APPUNTI DI ANALISI MATEMATICA
LIMITI - CONTINUITÀ - DERIVABILITÀ - INTEGRABILITÀ
Lezioni del prof. Alessandro Miniati I.P.S.I.A. "A. Pacinotti" - Pescia Anno scolastico 2011 – 12 Versione 2.0.458 Data: venerdÏ 30 marzo 2012
-2-
Cap. 1
Cap. 1
LIMITI DELLE FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE
LIMITI DELLE FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE
0.
Introduzione Approfondiamo lo studio delle funzioni reali di variabile reale e, a tale scopo, introduciamo un nuovo concetto, quello di “limite” che è uno dei più importanti dell'analisi matematica perché ad esso faremo riferimento quando dovremo introdurre altre proprietà (ed esattamente: la continuità, la derivabilità e l'integrabilità delle funzioni). Per meglio chiarire questo concetto fondamentale, cominciamo con alcune considerazioni di carattere intuitivo, servendoci di un linguaggio geometrico, sia pure impreciso ma intuitivo. Sia f x una funzione reale di variabile reale definita in un intervallo [ a , b ] e sia c un punto interno a tale intervallo. Molte volte, qualunque sia la circostanza che si presenta per la f x in c, della quale non ci occupiamo, interessa esaminare i valori che essa assume, quando alla x si attribuiscono valori di [ a , b ] prossimi al numero c; in altre parole interessa studiare il comportamento della f x in convenienti intorni del punto c, escluso sempre il punto c. I casi che si incontrano sono del tipo di quelli illustrati nelle figure 1, 2, 3, 4 e 5. A) Può darsi che attribuendo ad x valori “sufficientey mente vicini” a c, i corrispondenti valori di y = f x risultino “sufficientemente vicini” ad un numero
l ∈ℝ (fig. 1). Più precisamente, fissiamo un numero
ε0 , arbitrariamente piccolo, e consideriamo la striscia orizzontale (cioè la parte di piano compresa fra due rette parallele all'asse x) avente come mediana la retta y = l e semi-ampiezza ε . Può darsi che sia possibile determinare un intorno H c di c (dipendente in generale da quella striscia e quindi dal numero che abbiamo scelto arbitrariamente e cioè ε) tale che per ogni x ∈Hc il corrispondente punto della curva sia interno alla striscia, cioè abbia una ordinata f x che differi-
l ε
l
O
y=f(x)
l −ε c
x
Hc
fig. 1 sce, in valore assoluto da l, per meno di ε . In altri termini può darsi che in tali punti risulti verificata la seguente relazione:
l −ε<
o, ciò che è lo stesso:
f ( x)< l + ε
∣ f x − l ∣ε .
B) Può accadere che, attribuendo a x valori “sufficientemente vicini” a c, i corrispondenti valori della funzione f x risultino, in valore assoluto, sempre più grandi, oltrepassando qualunque numero fissato ad arbitrio. Più precisamente, fissato ad arbitrio un numero reale k > 0, può darsi che sia possibile determinare un intorno H c di c (dipendente in generale da k) tale che per ogni x il corrispondente punto della curva abbia un'ordinata che superi, in valore assoluto, il numero k (e in questo caso di dice che la curva diverge a ∞); ossia può darsi che in tali punti, diversi da c, risulti (figg. 2a, 2b, 2c): ∣ f x ∣k , oppure f x k , oppure f x −k .
-3-
Cap. 1
LIMITI DELLE FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE
y
y
y
k
y=f(x) c
O
x
-k
k
y=f(x) c
O
x
-k
y=f(x) c
O
Hc
Hc
x
-k
k
Hc
fig. 2a fig. 2b fig. 2c C) Il comportamento descritto in alle prime D) Inoltre, in alcuni casi, se assegniamo valori due lettere A) e B) può presentarsi, anziché in sufficientemente grandi alla x, i valori corrisponun conveniente intorno completo di c, in un denti di y tendono ad un valore finito l (fig. 4). + conveniente intorno destro Hc o sinistro del punto c e cioè Hc (fig. 3). y
y
l+ε y=f(x)
l1 H cH − c
O
c
y→l
l-ε
y=f(x)
l2
y=f(x)
O
N
x
x fig. 4
fig. 3 E) Infine, può capitare che, attribuendo a x valori “sufficientemente grandi” i corrispondenti valori diventino, in valore assoluto, sempre più grandi, oltrepassando qualunque numero fissato ad arbitrio (fig. 5a e fig. 5b).
y y → +∞
y
y=f(x)
k O
N
x fig. 5b
fig. 5a
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x y → −∞
O
N
-k
y=f(x)
Cap. 1
LIMITI DELLE FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE
1.
Limite finito per una funzione in un punto Sia f x una funzione definita in un intervallo [ a , b ] escluso al più un punto c di questo. Quanto detto nel al punto A) del paragrafo 0, viene rigorosamente precisato dalla seguente: 1a DEFINIZIONE - Si dice che la funzione f x per x tendente a c, ha per limite il numero l, e si scrive:
lim f x = l ,
xc
quando, in corrispondenza ad un arbitrario numero positivo ε, si può sempre determinare un intorno H c del punto c, tale che per ogni x ∈Hc , escluso al più il punto c, risulti soddisfatta la disequazione: o, ciò che è lo stesso, se:
∣ f x − l ∣ε ;
l −ε f x l ε .
Le ultime due disequazioni significano che i valori della f x differiscono da l, in valore assoluto, per una quantità inferiore al numero da noi arbitrariamente fissato, che è ε . ESEMPI. 1) Verificare che risulta: (1) lim 3 x1 =7 . x 2
Per provare ciò, dobbiamo far vedere che in corrispondenza ad un qualunque numero ε0 , la seguente disequazione: (2) ∣3 x1−7∣ε , è soddisfatta per tutti i valori della x che formano un intorno del punto x = 2 (tale punto appartiene all'asse x (!)). La disequazione (2) può essere anche scritta nella seguente forma: ∣3 x−6∣ε , che è equivalente a: 6−ε3 x6ε , che è risolta per: ε ε 2− x2 , 3 3 che dà origine a un intorno del punto di ascissa x = 2 (e ordinata nulla (!)). Quindi, resta provata l'esistenza, per un qualunque numero ε0 , di un intorno H 2≡ 2− ε , 2+ ε , tale che per ogni x ∈H 2 3 3 risulta soddisfatta la (2). Ciò significa, per la definizione di limite, che vale la (1). Si nota che la funzione f x =3 x1 , calcolata nel punto x = 2, vale proprio 7 infatti: f 3 =7 e perciò in questo caso risulta: lim f x = f 2
x 2
cioè: il limite coincide con il valore della funzione nel punto di ascissa x = 2. 2) Dimostrare che è : x lim = 2. x 4 x−2 Per provare l'uguaglianza precedente, fissiamo ε0 . Dopo si deve far vedere che esiste un intorno di 4 (e cioè H4), tale che, per ogni x ∈H 4 , x≠4 , si abbia: (1) ossia:
e quindi:
∣ x−2x −2∣ε , ε ; ∣4−x x−2∣ -5-
Cap. 1
LIMITI DELLE FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE
4− x ε . x −2 Da questa disequazione possiamo ricavare un sistema di due disequazioni confrontando, rispettivamente, il primo e il secondo termine e il secondo e il terzo termine e cioè: −ε
{ {
4−x ε x −2 4−x −ε x−2
ovvero: (2)
4−x ε x −2 . 4− x −ε x−2
Potendo supporre x −20 , (perché?), il sistema (2) si può scrivere: 4−x< ε x−2 ε da cui: x (ε+ 1)> 4+ 2 ε , 4−x> 2 ε−ε x x (ε−1)> 2 ε−4 ossia, assumendo (senza perdere nulla in generalità), ε1 e quindi ε−10 , risulta:
{
{
{
(3)
Il sistema (3), essendo:
42 ε ε1 . 2 ε−4 x ε−1 x
42 ε 2 ε−4 , ε1 ε−1 è verificato per: 42 ε 2 ε−4 x . ε1 ε−1 Con semplici operazioni, arriviamo a scrivere le disequazioni (4) in una forma migliore, cioè: 2ε 2ε 4− x4 ε1 1−ε che ci consente di comprendere che effettivamente si è formato un intorno del punto 4. Esercizi: 1) Provare che, se a∈ ℝ e a > 1, risulta: lim a x =1 . (4)
x0
2)
Provare che, se a∈ ℝ , a > 0 e a≠1, risulta: lim log a x =0 . x1
Osservazione. Negli esempi sopra riportati il valore del limite per x→c coincide con il valore della funzione per x = c cioè: lim f ( x )= f (c )= l .
(
x→ c
)
Bisogna però osservare che l'esistenza del limite di una funzione, in un dato punto c, è indipendente dal comportamento della funzione in quel punto. In altre parole, può accadere che nel punto c esista il limite della funzione, oppure che esista anche il valore della funzione in questo punto e questo sia diverso dal valore del limite, cioè sia l ≠ f c . E tutto questo perché l'esistenza del limite nel punto c non richiede necessariamente che la disequazione (1) debba essere soddisfatta per x = c. Da qui -6-
Cap. 1
LIMITI DELLE FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE
segue che se due funzioni f x e g x assumono gli stessi valori per ogni x ≠ c, e se, per es. si ha: lim g ( x)= l , allora risulta anche:
x →c
ESEMPIO Verificare che risulta:
lim f x = l .
xc
x 2 −4 =4. x 2 x−2 Dobbiamo dimostrare che, ∀ ε0 , la disequazione: 2 x −4 (1) −4 ε x−2 è soddisfatta per tutti i valori di x che formano un intorno del punto di ascissa 2, escluso x = 2 dove la funzione non è definita. Ma poiché per x ≠ 2 si ha: x 2 −4 x−2 x2 = = x 2 , x−2 x−2 la disequazione (1) equivale alla: 2−εx2ε , che è proprio un intorno del punto x = 2. Si nota che per x = 2 non esiste il valore della funzione, mentre nel punto x = 2 esiste finito il limite. ESERCIZI Verificare che risulta : x 2 −5 x 6 1 lim = ; a) 6 x 2 −9 x3 x−3 lim =2 3 . b) x 3 x− 3 lim
∣
∣
2. Definizione di limite infinito per una funzione in un punto Il comportamento della funzione descritto al punto B) del primo paragrafo viene rigorosamente precisato dalla seguente: 2a DEFINIZIONE Si dice che la funzione f x per x tendente a c, ha per limite l'infinito (oppure che diverge all'infinito), e si scrive: lim f x =∞ , xc
quando, in corrispondenza ad un arbitrario numero reale positivo M, si può trovare sempre un intorno H c del punto c tale che per ogni x ∈Hc , x ≠ c, risulta: ∣ f x ∣M , cioè la f x assume valori, in modulo, maggiori di M. Se in H c , escluso c, vale invece sempre la disequazione: f x M , si ha che : lim f x = + ∞ ; se invece vale la disequazione: si ha che:
xc
f x −M , lim f x = −∞.
xc
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Cap. 1
LIMITI DELLE FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE
ESEMPIO Verifichiamo che risulta:
lim −
x0
A tale scopo, bisogna far vedere che la disequazione: 1 − M , (1) x è soddisfatta, qualunque sia il numero M > 0, da valori che formano un intorno del punto 0, escluso il punto 0. La (1), infatti, equivale alla: 1 ∣x∣ , M che è soddisfatta quando: 1 1 − x , M M e questi valori formano un intorno H0 del punto 0. Il grafico della funzione è riportato qui a destra (fig. 6). ESERCIZIO Verificare che risulta:
1 =∞ . x
∣ ∣
M
H0
-M
fig. 6
1 =+ ∞ . 2 x 1 1−x lim
3.
Limite destro e sinistro di una funzione. Può accadere che non esista il limite di f x per x→c, ma un tale limite esista quando si con+ siderino solo i valori di f x che appartengono ad un intorno destro: c< x< c+ δ ( δ∈ℝ ) del punto c (ancora privato, ovviamente, del punto c), oppure ad un intorno sinistro: c−δ< x< c ( δ∈ℝ+ ) . Si dà quindi la seguente: 3a DEFINIZIONE. Si dice che il numero scrive:
l è il limite destro della funzione
f x , per x→c, e si
lim f x = l ,
x c
quando, in corrispondenza a un arbitrario numero reale positivo ε, si può sempre trovare un intorno destro H c del punto c tale che per ogni x ∈Hc , escluso eventualmente il punto c, risulti soddisfatta la disequazione:
∣ f x − l ∣ε .
Se l'intorno H c , invece, è un intorno sinistro del punto c, allora si dice che il numero l è il limite sinistro di f x , per x→c, e si scrive:
lim f x = l . −
xc
Analoghe definizioni si possono dare per i limiti: lim f x =∞ e lim f x =∞. x c−
Si può dimostrare che se i limiti destro
x c
l 1 e sinistro l 2 esistono e sono uguali, cioè l 1= l 2= l allora
l è il limite di questa funzione (per x→c) nel senso della 1 -8-
a
definizione. Viceversa, se una funzione
Cap. 1
LIMITI DELLE FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE
± ha per limite l, per x→c, allora i limiti destro e sinistro di queste funzioni x c esistono e sono uguali. ESEMPIO ∣x∣ Sia data la funzione: y=2 x . Verificare che risulta: x lim f x =−1 e lim f x =1 . (1) − x 0
x 0
Per provare la prima delle (1), si osserva che, dovendo calcolare il limite sinistro della funzione f x per x tendente a 0, ci interessano solo i valori negativi della x: per tali valori essendo ∣x∣=−x , la funzione data diventa: −x 2 x =2 x−1 . x Premesso ciò, dobbiamo fare vedere che il sistema: ∣2 x −1−−1∣ε , con ε0 arbitrario, x0 ammette soluzioni che formano un intorno sinistro del punto 0, escluso al più lo 0. Risolvendo il siε stema, si trova che è soddisfatto per: − x0 , 2 e tali soluzioni formano proprio un intorno sinistro dello 0. In modo del tutto analogo, tenendo presente che per x > 0 si ha ∣x∣= x , si prova che vale la seconda delle (1). Possiamo quindi affermare ∣x∣ che la funzione f x =2 x , nel punto 0 non x ammette limite, né esiste il valore della funzione in tale punto; pur tuttavia, sempre nello stesso punto, esiste il limite sinistro e destro e valgono, fig. 7 rispettivamente, −1 e 1. Il grafico della funzione data è rappresentato nel grafico di fig. 7. Esercizio. Se a∈ ℝ e a > 1, verificare che risulta: lim log a x=−∞ .
{
x 0
4.
Definizione di limite per una funzione all'infinito Il comportamento della funzione descritto alla lettera D) del primo paragrafo, viene rigorosamente precisato dalle seguenti: 4a DEFINIZIONE . Si dice che la funzione f x , per x tendente all'infinito, ha per limite il numero
l, e si scrive:
lim f x = l ,
x∞
quando, in corrispondenza a un arbitrario numero ε0 , si può determinare un numero N > 0, tale che per ogni x che verifica la condizione: ∣x∣N , (1) si abbia:
∣ f x − l ∣ε ,
cioè i corrispondenti valori della f x differiscano tutti da l, in valore assoluto, meno di ε . Se la (1) è soddisfatta soltanto per x N , oppure soltanto per x−N , allora si dice che esistono, -9-
Cap. 1
LIMITI DELLE FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE
rispettivamente, i limiti:
lim f x = l e lim f x= l .
x + ∞
x - ∞
5a DEFINIZIONE. Si dice che per x tendente all'infinito la funzione f x ha per limite l'infinito, e si scrive: lim f x =∞ , x ∞
quando, in corrispondenza a un arbitrario M > 0, è sempre possibile determinare un numero N > 0, tale che per ogni x verificante la condizione: ∣x∣ N , si abbia: ∣ f x ∣ M , cioè i corrispondenti valori della f x siano tutti, in valore assoluto, maggiori di M. Se invece per ∣x∣N risulta sempre f x M , oppure f x −M , allora si dirà che esistono rispettivamente i limiti: lim f x =∞, lim f x=−∞ . x ∞
x ∞
Se per x > N risulta sempre ∣ f x ∣ M , oppure f x M , oppure f x −M , allora si dice che esistono rispettivamente i limiti: lim f x =∞ , lim f x=∞ e lim f x=−∞ . x ∞
x ∞
x ∞
x −∞
x −∞
x −∞
Se, infine, per x−N risulta sempre ∣ f x ∣ M , oppure f x M , oppure f x −M , allora si dice che esistono rispettivamente i limiti: lim f x =∞ , lim f x=∞ e lim f x=−∞ . ESEMPIO Verifichiamo che risulta:
x1 =1. x x∞ Per provare quanto scritto sopra, in base alla definizione 4a, dobbiamo dimostrare che la disequazione: x1 −1 ε , (2) x qualunque sia ε0 , è soddisfatta per valori della x che risultano, in valore assoluto, maggiori di un certo numero positivo N (che diy=1+ε pende da ε ). y=1 La disequazione (2) è equivalente y=1-ε 1 alla disequazione: che è ε , x soddisfatta quando si verifica che: 1 ∣x∣ =N , ε e ciò prova la (1). Il grafico della funzione è quello riportato in fig. 8. lim
(1)
∣
∣
∣∣
fig. 8 ESERCIZI 1) Verificare che risulta:
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Cap. 1
LIMITI DELLE FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE
lim
x - ∞
1− x =∞ .
Se a∈ ℝ+ e a > 1, verificare che risulta: x x lim a =0 , lim a =+ ∞ e lim log a x =+ ∞ .
2)
x - ∞
x + ∞
x + ∞
5.
Definizione di limite in termini di intorni La definizione di limite data in precedenza si può riscrivere in termini di intorni nella seguente maniera. Sia A un sottoinsieme di ℝ e c∈ ℝ . Il punto c si dice che è un punto di accumulazione di A quando in ogni intorno di c cadono infiniti punti di A. Ad esempio se consideriamo l'insieme di numeri reali: 1 A= x∣x= , n∈ℕ , n si può dimostrare che 0 è un punto di accumulazione di A. Sia f: A→B (dove A, B ⊆ ℝ ) e c un punto di accumulazione di A. Si dice che la funzione f tende
{
verso l, per x→c, e si scrive:
}
lim f x= l , x c
quando, dato un qualunque intorno U di l, esiste sempre un intorno V di c, tale che si abbia: ∀ x∈ V∩A ∖ { c } ⇒ f x ∈U .
Questa definizione possiede il vantaggio di applicarsi sia al caso in cui l è sostituito da uno dei simboli: ∞ , ∞ , −∞ sia nel caso in cui c è sostituito da uno di tali simboli. 6.
Teoremi fondamentali sui limiti In questo paragrafo dimostreremo alcuni importanti teoremi sui limiti, e per semplicità, considereremo solo i casi in cui i limiti, per x→c, sono finiti. Con semplici cambiamenti è possibile estendere tali dimostrazioni anche ai casi in cui il limite sia ∞, e quando x→∞. Teorema 6.1 Unicità del limite. Se esiste il limite della funzione f x , per x→c, tale limite è unico. Dim. Supponiamo per assurdo che invece esistano, per x→c, due limiti
l 1 e l 2 , con l 1≠ l 2 . Pos-
siamo supporre, senza perdere niente in generalità, l 1 l 2 . Per la definizione di limite, ∀ ε0 , scelto arbitrariamente, devono esistere due intorni H1 e H2 di c , tali che per ogni x ∈H1 x≠c si abbia: (1)
H1
l 1−ε f x l 1ε
H2 c
e, per ogni x ∈H 2 x≠c si abbia: (2)
l 2−ε f x l 2ε .
Nell'intorno H c=H1∩H2 (ved. fig. 9) le relazioni scritte sopra devono valere simultaneamente. Possiamo scegliere un ε abbastanza piccolo perché risulti:
l 1ε 1
l 2−ε
1
cioè: ε
Hc
fig. 9
l 2− l 1 2
.
Precisamente, se abbiamo due numeri distinti (ad es. 4 e 5) è evidente che 4 < 5. Ciò non toglie che se aggiungiamo una quantità arbitraria a 4 e 1 1 togliamo la stessa quantità a 5 la relazione d'ordine precedente continua ancora a valere. Infatti, la seguente relazione è vera: 4+ < 5− . 10 10
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Cap. 1
LIMITI DELLE FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE
Questa disuguaglianza ci permette di trovare il legame che unisce la (1) alla (2) in modo tale che possiamo scrivere:
l 1−ε
(3)
f x
l 1ε
l 2−ε
f x
l 2ε ,
che costituisce una relazione chiaramente assurda poiché confrontandone il secondo e il quinto termine si ottiene: f x f x . Da qui, dunque, discende l'unicità del limite.• Si è così provato che una funzione in un punto c non può avere due limiti finiti distinti. Ma con un ragionamento analogo al precedente, si può provare che nel punto c la funzione non può avere contemporaneamente per limite ∞ e −∞, e nemmeno un limite finito e uno infinito. E così pure si prova il teorema se c è ∞ o ∞ o −∞ . Teorema 6.2 Teorema della permanenza del segno. Se per x tendente al numero c la funzione f x tende ad un limite finito l non nullo, esiste un intorno del punto c per ogni x del quale, escluso al più il punto c, la funzione assume valori dello stesso segno del suo limite. Dim. Per ipotesi si ha che: lim f x= l ≠0 . Per provare la tesi, osserviamo innanzi tutto che essenx c
do, per ipotesi, l ≠0 , risulta:
∣l ∣0 . Preso allora ε=∣l ∣, per definizione di limite, in corrispondenza
di questo numero, esiste un intorno Hc del punto c (ved fig. 10), tale che per ogni x ∈Hc , xc , risulta:
l −∣l ∣ f x l ∣ l ∣.
(1)
c Hc
fig. 10
l > 0 sarà anche ∣l ∣= l ovvero l −∣l ∣=0 e, dalla (1), segue: f x 0 . Analogamente, nel secondo caso, se è l < 0 sarà anche ∣l ∣=−l ovvero l ∣l ∣= l − l =0 e, ancora dalla (1), segue: f x 0 . Poiché x∈H , escluso al più il
Esaminiamo, uno per uno, i due casi possibili. Nel primo caso, se è
c
punto c, da questi due risultati segue la validità della tesi.•
Oss. Il teorema vale ancora se è l =∞ o l =−∞ . Teorema 6.3 Criterio del confronto. Se f x , h x e g x sono tre funzioni definite nello stesso intervallo, eccettuato al più il punto c di questo, e se per ogni x risulta: f x ≤h x ≤ g x , (1) e se, inoltre, è : lim f x=lim g x= l ,
(2)
x c
allora risulta anche:
x c
lim h x= l . x c
Dim. Per la definizione di limite, applicata alla prima delle (2), in corrispondenza di un numero ε0 , fissato ad arbitrio, possiamo determinare un intorno H1 del punto c tale che per ogni x ∈H1 ,
∣
∣
x diverso da c, risulta: f x − l ε , ossia: (3)
l −ε f x l ε . - 12 -
Cap. 1
LIMITI DELLE FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE
Sempre per la definizione di limite, applicata alla seconda delle (2), in corrispondenza di un numero ε0 , fissato ad arbitrio, possiamo determinare un intorno H 2 del punto c tale che per ogni x ∈H 2 , x diverso da c, risulta:
l −ε g x l ε .
(4)
Posto H c=H 1∩H2 , per ogni x ∈Hc diverso da c, valgono simultaneamente la (3) e la (4). Tenendo conto delle (1), (3) e (4), per ogni x ∈Hc diverso da c, si ha :
l −ε f x ≤h x ≤g x l ε ,
da cui segue immediatamente che:
l −εh x l ε ,
e, dalla definizione di limite, si ha che:
∣h x − l ∣ε .
(5)
Così si è dimostrato che in corrispondenza di un numero ε0 , fissato arbitrariamente, esiste un intorno H c del punto c tale che per ogni x ∈Hc , x diverso da c, vale la (5). Ma, in base alla definizione di limite, possiamo scrivere che: lim h x= l x c
che prova la validità della tesi.• Il teorema continua a valere se l è ∞ o −∞. ESERCIZIO. Proviamo che: lim senx=0 , (1) x 0
e: (2)
lim cosx =1. x 0
π , si ha: 0∣senx∣∣x∣ e 2 poiché lim ∣x∣=0 , per il teorema 6.3 possiamo anche scrivere: lim senx=0 , che prova la (1).
Dim. Infatti, per valori della x non nulli e in valore assoluto minori di x 0
x 0
Per provare la (2), consideriamo la ben nota uguaglianza:
x . 2 Siccome il limite di una costante è la costante stessa e, come vedremo in seguito, il limite della dif ferenza di due funzioni è uguale alla differenza dei limiti (se essi sono finiti) delle due funzioni, si ha, facendo valere il risultato precedente: x lim cosx=lim 1−2 sen 2 =1−0=1. 2 x 0 x 0 cosx =1−2 sen 2
7.
Infinitesimi e loro proprietà fondamentali In questo paragrafo studiamo le funzioni il cui limite vale 0, ottenendo risultati utili anche perché semplificano le dimostrazioni dei teoremi successivi sui limiti. DEFINIZIONE. Si dice che la funzione f x è un infinitesimo per x→c (o per x→∞), quando risulta: lim f x =0 , oppure lim f x=0. x c
x ∞
Ne segue che quando una funzione è infinitesima ed è, per es. lim f x =0 , allora, per definizione x c
di limite, in corrispondenza ad un arbitrario numero ε > 0 è possibile determinare un intorno Hc di c, tale che per ogni x∈Ηc, escluso al più il punto c, si ha: ∣ f x ∣ε . Le funzioni infinitesime, per poterle distinguere dalle altre, saranno indicate con scritture abbreviate del tipo:
- 13 -
Cap. 1
LIMITI DELLE FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE
α [ = α x ] e β [= β x ] ,
e così via. ESEMPI. 2 1) La funzione: α x = x−3 è infinitesima per x 3, in quanto: 2 lim x−3 =0 . x 3
1 2) La funzione: α x = è infinitesima per x→∞, perché: x 1 lim =0 . x ∞ x Valgono i seguenti teoremi. Teorema 7.1 Se una qualunque funzione f x è tale che: lim f x= l ,
(1)
x c
allora ciò equivale a dire che, in un opportuno intorno di c: (2) f ( x )=α ( x )+ l ,
dove α x è infinitesima per x→c. Dim. Infatti, se vale il limite (1), allora in corrispondenza ad un numero ε0 fissato arbitraria-
∣
∣
mente, esiste un intorno Hc di c, per ogni x del quale, (escluso c), vale: f x − l ε , e, posto α ( x )= f ( x )− l ,si può scrivere: ∣α x ∣ε , per ogni x ∈Hc , e ciò prova che lim α x =0. x c
∣
∣
Viceversa, se vale la (2), allora è: ∣α x ∣= f x− l , e se lim α x=0 , allora in corrispondenza ad x c
un arbitrario ε0 , è possibile determinare un intorno H c di c, per ogni x del quale (escluso al più il
∣
∣
punto c), risulta: ∣α x ∣ε , cioè f x − l ε , che prova che lim f x = l . • Teorema 7.2 Se risulta: (1)
x c
lim α x =0 . x c
ed esiste un intorno H c di c, per ogni x del quale (escluso al più c) risulta: α x ≠0 , allora è: 1 (2) lim =∞ . x c α x Dim. Infatti, se vale il limite (1), significa che in corrispondenza ad un numero arbitrario ε0 , esiste un intorno H c di c, per ogni x del quale, (eccetto al più il punto c), risulta: ∣α x ∣ε , e per 1 1 ogni x dell'intorno H∩H c di c si ha anche: ε , e, posto =M , quest'ultima uguaglianza α x ε prova che vale il limite (2).• Teorema 7.3 La somma algebrica di un numero finito di infinitesimi è anch'essa infinitesima. Dim. Proviamo il teorema solo nel caso di due funzioni, poiché la dimostrazione resta la stessa anche per un numero maggiore di infinitesimi. Dunque si deve provare che se è: (1) lim α x =0 e lim β x =0 ,
∣ ∣
allora, posto u x =α x β x , risulta: (2)
x c
x c
lim u x=0. x c
Infatti, se valgono i limiti (1), allora fissato ad arbitrio un numero ε > 0, in corrispondenza a tale numero esiste certamente, per definizione di limite, un intorno H 1 del punto c, tale che per ogni x ∈H1 , (escluso al più il punto c), risulta: - 14 -
Cap. 1
(3)
LIMITI DELLE FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE
∣α x ∣ ε ,
2 e, per la stessa ragione, esiste un intorno H 2 di c tale che per ogni x ∈H 2 (escluso al più il punto c), risulta: ∣β x ∣ ε , (4) 2 Posto H=H1∩H2 (ved. Fig 9), per ogni x ∈H diverso da c, valgono contemporaneamente la (3) e la (4) e quindi: ∣α x ∣∣β x ∣ε , e, a maggior ragione2 vale anche: (5) ∣α x β x ∣ε . Fissato un qualunque ε0 , abbiamo visto che in corrispondenza a tale numero esiste un intorno H c di c, per ogni x del quale, escluso c, vale la (5). Ma ciò significa che la funzione: u x =α x β x , per x→c, tende a zero. Da qui deduciamo che vale la (2).• Analogamente si prova il teorema nel caso in cui: lim α x =0 e:
x ∞
lim β x =0.
x ∞
Teorema 7.4 Il prodotto di un infinitesimo α x per una funzione limitata f x , è un infinitesimo per x→c, (o per x→∞). Dim. Proviamo il teorema nel caso in cui x→c. Se la funzione f x è limitata per x→c, allora esiste un numero M > 0, tale che: ∣ f x ∣≤ M , (1) per ogni x di un opportuno intorno H1 di c. Inoltre, se α x è infinitesimo, allora in corrispondenza ad un arbitrario ε0 , è possibile determinare un intorno H 2 di c, per ogni x del quale, escluso c, si ha: ε ∣α x ∣ . (2) M Dalla (1) e dalla (2) segue che per ogni x ∈H=H1∩H2 (escluso c), si ha: ∣α x ⋅ f x ∣ ε ⋅M =ε , M che prova che il prodotto: α x ⋅ f x è infinitesimo.• La dimostrazione è del tutto analoga per il caso in cui x→∞. ESEMPIO. senx Dimostriamo che: lim =0. x x ∞ 1 Essendo lim =0 e ∣senx∣≤1 per ogni x∈ ℝ , per il teorema 7.4, si ha subito: x ∞ x senx lim =0. x x∞ Allo stesso modo si dimostra che: 1 lim x⋅senx =0. x x 0 Corollario 7.1 Se è: lim α x =0 x c
2
Infatti, per la disuguaglianza triangolare, dati due qualunque numeri reali a e b , si ha: ∣a + b∣≤∣a∣ + ∣b∣ .
- 15 -
Cap. 1
LIMITI DELLE FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE
e:
lim β x =0 , x c
allora risulta:
lim [ α x⋅β x ] =0 . x c
Infatti, β x è una funzione limitata per x→c. Questo risultato si estende ad un numero qualunque di infinitesimi. Corollario 7.2 Se è lim α x =0 e k = costante, allora risulta: x c
lim α x =0 . x c
α x , tra un infinitesimo α x e una funzione f x , il cui limite è Corollario 7.3 Il quoziente: f x diverso da zero, è un infinitesimo. 8.
Operazioni con i limiti In questo paragrafo elenchiamo i più importanti teoremi relativi alle operazioni sui limiti (le proprietà saranno provate nel paragrafo successivo). Se risulta: lim f x = l 1 e lim g x= l 2 con x c
x c
l 1 e l 2 numeri reali, allora si ha:
1°)
lim [ f x ±g x ] = l 1± l 2 ;
2°)
lim [ f x ⋅g x ] = l 1⋅l 2 ;
3°)
se
x c
x c
x c
∣l ∣;
lim ∣ f x∣=
4°) 5°)
l 2≠0 si ha: lim
x c
f x l1 = ; g x l
[ ]
2
1
se è:
lim f x = l 1 , lim g x=∞ ,
oppure:
lim f x =∞ , lim g x =∞ ,
oppure:
lim f x =−∞ , lim g x =−∞ ,
x c
x c
x c
x c
x c
x c
allora il limite della somma è, rispettivamente, ∞ , ∞ , −∞ ; 6°)
7°)
8°)
se è:
lim f x = l 1 ≠0 , lim g x=∞ ,
oppure:
lim f x =∞ , lim g x =∞ ,
risulta:
lim [ f x ⋅g x ] =∞ ;
se è:
lim f x =∞ e lim g x= l 2
risulta:
lim
Se è:
lim f x = l 1
x c x c
x c
x c
lim
risulta: Se è:
x c
x c
x c
9°)
x c
x c
[ ]
l ≠0, ∞ , 2
f x =∞ ; g x
[ ]
l ≠0, ∞ e lim g x =∞ , 1
x c
f x =0 ; g x
lim f x = l 1 x c
x c
l ≠0, ∞ e lim g x =0 , 1
x c
con g x ≠0 in un opportuno intorno del punto c, allora risulta: - 16 -
Cap. 1
LIMITI DELLE FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE
lim
x c
[ ]
f x =∞ . g x
9.
Dimostrazioni dei teoremi sui limiti Proviamo qui alcuni dei teoremi enunciati nel paragrafo precedente. Teorema 9.1 Se f x e g x sono due funzioni definite nello stesso intervallo, eccettuato al più il punto c di questo, e se esistono e sono finiti i limiti di queste due funzioni per x→c, allora anche la loro somma ha limite finito e coincide con la somma dei limiti. Dim. Siano: lim f x = l 1 e lim g x = l 2 . llora per il teorema 7.1, possiamo scrivere: x c
x c
f x = l 1 α x e g x = l 2 β x ,
dove α e β sono funzioni infinitesime. Pertanto si ha (sommando membro a membro): f x g x =
Poiché
l l α x β x . 1
2
l l è una costante e α x β x è un infinitesimo, essendo somma di infinitesimi, 1
2
sempre applicando il risultato del teorema 7.1, si può scrivere:
lim [ f x g x ] = l 1 l 2 .• x c
Teorema 9.2 Nelle ipotesi del teorema 9.1, il limite del prodotto coincide con il prodotto dei limiti delle singole funzioni. Dim. Posto, come nel teorema precedente, f x = l 1 α x e g x = l 2 β x , si ha (moltiplicando membro a membro): f x ⋅g x =
Il prodotto
l α x l β x = l ⋅l l 1
2
1
2
1β
x l 2 α x α x β x .
l ⋅l è costante e, per i teoremi del paragrafo 7, l'espressione: 1
2
l 1 β x l 2 α x α x β x
è infinitesima (per x→c). Pertanto risulta: lim [ f x ⋅g x ] = x c
l ⋅l . 1
2
In particolare, se k è una costante, si ha:
lim [ k⋅ f x ] =k lim [ f x ] =k l 1 .• x c
x c
Teorema 9.3 Se alle ipotesi del teorema 9.1, si aggiunge l'ulteriore ipotesi che sia l 2 ≠0 , allora esiste anche il limite del quoziente ed è uguale al quoziente dei limiti delle singole funzioni. Dim. Posto, come nei teoremi precedenti: f x = l 1 α x e g x = l 2 β x ,
consideriamo l'identità:
f x l 1 α x l 1 = = g x l β x l 2
da cui:
2
l 1 α x l 1 l 1 l 2⋅α x − l 1 β x − = , l 2 β x l 2 l 2 l 2⋅ l 2 β x
f x l 1 l 2⋅α x − l 1 β x = . g x l l 2⋅ l 2 β x 2
- 17 -
Cap. 1
LIMITI DELLE FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE
l 2⋅α x−l 1β x l1 , è un infinitesimo (per il è una costante e la frazione l2 l 2⋅ l 2 β x perché l 2⋅α x − l 1 β x è un infinitesimo, mentre il limite del denominatore è
Si nota che la frazione corollario 7.3) uguale a
l 22 ≠0 . Pertanto vale la tesi e cioè: lim
x c
Teorema 9.4 Se risulta:
f x l 1 = .• g x l 2
lim f x= l , x c
è anche:
∣∣
lim ∣ f x ∣= l . x c
Dim. In base alla definizione di limite, in corrispondenza ad un numero ε0 , arbitrariamente fissato, esiste un intorno H c del punto c tale che per ogni x ∈Hc , escluso al più il punto c, risulta: ∣ f x − l ∣ε .
Poiché:
∣∣ f x ∣−∣l ∣∣≤∣ f x − l ∣,
allora, a maggior ragione, per ogni x ∈Hc , escluso al più il punto c, si ha:
∣∣ f x ∣−∣l ∣∣ε ,
e quindi la tesi vale.• Osservazioni importanti. 1°) Ricordiamo che nulla si può dire, in generale, sul lim [ f x g x ] , quando è: x c
lim f x =∞ e lim g x =−∞ ; sul lim [ f x ⋅g x ] , quando è: lim f x=0 e lim g x =∞ ; x c
x c
x c
x c
x c
f x f x , quando è: lim f x =0 e lim g x=0 ; sul lim , quando è: lim f x=∞ e x c g x x c x c x c g x x c lim g x =∞ . Quindi i teoremi che abbiamo sopra dimostrato, perdono di significato quando i limiti sul lim x c
considerati si presentano sotto una delle forme:
0 ∞ ; , 0 ∞ che vanno sotto il nome di “forme indeterminate”, perché di un limite che si presenta sotto una di queste forme non si può dire a priori, quando esiste o quanto valga. ∞−∞ ; 0⋅∞ ;
2°) Si deve tener presente che i simboli: ∞ , ∞ , −∞ non rappresentano numeri e non hanno senso se non in relazione con un limite. Perciò sono assurde le scritture: 5 ∞ 3 =0; =∞ ; =∞, ∞ 4 0 proprio perché il simbolo ∞ non rappresenta un numero. Tuttavia, per comodità di scrittura, a volte si usa sintetizzare i teoremi dimostrati nel paragrafo precedente con scritture simboliche del tipo:
∞ ∞ =∞ ; −∞ −∞ =−∞ ; ∞ l = ∞ ; ∞ ⋅ ∞ = ∞ ; −∞ ⋅ −∞ =∞ ; 1 =0. Se ±∞
l ≠ 0, si usa anche scrivere simbolicamente: ∞ ⋅l =∞ , dove ∞ avrà il segno di l; - 18 -
Cap. 1
∞
l
LIMITI DELLE FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE
=∞ , dove, come prima, ∞ avrà il segno di l. Quindi il simbolo ∞ non è un numero e le nota-
zioni precedenti sono solamente delle forme simboliche abbreviate degli enunciati dei teoremi a cui si riferiscono. I teoremi 7.1 .. 7.4 ci assicurano che, quando esistono finiti i limiti delle due funzioni f x e g x in un punto c, nello stesso punto, esiste finito il limite della somma, differenza, prodotto e quoziente (ovviamente, deve essere lim g x ≠0 , g x ≠0 ). Bisogna però far presente che possono non valere x c
i teoremi inversi e precisamente: può benissimo esistere finito il limite della somma, differenza, prodotto e quoziente di due funzioni, senza che necessariamente debba esistere il limite delle singole funzioni. ESEMPI. 1) Consideriamo le seguenti due funzioni, definite per x ≠ 0: 1 2 1 f x =sen 2 e g x=cos . x x Evidentemente nessuna delle due funzioni ammette limite per x→0, perché in qualunque intorno di x= 0, esse compiono infinite oscillazioni sempre di ampiezza 1. Però la funzione somma: 1 1 s x = sen2 cos 2 x x vale sempre 1 ∀ x ≠ 0, ammette limite per x→0 e questo limite vale 1. 2) La funzione definita dalla legge: ∀ x2 ; f x = 2 3 ∀ x≥2 ; non ammette limite per x→2, perché lim f x =2, lim f x =3 . Così pure non ammette limite
{
x 2−
x 2
per x→2, la funzione g x =[ x ]=E x definita dalla legge: x , se x ∈Z, g x =E x =
{
all'intero immediatamente precedente x , se x ∉Z il cui grafico è riportato in fig. 11 ed è costituito da infiniti segmenti paralleli all’asse x, di misura 1u. e privati dell’estremo destro. Infatti, per es., per −2≤x−1 è y =−2 ma per x=−1 è y=−1 , per 1≤ x2 è y=1 ma per x=2 è y=2. E x rappresenta dunque la parte intera contenuta in x ed è nota come la funzione di Legendre (geometra e matematico francese vissuto fra il 1752 e il 1833). Calcoliamo alcuni valori di E x : 5 3 1 E =2 , E − =−2 , E 0 =0 , E − =−1 . 2 2 4 Inoltre risulta: lim E x =1 , lim E x =2 .
− x 2
fig. 11
x 2
Però la funzione differenza d x = f x −g x , ∀ x ≠ 3, x∈[1, 3] vale sempre 1, e quindi risulta: lim [ f x − g x ] =1 . x 2
Alla luce di quanto visto sopra, possiamo dunque concludere che i teoremi 9.1 .. 9.4, danno solo condizioni sufficienti, ma non necessarie, per l'esistenza del limite finito della funzione somma, differenza, prodotto e quoziente. ESERCIZI. - 19 -
Cap. 1
LIMITI DELLE FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE
Servendosi della definizione di limite, dimostrare che si ha: 1)
lim 3 x 2 1 =13 ;
2)
lim x 2 1 =10 ;
3)
lim x=3 ; ;
4)
lim x1=2 ;
5)
lim x6=2 ;
6)
lim x 35 =4 ;
7)
lim
5 =∞ ; x 3 x−3
8)
lim
1 =∞ ; x 4 x−2
9)
x 2
x 3
x 3
3
x 2
- 20 -
x 9
x −1
lim
x 0
2 x−5 x2
=−∞ .
Cap. 2
Cap. 2
FUNZIONI CONTINUE
FUNZIONI CONTINUE
0.
Introduzione Accanto alla nozione di “limite di una funzione”, si deve introdurre il concetto di “continuità di una funzione” che è un ulteriore completamento di quella. Si è visto che la nozione di limite per x→c riguarda il comportamento della funzione f x negli intorni H c di c, privati del punto c stesso, e pertanto non dipende affatto dal valore f c assunto da f x in c; anzi f x può non essere definita in c. Tuttavia, è chiaro che il caso in cui il valore del limite della f x per x→c sia uguale a f c sarà il caso più frequente. Quando ciò si verifica si dirà che la funzione è continua nel punto c. 1.
Definizioni Si dà la seguente definizione: si dice che la funzione f x , definita in un intervallo I =[ a , b ] è continua in c∈ a , b , se risulta: lim f x = f c . (1) xc
In altre parole, la funzione f x è continua nel punto c, quando si verificano queste tre circostanze: 1) esiste il valore della funzione nel punto c, 2) esiste il limite della funzione per x→c, 3) il limite coincide con il valore della funzione nel punto c. Osservazioni. 1) In base alla definizione di limite, la definizione data equivale alla seguente: la funzione f x è continua nel punto c se, in corrispondenza ad un arbitrario numero ε > 0, si può determinare un intorno H c del punto c, in modo che per ogni x ∈Hc (c compreso) si abbia:
∣ f x − f c ∣ε
(1a) ossia: 2) 2a)
f c −ε f x f cε . Se indichiamo il punto variabile x con c + h (h∈ ℝ ), allora la (1) si può scrivere: lim f ch= f c , h 0
oppure, equivalentemente: (2b)
lim [ f ch − f c ] =0 .
h 0
3) Dalla 2b) segue che la continuità di una funzione in un punto dato può essere interpretata, in termini geometrici, dicendo che la differenza delle ordinate del grafico della funzione y= f x nei punti c + h∈ a , b e c∈ a , b è arbitrariamente piccola in valore assoluto, quando l'incremento h è “sufficientemente piccolo” (ved fig. 1); cioè se f x è continua per x = c, a piccole variazioni della x, a partire da c, corrispondono piccole variazioni della funzione f x . Quando, invece della (1), vale soltanto la relazione: lim f x = f c , x c
y y=f(x) f(b) f(c+h) f(c)
f(a) O a c
} f ch− f c
h
c+h b
x
fig. 1 allora si dice che la funzione è continua a destra del punto x = c. Analogamente, se vale soltanto la relazione: lim f x = f c , allora si dice che la funzione è −
x c
- 21 -
Cap. 2
FUNZIONI CONTINUE
continua a sinistra del punto c. Per esempio, la funzione di Legendre y=[ x ]=E x , in x = 2 è continua soltanto a destra di tale punto. Se la f x è definita nel chiuso [ a , b ] , evidentemente nel punto x = a si può parlare soltanto di continuità a destra e nel punto x = b soltanto di continuità a sinistra. Quindi, per definizione: una funzione f x si dice continua nell'intervallo [ a , b ] se essa è continua in ogni punto di tale intervallo. Adesso, dopo aver definito analiticamente il concetto di continuità diamo la definizione più intuitiva di funzione continua in un intervallo da punto di vista grafico. A questo scopo diremo che una funzione y= f x è continua graficamente in intervallo [ a , b ] quando ne potremo tracciare il relativo grafico senza “staccare” dal piano lo strumento che usiamo per disegnare (la penna dal foglio, il gesso dalla lavagna, ecc.). 2.
Prime proprietà delle funzioni continue Dalla definizione di continuità e dai teoremi sui limiti possiamo provare i seguenti teoremi. Teorema 2.1 La somma di due funzioni continue in un punto c, è anch'essa una funzione continua nel punto c. Dim. Infatti è: lim [ f x g x ] = lim f x lim g x = f c g c . • xc
xc
x c
Considerazioni analoghe si possono ripetere per dimostrare i seguenti teoremi. Teorema 2.2 La differenza di due funzioni continue in un punto c, è anch'essa una funzione continua nel punto c. Teorema 2.3 Il prodotto di due funzioni continue è una funzione continua. Teorema 2.4 Il quoziente di due funzioni continue è una funzione continua, se nei punti considerati la funzione divisore non si annulla. Teorema 2.5 Se f x è continua in c, tale è anche ∣ f x ∣ . Teorema 2.6 Teorema della permanenza del segno. Se f x è continua in c∈ [ a , b ] ed è f x ≠0 , esiste un conveniente intorno H c di c, tale che per ogni x ∈Hc la f x assume valori dello stesso segno di f c . Dim. È sufficiente applicare il teorema della permanenza del segno studiato per i limiti e ricordare che in questo caso è: lim f x = f c . • x c
3.
La continuità delle funzioni elementari Quando sappiamo che la funzione f x è continua nel punto c, allora non solo esiste il lim f x , ma il valore di tale limite coincide per definizione, con f c , e perciò, in questo caso, il x c
calcolo del limite non presenta alcuna difficoltà. Per questo motivo è importante sapere quali sono le principali funzioni continue. Cominciamo con le: A) Funzioni razionali. 1°) Una funzione costante, f x , è continua in ogni punto e cioè: lim f x =k. Infatti, essendo x c
per ogni x: f x −k =0 , si ha: ∣ f x −k∣ ε , per ogni ε0 , arbitrario. Questo prova che f x =k è continua. 2°) La variabile x è continua in ogni punto: cioè: lim f x =c . Infatti, per ogni ε0 arbitrario, x c
la disequazione ∣x −c∣ε , è soddisfatta per: c−ε xcε , che risulta essere un intorno completo di c. Da queste due proprietà segue che: n x , con n∈N, è una funzione continua, perché prodotto di n funzioni continue. a) Per la stessa ragione: n b) kx , con k ∈ R, con k∈ ℝ , è una funzione continua. - 22 -
Cap. 2
c)
FUNZIONI CONTINUE
Inoltre: ogni funzione razionale intera: n
f x =∑ ai x i =a0 a 1 xa 2 x 2 ........a n x n ,
(3)
i=0
è continua per ogni valore della x, perché somma algebrica di n + 1 funzioni continue. d) Ogni funzione razionale fratta: A x f x = , B x dove A x e B x sono polinomi nella indeterminata x a coefficienti reali, è continua per tutti quei valori della x che non annullano il denominatore, perché quoziente di funzioni continue. B) Funzioni goniometriche. 3°) Le funzioni senx e cosx sono continue per ogni valore della x, cioè: lim senx=senc , lim cosx=cosxc, (4) x c
x c
Infatti, essendo lim senx =0 e lim cosx =1, posto x=ch , h∈R, per le formule di addizione del x 0
seno e del coseno, si ha: e:
x 0
senx=sen ch =sen c ⋅cos h cos c ⋅sen h ,
cos x=cos ch =cos c ⋅cos h −sen c ⋅sen h da cui, tenendo conto che, quando x→c allora h→0 e cos c e sen c sono limitati (perché in valore assoluto non superano il numero 1), si ha: lim senx=lim sen ch =lim senc⋅cosh lim senh⋅cosc =senc ; x c
x c
x c
x c
x c
x c
x c
xc
lim cosx=lim cos ch =lim cosc⋅cosh lim senh⋅senc =cosc.
Quindi vale la tesi. 4°)
La funzione tan x=
senx , in quanto quoziente di funzioni continue, è continua per ogni vacosx
π , k ∈Z , per i quali perde di significato. 2 Funzioni esponenziali. x La funzione y=a , a0 , è continua per ogni valore della x, cioè risulta, qualunque sia c:
lore della x≠ 2 k 1 C) 5°) (5)
lim a x =ac . x c
x
0
Infatti ricordiamo che risulta: lim a =a =1 , per ogni a > 0; se poniamo, allora, x=ch , h∈R, si ha:
x 0 x
lim a =lim a x c
h 0
ch
c h
c
h
c
= lim a a =a lim a =a , h 0
h 0
da cui discende la validità della tesi. Le proprietà della funzione a x studiate in algebra vengono riassunte nei due seguenti schemi: se: a > 1: ∞ per x ∞ x x a 1 a è positiva e crescente, per x 0 ; α β 0 per x −∞ cioè se: α < β ⇒ a a : + se: 0 < a < 1: 0 per x ∞ ax 1 a x è positiva e decrescente, per x 0 . ∞ per x −∞ cioè se α < β ⇒ a α a β : D) Funzioni logaritmiche. 6°) la funzione y=log a x , a0 , a≠1 , è continua per ogni valore positivo dell'argomento x, cioè risulta, qualunque sia il numero positivo c:
{ {
- 23 -
Cap. 2
FUNZIONI CONTINUE
lim log a x=log a c .
(6)
x c
Le proprietà della funzione y=log a x , studiate in algebra, vengono riassunte nei seguenti schemi: se a > 1: log a x è crescente, e: + per x 0 ; è positivo, per x > 1, log a x −∞ ∞ per x ∞ è negativo, per 0 < x < 1, è nullo, per x =1; ovvero, riassumendo: se: 0 < a < 1 log a x è decrescente, e: + per x 0 . è positivo, per 0 < x < 1, log a x ∞ −∞ per x ∞ è negativo, per x > 1, è nullo, per x =1; ovvero, riassumendo:
{ {
E) Funzione potenza e funzione irrazionale. Enunciamo le seguenti proprietà: 7°) La funzione y= x α , α∈R, è continua per ogni valore della x0; cioè qualunque sia il numero positivo c, si ha: lim x α=cα . x c
In particolare: n 8°) La funzione y= x è continua per ogni valore di x con x≥0, cioè qualunque sia il numero non negativo c, risulta: n n lim x= c . x c
ESEMPI. Si ha: a)
π 1 lim senx =sen = ; 6 2 π x
b)
6
x
3
c)
lim 5 =5 =125 ;
e)
π π 13 lim 2 tan 2 xcosx =2 tan 2 cos = ; f) 3 3 2 π x
x 2
x d) lim 3 2 log x
x 3
x1
3
OSSERVAZIONE. La funzione definita da:
lim x 3 −5 x 2 7 =−5 ;
{
1 y= xsen x 0
2 =32 log 12=5 ; x
x 2−3 x7 17 lim = . 2 x1 11 x 5
per x≠0 , per x=0 ;
è evidentemente continua per x ≠ 0, perché è un prodotto delle due funzioni continue x e sen
Però essa è continua anche per x = 0, perché si è dimostrato che risulta: lim x sen
∣
∣ ∣ ∣
x 0
1 . x
1 =0 , e 0 è pure x
1 1 =∣ x∣⋅ sen ≤∣ x∣ , il grafico della curva è x x situato nella regione del piano compresa fra le rette y=±x. Il grafico raggiunge la retta y=x nei il valore della funzione per x = 0. Inoltre: ∣ y∣= x sen
- 24 -
Cap. 2
punti di ascissa: x=
1 π 4 k 1 2
FUNZIONI CONTINUE
1 , con k ∈Z, cioè nei punti dove risulta: sen =1 ; raggiunge invece x
la retta y=−x nei punti di ascissa: x=
1 π 4 k −1 2
, con k ∈Z,
1 cioè nei punti dove risulta: sen =−1. La x funzione inoltre assume il valore 0 negli in1 finiti punti di ascissa x= , con k ∈Z . kπ Perciò in qualunque intorno dell'origine essa assume valori positivi e negativi, compiendo oscillazioni le cui ampiezze vanno smorzandosi se x→0. Ne segue un grafico del tipo di quello riportato nella figura qui accanto, che, nell’intorno dell’origine, non può più venire disegnato a causa dell'addensarsi, sempre maggiore, delle oscillazioni. fig. 2 4.
La continuità delle funzioni composte Sappiamo che se una funzione è continua in un intervallo A= [ a , b ] , si ha: lim f x = f c , ∀ c∈A . x c
Poiché c=lim x , ne segue che: lim f x = f lim x , cioè: x c
x c
x c
se una funzione è continua, i segni di limite e di funzione sono permutabili. Questo risultato è generalizzabile alle funzioni composte, mediante un teorema fondamentale. Prima, però, ricordiamo che se: g : A B e f : C D , sono due funzioni reali di variabile reale, e se g A e C hanno elementi in comune, allora le funzioni f e g definiscono la funzione composta: f o g : A1 D , dove A1 è il sottoinsieme di A costituito da tutti gli elementi di A che hanno come immagine elementi di g A ∩C. Ricordato questo, enunciamo il seguente teorema: Teorema 4.1 Se la funzione g x ammette, per x→c, limite finito l: lim g x = l , x c
e se g z è continua per z = l,
lim f z = f zl
l,
allora risulta: lim f [ g x ]= f [ lim g x ]= f x c
x c
l .
Questo teorema è molto utile per la ricerca del limite in c della funzione f [ g x ] composta da g e da f. Per esempio, sotto le ipotesi del teorema 4.1, che si dovranno tuttavia precisare caso per caso, se risulta: lim g x = l x c
con l ∈R , allora valgono i seguenti teoremi:
- 25 -
Cap. 2
Teorema 4.1.1 lim g x = n lim g x = n
x c
x c
FUNZIONI CONTINUE
l . n
Teorema 4.1.2 lim log a g x =log a lim g x =log a l . x c
x c
lim g x
Teorema 4.1.3 lim a g x =a x c
l
=a . In particolare:
x c
l
lim g x
lim e g x =e x c Dai teoremi 4.1.2 e 4.1.3 segue che: Teorema 4.1.4 Se i limiti:
=e .
x c
lim f x = l 1 0 e lim g x = l 2 , x c
esistono finiti, allora:
x c
lim [ f x ] x c
Infatti si ha:
l2
=l1 .
g x
[ f x ] g x =e ln f x =e g x ln f x , g x
e quindi: lim [ f x ] x c
g x
=lim e x c
g x ln f x
=e
lim g x ln f x x c
=e
l 2 ln l 1
=e
ln
l l1 2
l2
=l 1 .
Infine, come corollario del teorema 4.1, vale il seguente importante: Teorema 4.2 Se g x è continua nel punto c e f z è continua nel punto z 0 =g c, allora la funzione f [ g x ] è continua nel punto c. Infatti, per il teorema 4.1 e per la continuità di g x , si ha: lim f [ g x ] = f lim g x = f [ g c ] . x c
[
x c
]
Questo teorema ha una un'utilità pratica grandissima, perché permette di estendere notevolmente la classe delle funzioni continue. Per esempio, se f x è continua in A, lo sono pure le funzioni: f x , con a0 ; 1) a 2) log a f x , con f x 0 , a0 , a≠1 ; 3) sen f x , cos f x ,....; 4) x α , con x > 0 e α∈ ℝ ; perché è: x α =aα log x , ∀ a > 0 e a ≠ 1; g x 5) se f x e g x sono continue ed è f x 0 , anche la funzione [ f x ] è continua; 6) se f x e g x sono continue ed è f x 0 , f x ≠1 , g x 0 , anche la funzione log f x g x è continua. a
5.
Proprietà delle funzioni continue in un intervallo chiuso e limitato In Analisi Matematica hanno molta importanza le proprietà delle funzioni y= f x definite negli insiemi compatti (cioè limitati e chiusi) e ivi continue. Teorema 5.1 Teorema di Weierstrass. Se f x è una funzione continua in un intervallo chiuso e limitato I= [ a , b ] , devono esistere in I un punto in cui f x raggiunge il suo massimo valore M e un punto in cui raggiunge il suo minimo valore m. Dim. Daremo una dimostrazione rigorosa di questo teorema. Come Gauss ed altri grandi matematici, si potrebbe accettare e applicare questa proprietà intuitiva senza provarla. Tuttavia se la f x è continua in I allora è sicuramente limitata, perché se non fosse limitata la f non sarebbe continua. L'insieme dei valori assunti dalla funzione possiede pertanto un estremo superiore M ed un estremo inferiore m con ∣m∣, ∣M ∣∞ . D'altra parte la funzione ausiliaria: - 26 -
Cap. 2
FUNZIONI CONTINUE
1 f x − M non è continua. Infatti per la continuità di f x , si possono determinare valori di x contenuti in I tali che: ∣ f x −M ∣ sia minore di un numero arbitrario piccolo a piacere; per tali valori cioè ∣ x ∣ diviene maggiore di un numero grande a piacere, per cui: lim x =∞ , per un c∈I. Esiste
(1)
x =
x c
proprio un punto c∈I, per cui è: f c = M. Infatti se non esistesse, il denominatore della (1) non si annullerebbe mai, e quindi x , quoziente di due funzioni continue a denominatore mai nullo, sarebbe continua, contro l'asserzione precedente. In modo del tutto analogo si prova che esiste un punto in cui: f x =m.• OSSERVAZIONI. 1a) In questo teorema è fondamentale il fatto che: una funzione f x continua in un intervallo limitato e chiuso [ a ,b ] , è ivi limitata.
y
y M
M 2a) Notiamo che il massimo e il minimo di una funzione continua y= f x in un intervallo chiuso I= [ a ,b ] , possono cadere tanto nei punti interni all'intervallo, quanto negli estremi di esso, o uno all'interno e l'altro in un estremo. Queste diverse possibilità (che, come si vedrà meglio nel seguito, è bene tenere distinte) sono illustrate nelle figure 3a, 3b, 3c e 3d dove la lettera m indica il minimo e la lettera M indica il massimo.
y=f(x)
y=f(x)
O
m
x
m a
fig. 3a
O
b
y
a
fig. 3b
b
x
b
x
y M
M
y=f(x)
O
M m
y=f(x)
b x O
a fig. 3c
a
m
fig. 3d
fig. 3 3a) Caso particolare di questo teorema è la seguente proprietà: Se la f x è crescente (decrescente) in [ a , b ] , essa raggiunge il massimo (minimo), nell'estremo destro b, mentre raggiunge il minimo (massimo) nell'estremo sinistro a (ved. fig.3a). CONTROESEMPI. È molto importante la segnalazione di controesempi, cioè di esempi che pongono in rilievo come le ipotesi enunciate nel teorema di Weierstrass, cioè che [ a , b ] sia chiuso e limitato, e che f x sia continua, siano essenziali; infatti se viene meno una di tali ipotesi, il teorema può non essere vero. 1 1) La funzione definita in ℝ : f x = , è continua su tutto ℝ (insieme chiuso ma non li3x 2 mitato). Questa funzione, come è semplice verificare, ammette il Max nel punto x = 0, ma non ammette il min. 2) La funzione: y=cosx, considerata nell'intervallo aperto 0 , π è continua. L'estremo inferiore è −1 e quello superiore è 1, ma questi due valori non sono assunti dalla funzione in alcun punto dell'aperto 0 , π . - 27 -
Cap. 2
FUNZIONI CONTINUE
π π La funzione y = tanx sia definita in − x . La y in questo caso è continua nell'inter2 2 vallo limitato e aperto. Essa tuttavia non ammette né Max né min. 4) La funzione y = x definita in 0 ,1 è continua e limitata in questo intervallo ma non ammette né Max né min. Teorema 5.2 Teorema dell'esistenza degli zeri. Se una funzione f x è continua in un intervallo chiuso e limitato [ a , b ] e se agli estremi dell'intervallo assume valori di segno opposto, essa si annulla in almeno un punto interno all'intervallo; cioè esiste almeno un punto c ∈ a , b tale che: f c =0 , con a xb . Dim. Supponiamo che sia f a 0 e f b 0 . Per il teorema della permanenza del segno vi sono sicuramente degli intorni destri di a (un intorno destro di a si ha quando a ne è l'estremo sinistro) in cui è f x 0 . Gli estremi destri di tali intorni costituiscono un insieme limitato, che ha pertanto un estremo superiore minore di b (essendo b un punto per cui f x è negativa). Sia c tale estremo: dalla continuità della funzione si ha: lim f x = f c
3)
x c−
ma, poiché a sinistra di c è f x sempre positiva, è anche f c ≥0. D'altra parte a destra di c la f x è negativa, quindi: lim f x = f c , x c
deve essere ≤ 0. si conclude che f c =0 .• OSSERVAZIONE. L'interpretazione geometrica di questo teorema è molto semplice. Il grafico della funzione continua y= f x che congiunge i punti P 1 ≡ a , f a e P 2≡ b , f b dove f a 0 e f b 0 (o viceversa) taglia l'asse x in almeno un punto (fig. 4). ESEMPIO. Data la funzione: y=x 3−1, è y 0 =−1 e y 2 =7 . Questa funzione è continua nel chiuso [0, 2]. Dunque esiste almeno un punto dell'intervallo in cui la funzione y= x 3 −1 si annulla. Infatti (fig. 5) è: y 1 =0 .
y f(b) y=f(x) a O f(a)
b x fig. 5
fig. 4 Teorema 5.3 (di Darboux-Bolzano) Se f x è continua in [ a , b ] , assume in questo intervallo almeno una volta tutti i valori compresi tra il minimo m e il massimo M.
- 28 -
Cap. 2
FUNZIONI CONTINUE
Dim. Infatti la f può assumere un valore k qualunque compreso tra m e M. Se f x è continua, anche la funzione: F x = f x −k è continua. Quando f x prende i valori m e M, F x assume rispettivamente i valori: m−k , e: M −k ; che sono di segno contrario essendo m < k < M. Allora, applicando il teorema 5.2, possiamo affermare che F x si annulla almeno una volta, e quando F x si annulla, f x diventa uguale a k.•
y
M y=f(x)
f(b) f(a)=m O
y=k a
b x
fig. 6 Il senso di questo teorema è chiaramente illustrato dalla fig. 6. In questo caso ogni retta: y = k, m < k < M, interseca almeno una volta il grafico della funzione. Come corollario di questo teorema si ha il: Teorema 5.4 Se f x è una funzione reale continua in un intervallo I (non necessariamente né chiuso né limitato), allora il codominio C di f x è pure un intervallo. Dim. Siano y 1 e y 2 appartenenti al codominio C di f x . Allora esistono due numeri x 1 e x 2 dell'intervallo I, tali che: f x 1 = y 1 e f x 2 = y 2 . Ma nell'intervallo chiuso [ x 1, x 2 ] la f x è continua e dal teorema precedente segue allora che: [ y 1, y 2 ]⊆C . • 6.
Invertibilità, monotonia e continuità Sappiamo che una funzione è invertibile se e solo se è una corrispondenza biunivoca fra gli elementi di due insiemi. Inoltre, se y= f x è una funzione strettamente monotòna nell'insieme A, allora essa è invertibile, e la funzione inversa x= g y è pure strettamente monotòna e ha come insieme di definizione il codominio della f x . Tuttavia, è bene ricordare che, in generale, non tutte le funzioni invertibili sono monotòne. Infatti sia data la funzione: f x = x1, per x ∈ℝ ∖ ℚ , x, per x ∈ℚ . Questa funzione, il cui grafico è in fig. 7, è ovviamente invertibile ma non monotòna. Infatti:
{
fig. 7
∀ x∈ℚ : x y= x , e y ∈ℚ , ∀ x ∈ℝ ∖ ℚ: x y=x1 e y∈ℝ ∖ ℚ . Viceversa: ∀ y ∈ℚ : y x= y , e x∈ℚ , ∀ y ∈ℝ ∖ ℚ : y x= y −1 e x ∈ℝ ∖ ℚ. Questo significa che il concetto di monotonia è più restrittivo di quello di invertibilità e quindi, in generale, i concetti di invertibilità e di monotonia non si equivalgono. Esistono, però, delle particolari ed importanti funzioni per le quali i concetti di invertibilità e di monotonia sono equivalenti: le funzioni continue in un intervallo limitato e chiuso, ovvero compatto. Studiamo quindi, le funzioni reali di variabile reale f: [ a , b ] ℝ in relazione ai concetti di invertibilità, monotonia, e continuità. Sia y= f x una funzione continua nell'intervallo chiuso [ a , b ] ed ivi monotòna (in senso stretto). In - 29 -
Cap. 2
FUNZIONI CONTINUE
tal caso il codominio della f x è l'intervallo chiuso [ m , M ] , dove m e M sono, rispettivamente, il minimo e il massimo assoluti della f x in [ a , b ] , e quindi la funzione inversa x= g y è monotòna in [ m , M ] , con m= f a e M = f b , se la f è crescente, oppure con m= f b e M = f a se la f è decrescente. Inoltre, (§5), non solo ogni valore di y compreso tra m e M è effettivamente assunto dalla funzione in un conveniente punto di [ a , b ] , ma è assunto una volta sola, poiché la f x è iniettiva. Chiarito questo aspetto, possiamo provare che: Teorema 6.1 Se la funzione y= f x è continua e monotòna in senso stretto nel chiuso [ a , b ] , anche la funzione inversa x= g y (oltre che strettamente monotòna) è continua nel chiuso [ m , M ] , descritto da y= f x quando x varia in [ a , b ] . Dim. Infatti, se tende a zero la differenza k = f xh − f x , poiché x è l'unico punto di [ a , b ] , dove la funzione assume il valore f x , il punto x + h tende a x, cioè h tende a zero. Con ciò resta provato che la funzione x= g y è continua in ogni x ∈ [ a , b ] . • Da questo teorema e dal teorema 5.4, segue più generalmente: Teorema 6.2 Se f x ℝ è una funzione reale continua e monotòna in senso stretto in un intervallo I (non necessariamente né chiuso né limitato) allora essa è dotata di funzione inversa continua e monotòna in senso stretto nell'intervallo f I descritto da f x al variare di x in I. In base al teorema ora enunciato, possiamo, per esempio, affermare che le funzioni arcsenx, arccosx, arctanx, arccotanx sono continue nel loro insieme di definizione. Così risulta per esempio: 1 π π lim arcsenx=arcsen = , lim arctanx=arc tan −1 =− . 2 6 x −1 4 1 x 2
ESERCIZIO. Dimostrare il seguente teorema: Teorema 6.3 Teorema di monotonia. Se f : [ a , b ] è continua e invertibile nell'intervallo [ a ,b ] essa è strettamente monotòna in [a ,b]. Sugg. per assurdo.... Da questo e dal precedente teorema segue che per le funzioni continue in un intervallo chiuso e limitato, i concetti di invertibilità e di monotonia si equivalgono. Si nota che l'ipotesi che il dominio della f x sia un intervallo è essenziale per la validità del teorema di continuità delle funzioni inverse. Questo perché, in generale, non è detto che l'inversa di una funzione continua sia anch'essa continua. Per esempio, l'inversa della funzione continua (fig. 8): per 0≤ x≤1, f x = 2 x , 2 x−2 , per 2x≤3, è la funzione (scambiando la x con la y): x , per 0≤ x≤2, g x= 2 x 1 , per 2< x≤4, 2 che non è continua (fig. 9).
fig. 8
{
{
- 30 -
fig. 9
Cap. 2
FUNZIONI CONTINUE
7.
Due limiti fondamentali Esistono alcune funzioni reali di variabile reale che, per x tendente a un certa posizione della retta ℝ , assumono valori che non è possibile dedurre in modo elementare. Qui ci occuperemo in particolare del comportamento di due funzioni a causa della loro grande importanza che ricoprono nell'ambito dell'analisi matematica. 1) Dimostriamo che è: senx lim =1 . x 0 x purché x indichi la misura in radianti dell'angolo. Anzitutto proviamo che, se x è la misura in radianti di un angolo, si ha: π senx xtan x , per 0x . (1) 2 Infatti si consideri (vedi fig. 10) nel cerchio di raggio r B di misura x. Avremo: tangente ad AC, l'angolo A O area del triangolo AOB < area del settore AOB < area del triangolo AOC, ossia: 1 2 1 1 r senx r 2 x r 2 tanx 2 2 2 che è quanto si voleva provare (r ≠ 0). π Essendo 0x ⇒ senx0 , per cui, dividendo i termini 2 della (1) per senx si ha: senx x tanx , senx senx senx e, elevando alla −1 , si ha: fig. 10 senx 1 cosx . x Se moltiplichiamo per −1 , possiamo scrivere; senx −1− −cosx . x e se sommiamo 1a tutti i membri otteniamo: senx 01− 1−cosx . x Poiché: lim cosx =1 , x 0
applicando il teorema del confronto fra i limiti, segue la tesi e cioè: senx lim =1 . • x 0 x Si nota che, applicando direttamente il teorema del limite del quoziente, si ottiene la forma indeter0 minata . 0 Abbiamo dimostrato che vale la (1), se x indica la misura in radianti dell'angolo. Se invece indichiamo con α la misura dell'angolo in gradi sessagesimali, allora si prova che è: sen α π lim = . 180° α 0 α Per dimostrare ciò, ricordiamo che che il legame che unisce la misura x in radianti dell'angolo B e la misura α dello stesso angolo in gradi è: AO π x= α. 180 ° Premesso ciò, è: senx = senα, per cui con un procedimento del tutto uguale a quello seguito sopra si - 31 -
Cap. 2
FUNZIONI CONTINUE
può arrivare a scrivere la seguente relazione: 180 ° sen α lim ⋅ =1 , π α α 0 ossia: 180° sen α lim =1 , π α 0 α da cui: sen α π lim = . 180° α α 0 2) È noto (o almeno dovrebbe esserlo!) come si sia giunti storicamente alla definizione del numero π: si considerino tutti i poligoni regolari inscrivibili in una circonferenza di raggio r, in ordine crescente secondo il numero n dei lati. Il loro perimetro cresce al crescere di n, ma non diventa mai infinitamente grande. Diremo che la successione dei perimetri è crescente e limitata per cui tale successione è convergente ad un valore limite () che si indica con 2πr che esprime la misura della circonferenza.3 Qualcosa di analogo faremo ora cercando il limite, per x tendente ad infinito, della funzione: x 1 f x = 1 . x Si prova che questo limite esiste ed è finito e lo si indica, convenzionalmente, con la lettera e il cui valore approssimato alle prime 50 cifre decimali è: x 1 lim 1 =e≃2.71828182845904523536028747135266249775724709369995957496696762772407 . x x ∞ Cominciamo con il considerare x crescente per valori interi positivi, cioè: n 1 lim f n = lim 1 , n n ∞ n ∞ con n > 0 e intero. Si vede che, qualunque sia n, è: 2≤ f n 3; cioè f n costituisce una successione limitata. Infatti, utilizzando la formula del binomio di Newton, si ha: 1 2 1 1− ⋅ 1− 1− n n n 1 n 1 1 1 1 1 1 1 =11 . . .2 .. . 1 1 2 . .. . n−1 = n 2! 3! 2 ! 3! n! 2 2 2 1 1− 2n 1 =1 1 =3 . 1 1 1− 1− 2 2 D'altra parte f n è crescente. Infatti: f n1 f n in quanto:
3
Sia AB il lato del poligono regolare di n lati inscritto in una circonferenza di raggio r e centro O. La misura dell'ango possiamo cal è 2 π radianti. Indicando con H il piede dell'altezza del triangolo rettangolo AHO lo al centro AOB n π colare la misura di AH e cioè: AH=r sen e, quindi: n π π AB= 2 r sen e il perimetro pn del poligono ad n lati è: p n= 2 n r sen . n n Adesso si tratta di calcolare il limite della successione il cui termine generale è pn. 1 1 A questo scopo, operiamo una sostituzione di variabile e sia: n= per cui: z= z n e, poiché n ∞, si ha che: z 0 . Allora: π sen π z sen π z lim pn= lim 2 n r sen = lim 2 r = lim 2 r π =2 π r⋅1=2 π r . • n z πz n ∞ n ∞ z 0 z 0
- 32 -
Cap. 2
f n1 =11
1−
FUNZIONI CONTINUE
1 1 1− n1 n .... ; f n =11 .... ; 2 2
ed essendo:
h h , h∈ℝ . n1 n Tutte le frazioni che compaiono nello sviluppo di f n1 sono maggiori delle corrispondenti dello sviluppo di f n . Inoltre lo sviluppo di f n1 contiene un termine positivo in più. Allora per (), f n tende, al crescere di n, a un limite che si indica con la lettera e. Si vede poi che la tesi vale anche quando x non è intero e positivo. Infatti, essendo: n < x < n + 1, è: n x n1 1 1 1 1 1 1 , n1 x n da cui : n x n1 1 1 1 lim 1 ≤ lim 1 ≤ lim 1 . n1 x n n ∞ x∞ n ∞ Ma: n1 1 lim 1 n n1 1 n ∞ lim 1 = =e , n1 n ∞ 1 lim 1 n1 n ∞ n1n , è
n1
n
1 1 1 =lim 1 lim 1 =e , n n n n ∞ n ∞ n ∞ da cui, applicando il teorema del confronto fra limiti, si ha la tesi.• Ovviamente se x è negativo, ponendo x=− y , y ∈R , si ottiene ancora la tesi. Inoltre: x y lim 1+ =e y , x x∞ con y ∈ℝ . lim 1
8.
Esercizi sui limiti. Forme indeterminate Come si è visto, i teoremi sui limiti e sulle funzioni continue, permettono il calcolo dei limiti delle funzioni in numerosi casi. Tuttavia esistono dei casi in cui si devono “gestire” delle funzioni alle quali non sono applicabili i teoremi ora richiamati. Questi casi prendono il nome di “forme indeterminate”, in quanto non esiste alcun teorema che permetta di calcolare il limite, ma ogni volta bisogna fare delle opportune trasformazioni per raggiungere il risultato del calcolo del limite. Le forme indeterminate più frequenti sono: 0 ∞ , , −∞∞ , ∞ 0 , 00 , 1∞ . 0 ∞ Altre forme indeterminate meno frequenti sono: log 0 ∞, log 0 0 , log ∞ 0 , log 1 1 . Vediamo, negli esercizi seguenti, come ci si comporta di fronte ai vari casi di indeterminatezza. 0 A) Forma . 0 2 x 5 x −6 A1) Calcolare il limite: lim 2 . x 1 x x −2 Si ha: 2 x−1 x6 x 5 x −6 x6 7 lim 2 =lim =lim = . 3 x 1 x x −2 x 1 x−1 x2 x 1 x2 - 33 -
Cap. 2
2)
FUNZIONI CONTINUE
tanx . x 0 x Tenendo conto del primo limite fondamentale, scriviamo: tanx senx 1 lim =lim ⋅ =1 . x x cosx x 0 x 0 Calcolare il limite: lim 1−cosx . x x 0 Calcolare il limite: lim
A3) Si ha:
1−cosx 1cosx 1−cosx sen2 x senx 1 = lim =lim =lim ⋅senx⋅ =0 . x x 1cosx x 1cosx x 0 x 0 x 0 x 1cosx x 0 1−cosx A4) Calcolare il limite: lim . Procediamo applicando un procedimento analogo al prex 0 x2 cedente: 1−cosx 1−cos 2 x sen 2 x senx senx 1 1 1 lim =lim =lim =lim ⋅ ⋅ =1⋅1⋅ = . 2 2 2 x x 1cosx 2 2 x 0 x 1cosx x 0 x x 0 x 1cosx x 0 x−3 A5) Calcolare il limite: lim ln . x 3 x6−3 Si ha: x−3 x63 x−3 lim ln = lim ln =ln lim x 63 =ln6 . x−3 x 3 x6−3 x 3 x 3 lim
[
]
] [
[
B) B1)
[
]
]
Forma 0⋅∞ . Calcolare il limite: lim [ tanx 1−senx ] . x
π 2
Si ha:
2
cos x⋅senx cosx⋅senx 0 lim [ tanx 1−senx ]= lim = lim = =0 . 2 π π cosx 1senx π 1senx x x x 2
2
2
π B2) Calcolare il limite: lim x⋅sen . Cerchiamo di riportare questo limite in una forma simile x x ∞ a quella del primo limite fondamentale. x π sent lim π⋅ ⋅sen =lim π⋅ =π , π x t 0 t x ∞ avendo posto π =t per cui se ∞ allora t 0 . x C) Forma ∞−∞ .
C1)
Calcolare il limite: lim
x ∞
9 x 21−3 x .
Si ha: lim 9 x 2 1−3 x = lim
x∞
C2)
Calcolare il limite: lim
x1
Si ha:
x∞
1 3 − . 1−x 1−x 3
9 x 2 1−9 x 2
9 x 213 x
=0 .
x−1 x2 1 3 1x x 2 −3 x 2 x−2 − =lim =lim =lim = 3 3 2 2 x 1 1−x 1−x x 1 1−x x 1 1−x 1x x x 1 − x−1 1x x x2 = lim − =−1 . 2 x 1 1 xx lim
- 34 -
Cap. 2
C3)
FUNZIONI CONTINUE
Calcolare il limite: lim [ ln sen 2 x −ln x ] . x 0
Si ha:
[
lim [ ln sen 2 x −ln x ] = lim ln
x 0
x 0
∞ . ∞
D)
Forma
D1)
Calcolare il limite: lim
]
sen 2 x 2 sen x⋅cos x =ln lim =ln 2⋅1⋅1 =ln 2 . x x x 0
cosxx . x ∞ 3 xsenx
cosx senx cosx x Poiché: lim =0 e lim =0 , si ha lim = lim x ∞ x x ∞ x x ∞ 3 xsen x x ∞
cosx x 1 = . senx 3 3 x 1
OSSERVAZIONE. Quando si vuole determinare il limite del rapporto di due polinomi p x e q x ∈ℝ [ x ] dove ℝ [ x ] indica l'“anello” dei polinomi nella indeterminata x e a coefficienti reali, (o, naturalmente, in una qualunque altra variabile), per x→∞, è utile dividere il numeratore e il denominatore n per x , essendo n il massimo dei gradi di questi due polinomi. Si può spesso applicare un procedimento analogo alle frazioni contenenti delle espressioni irrazionali, stando però ben attenti. D2) Provare che è: a n x na n−1 x n−1. . . + a1 x a 0 a n lim = . n n−1 x ∞ b n x b n−1 x . . . + b1 x b0 b n ∞ Il limite si presenta nella forma indeterminata . Per calcolarlo dividiamo numeratore e denomi∞ n natore per x . Così, con un semplice calcolo, si ha: an−1 a1 a0 n x a . .. + n x a x na x n−1. . . + a1 x a 0 a x n−1 x n lim n n n−1 n−1 = lim = n, bn x ∞ b n x b n−1 x . . . + b1 x b0 x ∞ n b b1 b x b n n−1 .. . + n−1 0n x x x
tendendo a zero (per x→∞) tutte le frazioni del numeratore e del denominatore. a n x na n−1 x n−1. . .. . + a1 xa 0 D3) Analogamente, si prova che il limite: lim , vale 0 per m m−1 x ∞ b m x b m−1 x .. . + b1 xb 0 nm e vale ∞ per n > m. 2 x x 2 −1 D4) Calcolare il limite: lim 3 . x ∞ 3 x 3 −2 x 2 1 Dividendo numeratore e denominatore per x, si ha: 1 2 1− 2 2 x x −1 x 3 3 lim 3 = lim = 3 = 9 . 3 2 x ∞ 3 x −2 x 1 x ∞ 3 2 1 3− 3 3 x x 2 D5) Calcolare il limite: lim x x 1− x .
x∞
Si ha:
lim x x 2 1−x = lim
x ∞
x ∞
x x 2 1− x 2
x 21x - 35 -
= lim
x ∞
1 1 = . 2 1 1 2 1 x
Cap. 2
E)
Altri casi.
E1)
Provare che risulta:
FUNZIONI CONTINUE
1 x
lim 1x =e ,
(1)
sapendo che: lim 1 x∞
x 0
x
1 =e . x
1 Se poniamo =t , si ha: x
1 x
t
1 lim 1x =lim 1 =e . t x 0 t ∞
E2)
Provare che risulta:
x
α lim 1 =e α , con α∈ R. x x∞
(2) Infatti:
x
α α lim 1 = lim 1 x x x ∞ x∞ e, posto
x =t , si ha: α
[ ]
(♣) = lim 1 1 t t ∞ In particolare:
= (♣),
=e .
x
1 1 lim 1− = , x e x ∞ mx k lim 1 =e mk , con m e k ∈R. x x ∞
(3) (4) E3)
t α
x ⋅α α
Provare che risulta:
ln 1x =1 . x x 0 lim
(5) Si ha, tenendo conto del limite (1):
[
1
]
[
1
]
ln 1x lim =lim ln 1x x =ln lim 1x x =lne=1 . x x 0 x 0 x 0 E4) Provare che risulta: a x −1 lim =lna . (6) x x 0 Posto: a x−1=t , si ha: a x=t1 , da cui, prendendo i logaritmi a destra e a sinistra: ln t1 x ln a=ln t1 ossia: x = , pertanto, tenendo conto anche del limite (5), si può scrivere: lna a x −1 t lim =lim ⋅lna=1⋅ln a=lna . x x 0 t 0 ln t1 In particolare: e x −1 lim =1 . (7) x x 0 E5) Provare che risulta: 1x k −1 (8) lim =1 , con k ∈ R. kx x 0 Tenendo presenti i limiti (5) e (7), si ha: - 36 -
Cap. 2 k
e ln 1x −1 e k ln 1x −1 e k ln 1x −1 ln 1x lim = lim =lim =lim ⋅ =1. kx kx kx x x 0 x 0 k ln 1 x x 0 x 0 Calcolare il limite: lim x [ ln x1 −ln x ] . k
1 x −1
E6)
FUNZIONI CONTINUE
x ∞
Si ha:
x
x1 1 lim x [ ln x1 −ln x ] = lim x ln =ln lim 1 =1 . x x x∞ x ∞ x ∞ x E7) Calcolare il limite: lim x−1 . x ∞ x1 Dividendo il numeratore e il denominatore della frazione per x, si ha: x x x 1 1 1 1− lim 1− 1− x −1 x x x−1 x x ∞ e 1 lim = lim = lim = = = 2. x x 1 e e x ∞ x1 x ∞ x ∞ 1 1 1 1 lim 1 x x x x ∞
E8)
Calcolare il limite: lim
x 0
Si ha:
sen x n . sen x n
senx n senx n x n =lim ⋅ =1⋅1n =1 . n n n x 0 senx x 0 x senx πz . E9) Calcolare il limite: lim 1−z tan 2 z 1 Se poniamo: 1−z =x , allora: z =1−x , e: lim
π πx x cos πz π−π x π πx πx 2 2 lim 1−z tan =lim x tan =lim x tan − = =lim x cotan =lim ⋅ = 2 x 0 2 2 2 2 x 0 π z 1 x 0 x 0 πx sen 2 2 π πx x cos 2 2 1 2 =lim ⋅ =1⋅ = . x 0 πx π π π sen 2 2 2 E10) Provare che risulta, ∀ c∈ R : ln x lim c =0 , (9) x ∞ x
c
(10)
lim x ln x=0 .
x 0
Come si può dedurre dal grafico della fig. 11, è facile provare che, per x > 0, è: lnx < x. c 2
Scriviamo x al posto di x. In questo modo avremo:
- 37 -
Cap. 2 c 2
c 2
c
FUNZIONI CONTINUE
c
c 2 ln x x ⇒ ln x x 2 ⇒ ln x x 2 . Quindi, 2 c c dividendo ambo i membri per x , si arriva alla relazione: c
Dal
lnx 2 0 c x 2 . c x teorema del confronto,
essendo:
c − 2
2 x =0 ,segue la (9). x ∞ c La (10) è deducibile immediatamente dalla (9) 1 operando il cambio di variabile x= . t Dalla (9) segue subito che: lim x−c⋅ln x =+ ∞ . (11) lim
fig. 11
x ∞
Infatti, se c < 0, il limite è evidente. Se c > 0, si scrive:
[
]
c⋅ln x , x x ∞ x ∞ e si nota che, nella parentesi quadra, il primo fattore diverge e il secondo converge a 1. E11) Provare che risulta per ogni costante c∈ ℝ+ lim x−c⋅ln x = lim x 1−
(12)
ex =∞ , c x ∞ x
(13)
lim x c e−x =0,
lim
x ∞ c
Infatti, posto x =e
c ln x
e, tenendo conto della (11), si ottiene: ex lim c = lim e x −c lnx , x∞ x x ∞ e, poiché lim x−c lnx =+ ∞ , segue la (12). x ∞
La (13) non è altro che il limite del reciproco della funzione precedente. F) Altre forme indeterminate. Per i prossimi esercizi occorre tener presente che: lim [ f x ]
g x
x c
=lim e
[ g x ln f x ]
x c
lim [ g x ln f x ]
=e x c
dove la seconda uguaglianza la possiamo scrivere solo quando lim [ g x ln f x ] esiste finito. F1) Si ha:
Calcolare il limite: lim 2
sen x x x
x 0
lim 2 x 0
F2) Si ha:
Calcolare il limite: lim 7
=e
3 x2 2 x 1 4 x 3 1
lim 7
F3)
.
senx x x
x∞
x ∞
x c
lim
x 0
senx x ⋅ln 2 x
=e
2 ln 2
=e
=4 .
.
3 x 2 2 x 1 4 x3 1
=e
lim
x ∞
3 x 22 x 1 ⋅ln 7 4 x 31
=e =1 .
Dimostrare che se: lim f x =1 , lim g x =∞ , allora: x c
ln 4
x c
- 38 -
0
Cap. 2
FUNZIONI CONTINUE
lim [ f x ]
(14)
lim [ f x - 1 ]⋅ g x
g x
=e x c
x c
.
Infatti, posto f x =1α x , dove α x è infinitesimo per x→c, si ha: lim [ f x ]
g x
ed essendo:
[
=lim 1+ α x
x c
x c
lim 1α x
1 α x
x c
=lim 1+ α x α 0
ed α x = f x −1, risulta subito la (14).
In applicazione di questo risultato, calcoliamo: lim x
1 α x
,
=e ,
.
1 lim x−1 ⋅ =−1 , 1−x x 1
si trova:
lim x x1
9.
1 1− x
x 1
Poiché:
]
1 α x ⋅g x α x
1 1− x
=e−1 .
Confronto fra infinitesimi Ricordiamo che: una funzione f x si dice un infinitesimo per x→c, se è: lim f x=0. x c
Questa definizione vale anche quando x ∞ oppure x ∞ o x −∞ . ESEMPI. 1)
Le funzioni: y=x 3 x , y=senx , y=
1−cos x , y =e x −1 , y =ln 1 x , sono x
infinitesimi per x 0. x , y= senx , sono infinitesimi per x 0. 2) Le funzioni: y= 3 3 x , y= x , sono infinitesimi per x ∞ . 3) Le funzioni y= 3 x −2 e Gli infinitesimi vengono indicati con: α x , β x , γ x , δ x ,.....; e, per semplicità e nel caso in cui ciò non dia luogo ad equivoci, vengono indicati dalle lettere: α , β, γ , δ ,.....; senza scrivere quindi la variabile da cui dipendono. Diamo ora alcune definizioni che saranno utili nel seguito. Def. 1. Se α e β sono entrambi infinitesimi per x→c, si dice che α e β sono due infinitesimi simultanei. Dati due infinitesimi simultanei, α e β, (per x→c, dove c può essere anche uguale a ∞ , ∞ , −∞ α ) è utile considerare il comportamento del rapporto , ammesso che esista un opportuno intorno di β x = c, in cui risulti sempre β x ≠0 , salvo al più il punto x = c. α Def. 2. Se lim = l ≠0 , l ∈R , si dice che α e β sono infinitesimi dello stesso ordine. In questo β caso si scrive α=O β che si legge: “ α è o (vocale) grande di β ”. α Def. 3. Se lim =0 si dice che α (cioè l'infinitesimo al numeratore) è un infinitesimo di ordine β superiore rispetto a β. In questo caso si scrive α=o β che si legge: “ α è o (vocale) piccolo di β ”.
- 39 -
Cap. 2
FUNZIONI CONTINUE
α =∞ ∞ o −∞ , si dice α è un infinitesimo di ordine inferiore rispetto a β . β α Def. 5. Se lim NON esiste si dice che i due infinitesimi α e β, sono fra loro non confrontabili. β Talvolta è desiderabile precisare il confronto tra infinitesimi simultanei α , β, γ ,.....; indicando con un numero l'ordine di ciascuno rispetto ad uno di essi assunto come fondamentale (cioè come una specie di unità di misura). Di solito si prendono come unità di misura gli infinitesimi 1 x− x 0 e , x rispettivamente quando x→x0 o x→ +∞ o x→ −∞ . Si pone la seguente definizione: si dice che l'infinitesimo β è di ordine k rispetto all'infinitesimo k (fondamentale) α se β e α hanno lo stesso ordine, cioè se β lim k = l ≠0 , l ∈R . α r x Ad esempio log a 1x , a −1 , 1 x −1 , r 0 e sen x sono infinitesimi del primo ordine rispetto a x. Invece 1−cosx , tanx−senx , sono infinitesimi rispettivamente di ordine 2 e 3 rispetto a x. La prima di queste due affermazioni è già stata provata, per quanto riguarda la seconda, si osserva che: senx senx−senx cosx −senx tanx−senx cos x cos x senx 1−cosx 1 1 lim =lim =lim =lim ⋅ ⋅ = , 3 3 3 2 cosx 2 x 0 x 0 x 0 x 0 x x x x x ovvero: 1−cosx=O x 2 , tanx −senx=O x 3 , ESEMPI. 1 1 , è d'ordine superiore rispetto all'infinitesimo β= 1) L'infinitesimo: α= 3 , x3 x 2 x−7 per x→+∞, perché risulta: α x3 lim = lim 3 =0 . x∞ β x ∞ x 2 x−7 2) L'infinitesimo α=ln x è d'ordine inferiore, rispetto all'infinitesimo β= x −1 3 , per x→1, perché, posto x−1=t , si ha: ln 1+ t 1 α ln x lim =lim =lim ⋅ 2 =∞ . 3 t x 1 β x 1 x−1 t 0 t 1 3) L'infinitesimo α= x sen non è confrontabile con l'infinitesimo β=x , per x→0, perché x 1 xsen x 1 lim =lim sen x x x 0 x0 non esiste. Def. 4. Se lim
10.
Infinitesimi equivalenti Se α e β sono due infinitesimi e se risulta: α lim =1 , β allora i due infinitesimi si dicono equivalenti e si scrive: α~β. Inoltre, uno dei due si dice parte principale dell'altro nel senso che ora sarà precisato. Sappiamo che se β è di ordine k rispetto a α si ha per definizione: βk l ≠0, l ∈R , quindi: β 1 , α l αk
- 40 -
Cap. 2
FUNZIONI CONTINUE
ossia: β~ l α k . L'infinitesimo l α k si dice la parte principale di β. Ad esempio, x è la parte princi1 1 pale di senx e di tanx, x 2 è quella di 1−cosx , x 3 quella di tanx−senx . 2 2 Proprietà di facile dimostrazione sono le seguenti: 1) due infinitesimi α e β sono equivalenti se e soltanto se la loro differenza è un infinitesimo α−β α−β =0 e lim =0 . d'ordine superiore rispetto a ciascuno di essi; cioè: α~β⇔ lim α β β α−β β β =lim 1− =1−lim =1−1=0 . Viceversa, Infatti, se α~β, allora lim =1 ; pertanto: lim α α α α α−β se lim =0 , allora: α β β β lim 1− =0 ⇒1−lim =0⇒ lim =1 ⇒α ~ β . • α α α ESEMPIO. Sia α= x , β= x x 3 e x→0. Gli infinitesimi α e β sono equivalenti, perché la differenza β−α= x 3 è un infinitesimo d'ordine superiore rispetto a α e a β. Infatti: β−α x3 β−α x3 x2 2 lim =lim =lim x =0, e lim =lim 3 =lim 2 =0 . x 0 α x 0 x x 0 x 0 β x 0 x x x 0 x 1 2) Principio di sostituzione degli infinitesimi equivalenti. Se il rapporto di due infinitesimi ammette un limite, questo limite resta invariato se si sostituisce ciascuno di essi con un infinitesimo equivalente; cioè: α α α ~ α1 e β ~ β1 ⇒lim =lim 1 . β β1 Infatti, si ha: α α α α α β lim =lim ⋅1⋅1=lim ⋅lim 1⋅lim =lim 1 . • β β β α β1 β1 È facile provare che le seguenti coppie di infinitesimi, per x→0, sono equivalenti: I) II) III) sen α~α tanα~α arcsen α~α IV) V) VI) arctan α~α ln 1α ~α a α−1~α lna , a0 k VII) VIII) 1α −1~k α IX) n 1α−1~ αn e α −1~α ESEMPI. 1) Provare che, per x 0 : sen x x~ x 2 x 3 . Applicando I) si ha:
3 4
sen x x ~ x x= x ,
e:
da cui la tesi.• 2)
3
1
ln 13 x sen x . x 0 tan x 2
Trovare il limite: lim
Essendo: si ha:
1− 4 x 1=x 4 1 x ~ x 4 , =x x x = x 1 xx =x 1 1x =x x1 x 2
ln 13 x sen x ~3 x sen x e tan x 2 ~x 2 , ln 13 x sen x 3 x sen x =lim =3 . 2 x 0 x 0 x2 tan x lim
- 41 -
3
3
Cap. 2
Determinare il limite: lim
3)
x 0
Essendo: e:
FUNZIONI CONTINUE
ln cos x . ln 1 x 2
ln cos x=ln [ 1− 1−cosx ] ~− 1−cosx ,
si ha:
ln 1x 2 ~x 2 , − 1−cos x ln cos x 1 = lim =− . 2 2 2 x x 0 ln 1 x x 0 sen 5 x . Determinare il limite: lim x 0 ln 1+4 x lim
4) Poiché:
si può scrivere:
sen5x ∼ 5x, e ln(1 + 4x) ∼ 4x,
sen 5 x 5x 5 =lim = . 4 x 0 ln 1+4 x x 0 4 x 2 2 sen 2 xarcsen x−arctan x 5) Determinare il limite: lim . 3x x 0 Essendo: 2 2 sen 2 x arcsen x −arctan x~sen 2 x~2 x , si ha: 2 2 sen 2 xarcsen x−arctan x 2x 2 lim =lim = . 3x 3 x 0 x 0 3 x 3 sen x⋅ln 13 x . 6) Determinare il limite: lim 2 5 3 x x 0 arctan x e −1 Applicando il principio di sostituzione degli infinitesimi equivalenti, si possono scrivere queste relazioni: 3 3 3 sen x ~ x , ln 1+3 x ~ 3 x , arctan x ~ x , e 5 x−1 ~ 5 3 x . Allora si ha: 3 3 sen x⋅ln 13 x x⋅3 x 3 lim =lim 3 = . 3 2 5 x 5 x 0 arctan x e −1 x 0 x⋅5 x OSSERVAZIONE. - Principio di “eliminazione” degli infinitesimi. Come conseguenza immediata del principio sostituzione si ha il seguente teorema: Teorema 10.1 Siano α , β, γ , δ , infinitesimi simultanei (per x→c, o per x→∞). Se γ , δ, sono α infinitesimi d'ordine superiore, rispettivamente, rispetto a α e β e se lim esiste finito o infinito, β allora risulta: αγ α lim =lim . (1) βδ β αγ α γ =lim lim =10=1 , da cui deduDim. Infatti, per esempio, possiamo scrivere: lim α α α ciamo che αγ~α , βδ~β , per il principio di sostituzione degli infinitesimi equivalenti, segue subito la (1).• Possiamo anche aggiungere la seguente proprietà: il limite del rapporto di due infinitesimi resta invariato aggiungendo o togliendo agli infinitesimi dati infinitesimi, rispettivamente, d'ordine superiore. Questo teorema è molto utile quando si deve trovare il limite del rapporto di due infinitesimi; in questo caso si possono sostituire gli infinitesimi dati, con altri che ne differiscano per infinitesimi lim
- 42 -
Cap. 2
FUNZIONI CONTINUE
d'ordine superiore; si possono , cioè, “trascurare” gli infinitesimi d'ordine superiore, senza alterare il risultato finale, ottenendo così una notevole semplificazione dei calcoli. 11.
Punti di discontinuità per una funzione. Se è f : A B c∈ A, e lim f x ≠ f c , allora si dice che f è discontinua in x=c . x c
Quando x∉A, non avrebbe senso chiederci se la f è continua, oppure no, in x = c. Tuttavia, con abuso di linguaggio, si è soliti chiamare “punti di discontinuità” anche quei valori x = c che, pur non appartenendo ad A, siano punti di accumulazione per A dove per punto di accumulazione si intende un punto c∈A tale che in ogni intorno di c cadono infiniti punti di A. Pertanto, se x = c è punto di accumulazione per A e non è lim f x = f c , in x = c si ha una discontinuità. Se la x c
funzione f x non è continua in c, il punto c si dice punto singolare o di discontinuità di f x . Vi sono vari tipi di discontinuità, in relazione ai motivi per cui l'uguaglianza lim f x = f c non ha x c
luogo. Precisamente: A) punti di discontinuità di prima specie. Si dice che nel punto x = c la funzione f x ha una discontinuità di prima specie, se in tale punto esistono finiti i limiti destro e sinistro e essi sono diversi fra loro cioè, in altri temini, se accade che: lim f x = l 1 e lim f x = l 2 con
x c
La differenza:
− x c
∣
l 1 ≠ l 2 e ∣ l 1∣, ∣l 2∣∞ .
∣∣
∣
lim f x − lim f x = l 1− l 2
x c
−
x c
si chiama salto della f x in c. ESEMPI. 1) Consideriamo la funzione: x f x = =sgn x , ∣x∣ (che si legge: segno di x) il cui grafico è in fig. 12. x Per x < 0, si ha =−1 , per x > 0, si ha: ∣x∣ x =1 . ∣x∣ x x Quindi: lim =−1 e lim = +1 . x 0− ∣x∣ x 0 ∣x∣ Quindi nel punto x = 0 la funzione ha una discontinuità di prima specie, con salto uguale a 2u. 2) Consideriamo la funzione: f x =
fig. 12
1 1 1− x
1e il cui grafico è in fig.13. Si ha: 1 1 lim =0 e lim =1 , 1 1 x 1− x 1 1e 1− x 1e 1−x quindi in x = 1 la funzione ammette una discontinuità di prima specie con salto uguale a 1. Inoltre le eventuali discontinuità di una funzione monotòna, definita in un intervallo chiuso, sono tutte di prima specie. fig. 13 - 43 -
Cap. 2
FUNZIONI CONTINUE
B) Punti di discontinuità di seconda specie. Si dice che nel punto x = c la funzione f x ha una discontinuità di seconda specie, se in tale punto uno almeno dei due limiti destro o sinistro lim f x , lim f x è infinito oppure non esiste. x c
ESEMPI.
x c−
1 ha una discontinuità di seconda specie nel punto x = 0, perché: x 1 1 lim =−∞ e lim =+ ∞ . x x 0− x x 0 1 2) La funzione y=sen ha una discontinuità di seconda specie nel punto x = 0, perché in tale x punto non esiste né il limite destro né quello sinistro. 3) La funzione:
1)
La funzione y=
1 x
y=2 ha una discontinuità di seconda specie nel punto x = 0, perché in tale punto si ha: 1 x
1 x
lim 2 =+ ∞ , lim 2 =0
x 0
x 0−
come si può vedere nel grafico di fig. 14.
fig. 14 π 4) La funzione y = tanx ha nei punti x= k π, k ∈ℤ , delle discontinuità di seconda specie 2 perché risulta: lim tanx=∞ , lim tanx=−∞ . x
π− 2
x
π 2
C)
Punti di discontinuità di terza specie. Si dice che nel punto x = c la funzione f x ha una discontinuità di terza specie o una discontinuità eliminabile, se in tale punto esiste finito il lim f x , ma il valore di f x o non esiste in x = c, oppure esiste ma risulta:
x c
lim f x ≠ f c . x c
L'aggettivo “eliminabile” è dovuto al fatto che si può stabilire per la f x la continuità nel punto x=c completando la definizione di f x in x=c ponendo semplicemente lim f x ,= f c x c
quando la f x in x=c non è definita, oppure cambiando il valore di f x per x=c , ponendo: lim f x = f c . x c
La nuova funzione così ottenuta si chiama il prolungamento per continuità di f x nel punto x=c e la funzione che si ottiene non è più quella di partenza, ma ne differisce solo per x=c . ESEMPI. senx . Essa ha nel punto x = 0 una discontinuità di terza spe1) Consideriamo la funzione y= x cie perché, come si è visto, esiste finito il limite, ma non esiste il valore della funzione. Tale funzione pertanto è prolungabile per continuità in x = 0, e il suo prolungamento è la funzione (fig. 15):
- 44 -
Cap. 2
*
f x=
FUNZIONI CONTINUE
{
sen x , per ogni x≠0, x 1, per x=0 .
fig. 15
3
1 x nel punto x=−1 ha una 1 x discontinuità di terza specie. Infatti: 1x 3 1x 1−x x 2 f x = = 1 x 1 x 0 . Tuttavia nei punti: che in x=−1 assume la forma 0 x≠−1 , la f x si comporta come la parabola: p x =x 2− x1 , (ved. fig. 16). 2)
La funzione f x =
fig. 16 Come è facile verificare, si ha: p −1 =3 , per cui possiamo prolungare con continuità la f x ponendo:
{
1x 3 , f * x= 1 x 3,
per x≠−1, per x=−1.
OSSERVAZIONE. Una funzione f x che in ogni intervallo limitato presenti solo un numero finito di discontinuità è detta generalmente continua. Ad esempio sono tali le funzioni: ∣x∣ 1 y=2 x , y=sen , y=tanx . Se poi, oltre ad essere generalmente continua, tutti i punti sinx x golari della funzione sono dei punti di discontinuità di prima specie, si dice che la f x è continua a tratti (come la prima funzione nell'esempio precedente). ESEMPI. x 3 −x 1) Completare la definizione della funzione f x = 2 in modo da renderla continua ∀ x∈ ℝ . 2 x −2 x x 2−1 La funzione può essere scritta anche nella forma: f x = . Essa è definita e continua 2 x 2 −1 ∀ x≠±1. Essendo:
- 45 -
Cap. 2
1 1 lim f x = , lim f x =− . 2 x −1 2 x1 Com’è evidente, la funzione può completata nel modo indicato a destra.
2)
FUNZIONI CONTINUE
{
3
x −x x = , 2 x 2−2 2 * f x = 1 , 2 1 − , 2
essere
Dire se è possibile completare la funzione f x =
per x≠±1, per x=1, per x =−1.
x−1 , in modo da renderla continua 2 x −x
∀ x∈R . La f x è definita e continua per x ≠ 0 e x ≠ 1 e si ha: x−1 x−1 lim 2 =1, lim 2 =∞ ; x 1 x − x x 0 x −x pertanto la f x può essere “completata” o “prolungata” in modo da renderla continua in x = 1 ma la stessa cosa non può essere fatta per x = 0. senx 3) Dire se è possibile completare la funzione f x = , in modo da renderla continua ln 1 x ∀ x∈R . Il dominio della funzione è A= { x∣x∈R ∧-1 x0∧ x0 } e: senx senx senx x lim =0 e lim =lim =1 . x 0 ln 1x x 0 ln 1 x ln 1 x x −1 x Pertanto la f x è prolungabile in modo da renderla continua in x = 0 e continua a destra di x=−1 ponendo f 0=1 e f −1=0. 1 x
e . 1− x S hanno discontinuità in x = 0 e in x = 1. I primi due limiti sono: 4)
Studiare le discontinuità della funzione: f x = 1
1
ex ex lim =+ ∞ e lim =0 , 1−x − 1−x
x 0
x0
pertanto in x = 0 la f x ha una discontinuità di seconda specie. Inoltre: 1 x
e =∞ x 1 1−x e anche in x = 1 si ha una discontinuità di seconda specie. senlnx . 5) Studiare le discontinuità della funzione: f x = lnx La funzione è definita solo per x positivo e diverso da 1; i punti x = 0 e x = 1 sono quindi singolari per la f x . Inoltre: senlnx senlnx lim =0 e lim =1 . lnx x 1 x 0 lnx lim
Tali discontinuità sono eliminabili completando la funzione nel modo indicato a destra:
- 46 -
f * x=
{
0,
per x=0,
1,
per x=1,
senlnx , lnx
per x0 e x≠1.
Cap. 2
6)
FUNZIONI CONTINUE
Studiare le discontinuità della funzione: f x =
Questa funzione è definita per: x≠ 2 k 1 k ∈ℤ ;
punti: x= 2 k 1
i
1 . 1etan x
π , 2
π , k ∈ℤ , sono 2
quin-di singolari per la funzione. Essendo: 1 1 lim =0 e lim =1 , tanx tanx π 1+ e π − 1+ e x 2 k1 x 2 k 1 2
2
le discontinuità sono tutte di prima specie e quindi la funzione considerata è continua a tratti (ved. fig. 17). fig. 17 7)
Studiare le discontinuità della funzione: f x =tan
1 . x
Questa funzione non esiste per x = 0 e per 1 π = k π, k ∈ ℤ, ossia nei punti x = 0 e x 2 1 x= , k ∈ ℤ. π k π 2 La funzione considerata ha quindi infiniti punti singolari. Essendo: 1 lim tan =−∞ − x 1 x
e:
π kπ 2
lim
x
1 π kπ 2
tan
1 =+ ∞ , x
fig. 18
1
, k ∈ℤ , sono punti di discontinuità di seconda specie. Si osserva che questi punti π k π 2 di discontinuità vanno sempre più addensandosi verso lo zero, in modo che in qualsiasi intorno dello zero ne cadono infiniti. Quindi in ogni intorno dello zero la funzione compie infinite oscillazioni che vanno da −∞ a ∞ , da cui segue che per x→0 non esiste né il limite destro né quello sinistro. Così il punto x = 0 è un punto di discontinuità di seconda specie per la funzione. Qualunque grafico della funzione nell'intorno dell'origine darebbe un'idea errata del reale andamento della curva (ved. fig. 18). i punti x=
- 47 -
Cap. 3
Cap. 3
DERIVATE
DERIVATE
0.
Problemi che conducono al concetto di derivata L'invenzione del calcolo infinitesimale deve senza dubbio farsi coincidere con il momento in cui Newton e Leibniz, circa alla metà del 1600 e indipendentemente l'uno dall'altro, introdussero la nozione di derivata e di differenziale sviluppando le relative regole di calcolo. Tuttavia, tracce di questo calcolo si riscontrano presso gli antichi geometri, specialmente in Archimede; nel periodo immediatamente precedente a Newton e Leibniz, le opere di Cavalieri e Torricelli, allievi di Galilei, si devono considerare come quelle che più potentemente contribuirono a preparare il terreno alle successive scoperte. I problemi che particolarmente diedero origine al concetto di derivata e costituirono perciò il punto di partenza per il nuovo calcolo, sono quello delle tangenti e quello della velocità. Vediamo brevemente in che cosa consistono questi due problemi iniziando da quello delle tangenti. A) problema delle tangenti Per definire la tangente in un punto ad una curva qualunque, osserviamo che: a) la definizione adottata nella geometria ele- b) non può servire nemmeno l'altra definiziomentare nel caso dello studio delle coniche (se- ne che talvolta è data nella geometria elecondo la quale la retta tangente in un punto T mentare, secondo la quale la tangente è quella della curva, è quella retta avente in comune con la retta uscente da F che lascia la circostante conica solo il punto T) è evidentemente da porzione della curva tutta dalla stessa parte, scartare, come si vede dalla figura 1. perché questo non accade nel caso della figura 2, pur essendo la retta f intuitivamente una tangente alla curva.
t
T
y=f(x) f
F y=f(x)
P
fig. 2
fig. 1 Nessuna obiezione si presenta, invece, se noi idealizziamo il procedimento con cui, nella pratica, un disegnatore traccia approssimativamente la tangente ad una data curva in un punto P, considerando sulla curva un altro punto Q, molto vicino a P, e disegnando la retta PQ. Volendo precisare meglio, possiamo dare la seguente definizione. Definizione. Si chiama tangente ad una curva piana in un suo punto P, la posizione limite, se esiste, della retta che unisce P con un altro punto Q della curva, allorché si fa avvicinare Q indefinitamente a P (fig. 3). Si noti che la posizione limite di PQ deve esistere (ed essere sempre la stessa) comunque Q si avvicini a P. Pertanto la curva disegnata nella figura 4 non è secondo la definizione data, dotata di tangente nel punto P, perché la posizione limite di PQ è t' o t'' secondo che Q si avvicini a P dal ramo destro o da quello sinistro.
- 48 -
Cap. 3
DERIVATE
y
y
Q
y=f(x)
Q
y=f(x)
y=f(x)
P P
O s
O
x
t
s'
x
s'' t'
fig. 3
t''
fig. 4
Premesso ciò, vogliamo determinare l'equazione della retta tangente in suo punto P, ad una curva Γ rappresentata analiticamente (in coordinate cartesiane) da un'equazione del tipo: y= f x, nell'ipotesi che in tale punto la tangente esista. A tale scopo si indica con α l'angolo che l'asse x forma con la retta tangente t (fig. 5) e con x 0 , f x 0 le coordinate del punto P. Sappiamo che l'equazione della retta tangente, passante per il punto P, deve essere della forma: (1) y− f x 0 =m x−x 0 , dove m è il coefficiente angolare della retta t che, come è noto, è dato da: m = tanα. Per determinare il valore di m, cioè di tanα, consideriamo sulla curva Γ (rappresentata in y figura 5 dalla curva di equazione y= f x ), un altro punto Q ed indichiamo con x0 h , f x0 h le sue coordinate, e siano s la retta PQ e β l'angolo che l'asse x forma con la retta s. Allora, per la definizione data, t è la posizione limite della retta s quando Q si avvicina alla curva indefinitamente a P. Pertanto si ha: lim s=t , cioè:
Q P
P β O
s
αS x0
y=f(x)
β
}
f x 0
Q
R T
}
f x 0 h
x
x 0 h
t
fig. 5
lim β=α ,
Q P
ossia, poiché tanx assume tutti i valori compresi fra α e β: (2) lim tanβ=tanα . Q P
Ma se Q→P, allora h→0, e quindi il limite (2), si può scrivere; (3) lim tan β=tanα . h 0
Tracciate per P la parallela all'asse x e per Q la parallela all'asse y, fino ad incontrarsi in ℝ , dal triangolo rettangolo PRQ, risulta : RQ f x 0h− f x 0 tanβ= = , PR h e quindi la (3) si può scrivere:
- 49 -
Cap. 3
DERIVATE
f x 0h− f x0 =tan α . h h 0 Quindi il valore del coefficiente angolare m (=tanα) della tangente sarà determinato se riusciremo a calcolare il limite (4), dopo di che l'equazione cercata della retta tangente è la (1) con m dato dal limite (4). Possiamo perciò concludere: se la curva di equazione y= f x , nel punto di ascissa x 0 , ammette retta tangente, non parallela all'asse y, il coefficiente angolare di tale retta è dato dal limite (4). B) Velocità di un moto rettilineo qualunque Consideriamo un punto mobile ed il suo moto sia rettilineo. r Indichiamo con t il tempo variabile e con s lo spazio percorso nel tempo t. Evidentemente lo spazio s è una funzione della variabile t. Poniamo: s= f t . O P Q Se indichiamo con O la posizione, sulla retta r (fig. 6), che il punto mobile ha nell'istante t = 0, con P la posizione che fig. 6 ha all'istante t 0 e con Q la posizione che ha all'istante t 0h. allora lo spazio PQ, percorso nel tempo h, che intercorre dall'istante t 0 all'istante t 0 h è dato da: f t 0 h − f t 0 . Quindi il rapporto: f t 0 h − f t 0 , h tra lo spazio percorso e il tempo impiegato a percorrerlo, si chiama velocità media del punto mobile nell'intervallo di tempo [ t 0 , t 0 h ] . Tale velocità media è quella che avrebbe un punto che, muovendosi di moto uniforme, impiegasse il tempo h per percorrere lo spazio PQ. Se il moto non è uniforme la velocità media varia con il variare di h ed in generale si constata che quando h è molto piccolo la velocità media varia di poco. È quindi naturale chiamare velocità del punto mobile nell'istante t 0h il valore del limite: f t 0 h − f t 0 lim . h h 0 Allora, come si vede, per calcolare la velocità che un punto ha ad un certo istante t 0 ; si deve calcolare un limite del tutto analogo a quello che abbiamo incontrato precedentemente. (4)
lim
1.
Derivate Data una funzione y= f x , definita in un intervallo [ a , b ] , si presenta frequentemente la necessità di considerare il passaggio da un valore x 0 della variabile x, appartenente ad a , b ad un altro valore x= x 0 h , anch'esso appartenente ad a , b . Si dice incremento della variabile indipendente x nel passaggio dal valore iniziale x 0 al valore x= x 0 h , la differenza: x=h= x−x 0 . Questo incremento può essere positivo o negativo: allora il punto x si trova, rispettivamente, alla destra o alla sinistra del punto x 0 . Si dice incremento della funzione y= f x , relativo al passaggio dal valore x 0 al valore x= x 0 h , la differenza: y= f x 0 h − f x0 . Questo incremento può essere positivo, nullo, negativo. Si chiama rapporto incrementale della funzione f x relativo al punto x 0 e all'incremento h il rapporto:
- 50 -
Cap. 3
y
DERIVATE
=
f x 0 h − f x 0
, h x tra l'incremento ∆y della funzione e l'incremento ∆x = h della variabile indipendente. Quando sarà utile distinguere, chiameremo rapporto incrementale destro (o sinistro) ogni rapporto incrementale in cui sia h > 0 (o h < 0). Quindi, il rapporto è una funzione del punto iniziale x 0 e dell'incremento h; una volta fissato x 0 esso risulta funzione della sola variabile h (≠0). Premesso tutto questo, si dà la seguente definizione. Si chiama derivata della funzione y= f x nel punto x 0 il limite, se esiste ed è finito, del rapporto incrementale (1) per h→0. Pertanto la derivata f ' x della funzione f x è definita dalla relazione: (1)
0
lim
f x 0 h − f x 0
= f ' x0 ,
h h 0 nell'ipotesi che il limite del primo membro esista e sia finito. La derivata s'indica con uno qualunque dei seguenti simboli: 1) f' x
0
}
, notazione di Leibniz
2)
y ' x0
3)
[ D f x ] x= x
4)
y˙ , notazione di Newton .
Si può anche scrivere:
0
, notazione di Cauchy
f x − f x 0
= f ' x0 . x−x 0 L'operazione con la quale si calcola la derivata di una funzione f x è detta la derivazione di questa funzione. OSS. 1) Si parla di derivata, per le funzioni definite in un intervallo, nei punti x 0 ∈ a , b ; 2) la derivata di f in x 0 ∈ a , b , quando esiste, è un numero. Introduciamo, per terminare, le nozioni di derivata destra e di derivata sinistra. Si dice che f x ammette derivata destra nel punto x 0 , quando esiste finito il limite del rapporto incrementale destro al tendere a zero (per valori positivi) dell'incremento h della variabile indipendente. In modo del tutto analogo si definisce la derivata sinistra di f x nel punto x 0 . Le derivate destra e sinistra di f x in x , si indicano rispettivamente, con i simboli f ' x e lim
x x0
0
0
f ' x 0 ; cioè si pone per definizione: −
f x 0h − f x 0
lim
= f ' x0 ;
f x 0h − f x 0
= f ' x0 . − h h + − h 0 h 0 Come conseguenza della definizione di limite, abbiamo: se esiste la derivata f ' x , esistono anche separatamente la derivata destra e quella sinistra e sono (2)
lim
0
uguali fra loro; cioè si ha:
f ' x0 = f ' x 0 = f ' x 0 , +
e viceversa.
- 51 -
−
Cap. 3
DERIVATE
2.
Significato geometrico della derivata Facendo riferimento a quanto detto al §0 di questo capitolo, si ha che l'interpretazione geometrica della derivata è la seguente: ' il valore della derivata f x 0 , in un dato punto x 0 , è uguale al coefficiente angolare m della tangente alla curva di equazione y= f x, nel punto P≡ x 0 , f x 0 . In altri termini se α è l'angolo che
l'asse x forma con la retta t tangente alla curva di equazione y= f x, nel punto P di ascissa x 0 , si ha: m=tanα= f ' x .
0
Vediamo così che l'esistenza della derivata è legata all'esistenza della tangente alla curva di equazione y= f x e il coefficiente angolare della tangente, cioè tan α= f ' x , deve esistere finito. In
0
altre parole, la tangente non deve risultare parallela all'asse y. π In quest'ultimo caso, infatti risulta α=± e la tangente goniometrica di tale angolo non esiste. 2 Una curva continua può in certi punti non ammettere tangente, o averne una parallela all'asse y e quindi per i valori corrispondenti di x, la funzione f x non ha derivata. Esaminiamo, in dettaglio, i casi presentati dalla figura 7. Alcuni dei casi che si possono presentare sono i seguenti: y 1) se le derivate f ' x0 e f ' x 0 esistono finite + − t1 entrambe e sono differenti, ciò corrisponde al caso in t2 cui nel punto di ascissa x 0 esistono, a destra e a siP1 P2 nistra, delle tangenti non parallele all’asse y, e queste P3 y=f(x) tangenti sono diverse tra loro. È questo il caso rappresentato dal punto P 1 della fig. 7. I punti come P1 si chiamano punti angolosi della P0 curva. 2) nel caso in cui i limiti (2) tendano a +∞ e a −∞ , O x rispettivamente, si dice che nel punto x 0 si ha una fig. 7 cuspide rivolta verso il basso (è il caso del punto P0 ). Invece, se i limiti (2) tendono rispettivamente, a −∞ e a +∞ si dice che nel punto x 0 si ha una cuspide rivolta verso l’alto (è il caso del punto P 2 ). 3) nei punti come P 3 si ha che i limiti (2) tendono entrambi a + ∞; in tal caso si dice che nel punto P3 si ha un punto di flesso a tangente verticale. 3.
Esempi Per calcolare la derivata di una funzione y= f x, dobbiamo, per definizione, effettuare le seguenti operazioni: 1°) dare un incremento h al punto x 0 e calcolare il corrispondente incremento della funzione; ∆ y= f x 0h − f x 0 2°) formare il rapporto incrementale relativo al punto x 0 e all'incremento h; y f x 0 h − f x 0 = . h x 3°) calcolare il limite di questo rapporto per h = ∆x→0; f x 0 h − f x 0 y lim = lim . h h 0 x h 0 - 52 -
Cap. 3
DERIVATE
Per esempio, calcoliamo la derivata della funzione f x =x 2− x nel punto x=3. Risulta: 2 y f 3h − f 3 3h − 3h −3 23 = = =h5 , h h x e quindi: f 3h − f 3 lim =lim h5 =5. h h 0 h 0 Si conclude affermando che la funzione è derivabile per x = 3 e la derivata in tale punto vale 5. 1 2 x 1 , nel punto generico x e nel punto x= . Cerchiamo, ora, la derivata della funzione: y=e 2 Dalla definizione si ottiene: y f x h − f x e 2 xh 1 −e 2 x1 e 2 h −1 = = =e 2 x1 ; h h h x 2 x1 ed essendo e costante (rispetto a h), si ha: 2h 2h e −1 2 x 1 e −1 2 x 1 lim e =2 e lim . h 2h h 0 h 0 Ma, se h→0, è: e 2h −1≃2 h quindi si potrà scrivere questa uguaglianza: 2h e −1 lim =1 , 2h h 0 dalla quale si deduce il risultato: f xh − f x lim =2 e 2 x 1 ⋅1=2 e 2 x1 . h h 0 1 In particolare, nel punto x= , si ha: 2 1 f' =2 e 2 . 2
4. 1°)
Derivate di alcune funzioni elementari La derivata di una costante vale zero. Infatti, se y = k è la funzione, si ha: k −k y ' =lim =lim 0=0. h h 0 h 0 2°) La derivata della funzione y = x vale 1. Infatti: x h −x y ' =lim lim 1=1. h h 0 h 0 3°) La derivata della funzione y = senx è uguale a cosx, purché x sia misurato in radianti, cioè: Dsenx = cosx. Infatti, risulta: sen xh−senx senx cosh−1cosx senh senx coshcosx senh− senx y ' =lim =lim =lim = h h h h 0 h 0 h 0 senx cos h−1cosx senh cos h−1 senh = lim =lim sen x lim cos x . h h h h 0 h 0 h 0 senh cos h−1 Poiché: lim =1 e lim =0 , si ottiene: h h 0 h h 0 y ' =cosx . In modo del tutto analogo si prova che: 4°) La derivata di cosx vale −sen x , cioè; D cos x=−sen x . - 53 -
Cap. 3
5°)
DERIVATE
La derivata di y = lnx, (con x > 0), vale: D lnx=
1 . x
Infatti, tenendo presente il limite fondamentale:
1 t
lim 1t e , t 0
h e, ponendo t = , si ha: x
ln xh −lnx y ' =lim =lim h h 0 h 0 Se è y=log a x , si ha: 6°)
ln 1 h
h x
1 x h 1 h =lim ⋅ ⋅ln 1 = ⋅lim ln 1 x h x x x h 0 h 0
x h=
1 1 lne= . x x
1 1 1 D log a x = ⋅log a e= ⋅ . x x lna
Infatti, come è noto, risulta:
1 log a x=lnx⋅ =lnx⋅log a e . lna 7°) La derivata di un prodotto di una costante k per una funzione y= f x è uguale alla costante per la derivata della funzione, cioè: D k f x =k D f x . Infatti: kf xh −kf x f xh − f x f xh − f x D k f x =lim =lim k⋅ =k⋅lim =k⋅D f x . h h h h 0 h 0 h 0 8°) Se è y=e kx con k costante reale, si ha: D e kx =k⋅e kx . x e −1 Infatti, tenendo conto che: lim =1 si ha che: x x 0 e k x h −e kx e kh −1 e kh −1 lim =lim e kx⋅ =lim k⋅e kx⋅ =k⋅e kx . h h kh h 0 h 0 h 0 5.
Derivate di una somma, di un prodotto e di un quoziente Siano f e g due qualunque funzioni derivabili in un intervallo I= a , b . Valgono i seguenti teoremi: Teorema 5.1 Teorema della somma La derivata della somma di due (o più) funzioni derivabili, esiste ed è uguale alla somma delle derivate di queste funzioni, cioè: D f g = f ' g ' . Dim. Infatti, per ogni x∈I, si ha: [ f xh g xh ] − [ f x g x ] =lim f xh − f x lim g x h −g x = f ' x g ' x . lim h h h h 0 h 0 h 0 La tesi del teorema può essere estesa immediatamente per ricorrenza alla somma di un numero finito di funzioni, derivabili in I, nel modo seguente: D f x f x . .. f x = f ' x f ' x . .. f ' x .
1
2
Esempi:
n
1
2 ; x
a)
D3 senx2 lnx=3 cosx
b)
D 2 cosx−4 senxlogx−2 senx−4 cosx
1 log e . x
Teorema 5.2 Teorema del prodotto - 54 -
2
n
Cap. 3
DERIVATE
La derivata del prodotto di due funzioni derivabili esiste ed è uguale al prodotto della derivata del primo fattore per il secondo fermo, più il prodotto del primo fattore fermo per la derivata del secondo e cioè: D f ⋅g = f '⋅g f⋅g ' . Dim. Infatti, per ogni x∈I, si ha: f xh ⋅g xh − f x ⋅g x * lim h h 0 e, togliendo ed aggiungendo (al numeratore) il prodotto f xh ⋅ g x , possiamo scrivere il limite (*) così: f xh ⋅g xh − f xh ⋅g x f xh ⋅g x − f x ⋅g x lim , h h 0 ovvero: f x h ⋅g xh − f xh ⋅g x f xh ⋅g x − f x ⋅g x lim lim = h h h 0 h 0 g xh −g x f x h − f x = lim f xh lim g x , ** h h h 0 h 0 ed essendo f x derivabile in x allora f x è anche continua in x cioè: lim f xh = f x , h 0
che ci consente di affermare che la tesi è vera in quanto (∗∗) diventa uguale a: f ' x ⋅g x f x⋅g ' x . La tesi del teorema può essere estesa immediatamente, come nel caso del teorema 5.1, per ricorrenza al prodotto di un numero finito di funzioni, derivabili in I, nel modo seguente: D f 1 x ⋅ f 2 x ⋅. . .⋅f n x = f ' x ⋅ f 2 x ⋅. ..⋅f n x f 1 x ⋅ f ' x ⋅...⋅f n x ... f 1 x ⋅ f 2 x ⋅.. .⋅ f ' x . 1
2
In particolare la funzione:
n
y=[ f x ] , n
con n > 1, ha come derivata:
y ' =n [ f x ] ⋅ f ' x , n e, ancora più in particolare, se è y=x si ha: y ' =nx n−1 . n−1
ESEMPI. a) D x 5−4 x 32 x−3 =5 x 4−12 x 22 . 4 4 5 b) D x 2 1 =5 x 21 ⋅2 x=10 x x 21 .
c)
D x 2 cosx lnx = 2 x−senx ⋅lnx
x 2cosx . x
Teorema 5.3 Teorema del quoziente Siano f x e g x due funzioni derivabili in I e sia g x ≠0 , ∀ x∈I. La derivata del quoziente di due funzioni derivabili esiste ed è uguale a una frazione avente al denominatore il quadrato del denominatore della funzione di partenza e al numeratore la differenza tra il prodotto del denominatore invariato per la derivata del numeratore e il prodotto della derivata del denominatore per il numeratore invariato e cioè, in formule: f x f ' x ⋅g x − f x ⋅g ' x D = . g x g x 2
Dim. Infatti, per ogni x∈I, si ha:
- 55 -
Cap. 3
DERIVATE
f xh f x f xh g x − f x g xh − g xh g x g xh g x ∗ lim =lim h h h 0 h 0 e, togliendo ed aggiungendo al numeratore il prodotto f x ⋅g x , possiamo scrivere (*) nella forma seguente; f xh g x − f x g x f x g x − f x g xh g xh g x lim = h h 0 f xh g x − f x g x − [ f x g xh − f x g x ] h = lim = g xh g x h 0 f xh − f x g xh −g x g x f x h h = lim −lim ** g xh g x g xh g x h 0 h 0 e, tenendo conto che g x è derivabile in I, g x è anche continua in I per cui: lim g xh =g x . h 0
Ciò ci consente di affermare che la tesi è vera in quanto (∗∗) è uguale a: ' ' f x ⋅g x − f x ⋅g x . g2 x ESEMPI. x x 2 1 - x 2 x 1− x 2 1°) D 2 = = . x 1 x 2 1 2 x 2 12 cosx 1cosx −senx −senx cosxcos 2 xsen 2 x senx 1cos x 1 2°) D = = = = . 2 2 2 1cosx 1 cosx 1cosx 1cos x 1cos x −cosx x−cosx − 1senx ⋅ 1−senx 1−senx x2 3°) D x 2 tanx− =2 x tanx − = 2 x−cosx cos x x−cosx 2 2 x xcosx = 2 x⋅tanx . 2 cos x x−cosx 2 6.
Tabella delle formule e regole di derivazione Qui di seguito sono riportate le principali formule e regole di derivazione. A sinistra è riportata le funzione y= f x e a destra la sua derivata y ' = f ' x : y= f x y= f x y ' = f ' x y ' = f ' x y = costante
y ' =0
y= x
y' =
n
y= x n 1
y=a x
n x n−1 y ' =cos x 1 y' = cos 2 x 1 y ' = log a e x ' y =a x ln a
y=k⋅ f x, k ∈R
y ' =k⋅f ' x
y = senx y = tanx
y=log a x
n
y=∣x∣
y ' =n x n−1 x y ' = =±1 x
y=e kx , k ∈R
y ' =−sen x 1 y ' =− sen2 x 1 y'= x ' y =k e kx
y= f x ±g x
y ' = f ' x± g ' x
y = cosx y = cotanx y = lnx
- 56 -
Cap. 3
y ' = f ' x g x +
y= f x ⋅g x y= f x
y=
+ f x g ' x
g x
Oss: Se f x 0, si ha: y= f x
gx
=e
DERIVATE
f x , g x
g x ≠0
y' =
f ' x g x − f x g ' x
[ g x ]
f ' x . f x
y ' = f x g x g ' x ln f x g x
g x ln f x
2
Esercizi. A) Scrivere il rapporto incrementale di ciascuna delle seguenti funzioni nel punto indicato a fianco: 1 2 2 A1) A2) f x =−x 3 x−2 , per x= ; f x =3 x 1 , per x=2 ; 2 x−2 x f x = 2 , per x=−2 . f x = , per x=−3 ; A3) A4) x−2 x B) Applicando le regole di derivazione, calcola le seguenti derivate: B2) D(x + log 2 x ); B1) D( 3 + x + sen x); B3) D( 2 x + senx ) ; B4) D( 3 x + log 4 x ); B5) D( 3 x e x ); B6) D( x 54 x 2 ); 1 3 x 6 −3 x 3 x 2 x 4 1 2 − 3 x ; ; ; B7) D B8) D B9) D 2 x 2x x4 e 4 1
B10)
D( 8 x x ) ;
B13)
D x 2 senx ;
B11) D x⋅cosx senx ; B14) D[(1 - 2cosx) . tanx ];
B16)
D { x−1 x 2 1 } ;
B17)
D
B19)
D
B20)
D
B23)
D
B26)
D
2
B22) B25) B28) B31)
3− x ; x2 x D 3 2 ; x x 2
e x 1 ; 2−e− x senx1 D ; cosx −senx x D tanx ; x 3 D
B34)
D ln senxcosx ;
B37)
D ln
B40)
D
B43)
D
B46) B49) B52)
{ } x x −1
B32)
;
x −1 ; 3− x
x−2 ; x2 1 x2 D ; 1 x−1 3 1 D x−2 2 ; 2 x D
B29)
5 x 4 −3 x 2 log 1 e ; x 5 −x 3 3 3
B12) B15)
D [ x 2 x 3 logx ] ;
B18)
x 2 x2 ; x 2 −1
B21)
x 3 x 1 ; x −1
B24)
D
B27)
D
B30)
D ex
B33)
D
B36)
D ln e x −2 ;
ex ; x 3 x 2 x senx D ; xcosx x D ; x1
B35)
D e senx cosx ;
B38)
x3 D x 2 ; −x 4
B39)
D
B41)
D
3 x 2 2 x−1 ; x−2 2
B42)
D
B44)
D
x x ; x− x
B45)
D
B47)
D
1senx ; 1cosx
B48)
B50)
D −
B53)
D
2
senx ; x cosx
sen 2 x −1 ; 1−senx
− 12 lnx ; x 2 ln 2 x - 57 -
3
D xcosxsenx ; x ; D x 2 x D 2 x− 2 ; x 1 logx1 ; logx−1
cosx ; x cosx2
senx ; senx −cosx
x ; x1
x3 ; 2 x 2 −3 x1
x−3 ; x 22
x−2 ; x2 3 x−1 D ; 2 x
B51)
D e senx cosx
B54)
D arcsen
1 ; x
1 . lnx
Cap. 3
DERIVATE
C) Negli esercizi seguenti determina l'equazione della tangente alla curva di equazione data nel punto dato: C1) C2) y=−x 2 2 x3, x 0 =−2 ; y= x 2 −x , x 0 =−2 ; x y= , x 0=−3 ; C3) C4) y= x 3−2 x 21, x 0=1 ; x−1 1 y= x 25, x 0= ; C5) C6) y= 25−x 2 , x 0=3 ; 2 1 1 x 2 2 y= x 4 x 32 , x0 =1 ; C7) C8) y= , x 0=4 ; 4 3 x−2 π 3 2 C9) C10) y=senx−cosx , x 0= . y= x − x −1, x 0 =0 ; 4 2 D) Determina k (k∈ ℝ ) in modo tale che le parabole y= x 2k e y=−x − x siano tangenti. Determina le coordinate del loro punto di contatto T e l'equazione della loro tangente comune.
7.
Derivazione di funzioni composte Una delle più importanti regole di derivazione riguarda le derivate delle funzioni composte. Siano date due funzioni: (1) y= f u e u=g x , e supponiamo che, variando x nell'intervallo I, la funzione u=g x assuma valori appartenenti al dominio della funzione y= f u . Allora, come sappiamo, le (1) definiscono la funzione composta f [ g x ] che possiamo indicare con F x , cioè poniamo: (2) F x = f [ g x ] . Vogliamo trovare una regola che consenta di calcolare la derivata della funzione composta (2), per mezzo delle derivate delle due funzioni componenti (1). A tale scopo si enuncia il seguente: Teorema 7.1 Sia g x una funzione reale definita in un intervallo I e derivabile nel punto x∈I, e sia f u una funzione reale definita in un intervallo I', tale che g I ⊆I' , e derivabile nel punto u=g x . Allora la funzione composta è derivabile in x e si ha: (3) F ' x = f ' u ⋅g ' x , dove u=g x . Questo teorema, se indichiamo, rispettivamente, con ∆u e ∆y gli incrementi di u e y corrispondenti ad un incremento ∆x di x, (e supponendo che ∆u ≠ 0), si può considerare come una immediata conseguenza della evidente identità: y y u = ⋅ . x u x Ancora, questo teorema si può anche enunciare affermando che: per derivare una funzione di funzione, questa si deve anzitutto derivare rispetto alla variabile da cui dipende direttamente e poi moltiplicare per la derivata di quest'ultima rispetto alla variabile indipendente. Inoltre, questo teorema si estende anche al caso in cui le funzioni componenti siano più di due. Per esempio se è: y= f z ; z= g u ; h ; u=h x cioè: y= f g u = y = f g h x , allora è: . y ' = f ' z ⋅g ' u ⋅h' x . ESEMPI. 1) Sia da calcolare la derivata della funzione y = lnsenx. Poniamo: u = senx e y = lnu. In questo modo si ha:
- 58 -
Cap. 3
DERIVATE
1 u ' x=cosx e lnu ' = . u 1 1 ⋅cosx=cotanx. Pertanto, in base alla (3), si ha: y ' = ⋅cosx , cioè: y ' = u senx 2) Calcolare la derivata della funzione y = cosln3x. In pratica si può procedere più velocemente nel modo seguente. Si deriva cosln3x considerando ln3x come variabile indipendente e si ottiene: −sen ln3 x ; poi si deriva ln3x conside1 rando lnx come variabile indipendente e si ottiene 3ln2x e infine si deriva lnx ottenendo . x Il prodotto di tutte le derivate trovate, fornisce la derivata della funzione composta considerata: 1 3 y ' =−sen ln 3 x ⋅3 ln 2 x ⋅ =− ⋅ln 2 x⋅sen ln 3 x . x x ESERCIZI. Calcolare la derivata delle seguenti funzioni : 1 1x 2 2 D lncos x ; D ln ; 1) 2) 3) D ln 1−x ; 2 2 cos 2 x 1−x
4)
D lnsen x ;
5)
3
D ln sen
x3 ; 4
6)
1 D sen 2 x − sen 3 x xln x . 4
8.
Massimi e minimi assoluti e relativi Sia f x una funzione definita in un intervallo [ a , b ] . Se in tale intervallo esiste un punto c, in cui la funzione assume un valore non minore dei valori che essa assume negli altri punti di [ a , b ] , si dice che nel punto c la funzione ha un massimo assoluto. In modo simile, se in [ a , b ] esiste un punto d, in cui la f x assume un valore non maggiore dei valori che essa assume negli altri punti di [ a , b ] , si dice che in quel punto la funzione ha un minimo assoluto. Definiamo ora i massimi e i minimi relativi di una funzione. DEFINIZIONE. Si dice che un punto x 0 ∈ a , b , è un punto di massimo relativo per la funzione
f x , se esiste un sottointervallo H= α ,β ⊆ a , b contenente x 0 , tale che per ogni x∈ α ,β risulti: f x ≤ f x 0 . (1) Analogamente si dice che x 0 è un punto di minimo relativo per la f x , se esiste un sottointervallo H= α ,β ⊆ a , b contenente x 0 , tale che per ogni x ∈ α ,β risulti: f x ≥ f x 0 . (2) Il punto x 0 si dirà poi un punto di massimo (minimo) relativo proprio se la (1) o (la (2) può essere sostituita dalla: f x f x 0 , f x f x 0 , per tutti gli x ∈ α , β x≠x 0 . I punti di massimo e minimo relativo si chiamano anche estremanti relativi (o locali) della funzione. Il valore che la f x assume in un punto di massimo o minimo relativo, si chiama un massimo o un minimo relativo di f x . Secondo le date definizioni, occorre tener ben presente che il valore assunto dalla funzione in un punto x 0 di massimo o minimo relativo, non è necessariamente il più grande o il più piccolo valore fra quelli che essa assume in tutto l'intervallo [ a , b ] , ma è soltanto il più grande o il più piccolo valore fra quelli che la funzione assume in un intervallo H= α ,β ⊆ a , b tale che x 0 ∈ α , β . Cioè, l'estremo di una funzione presenta un carattere locale: esprime il più grande, o il più piccolo, valore rispetto ai suoi valori “vicini”. Da ciò segue che la funzione può, nel dato intervallo, avere svariati massimi e minimi relativi, come potrà avvenire che un massimo relativo sia più piccolo di un minimo relativo. La rappresentazione geometrica rende - 59 -
Cap. 3
DERIVATE
evidenti tutte queste considerazioni. Così, la funzione rappresentata in fig. 8 ha punti di massimo relativo in x 0 e x 2 ; punti di minimo relativo in x 1 e x 3 . Si osservi che il minimo in x 3 , cioè f x 3 , è maggiore del massimo relativo in x 0 , cioè di f x 0 . La funzione assume il suo minimo assoluto in x 1 , che è anche un punto di minimo relativo.
y
t y=f(x)
a
O
x0
x1
x2
x3
b
x
fig. 8 Invece il massimo assoluto viene assunto dalla funzione nell'estremo b dell’intervallo e quindi NON è un massimo relativo. 9.
Massimi e minimi delle funzioni derivabili Occupiamoci ora della ricerca dei punti di massimo o minimo relativo di una funzione definita e derivabile in un intervallo [ a , b ] . Diciamo, però, esplicitamente che tutte le considerazioni che svolgeremo qui e nei successivi paragrafi, sono valide esclusivamente per i punti di massimo o minimo relativo, che cadono internamente all'intervallo [ a , b ] . Enunciamo, innanzi tutto, il seguente teorema. TEOREMA. Se x 0 è un punto di massimo o minimo relativo per la funzione f x e in tale punto la f x è derivabile, risulta: f ' x 0 =0 OSS. 1) Geometricamente questo teorema è evidente, perché è intuitivo che in un punto di massimo o di minimo relativo la tangente t alla curva y= f x , ammesso che esista, risulti parallela all'asse delle x (ved. fig. 8). 2) Si sottolinea il fatto che, per la validità del teorema, è essenziale che si tratti di massimo o minimo relativo, cioè che x 0 sia interno all'intervallo ove la f x è definita. Per esempio, nel caso della fig. 9 il valore minimo della f x è all'estremo sinistro, dove è f ' a≠0 , 3)
y
t y=f(x)
O
a
b
x
fig. 9
perché la tangente nel punto corrispondente del diagramma non è parallela all'asse delle x. È facile notare che può non valere l'inverso del teorema enunciato sopra, cioè in un punto può benissimo essere nulla la derivata prima della funzione senza che in quel punto la fun- 60 -
Cap. 3
DERIVATE
zione sia massima o minima. Ad esempio consideriamo la funzione: 3 y= x−1 2 la cui derivata è: 2 y ' =3 x−1 . Essa si annulla per x = 1. Ora, in tale punto risulta: f 1 =2, mentre per x < 1, essendo: 3
x−1 0 , si ha: f x 2 e per x > 1, essendo: 3 x−1 0 , si ha: f x 2. Nel punto x = 1 la
funzione non ha quindi né massimo né minimo, perché non esiste un intervallo dell'asse x contenente il punto x = 1 in cui risulti sempre: f x ≤ f 1=2 , oppure f x ≥ f 1=2 . Geometricamente ciò vuol dire che la tangente t alla curva nel punto di ascissa x = 1, pur essendo parallela all'asse x, attraversa la curva (ved. fig. 10). 4)
fig. 10 ' Ogni punto x 0 in cui f x 0 =0 è detto punto stazionario. I punti nei quali risulta: f ' x 0 =0 , oppure la derivata non esiste, sono detti punti critici (il termine “critico” sta a
richiamare l'attenzione sulla necessità di un esame più approfondito). Dunque, secondo la definizione, ogni punto stazionario è critico. 10.
Criterio per l'esistenza di estremi relativi Dal ragionamento svolto segue che l'annullarsi di f ' x 0 è una condizione necessaria perché x 0 sia un punto di massimo o di minimo relativo, ma, in generale, NON è sufficiente. Cerchiamo allora quali ulteriori condizioni debbano essere soddisfatte perché in x 0 vi sia un massimo o un minimo relativo. A tale scopo enunciamo il seguente: Teorema. Sia f x una funzione continua e derivabile in un intervallo I= α ,β contenente x 0 . 1) Se nell'intervallo I risulta: < 0, per xx 0 ; ' f x = = 0, per x= x 0 ; > 0, per xx 0 ; allora x 0 è un punto di minimo relativo (proprio) per la funzione. 2) Se nell'intervallo I risulta: > 0, per xx 0 ; f ' x = = 0, per x= x 0 ; < 0, per xx 0 ;
{ {
allora x 0 è un punto di massimo relativo (proprio) per la funzione. 3) Infine, se la derivata non cambia segno attraversando x 0 , allora questo punto non è né un massimo né un minimo e occorre proseguire nello studio delle derivate di ordine superiore. OSS. Questo teorema permette di evitare, nella maggior parte dei casi semplici, il calcolo della derivata seconda f '' x 0 , di cui ci occuperemo in modo più approfondito in seguito. Esempi su come determinare i massimi e minimi delle funzioni. 2 4 x −5 x 2 Sia f x = . 1) x −1 - 61 -
Cap. 3
DERIVATE
Abbiamo : f ' x =
(*)
4 x 2 −8 x3 . 2 x−1
1 3 e per x= . . 2 2 Siccome il denominatore della frazione (*) è sempre positivo, per x ≠ 1, allora, come è noto, la f ' x è positiva quando attribuiamo valori
1 2
La f ' x si annulla per x=
f ' x 0
3 2
1
R
f ' x 0
f ' x0
fig. 11 1 3 , esterni all'intervallo (fig. 11), negativa per valori interni allo stesso intervallo (naturalmente 2 2 3 1 ≠ 1). Perciò, segue che x= è un punto di massimo e x= è un punto di minimo per la funzione. 2 2 5 4 3 2) Sia y= x −5 x 5 x 1 . Allora: y ' =5 x 4 −20 x3 15 x 2=5 x 2 x 2−4 x3 . Quindi i segni della f ' x sono:
[ ]
y ' 0 per x1 o per x3 e su queste due semirette la funzione è crescente; y ' 0 per 1x3 e in questo intervallo la funzione è decrescente. 0 1 Pertanto x = 1 è un punto di massimo relativo (M) per la funzione e x = 3 è un punto di minimo relativo (m). La fig. 12 descrive questa situazione.
3
R
M
m fig.12 11.
Derivate di ordine n
Se f : A→B è una funzione derivabile, la funzione f ' può essere a sua volta derivabile. La derivata della f ' in un punto x 0 si dice derivata seconda della f in x 0 e si indica con uno dei simboli: 2 f '' x 0 , D f x∣x=x , 0
dove l'ultima notazione, D f x∣x= x , si legge: “derivata seconda di f x calcolata nel punto x= x 0 oppure: “derivata seconda di f x ristretta al punto x= x 0 ”. Procedendo per induzione, se esiste la funzione derivata n−1 −ma della f, si definisce la derivata n-ma ponendo: 2
0
f
n
x 0 =D { Dn−1 f x∣x= x } . 0
È quindi naturale indicare la derivata n−ma oltre che col simbolo: f
n
x0
anche con: D f x∣x= x . n
0
12. Studio del massimo e del minimo delle funzioni utilizzando anche le derivate d'ordine superiore al primo Accanto al criterio enunciato nel paragrafo 10, conviene segnalarne un altro perché talvolta può non essere agevole stabilire il segno di y ' . Questo nuovo criterio è anch'esso sufficiente, ha carattere “puntuale” e invoca l'esistenza delle derivate successive a quella del primo ordine nel punto x 0 . A tale scopo si enuncia il seguente teorema. Teorema 12.1. La funzione f x sia definita nell'intervallo I= [ a ,b ] ed in I sia derivabile quanto occorre. Se in un punto x 0 , interno all'intervallo I risulta f - 62 -
n
x 0 ≠0 , mentre
nello stesso punto
Cap. 3
DERIVATE
sono nulle tutte le derivate di ordine minore di n, cioè se è: '
''
f x 0 = f x 0 =. . .. .. . .. . = f
n−1
x 0 =0 ,
allora: 1)
x 0 è un punto di massimo relativo, se n è pari e f
2)
x 0 è un punto di minimo relativo, se n è pari e f
n
n
x 0 0 ;
x 0 0 ;
x 0 non è né punto di massimo relativo né punto di minimo relativo, se n è dispari. 3) In particolare, nei casi più comuni, ci possiamo servire del seguente criterio: Sia f x definita in [ a , b ] e sia x 0 un punto interno ad [ a , b ] . 1)
2)
3)
Nelle ipotesi:
Nelle ipotesi:
Nelle ipotesi:
{ {
f ' x 0 =0
f '' x 0 <0
f ' ( x 0 ) =0
{
f '' ( x 0 ) >0
il punto x 0 è punto di massimo relativo. il punto x 0 è punto di minimo relativo.
f ' x 0 =0
f '' x 0 =0
f ''' x 0 ≠0
il punto x 0 non è né un punto di massimo relativo né di
minimo relativo vedremo in seguito come stabilire la natura del punto x 0 , f x 0 . In pratica per la determinazione dei massimi e dei minimi relativi di una funzione derivabile si deve procedere così: 1) si deriva la funzione f x e poi si trovano i valori che annullano la f ' x , cioè si determinano le soluzioni dell'equazione: f ' x =0 . 2) Se x 0 è una di queste soluzioni, si calcola f '' x 0 . Se risulta f '' x 0 ≠0 , allora x 0 è un punto di massimo o minimo a seconda che sia: f '' x 0 0 oppure f '' x 0 0 . 3) 4)
Se risulta invece f '' x 0 =0 ; si calcola f ''' x 0 . Se f ''' x 0 ≠0 , allora x 0 non è un punto di massimo né un punto di minimo per la funzione. Se risulta invece f ''' x 0 =0, si calcolano in x 0 le derivate successive fino a trovare quella che in si annulla proprio in x 0 . Se quest'ultima è di ordine pari (cioè è la quarta o la sesta
ecc.), in x 0 si ha un massimo se, ad esempio, f iv x 0 0 oppure si ha un minimo se, ad
esempio, f iv x 0 0. Se invece è d'ordine dispari (cioè è la quinta o la settima ecc.), x 0 NON è né punto di massimo né di minimo per la funzione. ESEMPIO. Usando la derivata seconda, ricercare i punti di massimo e minimo relativo di: y = 2senx + cos2x. Poiché la funzione è periodica di periodo 2π, ci possiamo limitare a studiare l'andamento della funzione nell'intervallo [ 0, 2 π ] . Si ha: y ' =2 cosx 1−2 senx e y '' =−2 senx−4 cos 2 x . Dall'equazione 2 cosx 1−2 senx =0 ricaviamo i punti critici nell'intervallo [ 0, π ] . Essi sono: π π 5π 3π x= , , , . Ora determiniamo il segno della derivata seconda in questi punti critici: 6 2 6 2
- 63 -
Cap. 3
DERIVATE
π π =−30⇒ è un punto di massimo. 6 6 π 3 = ; Inoltre: f 6 2 π π f '' =20 ⇒ è un punto di minimo. Inoltre: 2 2 π f =1 ; 2 5 5 f '' π =−30 ⇒ π è un punto di massimo. 6 6 5 3 π = ; Inoltre: f 6 2 fig .13 3 3 f '' π =60 ⇒ π è un punto di minimo. Inoltre: f 3π =−3 . 2 2 2 In fig. 13 è descritto l'andamento del grafico della funzione y = 2senx + cos2x: f ''
13.
Massimi e minimi assoluti Sia f x una funzione definita nell'intervallo [ a , b ] . Se in tale intervallo esiste un punto c in cui la funzione assume un valore non minore (maggiore) dei valori che essa assume negli altri punti di [ a , b ] , il valore f c si dice massimo (minimo) assoluto della f x in [ a , b ] e il punto c si dice punto di massimo (minimo) assoluto per la f x in [ a , b ] . Il massimo (minimo) assoluto di una funzione f x continua in un intervallo [ a , b ] , è assunto o nei punti critici oppure agli estremi dell'intervallo. In questo caso, per determinare il massimo (minimo) assoluto della funzione dobbiamo calcolare, quando è possibile, i suoi valori in tutti i punti estremanti relativi all'intervallo [ a , b ] , i valori f a e f b della funzione nei punti estremi dell'intervallo e scegliere il più grande (il più piccolo) fra i numeri ottenuti. ESERCIZI. Calcolare i massimi e i minimi assoluti delle seguenti funzioni, negli intervalli a fianco indicati: 5 y=2 x 3 −3 x 2−12 x 1; −2, ; 1) 2) y=3 x 4 −8 x3 −6 x 224; [ 0, 3 ] ; 2 3) y = senxcosx + cosx; [ 0, 2 π ] ; 4) y= x 2 lnx, [ 1, e ] . Soluzioni: M 1 =8 ; m 1 =−19 ; M 2 =45 ; m 2 =0 ; 3 3 3 3 2 M 4 =e ; m 4 =0 . M 3 = ; m 3 =− ; 4 4
[
]
ESEMPIO.
x , per x ∈R. 1 x 2 Si nota subito che la funzione è definita in un intervallo illimitato. Calcoliamo la derivata prima. Si ha: 2 1− x y' = , 2 2 1 x 1 1 da cui si vede subito che y ' =0 per x = ± 1. Inoltre: y 1 = , y −1 =− . D'altra parte risulta: 2 2 x lim =0 , 2 x ±∞ 1x quindi, possiamo concludere che il massimo e il minimo assoluti della funzione valgono, rispettivaCalcolare gli eventuali massimi e minimi assoluti di y=
- 64 -
Cap. 3
mente,
DERIVATE
1 1 e− . 2 2
14.
Concavità, convessità. Punti di flesso Sia f x una funzione definita e continua nell'intervallo I= [ a ,b ] ed in I sia derivabile quanto occorrerà considerare. Sia P 0 ≡ x 0 , y 0 un punto qualunque della curva grafico della f x con x 0 interno ad [ a , b ] ; essendo f x derivabile in x 0 , allora esiste in P 0 la retta t tangente alla curva e tale retta non è parallela all'asse y (altrimenti la derivata avrebbe valore infinito, cioè non esisterebbe). Si danno le seguenti definizioni: 1) si dice che nel punto P 0 la curva rivolge la concavità verso la direzione positiva dell'asse y (o verso l'alto), quando esiste un intervallo α , β ⊆ a , b tale che x 0 ∈ α ,β e che per ogni x ∈ α , β , x≠ x 0 , l'ordinata del punto di ascissa x appartenente al grafico è maggiore di quella appartenente alla tangente in P 0 ed avente la medesima ascissa.
2) Se invece per ogni x ∈ α , β , x≠ x 0 , le ordinate dei punti della curva sono minori di quelle dei corrispondenti sulla tangente, si dice che la curva nel punto P 0 volge la convessità verso la direzione positiva dell'asse y (o verso l'alto), oppure, ciò che è lo stesso, volge la concavità verso il basso. In entrambi i casi, nell'intervallo α , β , che contiene x 0 , il grafico di f x sta in uno solo dei semipiani averti per bordo la retta tangente nel punto P 0 (ved. fig. 14). 3) Se poi non si presenta alcuy no di questi due casi, cioè se esiste un intervallo α , β y=f(x) t y=f(x) t contenente x 0 tale che la curva y=f(x) t stia in uno dei semipiani di P0 P0 P 0 bordo la retta tangente t per x x 0 e x ∈ α ,β e nel semipiano opposto per x x 0 e x ∈ α , β ,si dice che in P 0 la x curva ha un flesso (o un punto x0 x0 x0 O di inflessione) (ved. ancora la fig. 14). fig. 14 Dalla definizione di flesso segue che in un punto P 0 di flesso la tangente t attraversa la curva. A questo proposito enunciamo il seguente teorema. Teorema 14.1 Se risulta: f '' x 0 ≠0 , allora la curva in P 0 volge: a)
la concavità verso l'alto, se è f '' x 0 0 ;
la concavità verso il basso, se è f '' x 0 0 ; se invece risulta: f '' x 0 =0 e f ''' x 0 ≠0 , allora la curva ha in x 0 un flesso. Una generalizzazione di questa proprietà è il seguente teorema. Teorema 14.2 Se x 0 è una soluzione dell'equazione: b) c)
f '' x 0 =0 , e se la prima derivata, dopo la seconda, che non si annulla in x 0 : 1) è di ordine dispari, allora in P 0 la curva ha un flesso; - 65 -
Cap. 3
DERIVATE
2) è di ordine pari, allora in P 0 la curva volge la concavità verso l'alto o verso il basso a seconda che questa derivata sia positiva o negativa. Inoltre sussiste il seguente teorema. Teorema 14.3 Sia f x una funzione definita in [ a , b ] e dotata di derivata “infinita” nel punto x 0 interno ad [ a , b ] (si dice che una funzione ha “derivata infinita” in un punto x 0 se in tale punto la derivata NON esiste, e il limite, per x x 0 , del rapporto incrementale è o ∞ o −∞ ). Allora la curva di equazione y= f x ha nel punto P 0 ≡ x 0 , y 0 un flesso nel quale la tangente è la retta verticale x= x 0 . ESEMPIO. Determinare per la funzione y= x 5 5 x−6 gli intervalli in cui il grafico della stessa volge la concavità verso l'alto e quelli in cui volge la concavità verso il basso. Determinare infine gli eventuali punti di flesso. Si ha: y ' =5 x 4 5 e y ''=20 x 3 . Per x0 è y ''0 e per x0 è y ''0. Pertanto la curva rivolge la concavità verso l'alto per x0 e verso il basso per x < 0. Il punto P 0 ≡ 0 , −6 è un flesso (ved. fig. 15). fig. 15 Esercizi. Risolvere la questione analoga dell'esempio precedente per le seguenti funzioni: 2 1) y=3 x 4 −8 x3 6 x 212 x ; 2) y=e−x ; 4 x 4) y= x e x ; 3) y= x1 e ; y= x−sen x . 5) Soluzioni: 1)
La curva è concava verso l'alto per x
1,13 . 2) 3) 4) 5)
1 11 1 , 4 o x1 . I punti di flesso sono e 3 27 3
1
− 2 2 2 La curva è concava verso l'alto per x− o x . I punti ± , e 2 sono i flessi 2 2 2 della curva data. La curva è concava verso l'alto ∀x∈ ℝ . −2 La curva è concava verso l'alto per x−2 ; il flesso è nel punto F≡−2 , −2 e . La curva è concava verso l'alto per 2 k π x 2 k 1 π , k ∈Z . I flessi sono in F≡ k π , k π .
15.
Studio di una funzione L'analisi e lo studio del grafico di una funzione è stato introdotto a livello soprattutto intuitivo. Ora, avendo a disposizione gli strumenti analitici per poter usare le derivate, si può intraprendere uno studio più approfondito per analizzare il comportamento e le varie proprietà delle funzioni in una variabile. Nello studio di una funzione y= f x , spesso, conviene procedere secondo il seguente schema (maggiormente dettagliato in appendice): 1) determinare l'insieme di esistenza (o dominio o campo di esistenza) della funzione f, le eventuali simmetrie rispetto all'asse y o all'origine delle coordinate, la eventuale periodicità, il segno e le condizioni ai limiti del dominio (nei cosiddetti punti di “frontiera”); 2) determinare gli eventuali punti di intersezione della curva con gli assi coordinati; - 66 -
Cap. 3
DERIVATE
3)
discutere le discontinuità della curva trovando gli eventuali asintoti verticali (che sono rette esprimibili nella forma generica: x = cost.); 4) controllare se esistono asintoti orizzontali (che sono rette esprimibili nella forma generica: y = cost) e se esistono asintoti obliqui (che sono rette esprimibili nella forma generica: y = mx + p; m, p∈ ℝ ); 5) calcolo di f ' x ed, eventualmente, di f '' x per lo studio: 5a) dei massimi e dei minimi relativi; 5b) della concavità e della convessità; 5c) dei flessi; 6) calcolo dei limiti della f ' x nei punti di “frontiera” del dominio. Prima di passare ad esaminare alcuni esempi di studio di una funzione, consideriamo uno schema riassuntivo sui punti critici. Come sappiamo (ved. Massimi e minimi assoluti e relativi) un punto c è detto critico se f ' c =0 (punto stazionario), oppure se in esso NON esiste la derivata prima. Esaminiamo questi due casi: A) Punti stazionari: f ' c =0 . In tal caso, il punto c è: A1) un estremante: massimo o minimo (fig. 16); A2) un punto di flesso a tangente orizzontale (fig. 17);
y
y y=f(x)
t
t
y=f(x)
t' O
c
c'
x
O
x
c
fig. 16 fig. 17 B) NON esiste la derivata prima nel punto c (anche se in c la funzione è continua). Questo avviene quando: y 1) lim =∞ . h 0 h Si presentano i seguenti casi:
y t B1)
y=f(x)
lim f ' x =+ ∞ .
x c±
Il punto c è un punto di flesso, a tangente verticale o “ascendente” (ved. fig. 18).
O
c
fig. 18
- 67 -
x
Cap. 3
DERIVATE
y t B2)
lim f ' x =−∞ .
x c±
Il punto c è un punto di flesso, a tangente verticale o “discendente” (ved. fig. 19).
y=f(x)
x
c
O
fig. 19
y B3)
lim f ' x =±∞ .
x c
y=f(x)
t
y=f(x)
±
Nel punto c si ha una “cuspide” rivolta verso il basso (ved. fig. 20).
x
c
O
fig. 20
y B4)
t
lim f ' x =∓∞ .
x c±
y=f(x)
y=f(x)
Nel punto c si ha una “cuspide” rivolta verso l'alto (ved. fig. 21).
O
x
c
fig. 21
y 2)
f ' c ≠ f ' c . −
t'
t'' y=f(x)
y=f(x)
+
In tal caso si hanno i punti “angolosi” (ved. fig.22). Si hanno punti angolosi anche quando f ' c è infinita e f ' c è finita, o viceversa
−
(ved. fig. 23).
O
c fig .22
- 68 -
x
Cap. 3
DERIVATE
y
y t''
y=f(x) y=f(x)
y=f(x)
y=f(x)
t' O
c t''
O
x
c t'
x
fig. 23 Vediamo ora qualche esempio. Es. 1
Sia da studiare la funzione di tipo algebrico razionale fratto: x y= 2 . x 1 La funzione è definita ∀ x∈ℝ (quindi non esiste alcun asintoto verticale) ed è simmetrica rispetto all'origine. Per x = 0 si ha y = 0 ⇒ la curva passa per l'origine del sistema di riferimento. Per x ±∞ il denominatore della frazione, che ha grado maggiore del numeratore, cresce più rapidamente del numeratore e quindi: x lim 2 =0 , x ±∞ x 1 ± ovvero, se: x ±∞ ⇒ y 0 . Da ciò si deduce che la retta di equazione y = 0 (cioè l'asse x) è asintoto orizzontale della curva sia a destra che a sinistra. Se poniamo y > 0 (per determinare il segno della funzione) si vede subito che: y > 0 per x > 0 e y < 0 per x > 0. Derivando si ha: 1− x 2 ' y = . 2 x 2 1 Questa derivata si annulla per x = ±1. Calcoliamo ora la y '' : 2 '' 2 x x −3 y= , 3 x 2 1 e valutiamola nelle ascisse che annullano la derivata prima. Si ha: 1 y '' −1 = >0 ⇒ il punto di ascissa x=−1 è un punto di minimo; 2 1 y '' 1 =− <0 ⇒ il punto di ascissa x=1 è un punto di massimo. 2 Per calcolare le ordinate corrispondenti a queste due ascisse basta andare a sostituire i due valori −1 e 1 nella funzione y. Facendo così si trova: 1 1 y 1 = e y −1 =− . 2 2 Quindi, se indichiamo con m e M i punti, rispettivamente, del minimo e del massimo si potrà scrivere:
- 69 -
Cap. 3
DERIVATE
1 1 e m≡ −1,− ; (ved. fig. 24). 2 2 Riprendiamo ora in esame la derivata seconda della funzione per cercare di provare l'esistenza di eventuali flessi. Poiché y ''=0 per x=0,± 3 , bisogna calcolare la derivata terza della funzione y per vedere se, per i valori che annullano la derivata seconda, essa è o non è diversa da zero. Se la derivata terza della y, calcolata in tali ascisse, risulterà effettivamente diversa da zero, allora resterà provata l'esistenza di punti di flesso per la curva y= f x . Dopo alcuni semplici calcoli, si ha: 6 x 2−2 x−1 x 22 x−1 y ''' =− . 4 x 21 Valutiamo ora la y ''' nelle ascisse che annullano la y '' . 3 y ''' 3 = ⇒ il punto di ascissa x= 3 è un punto di flesso; 16 y ''' 0 =−6 ⇒ il punto di ascissa x=0 è un punto di flesso; 3 y ''' − 3 =− ⇒ il punto di ascissa x=− 3 è un punto di flesso. 16 Calcoliamo ora le ordinate corrispondenti alle ascisse dei punti di flesso. Per ottenere ciò, basta andare a sostituire, nell’equazione della funzione, alla x quei valori numerici che annullano la derivata seconda e cioè: 3 3 è un punto di flesso; y 3 = ≃0,433 ⇒ il punto F 1≡ 3, 4 4 y 0 =0 ⇒ il punto F O≡ 0,0 è un punto di flesso; 3 3 è un punto di flesso. y − 3 =− ≃−0,433 ⇒ il punto F 2≡ − 3,− 4 4 x . Il grafico di fig. 24 illustra le variazioni della funzione y= 2 x 1 M≡ 1,
fig . 24 grafico della funzione: y=
Es. 2
x x 1 2
Sia da studiare la funzione di tipo algebrico razionale fratto: x3 y= 2 . x −1 Questa è una funzione razionale che risulta definita nei punti dove il denominatore è ≠ 0. Questo accade quando si verifica la condizione: x 2 −1≠0 che conduce a scrivere che x deve essere - 70 -
Cap. 3
DERIVATE
diverso da ±1. Quindi, il dominio di y è: D=ℝ∖ {−1,1 }=(−∞ ,−1 )∪ (−1,1 ) ∪( 1,+ ∞ ) . Essendo f x =− f −x , la funzione è simmetrica rispetto all'origine degli assi cartesiani. Il valore nell'origine è y = 0 ⇒ la curva passa per tale punto. Stabiliamo il segno della funzione e per questo studiamo la condizione y > 0. Come è facile verificare, si trova che y0 per −1 x0 e x1. Calcoliamo i limiti per conoscere il comportamento della funzione nei punti di discontinuità. Si ha: x3 x3 lim 2 =±∞ , lim 2 =±∞ . x −1± x −1 x + 1± x −1 Come corollario, dal calcolo di questi limiti, possiamo affermare che le rette x = ±1 sono due asintoti verticali per la curva. In questa, come in ogni funzione razionale in cui al numeratore ci sia un polinomio di grado maggiore di quello al denominatore, è sempre utile eseguire la divisione tra numeratore e denominatore. Procedendo così si ottiene un'uguaglianza del tipo: x3 x =x 2 2 x −1 x −1 dove la funzione razionale presente al secondo membro ha il grado del numeratore minore di quello del denominatore e quindi, a mano a mano che x tende a −∞ o −∞ diventa un addendo sempre più trascurabile. In altri termini, se x −∞ o x −∞ i valori di y sono sempre più vicini ai valori di x. Poiché il grafico di y = x è una retta, di essa si parla come di un asintoto obliquo della funzione. Calcoliamo la derivata prima. Dopo semplici passaggi si ha : x 2 x 2 −3 y' = 2 . x −1 2 Si vede subito che y ' =0 per x=0,± 3. Studiamo ora il segno della y ' . Osserviamo subito che il denominatore è sempre maggiore o uguale a zero (risulta zero quando x = ±1 ed in questi punti la derivata è infinita cioè NON esiste). Un'analoga considerazione la possiamo fare a proposito del termine x 2 che è al numeratore. Allora si ha y ' 0 per x− 3 o per x 3 . (*) ' ' In particolare y 0 =0 ma y non cambia segno quando la curva attraversa l'origine mantenendo il segno negativo come stabilito sopra da (*). Per inciso x = 0 è un buon candidato ad essere un punto di flesso per la y. Quindi, il punto x = 0 non potrà essere un minimo o un massimo per la funzione y. Studiamo ora la derivata seconda che risulta essere: 2 x x 23 y ''= ; 3 x 2 −1 e valutiamola nelle ascisse che annullano la y ' (eccetto, per il motivo scritto sopra, il punto x = 0). Si ha: 3 3 y '' − 3 =− ≃−2,59 ⇒ il punto d'ascissa − 3 è un massimo; 2 3 3 y '' 3 = ≃2,59 ⇒ il punto d'ascissa 3 è un minimo. 2 Per calcolare le ordinate corrispondenti a queste due ascisse basta andare a sostituire i due valori −3 e 3 in f x . Procedendo così si trova: 3 3 3 3 y 3 = e y − 3 =− . 2 2 Quindi, se indichiamo con m e M i punti, rispettivamente, del minimo e del massimo si potrà scrivere: - 71 -
Cap. 3
DERIVATE
3 3 3 3 e M≡ − 3,− . 2 2 Cerchiamo ora di provare quanto affermato sopra a proposito della presenza o meno di un flesso in x = 0. Intanto y ''=0 per x=0. La derivata terza (ottenuta dopo qualche semplice calcolo) è: 6 x 46 x 2 1 y ''' =− , 4 x 2 −1 e si vede che y ''' =−6 , dimostrando così che in x = 0 esiste un flesso a tangente orizzontale. x3 Il grafico di fig. 25 illustra le variazioni della funzione y= 2 . x −1 m≡
3,
fig. 25
x3 x 2−1 Es. 3 Studiamo la funzione di tipo trascendente trigonometrico: y=2 cos x −1−cos 2 x . 1. Dominio. La funzione è definita ∀x∈ ℝ . È una funzione periodica di periodo 2 π e poiché f −x = f x ⇒ f è una funzione pari (ovvero il suo grafico è simmetrico rispetto all’asse delle ordinate). Possiamo quindi limitarci a studiarla in [ 0, π ] . 2. Intersezioni con gli assi. ∩asse y : x =0 . y =2 cos 0−1−cos 2⋅0=0 ∩asse x : y=0 ⇒ y=0 ⇒ y=0 ⇒ 2 2 cosx−1−cos 2 x=0 2 cosx−1−2 cos x1=0 2 cosx 1−cosx =0
{ {
grafico della funzione: y=
{
{
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Cap. 3
DERIVATE
{
y=0 . π x= , oppure x=0 2 Riassumendo: la funzione incontra gli assi coordinati nei punti π O≡ 0,0 e A≡ ,0 . Inoltre: f π =−4 . 2 3. Studio del segno: f x 0 per: cosx 1−cosx 0 , ovvero per: 0 < cosx < 1, da cui: y > 0 π per 0x . 2 4. Studio della derivata prima: y ' x =−2 senx2 sen2 x=2 senx 2 cosx−1 . Allora: 1 π y ' x =0 per: senx = 0 cioè per x = 0, π; oppure per cosx= cioè per: x= . 2 3 ' y x 0 per: senx 2 cosx−1 0 . Per risolvere questa disequazione riportiamo in un grafico (ved. fig. 26) le variazioni del segno dei due fattori del prodotto. ⇒
π 3
0
π
R sen x 0 2 cos x−10
fig. 26
5.
6.
π Da questo grafico si deduce che y ' x 0 in 0, . In tale intervallo la f è crescente e nei 3 punti di ascissa: x = 0, π la funzione ha (molto probabilmente) dei minimi relativi, mentre π nel punto di ascissa: x= si può dedurre che la f presenta (molto probabilmente) un 3 π 1 = (come proveremo in seguito più rigorosamente). massimo relativo tale che f 3 2 Studio della derivata seconda: f '' x =−2 cosx4 cos2 x=2 −cosx4 cos 2 x−2 . Risolvendo l’equazione: y '' x =0 , si ha: 1± 33 cosx= da cui: 8 1 33 1− 33 x 1=arccos =α≃0,56783 e x 2=arccos =β≃2,20566 . 8 8 Verifichiamo le affermazioni fatte prima a proposito dei minimi e massimi: y '' 0 =20 , per cui in x=0 c'è effettivamente un minimo; π π y '' =−30 , per cui in x= c'è effettivamente un massimo; 3 3
y '' π =60 , per cui in x=π c'è effettivamente un minimo. 1 33 1− 33 y '' x 0 per cosx oppure per cosx cioè per: 0 xα 8 8 oppure βx π . Da qui resta provato che la funzione è convessa per 0 < x < α e β < x < π e concava in α < x< β. I punti di ascissa x = α e x = β sono candidati ad essere ascisse di punti di flesso. Per dimostrare questo, studiamo la derivata terza.
- 73 -
Cap. 3
6.
DERIVATE
Studio della derivata terza: y ''' x =2 senx −8 sen 2 x. y ''' α ≃−6.17888 ≠0 ⇒ in x=α c’è effettivamente un flesso e: 3 33−13 f α = ≃0,264605; 16 y ''' β ≡9,25047 ≠0 ⇒ in x =β c'è effettivamente un flesso e: 3 3313 f β =− ≃−1,8896 . 16 Nel grafico di fig. 27 sono indicate le variazioni della funzione y=2 cos x−1−cos 2 x .
fig. 27 grafico della funzione: y=2 cos x−1−cos 2 x ESERCIZI. Studiare le seguenti funzioni e disegnarne il grafico: 3 2 x + x −2 x−3 x + 12 y= ; 1) y= 2) ; 2 x−2 x 2 −3 3 2 x y= ; y= ; 3) 4) 2 x −6 x5 x 2− x - 2 2 x −4 x 2 −6 x + 5 ; 5) y= 2 6) y= ; x−3 x −3 x2 2 x −6 x + 8 4 x2 - x + 2 ; 7) y= 2 8) y= ; 4x - 3 x −6 x + 9 x−1 x2 ; ; 9) y= 10) y= 2 x −1 x −4 11) y = senx + cosx; 12) y= cos 2 x senx ; 13) y=log 7 x −x 2 ; 14) y=2 x−2− x ; 2 16) y=e x senx ; 15) y=e x −1 ; 17) y=sen e x ; 18) y=ln sen x ; 19)
3 y= x2 ln −x−2 ;
21) y=ln
x−2 2 ; x−3 x 1
20)
y=∣x∣e
22)
y=
2
23) y=
x 1 ; 2 x3
24) - 74 -
x−1 x2
;
x3 ; x 2 −4 x3 cosx y= . cos 2 x
Cap. 3
DERIVATE
Funzioni più complicate per approfondire le abilità acquisite: 1) 3) 5) 7)
y= x− x−1 x2 −3 ; ∣1− x 2∣ y= ; 1 x 2 ex y= ; 1−2 e x e 2 x ex y= x−ln ; 1e x
2) 4) 6)
8)
1
9)
y= x 2 x e x ;
11)
y= x5 e
13)
y=arctan
14)
15)
16)
17) 19)
− x−4
10) 12)
;
−1 ; 3 x2 3−x y= x ; x1 1 3ln x2
18)
y= x⋅e ; 2 ∣x∣−∣x −1∣ y= ; ∣x−2∣
20)
21)
y=ln∣x 2 6 x 8∣∣x2∣;
22)
23)
y=3 arctan x−3 − x−3 ;
24)
25)
y=arcsenln x 2 2 x 2 ;
26)
27)
y= 3 x 2 −10 x 3∣3 x −3∣;
28)
29)
y=arccos
cosxsen 2∣x∣ ; 3 cosx
30)
- 75 -
y= −x 3 2 x 2 ; x 2 −3 y= ; ∣x∣ x2 y= ; 4−x 2 1 y= 2 ln x 4 −8 x 2 16 ; x −4 ∣x−3∣ y= 2 ; x −6 x 8 2 x−1 y=arccos ; 2x x−1 y= x ; x2 x2 y= 2 x−4 ; x5 3
y=∣x∣−1 e
∣
3
1 x1
;
∣
2
x −4 x 5 x−2 ; x 2 −2 y= x 2 −4 x3−2 ln∣3− x∣; 1 y= x arctan x− ln 1x 2 ; 2 1 y=4 senx ; senx senx−cos∣x∣ y=ln ; 1−senx 1 y= xarctanx− ln 1x 2 . 2 y=ln
Cap. 4
Cap. 4
I TEOREMI DI ROLLE, LAGRANGE E CAUCHY. I TEOREMI DI DE L'HOSPITAL
I TEOREMI DI ROLLE, LAGRANGE E CAUCHY. I TEOREMI DI DE L'HOSPITAL
1.
Il teorema di Rolle Sia f x una funzione continua in [ a , b ] , derivabile in a , b , che assume valori uguali negli estremi dell'intervallo, cioè tale che sia: f a = f b . Sotto queste ipotesi, si prova che esiste almeno un punto c ∈ a , b in cui la derivata prima della funzione si annulla cioè: (1) f ' c =0 . Dim. Poiché per ipotesi la f x è continua in [ a , b ] , per il teorema di Weierstrass, essa è ivi dotata di massimo M e di minimo m, ed inoltre: m ≤ M. Si possono allora presentare due casi a seconda che risulti m = M o m < M. 1° Caso.- Se è m = M la funzione f x è costante in tutto l'intervallo a , b e quindi la sua derivata è nulla in ogni punto dell'intervallo, e il teorema, in questo caso, vale. 2° Caso.- Sia ora m < M e siano c , d ∈ a , b due punti tali che f c =M e f d =m. Poiché è: m M segue che f x non è costante in a , b e dato che per ipotesi è f a = f b siamo certi che almeno uno dei due punti c o d dovrà certamente cadere nell'interno di a , b . Senza perdere niente in generalità sia c il punto in questione. Allora, se h∈R è scelto in modo che i punti c−h e ch∈ [ a , b ] , dato che in c la funzione assume il suo massimo valore e dalla definizione di punto di massimo, si ha: f ch − f c ≤0 , f c−h − f c ≤0 . Dividendo la prima disuguaglianza per h e la seconda per −h , si ottiene: f ch − f c ≤0 , (2) h f c−h − f c ≥0 . (3) −h Analizziamo il rapporto (2): esso non è altro che il rapporto incrementale destro della f x relativo al punto c e all'incremento h, mentre (3) è il rapporto incrementale sinistro relativo allo stesso punto. Siccome per ipotesi la f x è derivabile nel punto c, allora i limiti per h→0 dei due rapporti incrementali (2) e (3) esistono e sono finiti e uguali fra loro; precisamente il valore comune del limite dei due rapporti (2) e (3) vale f ' c . Passando al limite per h→0 nella (2) si ha (4) f ' c ≤0 , mentre, passando al limite per h→0 nella (3) si ha: (5) f ' c ≥0 . Dalla (4) segue che f ' c non può essere un numero positivo, mentre dalla (5) segue che f ' c non può essere un numero negativo. Pertanto è: f ' c =0 . Si ragiona e si conclude in modo analogo se internamente a a , b cade invece il punto di minimo d.• Osservazione 1 Interpretazione geometrica del teorema di Rolle. Se un arco di una curva continua è dotato di tangente in ogni suo punto, esclusi al più gli estremi, ed ha uguali le ordinate degli estremi, esiste almeno un punto interno all'arco dove la tan gente è parallela all'asse delle x (ved. fig. 1). Questo risultato è del tutto intuitivo; basta notare però che ciò non avverrà, in generale, se la derivata non esiste in qualche punto interno ad a , b : ad - 76 -
Cap. 4
I TEOREMI DI ROLLE, LAGRANGE E CAUCHY. I TEOREMI DI DE L'HOSPITAL
esempio in qualche punto angoloso (ved. fig. 2).
y
y
f(c)
f(c) y=f(x)
y=f(x)
f(a)=f(b)
f(a)=f(b)
f(d)
O
a
c
d b
x
a
O
c
b
x
fig .1 fig. 2 Ricordando la definizione di funzione continua e quella di funzione derivabile e facendo anche riferimento alla fig. 2, provare, per esercizio, il seguente teorema: Sia f una funzione continua in I ⊆ ℝ . f è derivabile in I? E cosa si può dire del teorema contrario e cioè: sia f una funzione derivabile in I ⊆ ℝ . f è continua in I? Esercizi: Dire se le seguenti funzioni soddisfano le ipotesi del teorema di Rolle, nell'intervallo a fianco indicato e, in caso affermativo, determinare l'ascissa c del punto (o dei punti) che verifica (verificano) il suddetto teorema. 3 2 1) in [-1, 0] e [0, 1]; 2) in [0, 16]; f x =x 3 −x , f x = x−8 ,
3)
f x =1− x 2 , 3
4)
in [-1, 1];
f ( x ) =ln sen x ,
in
[
]
π 5π , . 6 6
2.
Il teorema di Lagrange o del valor medio Se f x è una funzione continua in [ a , b ] e derivabile in ( a , b ) , allora esiste almeno un punto c ∈ a , b che verifica la seguente uguaglianza: f ( b)− f (a ) = f ' ( c) . (6) b−a Dim. Per provare la tesi definiamo la funzione ausiliaria: g x = f x k x , dove k è una costante che determineremo in modo che la funzione g x verifichi la terza condizione del teorema di Rolle, cioè: g a =g b , ossia: f a k a= f b k b , da cui: f b − f a . b−a Ma, ricordando le ipotesi fatte sulla f x , la g x risulta continua in [ a , b ] e derivabile in a , b , perché somma di funzioni continue in [ a , b ] e derivabili in a , b . Possiamo perciò applicare alla funzione g x in [ a , b ] , il teorema di Rolle e affermare che esiste almeno un punto c ∈ a , b per il quale è: g ' c = f ' c k =0 , cioè: f ' c =−k , (7)
k =−
- 77 -
Cap. 4
I TEOREMI DI ROLLE, LAGRANGE E CAUCHY. I TEOREMI DI DE L'HOSPITAL
da cui, tenendo presente il valore di k dato dalla (7), si ottiene: f b − f a = f ' c . b−a Quest'uguaglianza prova la tesi.• Osservazione 2 1) Il teorema di Rolle è un caso particolare di quello di Lagrange. 2) La formula di Lagrange non dipende dall'ipotesi a < b; lo scambio di b con a non altera, infatti, il rapporto incrementale: f b − f a . b−a 3) La formula di Lagrange può essere scritta: f b − f a = b−a ⋅ f ' c . Spesso, ponendo b=ah e c=aΘ b−a , con 0Θ1, tale formula può essere scritta: f ah =h⋅ f ' aΘ h con 0Θ1 . Il punto a+Θh risulta, così, interno all'intervallo di estremi a e a + h, senza che sia necessario precisare quale dei due preceda l'altro (cioè quale sia il segno di h). 4) A volte, la formula di Lagrange viene chiamata formula di y Cavalieri (~1638), cui risale la seguente osservazione geometrica: P C y=f(x) quando un arco di curva continua è dotato di tangente in ogni suo punto, esclusi al più gli estremi, esiste almeno un punto interno all'arco nel quale la tangente è parallela alla corda che congiunge i punti estremi dell'arco (ved. fig. 3). A B Infatti dal triangolo rettangolo ABC si ha: CB f b − f a tan xr= = ; AC b−a inoltre, se t è la tangente alla curva nel punto P di ascissa c, O a c b x ' xr= f c . per il significato geometrico di derivata si ha: tan fig. 3 f ( b)− f ( a ) Quindi, poiché il teorema di Lagrange afferma che è: f ' (c)= , tan ̂ xt =tan ̂ xr , da cui: b−a xt= xr ; si conclude perciò che la retta t e la retta AC sono parallele. 5) Bisogna notare che di punti c di cui si parla nell'enunciato del teorema di Lagrange, ne esiste sempre almeno uno, ma ne possono esistere anche più di uno: ad esempio P ' e P '' (ved. fig. 4).
y
y P'
P
y=f(x)
y=f(x)
r
P''
O a
c
b
x
O
a c
b
x
fig. 4 fig. 5 Se la funzione f x , di cui si parla nel teorema di Lagrange, non è derivabile in qualche punto interno ad [ a , b ] allora il teorema può non essere vero (ved. fig. 5). - 78 -
Cap. 4
I TEOREMI DI ROLLE, LAGRANGE E CAUCHY. I TEOREMI DI DE L'HOSPITAL
ESERCIZI: Dire se le seguenti funzioni soddisfano le ipotesi del teorema di Lagrange, nell'intervallo a fianco indicato, e in caso affermativo, determinare l'ascissa c del punto (o dei punti) che verifica (verificano) il suddetto teorema: 1) in [−1,1 ] ; y= x 3 3 2) in [−2, 1 ] ; y= x− x 3) in [ 1, 2 ] . y=ln 2 x−1 3.
Il teorema di Cauchy o degli incrementi finiti Se f x e g x sono due funzioni continue in [ a , b ] e derivabili in a , b e se la derivata ' g x non si annulla mai, esiste almeno un punto c ∈ a , b tale che sia: f ( b)− f (a ) f ' ( c) = . (8) g (b) −g (a ) g ' ( c ) Dim. Osserviamo anzitutto che g b− g a≠0 perché se fosse g b− g a=0 per il teorema di Rolle, la derivata g ' x dovrebbe annullarsi in almeno un punto, contraddicendo l'ipotesi. Detto ciò, definiamo la funzione ausiliaria: h x = f x k⋅g x , con k costante e che determineremo in modo che la funzione h x verifichi la condizione: h ( a ) =h ( b ) cioè: f a k⋅g a = f b k⋅g b . da cui: f b − f a k=− . (9) g b −g a Avendo scelto k in questo modo, possiamo applicare il teorema di Rolle alla funzione h x e quindi esiste un punto c ∈ a , b tale che: h ' c = f ' c k⋅g ' c =0 , cioè: f 'c k=− , g ' c ≠0 , ' g c da cui, tenendo conto del valore di k definito dalla (9), si ha: f ( b)− f (a ) f ' (c ) = , (a < c < b).• g ( b) −g ( a ) g ' (c ) Osservazione 3 1) Al teorema di Cauchy se poniamo b = a + h e c = a + Θh, con 0 < Θ < 1, si può dare la forma: f ( a+ h)− f ( a ) f ' ( a+ Θ⋅h ) = , (0 < Θ < 1). g ( a+ h ) − g (a ) g ' ( a+ Θ⋅h ) 2) Ponendo nella (8) g x =x , avremmo g ' x =1 ; e potremmo scrivere: f b − f a f ' c = . b−a cioè: il teorema di Lagrange è un caso particolare del teorema di Cauchy. Esercizio: Dimostrare che le funzioni: f x = x 2 −2 x 3 e g x =x 3 −7 x 220 x−5 ; soddisfano le condizioni del teorema di Cauchy in [ 1,4 ] e calcolare il corrispondente valore di c. (Soluzione: c = 2). - 79 -
Cap. 4
I TEOREMI DI ROLLE, LAGRANGE E CAUCHY. I TEOREMI DI DE L'HOSPITAL
4.
I teoremi di De L'Hospital. Sappiamo che i teoremi sui limiti non valgono più quando i limiti delle funzioni che si considerano si presentano sotto una delle forme indeterminate di tipo algebrico: 0 ∞ , , 0⋅∞ , ∞−∞ , 0 ∞ o di tipo esponenziale: ∞0 , 0 0 , 1∞ . Ora, se le funzioni in questione sono derivabili le forme indeterminate si possono “aggirare” utilizzando due teoremi detti di De L'Hospital, che consentono molto spesso di calcolare, sotto determinate condizioni, limiti di funzioni che si presentano sotto forma indeterminata. 0 Iniziamo con l'esaminare la forma e a tale scopo proviamo il seguente teorema. 0 Teorema 4.1 Primo teorema di De L'Hospital. Siano f x e g x due funzioni reali di variabile reale definite in un intorno H del punto a. Inoltre siano soddisfatte le seguenti condizioni: f x e g x siano continue in x=a e f a = g a =0 ; 1) f x e g x siano derivabili in H 0 =H ∖ { a } ; 2) g ' x ≠0 in H ; 3) 0
4)
esiste (finito o infinito) il lim
x a
Allora esiste anche il lim
x a
f x e si ha: g x
g' x
f ( x)
.
f '( x)
. g ( x ) x→ a g ' ( x ) f ' x Dim. Osserviamo subito che il rapporto ' ha sempre significato in H 0 , per l'ipotesi che abg x f x biamo fatto: g ' x ≠0 in H0 . In H0 ha anche significato il rapporto perché qui è sicuramente g x g x ≠0 . Infatti se in H 0 esistesse un punto b in cui g b =0 , per il teorema di Rolle, esisterebbe tra (1)
lim
f ' x
x→a
=lim
a e b almeno un punto α dove g ' α =0 , contro l'ipotesi 3). Per il teorema di Cauchy, si ha che ad ogni x ∈ H 0 si può far corrispondere un punto c ∈ a , b , in modo che risulti: f ( x )− f ( a )
f '(c)
; g ( x )−g (a ) g ' ( c ) e, tenendo conto che f a = g a =0, si ha: f ( x ) f ' (c ) = ; ( a <c< x ) . (2) g ( x ) g ' (c ) Quando x→a, anche c→a, perché c è compreso tra a e x. Inoltre, se: f ' x lim =l , x a g' x f ' c allora: lim esiste ed è uguale ad l . Pertanto, tenendo presente la (2), si ottiene: c a g ' c f ( x) f '(c) f '(c) f '( x) lim =lim =lim =lim =l . x→a g ( x ) x → a g ' ( c ) c→ a g ' ( c ) x →a g ' ( x ) =
- 80 -
Cap. 4
I TEOREMI DI ROLLE, LAGRANGE E CAUCHY. I TEOREMI DI DE L'HOSPITAL
In conclusione si può scrivere: lim x→a
f ( x) g( x)
=lim
x→ a
f '( x) g' ( x )
=l . •
Osservazione 4 A) Se invece dell'ipotesi 1), fosse: lim f x =lim g x =0 ed f x e g x , definite in H 0 , x a
x a
basta porre f a = g a =0 e le funzioni risultano così definite e continue in H. B) Se il quoziente:
C) D)
E)
f '( x)
per x→ a presenta di nuovo una indeterminazione del tipo indicato e se g' ( x ) le derivate f ' x e g ' x verificano le condizioni enunciate per f x e g x , conviene allora passare al rapporto delle derivate seconde e così via. Il teorema è vero anche nel caso in cui H 0 sia un intorno destro o sinistro di a. senx Non è lecito applicare il teorema al calcolo del lim . Per applicarlo, infatti, bisogna cox →0 x noscere che Dsenx = cosx; ma per saperlo è necessario aver calcolato il limite in questione. Quindi si cadrebbe in un ciclo infinito totalmente improduttivo. Il teorema di De L'Hospital può essere ugualmente applicato nel caso in cui: lim f x =0 , x ∞
1 e lim g x =0 . Infatti, posto x= , si vede che quando x→+∞ allora z 0 e quindi: z x ∞ 1 1 lim f =0 e lim g =0 . z z z 0 z 0 1 f z Applicando il teorema di De L'Hospital al rapporto: , si trova: 1 g z 1 1 1 1 f' − 2 f f' z z z z f x f ' x lim = lim = lim = lim = lim ' , x ∞ g x x ∞ g x 1 z 0 ' 1 1 z 0 z 0 ' 1 g g − 2 g z z z z come volevamo provare. Naturalmente, esiste un criterio perfettamente analogo nel caso in cui x→+∞. Inoltre basta combinare i due risultati, per ottenere un teorema analogo relativo al caso della divergenza della variabile indipendente verso infinito. Esercizi. x Determinare il limite: lim ; soluzione= ∞ ; 1) x 0 senx x−arctanx determinare il limite: lim ; soluzione= 2 ; 2) arcsenx− x x 0 sen 3 x 2 determinare il limite: lim ; soluzione= −6 ; 3) 2 x 0 lncos 2 x −x 1 e x −1ln 1−x soluzione=− . 4) determinare il limite: lim ; 2 tanx− x x 0 Consideriamo ora il problema del limite del rapporto di due funzioni f x e g x che abbiano ambedue, nel punto a (o all'infinito) per limite l'infinito. A questo scopo enunciamo il secondo teorema di De L'Hospital. Teorema 4.2 Secondo teorema di De L'Hospital
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Cap. 4
I TEOREMI DI ROLLE, LAGRANGE E CAUCHY. I TEOREMI DI DE L'HOSPITAL
Siano f x e g x due funzioni reali di variabile reale definite in un intorno H 0 =H∖ { a } , essendo H un intorno di a. Inoltre siano soddisfatte le seguenti condizioni: 1) lim f x =lim g x =∞ ; 2)
x a
x a
f x e g x siano derivabili in H 0 ;
3)
g ' x ≠0 in H0 ;
4)
esiste (finito o infinito) il lim
x a
f x e si ha: x a g x
f ' x g' x
.
Allora esiste anche il lim (1)
lim
x a
f x =lim g x x a
f 'x . ' g x
Il teorema continua a valere quando a rappresenta uno dei simboli: ∞ , −∞, ∞. Inoltre il teorema è vero anche nel caso in cui H 0 sia un intorno destro o sinistro di a. ESERCIZI. Provare che valgono le seguenti uguaglianze: 1) 4)
x 2
xe lim =0 ; x x ∞ xe log a x lim =0 ; x ∞ xn
2)
7)
ln 12 e
1x 2
x ∞
x
5)
2
tan5xtan x lim =5; tanx x 0
lim
8)
x
=1;
−x
e −e =2 ; x 0 senx 3 1−senx lim =0 ; 2 cosx π x lim
3)
xn =0; x x ∞ e
6)
lim
9)
2
10)
lim
x−tanx =0; x 0 tanx
11)
13)
lim
1− 1− x 2 =0 ; x x 0
14)
x 23 x −4 =5 ; x−1 x 1 ln x 2 −3 4 lim 2 = ; 7 x 2 x 3 x−10
lim
- 82 -
12) 15)
lim
x 1
x x−1−1 = 2 ;
x 2−1
3 senx =∞ ; 2 x 0 x sen x lim
3
tanx =∞ ; x 0 1−cosx lnsenx lim =0 . x 0 cotanx lim
2
Cap. 5
IL DIFFERENZIALE DI UNA FUNZIONE
IL DIFFERENZIALE DI UNA FUNZIONE ℝ ℝ
Cap. 5 0.
Definizione di differenziale Ricordiamo il rapporto incrementale di una funzione y= f x con f :ℝ ℝ : y f x 0h − f x 0 = h x o, ciò che è lo stesso: f x 0h − f x 0 (1) = f ' x 0 ε h dove: lim ε=0 . h 0
Dalla (1), moltiplicando per h, si ha: f x 0h − f x 0 = f ' x 0 ⋅hε⋅h dove: lim ε⋅h=0 . h 0
'
L’espressione f x 0 ⋅h si dice differenziale della f in x 0 e si può scrivere: (2) d f x0 = f ' x 0 ⋅h, ∀ x 0 ∈ℝ . Quindi, il differenziale di una curva (o di una funzione esplicita), in un punto in cui esiste la derivata, è il prodotto della derivata per l’incremento della variabile indipendente. In particolare, se f x =x , si ha: f ' x =1 dx =1⋅h=h , cioè il differenziale della variabile indipendente coincide con il suo incremento. Sostituendo nella (2) si ha: d f x = f ' x ⋅dx . 1.
Significato geometrico del concetto di differenziale
y
R S α t
O
P0
∆f=
{
Q
]
Dall'uguaglianza: tan α= QR=df y=f(x)
x x0
x 0 ∆ x
RQ si ha che: P0 Q
QR =P 0 Q⋅tanα=P0 Q ⋅f ' x 0 = x⋅ f ' x 0 =df . Cioè il differenziale di una funzione relativo al punto x 0 è l’incremento che subisce l’ordinata del punto che si muove sulla tangente alla curva nel punto P 0 ≡ x 0, f x 0 . quando la sua ascissa passa dal valore x 0 al valore x 0 x . Essendo: QS= f , sostituire l’incremento ∆ f della funzione con il differenziale significa approssimare geometricamente, nell’intorno di x 0 , la curva con la tangente in questo punto.
fig. 1 Quest’approssimazione è tanto più accettabile quanto più è piccolo ∆x, come si nota dalla fig. 1. Infatti: df − f 0 per x 0 . Tuttavia la differenza: df − f è un infinitesimo d'ordine superiore rispetto a x . Infatti si ha: f −df f lim = lim − f ' x 0 =0 . x x 0 x 0 x Questa proprietà si esprime anche scrivendo quest'uguaglianza:
[
- 83 -
]
Cap. 5
IL DIFFERENZIALE DI UNA FUNZIONE
d f − f =o x , dove “o” si legge: o piccolo e indica una quantità infinitesima di ordine superiore rispetto a ciò che sta racchiuso all’interno delle parentesi. Allora, l’incremento f della funzione f relativo all’incremento x si può scrivere come somma del differenziale df della funzione e di un infinitesimo o x di ordine superiore a x , cioè: d f = f o x . L’ultima uguaglianza significa che, al fine di determinare l’incremento f , si può calcolare il differenziale in x 0 , commettendo un errore tanto più piccolo (e quindi sempre più trascurabile) quanto più x è piccolo e, in conclusione, se x è piccolo si potrà scrivere che: d f ≃ f . ESEMPI 1) Sia data la funzione: y= x 2 . Calcoliamo l’incremento f e il differenziale df per un certo x= x 0 ∈R e x arbitrario. Allora si ha: 2
2 ∆ f = f ( x 0 + ∆ x ) − f ( x 0 ) =( x 0 + ∆ x ) −x 20 =2 x 0 ∆ x + ( ∆ x ) , df =2 x 0 ∆ x ,
e: Calcolando f −df si ottiene: 2
df =2 x 0 x . f −df = x =o x ; 2
con ∆ x che tende a zero più velocemente di x . Ponendo ora: x 0 =30 e x=0,1 si ottiene: f −df =0,01 ; e quindi l’errore compiuto sostituendo all’incremento f il differenziale df risulta uguale a 0,01 se x=0,1. 2 2) Sia data la funzione: y=3 x − x . Calcoliamo l’incremento f e il differenziale df per x=1 e x=0,01 . Allora si ha:
[
]
[
]
f = 3 x x − x x −3 x 2 x ∣x =1 = 6 x−1 ⋅ x3 x ∣x=1 =5⋅0,013⋅ 0,01 =0,0503 , e: df =[ 6 x −1 ⋅ x ] ∣x =1 =5⋅0,01=0,05 . In conclusione: f −df =0,0003 . 2
2
- 84 -
2
Cap. 6
Cap. 6
L’INTEGRALE INDEFINITO
L’INTEGRALE INDEFINITO
0.
Introduzione Alcune volte si è avuto modo di avere a che fare con il concetto di “inversione”. Infatti ad ogni operazione elementare abbiamo associato la sua inversa (pensiamo alla sottrazione (inversa dell’addizione), alla divisione (inversa della moltiplicazione), alla estrazione di radice (inversa della potenza)) e, più in generale, ad ogni funzione f x , abbiamo studiato sotto quali condizioni è possibile determinare la sua funzione inversa f −1 x . Vediamo ora di fare altrettanto per quanto riguarda l’operazione di derivazione delle funzioni. Quindi, data una qualunque funzione f x , dobbiamo cercare di trovare, se esiste, una funzione F x tale che sia verificata la seguente uguaglianza: dF x f x = . dx Inoltre, dovremo cercare di definire delle regole che ci permettano, nel modo più agevole possibile, di poter calcolare la F x . Usando le esperienze fatte a proposito del calcolo delle derivate sappiamo, ad esempio, che: d senx =cos x , dx per cui possiamo affermare che esiste almeno una funzione la cui derivata è cosx: tale funzione è senx. Tuttavia, anche se abbiamo risolto, per la funzione cosx, il problema dell’esistenza di una funzione con la caratteristiche ricercate, dobbiamo risolvere il problema dell’unicità. Inoltre, esaminando una qualunque tavola di derivate fondamentali, ci possiamo accorgere che gli esponenti tendono a calare e alcune funzioni a diventare, da trascendenti, algebriche. Ad esempio basta ricordare che: d ln x 1 d arctanx 1 = , = . dx x dx 1x 2 È quindi logico chiedersi a quali difficoltà sconosciute si vada incontro se cerchiamo di applicare l’operazione inversa della derivata a funzioni definite da equazioni più o meno complicate. Infatti, supponiamo che non si possa dare una regola per ottenere, mediante la combinazione di un numero finito di simboli di funzioni algebriche od anche trascendenti, una funzione la cui derivata sia una funzione data. Allora, per questo motivo, sarà necessario dare un teorema di esistenza, in modo tale che saremo sicuri che, se saranno verificate alcune ipotesi, tale funzione esiste (anche se non potremo scrivere materialmente una funzione la cui derivata sia la funzione data). Le applicazioni della teoria del calcolo differenziale e integrale sono importantissime e fondamentali in quasi tutti gli ambiti delle discipline scientifiche. 1.
L’integrale indefinito come inverso della derivata Data una funzione f x , vogliamo determinare quale o quali funzioni F x ammettano come derivata f x . Le funzioni F x , se esistono, si diranno integrali o funzioni primitive, di f x in [ a , b ] . Una qualunque funzione primitiva di f x viene indicata con il simbolo: ∫ f x dx , che si legge: “integrale indefinito di f x in dx”, per distinguerlo da un altro integrale che sarà introdotto successivamente. Allora è: (1) F x =∫ f x dx . In altre parole: si dice che la funzione F x è una primitiva della f x , nell’intervallo [ a , b ] , se f x è derivabile in [ a , b ] e si ha: F ' x = f x . - 85 -
Cap. 6
L’INTEGRALE INDEFINITO
x5 5 x5 Ad esempio una primitiva di x 4 è poiché =x 4 . 5 dx Da questo esempio scaturisce subito un’osservazione molto importante. Infatti, qualunque funzione x5 del tipo: c , con c costante, risulta essere una primitiva nel senso della definizione. Infatti: 5 x5 d c 5 = x4 , dx poiché, come sappiamo, la derivata di una costante è 0. Da questa nota scaturisce subito un teorema. Teorema 1.1 Se F x è una primitiva di f x in [ a , b ] , cioè se è: F ' x = f x , allora anche F x c , con c costante arbitraria, è una primitiva di f x in [ a , b ] . Dim. Infatti, a causa della linearità dell’operazione di derivazione, si ha: d [ F x c ] dF x dc = =F ' x 0=F ' x = f x . dx dx dx Viceversa, se G x è una primitiva di f x , diversa da F x , si potrà scrivere ∀ x∈ [ a , b ] : G' x = f x , e F ' x = f x , da cui: G' x = F ' x . Allora la F e la G differiranno per una costante additiva arbitraria c, vale a dire: G x = F x c . • OSS. Una funzione f x può non avere primitive in [ a , b ] , ma se ne ammette una, ne ammette infinite. Quindi se F x è una primitiva di f x , tutte e sole le primitive di f x saranno esprimibili nella forma: F x c , dove c è una costante additiva arbitraria. Allora la (1) dovrà essere riscritta per completarla così in modo opportuno: d
∫ f x dx = F x c .
In altre parole, per una qualunque primitiva della F x di f x , risulta: d [ F x] = f x , e dF x = f x dx , dx ovvero: d ∫ f x dx= f x e d ∫ f x dx= f x dx . dx Questa operazione di integrazione indefinita è quindi l’operazione “inversa” dell’operazione di derivazione. Inoltre, il simbolo ∫ è detto segno d’integrazione (assomiglia ad una lettera S “tirata” per gli estremi superiore ed inferiore. La lettera S sta per “somma” e, in seguito, ne capiremo il motivo). La funzione f x si dice funzione integranda, f x dx si dice espressione sotto il segno d’integrazione. L’integrale indefinito si può considerare graficamente come un insieme costituito da infinite curve tali che possiamo passare da una ad un’altra semplicemente effettuando una traslazione nel senso positivo o negativo dell’asse y. ESEMPIO. 1 Sia f x = . Allora ∀ c costante arbitraria si ha: cos 2 x 1 F x =∫ dx=tanxc . cos2 x “
”
- 86 -
Cap. 6
L’INTEGRALE INDEFINITO
Infatti:
d tanxc 1 = . dx cos 2 x Ora, proviamo a porci una domanda che riguarda un aspetto fondamentale della teoria ora esposta. Ogni funzione f x ammette primitiva? E, se la risposta è negativa, sotto quali condizioni la f x ha una primitiva? A questo proposito, enunciamo un teorema. Teorema 1.2 Ogni funzione continua in un intervallo ammette sempre primitiva. Questo, come si intuisce, è un risultato fondamentale che sarà bene tenere a mente. Quindi, ora sappiamo che, mentre l’operazione di derivazione può non essere consentita per alcune funzioni continue, l’operazione inversa è lecita per tutte le funzioni continue. Naturalmente, noi ci occuperemo di risolvere il problema della cosiddetta integrazione elementare, cioè di integrare quelle funzioni che si possono esprimere con un numero finito di operazioni ,−,⋅,/ , ^ con esponente razionale eseguite su funzioni razionali, esponenziali, logaritmiche e goniometriche. Sono immediate le prime proprietà degli integrali indefiniti: 1a) Se k è una costante qualunque, si ha: (1) ∫ k⋅ f x dx=k ∫ f x dx cioè: l’integrale del prodotto di una costante per una funzione continua è uguale al prodotto della costante per l’integrale della funzione. 2a) Se f 1 x , f 2 x , . .., f n x sono n funzioni continue, si ha: (2) ∫ [ f 1 x f 2 x .. . f n x ] dx=∫ f 1 x dx∫ f 2 x dx. ..∫ f n x dx , cioè: l’integrale della somma di n funzioni continue risulta uguale alla somma degli integrali delle singole funzioni. Combinando la 1a) e la 2a) si ha:
∫ [ k 1⋅f x k 2⋅g x ] dx = k 1⋅∫ f x dxk 2⋅∫ g x dx ,
dove k 1 e k 2 sono costanti rispetto a x. Quindi, possiamo affermare che: l’“operatore” di integrale indefinito (o di primitiva) è un operatore lineare. OSS. In generale, al fine di non commettere gravi errori sarà bene ricordare che:
∫ [ f x ⋅g x ] dx≠∫ f x dx⋅∫ g x dx . 2.
Integrali indefiniti immediati Sfruttando alcune delle abilità relative al calcolo delle derivate, è possibile, nei casi più semplici arrivare a scrivere l’equazione della primitiva F x di una funzione f x assegnata. Ad esempio: x n +1 n x dx= c , n∈N e n≠−1 . ∫ n +1 Infatti: x n1 d c n1 1 = n1 x n= x n . dx n1 Se n=−1 si ha che: ∫ 1x dx=ln∣x∣c . Infatti, sappiamo che, se x > 0, è: ln∣x∣=ln x , da cui segue: d ln∣x∣ d ln x 1 = = . dx dx x
- 87 -
Cap. 6
L’INTEGRALE INDEFINITO
Se x < 0, si ha che: ln∣x∣=ln −x . Allora, applicando la formula di derivazione delle funzioni di funzione, si ottiene: d ln∣x∣ d ln −x 1 d −x 1 1 = = = −1 = . dx dx −x dx −x x Riassumendo questi due casi, potremo scrivere che, ∀ x∈ ℝ e x≠0 , si ha: d ln∣x∣ 1 = . dx x Tenendo presenti le tavole di derivazione delle funzioni, otteniamo una tavola delle primitive immediate o integrali indefiniti immediati: n1 1 x 1) ∫ x n dx= 2) ∫ dx=ln∣x∣c ; + c, n∈N, n≠−1; x n +1 1 1 3) ∫ sen a x dx=− cos axc , a∈R; 4) ∫ cos a x dx = sen a xc , a∈R ; a a 1 1 dx=tanxc ; dx =−cotanxc ; 5) ∫ 6) ∫ 2 cos x sen2 x 7)
∫ tan x dx=−ln∣cosx∣c ;
8)
∫ cotanxdx=ln∣senx∣c ;
9)
∫ e x dx=e x c ;
10)
∫ a x dx= ln1a a x c ;
1 dx=arcsenxc ; 1−x 2 1 x 13) ∫ 2 2 dx=arcsen ∣a∣c , a≠0; a −x 11)
∫
15)
∫
17)
x c ; ∫ a 2−1 x2 dx= 21a ln a a− x
19)
∫
21)
1 dx=ln tan ∫ cosx
x dx= x 2 ac ; x a 2
∣ ∣
1 dx=ln∣x x 2 ±a 2∣c ; 2 x ±a 2
∣ ∣
x π c= 2 4 = ln∣ secxtanx∣c ;
1 2 23) ∫ cos x dx= xsen x cos x c ; 2 25)
∫ senh xdx = coshx c ;
27)
∫
1 dx=tanhxc ; cosh 2 x
1 dx=arctanxc ; 1 x 2 1 1 x 14) ∫ 2 2 dx = arctan c , a≠0; a a a x 16) ∫ x 2 dx=− a− x 2c , a >0 ; a−x 1 1 x−a c ; 18) ∫ 2 2 dx = ln 2a xa x −a 1 x dx=ln tan c= ∫ senx 2 20) = ln∣cosecx−cotanx∣c ; 12)
∫
∣ ∣ ∣ ∣
22)
24) 26) 28)
∫ sen 2 x dx= 12 x−senx cos x c ; x ∫ a2 −x 2 dx=12 a 2 arcsen∣a∣ , 2 2 x a −x c ∫ cosh xdx = senhx c ;
a≠0 ;
∫ senh1 2 x dx =−cotanhxc .
OSS. Gli integrali della tabella precedente possono venire generalizzati attraverso delle semplici trasformazioni della funzione integranda. Se F x è una primitiva della funzione continua f x in [ a , b ] si ha: (3) ∫ f x dx = F x c .
Sia ora g t una funzione continua, insieme alla sua derivata prima, in un intervallo [ α , β ] e sup- 88 -
Cap. 6
L’INTEGRALE INDEFINITO
poniamo che il codominio della g t sia contenuto in [ a , b ] , in modo che possiamo considerare la funzione composta f [ g t ] . Si vuol dimostrare che dalla (3) si deduce: (4) ∫ f [ g t ] g ' t dx = F [ g t ]c . Infatti, derivando la funzione F [ g t ] con la regola di derivazione delle funzioni composte e, ricordando che F ' x = f x , si ha: d F [ g t ] c =F ' [ g t ]⋅g ' t = f [ g t ]⋅g ' t , dt come doveva essere. La (4) si scrive anche così: (5) ∫ f [ g t ] dg t = F [ g t ] c . Quindi, se sappiamo calcolare l’integrale (3), allora possiamo risolvere anche l’integrale (5) che viene così determinato pensando la g t come variabile indipendente. Con la formula (5), possiamo generalizzare vari integrali elencati nella tabella precedente e, scrivendo x al posto di t, si ha: n ' n 1 n1 g x ] c , per n∈ N e n≠−1 ; [ 29) ∫ [ g x ] g x dx = ∫ [ g x ] dg x = n1 1 1 g ' x dx =∫ dg x =ln ∣g x ∣c ; 30) ∫ g x g x 31) 32) 33)
∫ sen [ g x ] g ' x dx = ∫ sen [ g x ] dg x =−cos [ g x ]c ; ∫ cos [ g x ] g ' x dx = ∫ cos [ g x ] dg x = sen [ g x ]c ; ∫ sen2 1[ g x ] g ' x dx = ∫ sen2 1[ g x ] dg x =−cotan [ g x ]c ;
1 1 g ' x dx = ∫ dg x = tan [ g x ] c ; 2 cos [ g x ] cos [ g x ] gx 35) ∫ a g x g ' x dx = ∫ a g x dg x = a c ; ln a 34)
36) 37) 38) 39)
∫
2
∫ e g x g' x dx = ∫ e g x dg x =e g x c ; ∫ 1 2 g ' x dx = ∫ 1 2 dg x = arcsen g x c; 1− g x 1−g x ∫ a 2g1 2 x g' x dx = ∫ a2 g1 2 x dg x = 1a arctan g ax c ;
∣
a g x
∣
∫ a 2−g1 2 x g' x dx = ∫ a2 −g1 2 x dg x = 21a ln a− g x c .
ESEMPI 1) Determiniamo l’integrale:
∫ e senx cos xdx .
Applicando la formula 36) si ha: ∫ e senx cos xdx=∫ e senx d sen x=e senx c . 2) Calcoliamo l’integrale: ∫ x2 41 x5 dx . Applicando la formula 38) si ha:
- 89 -
Cap. 6
L’INTEGRALE INDEFINITO
d x2 1 1 dx =∫ 2 dx= ∫ = arctan x2 c . 2 x 4 x5 x 4 x4 1 x2 1 2 x2 3) Determiniamo l’integrale: ∫ x 9− x 2 dx . 1 Questo integrale si risolve considerando che x=− −2 x . Allora: 2
∫
2
1
3
9−x c .
∫ x 9−x dx =− 12 ∫ 9− x 2 2 d 9−x 2 =− 12⋅23 9−x 2 2 c=− 13 2
2 3
ESERCIZI Calcolare i seguenti integrali indefiniti: α)
∫ sen
δ)
∫ 5 x3 9 dx ;
5
β)
x cos xdx ;
2
x 2 x
∫
1 x 33 x 21 dx ; ∫ 3tanx cos 2 x
ε)
2
dx ; γ) ζ)
1 dx ; x5 . ∫ dx2 4−x −4 x
∫3
3.
Integrazione per scomposizione Nei prossimi paragrafi illustreremo alcuni dei metodi più utilizzati per determinare l’integrale indefinito di una qualunque funzione continua. Infatti, poiché non esiste un metodo generale che permetta di trovare la primitiva, caso per caso, occorre adoperare opportuni procedimenti algebrici che servono per ricondurre gli integrali dati o ad altri noti o ad altri più facilmente calcolabili. Il primo di questi metodi è il metodo di integrazione per scomposizione, che consiste, in parole povere, nella scomposizione della funzione che si deve integrare nella somma algebrica di funzioni delle quali o è noto l’integrale particolare oppure è più facile il calcolo, dopodiché si applica la proprietà (2) del paragrafo 1. Questi metodi saranno introdotti con esempi commentati per far comprendere meglio le varie abilità occorrenti. ESEMPI 1) Sia da calcolare il seguente integrale:
∫ 1x x dx .
Si ha: aggiungiamo e togliamo 1
scomponiamo la frazione nella somma di due frazioni
x x1−1 x1 1 1 = = − = 1− . 1 x 1x 1x 1x 1x Nell’ultimo membro, la frazione ha il numeratore uguale ad 1 e risulta la derivata del denominatore 1 x , per cui: x 1 1 dx = ∫ 1− dx=∫ 1⋅dx−∫ dx= x−ln∣1x∣c . ∫ 1x 1 x 1 x 2) Calcoliamo: ∫ 2 1 2 dx . sen x⋅cos x Applichiamo la relazione trigonometrica fondamentale: sen 2 x cos 2 x=1 , e scriviamo:
Se f 1 x , f 2 x , ..., f n x sono n funzioni continue, si ha: ∫ [ f 1 x f 2 x ..... f n x ] dx=∫ f 1 x dx ∫ f 2 x dx.....∫ f n x dx .
- 90 -
Cap. 6 2
L’INTEGRALE INDEFINITO
2
2
2
1 sen xcos x sen x cos x dx=∫ dx=∫ dx∫ dx= ∫ sen2 x⋅cos 2 2 2 2 2 2 x sen x⋅cos x sen x⋅cos x sen x⋅cos 2 x =∫
1 1 dx∫ dx=tan x−cotanxc . 2 cos x sen2 x
ESERCIZI: Calcolare i seguenti integrali: x 25 x−1 2a) ∫ dx , x 2b)
∫ cos 4 x⋅sen 7 xdx ;
3)
[ per quest'ultimo si utilizzano le formule di Werner ] .
Integrali del tipo:
dx , ax bxc si riconducono agli integrali indicati dai numeri 19) e 13) della tabella, cercando di ricostruire un quadrato perfetto a partire dal trinomio di secondo grado che è sotto radice al denominatore (senza, ovviamente, alterare il valore dell’espressione). Ad esempio, sia da calcolare l’integrale: . ∫ 2 dx x 2 x5 Si ha: 2 2 2 x 2 x5=x 2 x 14 x1 4 . =
∫
2
scriviamo 5 come 1+4
Allora:
∫
d x1 dx =∫ =ln∣x1 x 2 2 x5∣c . 2 x 2 x5 x1 4 2
Esercizio: Calcolare il seguente integrale:
∫ 4)
ecco il quadrato che volevamo
dx . −3 x 4 x−1
Integrali del tipo:
∫
2
AxB dx
ax 2 bxc
,
si calcolano cercando di far comparire al numeratore la derivata del trinomio che è radicando della radice che si trova al denominatore e poi scomporre l’integrale nella somma di due integrali. Ad esempio, si debba determinare l’integrale: 5 x−3 dx . ∫ 2 2 x 8 x1 Si ha: d 2 x 2 8 x1 =4 x8 . dx Ora, al fine di far comparire al numeratore la derivata del trinomio che è radicando della radice che si trova al denominatore, scriviamo la seguente identità: 5 4 x8 5 x−3= −13 , 4 che ci permette di ottenere, all’interno delle parentesi tonde, la derivata del radicando. Allora:
- 91 -
Cap. 6
∫
5 x−3 dx
∫
=
5 4 x 8 −13 4
2 x 28 x 1 2 x 28 x1 5 13 dx = 2 x 28 x 1− ∫ 2 2
x 2 4 x
L’INTEGRALE INDEFINITO
dx=
1 2
=
5 4 x8 1 dx−13 ∫ dx = ∫ 4 2 x 2 8 x 1 2 x 2 8 x1
∣
∣
5 13 1 2 x 2 8 x1− ln x2 x 2 4 x c . 2 2 2
4.
Integrazione per cambiamento di variabile (o per sostituzione) In certe circostanze il calcolo di un integrale: (1) ∫ f x dx si semplifica se cambiamo la variabile d’integrazione x con un’altra, ad esempio t, unita alla x da una relazione ben definita. Infatti, sia x= g t il legame che unisce la x alla t, con g t funzione che ammette derivata continua e diversa da zero, e chiamiamo t =h x la funzione inversa. Consideriamo ora l’integrale, che, per ipotesi, sappiamo calcolare: (2) ∫ f g t g ' t dt=F t c , e facciamo vedere che l’integrale (1) vale: F [ h x ]c , ovvero, basterà provare che è: dF [ h x ] = f x . dx Facciamo notare che F [ h x ] è una funzione composta e le componenti sono: F t e h x . Applicando la regola di derivazione delle funzioni composte si trova: dF [ h x ] = F ' t ⋅h' x . dx D’altra parte, poiché dalla (2) si ha: F ' t = f [ g t ]⋅g ' t , possiamo scrivere che: dF [ h x ] (3) = f [ g t ]⋅g ' t ⋅h' x . dx Ma g t e h x sono l’una l’inversa dell’altra e quindi anche le loro derivate sono reciproche in modo che: g ' t ⋅h' x =1 . Allora, la (3) diventa: dF [ h x ] = f [ g t ] , dx ed, essendo x= g t , segue che: dF [ h x ] = f x , dx che è esattamente quanto volevamo dimostrare. Come sarà illustrato di seguito, in pratica, dopo aver fissato una conveniente sostituzione del tipo: x= g t , calcoleremo il differenziale di x, dx= g ' t ⋅dt , e, quindi, nell’integrale (1) alla x sostituiremo g t e a dx l’espressione g ' t dt . Dopo aver risolto l’integrale rispetto a t, opereremo la sostituzione: t=h x . La funzione che ne risulterà, come si è visto nella dimostrazione, è proprio l’integrale indefinito ricercato. Osserviamo che in alcune occasioni è preferibile, per chiara opportunità, operare un cambiamento di variabile del tipo t =h x invece che x= g t . Se siamo stati capaci di trasformare l’espressione sotto il segno di integrale f x dx nell’espressione ϕ t dt , dove t=h x , e se sappiamo calcolare - 92 -
Cap. 6
l’integrale ∫ ϕ t dt , cioè:
L’INTEGRALE INDEFINITO
∫ ϕ t dt =F t c ,
allora ne segue: ESEMPI 1) Sia da calcolare l’integrale:
∫ f x dt=F [ h x ]c .
1 dx . x 1−ln 2 x t t Poniamo lnx=t , ovvero x=e da cui segue che:dx=e dt . Allora: 1 1 1 dx =∫ t e t dt=∫ dt=arcsen t c=arcsenln x c . ∫ 2 2 x 1−ln x e 1−t 1−t 2 2) Sia da calcolare l’integrale: 1x ∫ 1−x dx . Poniamo: x=sent , vale a dire dx=cos tdt . Allora:4
∫
∫
1sen t 1 x 1sen t 1sen t dx=∫ cost dt=∫ cost dt =∫ cost dt=∫ 1sen t dt= 2 1− x 1−sen t cos 1−sen t t
=t −costc=arcsenx− 1− x c . 3) Calcoliamo l’integrale:
2
ved. nota 1
moltiplichiamo e dividiamo sotto radice per: 1 sent
2
x dx . x 2 x 2 5 Innanzi tutto trasformiamo opportunamente il denominatore: x 42 x 2 5= x 2 1 4 . dt Poniamo: x 21 =t , da cui: 2 x dx=dt , cioè: xdx= . Allora, applicando la formula (14), si ha: 2 x 1 dt 1 1 t 1 x 2 1 dx = = ⋅ arctan c= arctan c . ∫ x 42 x 25 ∫ 2 t 24 2 2 2 4 2 4) Calcoliamo l’integrale: ∫ e x−1 dx . 2t Poniamo: e x −1=t , da cui: e x=t 21 , e quindi: x=ln t 2 1 , dx = 2 dt . Allora: t 1 t t2 1 dt =2 ∫ 2 dt=2∫ 1− 2 dt= 2 t−arctan t c= ∫ e x −1 dx=∫ t t 221 t 1 t 1
∫
=2 e x−1−arctan e x−1 c .
5)
Calcoliamo l’integrale:
4
x 2 1 dx . ∫ x2
dt . Allora: 2 cos t 2 tan2 t1 dt = ∫ sec t cos 2 t dt = ∫ 1 dt = ∫ sen2 t cos 2 t dt = dx = ∫ xx 1 ∫ 2 tan 2 t cos 2 t sen2 t cos 2 t sen 2 t cos t sen2 t cos t
Poniamo: x=tant , dx=
4
π π 2 Osserviamo che, affinché g t = sent sia invertibile, deve essere: − ≤t ≤ che implica: cos t =cost . 2 2
- 93 -
Cap. 6
=∫
L’INTEGRALE INDEFINITO
dt costdt 1 1tan2 t c= 2 ∣ ∣ ∫ = ln ∣ tant+sect ∣ − c=ln tant 1tan t − cost sent tan t sen 2 t
= ln∣ x x 2 1∣−
x 21 c . x
ESERCIZI Calcolare i seguenti integrali utilizzando la sostituzione suggerita a fianco: dx 1 dx xdx , x= ; , x=−ln t ; , t= x +1 ; α) ∫ β) ∫ γ) ∫ x 2 t e 1 x x −2 x1 cos x dx dx , t=sen x ; ε) ∫ x 5 x 2 −3 7 dx , 5 x 2 −3=t ; ζ) ∫ , x= sen 2 t . δ) ∫ 2 x 1−x 1sen x 5.
Integrazione per parti Siano u e v due funzioni continue con derivata continua. Essendo: d uv =du⋅v u⋅dv , potremo scrivere la seguente uguaglianza: d uv =u '⋅v⋅dxu⋅v '⋅dx , e, isolando u⋅v '⋅dx , otterremo la relazione: u⋅v '⋅dx=d uv −u '⋅v⋅dx che, sviluppata opportunamente, darà origine ad una utile formula di integrazione. Infatti, integrando entrambi i membri di questa equazione, si ottiene, a meno di una costante: (1) ∫ u⋅v '⋅dx=uv−∫ u '⋅v⋅dx . Quest'uguaglianza assume il nome di regola di integrazione per parti. Conviene usare questa formula quando, di uno dei fattori, v ' nel nostro caso, si sa calcolare una primitiva v, oppure quando l’integrale ∫ u '⋅v⋅dx è più semplice da calcolarsi di ∫ u⋅v '⋅dx . Il fattore u è chiamato fattore finito e il fattore dv=v '⋅dx si chiama fattore differenziale. ESEMPI 1) Sia da calcolare l’integrale:
∫ ln xdx .
dx Poniamo u=ln x e v ' =1 , da cui: v= x e du= . x Allora, applicando la (1), si ha: ∫ ln xdx= x lnx−∫ x⋅1x dx= x lnx− xc= x ln x−1c . 2) Calcoliamo l’integrale:
∫ x sen xdx .
'
Se poniamo: u=x e v =senx si ha subito: du=dx , e v=−cosx, da cui: ∫ x sen xdx=−x cos x∫ cos xdx=−x cosxsen xc . È utile evidenziare il fatto che, se avessimo deciso di sostituire u = senx e v = x, avremmo trovato: ∫ xsen xdx= 12 x 2 sen x 12 ∫ x 2 cos xdx , che è, senza dubbio, un integrale più complicato di quello di partenza. 3) Calcoliamo, ora, un integrale “particolare”: ∫ e x sen xdx . x x Poniamo: u=senx e v =e . Allora: du=cosx dx , e dv=e dx , da cui:
∫ e x sen xdx=e x⋅senx−∫ e x cos xdx =e x⋅sen x−[ e x⋅cos x ∫ e x sen xdx ] . - 94 -
Cap. 6
L’INTEGRALE INDEFINITO
Quindi, considerando il primo membro e l’ultimo membro dell’ultima uguaglianza, avremo: 2 ∫ e x sen xdx=e x sen x−cos x c ,
ovvero:
∫ e x sen xdx=
ex sen x−cos x c . 2
ESERCIZI Calcolare i seguenti integrali applicando la formula d’integrazione per parti: α)
∫ arctan xdx ;
δ)
∫
x dx ; ex
β)
∫ arcsen xdx ;
γ)
ε)
∫ x 2 e 3 x dx ;
ζ)
∫ x cos 3 x dx ; 2 cos ln x dx ∫ . Sugg. : porre lnx =u , e, poi, per parti
6.
Integrali semplici contenenti un trinomio di secondo grado Consideriamo un integrale del tipo: dx . ∫ mxn ax 2 bxc Il metodo principale di calcolo consiste nel ridurre il polinomio di secondo grado nella forma: 2 2 (1) a x b xc=a xk l .
dove k e l sono costanti. Per compiere la trasformazione (1) è più opportuno ricavare un quadrato intero dal trinomio di secondo grado. Si può ricorrere anche alla sostituzione: 2 a xb=t . Se m = 0, trasformando il trinomio di secondo grado nella forma (1) si ottiene uno dei due integrali elementari, che abbiamo già incontrato: 1 x−a dx 1 a x ln c ,a≠0, oppure: ∫ 2 2 = ln c , a≠0, 1) ∫ x2dx 2= xa −a 2 a a − x 2 a a− x 1 x 1 x = arctan c=− arccotan c , a≠0. ∫ x2dx 2) 2 a a a a a ESEMPIO 5 d x− 4 dx 1 dx 1 1 1 4 x−5 = ∫ = ∫ = arctan c . ∫ 2 x2 −5 2 2 2 31 5 25 7 25 31 x7 2 2 5 31 x −2⋅ x − x− 4 16 2 16 4 4 16 Se m ≠ 0, allora dal numeratore si ricava la derivata 2ax+b del trinomio di secondo grado. ESEMPI
∣ ∣
∣ ∣
1)
dx=∫ ∫ ax mxn 2 bxc
n−
2)
mb 2a
∫
m 2 a x b n− m b 2a 2a m ∣ 2 dx= ln a x bxc∣ 2 2a a x b xc
dx , e così ci si riconduce all’integrale esaminato precedentemente. a x b x c 2
1 1 d x− 2 x−1 − 1 2 2 2 1 1 dx=∫ dx= ln∣ x 2 −x−1∣− ∫ = ∫ x 2x−−1 2 2 2 2 x−1 x −x−1 1 5 x− − 2 4 1 1 2 x−1− 5 = ln∣ x 2 −x−1∣− ln c . 2 2 5 2 x−1 5
∣
∣
- 95 -
Cap. 6
L’INTEGRALE INDEFINITO
7.
Integrazione delle funzioni razionali L’integrazione di una funzione razionale si riduce all’integrazione di una frazione del tipo: Q x , (1) P x dove Q x e P x sono polinomi e il grado del numeratore P x è inferiore a quello del denominatore Q x . Se Q x = x−a ⋅. . ..⋅ x− l , dove a, ..., l sono le radici reali e distinte del polinomio Q x ed α, ..., λ dei numeri naturali che indicano la molteplicità di tali radici, allora è ammissibile la decomposizione della frazione (1) in elementi semplici: Aα A A2 L1 L2 Lλ Q x = 1 . .. .. . . . . . (2) λ P x x −a x−a 2 x−a α x− l x− l 2 x− l α
λ
Per calcolare i coefficienti indeterminati A1 , A2 ,..., L λ si riducono allo stesso denominatore i due membri della (2) e poi si uguagliano i coefficienti delle stesse potenze della variabile x (primo metodo). Si possono anche determinare questi coefficienti ponendo, nella (2) o in un’altra ad essa equivalente, x uguale a valori convenientemente scelti (secondo metodo). Questo algoritmo di integrazione è chiamato metodo dei coefficienti indeterminati. ESEMPI 1) Calcolare: ∫ xdx 2 . x−1 x1 Si ha: B1 B2 x A = , x−1 x1 2 x−1 x1 x1 2 da cui: 2 (3) x≡ A x1 B1 x−1 x1 B 2 x−1 . a) primo metodo di determinazione dei coefficienti. Riscriviamo l’identità (3) nella forma: x≡ A B1 x 2 2 AB2 x A−B 1− B2 . Uguagliando i coefficienti delle stesse potenze di x, si trova: 0= AB1 , 1= 2 AB 2 , 0= A−B 1−B 2 , da cui: 1 1 1 A= , B1=− , B2 = . 4 4 2 b) secondo metodo di determinazione dei coefficienti. Ponendo x = 1 nella (3) si può scrivere: 1 1= A⋅4, cioè: A= . 4 Ponendo x=−1, si ha: 1 −1=−B2⋅2, cioè: B2 = . 2 Ponendo x = 0, si ha: 0=A− B1 −B2 ; cioè: 1 B1 = A−B 2=− . 4 Di conseguenza: 1 dx 1 dx 1 dx 1 1 1 1 1 x−1 − ∫ ∫ = ln∣x−1∣− ln∣x1∣− c =− ln c . ∫ 2 4 x−1 4 x1 2 x1 4 4 2 x1 2 x1 4 x1 2) Calcolare:
∣ ∣
- 96 -
Cap. 6
L’INTEGRALE INDEFINITO
∫ Si ha:
dx . x −2 x 2 x 3
1 1 A B C = = , 2 2 2 x x−1 x −2 x x x x−1 x−1 3
ovvero: 2 (4) 1= A x−1 B⋅x⋅ x−1 C⋅x . Per calcolare i valori di A, B e C può essere vantaggioso utilizzare entrambi i metodi di determinazione dei coefficienti. Applicando il secondo metodo, poniamo, in (4), x = 0, da cui: 1 = A. Ponendo invece x = 1, si trova: 1 = C. 2 Ora, applichiamo il primo metodo e uguagliamo i coefficienti di x . Si ottiene: 0 = A + B, e, in conclusione: B=−1 ; che costituiva il risultato mancante. Allora: dx dx 1 ∫ =ln∣x∣−ln∣x−1∣− c . ∫ x3−2dxx 2 x =∫ dxx −∫ x−1 2 x−1 x−1 ESERCIZI Calcolare i seguenti integrali: dx x 2 −5 x9 ; ∫ xa xb 1) 2) ∫ x 2−5 x6 dx ; 1 x 3 −1 dx ; ∫ x−1 x2 x3 3) 4) ∫ 4 x 3− x dx ; ∫ 1 2 dx ; ∫ 31 dx ; 5) 6) x x1 x 1 2 5 x 3 2 2 x 41 x−91 dx ; dx ; 7) 8) ∫ ∫ x−1 x3 x−4 x 3 −5 x 2 4 x ∫ 31 dx ; ∫ 2 x2 dx . 9) 10) x −1 x −5 x4 APPROFONDIMENTI: ∫ 41 dx ; 11) x 1 ∫ 4 1 2 dx ; 13) x x 1
12) 14)
- 97 -
x4 ∫ x 4−1 dx ; ∫ 4 1 2 dx . x 2 x 1
Cap. 7
Cap. 7
L’INTEGRALE DEFINITO
L’INTEGRALE DEFINITO
0.
Introduzione La motivazione storica che portò i matematici alla creazione del calcolo degli integrali definiti fu quello di determinare l’area delle superfici piane limitate da lati curvilinei. Prima di entrare nel dettaglio del problema ricordiamo alcune nozioni di geometria euclidea utili per il prosieguo. Si dice area di un quadrato Q rispetto ad un altro quadrato U, assunto come unità di misura, il numero reale positivo che esprime il rapporto fra il quadrato Q e il quadrato U. Dalla teoria dell’equivalenza fra figure piane si sa che ogni poligono è equivalente ad un quadrato e perciò si definisce come area di un poligono l’area del quadrato ad esso equivalente. Quando però si passa a definire l’area del cerchio si incontra una grande difficoltà perché si dimostra che il cerchio non è equiscomponibile con alcun poligono e perciò la nozione di area del cerchio non può essere ricondotta a quella di un poligono, come l’area di questo la si era ricondotta a quella di un quadrato. Infatti, in geometria euclidea, per definire l’area di un cerchio si procede così: si definiscono tutti i poligoni regolari inscritti e circoscritti ad un cerchio indicando con a n l’area del poligono regolare con n lati inscritto nel cerchio e con An l’area del poligono regolare con n lati circoscritto al cerchio stesso (in fig. 1 è disegnato un fig. 1 cerchio e i poligoni regolari di 12 lati che approssimano per difetto e per eccesso l’area del cerchio). Si può far vedere che le due successioni: a1 ,a 2 , a3 ,... , a n , .. . , (1) A1 , A2 , A3 , ..., An , . .. , (2) formano due classi contigue di numeri reali (♣). Notiamo che due classi di numeri reali A e B, nell’ordine scritto, si dicono contigue quando soddisfano le seguenti proprietà: 1) ogni numero della prima classe è minore di ogni numero della seconda; 2) fissato ad arbitrio un qualunque numero ε > 0, è sempre possibile determinare un numero b∈B e un numero a∈A tali che: b−aε . Dopodiché si enuncia il seguente teorema. Teorema 0.1 Se A e B sono due classi contigue di numeri reali, esiste uno ed un solo numero reale che non è inferiore ad alcun numero di A e non è superiore ad alcun numero di B. Il teorema ora ricordato, per la definizione di limite, si può riscrivere anche così: le successioni (1) e (2) sono convergenti e hanno lo stesso limite, cioè: lim a n= lim An . n ∞
n ∞
In base a ciò, la definizione precedente si può formulare nel modo seguente: si chiama area di un cerchio il limite comune a cui tendono le due successioni formate, rispettivamente, dalle aree dei poligoni regolari inscritti e circoscritti al cerchio. Allora, per superare questa difficoltà, vediamo di definire una nuova tecnica analitica che ci permetta di risolvere il problema della misurazione delle aree di poligoni con lati anche curvilinei.
- 98 -
Cap. 7
L’INTEGRALE DEFINITO
1.
L’area di un trapezoide Sia f x una funzione continua in [ a ,b ] e ∀ x∈[ a , b ] sia f x 0. Sia dato un quadrilatero con un lato curvilineo (che da ora in poi sarà indicato con il nome di trapezoide) ABNM delimitato dal grafico della curva di equazione y= f x dall’asse x e dai segmenti AM e BN che sono paralleli all’asse y (ved. fig. 2).
y N Rn
y=f(x)
Ri R2
R1
M r1
r2
ri
rn
A O a= x 0 x 1
B x2
x i −1
xi
x n−1
b= x n
x
fig. 2 Vediamo di indicare con precisione come si può arrivare a definire il concetto d'area del trapezoide ABNM. Innanzi tutto dividiamo l’intervallo [ a , b ] in n sotto-intervalli tutti congruenti fra loro e sia b−a h= l’ampiezza comune di ciascun intervallo. Consideriamo le somme s n e S n definite dalle n seguenti uguaglianze: n
s n =m 1 hm2 h... + mn h=∑ mi h , i=1
n
S n= M 1 h M 2 h.. . + M n h=∑ M i h , i=1
dove mi e M i indicano rispettivamente il minimo e il massimo assunti dalla y nell’i-mo intervallo. Tali valori mi e M i , cioè i minimi e i massimi nei singoli intervalli , esistono in virtù del teorema di Weierstrass. Naturalmente si ha: s n ≤S n . Data la funzione y, ad ogni valore fissato per n viene a corrispondere un ben definito valore per s n e per S n , potendo così considerare le seguenti due successioni numeriche: s 1 , s 2 ,. . ., s n ,. . . , (3) S 1 , S 2 , .. ., S n ,. .. . (4) Inoltre, facciamo notare che il valore s n rappresenta la somma delle aree degli n rettangoli aventi per base, rispettivamente, gli intervallini in cui è stato diviso l’intervallo [ a , b ] e per altezze le ordinate minime mi dei punti della curva in tali intervallini (ved. fig. 2) mentre il valore S n rappresenta la somma delle aree degli n rettangoli aventi ancora per base, rispettivamente, gli intervallini in cui è stato diviso l’intervallo [ a , b ] e per altezze le ordinate massime M i dei punti della curva. L’insieme costituito dai primi rettangoli (r) costituisce una figura che chiameremo plurirettangolo - 99 -
Cap. 7
L’INTEGRALE DEFINITO
inscritto nel trapezoide; quello dei secondi rettangoli (R) si chiamerà plurirettangolo circoscritto al trapezoide. Il plurirettangolo inscritto è contenuto nel trapezoide, mentre il plurirettangolo circoscritto lo contiene, e questo vale qualunque sia n. Teorema 1.1 Le due classi numeriche U e V definite, rispettivamente dalle aree dei plurirettangoli circoscritti e inscritti sono contigue ((♣) = cioè definiscono uno stesso numero reale). Dim. Infatti, si nota subito che le due classi sono separate, perché chiaramente l’area di un plurirettangolo inscritto non sarà mai superiore all’area del corrispondente plurirettangolo circoscritto. Basterà allora provare che, ∀ ε0 è possibile scegliere i punti di suddivisione x i , in modo che risulti: s n −S n ε . Dalla continuità della y in [ a , b ] si può dimostrare – teorema di Heinie-Cantor – che, ∀ ε0 , si può trovare un numero reale k > 0, tale che quando l’intervallo [ a , b ] viene suddiviso in intervalli parziali di ampiezza minore di k, cioè: x i −x i −1k , l’oscillazione della y risulta, in ogni intervallo parziale, minore di ε , b−a cioè: ε . b−a Da qui ne segue che se le due somme (3) e (4) sono state costruite prendendo i punti x i in modo che le differenze x i − x i−1 siano minori di k, vale la (5) e dalle (3) e (4) segue: M i −mi
(5)
n
(6)
s n −S n =∑ M i−m i h i=1
ε ⋅ b−a =ε , b−a
e quest’ultima relazione prova la tesi.• OSS. 1) Abbiamo stabilito che esiste un numero che definisce l’area del trapezoide ABMN e sia esso A. È naturale chiamare A area della figura piana ABMN (ricordiamo che A è l’elemento di separazione delle due classi U e V). 2) L’enunciato del teorema 1.1 lo potremmo riscrivere anche in questa forma: Se f x è una funzione continua e f x 0 in [ a , b ] , le due successioni: s 1 , s 2 ,. . ., s n ,. . . , e S 1 , S 2 , .. ., S n ,. .. ; sono convergenti e ammettono come limite uno stesso numero, cioè: lim s n = lim S n . n ∞
n∞
Se esiste un numero che sia lecito definire come area del trapezoide ABMN, esso dovrà essere un numero compreso fra s n e S n , ∀ n∈ N . Ma se n→∞ sappiamo che s n e S n tendono allo stesso limite; quindi possiamo affermare che di numeri compresi fra s n e S n ve n’è uno ed uno solo che risulta quindi il valore comune di lim s n e lim S n . In base a questi risultati, definiamo rigorosan ∞
n ∞
mente il concetto di area. DEFINIZIONE. Si chiama area di un trapezoide ABMN, delimitato da una curva continua di equazione y= f x con f x 0 , dall’asse x e dalle parallele AM e BN all’asse y, il numero che rappresenta il valore comune delle due successioni: s 1 , s 2 ,. . ., s n ,. . . , e S 1 , S 2 , .. ., S n ,. .. . A questo punto, per calcolare il valore dell’area di un trapezoide bisogna costruire la successione s 1 , s 2 ,... , s n ,... o la successione S 1 , S 2 ,..., S n ,... e poi calcolare il limite consapevoli del fatto - 100 -
Cap. 7
L’INTEGRALE DEFINITO
che il valore di tale limite sarà, per definizione, l’area ricercata. Tuttavia, cerchiamo di trovare degli algoritmi e relative procedure che ci consentano di definire delle regole “comuni” che ci permettano, data una qualunque funzione continua y= f x in [ a ,b ] , di calcolare il valore di tale area. 2.
Definizione di integrale definito Sia f x una funzione definita e continua in [ a , b ] . Dividiamo[ a , b ]in n sotto-intervalli congruenti l’uno rispetto all’altro, in modo tale che: a=x 0 x 1 x 2... < x n−1x n =b (ved. fig. 3).
a= x 0
x1
x2
x i −1
xi
x n− 1
b= x n
fig. 3 Siano mi e M i rispettivamente il minimo ed il massimo valore della funzione y nell’i-mo intervallo [ xi−1 , xi ] e consideriamo le somme: n
s n =m 1 hm2 h... + mn h=∑ mi h , i=1
n
S n= M 1 h M 2 h.. . + M n h=∑ M i h . i=1
Naturalmente si ha:
s n ≤S n . Assegnata una y, ad ogni valore fissato per n viene a corrispondere un ben definito valore per s n e per S n . Restano quindi definite le due successioni numeriche: s 1 , s 2 ,... , s n ,... (7) S 1 , S 2 , .. ., S n ,. .. . (8) Enunciamo, senza dimostrarlo, il Teorema 2.1 Se f x è una funzione continua in [ a , b ] le due successioni (7) ed (8) sono convergenti e convergono verso lo stesso valore, cioè: lim s n = lim S n . n ∞
n ∞
Dopodiché diamo la seguente DEFINIZIONE: Il valore comune del limite delle due successioni (7) e (8) si chiama integrale definito della funzione y= f x esteso all’intervallo [ a , b ] , e si indica con la scrittura: b
∫a
f x dx .
b
f x dx ,
che deve essere letta così: “integrale definito da a a b di f x in dx”. I numeri a e b si dicono gli estremi dell’intervallo di integrazione (a sarà l’estremo inferiore e b quello superiore). La funzione y si dirà funzione integranda, la variabile x si chiamerà variabile d’integrazione. Al numero, generato dall’integrale definito:
∫a
2 andrà associata una opportuna unità di misura: ad esempio u . Quindi, per definizione si ha: b
∫a
f x dx =lim s n = lim S n . n ∞
3.
n ∞
Definizione più generale di integrale definito Nel paragrafo 2 è stata data una definizione di integrale definito di una funzione continua f x , nel costruire le somme s n o S n si è diviso [ a ,b ] in sotto-intervalli tutti della stessa misura e - 101 -
Cap. 7
L’INTEGRALE DEFINITO
poi, facendo riferimento a tali intervallini, abbiamo considerato il minimo ed il massimo valore assunto da f x . Tuttavia, poiché queste condizioni sono piuttosto restrittive, vediamo di generalizzare, cercando un metodo analitico equivalente a quello precedente, ma che richieda meno ipotesi. Cerchiamo, quindi, di definire una suddivisione di [ a , b ] in intervalli diversi fra di loro, prendendo in ogni intervallino anziché il minimo o il massimo di f x un valore qualunque che la f x può assumere. Sia f x definita e continua in [ a , b ] . Scomponiamo [ a , b ] in n sotto intervalli qualunque, come mostrato in fig. 4.
a= x 0
ξ1 x1 ξ2
x2
x i −1
ξi xi
x n− 1
ξ n b= x n
fig. 4 e poniamo:
h 1= x 1− x 0 , h 2= x 2 −x 1 ,. . . , h i= x i −x i−1 , .. . , hn =x n− x n−1 . Fissiamo arbitrariamente, nel primo intervallino un punto 1 , nel secondo un punto 2 , nell’i-mo un punto i , e nell’n-mo un punto ξ n e, calcolati i corrispondenti valori di y: f 1 , f 2 ,. .. , f i ,. . ., f n , consideriamo la somma: n
(9)
∑ f ξ i ⋅h i = f 1⋅h1 f 2⋅h 2.. . i=1
f i ⋅hi . .. f n ⋅h n .
Facciamo notare che ad ogni suddivisione fissata di [ a ,b ] in n sotto-intervalli, corrispondono infinite somme del tipo (9), in relazione proprio agli infiniti modi con cui negli intervallini possiamo scegliere i punti 1 , 2 , .. . , i ,. .. , n . Perciò, se indichiamo con δ la massima delle ampiezze: h 1 , h2 , .. . , hi , .. . , h n , degli intervallini, possiamo affermare che ogni suddivisione di [ a , b ] in parti di ampiezza minore di δ, vengono a essere trovati infiniti valori per la somma (9). Quindi, il valore di (9) dipende da δ, ma è anche una funzione di δ ad infiniti valori. Vediamo ora di definire il concetto di limite della somma (9) se δ→0, cioè al tendere a zero della massima lunghezza degli intervallini in cui viene diviso l’intervallo [ a , b ] . A questo proposito si dà la seguente: DEFINIZIONE: Si dice che la somma (9) ha per limite il numero l per δ→0, e si scrive: n
lim ∑ f i ⋅hi = l , δ 0 i= 1
quando, ∀ ε0 , si può trovare un numero positivo η tale che, per ogni scomposizione di [ a ,b ] in parti di ampiezza inferiore di η, cioè per δ < η, e qualunque siano i punti ξ i scelti nei singoli intervallini [ x i−1 , x i ] , sia sempre:
∣
∣
n
∑ f i − l ε . i= 1
Si enuncia, quindi, il seguente: Teorema 3.1 Se f x è una funzione continua in [ a , b ] , esiste ed è finito il n
(10)
lim ∑ f i ⋅hi . δ 0 i= 1
A questo punto, diamo la seguente: DEFINIZIONE: Si chiama integrale definito della funzione continua f x , esteso all’intervallo - 102 -
Cap. 7
L’INTEGRALE DEFINITO
[ a , b ] , il valore del limite (10), cioè, per definizione: b
∫a
n
f x dx =lim ∑ f i ⋅h i . δ 0 i= 1
OSS. 1) Poiché, da quello che è stato scritto, il limite (10) esiste ed ha sempre lo stesso valore comunque si faccia tendere a zero l’ampiezza degli intervallini in cui si suddivide [ a , b ] , e comunque si prendano i punti ξ i nei singoli intervallini, allora per calcolare il limite (10) si potranno anche
scegliere nei singoli intervallini come punti ξ i i punti di massimo (di minimo) della f x in tali intervalli, e suddividere [ a ,b ] in parti congruenti. Allora, il limite (10) viene a coincidere con il limite comune delle due successioni (7) e (8), e, in conclusione, questa definizione più generale di integrale porta allo stesso risultato illustrato nel paragrafo precedente (con il vantaggio però di essere meno esigente dal punto di vista delle ipotesi fatte in partenza). b
2) La variabile x, che figura nell’integrale ∫a f x dx , è una variabile “apparente”, poiché l’integrale è un numero e si ha: b
∫a
b
b
f x dx =∫a f y dy =∫a f t dt =.....
4. Alcune proprietà dell’integrale definito DEFINIZIONE: se è b < a, poniamo: b
∫a
a
f x dx =−∫b f x dx . Così si dà un significato al simbolo d'integrale definito anche quando l’estremo inferiore è maggiore dell’estremo superiore. In particolare: a
∫a
f x dx=0. Dopo queste definizioni preliminari enunciamo i tre teoremi seguenti: Teorema 4.1 Se a, b, c (a < c < b), sono tre qualunque punti di un intervallo dove una funzione f x è continua, si ha: b
c
∫a
b
f x dx=∫a f x dx∫c f x dx . Teorema 4.2 Se f 1 x , f 2 x , .. ., f n x , sono n funzioni continue in [ a , b ] , si prova che: b
b
b
∫a [ f 1 x f 2 x . . . f n x ] dx=∫a f 1 x dx∫a
b
f 2 x dx.. .∫a f n x dx . Teorema 4.3 Se k è una costante e f x una funzione continua in [ a , b ] , si ha: b
b
∫a k⋅ f x dx=k⋅∫a f x dx ,
cioè: un fattore moltiplicativo passa inalterato in “integrazione”. Teorema 4.4 (teorema della media) L’integrale definito di una funzione continua f x in [ a ,b ] è uguale al prodotto fra la misura dell’intervallo di integrazione e il valore che la funzione integranda assume in un opportuno punto di tale intervallo; cioè: b
∫a
f x dx= b−a f x 1 , dove x 1 ∈ [ a , b ] ed è opportunamente scelto. Dim. Siano m e M rispettivamente il minimo assoluto ed il massimo assoluto assunti dalla funzione f x in [ a , b ] . Dividiamo l’intervallo [ a ,b ] in n parti tutte congruenti l’una rispetto all’altra. Detto mi il minimo valore della f x nell’i-mo intervallino [ x i−1 , x i ] , possiamo scrivere che: m≤ m i ≤ M , b−a e, chiamata h= l’ampiezza comune dei singoli intervallini, si ha che: n m⋅h≤ m i⋅h ≤M⋅h . Ora facciamo variare i fra 1e n. Facendo così si possono scrivere le seguenti disuguaglianze: m⋅h≤m1⋅h ≤M⋅h , - 103 -
Cap. 7
L’INTEGRALE DEFINITO
m⋅h≤m2⋅h ≤M⋅h, ........................., ........................., m⋅h≤ m n⋅h ≤M⋅h . A questo punto, notiamo che la somma dei primi membri delle n disuguaglianze scritte sopra è: b−a m⋅h⋅n=m⋅ ⋅n=m⋅ b−a , n e che la somma dei terzi membri vale: M⋅ b−a . Indicando con s n la somma dei secondi membri, si ha: m⋅ b−a ≤s n ≤M⋅ b−a . Da quest’ultima relazione, passando al limite per n→∞, essendo il limite di una costante la costante stessa e che, per definizione, è: b
lim s n =∫a f x dx ,
n ∞
si ottiene:
b
m⋅ b−a ≤∫a f x dx ≤M⋅ b−a . b
Ragioniamo su quest’ultima relazione. L’integrale ∫a f x dx è diventato un termine intermedio compreso fra i due estremi: m⋅ b−a e: M⋅ b−a , che altro non sono che i prodotti fra la misura di [ a ,b ] e, rispettivamente, il minimo assoluto ed il massimo assoluto assunti dalla funzione y sempre in [ a , b ] . Allora rimane provata l’esistenza di un numero k∈ ℝ tale che: (♣) m ≤ k ≤ M, soddisfacente alla seguente uguaglianza: b
∫a
f x dx= b−a ⋅ k .
D’altra parte, la y è continua in [ a , b ] . Quindi: ∀ x ∈ [ a , b ] :
m≤ f x ≤ M . (♦) Dal confronto di (♣) con (♦), risulta provata l’esistenza di un punto x 1 ∈ [ a , b ] tale che: f x 1 =k ; e, per sostituzione, si ottiene l’uguaglianza che prova la tesi e cioè: b
∫a
f x dx= b−a f x 1 . •
5.
Rapporto fra integrale definito e quello indefinito di una funzione Sia f x una funzione continua in [ a ,b ] ed x un punto variabile di [ a , b ] . Consideriamo l’integrale: x
∫a
f t dt , dove si è indicato con t la variabile d’integrazione, essendo diventata la x un estremo d’integrazione. Possiamo dire che (11) è un integrale che dipende proprio dal suo estremo superiore x, cioè ad ogni valore della x, l’intervallo [ a , b ] , corrisponde uno ed un sol valore per l’integrale (11). Esso rappresenta una funzione F x , del suo estremo superiore x, definita in [ a , b ] . Si può allora scrivere: (11)
x
F x =∫a f t dt . La F x si chiama funzione integrale mentre, come è stato già scritto, la f t si dice funzione inte- 104 -
Cap. 7
L’INTEGRALE DEFINITO
granda. A questo proposito dimostriamo il Teorema 5.1 Teorema fondamentale del calcolo integrale (o teorema di Torricelli). Se la funzione f x è continua, esiste la derivata della funzione integrale F x : x
F x =∫a f t dt , nel punto x, ed è uguale al valore che la funzione integranda assume nello stesso punto, cioè: (13) F ' x = f x . Dim. Notiamo che l’incremento della F x relativo al punto x ed all’incremento h, è dato da: (12)
x h
F xh −F x =∫a ed, applicando il teorema 4.1, si ha: x
ovvero:
x
f t dt−∫a f t dt , xh
f t dt−∫a f t dt ,
x h
f t dt .
F xh −F x =∫a f t dt∫ x
xh
Applicando all’integrale ∫x
F xh −F x =∫x
x
f t dt il teorema della media (n° 4.4), si ha: F xh −F x =h⋅ f x 1 , dove x 1 è un opportuno punto dell’intervallo [ x , xh ] . Allora vale la seguente uguaglianza: F xh − F x = f x 1 . h Se fissiamo x e h→0, x 1 , x 1 ∈[ x , xh ] tenderà ad avvicinarsi sempre di più a x cioè x 1 x . Inoltre, dalla continuità della f x , discendono le seguenti uguaglianze: lim f x1 = lim f x 1 = f x , h 0
x x1
da cui:
F xh −F x = f x , h h 0 e, dalla definizione di derivata di una funzione, si ha: F ' x = f x . • Questo teorema ci mette in grado di calcolare l’integrale definito di una funzione per mezzo dell’integrale indefinito della funzione stessa, evitandoci il compito di determinare il valore del limite della successione (7) o (8). Infatti, se ϕ x è una qualunque primitiva di f x , si ha: ϕ' x = f x , e, applicando il risultato del teorema fondamentale 5.1, si può scrivere: F ' x = f x , e, quindi, le due funzioni F x e ϕ x differiscono solo per una costante additiva k. Allora: ϕ x =F x k , e applicando la (12) potremo scrivere la seguente uguaglianza: lim
x
ϕ x =∫a f t dtk . Ponendo in quest’ultima relazione x = a, si ha: a =k . Questo implica che: x
ovvero:
ϕ x =∫a f t dtϕ a , x
∫a
f t dt=ϕ x −ϕ a , - 105 -
Cap. 7
L’INTEGRALE DEFINITO
e, se x = b, si ottiene una relazione importantissima per il calcolo delle aree delle figure piane e cioè: b
∫a
f t dt=ϕ b −ϕ a , che significa proprio che la misura dell’area del trapezoide delimitato dal grafico della curva continua y= f t dalle rette x = a, x = b, e dall’asse x la calcoliamo facendo la differenza fra i valori ϕ b e ϕ a . OSS. 1) La formula di integrazione per parti assume la forma seguente: (14)
b
2)
b
∫a u x v ' x dx= [ u x v x ]a−∫a v x u' x dx . b
La formula di integrazione per sostituzione assume la forma seguente: b
∫a
−1
b
f x dx=−∫g −1 a f g t g ' t dt , g
dove
g −1 a e g −1 b , −1 (estremi dell’integrale che dobbiamo calcolare) sono i valori che la funzione inversa g della g assume in x = a e x = b. 6.
Alcune applicazioni dell’integrale definito Se f x è una funzione è continua in [ a ,b ] e f x 0 ∀ x∈ [ a , b ] , il valore dell’integrale: b
∫a
f x dx , rappresenta la misura dell’area del trapezoide ABNM (fig.2) delimitato dalla curva continua di equazione y= f x , dall’asse x, e dalle parallele AM e BN all’asse y. Se la curva y= f x incontra l’asse x in un numero finito di punti, il trapezoide si scompone in tante parti costituite dalle aree tutte contenute o nel semipiano y > 0 o nel semipiano y < 0. Per questo motivo il calcolo delle misure di queste aree, effettuato con la tecnica degli integrali, fornisce come risultato la somma algebrica di tali aree. Infatti, solo gli integrali definiti, relativi alle aree situate nel semipiano y > 0, forniranno risultati positivi, mentre, quegli integrali definiti riferiti ad aree poste nel semipiano y < 0, produrranno risultati negativi. Ad esempio, in fig. 5, l’area grigia è nel semipiano y < 0. Per quanto affermato sopra, si ha:
y y=f(x)
N
M
d
Area grigia=∫c f x dx0 .
A O
a
c
d
fig . 5
- 106 -
B b x
Cap. 7
L’INTEGRALE DEFINITO
L’integrale definito si presta però bene anche a determinare la misura dell’area di una superficie piana S limitata da un contorno tale che ogni parallela all’asse y la intersechi in al massimo due punti. Infatti, sia y= f 1 x l’equazione dell’arco di curva MPN, e sia y= f 2 x l’equazione dell’arco MQN (fig. 6). Se la superficie S si trova tutta situata nel semipiano y0 allora f 1 x 0 e f 2 x 0 , con f 1 x ≥ f 2 x ; ∀ x∈ [ a , b ] . In queste ipotesi risulta evidente che: b
Area S=∫a [ f 1 x − f 2 x ] dx .
y
y= f 1 x
P
N Area S
M A O
y= f 2 x
Q B b x
a
() fig. 6
Se invece la superficie S è in parte nel semipiano delle y0, possiamo trasportare l’origine delle coordinate lungo l’asse delle y e verso il basso di un segmento h, in modo che la superficie S si trovi tutta al di sopra dell’asse x (fig. 7). Nel nuovo sistema di riferimento gli archi di curva MPN e MQN sono indicati rispettivamente dalle seguenti equazioni: y= f 1 x h e f 2 x h . Allora si ha: b
Area S = ∫a { [ f 1 x h ]− [ f 2 x h ] } dx =
=∫a [ f 1 x − f 2 x ] dx
y M O h
y= f 1 x
P
{
O'
N
Area S
Q
y= f 2 x
x B b x'
A a
b
fig. 7
confermando, anche ora, la formula (). 7.
Calcolo dei volumi dei solidi di rotazione Sia f x una funzione è continua in [ a ,b ] e f x 0 ∀ x∈[ a , b ] . Inoltre, supponiamo che f x sia crescente in [ a ,b ] come rappresentato in fig. 8. Consideriamo il trapezoide ABNM delimitato dalla curva di equazione y= f x , dall’asse x, dalle parallele AM e BN all’asse y. Questo trapezoide, ruotando e facendo un giro completo intorno all’asse x, origina un solido di rotazione T di cui vogliamo calcolare il volume. Come al solito, dividiamo l’intervallo [ a ,b ] in n intervallini tutti congruenti fra loro e siano: b−a h= , n la misura comune di tali intervallini, mi il minimo della f x nell’i-mo intervallino e Mi il massimo della f x sempre nell’i-mo intervallino. Consideriamo il plurirettangolo inscritto (fig. 8) e il plurirettangolo circoscritto (fig. 9) al trapezoide AMNB.
- 107 -
Cap. 7
L’INTEGRALE DEFINITO
y N
y=f(x)
M A O
B a
b
x
fig. 8
y y=f(x)
N
M A O
B a
b
x
fig. 9 In una rotazione di un angolo giro intorno all’asse x, il plurirettangolo inscritto descrive un solido che risulta la somma di n cilindri aventi per altezza la misura degli intervallini in cui è stato diviso [ a , b ] e per basi i cerchi i cui raggi sono le ordinate minime mi dei punti della curva in tali intervalli, mentre il plurirettangolo inscritto descrive un solido che risulta la somma di n cilindri aventi le stesse altezze dei precedenti e per basi i cerchi i cui raggi sono le ordinate massime M i . Il primo solido sarà chiamato pluricilindro inscritto nel solido T, il secondo pluricilindro circoscritto al solido T. Con semplici formule potremo così esprimere il volume dei due pluricilindri. Il pluricilindro inscritto ha volume: n
v n=∑ π m2i h , i=1
mentre il pluricilindro circoscritto ha volume:
n
V n=∑ π M i2 h i=1
(ved. fig. 10 e fig. 11). Osserviamo che, se mi [ M i ] è il minimo [massimo] della funzione f x , allora mi2 [ M 2i ] è un minimo [massimo] per f 2 x nell’i-mo intervallino, e, per il teorema 2.11, si possono scrivere le seguenti uguaglianze: n
n
b
lim ∑ m2i h= lim ∑ M 2i h = ∫a f 2 x dx
n∞ i=1 1
n ∞ i=1
TEOREMA 2.1 Se f x è una funzione continua in [a, b], le due successioni:
, sono convergenti e convergono verso lo stesso valore, cioè: lim s n =lim S n . n ∞
n ∞
- 108 -
s 1 , s 2 , .. ., s n ,. . . e S 1 , S 2 ,. . ., S n , .. .
Cap. 7
L’INTEGRALE DEFINITO
ovvero:
b
2 lim v n= lim V n =π ∫a f x dx .
n ∞
n ∞
y y=f(x)
}{
N
Mi
mi
M O
x
A a
i
h
B b
x
M'
N' fig. 10
y y=f(x)
N
M A a
O
B b
x
M'
N' fig. 11 Quindi, per quanto ora scritto, e poiché, ∀ n∈ ℕ, il pluricilindro inscritto è contenuto interamente nel solido T mentre il pluricilindro circoscritto lo contiene, rimane naturale definire volume del solido T il “numero”: b
π∫a f x dx (a cui, magari dopo aver svolto tutti i necessari passaggi algebrici, andrà associata una opportuna unità di misura: ad esempio u 3 ). Quindi: () ESEMPI:
2
b
Volume di T = π ∫a f 2 x dx . - 109 -
Cap. 7
L’INTEGRALE DEFINITO
1) Volume del cono rotondo. Siano dati il raggio r di base e l’altezza h del cono generato da una rotazione completa intorno all’asse x del triangolo rettangolo AOB (fig. 12 e 13).
B
y
B
y
r h
r x
h
A
O
x A
O
r
r
fig. 12 fig. 13 B = r per cui il coefficiente angolare della retta OB varrà r . Sappiamo che: tan A O h h r L’equazione della retta che passa per l’origine O e che ha coefficiente angolare m= è: h r y= ⋅x . h Applicando la (), il volume del cono circolare retto è:
2
2
2
[ ]
3 h
2
3
h r r r x r h 1 V =π∫0 x dx= π ∫0 2 x 2 dx= π 2 =π 2⋅ = π r 2 h u 3 . h 3 h h h 3 3 0 2) Volume della sfera Sia data una sfera generata dalla rotazione, intorno all’asse x, di una semicirconferenza di centro l’origine O e raggio r (fig. 14 e 15). h
y
y
x −r
x −r
r
O
r
O
fig. 14
fig. 15 L’equazione esplicita della semicirconferenza che è situata nel semipiano y > 0 è: y= r 2 −x 2 . Applicando ancora la (), il volume della sfera di raggio r sarà dato da: V =π∫−r r −x r
2
2
2
[
x3 dx=π∫−r r − x dx =π r x − 3 r
2
2
2
- 110 -
] r
−r
=π r 3−
r 3 3 r3 4 3 3 r − = π r u . 3 3 3
Cap. 7
L’INTEGRALE DEFINITO
8.
Misura di un arco di curva piana Sia γ un arco di curva piana di equazione y= f x compreso fra le due ordinate relative alle ascisse a e b. Dividiamo l’intervallo [a, b] in n intervalli congruenti fra loro per mezzo delle ascisse: a=x 0 x 1. ..x n−1 x n =b . Dai punti x 0 , x 1 ,..., x n−1 , x n tracciamo le perpendicolari all’asse delle x che incontreranno l’arco γ, rispettivamente, nei punti P 0 , P 1 ,..., P n−1 , P n . Sia ∆s la misura del segmento P i−1 P i (ved. fig. 16).
y y=f(x)
N
∆s
y=f(x)
P i−1
M A O
x i−1
a
Pi ∆y
∆x
B
xi
b
x
fig. 16 Posto:
x= x i− x i−1 ,
e:
y= f x i − f x i−1 ,
avremo che:
s 2= x 2 y 2 . Se n ∞ , passando ai differenziali avremo: ds 2 dy 2 ds 2 =dx 2 dy 2 ; da cui: 2 =1 2 . dx dx Quindi: ds dy 2 dy 2 = 1 2 , ovvero: ds= 1 2 dx . dx dx dx Integrando ed estendendo il ragionamento precedente ad ogni arco in cui è suddivisa la curva γ, potremo scrivere che: 2 b b dy 2 s=∫a 1 2 dx=∫a 1 f ' x dx . dx
- 111 -
APPENDICE
APPENDICE A1)
Elenco dei simboli più importanti Simbolo = ≠ ≃ < > ≤ ≥ ±
∣a∣ Insiemi ∈ ∉ ∃ ∀
Significato uguale diverso (disuguale) circa uguale minore maggiore minore o uguale maggiore o uguale più o meno valore assoluto (modulo) di a:
{
a , se a≥0 √ a 2=∣a∣= −a , se a< 0
appartiene non appartiene esiste (ovvero ∃ è il quantificatore esistenziale) per ogni (ovvero ∀ è il quantificatore universale)
Insiemi numerici
ℕ ℤ ℚ ℝ
Numeri interi positivi o numeri naturali Numeri interi relativi Numeri razionali Numeri reali
Operazioni insiemistiche ∪
Unione
∩
Intersezione
Relazioni insiemistiche ⊆
È contenuto o è uguale a... (concetto di sottoinsieme)
⊂
È contenuto in ...
⊇
Contiene o è uguale a... (concetto di soprainsieme)
⊂
Contiene...
∅
Insieme vuoto (cioè ∅ è l'insieme che non contiene alcun elemento)
Logica ∨ ∧ ⇒ oppure → ⇔
o (inclusivo), vel, or (disgiunzione inclusiva) e, et, and (congiunzione) se…allora… oppure: implica (deduzione) se e solo se
- 112 -
APPENDICE
A2) Proprietà delle potenze e alcune formule algebriche più importanti Proprietà delle potenze Siano a ∈ℝ ed n ∈ℤ. Ricordiamo, anzitutto, le seguenti definizioni: 1) se n > 1, si chiama potenza ennesima (o n-ma) del numero reale a, il prodotto di n fattori uguali ad a, cioè: a n=⏟ a⋅a⋅a⋅. . . . . .⋅a n volte
1
se n=1, si pone: a =a ; se n=0 e a≠0 , si pone: a0 =1; 1 4) se n0 e a≠0 , si pone: a n = −n . a Dalle definizioni date segue che le proprietà delle potenze a esponente intero dei numeri razionali, valgono anche per le potenze a esponente intero dei numeri reali. Cioè, se a , b∈ℝ ed m , n∈ℤ , risulta:
2) 3)
m
n
P1)
a ⋅a =a
P3)
am
n
mn
;
=a mn ;
P2)
a m :a n=a m−n ;
P4)
a⋅b n=a n⋅b n ;
n
a an P5) = n. b b Elenco di alcune formule algebriche più importanti Dati a , b e c∈ℝ si può provare facilmente che valgono le seguenti identità: FA1) Differenza fra quadrati: a 2−b2= a−b ⋅ ab ; 2 Quadrato di un binomio: a±b =a 2±2 a bb 2 ; FA2) 3 Cubo di un binomio: a±b =a3 ±3 a2 b3 a b2±b3 ; FA3) Somma e differenza fra cubi: a 3±b 3= a±b ⋅ a2∓a bb 2 ; FA4) 2 Quadrato di un trinomio: abc =a 2b2c 22 a b2 a c2 b c . FA5) 2 2 N.B. Nell'insieme dei numeri reali ℝ la somma di quadrati a b non si può scomporre. Tuttavia, esistono delle formule, utili in determinati casi, che consentono una fattorizzazione particolare di un gruppo di polinomi di questo tipo ed esattamente: 1.
a 2b2= a±b ∓2 a b 2
a b = a ±b ∓2 a b e, in generale: 4
2.
4
2
2 2
2
2
∀ n∈ℕ si ha: a b = a ±b ∓2 a b Formule di Waring7 Le formule di Waring sono formule algebriche utilizzate nella soluzione di un sistema simmetrico, e derivano dalle teorie di Edward Waring, matematico britannico del XVIII secolo. Le formule più utilizzate sono quelle per potenze del binomio di ordine n=2 oppure 3, che sono quelle del quadrato e cubo del trinomio. Questo calcolo serve a trasformare le potenze del binomio di variabili a e b in somme e prodotti di queste variabili. Tali somme e prodotti di queste variabili sono riconducibili alla forma normale di un sistema simmetrico. Da notare che: s = a + b e p = a * b. FW2) a2 + b2 = (a + b)2 − 2ab = s2 − 2p; FW3) a3 + b3 = (a + b)3 − 3a2b − 3ab2 = (a + b)3 − 3ab(a + b) = s3 − 3ps; FW4) a4 + b4 = (a + b)4 − 4a3b − 6a2b2 − 4ab3 = (a + b)4 − 4ab(a2 + b2) − 6a2b2 = s4 − − 4p(s2 − 2p) − 6p2 = s4 − 4ps2 + 2p2; FW5) a5 + b5 = (a + b)5 − 5ab(a3 + b3) − 10a2b2(a + b) = s5 − 5ps3 + 5p2s; ecc...
3.
7
2n
2n
n
n 2
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
- 113 -
n
n
APPENDICE
A3)
I sistemi di equazioni di primo grado Innanzitutto ricordiamo che la forma normale (o canonica) di un sistema in due equazioni di primo grado è la seguente: y=c {aa 'xb xb' y=c '
dove a, b, c, a', b' e c'∈ ℝ e x e y rappresentano le incognite. Tuttavia, se il sistema assegnato non fosse scritto in forma normale, con le operazioni di m.c.m., somme fra monomi simili, semplificazioni ecc..., è sempre possibile riuscire a riscriverlo nella forma algebrica migliore possibile per applicare uno dei metodi risolutivi illustrati nei paragrafi seguenti. I.
Metodo di sostituzione Dopo aver effettuato tutte le operazioni presenti nel sistema e ridotto i monomi simili, si isola un'incognita da una delle due equazioni, ossia si ricava un’incognita in funzione dell’altra seguendo possibilmente il consiglio di isolare quell'incognita il cui coefficiente numerico o è uguale a 1 o è più prossimo ad 1. Poi, se la variabile isolata si trova al membro di sinistra dell'uguaglianza, sostituiamo l'espressione che è al membro di destra, nella restante equazione che, riducendosi ad una sola variabile, si risolve facilmente. Infine il valore dell’incognita così ottenuto lo sostituiamo nell’equazione in cui l’altra incognita era stata isolata. Esempio svolto: 3 x−6 4 y −7 x4 y−3 = − 4 5 10 4 2 x y1 3 x−1 5 y1 − = − 3 2 5 12 calcoliamo il m.c.m: 15 x−6 16 y −7 2 x4 −5 y−3 = 20 20 40 x−30 y1 36 x−1 −5 5 y1 = 60 60 eliminiamo i denominatori: 15 x−9016 y−112=2 x8−5 y15 20 x −30 y−30=36 x−36−25 y−5 isoliamo le incognite dalle costanti: 15 x−2 x 16 y5 y=90158112 40 x−36 x−30 y25 y=−36−530 semplifichiamo e scriviamo il sistema in forma normale: 13 x21 y=225 4 x−5 y =−11 isoliamo x nella seconda equazione: 13 x21 y=225 5 y−11 x= 4 sostituiamo nella prima equazione
{ { { {
{
{
- 114 -
APPENDICE
{
5 y−11 21 y=225 4 5 y−11 x= 4 nella prima equazione abbiamo una sola incognita: risolviamo allora rispetto ad essa: 1043 y= =7 65 y−14384 y=900 149 y=1043 149 ⇒ ⇒ 5 y−11 5 y−11 x= x= 5 y−11 x= 4 4 4 infine sostituiamo il valore di y così determinato nella seconda equazione per trovare x: 13
{
{
{
{
y=7 5⋅7−11 24 x= = =6 4 4 e la soluzione, riscritta in forma ordinata, è: x=6 . y=7
{ II.
Metodo di somma o sottrazione o metodo di riduzione Dopo aver effettuato tutte le operazioni presenti nel sistema, ridotto i monomi simili e posto il sistema nella forma canonica, II.a si individua il minimo comune multiplo dei coefficienti di un’incognita II.b si trova il fattore che consente di ottenere tale m.c.m. (e il suo opposto) per l’incognita considerata II.c si sommano algebricamente in colonna le due equazioni: in questo modo scompare un’incognita II.d si risolve l’equazione così ottenuta ad una sola incognita II.e a scelta si può ripetere il procedimento per l’eliminazione dell’altra incognita oppure effettuare il metodo di sostituzione. Esempio svolto (riprendendo l'esempio del numero I): 13 x21 y=225, chiamiamo ( 1 ) la prima equazione 4 x−5 y =−11 , chiamiamo ( 2 ) la seconda equazione Procediamo cercando di eliminare la x: il m.c.m. tra 13 e 4 è 52, perciò moltiplichiamo la prima equazione per 4 e la seconda per 13 (queste moltiplicazioni sono ammesse in virtù del secondo principio di equivalenza per le equazioni) e poi eseguiremo la sottrazione membro a membro. Conveniamo di indicare questa operazione con la seguente notazione: 4 1 −13 2 dove 1 e 2 indicano, rispettivamente come scritto sopra, la prima e la seconda equazione del sistema e conseguentemente: 4 13 x21 y =4⋅225 13 4 x−5 y =13⋅−11 Per eliminare la y è sufficiente eseguire la sottrazione membro a membro ovvero: 52 x84 y=900 ⇒ 52 x84 y=900 ⇒ 149 y=1043⇒ y=7 52 x−65 y=−143 52 x−65 y=−143
{
{ {
{
__________________________________
52 x−52 x84 y65 y=900143
In maniera del tutto equivalente, eseguiamo l'operazione: 5 1 21 2 allo scopo, stavolta di eliminare la y:
- 115 -
APPENDICE
{
y=1125 {6584 x105 x−105 y=−231
5 13 x 21 y =5⋅225 ⇒ 21 4 x−5 y =21⋅−11
⇒ 149 x =894⇒ x=6
__________________________________
65 x84 x105 y−105 y=1125−231
Quindi la soluzione è: III.
. {x=6 y=7
Metodo del confronto È un'applicazione della proprietà transitiva dell'uguaglianza che afferma che se A=B e B=C allora A =C. Infatti, se il sistema è ridotto alla forma normale, isoliamo la stessa incognita in entrambe le equazioni e, poi (in virtù della proprietà transitiva dell'uguaglianza), uguagliamo le espressioni situate ai membri di destra. Si ottiene così un’equazione in una sola incognita (per es. x), facilmente risolvibile. Allo scopo di individuare il valore dell'altra incognita (la y), sostituiamo il valore ottenuto (di x) in una delle due equazioni di partenza e così riusciamo ad ottenere la soluzione completa. Esempio svolto (riprendendo ancora l'esempio del numero I): 13 x21 y=225 4 x−5 y =−11 isoliamo x da entrambe le equazioni: 225−21 y x= 13 5 y−11 x= 4 uguagliamo i due membri di destra: 225−21 y 5 y−11 900−84 y 65 y−143 = ⇒ = 13 4 52 52 eliminiamo i due denominatori e risolviamo rispetto ad y: −1043 −65 y −84 y=−900−143 ⇒−149 y=−1043 ⇒ y= =7 −149 Adesso, isoliamo y da entrambe le equazioni ed uguagliamo ancora i due membri di destra: 225−13 x y= 225−13 x 114 x 21 ⇒ = 21 5 114 x y= 5 calcoliamo il m.c.m (=110), eliminiamo i due denominatori e risolviamo rispetto ad x : −894 1125−65 x =23184 x ⇒−65 x−84 x=231−1125⇒−149 x =−894 ⇒ x= ⇒ x=6 −149 x=6 . Quindi la soluzione è: y=7 Metodo di Cramer o delle matrici a xb y=c Consideriamo ancora un sistema ridotto alla forma normale: . a ' xb' y=c ' Siano delta, delta x, delta y, rispettivamente, le seguenti espressioni: b = a⋅b '−a '⋅b , = c b =c⋅b '−c '⋅b e = a c = a⋅c '−a '⋅c = a . x y a' b' c ' b' a' c ' Se ≠0 le soluzioni si trovano calcolando: x= x e y= y Esempio svolto (riprendendo un'ultima volta l'esempio del numero I):
{
{ { IV.
{
{
∣
∣
∣
∣
- 116 -
∣
∣
APPENDICE
x21 y=225 {134 x−5 y =−11
∣ ∣ ∣
∣
{
21 =13⋅ −5 −4⋅21=−65−84=−149 , = 13 −894 4 −5 x= x = =6 −149 225 21 x= =225⋅−5 11⋅21=−1125231=−894 e ⇒ −11 −5 −1043 y= y = =7 13 225 −149 y= =13⋅ −11 −4⋅225=−143−900=−1043 4 −11
∣ ∣
- 117 -
APPENDICE
A4)
Definizione e proprietà dei radicali
Definizione: dati tre elementi a ∈ℝ + e m , n∈ℕ si definisce radicale di indice m e radicando a n la n
potenza a m ed esattamente: n
an . DEF.
am =
m
Quindi per poter svolgere agevolmente qualunque operazione con i radicali sarà necessario applicare correttamente le proprietà delle potenze. Intanto ricordiamo che: Se n è numero intero pari Se n è numero intero dispari n n n a=b significa a=b a=b significa a=b n se a, b sono numeri reali positivi o nulli se a, b sono numeri reali positivi, negativi o nulli 3 3 Esempi: 9=3 ; mentre −9 non esiste; 27=3 e −27= -3 . Operazioni: n 4 Semplificazione: a n =a ; ad esempio 5 4 =5 . n⋅p m⋅p n m 15 = . a = a ; esempio: 14 a 30=7 a15 ; poiché si semplifica la frazione: 30 14 7 n n n Somma di radicali: si esegue solo se i radicali sono simili: a xb x= ab x ; Esempio: 2 25 2=7 2 ; mentre non si può calcolare: 2 35 2 . n m n p n m p Prodotto di radicali: si esegue solo se gli indici delle radici sono uguali: x ⋅ y = x y .
Esempio 1: a ⋅ b = n
x m
y
p
b ; dove con p si è indicato il m.c.m.(n, m); a x⋅
p n
y⋅
p n
3⋅4
4 4⋅ 3
2 5 ⋅ 35 = 220⋅315 . Esempio 2: 2 ⋅ 3 = n n n Quoziente di radicali: si esegue solo se gli indici delle radici sono uguali: x m : y p = x m : y p . 3
5 4
5
Esempio 1: a x : b y = n
m
p
3
12
a : b = a ; dove con p si è indicato il m.c.m.(n, m) b x⋅
p n
2
y⋅
p n
x⋅
p n
y⋅
p n
p
35 =12
2 20 : . 315 n m n m n 3 4 3 4 3 Trasporto di fattori sotto il segno di radice: a b = b ⋅a ; es.: 3⋅ 5 = 5 ⋅ 3 ;
Esempio 2: 2 5 : 35= 3
4
3⋅4
5 4 4⋅ 3
3
m n m Trasporto di fattori fuori dal segno di radice: b ⋅a =a b ; es.: n
Potenza di radicali:
n
n a = n a m ; m
m n
a 6⋅b3= a 6⋅b21=a3⋅b⋅ b . 3 4 4 Esempio: 3 = 3 3 .
m⋅n
4 6
4⋅ 6
Radice di radice: a= a ; Esempio: 7= 7= 7 . Razionalizzazione del denominatore. Esaminiamo tre casi: a a b a b a a b− c a b− c = ⋅ = ; 1. 2. = ⋅ = ; b b b b b−c b c b c b− c n n n n a a bn−m a⋅ b n−m a⋅ b n−m a⋅ b n−m . 3. n m = n m⋅ n n−m = n m n−m = n n = b b b b b b Radicali doppi: vale la seguente identità (utile se la quantità (a2 - b) è un quadrato):
a± b= Esempio:
a a 2 −b a− a 2 −b ± . 2 2
2 3=
2 22 −3 2− 2 2−3 21 2−1 3 1 = = . 2 2 2 2 2 2
- 118 -
24
APPENDICE
A5)
Formula risolutiva dell'equazione algebrica di secondo grado e fattorizzazione del trinomio di 2°
Un’equazione algebrica di secondo grado (=2°) è un oggetto algebrico che, scritto nella forma completa, si può rappresentare così: 2 ax bxc=0 dove a , b e c∈ℝ e a≠0 . Possiamo facilmente provare che le soluzioni possono essere scritte nella seguente forma: −b± b 2 −4 a c x= 2a Adesso conveniamo di chiamare il radicando del radicale che compare nella formula risolutiva discriminante dell’equazione di 2° ponendolo, per comodità, uguale a (si legge: delta) e cioè: 2 Δ=b −4 a c . Per classificare le due soluzioni dobbiamo considerare tre casi (in base alle variazioni del segno di ): 0. Allora la è un numero reale e abbiamo due soluzioni x 1 , x 2 reali e distinte 1) x1 ≠x 2 2) 3)
=0. Allora la è uguale a 0 e abbiamo due soluzioni x 1 , x 2 reali ma coincidenti x1 = x 2
0. Allora la non è un numero reale e l’equazione completa ax 2bxc=0 non ha soluzioni reali.
Esempio: risolviamo l’equazione: 2 x 2−9 x−5=0 . a=2 Innanzitutto si ha: b=−9 . Applichiamo la formula e otteniamo: c=−5 2 −b± b −4 a c 9± 81−4 2 −5 9± 121 9±11 x= = == = . 2a 4 4 4 911 20 9−11 2 1 Allora: x 1 = = =5 e x 2== =− =− . 4 4 4 4 2
{
Troviamo un'applicazione di questa formula nella fattorizzazione a coefficienti reali del trinomio di 2 secondo grado a x b xc . A questo proposito è facile dimostrare che vale la seguente identità: (1) a x 2b xc = a x− x 1 x−x 2 ≥0
dove x 1 e x 2 sono le soluzioni reali dell'equazione algebrica associata al trinomio e cioè le soluzioni dell'equazione: ax 2bxc=0 . Esempio:
1 Consideriamo il trinomio: − x 2 −3 x2 .Troviamo le soluzioni dell'equazione algebrica asso2 1 2 3± 94 =−3± 13 . Applicando la formula (1) possiamo quindi ciata: − x −3 x2=0 ⇒ x = 2 −1 fattorizzare il trinomio e esattamente: 1 2 1 − x −3 x2=− x − 3− 13 ⋅ x− 3 13 . 2 2
- 119 -
APPENDICE
A6)
Formule più importanti di trigonometria
È assegnato un triangolo rettangolo ABC disegnato in fig. 1: B
c
a C
x
A
b
fig. 1 Le funzioni trigonometriche dell'angolo x sono definite così: a cateto opposto 1. sen x= = c ipotenusa b cateto adiacente 2. cos x= = c ipotenusa sen x a cateto opposto = = 3. tanx= cos x b cateto adiacente cos x b cateto adiacente = = 4. cotan x= sen x a cateto opposto 1 c ipotenusa = = 5. sec x= cos x b cateto adiacente 1 c ipotenusa = = 6. cosec x= sen x a cateto opposto Relazione fondamentale: 7. ∀ x∈ℝ si può dimostrare che vale la seguente identità: sen 2 xcos 2 x=1 da cui: sen x=± 1−cos 2 x e cos x=± 1−sen 2 x Formule di addizione e sottrazione: 8. Qualunque siano i due numeri α e β∈ℝ valgono le seguenti identità: sen α±β =sen α⋅cos β±sen β⋅cos α cos α±β =cos α⋅cos β∓sen α⋅sen β tanα±tanβ tan α±β = 1∓tan α⋅tanβ Formule di bisezione: 9. Qualunque sia α∈ℝ valgono le seguenti identità:
α 1−cos α α 1cos α sen =± , cos =± 2 2 2 2 Relazioni tra gli elementi di un triangolo qualsiasi I due seguenti teoremi si utilizzano quando di un triangolo qualsiasi dobbiamo determinare lati e angoli. Per i due teoremi che seguono facciamo riferimento alla fig. 2 A
α
c
β B
b a
γ C
fig. 2 Teorema dei seni (o di Eulero) Enunciato: in un triangolo qualsiasi le misure dei lati sono proporzionali ai seni degli angoli opposti e cioè, facendo riferimento alla fig. 2, si ha: - 120 -
APPENDICE
a b c = = sen α sen β sen γ Esempi di applicazione del teorema dei seni: sen 30 ° sen 45 ° 2 1 α=30 ° , β=45 ° , a=16 u. ⇒ = ⇒ b=16u.⋅ ⋅ ≈22.62u. ; 1) 16 u . b 2 2 sen 40 ° sen β α=40 ° , b=15u. , a=25u. ⇒ = ⇒ sen β≈0.38 . 2) 25 u. 15u. Teorema del coseno (o di Carnot) Enunciato: in un triangolo qualsiasi, il quadrato della misura di ogni lato è uguale alla somma dei quadrati delle misure degli altri due lati, diminuita del doppio prodotto delle misure di questi due lati per il coseno dell’angolo fra essi compreso e cioè, facendo ancora riferimento alla fig. 2, si ha: 2 2 2 1. a =b c −2 b⋅c⋅cos α 2 2 2 2. b =a c −2 a⋅c⋅cos β 2 2 2 3. c =a b −2 a⋅b⋅cos γ Esempio di applicazione del teorema del coseno 1 γ=60°, a=5u., b=8u.⇒c 2=a2b 2−2abcos 60°=25u.264u.2−2⋅5u.⋅8u.⋅ =49u.2; 2 per cui: c =7u. , a=5u. , b=6 u.⇒ dal teorema precedente si ha: a c sen α sen γ a⋅sen γ = ⇒ = ⇒ sen α= ⇒ a c c sen α sen γ 3 5 u.⋅ 2 5 sen α= = 3≃0 .61 ⇒α≃37° ,59 . 7 u. 14
- 121 -
APPENDICE
A7)
Formule riguardanti la retta e alcune coniche in un piano cartesiano Nel seguito useremo queste notazioni: P 0≡ x 0 , y 0 , P1 ≡ x 1 , y 1 e P2≡ x 2 , y 2 per indicare i punti P 0 , P1 e P2
1. Formula della distanza fra due punti: P 1 P 2= 2. 3.
4. 5. 6. 7.
x −x y − y 2
2
1
2
1
2
x 1 x 2 y 1 y 2 , 2 2 x−x 1 y− y 1 Equazione della retta r passante per due punti distinti: r : = x 2 −x 1 y 2 − y 1 3a) se x1= x 2 ⇒ la retta è parallela all'asse y e ha equazione: x=cost. 3b) se y 1= y 2 ⇒ la retta è parallela all'asse x e ha equazione: y=cost. y 2− y1 3c) il coefficiente angolare si indica con m e si pone: m= =tan α e x 2−x 1 α=arctan m =tan−1 m Oss. La dimostrazione dell'equazione cartesiana di una retta si trova a questa pagina. Equazione della retta r in forma esplicita: r : y=mx p Equazione della retta r in forma implicita: r : axbyc=0 Equazione del fascio di rette passanti per il punto P 0 : y− y 0 =m x− x0 Per disegnare il grafico di una retta è necessario determinare esattamente due punti appartenenti alla retta stessa: se la retta è scritta in forma esplicita y=mx p allora conviene determinare le coordinate di questi punti assegnando prima il valore 0 alla x, calcolare il corrispondente valore di y e poi il valore 1 e poi calcolare il corrispondente valore di y come descritto nella seguente tabella: x y Punto medio M del segmento di estremi i punti P 1 e P 2 : M≡
0
p
1
m+p
Se la retta è assegnata in forma implicita, e cioè, axbyc=0 allora, per determinare i due punti, è sufficiente assegnare prima alla x il valore 0, calcolare il corrispondente valore di y e poi il valore 0 ad y e poi calcolare il corrispondente valore di x come descritto nella seguente tabella: x
y
0
−
c b
c 0 a Qualora nell'equazione implicita il termine noto fosse 0 ad es. r : y=x , allora basterà eseguire una variazione nei valori scelti come illustrato dalla seguente tabella: x y −
0
−
c b
ca b Nel seguito faremo riferimento alle rette r e s di equazioni: r : y=mr x p r e s : y=m s x p s 1
−
- 122 -
APPENDICE
8. Condizione di parallelismo fra rette: due rette, r e s, sono parallele e si scriverà r // s se i loro coefficienti angolari sono uguali ovvero se: mr =ms 9. Condizione di perpendicolarità fra rette: due rette, r e s, sono perpendicolari e si scriverà r ┴ s se il prodotto dei loro coefficienti angolari è −1 ovvero se: mr⋅m s=−1 10. Il punto d'intersezione P fra due rette non parallele r e s : P=r ∩s= y=mr x pr y=ms x ps 11. Formula della distanza fra un punto P 0 e una retta di equazione implicita r : ax byc=0 ∣a x0 b y 0c∣ d= a 2b 2 Oss. La dimostrazione della formula della distanza punto-retta si trova a questa pagina. 12. Angolo formato fra due rette: Consideriamo le rette r e s rappresentate nel seguente grafico: È facile dimostrare che vale la seguente uguagliany za: α s=αr β ovvero: β β=α s −α r e, quindi: tan β =tan α s−α r e dalla formula di sottrazione della tangente si ha: β tan α s−tan αr α αs r tan β =tan α s−α r = . 1tanα s⋅tanα r O r x s Ricordando che tan α s =ms e tan α r =mr , sostituendo si ottiene la formula che calcola la tangente dell'angolo formato fra le due rette ed esattamente:
{
tan β =
m s−mr e, applicando tan−1 ad entrambi i membri, si ottiene l'angolo: 1ms⋅mr ms−mr β=tan−1 . 1m s⋅mr
- 123 -
APPENDICE
Formule riguardanti le coniche CIRCONFERENZA Definizione: una circonferenza è costituita da un insieme di punti di un piano equidistanti da un punto fisso, C, chiamato centro. La distanza di un punto qualunque della circonferenza dal centro si chiama raggio. 2 2 Equazione cartesiana di una circonferenza: Γ : x y axbyc=0
–
Centro di una circonferenza:
a b C≡ − , − 2 2
Raggio di una circonferenza:
r=
a2 b2 −c 4 4
Equazione cartesiana di una circonferenza con il centro nell'origine e raggio r: Γ : x 2 y 2−r 2=0 ovvero: Γ : x 2 y 2=r 2 Equazione cartesiana di una circonferenza con il 2 2 centro sull'asse x e cioè nel punto C≡ − a , 0 : Γ : x y axc=0 2
Equazione cartesiana di una circonferenza con il 2 2 centro sull'asse y e cioè nel punto C≡ 0 , − b : Γ : x y byc=0 2
–
PARABOLA Definizione: una parabola è costituita da un insieme di punti di un piano equidistanti da un punto fisso, F, chiamato fuoco e da una retta, d, chiamata direttrice. Equazione cartesiana di una parabola che ha l'asse P: y =a x 2 b xc di simmetria // all'asse y: Coordinate del Vertice:
b b 2−4 a c b ,− ≡− ,− 2a 4a 2a 4a
b 1− , 2a 4a
V≡ −
ricordando che: =b2 −4 ac
Coordinate del Fuoco:
F≡ −
Equazione cartesiana della retta direttrice:
d : y=−
Equazione cartesiana dell'asse di simmetria:
x=−
1 4a
b 2a
Equazione cartesiana di una parabola che ha l'asse 2 P: x=a y b yc di simmetria // all'asse x: –
Mutue posizioni di una circonferenza (o parabola) ed una retta: Una retta ed una circonferenza (o parabola) possono essere: 1) secanti e, in questo caso, esistono due punti di intersezione, S1 e S2, fra la circonferenza (o parabola) e la retta s 2) tangenti e, in questo caso, esiste un punto di intersezione, T, fra la circonferenza (o parabola) e la retta t 3) esterne e, in questo caso, NON esistono punti di intersezione fra la circonferenza (o parabola) e la retta e. Tutto ciò è riassunto graficamente nelle figg. 1 e 2.
- 124 -
APPENDICE
y
y
t T
P
s
S1
e
t
S1
S2
Γ S2
O
T e
s
x
O
x
fig. 1 fig. 2 Per determinare analiticamente la posizione di una circonferenza rispetto ad una retta r qualunque, occorre risolvere un sistema di 2° costituito dall'equazione della circonferenza e l'equazione della retta e poi studiare il discriminante dell'equazione risolvente il sistema e cioè: 2 x 2 y 2a xb y c=0 ⇒ x 2 m x p a xb m x p c=0 ⇒ y=m x p y=m x p
{ { m x 2 m p x p a xb m xb pc=0 ⇒ 1m x 2 m pb ma x p b pc=0 {xy=m {y =m x p x p 2
2
2
2
2
2
2
L'equazione: 1m2 x 2 2 m pb ma x p2b pc=0 è chiamata equazione risolvente il sistema e, come scritto sopra, ne dobbiamo studiare il discriminante. Ponendo: α= 1m2 , β= 2 m pb ma e γ= p2b pc , l'equazione si trasforma ed assume la seguen2 2 te semplice (e nota) forma: α x β x γ=0 il cui discriminante è: =β −4 α⋅γ . Possono capitare tre casi (a seconda del segno di ) ed esattamente: – > 0. Allora esistono due intersezioni x 1 , x 2 distinte x 1 ≠x 2 e la retta è secante e i punti di intersezione sono: S1≡ x1 , m x1 p e S2≡ x 2 , m x 2 p – = 0. Allora esistono due intersezioni x 1 , x 2 coincidenti x 1 = x 2 e la retta è tangente e il punto di tangenza è: T≡ x 1 , m x 1 p – < 0. Allora NON esistono intersezioni reali e la retta è esterna. Nel caso della parabola si procede in maniera del tutto analoga.
- 125 -
APPENDICE
A8)
Dimostrazione della formula della distanza punto-retta
Siano assegnati una retta r:ax byc=0 ed un punto P 0 esterno ad r cioè P0≡ x 0 , y 0 ∉r. Facendo riferimento alla fig. 1, ricordiamo che la distanza fra un punto ed una retta è rappresentata dal segmento di minima lunghezza che possiamo tracciare per congiungere il punto e la retta in questione. In base a ciò, il segmento, che ha origine in P0 dovrà essere ortogonale alla retta r. Sia H il piede della perpendicolare tracciata da P0 .
y P 0≡ x 0 , y 0
d H
O
r
x
fig. 1 Detto ciò, vogliamo dimostrare che la distanza d=HP 0 è definita dalla seguente formula: ∣ax by c∣ d= 0 2 0 2 a b Dim. Sapendo che la retta r è assegnata in forma implicita (qualora fosse assegnata in forma esplicita sappiamo che è sempre possibile esprimerla in forma implicita con semplici passaggi algebrici), possiamo determinarne il coefficiente angolare: a mr=− b e, dovendo essere HP0 ⊥r, possiamo calcolare il coefficiente angolare della retta HP0 e cioè: b mr = . a b Scriviamo l'equazione della retta HP0 che ha per coefficiente angolare : a b HP0 : y− y 0 = x−x 0 a e, calcolando il m.c.m. ed eliminando il denominatore se a≠0 , si ha: HP0 : a y− y 0 =b x− x 0 . Adesso, allo scopo di determinare le coordinate del punto d'intersezione H fra la retta HP0 e la retta r, impostiamo e risolviamo il sistema: byc x=− byc x=− axbyc=0 a ⇒ ⇒ ⇒ a a y − y 0 =b x−x 0 byc a y − y 0 =b x− x0 b − −x 0 −a y − y 0 =0 a ⊥
{
{
{
{
{
{
byc byc by c x =− x=− ⇒ ⇒ ⇒ a a a 2 2 2 2 2 2 2 2 2 −b y−bc−abx 0−a y a y 0=0 − y a b =bcabx 0 −a y 0 y a b =a y 0−abx 0 −bc x=−
- 126 -
{
APPENDICE
{
{
a 2 y 0−abx 0−bc by c a2 y 0−abx 0 −bc b c 2 2 a axb c=0 a b 2 2 x=− 2 a b ⇒ ⇒ a y0 −abx 0−bc ⇒ a y H= a2 y 0−abx 0−bc 2 2 2 a y 0−abx 0 −bc a b yH= y H= a 2b 2 2 2 y è l'ordinata di H a b x=−
{ {
H
{
a 3 xa b2 xa 2 b y 0−a b2 x 0−b2 ca 2 cb2 c=0 a 3 xa b2 xa2 b y 0−a b2 x 0a2 c=0 ⇒ ⇒ a2 y 0 −abx 0−bc a2 y 0−abx 0 −bc y H= y = H a2 b2 a 2b 2
{
b2 x 0−a b y 0−a c
x H= a 2 x b2 xa b y 0−b2 x 0a c=0 a 2b 2 2 ⇒ x è l'ascissa di H ⇒ a y 0 −abx 0−bc y H= 2 a y 0−abx 0 −bc a2 b2 y H= a 2b 2
H
b2 x 0−a b y 0−a c a2 y 0−abx 0−bc H≡ , . 2 2 2 2 a b a b Adesso, utilizzando la formula della distanza fra due punti, troviamo d=HP 0 . d =HP 0 = = = = = =
√(
√( √( √( √(
√(
x 0−
b2 x 0−a b y 0 −a c a 2+ b2
a 2+ b 2
1 2 a + b2
2
) (( (a + b ) x −b 2
2
0
2
2
) ( ( )(
+ y 0−
2
( a2+ b2 ) x 0−b2 x 0+ a b y 0+ a c 1 2 a + b2
2
a 2 y 0−abx 0−bc a 2+ b2
2
)
= 2
a 2+ b2 ) y 0−a 2 y 0+ abx 0 + bc + = a 2+ b 2
)
2
2
)
x 0+ a b y 0 + a c ) + ( ( a 2+ b2 ) y 0−a 2 y 0+ abx 0 + bc ) =
) (( a x + b x −b x + a b y + a c ) + ( a y + b y −a y + abx + bc ) ) = 1 ( ( a x + a b y + a c ) + ( b y + abx + bc ) ) = a +b ) 1 (a x + a b y + a c + 2 a b x y + 2 a c x + 2 a b c y + b y + a b x + b c + a +b ) 2
2
2
2
2
0
0
0
4
2
2
2 2
2
2
0
0
0
2
0
2 0
2
0
2
0
2 0
2
2
0
2
2
2
2
2
2
0
0
3
3
0
0
2
4
0
0
2 0
2
2
2 0
2 2
+ 2 a b 3 x 0 y 0+ 2 b3 c y 0 + 2 a b 2 c x 0 ) =
√(
1 2 a + b2
2
) ( a x ( a + b )+ b y ( a + b )+ 2 a b x y ( a + b )+ 2 a c x (a + b )+ 2 b c y (a + b )+ + c (a + b ) ) = (√ a +1 b ) ( a + b ) ( a x + b y + 2 a b x y + 2 a c x + 2 b c y + c ) = =
2
2
2
2 0
2
2
2
2
2
=
2
√( ) 1 a 2+ b 2
21
( a 2+ b 2 )
2
2 0
2
2 0
2
2
2
0
2
2
2
2 0
2
2 0
2
2
2
0
2 0
0
0
(a x + b y + c + 2a b x y + 2 a c x + 2 b c y ) = ⏟ 0
0
0
Questa espressione è il quadrato di: a x 0+ b y 0+ c
=
2
2
0
2
0
2
0
2
0
∣a x0 + b y 0+ c∣
√ a 2+ b2 - 127 -
c.v.d.
√
0
2
( a x 0+ b y 0 + c ) a 2+ b 2
√( a x + b y + c) =
2
0
0
√ a2 + b2
=
APPENDICE
A9) Dimostrazione dell'equazione cartesiana di una retta Siano assegnati due punti distinti P 1≡ x 1 , y 1 e P2≡ x 2 , y 2 con il segmento P 1 P2 non parallelo né all'asse x né all'asse y. Per un postulato di geometria elementare sappiamo che, per due punti distinti, passa una e una sola retta P1 P2 . Basandoci su questo postulato, vogliamo determinare l'equazione cartesiana della retta r che, in piano cartesiano ortogonale e monometrico Oxy, passa per i due punti distinti P1 e P 2 .
y K K2 K1
P P2
C
P1 A
B
r O H1 H2
H
x
fig. 1 Dim. Consideriamo la fig. 1. Supponiamo, senza perdere nulla in generalità, che anche P∈r. P è un qualunque altro punto appartenente alla retta r e quindi le sue coordinate saranno generiche e incognite: P≡ x , y . Partendo dai punti P1≡ x 1 , y 1 , P2≡ x 2 , y 2 e P≡ x , y tracciamo le proiezioni ortogonali P1 H1 , P2 H 2 , P H (rispetto all'asse x ) e P1 K1 , P2 K2 , P K (rispetto all'asse y ). Per la perpendicolarità, conosciamo le misure dei seguenti segmenti: HH1 = x−x 1 , H2 H1 = x 2− x1 , KK 1 = y− y 1 , K2 K 1 = y 2− y 1 . (*) Inoltre, i due trapezi rettangoli H1 H2 P2 P1 e H 1 H P P1 sono simili tra loro poiché hanno lo stesso numero di lati e gli angoli corrispondenti sono congruenti. Per questo motivo vale questa relazione: HH1 PP = 1 , (1) H 2 H 1 P 2 P1 e, per la stessa ragione, i due trapezi rettangoli K 1 P1 P K e K 1 P1 P2 K 2 sono simili tra loro in modo che è vera questa relazione: KK 1 PP = 1 . (2) K 2 K 1 P 2 P1 Confrontando la (1) con la (2) si ha: HH1 KK 1 = H2 H1 K2 K 1
(3)
e, sostituendo le misure definite dalle uguaglianze (*), si ottiene: (4)
r:
x −x 1 y− y 1 = . x 2 −x 1 y 2− y 1
Quest'ultima uguaglianza si chiama: equazione cartesiana di una retta r passante per due punti distinti P 1 P 2 . Oss. Se x 1 = x 2 , allora la retta P1 P2 è verticale. In questo caso, l'equazione (4) perde di significaA) to poiché un suo denominatore vale 0. È tuttavia naturale, in questo caso, utilizzare l'equazione: x = costante o, più sinteticamente: x=cost o, meglio ancora: r: x=k. - 128 -
APPENDICE
B)
C) (5)
(6)
Se y 1 = y 2 , allora la retta P 1 P2 è orizzontale. Come prima, l'equazione (4) perde di significato poiché un suo denominatore vale 0. È tuttavia naturale, in questo caso, utilizzare l'equazione: y = costante o, più sinteticamente: y=cost o, meglio ancora: r: y=k. Se x 1≠x 2 e y 1≠ y 2 allora, con semplici passaggi algebrici, possiamo riscrivere l'equazione (4) nella forma implicita e cioè: r: ax+by+c=0 e, ancora, isolando la variabile y, possiamo riscrivere l'equazione (4) nella forma esplicita e cioè: r: y=mx+p
- 129 -
APPENDICE
A10) Schema riassuntivo dello studio di una funzione reale di variabile reale Per facilitare lo studio di una funzione reale di variabile reale è conveniente svolgere attentamente i seguenti passaggi rispettando possibilmente l'ordine di esecuzione: 1. classificare il tipo della funzione 2. dominio della funzione 3. segno della funzione 4. comportamento agli estremi del dominio 5. intersezione con gli assi 6. ricerca degli asintoti 7. ricerca di eventuali intersezioni tra funzione ed asintoto orizzontale o obliquo 8. ricerca degli intervalli di crescenza, decrescenza e delle ascisse ed ordinate dei punti di massimo o minimo 9. ricerca degli intervalli di concavità, convessità e ascisse ed ordinate dei punti di flesso 10. ricerca di eventuali simmetrie 11. rappresentazione grafica della funzione seguendo rigorosamente i risultati ottenuti 1. TIPO DELLA FUNZIONE Una funzione si può classificare entro i seguenti tipi (illustrati nel dettaglio subito sotto):
{
{
1 4 a1) Intero; ad es. f x =− x 3−5 x 2− x−2 3 3 Razionale 1 3 x 2− x−2 3 Algebrico a2) Fratto; ad es. f x = 2 x² −3 x4 Irrazionale
{
g x con n∈ℕ; ad es. y= x 2−1 x =2 n1 g x con n∈ℕ; ad es. y=3 x 2−3 x1
a3) se l'indice è pari: f x = a4) se l'indice è dispari: f
{
2n
t1) Trigonometrico ; ad es. y=sen x , y =tanx , ecc... x Trascendente t2) Esponenziale ; ad es. y=e x , y = 1 , ecc... 2 t3) Logaritmico ; ad es. y =ln x , y =log x , y =log a x dove a0 e a≠1 , ecc... a1) a2)
a3) a4) t1) t2)
FUNZIONE ALGEBRICA RAZIONALE INTERA: se è del tipo y=P x dove P x è un polinomio a coefficienti reali nella variabile x; FUNZIONE ALGEBRICA RAZIONALE FRATTA: se è del tipo Px y= dove P x e Q x sono due polinomi nella variabile x ; Q x 2n FUNZIONE IRRAZIONALE con indice pari: se è del tipo: y= f x , se n∈ℕ; FUNZIONE IRRAZIONALE con indice dispari: se è del tipo: 2 n1 y= f x con n∈ℕ ; FUNZIONE TRASCENDENTE TRIGONOMETRICA: se compaiono in essa espressioni trigonometriche; P x FUNZIONE TRASCENDENTE ESPONENZIALE: se è del tipo y=a oppure P x Q x
y=a con a∈ℝ+ ; t3) FUNZIONE TRASCENDENTE LOGARITMICA: se è del tipo y=log a P x oppuP x re y=log a con a ∈ℝ + e a≠1 . Q x 2. DOMINIO DELLA FUNZIONE
- 130 -
APPENDICE
Se la funzione è RAZIONALE INTERA y = P(x) il dominio risulta: ∀ x ∈ℝ (ovvero: per ogni x appartenente al campo Reale ℝ) in quanto P(x) è un polinomio a coefficienti reali nell’incognita x. P x 2b) Se la funzione è RAZIONALE FRATTA y= il dominio risulta: ∀ x∈ℝ Q x escludendo quei valori che annullano il denominatore Q(x) e cioè: Q x ≠0 2c) Se la funzione è IRRAZIONALE con indice del radicale pari 2n y= P x con n∈ℕ allora si impone al radicando d'essere maggiore o uguale a zero e cioè: P x ≥0 2 n1 2d) Se la funzione è IRRAZIONALE con indice del radicale dispari y= P x allora il dominio di y coincide con quello della funzione radicando P x ; 2e) Se la funzione è TRASCENDENTE TRIGONOMETRICA y=sen f x o y =cos f x allora il dominio coincide con il dominio dell’argomento f x . Se si ha y=tan f x allora occorre porre cos f x ≠0 e controllare eventuali restrizioni da imporre su f x . Gli altri casi della cotangente, secante e cosecante si trattano in modo simile a questo, considerando la natura particolare di quest’ultime tre funzioni. P x 2f) Se la funzione è TRASCENDENTE ESPONENZIALE y=a allora il dominio coincide con il dominio della funzione che si trova all’esponente e cioè P(x) 2g) Se la funzione è TRASCENDENTE LOGARITMICA y=log a P x allora si impone all'argomento del logaritmo d'essere strettamente positivo e cioè: P x 0 . Se è P x y=log a , con a∈ℝ+ e a≠1 allora si impone all'argomento del logaritmo Q x P x d'essere strettamente positivo e cioè: 0 escludendo ancora quei valori che Q x annullano il denominatore Q(x) e cioè (in aggiunta alla condizione precedente): Q x ≠0 3. SEGNO DELLA FUNZIONE Studiando il segno di una funzione è possibile delimitare la parte di piano entro la quale esiste il grafico della funzione stessa. Si vanno a cercare gli intervalli del dominio nei quali la funzione risulta o positiva o negativa. Se la funzione è y= f x allora si impone y0 che implica di risolvere la disequazione f x 0 . Dopo aver fatto ciò, si ottengono gli intervalli della x in cui la funzione è positiva e nello stesso tempo si trovano gli intervalli in cui la funzione è negativa. Terminata questa procedura, y può essere utile disegnare un piano cartesiano ancora necesSÌ sariamente impreciso e indicare in esso le regioni in cui il grafiNO co della funzione esiste (ved. SÌ fig. 1). 2a)
O NO
x
SÌ
NO fig. 1
- 131 -
APPENDICE
4. COMPORTAMENTO AGLI ESTREMI DEL DOMINIO Dopo aver trovato gli estremi del dominio è necessario capire il comportamento della funzione in prossimità di questi estremi. Per tale motivo si cercano i limiti della funzione al tendere di x ai valori estremanti del 0 ∞ dominio. Se individuiamo forme indeterminate del tipo oppure allora dovremo ricorre0 ∞ re alla regola di De L'Hospital derivando distintamente Numeratore e Denominatore. Inoltre si ricorda che tali comportamenti servono a trovare anche gli asintoti della funzione data (ved. paragrafi seguenti). 5. INTERSEZIONI CON GLI ASSI Per trovare i punti d'incontro con i due assi cartesiani basta risolvere due sistemi tra la funzione y= f x e i 2 assi e cioè: ∩ asse y : y= f x x=0 ∩ asse x : y= f x y=0 Si ricorda che l'asse x ha equazione y = 0, mentre l'asse y ha equazione x = 0. 6. ASINTOTI DELLA FUNZIONE Si definisce ASINTOTO di una funzione y= f x una retta alla quale la curva rappresentativa della funzione si avvicina senza mai toccarla ad eccezione degli asintoti orizzontali o obliqui che possono anche incontrare la curva (naturalmente nei punti al finito). È ovvio notare che una funzione razionale intera non ammette asintoti di alcun genere. Per cercare gli asintoti verticali di una funzione (normalmente fratta) si trovano prima le radici del denominatore e quindi si calcolano i limiti (destri e sinistri) per x tendente ai valori che si sono trovati supponiamo che essi siano in numero di n e cioè: x i , 1≤i≤n . Se il risultato è infinito allora le rette x = xi , 1≤i ≤n sono asintoti verticali della funzione. Per cercare gli asintoti orizzontali di una funzione (normalmente fratta) si calcolano i limiti per x tendente a −∞ ed anche a ∞ . Se il risultato è un numero finito h allora si dirà che la retta y = h è l'asintoto orizzontale. Per cercare gli asintoti obliqui di una funzione (normalmente fratta) si ricorda dapprima che una retta obliqua ha equazione esplicita del tipo y = mx + p. Il valore di m sarà dato o da f x =m . Se il risultato è questo limite: lim f ' x =m oppure da quest’altro limite: lim x ∞ x x ∞ diverso da 0 allora il valore di p è dato dal limite lim f x −mx = p . Analoghe conside-
{ {
x ∞
razioni per x −∞ . In pratica per trovare gli asintoti di una funzione razionale fratta possiamo procedere seguendo il seguente schema: 6a) Si scompone il numeratore e il denominatore con relativa eventuale semplificazione 6b) Si cercano le radici del denominatore e se esse sono xi 1≤i ≤n si dirà che x = xi sono le equazioni degli asintoti verticali (a meno che la funzione non ammetta, in tali punti, discontinuità di terza specie) 6c) Se il grado del numeratore è inferiore al grado del denominatore allora esiste l'asintoto orizzontale che è y = 0 (asse delle ascisse) 6d) Se il grado del numeratore è uguale a quello del denominatore allora esiste l'asintoto orizzontale che risulta y = h dove h è generato dal rapporto dei coefficienti di grado maggiore tra numeratore e denominatore (ovvero è il quoziente della divisione tra numeratore e denominatore) 6e) Se il grado del numeratore supera quello del denominatore di una sola unità allora esiste l'asintoto obliquo la cui equazione è y = mx + p dove mx + p risulta il quoziente della divisione tra numeratore e denominatore 6f) Se il grado del numeratore è superiore a quello del denominatore di più di una unità - 132 -
APPENDICE
7.
allora esisterà un asintoto curvo di equazione y=q x dove q x è generato dal quoziente tra numeratore e denominatore. RICERCA EVENTUALI INTERSEZIONI TRA ASINTOTI ORIZZONTALI OPPURE OBLIQUI CON LA FUNZIONE Innanzitutto è importante ricordare (per evitare gravi errori) che una qualsiasi funzione non
può incontrare MAI i propri asintoti verticali poiché se x= l è un asintoto verticale allora
x= l è un punto di discontinuità (di seconda specie) della funzione. Possono invece esistere intersezioni tra gli asintoti orizzontali oppure obliqui con la funzione. Per trovare queste eventuali intersezioni basta risolvere il sistema tra la curva e i rispettivi asintoti. 8. RICERCA INTERVALLI DI CRESCENZA, DECRESCENZA E ASCISSE DEI PUNTI DI MINIMO E MASSIMO Si procede (sinteticamente) in questo modo: 8a) Si calcola y ' , ovvero la derivata prima della funzione 8b)Si impone ad essa d'essere positiva ovvero si risolve la disequazione y ' >0 8c) Trovati i risultati si dirà che essi sono gli intervalli di crescenza mentre i rimanenti del dominio risultano gli intervalli di decrescenza. 8d)Si illustra con un grafico il risultato ottenuto definendo nello stesso le ascisse dei punti di minimo e di massimo per i quali y' =0 8e) Si sostituiscono le ascisse trovate nella funzione data per determinare le rispettive ordinate. 9. RICERCA INTERVALLI DI CONCAVITÀ, CONVESSITÀ E ASCISSE DEI PUNTI DI FLESSO Si procede (sinteticamente) in questo modo: 9a) Si calcola y '' , ovvero la la derivata seconda della funzione data 9b)Si impone ad essa d'essere positiva ovvero si risolve la disequazione y '' >0 9c) Trovati i risultati si dirà che essi sono gli intervalli di concavità mentre i rimanenti del dominio risultano quelli di convessità 9d)Si illustra con un grafico il risultato ottenuto definendo nello stesso le ascisse dei punti di flesso per i seguenti passaggi 9e) Si sostituiscono le ascisse trovate nella funzione data per determinare le rispettive ordinate. 10. RICERCA EVENTUALI SIMMETRIE Le simmetrie più importanti che possono essere riscontrate in uno studio di funzione sono: 10a) Simmetria rispetto l'asse delle ordinate:in questo caso deve avvenire che f x = f −x . Se la funzione è razionale o irrazionale basta che la variabile indipendente x compaia solo con grado pari 10b) Simmetria rispetto l'origine: in questo caso deve avvenire che f x =− f −x 10c) Simmetria rispetto l'asse delle ascisse: è il caso meno frequente. In questo caso deve avvenire che f y = f − y . In pratica accade quando la funzione è irrazionale con indice pari. 11. RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DELLA FUNZIONE È la parte più importante ma nello stesso tempo la più semplice se si procede in questo modo: 11a) Si rappresentano gli asintoti della funzione e i punti derivanti dalle intersezioni con gli assi e dalle intersezioni con gli asintoti orizzontali o obliqui 11b) Si disegnano delle linee verticali non continue in corrispondenza delle intersezioni con l'asse delle ascisse 11c) Si cancellano le parti di piano in cui la funzione o non è positiva o non è negativa (vedi il segno della funzione) - 133 -
APPENDICE
11d)
Si disegna il grafico della funzione spostandosi (rispetto l'asse delle ascisse) da −∞ a ∞ rispettando asintoti e punti per i quali passa la funzione. N.B. Lo schema precedente può risultare valido per tutte le funzioni razionali o irrazionali; per le funzioni trascendenti lo studio deve essere integrato da altre abilità.
- 134 -
Indice generale Indice generale
Indice generale CAP. 1
LIMITI DELLE FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE.....................3
0. INTRODUZIONE...................................................................................................................................3 1. LIMITE FINITO PER UNA FUNZIONE IN UN PUNTO...................................................................................... 5 2. DEFINIZIONE DI LIMITE INFINITO PER UNA FUNZIONE IN UN PUNTO..............................................................7 3. LIMITE DESTRO E SINISTRO DI UNA FUNZIONE..........................................................................................8 4. DEFINIZIONE DI LIMITE PER UNA FUNZIONE ALL'INFINITO...........................................................................9 5. DEFINIZIONE DI LIMITE IN TERMINI DI INTORNI...................................................................................... 11 6. TEOREMI FONDAMENTALI SUI LIMITI.................................................................................................... 11 7. INFINITESIMI E LORO PROPRIETÀ FONDAMENTALI....................................................................................13 8. OPERAZIONI CON I LIMITI.................................................................................................................. 16 9. DIMOSTRAZIONI DEI TEOREMI SUI LIMITI.............................................................................................. 17 CAP. 2
FUNZIONI CONTINUE............................................................................................21
0. INTRODUZIONE.................................................................................................................................21 1. DEFINIZIONI....................................................................................................................................21 2. PRIME PROPRIETÀ DELLE FUNZIONI CONTINUE....................................................................................... 22 3. LA CONTINUITÀ DELLE FUNZIONI ELEMENTARI.......................................................................................22 4. LA CONTINUITÀ DELLE FUNZIONI COMPOSTE......................................................................................... 25 5. PROPRIETÀ DELLE FUNZIONI CONTINUE IN UN INTERVALLO CHIUSO E LIMITATO............................................ 26 6. INVERTIBILITÀ, MONOTONIA E CONTINUITÀ........................................................................................... 29 7. DUE LIMITI FONDAMENTALI............................................................................................................... 31 8. ESERCIZI SUI LIMITI. FORME INDETERMINATE........................................................................................33 9. CONFRONTO FRA INFINITESIMI............................................................................................................39 10. INFINITESIMI EQUIVALENTI............................................................................................................... 40 11. PUNTI DI DISCONTINUITÀ PER UNA FUNZIONE...................................................................................... 43 CAP. 3
DERIVATE..................................................................................................................48
0. PROBLEMI CHE CONDUCONO AL CONCETTO DI DERIVATA..........................................................................48 1. DERIVATE....................................................................................................................................... 51 2. SIGNIFICATO GEOMETRICO DELLA DERIVATA......................................................................................... 52 3. ESEMPI...........................................................................................................................................53 4. DERIVATE DI ALCUNE FUNZIONI ELEMENTARI.........................................................................................54 5. DERIVATE DI UNA SOMMA, DI UN PRODOTTO E DI UN QUOZIENTE.............................................................. 55 6. TABELLA DELLE FORMULE E REGOLE DI DERIVAZIONE.............................................................................57 7. DERIVAZIONE DI FUNZIONI COMPOSTE..................................................................................................59 8. MASSIMI E MINIMI ASSOLUTI E RELATIVI.............................................................................................. 60 9. MASSIMI E MINIMI DELLE FUNZIONI DERIVABILI.....................................................................................61 10. CRITERIO PER L'ESISTENZA DI ESTREMI RELATIVI..................................................................................62 11. DERIVATE DI ORDINE N....................................................................................................................63 12. STUDIO DEL MASSIMO E DEL MINIMO DELLE FUNZIONI UTILIZZANDO ANCHE LE DERIVATE D'ORDINE SUPERIORE AL PRIMO............................................................................................................................................ 63 13. MASSIMI E MINIMI ASSOLUTI............................................................................................................65 14. CONCAVITÀ, CONVESSITÀ. PUNTI DI FLESSO........................................................................................66 15. STUDIO DI UNA FUNZIONE................................................................................................................67 CAP. 4 I TEOREMI DI ROLLE, LAGRANGE E CAUCHY. I TEOREMI DI DE L'HOSPITAL ................................................................................................................................... 77 1. IL TEOREMA DI ROLLE......................................................................................................................77 2. IL TEOREMA DI LAGRANGE O DEL VALOR MEDIO....................................................................................78 3. IL TEOREMA DI CAUCHY O DEGLI INCREMENTI FINITI..............................................................................80 4. I TEOREMI DI DE L'HOSPITAL............................................................................................................81 - 135 -
Indice generale
CAP. 5
IL DIFFERENZIALE DI UNA FUNZIONE........................................................... 84
0. DEFINIZIONE DI DIFFERENZIALE.......................................................................................................... 84 1. SIGNIFICATO GEOMETRICO DEL CONCETTO DI DIFFERENZIALE................................................................... 84 CAP. 6
L’INTEGRALE INDEFINITO..................................................................................86
0. INTRODUZIONE.................................................................................................................................86 1. L’INTEGRALE INDEFINITO COME INVERSO DELLA DERIVATA...................................................................... 86 2. INTEGRALI INDEFINITI IMMEDIATI ....................................................................................................... 88 3. INTEGRAZIONE PER SCOMPOSIZIONE.....................................................................................................91 4. INTEGRAZIONE PER CAMBIAMENTO DI VARIABILE (O PER SOSTITUZIONE).................................................... 93 5. INTEGRAZIONE PER PARTI...................................................................................................................95 6. INTEGRALI SEMPLICI CONTENENTI UN TRINOMIO DI SECONDO GRADO......................................................... 96 7. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI RAZIONALI...........................................................................................97 CAP. 7
L’INTEGRALE DEFINITO......................................................................................99
0. INTRODUZIONE.................................................................................................................................99 1. L’AREA DI UN TRAPEZOIDE.............................................................................................................. 100 2. DEFINIZIONE DI INTEGRALE DEFINITO.................................................................................................102 3. DEFINIZIONE PIÙ GENERALE DI INTEGRALE DEFINITO ........................................................................... 102 4. ALCUNE PROPRIETÀ DELL’INTEGRALE DEFINITO................................................................................... 104 5. RAPPORTO FRA INTEGRALE DEFINITO E QUELLO INDEFINITO DI UNA FUNZIONE ..........................................105 6. ALCUNE APPLICAZIONI DELL’INTEGRALE DEFINITO............................................................................... 107 7. CALCOLO DEI VOLUMI DEI SOLIDI DI ROTAZIONE..................................................................................108 8. MISURA DI UN ARCO DI CURVA PIANA................................................................................................ 112 APPENDICE...................................................................................................................................113 A1) ELENCO DEI SIMBOLI PIÙ IMPORTANTI............................................................................................. 113 A2) PROPRIETÀ DELLE POTENZE E ALCUNE FORMULE ALGEBRICHE PIÙ IMPORTANTI.......................................114 A3) I SISTEMI DI EQUAZIONI DI PRIMO GRADO........................................................................................ 115 A4) DEFINIZIONE E PROPRIETÀ DEI RADICALI......................................................................................... 119 A5) FORMULA RISOLUTIVA DELL'EQUAZIONE ALGEBRICA DI SECONDO GRADO E FATTORIZZAZIONE DEL TRINOMIO DI 2°................................................................................................................................................... 120 A6) FORMULE PIÙ IMPORTANTI DI TRIGONOMETRIA................................................................................. 121 A7) FORMULE RIGUARDANTI LA RETTA E ALCUNE CONICHE IN UN PIANO CARTESIANO...................................123 A8) DIMOSTRAZIONE DELLA FORMULA DELLA DISTANZA PUNTO-RETTA...................................................... 127 A9) DIMOSTRAZIONE DELL'EQUAZIONE CARTESIANA DI UNA RETTA............................................................129 A10) SCHEMA RIASSUNTIVO DELLO STUDIO DI UNA FUNZIONE REALE DI VARIABILE REALE.............................131 INDICE GENERALE.................................................................................................................... 136
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