosalind E. Krauss, Passaggi, storia della scultura da Rodin alla Land Art, pp.63-66, Milano, Mondadori Editori, 1998 79


28 - Rosalind E. Krauss, Passaggi, storia della scultura da Rodin alla Land Art, pp.67-68, Milano, Mondadori Editori, 1998 29 - Josè A. Dols, intervista a Ignazio Gardella, in “L’architettura oggi”, pp. 9-10, Novara, 1977 CAPITOLO IV 30 - Carlos Marti aris, Silenzi eloquenti, p. 42, Milano, Christian Marinotti Edizioni, 2002 31 - Nino Costa, Tempesta, Nivole, Torino, Viglongo, 1983 32 - Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, p. 159, Milano, Rizzoli, 2009 33 - Claude Raffestin, Dalla nostalgia del territorio a desiderio di paesaggio, p. 45, Firenze, Agenda Editrice, 2005 34 - Junichiro Tanizaki, Libro d’ombra (lett. Elogio dell’ombra), p. 4, Bologna, Tascabili Bompiani, 2011

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BIBLIOGRAFIA

- Attilio Marcolli, Teoria del campo, Firenze, Sansoni Editore, 1991 - Attilio Marcolli, Teoria del campo 2, Firenze, Sansoni Editore, 1991 - Benincasa Carmine, Architettura come dis-identità. Teoria delle catastrofi e architettura, Bari, Dedalo libri, 1978 - Bruno Zevi, Il linguaggio moderno dell’architettura, Milano, Einaudi, 1973 - Bruno Zevi, Poetica dell’architettura moderna, Torino, Einaudi, 1974 - Carlos Marti aris, Silenzi eloquenti, Milano, Christian Marinotti Edizioni, 2002 - Claire Zimmerman, Mies va der Rohe, Germania, Taschen, 2007 - Claude Raffestin, Dalla nostalgia del territorio a desiderio di paesaggio, Firenze, Agenda Editrice, 2005 - Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, Milano, Rizzoli, 2009 - Erwin Panofsky, La prospettiva come <<forma simbolica>>, Milano, Abscondita, 2007 - Giacomo Devoto Gian Carlo Oli, Dizionario della lingua italiana, Milano, Edumond Le Monnier, 2008 - J. N. L. Durand, Lezioni di architettura, Milano, Clup, 1986 - Josè A. Dols, intervista a Ignazio Gardella, in “L’architettura oggi”, Novara, 1977 - Junichiro Tanizaki, Libro d’ombra (lett. Elogio dell’ombra), Bologna, Tascabili Bompiani, 2011 - Le Corbusier, New world of space, New York, 1948 - Le Corbusier, Poème de l’angle droit, Milano, Mondadori, 2007 - Le Corbusier, Urbanisme, Parigi, 1925 - Maddalena Disch, Giulio Paolini. Catalogo ragionato 1960-1999, vol. 2, cat. n. 94, Milano, Skira editore, 2008 - Manifesto De stijl, novembre 1918 - Mariana Siracusa, Angoli, in “Inventario 07”, Milano, 2013 - Nino Costa, Tempesta, Nivole, Torino, Viglongo, 1983 - Passi tratti dalla registrazione di una lezione, Volevo ritagliare l’azzurro del sielo, Rassegna (Carlo Scarpa, Frammenti 1926/1978), Milano, 1981 - Rosalind E. Krauss, L’originalità dell’avanguardia e altri miti modernisti, Roma, Fazi Editore, 2007 - Rosalind E. Krauss, Passaggi, storia della scultura da Rodin alla Land Art, Milano, Mondadori Editori, 1998 - Theo van Doesburg, I principi fondamentali dell’architettura neoplastica, 1925 - Ulrich Conrads, Manifesti e programmi per l’architetura del XX secolo, Firenze, CentroDi, 1970 - Vittorio Pizzigoni, Ludwig Mies van der Rhoe gli sritti e le parole, Torino, Einaudi, 2010 - Wassily Kandinsky, Punto linea superficie, Miliano, Adelphi, 2010 - William J. R. Curtis, L’architettura moderna dal 1900, Phaidon, 2006 - Wolfgang Köhler, La psicologia della Gestalt, Milano, Feltrinelli, 1989

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INDICE DELLE IMMAGINI

- pag. 03 - pag. 07 - pag. 09 - pag. 13 - pag. 17 - pag. 21 - pag. 21 - pag. 23 - pag. 27 - pag. 27 - pag. 27 - pag. 31 - pag. 33 - pag. 41 - pag. 44 - pag. 45 - pag. 46 - pag. 47 - pag. 48 - pag. 49 - pag. 50 - pag. 51 - pag. 52 - pag. 53 - pag. 54 - pag. 55 - pag. 59

- pag. 60 - pag. 61 - pag. 62 - pag. 63 - pag. 64

Michelangelo Buonarroti, studio di fortificazione, 1500 (fig. 1) Monte Cervino, Parete Sud Est, Picco Muzio (fig. 2) J. N. L. Durand, Lezioni di architettura, combinaison verticales d’Arcades, 1802-1805 Zevi Bruno, Il linguaggio moderno dell’architettura, sintassi della scomposizione quadridimensionale (parziale), 1973 (fig. 3) Hans Richter, Rhythmus 21, pellicola B/W, (sinistra) min. 0:57 e (destra) min. 1:27, 1921 (fig. 4,5,6,7) Wassily Kandinsky, Punto linea superficie, linee spezzate o ad angolo, 1968 (in basso) Daniel Libeskind, torre dell’olocausto, 1999 Louis Albert Necker, Cubo di Necker, illusione ottica, 1832 (fig. 8) Giulio Paolini, Ut-op, 1966 (fig. 9) Emilio Ambasz, Casa de retiro espiritual, 1975 (fig. 10,11) Carlo Scarpa, Gipsoteca canoviana, grande sala con finestre a triedro, 1957 Naum Gabo, diagramma che mostra un cubo volumetrico (Cubo I) e un cubo stereometrico (Cubo II), 1937 Robert Boyle, contenitore che si autoriempie, metà 1600 Senza titolo Josef Hoffmann, Stoclet house, 1905 Erich Mendelsohn, centro commerciale, 1926 Luigi Moretti, complesso di uffici ed abitazioni, 1950 Riccardo da Lentini, Castel del monte, 1240 Aldo Rossi, complesso fontivegge, 1982 Aires Mateus, House in Fontinha, 2014 Ludwig Mies van der Rohe, progetto di una casa di campagna in mattoni, 1924 Carlo Scarpa, Tomba Brion, angolo esterno, 1978 Archizoom, No stop city, 1969 Biagio Rossetti, Palazzo dei Diamanti, 1493-1503 Eduardo Chillida, Fuerteventura, 1994 Ludwig Mies van der Rohe, Neue nationalgalerie, 1968 (da sinistra a destra) Mura Spagnole, Porta Romana, Milano, 1171 circa. Ildefons Cerdà i Sunyer, Piano Cerdà, Barcellona, 1860 circa. Pierre Chareau, Maison de verre, 1932. Juliaan Lampens, vandenhaute kiebooms house, 1970 Jacopo Barozzi da Vignola, Regola delli cinque ordini d’architettura, 1562 Senza titolo Francesco Borromini, Oratorio dei Filippini, 1637-1667 Frank Lloyd Wright, (sinistra) Gale house, 1909. (destra) Winslow house, 1893 Frank Lloyd Wright, Larkin building, 1904 83


- pag. 65 - pag. 66 - pag. 67 - pag. 68 - pag. 69 - pag. 70 - pag. 71 - pag. 72 - pag. 73 - pag. 74 - pag. 75 - pag. 76 - pag. 77

(da sinistra a destra) Theo van Doesburg, Maison particuliére, 1923. Bauhaus, Haus am Horn, 1923. Hood & Howells, Chicago Tribune, 1922 Bruno Zevi, Il linguaggio moderno dell’architettura, sintassi della scomposizione quadridimensionale (completo), 1973 Comlongon castle, Scozia, XV sec. Città ideale di Berlino, 1477 circa Le Corbusier, Museo a crescita illimitata, 1939 Wenzel Jamnitzer, Perspectiva Corporum Regularium, 1568 Kurt Lewin, Formula della “Teoria del campo”, 1961 Angelo Invernizzi & Ettore Fagiuoli, Villa girasole, 1935 (dall’alto) Umberto Boccioni, Sviluppo di una bottiglia nello spazio, 1913. Vladimir Tatlin, rilievo d’angolo, 1915 Sconosciuto Carlo Mattioli, Paesaggio con albero verde, 1989 Manoscritto Voynich, codice illustrato, tra 1404-1438 Castagnurin, Parco del Ticino, Abbiategrasso

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GABRIELE BASILICO, Milano, 1995 - stampa fotografica b/n ai sali d’argento

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Pubblicato su ISSUU: http://issuu.com/aless-m/docs/la_musica_congelata_di_un_elementoPer commenti o consigli: alessandro.m.visia@gmail.com +39 3403176930



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