Pd6cap13

Page 1


Capitolo 13

Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica S. ANNIBALI, GL. SFASCIOTTI

Estrazioni dentali L’estrazione dentale consiste nell’asportazione di denti o radici dalla compagine ossea dei mascellari e può essere semplice o complessa. È definita complessa qualora la presenza di particolari condizioni locoregionali o la frattura accidentale della corona o della radice rendano impossibile portare a termine l’avulsione, imponendo una variazione nell’usuale sequenza delle fasi estrattive. L’estrazione è definita chirurgica quando prevede l’esecuzione di un lembo di accesso mucoperiosteo. Le avulsioni, per essere correttamente eseguite, richiedono il rispetto di alcuni presupposti indispensabili: anamnesi ed esame clinico del paziente accurati, valutazione radiografica dell’elemento da estrarre, visibilità e accessibilità al campo operatorio adeguate, anestesia efficace, strumentario idoneo e tecniche appropriate. In particolare, in età pediatrica, le manovre estrattive devono essere effettuate con particolare attenzione, tenuto conto del maggior rischio di movimenti incontrollati da parte del piccolo paziente, della ristrettezza del campo operatorio e, nel caso dei denti decidui, della contiguità esistente tra le radici e i germi degli omologhi permanenti, che potrebbero essere coinvolti in azioni incongrue.

Indicazioni L’estrazione va effettuata solo dopo aver escluso la possibilità o l’opportunità di un trattamento conservativo degli elementi dentali interessati, anche nel caso si tratti di denti decidui, vista l’importanza che questi rivestono per il corretto sviluppo dell’apparato stomatognatico (Tabb. 13.1 e 13.2).

Strumentario estrattivo Lo strumentario estrattivo comprende pinze, leve e sindesmotomi. Le pinze utilizzate nell’arcata superiore sono (Fig. 13.1): • dritte, con i margini delle branche a segmento di cerchio convesso, per gli incisivi e i canini; 273


Capitolo 13

Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

Tabella 13.1 Indicazioni all’estrazione dei denti decidui

• Carie destruenti non restaurabili in presenza di lesioni endodontico-parodontali • Lesioni radicolari e periradicolari non trattabili o non regredite dopo opportuna terapia • Lesioni parodontali non trattabili • Lesioni endodontiche o parodontali che rappresentano o potrebbero rappresentare foci odontogeni • Lesioni traumatiche corono-radicolari non trattabili • Carie destruenti non restaurabili • Lesioni endodontico-parodontali non trattabili • Lesioni, anche di non grave entità, su denti prossimi alla permuta o in soggetti non collaboranti • Soprannumerari che interferiscono con le funzioni dell’apparato stomatognatico o con lo sviluppo della dentizione • Persistenza del deciduo oltre i limiti fisiologici di permuta in presenza del permanente omologo con almeno i due terzi della radice mineralizzati • Motivi ortodontici • Denti prenatali o precoci che disturbano l’allattamento al seno • Persistenza del deciduo oltre i limiti fisiologici di permuta, in presenza del permanente omologo erotto oppure non ancora erotto qualora però i due terzi della radice siano già mineralizzati

Tabella 13.2 Indicazioni assolute all’estrazione dei denti permanenti

• Carie destruenti che non consentono un recupero conservativo o protesico dell’elemento dentale • Lesioni endodontiche e/o periapicali non trattabili con terapia canalare o chirurgica • Lesioni parodontali avanzate con notevole perdita del tessuto di sostegno e compromissione della funzione masticatoria, causanti disagio al paziente • Lesioni traumatiche con frattura della radice, verticale o al terzo medio • Soprannumerari che interferiscono con il corretto sviluppo della dentizione • Motivi ortodontici • Denti infratopici o ectopici causa di alterazioni funzionali o di altre patologie non recuperabili con trattamento ortodontico o chirurgico-ortodontico • Lesioni che richiedono terapie restaurative complesse in soggetti non collaboranti • Radici non recuperabili protesicamente o residui radicolari • Riassorbimento radicolare esterno o interno non trattabile • Denti in rima di frattura ossea • Denti associati a lesioni ossee o dei tessuti molli • Denti in posizione ectopica o mal posizionati, non recuperabili ortodonticamente 274


Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

Figura 13.1 Pinze per l’arcata superiore: (a) per incisivi e canini; (b) per premolari; (c) per molari destri; (d) per molari sinistri; (e) per molari destri scoronati; (f) per molari sinistri scoronati; (g) per radici.

Capitolo 13

Figura 13.2 Pinze per l’arcata inferiore: (a) per incisivi, canini e premolari; (b) per radici; (c) per molari; (d) a corno di bue per molari scoronati; (e) a becco di pappagallo per molari scoronati.

• a “S” italica: – con i margini delle branche a segmento di cerchio convesso per i premolari; – con il margine della branca vestibolare costituito da due semicerchi riuniti al cen tro da uno sperone e quello della branca palatale a semicerchio convesso, per il primo e il secondo molare; – con la branca vestibolare conica e appuntita e il margine della branca palatale a semiluna concava per il primo e il secondo molare scoronati; • a baionetta con i margini delle branche a segmento di cerchio convesso, per le radici dei settori latero-posteriori. Le pinze utilizzate nell’arcata inferiore sono (Fig. 13.2): • curve sul dorso, con i margini delle branche a segmento di cerchio convesso, per gli incisivi, i canini, i premolari e le radici; • curve sul dorso, con i margini delle branche costituiti da due semicerchi riuniti al centro da uno sperone per il primo e il secondo molare; • curve sul piatto (a corno di bue) o sul dorso (a becco di pappagallo), con le branche appuntite a forma di cono per i molari scoronati. Le pinze per i denti decidui, nella morfologia, sono identiche a quelle utilizzate per i permanenti, ma hanno dimensioni inferiori, per meglio adattarsi alle dimensioni della dentatura decidua e per essere più facilmente occultabili alla vista del bambino. Le leve diritte sono utilizzate principalmente per l’arcata superiore e quelle curve sono impiegate soprattutto nell’arcata inferiore (Fig. 13.3). I sindesmotomi sono strumenti utilizzati per incidere il legamento alveolo-dentale e sono particolarmente indicati per l’estrazione di elementi affastellati o soprannumerari parzialmente erotti, perché consentono un’avulsione meno traumatica, nel rispetto del tessuto osseo alveolare e dei denti adiacenti (Fig. 13.4). 275


Capitolo 13

a

a

b

Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

b

c

d

d

Figura 13.3 Leve: (a) dritte per l’arcata superiore; (b) curve per l’arcata inferiore; (c) leva dritta apicale; (d) leve curve apicali.

Figura 13.4 Sindesmotomi.

Fasi operatorie dell’estrazione semplice I tempi fondamentali dell’estrazione sono: • periotomia; • presa con la pinza; • impegno della leva; • lussazione; • avulsione; • controllo dell’alveolo; • sutura; • controllo dell’emostasi. Periotomia. Può essere eseguita con i sindesmotomi, le leve, il bisturi, lo scollaperiostio o con i margini delle branche della pinza da estrazione; ha il compito di staccare la gengiva marginale dal colletto del dente e di sezionare il legamento anulare di Kolliker, che costituisce la porzione più coronale del legamento alveolo-dentale. Tale operazione consente di inserire più in profondità le branche della pinza, in modo da migliorare la presa intorno all’elemento dentale, di spostare in posizione più apicale il fulcro del movimento lussativo e di evitare schiacciamenti e lacerazioni della gengiva durante le manovre avulsive. Presa con la pinza. Prevede il posizionamento delle branche parallelamente all’asse lun-

go del dente e il più apicalmente possibile, in modo che i margini delle branche stesse, interponendosi tra parete alveolare e dente, possano svolgere un’azione di cuneo ed espandere la porzione più coronale delle pareti alveolari. Una presa efficace, capace di trasmettere in modo omogeneo al dente da estrarre la forza impressa sui manici, deve garantire il massimo contatto tra corona dentale e branche durante le fasi di lussazione e avulsione. 276


Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

Capitolo 13

Un particolare accorgimento di tecnica estrattiva deve essere adottato in presenza di molari decidui con radici non riassorbite, sottili, divaricate e convergenti intorno alla corona del permanente, a maggior ragione se anchilotici. In questi casi, per non danneggiare l’omologo di sostituzione o provocarne l’estrazione, è preferibile non utilizzare le pinze, ma ricorrere alla sezione interradicolare del deciduo, che va eseguita con strumenti rotanti ad alta velocità ma non completata, in modo che la separazione radicolare possa essere ottenuta con una leva mediante la frattura controllata del sottile strato di tessuto dentale residuo. La rimozione dei singoli monconi così ottenuti potrà avvenire in sicurezza con l’utilizzo di pinze o di leve, che non devono essere impegnate a livello della forcazione, per non danneggiare la gemma del permanente sottostante (Fig. 13.5). Questa procedura può essere resa più complessa dalla presenza di anchilosi e può richiedere l’allestimento di un lembo mucoperiosteo e una cauta demolizione ossea che, aiutando a vincere la tenace resistenza offerta dal cemento radicolare fuso con l’osso circostante, eviti l’insorgenza di fratture radicolari. Impegno della leva. La punta della leva va introdotta tra la parete alveolare e la radice

dentale, il più parallelamente possibile all’asse lungo del dente, in modo che possa svolgere un’azione di cuneo. Lussazione. Può essere eseguita con le pinze o con le leve e provoca contestualmente

l’espansione del tessuto osseo alveolare e la lacerazione del legamento parodontale, determinando l’ampliamento dello spazio alveolo-dentale e la conseguente mobilizzazione dell’elemento da estrarre. La manovra lussativa eseguita con le pinze deve essere diretta in senso vestibolo-orale e, in presenza di denti monoradicolati, può essere completata da una limitata rotazione intorno all’asse lungo dell’elemento dentale. Nel caso in cui si utilizzino le leve, il manico dello strumento deve essere spostato in direzione della corona dentale, in modo da applicare la forza lussativa sulla corona e non sul margine del processo alveolare, che potrebbe andare incontro a frattura. Avulsione. Comporta l’allontanamento del dente dal suo alveolo e inizia durante la fase

finale della lussazione, associando alle manovre lussative vere e proprie movimenti di trazione nella direzione di minore resistenza offerta dal dente, qualora venga eseguita con la pinza, ovvero una spinta in senso apico-coronale, nel caso in cui venga utilizzata la leva. La presenza di un apice radicolare fratturato ne richiede l’immediata rimozione con l’impiego di leve apicali o chirurgicamente. Fanno eccezione i residui radicolari di elementi decidui il cui recupero può esporre i denti adiacenti o quelli permanenti di sostituzione al rischio di lesione. In questo caso, è preferibile lasciarli in situ, in considerazione del fatto che spesso non danno luogo a complicazioni, perché il più delle volte si riassorbono spontaneamente o migrano verso la cresta durante l’eruzione del permanente. Controllo dell’alveolo. Prevede la revisione della cavità residua, ovvero la rimozione, mediante cucchiai o curette alveolari, del tessuto patologico e dei frammenti ossei o dentali eventualmente presenti, e la compressione digitale delle pareti alveolari, la quale favorisce l’emostasi e il processo di guarigione. 277


Capitolo 13

Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

a

b

c

d

e

f

Figura 13.5 Estrazione di molare deciduo: (a) il particolare della Rx ortopanoramica mostra la mancata rizalisi dell’8.5, che ostacola l’eruzione dell’omologo permanente; (b) all’esame obiettivo endorale si evidenzia la lieve infraocclusione dell’8.5; (c) la sezione interradicolare della corona; (d) la lussazione della porzione mesiale; (e) l’alveolo postestrattivo; (f) l’8.5 estratto.

Sutura. Serve a ottenere la stabilizzazione dei tessuti molli ed è necessaria solo in presenza

di mobilità della gengiva marginale rispetto alla sottostante cresta alveolare. Nel piccolo paziente può essere eseguita con materiale riassorbibile, per evitarne la rimozione. Controllo dell’emostasi. Si ottiene facendo stringere tra le arcate in occlusione, per circa

10 minuti, un tampone di garza inumidita con soluzione fisiologica, in corrispondenza dell’alveolo postestrattivo. 278


Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

Capitolo 13

Fasi operatorie dell’estrazione complessa Nell’estrazione complessa le fasi operatorie, che possono variare per tipologia e sequenza in funzione delle caratteristiche del dente o della radice da estrarre, sono rappresentate da: • lembo di accesso; • ostectomia; • odontotomia; • lussazione; • avulsione; • regolarizzazione dei margini ossei; • sutura. Lembo di accesso. È eseguito allo scopo di accedere al piano osseo sottostante ed è mu-

coperiosteo e intrasulculare in presenza dell’elemento dentale e a busta, triangolare o trapezoidale, in funzione della complessità dell’intervento. In particolari situazioni, il semplice scollamento del lembo, permettendo un posizionamento più apicale della leva o della pinza, può consentire di portare a termine l’avulsione. Ostectomia o breccia ossea. Consiste nell’asportazione del tessuto osseo alveolare, più spesso a spese del versante vestibolare, ed è effettuata con una fresa ossivora (a rosetta o a fessura), montata su un micromotore e sotto abbondante irrigazione. Nel caso dell’estrazione di molari, in cui sia prevista l’odontotomia interradicolare, può essere utile estendere l’ostectomia fino a esporre l’imbocco della forcazione, così come, in presenza di setti interdentali particolarmente spessi, può essere vantaggioso eseguire la breccia ossea a ridosso della radice da estrarre, in modo da impegnare la leva nel vallo così ottenuto, senza coinvolgere il tessuto osseo dei denti contigui e la corticale vestibolare. Odontotomia. Può essere definita la sezione programmata, unica o multipla, di un elemen-

to dentale; si esegue con strumenti rotanti ad alta velocità, sotto abbondante irrigazione. L’odontotomia è indicata nei denti monoradicolati, in cui sia presente un’accentuata curvatura radicolare perché, permettendo l’eliminazione della porzione coronale omolaterale alla concavità radicolare, elimina il sottosquadro che ne impedisce la lussazione. Nei denti poliradicolati con morfologia radicolare complessa, per la presenza di radici divergenti o di uncinature apicali, la sezione indicata è quella interradicolare che, ottenendo la divisione dei tronchi radicolari, consente di eseguirne l’avulsione separatamente. Nei casi in cui il pavimento della camera pulpare sia interessato da una lesione cariosa destruente, l’odontotomia può essere ottenuta con l’utilizzo di una leva impegnata in corrispondenza della forcazione. Lussazione. Si esegue essenzialmente con le leve, che vanno inserite tra la parete alveo-

lare e la radice. In presenza di un’odontotomia interradicolare, la leva deve essere impegnata nello spazio così creato e si deve procedere dapprima alla lussazione della radice meno curva, più corta o maggiormente mobile, in modo da agevolare l’estrazione di quella anatomicamente meno favorevole. 279


Capitolo 13

Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

Avulsione. Può essere effettuata con le leve, con le pinze per radici o con quelle emo-

statiche. Regolarizzazione dei margini ossei. La regolarizzazione di eventuali margini ossei ta-

glienti o irregolari e l’asportazione dei setti ossei interradicolari fratturati si esegue con una pinza ossivora, con una raspa da osso o con frese a rosetta montate su manipoli a bassa velocità. Sutura. Ha lo scopo di ottenere il riposizionamento (nella situazione iniziale o in una

nuova posizione) e la stabilizzazione dei tessuti molli scollati sul piano osseo sottostante, in modo da favorire la formazione del coagulo e la guarigione.

Istruzioni per il paziente Le istruzioni per il periodo postoperatorio prevedono per le prime 6-8 ore di non masticare nel sito postestrattivo, non sciacquare e non sputare, assumere una dieta fredda e liquida ed evitare le manovre di igiene orale sulla ferita chirurgica. Per i primi 4-7 giorni è necessario detergere la ferita con batuffoli di cotone o bastoncini cotonati imbevuti di acqua ossigenata a 10 volumi diluita al 50% con acqua e non masticare cibi di consistenza dura dal lato interessato.

Soprannumerari e odontomi Gli odontomi e i soprannumerari, pur essendo due entità clinicamente distinte, presentano notevoli analogie, come: (1) la localizzazione più frequente nei settori anteriori del mascellare superiore; (2) l’età giovanile di insorgenza; (3) l’essere costituiti da tessuti dentali differenziati e il tipo di manifestazioni patologiche a cui sono correlati. In particolare, queste ultime sono rappresentate da: (1) ritenzione di denti decidui o permanenti, per interposizione lungo il loro fisiologico decorso eruttivo; (2) ritardo eruttivo, eruzione ectopica, malposizioni dentali (rotazioni o inclinazioni), causate dalla carenza di spazio dovuta alla loro presenza; (3) possibili complicanze displastiche o infiammatorie. Soprannumerari e odontomi sono più frequenti a livello della premaxilla dove, con una maggiore incidenza rispetto ad altre sedi, ostacolano l’eruzione degli incisivi, in particolare di quello centrale. Nella ritenzione dentale sono più spesso coinvolti i soprannumerari incisiviformi e quelli tubercolati, in virtù delle loro maggiori dimensioni, e la variante composta degli odontomi, rispetto a quella complessa, perché a insorgenza precoce e di maggior riscontro nei settori antero-superiori.

280


Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

Capitolo 13

Diagnosi Ai fini di una corretta programmazione è indispensabile eseguire: (1) la radiografia ortopanoramica, che consente di apprezzare le caratteristiche morfologiche e spaziali del soprannumerario o dell’odontoma, i suoi rapporti con le strutture anatomiche contigue e la presenza di eventuali condizioni patologiche associate; (2) la radiografia endorale periapicale, che meglio definisce i rapporti mesio-distali e apico-coronali della formazione con i denti contigui; (3) la radiografia endorale occlusale, che ne chiarisce la prospicienza orale o vestibolare.

Terapia L’approccio terapeutico nei confronti di soprannumerari e odontomi ne prevede la tempestiva asportazione, per intercettare l’insorgenza di manifestazioni patologiche o, qualora queste siano già presenti, per evitarne l’aggravamento. L’intervento avulsivo può essere rimandato solo in presenza di dentizione decidua o mista, quando il soprannumerario o l’odontoma non è ancora chiaramente identificabile perché in una fase precoce della sua formazione, oppure se il trauma operatorio può interferire con il corretto sviluppo degli elementi dentali coinvolti. In questi casi, i controlli clinico-radiografici periodici consentono di monitorare la situazione e di scegliere il momento più opportuno per intervenire. La rimozione di soprannumerari erotti non presenta in genere particolari difficoltà, anche se l’eruzione in sede ectopica o la presenza di affastellamento dentale, che rendono più complesso l’utilizzo della pinza o l’impegno della leva, possono far preferire l’impiego dei sindesmotomi. I soprannumerari o gli odontomi inclusi nella compagine ossea dei mascellari richiedono, invece, un’estrazione di tipo chirurgico, che prevede: l’incisione e lo scollamento di un lembo mucoperiosteo, l’esecuzione della breccia ossea ed eventualmente dell’odontotomia, l’asportazione dell’elemento in soprannumero o della neoformazione odontomatosa, la revisione della cavità residua e la sutura (Fig. 13.6). Il tracciato d’incisione, che viene scelto in funzione della sede e della prospicienza del soprannumerario o dell’odontoma, è intrasulculare e a busta, nelle localizzazioni palatali e linguali, e triangolare o trapezoidale, in quelle vestibolari. La breccia ossea, eseguita con una fresa ossivora a rosetta o a fessura montata su un micromotore e sotto abbondante irrigazione, deve essere di ampiezza il più contenuta possibile, per non danneggiare le strutture dentali e anatomiche contigue, ma tale da permettere l’identificazione e l’asportazione della neoformazione. L’odontotomia è indicata in presenza di soprannumerari con anomalie radicolari, di supplementari e della variante complessa degli odontomi, per frammentare l’ammasso di tessuti dentali di cui sono costituiti, che ne impedirebbe l’enucleazione. Tale tecnica di solito non è necessaria per i soprannumerari conoidi, che hanno ridotte dimensioni, per i tubercolati privi di radice e per gli odontomi composti, che sono formati da denticoli facilmente asportabili. 281


Capitolo 13

Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

L’odontotomia viene effettuata con strumenti rotanti montati su manipolo ad alta velocità e, per non danneggiare i tessuti sottostanti, non deve essere a tutto spessore, ma va completata con l’azione fratturativa di una leva. Una volta rimosso il soprannumerario con il suo sacco follicolare o l’odontoma, si procede alla revisione della cavità residua, al lavaggio con soluzione fisiologica del sito chirurgico e all’apposizione dei punti di sutura. Qualora la presenza del soprannumerario o dell’odontoma abbia causato la ritenzione di un elemento dentale, se questo è ancora dotato di vis a tergo, prima di eseguire la sutura, se ne espone il margine incisale e almeno un terzo della corona, per favorirne l’eruzione spontanea. Nell’eventualità, invece, che il dente sia molto lontano dalla cresta alveolare o abbia un apice radicolare quasi chiuso, è utile applicare un mezzo di ancoraggio che consenta di esercitare la trazione ortodontica. Alla fine dell’intervento di asportazione di un odontoma, è necessario eseguire un controllo radiografico per accertarne la completa enucleazione.

a

b

Figura 13.6 Rimozione di SPN: (a) Rx ortopanoramica di una piccola paziente in dentizione mista, in cui si evidenzia l’inclusione degli incisivi centrali, la persistenza degli omologhi decidui e la presenza di due SPN inclusi; (b) la ricostruzione occlusale 3D della TC Dentascan mostra la prospicienza palatale dei due SPN; (c) la ricostruzione frontale 3D della TC Dentascan evidenzia la posizione vestibolare degli incisivi inclusi (segue);

c

282


Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

d

e

f

g

h

i

Capitolo 13

Figura 13.6 − Seguito (d) l’incisione lineare intrasulculare sul versante palatale estesa al versante mesiale dei canini decidui; (e) lo scollamento del lembo palatale, eseguito prima dell’estrazione dei centrali decidui, e la breccia ossea permettono di esporre i SPN; (f) l’odontotomia dei SPN ne facilita l’asportazione; (g) dopo l’estrazione dei SPN si procede all’incisione e allo scollamento di un lembo trapezoidale vestibolare; (h) l’esposizione della corona degli incisivi centrali e l’applicazione degli attacchi ortodontici; (i) la sutura a punti staccati e la fuoriuscita del filo da trazione dalla linea di incisione.

283


Capitolo 13

Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

Denti malformati La fusione e la geminazione sono malformazioni dentali classificate tra le anomalie di sviluppo che, potendo causare problematiche estetiche, parodontali od ortodontiche (come la mancanza di spazio, l’eruzione ritardata o quella ectopica), richiedono un intervento chirurgico. Fusione. È la conseguenza dell’unione degli organi dello smalto e/o delle papille dentali

di due (raramente di più) gemme dentali che, entrando in intimo contatto in un’epoca precoce del loro sviluppo, danno luogo alla formazione di un unico elemento anomalo, caratterizzato dalla coalescenza delle corone, delle radici o di tutto il dente e da diverse tipologie di connessioni dentinali e pulpari. Questa malformazione è più frequente in dentizione decidua, in particolare nel settore incisivo, piuttosto che nella dentizione permanente e può riguardare due elementi della serie normale (decidua o permanente), un dente della serie normale e un soprannumerario o due soprannumerari. Geminazione. Si verifica durante la differenziazione di un germe dentale che, in risposta a stimoli metabolici locali, va incontro a uno sdoppiamento parziale o totale (twinning), dando luogo alla formazione di due elementi dentali parzialmente o totalmente uniti tra loro.

Terapia Il trattamento dei denti fusi o geminati è chirurgico e prevede l’estrazione, l’odontotomia e l’odontotectomia. Il ricorso all’una o all’altra tecnica è condizionato da numerosi fattori, primo fra tutti il tipo di dentizione, primaria o secondaria. In dentizione decidua, infatti, l’approccio prevede l’astensione da qualsiasi tipo di intervento e l’adozione di controlli clinici e radiografici periodici per monitorare il regolare svolgimento dei processi di rizalisi e di esfoliazione del dente malformato e l’eruzione del permanente. L’estrazione è indicata solo in presenza di un anomalo riassorbimento radicolare del deciduo, che interferisca con l’eruzione dell’omologo di sostituzione, e va eseguita quando la radice del permanente è mineralizzata almeno per i due terzi. In presenza di denti permanenti, il trattamento deve mirare per quanto possibile al recupero estetico e funzionale dell’elemento malformato ed è subordinato a una corretta impostazione diagnostica che, con l’esame clinico e, soprattutto attraverso l’indagine radiografica, deve accertare il grado di unione delle corone e/o delle radici, la forma e l’orientamento di queste ultime e la configurazione dello spazio endodontico. La scelta della metodica chirurgica da adottare è condizionata: • dal numero dei denti presenti in arcata che, contando per due il dente anomalo, sarà normale nella fusione fra due elementi della serie permanente, mentre sarà aumentato di un’unità in caso di geminazione o di fusione con un soprannumerario; • dalla morfologia dell’elemento malformato, la cui conformazione corono-radicolare deve essere tale da consentirne la separazione, con l’esistenza di spazi endodontici non comunicanti o suscettibili di trattamento canalare. 284


Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

Capitolo 13

Estrazione. Indipendentemente dal numero di denti presenti in arcata, è riservata agli

elementi fusi o geminati, con radici non separabili chirurgicamente o che presentino una configurazione canalare non trattabile endodonticamente. Odontotomia. Consiste nella divisione del dente malformato in due porzioni e nella lo-

ro conservazione, può essere adottata in presenza di una formula dentale normale, quando la fusione è avvenuta tra due denti della serie permanente, che presentano radici separate o che possano essere sottoposti a terapia endodontica. Odontectomia. Prevede la sezione dell’elemento anomalo e l’avulsione di una delle due

parti così ottenute allo scopo di ripristinarne l’aspetto morfo-volumetrico normale; trova indicazione nei casi di fusione di un permanente con un soprannumerario o di geminazione, in quanto l’eliminazione della parte in eccesso ripristina la normale formula dentale. Questa metodica è subordinata, però, alla possibilità di recuperare la porzione residua del dente fuso o geminato, indipendentemente dalla necessità o meno di una cura endodontica (Fig. 13.7). Perché abbiano successo, gli interventi di odontotomia e di odontectomia richiedono alcuni accorgimenti di tecnica operatoria. La sezione del dente malformato deve essere eseguita sotto il diretto controllo visivo, esponendo la radice attraverso una breccia ossea di dimensioni adeguate, e deve essere controllata intraoperatoriamente con radiografie endorali periapicali fino al suo completamento. Nell’odontectomia, per non danneggiare la parte di dente da conservare, che potrebbe andare incontro a riassorbimenti o anchilosi, la sezione deve avvenire a spese della porzione dentale da eliminare, la quale deve essere estratta senza impegnare la leva nello spazio così creato. Il regolare svolgimento dei processi riparativi a livello dell’osso alveolare e del legamento parodontale deve essere monitorato con periodici controlli clinici e radiografici, fino al raggiungimento della completa guarigione. Nei casi in cui non sia stato necessario eseguire la cura canalare preoperatoria, è di fondamentale importanza la verifica della vitalità pulpare, per poter instaurare un’adeguata terapia in presenza di un’eventuale necrosi pulpare. L’approccio terapeutico ai denti fusi e geminati è di tipo multidisciplinare perché, oltre all’intervento chirurgico, può richiedere la terapia ortodontica, a cui è affidato il compito del corretto allineamento in arcata dell’elemento recuperato, e un trattamento conservativo o protesico, rivolto al ripristino della sua normale morfologia coronale.

285


Capitolo 13

Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

a

b

c

d

e

f

g

Figura 13.7 Odontectomia degli incisivi centrali superiori malformati: (a) all’esame obiettivo endorale in visione frontale è evidente la fusione con SPN dell’1.1 e del 2.1 e l’eruzione palatale dell’1.2 e del 2.2; (b) l’esame obiettivo in visione occlusale conferma la diagnosi; (c) il particolare della Rx ortopanoramica mostra la morfologia radicolare degli incisivi, caratterizzata da radici separate; (d) l’odontotomia verticale viene condotta a spese della porzione di dente da eliminare; (e) dopo l’avulsione del frammento mesiale del 2.1 corrispondente al SPN, si procede all’odontotomia dell’1.1; (f) gli alveoli vuoti dopo l’avulsione dei SPN; (g) i frammenti estratti; (h) la sutura.

h

286


Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

Capitolo 13

Lesioni cistiche La cisti è una cavità neoformata di forma rotondeggiante od ovalare, che si sviluppa nella compagine ossea dei mascellari, è dotata di un rivestimento proprio, costituito all’esterno da tessuto connettivo fibroso e all’interno da epitelio secernente, e presenta al suo interno un contenuto liquido. Le lesioni cistiche originano, in seguito a un meccanismo degenerativo, dai residui epiteliali odontogeni (cisti odontogene) o non odontogeni (cisti fissurali), presenti all’interno delle ossa mascellari, e riconoscono come momento patogenetico uno stimolo flogistico (cisti infiammatorie) o un’anomalia verificatasi durante l’embriogenesi (cisti da sviluppo). Il decorso evolutivo delle cisti può essere distinto, in funzione della loro crescita espansiva, lenta e progressiva, a spese del tessuto osseo circostante, in tre periodi fondamentali: • Latenza: la neoformazione, ancora di dimensioni modeste, non dà luogo a sintomatologia soggettiva od oggettiva, a meno che non vada incontro a una complicanza flogistica. • Deformazione: il progressivo accrescimento della cisti provoca l’usura della compagine ossea dei mascellari fino a determinare la deformazione della corticale, che si manifesta con una tumefazione, più spesso in sede vestibolare. • Fistolizzazione: la sovrapposizione di processi flogistici può comportare un aumento improvviso del volume della tumefazione preesistente, edema e iperemia della mucosa sovrastante, dolore, interessamento dei linfonodi regionali, apertura spontanea della cisti nel cavo orale, con fuoriuscita di essudato siero-purulento o purulento. Radiograficamente la lesione si presenta come un’immagine radiotrasparente, uniforme, rotondeggiante, solitamente uniloculare, a margini netti, delimitati da un tipico orletto ben definito, sottile, più intensamente radiopaco rispetto al tessuto circostante, a causa della reazione ossea reattiva al processo espansivo. La classificazione delle cisti attualmente accettata a livello internazionale è quella formulata nel 1992, sulla base degli aspetti eziopatogenetici, dall’OMS (Tab. 13.3). Le lesioni cistiche odontogene di più frequente riscontro in età pediatrica sono: • Gengivale del lattante: colpisce i neonati nei primi tre mesi di vita e si presenta come noduli, più spesso multipli, localizzati sulla mucosa della cresta alveolare, di colore bianco o giallo e ripieni di cheratina. Sono asintomatici e, andando incontro a regressione spontanea in 1-2 settimane, non richiedono alcun tipo di trattamento. • Da eruzione: si manifesta come una tumefazione di colorito bluastro a carico dei tessuti molli che ricoprono la corona di un elemento dentale in fase di eruzione. Questo tipo di lesione si risolve spontaneamente con l’eruzione del dente, la quale tuttavia può essere favorita dall’asportazione di un opercolo di tessuto. • Follicolare: circonda la corona di un dente non erotto, inserendosi a livello del suo colletto, e si forma per accumulo di fluido tra l’epitelio ridotto dello smalto e la corona o tra gli strati dell’epitelio stesso. • Radicolare dei denti decidui: origina per proliferazione dei residui epiteliali di Malassez in seguito allo stimolo flogistico indotto dalla necrosi pulpare. 287


Capitolo 13

Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

Tabella 13.3 Classificazione delle cisti dei mascellari

Cisti epiteliali da sviluppo Odontogene • Cisti gengivale del bambino • Cheratocisti odontogena (cisti primordiale) • Cisti dentigera (follicolare) • Cisti da eruzione • Cisti parodontale laterale • Cisti gengivale dell’adulto • Cisti odontogena ghiandolare; cisti scialo-odontogena

Cisti epiteliali infiammatorie Cisti radicolare • Cisti apicale e laterale • Cisti residua Cisti paradentale • Cisti collaterale infiammatoria • Cisti vestibolare mandibolare infetta

Non odontogene • Cisti del dotto nasopalatino • Cisti nasolabiale (nasoalveolare) Da: Kramer IRH, 1992.

• Vestibolare mandibolare infetta: insorge dall’epitelio odontogeno come conseguenza di uno stimolo flogistico a partenza dal parodonto superficiale di un dente vitale in eruzione ed è più frequente a carico del primo molare mandibolare in bambini di 6-8 anni. Questa lesione, localizzata vestibolarmente alle radici del molare, le disloca lingualmente, determinando una caratteristica inclinazione vestibolare della corona.

Terapia La terapia delle lesioni cistiche è chirurgica e consiste in un approccio conservativo o cistostomia o primo metodo di Partsch e in un approccio radicale o cistectomia o secondo metodo di Partsch. L’intervento di cistostomia o marsupializzazione è indicato in dentizione decidua o mista, nel caso in cui una cisti di ampie dimensioni abbia coinvolto denti permanenti in fase di sviluppo. L’enucleazione totale della parete cistica, infatti, potrebbe sia compromettere l’integrità o determinare l’avulsione degli elementi dentali interessati sia, per il rapido processo di guarigione ossea che la caratterizza, interferire con l’eruzione delle gemme eventualmente dislocate. L’approccio conservativo, quindi, oltre a minimizzare il rischio di danno alle strutture anatomiche e dentali, è particolarmente indicato in età pediatrica, perché richiede un intervento poco invasivo, di rapida e facile esecuzione, anche in anestesia locale. A fronte di questi innegabili vantaggi, presenta, però, alcuni svantaggi: i tempi di guarigione relativamente lunghi, la necessità di indossare un otturatore in resina, i frequenti controlli clinico-radiografici, una quotidiana e accurata igiene orale domiciliare. In tutti gli altri casi, l’intervento di elezione è rappresentato dalla cistectomia che, in un’unica seduta operatoria, ottiene la risoluzione della patologia cistica e promuove più rapidamente la rigenerazione ossea, grazie al coagulo ematico, che tende dapprima a organizzarsi in tessuto connettivo e successivamente, per metaplasia, si trasforma in tessuto osseo. 288


Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

Capitolo 13

Cistostomia o marsupializzazione Prevede l’apertura della cisti, il drenaggio del suo contenuto e l’esposizione dell’epitelio di rivestimento nel cavo orale. Questa metodica sopprime la tensione endocistica, responsabile del riassorbimento osseo, e promuove l’attivazione degli osteoblasti, favorendo così la rigenerazione dell’osso dalla periferia verso il centro della cavità cistica, che va incontro a una progressiva diminuzione fino alla sua totale scomparsa. Il processo di ossificazione lento e progressivo consente, inoltre, ai denti coinvolti dalla lesione cistica, di riacquistare la posizione originaria all’interno dei mascellari e di erompere spontaneamente. La tecnica operatoria prevede (Fig. 13.8): • incisione della mucosa al di sopra della cisti; • breccia ossea, in presenza di una corticale conservata; • asportazione della porzione più superficiale della parete cistica; • eventuale sutura della parete cistica alla mucosa orale; • zaffatura non compressiva della cavità; • presa dell’impronta; • posizionamento dell’otturatore. Incisione. È a tutto spessore e, in funzione della localizzazione della lesione e della ne-

cessità di garantire la stabilità dell’otturatore, viene effettuata sul versante vestibolare o in cresta e può non essere necessaria qualora l’accesso avvenga attraverso l’alveolo dei denti decidui estratti. È circolare e coinvolge contemporaneamente la mucosa alveolare e la parete cistica, nei casi in cui la corticale ossea sia assente o a spessore molto sottile, è di forma semilunare a concavità rivolta verso il fornice, in presenza di una corticale integra per consentire l’accesso all’osso sottostante. Breccia ossea. Può essere eseguita con una pinza ossivora oppure con una fresa a roset-

ta montata su un micromotore. Asportazione. L’asportazione della porzione più superficiale della parete della cisti, che

deve essere inviata all’anatomopatologo per l’esame istologico, consente l’accesso al cavo cistico, che viene svuotato del suo contenuto. Sutura. Dopo aver regolarizzato i bordi ossei e irrigato con soluzione fisiologica l’area dell’intervento, si può procedere alla sutura della parete cistica residua alla mucosa orale, immediatamente, nel caso dell’opercolo, oppure dopo aver asportato la parte di lembo che sovrasta la finestra ossea. Non sempre è necessario ricorrere alla sutura. Zaffatura. La zaffatura non compressiva con garza iodoformica del cavo cistico, ha il

compito di mantenerne la pervietà e di impedire nel contempo la penetrazione di residui alimentari. Questa situazione può essere protratta per qualche settimana sostituendo periodicamente la zaffatura, nel caso di cisti di piccole dimensioni, oppure più a lungo inserendo un otturatore in resina acrilica, che va indossato per 24 ore e rimosso solo dopo i pasti per le procedure di igiene orale, che prevedono oltre alla pulizia dei denti l’irrigazione del cavo cistico con acqua ossigenata al 3% o con clorexidina allo 0,2%. 289


Capitolo 13

Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

a

b

d

c

e

Figura 13.8 Marsupializzazione di cisti radicolare mascellare: (a) la Rx ortopanoramica evidenzia un’ampia radiotrasparenza di tipo cistico a partenza dalle radici dei molari decidui, che interessa tutto l’emimascellare di destra, lo spazio sinusale ed è responsabile della dislocazione delle gemme dei premolari e del canino; (b) la stratigrafia in proiezione latero-laterale conferma l’espansione della cisti nel seno mascellare fino al pavimento dell’orbita; (c) all’esame obiettivo endorale si nota una tumefazione del fornice vestibolare, la presenza dell’8.3, dei residui radicolari di 8.4 e 8.5, la persistenza dell’8.2 e l’eruzione palatale dell’1.2; (d) dopo l’estrazione del l’8.2, dell’8.3 e dei residui radicolari, si procede all’incisione di un lembo vestibolare; (e) lo scollamento evidenzia la corona dell’1.4 in posizione vestibolare e consente di eseguire la breccia ossea e l’apertura della cisti; (f) l’otturatore in resina acrilica viene costruito in modo da aggettare all’interno del la cavità; (g) l’otturatore posizionato nel cavo orale ha il compito di mantenere la pervietà dell’opercolo e di impedire la penetrazione dei residui alimentari; (h) l’esame obiettivo endorale dopo 12 mesi dimostra l’obliterazione del cavo cistico e l’eruzione spontanea dei premolari. Sarà compito della terapia ortodontica correggere le malposizioni dentarie e recuperare lo spazio per l’eruzione del canino permanente; (i) l’esame obiettivo del paziente a fine trattamento (segue).

290


273-306_Cap_13.qxp 27/04/12 16.58 Pagina 291

Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

f

g

h

i

Capitolo 13

Figura 13.8 − Seguito

Costruzione dell’otturatore. Si può ricorrere alla tecnica diretta, che prevede la model-

lazione della resina direttamente nella cavità orale, oppure a quella indiretta, che consiste nel rilevamento dell’impronta in materiale siliconico dell’arcata dentale e dell’imbocco del cavo cistico. Questa seconda procedura è senz’altro da preferire alla prima, perché evita il fastidio provocato dalla reazione esotermica della polimerizzazione della resina e l’azione irritante sulla mucosa legata alla dispersione del monomero. Un’altra possibilità è quella di costruire l’otturatore sulla base dell’impronta rilevata prima dell’intervento, ma in questo caso è necessario procedere alla ribasatura dello stesso, per adeguarlo alla condizione postoperatoria modificata. La cistostomia prevede controlli clinico-radiografici periodici, per monitorare il regolare svolgimento del processo di rigenerazione ossea e per adeguare, al progressivo restringimento del cavo cistico, le dimensioni della porzione di otturatore che aggetta al suo interno, in modo da non interferire con la guarigione e con l’iter eruttivo dell’elemento dentale eventualmente coinvolto. 291


Capitolo 13

Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

Cistectomia L’intervento di cistectomia consiste nell’enucleazione in toto della lesione cistica e prevede le seguenti fasi operatorie (Fig. 13.9): • incisione e scollamento del lembo; • breccia ossea; • asportazione della parete cistica; • revisione della cavità residua; • riposizionamento e sutura del lembo. Incisione. È a spessore totale ed è condizionata per disegno (lineare, triangolare o tra-

pezoidale) ed estensione dalla sede dell’intervento e dalle dimensioni della lesione. Il lembo deve, infatti, essere tale da: (1) permettere un buon accesso al campo operatorio, per evitare indebite trazioni e lacerazioni dei tessuti molli; (2) non coinvolgere le strutture anatomiche circostanti; (3) garantire una completa ricopertura dell’area chirurgica, in modo da ottenere una guarigione per prima intenzione. È importante, infine, che i margini siano supportati da osso integro, per assicurare alla sutura un sufficiente sostegno ed evitare deiscenze della ferita chirurgica. Scollamento. Va eseguito con molta attenzione per evitare lacerazioni o perforazioni; è

relativamente agevole, in presenza di una corticale ossea conservata, e diventa più complesso, quando la parete cistica risulta adesa ai tessuti mucoperiostei sovrastanti, nel qual caso possono essere utilizzate forbici con punte smusse (tipo Metzenbaum). Breccia ossea. Deve essere di dimensioni tali da consentire lo scollamento di tutta la ci-

sti e deve essere effettuata in modo da preservare, per quanto possibile, l’integrità della parete cistica. In presenza di una corticale assottigliata, può essere impiegata una pinza ossivora, che proceda delicatamente al distacco dei frammenti ossei; in caso di spessori ossei maggiori, invece, è necessario ricorrere a una fresa ossivora a rosetta, montata su manipolo a bassa velocità, che va utilizzata con movimenti tangenziali di scorrimento. Asportazione. L’asportazione della parete cistica inizia dalla periferia della breccia os-

sea e prosegue verso il centro della cavità. Questa fase può essere resa più agevole dall’agoaspirazione del contenuto liquido, che comporta la riduzione della pressione endocistica, e dall’interposizione di una garza inumidita con soluzione fisiologica tra lo scollatore e il piano osseo. Ottenuto lo scollamento della metà più superficiale della lesione, il clivaggio viene facilitato da una delicata trazione esercitata da un pinza emostatica sulla porzione mobilizzata della cisti. Revisione della cavità residua. Prevede la rimozione con curette o cucchiai chirurgici di

eventuali residui di parete cistica, qualora questa non fosse stata asportata in toto, il lavaggio con soluzione fisiologica e la regolarizzazione dei margini della breccia ossea. Riposizionamento e sutura. Il riposizionamento del lembo nella sua sede originaria e la

sutura devono assicurare una buona emostasi e una guarigione per prima intenzione, priva di complicanze postoperatorie. 292


Capitolo 13

Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

Figura 13.9 Cistectomia di cisti mandibolare: (a) alla radiografia ortopanoramica si evidenzia un’area radiotrasparente di tipo cistico, estesa dalla superficie distale del primo molare permanente di destra alla branca montante della mandibola, che ha dislocato in basso la gemma del secondo molare e distalmente quella dell’ottavo; (b) l’incisione e il sollevamento di un lembo a busta intrasulculare mette in evidenza la porzione superiore della cisti; (c) dopo aver scollato dal piano osseo la metà più superficiale della parete cistica, questa viene afferrata con una pinza emostatica che, esercitando una delicata trazione, contribuisce alla mobilizzazione della porzione più profonda della lesione; (d) la cavità residua dopo l’enucleazione della cisti; (e) la sutura in seta a punti staccati; (f) il reperto operatorio; (g) l'ortopanoramica a guarigione avvenuta.

a

b

c

d

f

g

293

e


Capitolo 13

Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

Trattamento dei frenuli patologici I frenuli sono pliche fibromucose che connettono la mucosa di rivestimento del processo alveolare alla sottomucosa del labbro (frenuli labiali mediani superiore o inferiore) o delle guance (frenuli laterali superiore o inferiore) e la superficie ventrale della lingua con il pavimento orale (frenulo linguale). Un frenulo viene considerato patologico quando, per anomalie di lunghezza, volume, consistenza o inserzione, causa problematiche ortodontiche, parodontali, protesiche, estetiche o funzionali, come difficoltà nell’allattamento, nella deglutizione, nella fonazione o una postura scorretta della lingua. In età pediatrica i frenuli patologici di più frequente riscontro sono: • Frenuli labiali superiori e inferiori: se ipertrofici o con un’inserzione nella gengiva aderente, possono creare trazioni anomale sul margine libero durante i movimenti funzionali del cavo orale (pull syndrome) e favorire l’insorgenza di retrazioni gengivali. In realtà, la trazione da parte del frenulo rappresenta una concausa nell’insorgenza di questa problematica, che è favorita dal biotipo parodontale sottile, dalla scarsa quantità di gengiva aderente e dal cattivo controllo di placca. • Frenulo mediano superiore con inserzione sul versante vestibolare della papilla interincisiva e quello transpapillare (tectolabiale): le fibre più profonde attraversano la sutura intermascellare e alterano il fisiologico decorso orizzontale delle fibre transettali interposte fra gli incisivi centrali, che sono causa di diastema interincisivo. • Frenulo linguale corto: è responsabile dell’anchiloglossia che, costringendo la lingua ad assumere una posizione avanzata, può determinare un’eccessiva pressione sugli incisivi inferiori, provocandone l’inclinazione. Questa spinta anomala può, inoltre, favorire la crescita in avanti della mandibola e interferire con lo sviluppo del mascellare, causando la comparsa di un morso aperto anteriore e di un cross bite latero-posteriore.

Diagnosi L’esame obiettivo endorale ha il compito di analizzare le caratteristiche cliniche del frenulo, il livello d’inserzione, la lunghezza, la consistenza (molle o fibrosa), il tipo di inserzione (unica o sfioccata) e la quantità di gengiva aderente. La manovra di distrazione del labbro, che deve essere eseguita in presenza dei frenuli labiali, mettendo in tensione il frenulo, provoca, in quelli mediani o laterali patologici, il distacco e l’ischemia del margine gengivale libero e, in quello tectolabiale, l’ischemia della papilla interincisiva sul versante vestibolare e/o su quello palatale. La condizione di anchiloglossia è diagnosticata quando la lingua, nel movimento di sollevamento, non riesce, a causa della brevità del frenulo, a toccare con l’apice la volta palatina. La lingua assume, inoltre, in presenza di un’inserzione troppo apicale del frenulo, un aspetto bilobato (a cuore di carta da gioco), che diviene maggiormente evidente durante il movimento di protrusione. 294


Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

Capitolo 13

Nel frenulo tectolabiale, il riscontro di una radiotrasparenza a U o a V in corrispondenza del setto osseo interincisivo sulle radiografie endorali periapicali od occlusali testimonia l’esistenza del decorso parallelo delle fibre transattali all’interno della sutura palatina mediana.

Terapia L’approccio è chirurgico e consiste nella frenulotomia o nella frenulectomia, che possono eventualmente essere associate ad altri interventi, quali la fibrotomia circumferenziale soprasettale, la gengivectomia sulculare, gli innesti gengivali, la vestiboloplastica. Per affrontare le problematiche connesse al frenulo mediano superiore, l’età più indicata è compresa tra i 9 e i 12 anni, dopo l’eruzione degli incisivi e dei canini permanenti, in modo da evitare interventi non necessari, in caso di chiusura spontanea del diastema interincisivo, o troppo precoci che possono comportare delle recidive. Per quanto riguarda il frenulo linguale, invece, in presenza di un’anchiloglossia significativa è bene intervenire il più precocemente possibile. Frenulotomia È indicata in presenza di brevità del frenulo e consiste nella sezione e nella disinserzione delle sue fibre, allo scopo di eliminarne la tensione. Nei frenuli labiali, la procedura prevede: (1) l’incisione a mezzo spessore, a V o lineare, della base del frenulo in corrispondenza del processo alveolare; (2) la disinserzione dal piano periostale delle fibre del frenulo e di quelle muscolari, che da esso si irradiano; (3) la sutura dei tessuti disinseriti sul versante labiale; (4) l’applicazione di un impacco chirurgico con il compito di proteggere i tessuti cruentati e di mantenerli separati, per impedire la recidiva durante la fase di guarigione (Fig. 13.10). Per evitare questo inconveniente e ottenere la ricopertura completa della ferita chirurgica, è stata suggerita una plastica con incisione a “Z”, la quale consente la trasposizione dei due lembi mucosi triangolari così ottenuti e la loro sutura in posizione inversa, con una modifica dell’orientamento delle fibre da verticale a orizzontale (Fig. 13.11). In presenza di frenuli linguali corti, la frenulotomia consiste in un’incisione orizzontale della base del frenulo sulla superficie ventrale della lingua, che va immobilizzata e tenuta in trazione, afferrandone la punta con una garza, oppure mediante un punto di sutura fatto passare a circa 1 cm dalla punta stessa. Se i margini della ferita chirurgica a forma di losanga, che si è venuta a creare, non sono sufficientemente mobili per essere affrontati e suturati tra loro con punti staccati, si procede a sottominarli, inserendo e aprendo le punte delle forbici chirurgiche tra il piano mucoso e quello muscolare sottostante, in modo da facilitarne la mobilizzazione. Frenulectomia È l’escissione completa del frenulo e delle sue inserzioni ed è indicata in presenza di frenuli tectolabiali, anchiloglossia e retrazioni gengivali. L’asportazione dei frenuli labiali prevede diverse tecniche, quelle più utilizzate sono l’incisione a V e le incisioni paramediane parallele. 295


Capitolo 13

Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

a

c

b

Figura 13.10 Frenulotomia: (a) il frenulo mediano superiore è inserito sulla papilla interincisiva; (b) l’incisione a mezzo spessore, eseguita alla base del frenulo, consente la disinserzione dal piano periostale delle fibre del frenulo e di quelle muscolari; (c) la sutura ancora i tessuti disinseriti sul versante labiale.

f

f

b ae

d

a

b

d

e c

c

b

a

Figura 13.11 Plastica a “Z”: (a) dall’estremità dell’incisione verticale, eseguita a centro del frenulo, si dipartono due incisioni secondarie angolate di circa 60°, che formano una “Z”; (b) la trasposizione dei due lembi mucosi triangolari così ottenuti e la loro sutura in posizione inversa consente di modificare da verticale a orizzontale l’orientamento delle fibre.

Nell’incisione a V, la rimozione del frenulo avviene facendo scorrere la lama del bisturi sulla superficie di due pinze emostatiche posizionate in modo che le estremità si congiungano a formare una V capovolta, in corrispondenza delle inserzioni sulla superficie interna del labbro e sul processo alveolare. Alla rimozione delle pinze emostatiche, residua una ferita a forma di losanga, i cui margini devono essere sottominati per via smussa con forbici apposite, in modo da permettere una sutura priva di tensione e quindi una guarigione per prima intenzione (Fig. 13.12). Nelle incisioni paramediane parallele, due tagli verticali eseguiti ai lati del frenulo ed estesi fino alla papilla retroincisiva, dove vengono uniti da un breve taglio orizzontale, consentono di separare il frenulo dal periostio sottostante, procedendo dal palato verso il fondo del fornice. La sutura viene apposta affrontando i margini dell’incisione lungo la linea mediana, senza coinvolgere la gengiva aderente, che viene protetta con un impacco chirurgico e guarisce per seconda intenzione (Fig. 13.13). 296


Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

Capitolo 13

a

b

c Figura 13.12 Frenulectomia a V: (a) l’esame obiettivo endorale mostra un frenulo mediano superiore a inserzione transpapillare, associato a diastema interincisivo; (b) alla Rx endorale periapicale è evidente, in corrispondenza della sutura palatina, una radiotrasparenza che testimonia la presenza di fibre transettali; (c) due pinze emostatiche vengono posizionate in corrispondenza delle inserzioni del frenulo sulla superficie interna del labbro e sul processo alveolare, in modo che le estremità si congiungano a formare una V capovolta. Per facilitare e rendere più rapida la sutura, si può far passare il filo al di sotto delle pinze, senza procedere all’annodatura; (d) l’incisione avviene facendo scorrere la lama del bisturi sulla superficie delle due pinze emostatiche; (e) dopo aver sezionato con il bisturi le fibre elastiche tra gli incisivi centrali, si annodano i punti passati in precedenza.

a

b

d

e

c

Figura 13.13 Frenulectomia con incisioni paramediane parallele: (a) frenulo trans-papillare; (b) due tagli verticali eseguiti ai lati del frenulo ed estesi fino alla papilla retroincisiva, dove sono uniti da un breve taglio orizzontale, consentono di separare il frenulo dal periostio sottostante; (c) la sutura viene apposta affrontando i margini dell’incisione lungo la linea mediana, senza coinvolgere la gengiva aderente, che viene protetta con un impacco chirurgico e guarisce per seconda intenzione.

297


Capitolo 13

Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

a

b

c

d

e

f

Figura 13.14 Frenulectomia in due tempi operatori: (a) all’esame obiettivo endorale è evidente un frenulo mediano transpapillare associato a diastema interincisivo; (b) la Rx endorale periapicale conferma la presenza di fibre transettaliall’interno della sutura palatina; (c) l’incisione e lo scollamento di un lembo mucoperiosteo a busta intrasulculare sul versante vestibolare degli incisivi centrali consente l’asportazione delle fibre transettali; (d) dopo aver riposizionato e stabilizzato il lembo con un punto di sutura al di sopra della ferita ossea intermascellare, si incide la base del frenulo; (e) suturata la parte superiore del lembo vestibolare sul versante labiale, si posiziona un impacco parodontale a protezione della ferita chirurgica, che vien lasciata guarire per seconda intenzione; (f) la chiusura del diastema ottenuta con la terapia ortodontica.

298


Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

Capitolo 13

Nel caso del frenulo tectolabiale, all’escissione del frenulo si associa la rimozione delle fibre transettali, che vengono asportate con una fresa ossivora a fessura, montata su manipolo a bassa velocità, o con una curette, utilizzate in corrispondenza della sutura palatina mediana. Tutte le metodiche descritte prevedono una guarigione per seconda intenzione della zona interincisiva, con tempi di cicatrizzazione lunghi e disagi notevoli per il piccolo paziente nel decorso postoperatorio. Per ovviare a questi inconvenienti è possibile adottare una tecnica operatoria in due tempi: il primo rivolto alla rimozione delle fibre transettali, il secondo dedicato alla plastica della componente fibromucosa del frenulo (Fig. 13.14). La prima parte dell’intervento prevede l’asportazione delle fibre transettali con un accesso diretto alla sutura palatina mediana, che viene evidenziata mediante l’incisione e lo scollamento di un lembo mucoperiosteo a busta intrasulculare, condotto sui versanti vestibolare e palatale degli incisivi centrali. L’esecuzione di un lembo a tutto spessore ne consente il riposizionamento e la sutura al di sopra della ferita ossea intermascellare, promuovendone la guarigione per prima intenzione. Il secondo tempo chirurgico consiste nella frenulectomia o nella frenulotomia eseguite secondo una delle metodiche sopra descritte. Nell’anchiloglossia, la frenulectomia (Fig. 13.15) viene effettuata preferibilmente con un’incisione al di sopra delle pinze emostatiche, posizionate a livello dell’inserzione del frenulo sulla lingua e sul pavimento orale, a distanza di sicurezza dalle caruncole linguali e in modo che le estremità si congiungano a formare una V capovolta. I margini della ferita losangica, che esita dopo l’asportazione del frenulo, devono essere sottominati per via smussa con apposite forbici, in modo da facilitare lo scorrimento del tessuto mucoso sul piano muscolare e permettere una sutura priva di tensione e quindi una guarigione per prima intenzione. È preferibile, inoltre, per ottenere la massima mobilità della lingua, non procedere alla completa chiusura dei tessuti mucosi alla base della lingua, in corrispondenza del maggior asse trasversale della ferita chirurgica, ma lasciarli guarire per seconda intenzione, interponendo tra le superfici cruentate un rotolino di garza fissato con un punto di sutura passato in senso latero-laterale. Il trattamento chirurgico dei frenuli nei piccoli pazienti, indipendentemente dalla tecnica adottata, richiede che la sutura venga eseguita con materiale riassorbibile, perché la rimozione dei punti risulta molto spesso difficile e dolorosa; è necessario, inoltre, che, nel periodo postoperatorio, per migliorare il recupero funzionale, venga eseguito, soprattutto per il frenulo linguale, il protocollo degli esercizi domiciliari, che consistono nella mobilizzazione della lingua. La fibrotomia circumferenziale soprasettale o la gengivectomia sulculare sono procedure che, attraverso la resezione delle fibre transettali del gruppo incisivo, possono contribuire a evitare il rischio di recidiva del diastema mediano, dovuta alla memoria elastica delle fibre in questione. Gli innesti gengivali liberi con prelievi eseguiti dal palato o da zone edentule e gli innesti di lembi peduncolati a riposizionamento laterale sono indicati in presenza di lesioni parodontali associate a pull syndrome da frenulo vestibolare, per aumentare la quantità di gengiva aderente. 299


Capitolo 13

Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

a

b

c

d

e

f Figura 13.15 Frenulectomia linguale: (a) nel movimento di sollevamento, l’apice della lingua non riesce a toccare il palato; (b) nel movimento di protrusione la lingua assume, a causa dell’inserzione troppo apicale del frenulo, un aspetto bilobato; (c) la lingua immobilizzata e tenuta in trazione mediante un punto di sutura; (d) le incisioni eseguite in corrispondenza dell’inserzione del frenulo sul ventre linguale e sul pavimento orale, a distanza di sicurezza dalle caruncole linguali; (e) asportato il frenulo, i margini della ferita vengono sottominati per via smussa con apposite forbici, per facilitare lo scorrimento dei tessuti mucosi sul piano muscolare; (f) la sutura sulla superficie ventrale della lingua consente una guarigione per prima intenzione; (g) il posizionamento di un rotolino di garza fissato con un punto di sutura favorisce la guarigione per seconda intenzione.

g

300


Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

Capitolo 13

La vestiboloplastica consente di aumentare l’ampiezza della gengiva cheratinizzata attraverso la preparazione di una superficie periostale che, liberata dalle inserzioni muscolari sottostanti il frenulo, viene lasciata guarire per seconda intenzione.

Cisti e pseudocisti delle ghiandole salivari minori Il mucocele è una neoformazione benigna di aspetto cistico, caratterizzata da una cavità ripiena di liquido mucinoso che origina dalle ghiandole salivari minori, localizzate nella sottomucosa delle labbra, nella mucosa geniena, nel palato e nel pavimento orale (ranula). Esistono due tipi di mucocele, da stravaso e da ritenzione, differenti per eziopatogenesi e caratteristiche istologiche ma simili per aspetto clinico e trattamento terapeutico. Mucocele da stravaso. È di più frequente riscontro, origina da un evento traumatico

che, determinando la rottura o la sezione del dotto di una ghiandola salivare, provoca lo stravaso di saliva nel connettivo sottomucoso. Si tratta di una pseudocisti perché la lesione presenta una parete fibro-connettivale, priva di rivestimento epiteliale. Mucocele da ritenzione. È invece una cisti vera e propria, dovuta all’ostruzione parzia-

le del dotto che, andando incontro a una dilatazione progressiva della sua porzione a monte, forma una cavità ripiena di secreto e rivestita da epitelio.

Diagnosi La diagnosi di mucocele è relativamente semplice e si basa sulla raccolta dei dati anamnestici e sull’esame clinico. L’anamnesi serve a indagare la presenza di eventuali traumatismi nell’area interessata o di abitudini viziate, quali il morsicamento delle labbra o delle guance; la modalità di insorgenza, che è improvvisa; l’andamento clinico, che alterna episodi di remissione a recidive. L’ispezione del cavo orale mette in evidenza una tumefazione, di forma rotondeggiante od ovalare, di dimensioni variabili da qualche millimetro a pochi centimetri, di colore diverso in rapporto alla profondità in cui si raccoglie la mucina. Le lesioni superficiali sono di colore bluastro, lisce e traslucide, quelle più profonde appaiono ricoperte da mucosa di aspetto e colorito normali, le raccolte di muco immediatamente al di sotto dell’epitelio orale assumono invece l’aspetto di una vescicola. Alla palpazione la neoformazione risulta non dolorabile, soffice, fluttuante, di consistenza elastica, mobile sui piani sottostanti. 301


Capitolo 13

Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

Terapia La terapia è chirurgica e prevede l’escissione per i mucoceli localizzati al labbro, alla mucosa geniena e al palato e la marsupializzazione per la ranula. L’intervento di asportazione (Fig. 13.16) può essere eseguito mediante un’incisione ellittica intorno alla base della neoformazione, che viene afferrata con una pinza di Allis e sollevata dal piano sottostante, oppure incidendo la mucosa che ricopre la sommità del mucocele, evitando di perforarlo. La lesione viene quindi isolata dai tessuti circostanti per via smussa, con molta cautela per evitare recidive legate al trauma operatorio sulle ghiandole salivari contigue. Una volta asportata la lesione, si procede alla rimozione di tutte le ghiandole salivari presenti nel campo operatorio, per evitare eventuali recidive, e alla sutura del solo piano mucoso, nelle localizzazioni labiali o geniene. Sul palato la ferita chirurgica si lascia guarire per seconda intenzione.

a

b

c

d

Figura 13.16 Asportazione di mucocele: (a) all’esame obiettivo endorale si nota sulla superficie mucosa del labbro inferiore una tumefazione rotondeggiante, di colore bluastro; (b) l’incisione ellittica alla base della tumefazione coinvolge solo il tessuto mucoso; (c) il mucocele viene afferrato con una pinza e progressivamente isolato dai tessuti circostanti; (d) i punti di sutura interessano il piano mucoso; (e) il reperto operatorio.

e

302


Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

Capitolo 13

La marsupializzazione è invece indicata per la ranula a causa delle sue maggiori dimensioni, della difficoltà di individuare il piano di clivaggio, dell’associazione con la ghiandola sublinguale e della contiguità con strutture anatomiche importanti, come il dotto di Warthon, il nervo linguale, i vasi sottolinguali e i rami del nervo ipoglosso. La tecnica prevede l’asportazione contemporanea della porzione superficiale della neoformazione e della mucosa sovrastante, dopo averle incise alla periferia con un tratto circolare a tutto spessore; l’eliminazione del contenuto mucoso; la sutura con materiale riassorbibile dei margini della parete inferiore della ranula alla mucosa orale circostante; la zaffatura con garza iodoformica, mantenuta in situ da punti di sutura, che ha il compito di evitare la chiusura precoce della ferita chirurgica e la comparsa di recidiva (Fig. 13.17).

a

b

c

d

Figura 13.17 Marsupializzazione di ranula: (a) l’esame obiettivo endorale rivela una tumefazione di forma ovalare, ricoperta da mucosa di aspetto e colore normali, localizzata nel pavimento orale di sinistra; (b) l’incisione del tetto della ranula consente la fuoriuscita del contenuto; (c) apertura della cavità; (d) dopo aver suturato i margini della parete inferiore della ranula alla mucosa orale circostante, si applica una zaffatura di garza, mantenuta in situ da punti di sutura.

303


Capitolo 13

Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

Flogosi odontogene Le flogosi odontogene sono processi infettivi di origine endodontica, parodontale o pericoronale, che possono diffondere alle strutture ossee, ai tessuti molli del cavo orale o alla cute della faccia e del collo. Con questo termine si fa riferimento ai quadri clinici rappresentati dalla parodontite periapicale, dall’ascesso e dal flemmone. In età pediatrica, il processo flogistico inizia solitamente con la colonizzazione batterica della regione periapicale in seguito alla necrosi pulpare di un elemento dentale, causata da una lesione cariosa oppure da un trauma. La successiva evoluzione dipende dalla virulenza dei microorganismi patogeni e dalle difese immunitarie dell’ospite. In presenza di una carica batterica bassa e poco virulenta e di difese immunitarie adeguate, l’infezione assume un andamento cronico con la comparsa del granuloma apicale, il cui trattamento prevede la terapia endodontica o l’estrazione del dente interessato. Quando, invece, una carica batterica elevata e virulenta si associa a una scarsa capacità di difesa dell’organismo, il processo flogistico evolve verso l’ascesso e il flemmone. Nell’ascesso il materiale purulento si raccoglie in una cavità patologica (ossea, sottomucosa o sottocutanea), formata a spese dei tessuti adiacenti distrutti o scollati e delimitata da una capsula fibrosa; nel flemmone la raccolta di essudato, non essendo delimitata da tessuto fibroso reattivo, si diffonde nel connettivo superficiale o profondo interposto fra gli organi.

Diagnosi Nella diagnosi delle flogosi odontogene riveste grande importanza l’anamnesi che, oltre ad appurare la sintomatologia del paziente, l’epoca e le modalità di insorgenza, deve accertare l’eventuale assunzione di una terapia antibiotica e la presenza di patologie sistemiche, che potrebbero influenzare l’evoluzione dell’infezione. L’esame clinico ha il compito di mettere in evidenza una tumefazione fluttuante, in presenza di un ascesso colliquato, o di consistenza dura, nel caso di un flemmone, e di individuare l’elemento dentario responsabile del processo infettivo. L’indagine radiografica, che in funzione dell’entità del processo flogistico può essere rappresentata dalla radiografia endorale periapicale, dall’ortopanoramica, dalla tomografia computerizzata o dalla risonanza magnetica, serve a confermare la diagnosi e l’origine dell’infezione.

Terapia L’approccio terapeutico, che è subordinato alle condizioni cliniche locali e sistemiche del paziente, si articola in tre fasi: • eziologica; • chirurgica; • farmacologica. Terapia eziologica. Ha il compito di eliminare la causa del processo flogistico e preve-

de l’estrazione del dente infetto o il suo trattamento endodontico. 304


Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

Capitolo 13

Terapia chirurgica. Consiste nel drenaggio dell’essudato che, negli ascessi sottoperio-

stei, avviene attraverso l’alveolo postestrattivo o per il tramite del canale radicolare e, in quelli sottomucosi o sottocutanei, precede la fase eziologica e si ottiene con l’incisione della raccolta purulenta. Il drenaggio può non essere indicato nei flemmoni, in cui solitamente è assente una raccolta circoscritta di pus (Fig. 13.18). L’evacuazione di un ascesso prevede l’anestesia, l’incisione, l’approfondimento e il drenaggio. Per quanto riguarda l’anestesia, poiché quella locale in corrispondenza dell’infezione è controindicata, si ricorre, dove possibile a quella tronculare o all’anestesia per perfrigerazione, efficace sui tessuti più superficiali anche se di breve durata. L’incisione è effettuata nella zona più declive, per favorire la fuoriuscita dell’essudato, con una lama di bisturi, utilizzata con un movimento diretto dal basso verso l’alto e senza spingersi in profondità. L’approfondimento è eseguito per via smussa, inserendo nella cavità una pinza emostatica chiusa, che successivamente viene aperta e spostata in tutte le direzioni per facilitare l’evacuazione del materiale purulento. Il drenaggio, che consiste nella zaffatura con garza iodoformica e viene sostituito a giorni alterni, serve a mantenere l’apertura pervia, fino alla risoluzione del processo flogistico acuto.

a

c

b

Figura 13.18 Drenaggio di ascesso palatale: (a) al particolare della radiografia ortopanoramica si nota la carie destruente dell’8.5; (b) all’esame obiettivo endorale è evidente sull’emipalato di destra una voluminosa raccolta ascessuale, dovuta alla necrosi dell’8.5, la cui apertura non ha consentito il drenaggio attraverso il canale radicolare; (c) in seguito all’incisione dell’ascesso, al drenaggio con garza iodoformica e all’estrazione dell’8.5 è possibile notare la progressiva diminuzione della tumefazione in via di risoluzione.

305


Capitolo 13

Chirurgia orale in odontoiatria pediatrica

Terapia farmacologica. Si avvale di: (1) antibiotici a largo spettro o, nei casi più gravi,

selezionati in base all’antiobiogramma; (2) antinfiammatori non steroidei, come antiedemigeni; (3) fibrinolitici, per accelerare la risoluzione del processo; (4) miorilassanti, in presenza di trisma. La terapia antibiotica, in particolare, non è indicata per tutti i processi flogistici ma solo in presenza di infezioni diffuse e rapidamente progressive, quando non sia possibile eseguire il drenaggio chirurgico o nei casi in cui non si possa procedere tempestivamente all’eliminazione del fattore eziologico oppure nei pazienti immuno-compromessi.

Bibliografia Annibali S, Pippi R. Semeiotica fisica odontostomatologica. Roma: Antonio Delfino Editore; 2002. Annibali S, Pippi R, Sfasciotti GL.Chirurgia orale a scopo ortodontico. Milano: Elsevier Masson; 2007. Chiapasco M et al. Manuale illustrato di chirurgia orale. 2a ed. Milano: Masson; 2006. Covani U, Ferrini F. Chirurgia orale. Bologna: Martina; 2005. Di Lauro F, Bucci E. Chirurgia odontostomatologica. Napoli: Florio edizioni scientifiche; 2000. Kramer IRH, Pindborg JJ e Shear M. Histological typing of odontogenic tumours. 2a ed. Geneva: World Health Organization; 1992. Santoro F, Maiorana C. Chirurgia speciale odontostomatologica. Milano: Masson; 1998.

306


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.