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Capitolo 14

Prevenzione ortodontica E. BARBATO, P. COZZA, C. CHIMENTI

Le basi ossee mascellare e mandibolare, le arcate dentoalveolari, il sistema neuromuscolare e le articolazioni temporomandibolari costituiscono l’apparato stomatognatico, un complesso sistema multifunzionale, il cui ruolo risulta determinante nell’espletamento di funzioni, quali deglutizione, respirazione, fonazione e masticazione, essenziali per la vita dell’individuo. In presenza di una crescita scheletrica eugnatica, di un assetto neuromuscolare e di uno sviluppo della dentizione fisiologici, i rapporti dento-maxillo-facciali si sviluppano in maniera armonica. Fattori dannosi possono alterare il normale iter evolutivo di tale complesso sistema con l’instaurarsi di quadri di malocclusione (Barbato e Leonardi, 2007).

Principi di prevenzione Gli studi epidemiologici hanno evidenziato il ruolo di fattori genetici, ambientali e comportamentali nell’eziopatogenesi delle malocclusioni. Gli effetti a livello occlusale di differenti fattori sfavorevoli contestualmente presenti sono superiori alla somma degli effetti dei singoli fattori, con implicazioni su entità e caratteristiche della malocclusione. In assenza di fattori noti non può, tuttavia, essere esclusa l’insorgenza di una disgnazia. Il differente ruolo svolto da fattori genetici e ambientali impone una distinzione tra quadri clinici, nei quali le influenze genetiche giocano un ruolo predominante, rispetto a quelli a prevalente influenza ambientale (Profitt e Fields, 2008). Per le malocclusioni correlate a fattori genetici l’ottica preventiva è in genere orientata a una diagnosi e a una terapia precoce, la quale, sebbene non sempre risolutiva, può influire sulla prognosi (per esempio, la sindrome di classe III) (Fig. 14.1). I fattori ambientali devono essere tempestivamente rimossi per prevenirne gli effetti sull’occlusione, in assenza di ulteriori condizioni che influiscono sul normale iter accrescitivo. Una suzione del dito, per esempio, può concorrere con la componente ereditaria a un quadro clinico di classe II, sebbene risulti difficile ponderare in modo distinto i singoli effetti; l’interruzione dell’abitudine viziata non è detto che determini la risoluzione del quadro disgnatico, riconducibile alla componente ereditaria (Fig. 14.2) (Bishara, 2001; Profitt e Fields, 2008). Considerando l’occlusione un processo dinamico in continua evoluzione, si può incorrere in una recidiva, qualora le cause genetiche o ambientali responsabili di una disgnazia continuino a condizionare negativamente lo sviluppo fisiologico delle basi mascellari, anche dopo un primo intervento. 307


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Figura 14.1 A.L., 5 anni, femmina, dentizione decidua. Classe III (a). Familiarità per tale malocclusione confermata dall’esame della teleradiografia del cranio in proiezione latero-laterale del padre (b). Un intervento tempestivo e precoce, sebbene non sempre risolutivo, può influire sulla prognosi, che rimane comunque riservata.

a

b

Figura 14.2 (a,b) L.D., 5 anni, femmina, dentizione decidua. Malocclusione di classe II con protrusione mascellare aggravata da suzione del dito. L’interruzione dell’abitudine viziata non è detto determini la risoluzione del quadro disgnatico, riconducibile, comunque, alla componente ereditaria.

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Figura 14.3 Un evento traumatico sugli incisivi decidui superiori può comportarne avulsione, lussazione o possibili eventi flogistici (a,b). Il germe del permanente può andare incontro a dislocazione con successiva ritenzione e/o inclusione ovvero eruzione ectopica con implicazioni ortodontiche e mucogengivali (c-f). Un ritardo o la mancata eruzione possono determinare implicazioni anche nei settori latero-posteriori con la mesializzazione dell’intera emiarcata omolaterale all’incisivo non erotto, con l’instaurarsi di rapporti occlusali asimmetrici (g,h). Tale evento traumatico può presentare implicazioni a livello mandibolare, con ripercussioni sul suo fisiologico sviluppo, possibili fratture condilari, talvolta non tempestivamente diagnosticate e/o potenziale rischio di crescita asimmetrica (segue).

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Figura 14.3 − Seguito

Prevenzione primaria La prevenzione primaria si identifica nell’adozione di interventi finalizzati a evitare l’insorgenza e lo sviluppo di una malocclusione, allontanando i fattori di rischio e favorendo un fisiologico accrescimento del complesso dento-maxillo-facciale (Fig. 14.3); in particolare: • visite odontoiatriche precoci con interventi di prevenzione della carie dentale, monitoraggio delle condizioni d’igiene orale e dello stato di salute dentoparodontale; • attenta valutazione anamnestica (eventi patologici pregressi; familiarità positiva a problematiche di pertinenza ortodontica – classe III, inclusioni, agenesie ecc.); 309


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• valutazioni periodiche del complessivo assetto dento-maxillo-facciale, con monitoraggio della permuta e dell’iter accrescitivo; • controllo delle abitudini alimentari e comportamentali e delle principali funzioni dell’apparato stomatognatico con eliminazione di abitudini viziate; • monitoraggio dello sviluppo auxologico; • prevenzione di eventi traumatici e monitoraggio di possibili conseguenze sul complessivo assetto dento-maxillo-facciale.

Prevenzione secondaria La prevenzione secondaria si identifica con la diagnosi precoce di malocclusioni, con la possibilità di intervenire su queste, senza tuttavia poterne eludere o ridurre la comparsa, ma evitando che un’irregolarità iniziale progredisca in un quadro clinico più severo. La prevenzione secondaria coincide con la terapia intercettiva per le comuni finalità atte a «individuare, valutare, controllare o neutralizzare i fattori eziologici o i fattori di rischio responsabili della malocclusione iniziale». Il limite tra prevenzione primaria e secondaria è, comunque, molto labile; l’ortodonzia preventiva intercettiva si identificherebbe nell’«insieme di misure, procedure e tecniche preventive e correttive finalizzate a evitare che un determinato evento causale determini un quadro di malocclusione o a limitarne gli effetti sul normale accrescimento cranio-facciale» (American Association of Orthodontist, 1971). La valutazione dell’assetto occlusale, già in dentizione decidua, consente di individuare quadri clinici che potrebbero evolvere in malocclusioni dentoscheletriche in dentizione mista e permanente e impone strategie terapeutiche mirate che, sebbene non sempre risolutive, possono, tuttavia, influire sull’iter accrescitivo, migliorando i rapporti occlusali ed evitando lo sviluppo di forme più gravi. Deve essere, altresì, considerato che parametri clinici, quali presenza di diastemi e assenza di affollamento in dentizione decidua, non sono indicativi di una fisiologica evoluzione delle arcate in dentizione mista e/o permanente; l’assenza di diastemi e la presenza di affollamento costituiscono, invece, indicazioni prognostiche sfavorevoli di un potenziale problema di affollamento (Barbato e Leonardi, 2007). Intervento di prevenzione secondaria è la radiografia ortopanoramica, un’indagine in grado di monitorare modalità, iter accrescitivo e tempi di sviluppo della dentizione e delle arcate dentali, nonché di identificare le condizioni predisponenti reali o sospette in fase iniziale, ovvero particolarmente a rischio (Figg. 14.4 e 14.5) (Barbato et al; 1999; King e Brudvik, 2010).

Prevenzione terziaria La prevenzione terziaria si identifica con il trattamento degli esiti e delle complicanze delle malocclusioni, di quadri clinici conclamati e stabilizzati, per la cui risoluzione è richiesto un approccio ortodontico correttivo, o di quei casi in cui la presenza di discrepanze maxillo-facciali irrisolte e irrisolvibili con le comuni procedure ortodontico-ortopediche vedano come unica soluzione l’approccio combinato chirurgico-ortodontico. 310


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Figura 14.4 G.S., 7 anni, femmina, ortopantomografia, dentizione mista tardiva. Oltre all’assenza per estrazione precoce di 85 per lesione cariosa, si rileva un’asimmetria mandibolare con un differente sviluppo delle branche ascendenti.

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Figura 14.5 B.D., 9 anni, femmina, ortopantomografia, dentizione mista tardiva. Alterata posizione di 23, rispetto sia a 13 sia a 22, segno precoce di inclusione, in un soggetto con familiarità positiva all’inclusione del canino superiore. Lesioni cariose a carico di 55 e 65.

Problematiche funzionali Le arcate dentali si sviluppano nell’ambito di un corridoio muscolare costituito da muscolatura intra- ed extraorale: uno sviluppo armonico delle arcate è espressione dell’equilibrio tra tali componenti. Sembra appurato che la durata della forza esercitata dai muscoli (labbra, guance e lingua) sulle arcate dentali e sulle basi mascellari risulti più rilevante rispetto alla sua intensità, in termini di conseguente risposta biologica (Engelke et al, 2011; Profitt e Fields, 2008). Le implicazioni funzionali nel determinismo delle malocclusioni sono prevalentemente connesse a forze/pressioni esplicate nell’attività fisiologica. Le variazioni dell’equilibrio occlusale non sarebbero ricondotte a forze masticatorie, che generano pressioni forti e intermittenti, né a forze esercitate da labbra, guance e lingua durante la deglutizione e la fonazione, che esplicano pressioni lievi e intermittenti, bensì a pressioni prolungate nel tempo di lieve entità, quali le forze esercitate da labbra, guance e lingua a riposo, forze esterne dovute ad abitudini viziate o a dispositivi ortodontici. Le alterazioni funzionali (per esempio, le abitudini viziate e il modello di respirazione), nel modificare l’equilibrio tra muscolatura intrinseca ed estrinseca possono, quindi, determinare e/o contribuire a quadri di malocclusione. Se un’abitudine viziata (per esempio, la suzione del dito) determina pressioni prolungate sugli elementi dentali di durata superiore a un valore soglia di sei ore al giorno dovrebbe essere in grado di sortire un effetto a livello dentale; sembrerebbe, invece, che, una forza di durata inferiore non determini alcun effetto, indipendentemente dalla sua entità (Profitt e Fields, 2008). 311


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Suzione del dito La suzione del dito, considerata un fenomeno transitorio, rappresenterebbe un’attitudine primaria, acquisita in epoca prenatale, considerata fino ai due anni di età come espressione del normale modello di comportamento (Bishara et al, 2006; Cozza, 2007). Gli effetti della suzione del dito a livello dell’apparato stomatognatico sarebbero correlati a differenti fattori quali durata, intensità, frequenza (Gois et al, 2008; Montaldo et al, 2011). Con il persistere dell’abitudine alla suzione, il rischio che si sviluppi una malocclusione aumenta dopo i quattro anni di età; protratta fino a sei anni, ma in forma saltuaria, tale abitudine non provocherebbe evidenti anomalie, che potrebbero, comunque, andare incontro a risoluzione spontanea: una durata superiore al valore soglia acquisirebbe un ruolo determinante per gli effetti sulle arcate. In termini di frequenza, la suzione può essere intermittente o continua; la presenza del dito nel cavo orale può essere passiva, senza partecipazione della muscolatura periorale, o attiva, quando è rilevabile la contrazione dei muscoli labiali e buccinatori.

Figura 14.6 A.F., 7 anni, maschio, dentizione mista precoce. Abitudine alla suzione del dito con morso aperto anteriore, contrazione del mascellare superiore, interposizione linguale. All’esame teleradiografico è rilevabile una classe II scheletrica, post-rotazione mandibolare e morso aperto.

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Diagnosi. La valutazione di dati anamnestici, le caratteristiche cliniche intra- ed extrao-

rali e i parametri cefalometrici concorrono all’inquadramento diagnostico. Taluni segni clinici sono patognomonici dell’alterazione funzionale (Fig. 14.6) (Cozza et al, 2005; Levrini et al, 1999; Melink et al, 2010; Montaldo et al, 2011; Warren e Bishara, 2002): • morso aperto dentoalveolare, espressione del concorso di fattori sfavorevoli: spinta del dito sul palato durante la suzione con vestibolo-versione degli incisivi superiori e aumento dell’overjet; ridotta crescita alveolare nel distretto anteriore ed estrusione dei denti lateroposteriori per l’assenza di contatti occlusali in presenza del dito nel cavo orale; • iposviluppo, retrusione, post-rotazione mandibolare; • contrazione del mascellare superiore, per effetto sinergico dell’azione della muscolatura periorale, durante la suzione del dito, e contestuale venir meno della funzione di crescita centrifuga della muscolatura linguale sul mascellare superiore, per la presenza del dito. Talvolta si possono riscontrare formazioni cheratiniche e alterazioni morfologiche del dito interessato nella suzione. Terapia. In alternativa al dito, in quanto meno dannoso, viene talvolta consigliato l’uso

del succhietto, utilizzato per minor tempo e non sempre reperibile dal bambino. Sono, altresì, suggeriti interventi mirati alla rimozione centrale dell’abitudine, supportati da tecniche comportamentali e di valenza indotta positiva, finalizzati a evitare effetti secondari e ulteriori abitudini conseguenti alla privazione, a motivare e a lusingare il bambino quando non succhia il dito. I dispositivi endorali fissi e/o rimovibili, dotati di schermi, che impediscono la suzione del dito (per esempio, le griglie) possono essere talvolta associati a ulteriori presidi ortodontici, atti a intercettare iniziali alterazioni indotte dalla suzione e/o controllare gli effetti dell’applicazione degli stessi dispositivi ortodontici, alla luce del complessivo assetto dento-maxillo-facciale (Bishara, 2001; Levrini et al, 1999; Profitt e Fields, 2008).

Alterazioni della funzione respiratoria La respirazione orale rappresenta una condizione fisiopatologica caratterizzata dal passaggio dell’aria prevalentemente dal canale orofaringeo, piuttosto che da quello rinofaringeo. È possibile distinguere una respirazione orale obbligata, conseguente alla presenza di un’ostruzione oro-rino-faringea, che impedisce o limita la respirazione nasale (per esempio, ipertrofia adenoidea, ipertrofia della tonsilla faringea), dalla respirazione orale abituale (abitudine viziata), reale abitudine alla respirazione orale, in assenza di un impedimento meccanico, retaggio di una pregressa patologia respiratoria, responsabile dell’abitudine acquisita. Diagnosi. Le valutazioni anamnestiche, otorinolaringoiatriche e ortognatodontiche

concorrono al complessivo inquadramento diagnostico. L’individuazione precoce di problematiche respiratorie, con l’eventuale ausilio di indagini strumentali, e l’identificazione di possibili cause ostruenti risultano dirimenti nel 313


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preliminare inquadramento diagnostico multidisciplinare e ai fini del ripristino di una corretta funzione respiratoria. Talune caratteristiche cliniche intra- ed extraorali e parametri cefalometrici sono patognomonici dell’alterazione funzionale (Fig. 14.7). Caratteristica è la tipologia dolicofacciale, con incremento della lunghezza del viso, stasi venosa perioculare, incompetenza labiale, ipotonia del labbro superiore, microrinia (facies adenoidea).

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Figura 14.7 A.P., 7 anni, maschio, dentizione mista precoce. Respiratore orale, tipologia dolicofacciale, incompetenza labiale, profilo convesso. Classe II molare, arcata superiore contratta, postura linguale bassa.

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Si oggettiva altresì un’alterata postura cefalica che può sostenere delle alterazioni a livello della morfologia cranio-facciale e un ridotto spazio naso-faringeo. Sono altresì rilevabili: tendenza all’open bite anteriore per mancato contatto tra le arcate dentali con estrusione dei denti posteriori; incremento dell’altezza facciale anteriore e post-rotazione mandibolare; ipoplasia trasversale dell’arcata mascellare con possibile crossbite, per alterato equilibrio tra muscolatura intraorale ed extraorale, stiramento della muscolatura periorale, a seguito della differente postura acquisita per favorire uno spazio respiratorio utile a garantire un maggiore apporto di aria, con il venir meno dell’input accrescitivo centrifugo sul mascellare superiore della lingua posizionata in basso. In tale contesto si può instaurare un quadro di deglutizione atipica secondaria. L’esame clinico può essere supportato da prove funzionali: prove di Rosenthal, di Gudin e di Quinn; specchio di Glatzel. Terapia. Risulta determinante la distinzione tra respiratore orale obbligato e respiratore

orale abituale. Una rieducazione funzionale può supportare il complessivo approccio terapeutico, inizialmente in modo conscio, con esercizi di respirazione e deglutizione, per poi trasferire quanto appreso a livello inconscio. L’intervento ortognatodontico prevede l’uso di dispositivi atti a correggere le alterazioni dento-maxillo-facciali, previa risoluzione della problematica funzionale, per prevenire possibili recidive. La terapia elettiva è di tipo espansivo, con dispositivi di espansione lenta o rapida del palato, per risolvere la problematica trasversale; l’applicazione di apparecchiature ortopediche può essere indicata per controllare la componente verticale e intervenire sulle implicazioni sagittali.

Alterazioni della funzione deglutitoria La deglutizione subisce cambiamenti nei vari periodi della vita (Cozza, 2007; Landouzy et al, 2009). Al quarto mese di vita intrauterina la lingua assume una posizione simile a quella del lattante durante l’allattamento tra i cuscinetti gengivali delle due arcate. Nel neonato la suzione del latte comporta un coinvolgimento simultaneo delle strutture muscolari linguali e periorali atte a favorire il sigillo anteriore; il sollevamento mandibolare supporta l’azione linguale nel favorire la suzione del latte, direzionato posteriormente per essere deglutito. Il passaggio alla deglutizione dell’adulto è graduale e risulta caratterizzato da movimenti riconducibili sia allo schema infantile sia a quello adulto; tale fase evolutiva transitoria dovrebbe coincidere con l’eruzione degli incisivi decidui, che ostacolano la protrusione della lingua tra le arcate e si verificherebbe intorno ai 18-20 mesi, con la persistenza di una deglutizione in parte ancora infantile, considerata fisiologica anche in epoca successiva fino a 5-7 anni. Svezzamento, dentizione e maturazione neuromuscolare determinano il passaggio dal modello infantile a quello adulto, caratterizzato da uno spostamento linguale posteriore, assenza di spinta linguale anteriore, presenza di contatti occlusali, assenza di partecipazione della muscolatura periorale e geniena. La deglutizione risulta caratterizzata da differenti fasi (orale, faringea ed esofagea), precedute da una fase preparatoria del cibo, che, con adeguata consistenza, potrà essere de315


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glutito. La punta della lingua viene a contatto con la papilla retroincisiva e i margini laterali con la superficie palatale dei denti dei settori latero-posteriori; palato molle e parte posteriore linguale garantiscono il sigillo posteriore che impedisce al cibo di procedere nella faringe prima del tempo. Nell’ambito delle alterazioni funzionali, la deglutizione atipica si identifica con la persistenza del modello di deglutizione infantile oltre il periodo ritenuto fisiologico ed è caratterizzata da una spinta linguale in posizione anteriore o posteriore, monolateralmente o bilateralmente; la muscolatura periorale, in particolare orbicolare inferiore e mentale, partecipa al sigillo anteriore, supportando la lingua nella spinta del bolo verso la faringe. Può essere distinta in: • deglutizione atipica primaria (vera e propria deglutizione atipica): è riconducibile a un'incoordinazione del sinergismo muscolare o degli impulsi sinaptici o a un’immaturità dei centri nervosi; • deglutizione atipica secondaria (interposizione linguale): è un quadro secondario alla presenza di tonsille e adenoidi ipertrofiche, abitudini viziate (per esempio, suzione del dito o del succhietto), alterazioni anatomiche locali (per esempio, macroglossia, frenulo linguale corto); fattori ereditari; allattamento artificiale protratto (Cozza, 2007). Nella deglutizione atipica primaria la spinta anomala della lingua determina l’alterazione morfologica occlusale; nella deglutizione atipica secondaria la funzione si adatta all’anomalia morfologica occlusale preesistente. Diagnosi. Le valutazioni cliniche e funzionali, in particolare la differente partecipazione

dei gruppi muscolari periorali e masticatori, risultano determinanti ai fini del corretto inquadramento della tipologia di alterazione (primaria o secondaria). È riscontrabile un morso aperto anteriore o posteriore, mono o bilaterale, a seconda dell’alterazione posturale linguale, e una vestibolo-inclinazione dentale per il prevalere della muscolatura linguale rispetto a quella periorale. Terapia. La risoluzione del quadro disfunzionale, con il ripristino di un’adeguata funzio-

ne linguale, supporterà l’intervento ortognatodontico preventivo/intercettivo atto a normalizzare sviluppo e accrescimento, con il ripristino di armonici rapporti occlusali. La terapia miofunzionale rappresenta il trattamento elettivo finalizzato a eliminare schemi motori atipici e a fissare nuovi engrammi, schemi fisiologici neuromuscolari, che si modificheranno poi da atto deglutitorio consapevole e volontario in abituale e inconscio. L’età più indicata, anche in termini di collaborazione, è tra i sette e i dieci anni. Il ciclo terapeutico, in genere di un anno, può contemplare due fasi di durata variabile: rieducazione della funzione muscolare ipotonica, fino al ripristino della condizione d’equilibrio muscolare (in genere di 2-3 mesi con sedute settimanali) e mantenimento dei risultati ottenuti (nei successivi mesi, con controlli mensili). L’intervento ortodontico può prevedere l’utilizzo di dispositivi endorali fissi e/o rimovibili, dotati di schermi, che impediscono l’interposizione della lingua tra le arcate (per esempio, griglie), talvolta associati a ulteriori presidi ortodontici, atti a intercettare iniziali alterazioni indotte dalla suzione e/o a controllare gli effetti dell’applicazione degli stessi dispositivi ortodontici, alla luce del complessivo assetto dento-maxillo-facciale (Fig. 14.8). 316


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Figura 14.8 F.B., 7 anni, femmina. Morso aperto anteriore da pregressa suzione del dito e interposizione linguale secondaria. Per la soluzione del quadro clinico si è proceduto al controllo delle alterazioni funzionali, interventi di rieducazione della lingua, contestuale applicazione di una griglia fissa palatale, successiva apparecchiatura funzionale e monitoraggio della permuta.

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Interposizione del labbro inferiore L’interposizione del labbro inferiore risulta caratterizzata dall’assenza del normale contatto tra le rime labiali e può essere distinta in primaria e secondaria. La forma primaria è riconducibile a uno squilibrio strutturale e/o posturale tra cinture muscolari oblique (buccinatore e orbicolare del labbro superiore e inferiore). Il muscolo mentoniero iperattivo può esercitare una trazione sul labbro inferiore. La discinesia neuromuscolare può influire sullo sviluppo scheletrico e dentoalveolare, associandosi a quadri di classe II/1 (Frankel e Frankel, 1991). 317


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Figura 14.9 S.F., 10 anni, femmina, dentizione mista tardiva. Tipologia brachifacciale, classe II molare con retrusione mandibolare, overjet accentuato con interposizione del labbro inferiore; morso profondo responsabile del traumatismo degli incisivi sulla mucosa palatale. L’applicazione di un regolatore di funzione (tipo 2) dotato di scudo labiale e arco retroincisivo, nel correggere la malocclusione, concorre alla risoluzione della problematica funzionale.

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Figura 14.10 (a,b) V.G., 6 anni, femmina, dentizione mista precoce. Morso aperto anteriore con un pattern di crescita di classe III e postura linguale bassa. Interposizione linguale anteriore con implicazioni fonetiche.

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Nell’interposizione secondaria, l’overjet accentuato, associato a un quadro di malocclusione di classe II/1, può favorire l’interposizione del labbro inferiore, in assenza di discinesia neuromuscolare primaria. Diagnosi. Valutazioni funzionale, clinica e, se necessario, radiografica concorrono a in-

quadrare la problematica complessiva. Terapia. Nelle forme primarie sono indicati esercizi mioterapici, con l’uso di bottoni la-

biali, al fine di riequilibrare la funzione neuromuscolare e creare un corretto sigillo labiale. Nelle forme secondarie la correzione del quadro disgnatico consente di risolvere la causa strutturale responsabile dell’interposizione del labbro (Fig. 14.9).

Disordini del linguaggio La conoscenza dei meccanismi fisiologici che regolano l’articolazione del linguaggio e delle condizioni fisiopatologiche che possono compromettere o alterare tale funzione risulta determinante nel complessivo assetto dell’apparato stomatognatico. I disordini del linguaggio possono essere distinti in deficit fonoarticolatori (disartrie, dislalie, disfonie) e deficit delle funzioni nervose superiori (afasie, balbuzie, dislessie). I deficit fonoarticolatori periferici, dovuti a cause organiche (alterazioni morfologiche congenite o acquisite delle strutture che intervengono nell’articolazione orofaringea) o funzionali (per alterata coordinazione dei movimenti atti alla corretta pronuncia di alcuni fonemi), sono correlati all’alterata pronuncia di fonemi consonantici. Tra i deficit di articolazione del linguaggio di maggiore pertinenza ortognatodontica rientrano le dislalie fisiologiche o evolutive, forme transitorie della fonazione con alterata produzione di suoni consonantici riscontrabili durante le fasi di sviluppo dell’articolato dentale, e le forme organiche o meccaniche periferiche, riconducibili a modifiche anatomiche o funzionali delle cavità di risonanza o degli organi di articolazione (Barbato et al, 2000). In base alla regione in cui si verifica l’alterata articolazione del fonema, i disordini del linguaggio si distinguono in deficit articolatori delle labiali (pronuncia di /p/ /b/ /m/), piuttosto rari e in genere conseguenti a perdita di sostanza per eventi traumatici o chirurgici (per esempio, schisi, deficit cicatriziali dopo trattamento ecc.); deficit articolatori palatali (diminuzione della risonanza dei fonemi nasali /m/ /n/ /gn/); deficit articolatori dento-alveolomascellari riconducibili spesso a malocclusioni (per esempio, open bite, diastemi ecc.): sigmatismi (pronuncia consonante /s/) e zetacismi (pronuncia della consonante /z) rappresentano i deficit più frequenti. I deficit articolatori linguali sono conseguenti ad alterazioni di forma, volume, mobilità e postura della lingua, con modifica degli schemi funzionali. Diagnosi. Si basa su valutazioni cliniche e funzionali. Le alterazioni occlusali potenzial-

mente presenti sono differenti con implicazioni nei diversi piani dello spazio (morso aperto, classe II, III ecc.), rappresentando la causa, anziché l’effetto del problema funzionale (Fig. 14.10). Terapia. Correzione di problematiche strutturali dentoscheletriche e posturali e conte-

stuali interventi di rieducazione funzionale concorrono alla risoluzione del deficit fonetico. 319


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Problematiche della dentizione Gestione dello spazio È una problematica cruciale in ambito ortognatodontico, che assume ulteriore rilievo nei casi di esfoliazione precoce di un elemento deciduo per eventi traumatici, lesioni cariose o affollamento (Fig. 14.11). L’estrazione precoce di molari decidui, comporta una migrazione mesiale del primo molare permanente, con diminuzione del perimetro d’arcata, difficoltà di emergenza e/o eruzione degli elementi permanenti mesialmente al primo molare e alterazione dei rapporti occlusali (Barbato e Leonardi, 2007; Bishara, 2001; Tunison et al, 2008). L’intervento deve essere tempestivo, in considerazione dell’assenza di meccanismi biologici intrinseci alle basi mascellari, in grado di incrementare la lunghezza d’arcata, e deve tener conto dello sviluppo radicolare del permanente succedaneo, della distanza tra dente permanente e cresta alveolare e della posizione dei denti contigui in arcata. La valutazione dello spazio disponibile, misurato dalla superficie mesiale del primo molare permanente di un lato dell’arcata al primo molare permanente controlaterale, risulterà determinante per valutare il possibile posizionamento di tutti i denti permanenti (Bishara, 2001). In presenza di affollamento nel settore anteriore risulta importante inquadrarne l’eziologia: l’affollamento primario è espressione di discrepanza strutturale tra dimensioni dei denti e spazio disponibile; l’affollamento secondario o sintomatico è in genere dovuto a fattori ambientali (traumi, carie destruenti, avulsioni, esfoliazione precoce); l’affollamento terziario subentra in epoca postadolescenziale. L’affollamento può essere, altresì, distinto in: • lieve (2-3 mm): può andare incontro a correzione spontanea per i normali processi di crescita; • moderato o medio (4-6 mm): richiede un intervento finalizzato a preservare la lunghezza dell’arcata, ricorrendo a dispositivi ortodontici fissi o mobili, atti a impedire la mesializzazione dei primi molari permanenti con la contestuale possibilità di utilizzare il leeway space, fino alla completa eruzione dei denti permanenti mesiali al primo molare (Fig. 14.12). Un’espansione dentoalveolare del mascellare (quad-helix) può incrementare l’ampiezza della base ossea e il perimetro d’arcata, utile per l’allineamento dei denti permanenti nell’arcata superiore (Barbato e Leonardi, 2007; Keski-Nisula et al, 2008); • grave (7-10 mm): in dentizione mista precoce possono essere adottati protocolli di estrazioni seriate, cronologicamente pianificate, elettive per i quadri di classe I, con corretti rapporti intermascellari e buon equilibrio neuromuscolare (Bishara, 2001); • estremo (>10 mm) (Profitt, 2008). Talune condizioni cliniche possono simulare un eccesso di spazio in arcata riconducibile alla vestibolarizzazione degli incisivi e alla presenza di un diastema centrale. La vestibolo-versione del gruppo incisale, con la presenza di diastemi, può essere espressione di una situazione fisiologica (per esempio, ugly-duck) ovvero di quadri clinici più complessi (per esempio, classe II/1 o open bite anteriore da alterazione funzionale) e può trovare la sua spontanea soluzione con un fisiologico sviluppo delle arcate dentali in 320


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Capitolo 14

dentizione permanente, ovvero con il trattamento della malocclusione primaria. Analogamente, un diastema centrale interincisivo può risolversi fisiologicamente, ultimata la permuta dei canini, in assenza di ulteriori cause, quali presenza di soprannumerari (mesiodens), agenesie o alterata morfologia dei laterali, oligodonzia, discrepanze dentobasali, o un’inserzione anomala del frenulo, che richiede un intervento di frenulotomia/frenulectomia.

Figura 14.11 A.N., 6,5 anni, maschio, dentizione mista precoce. Malocclusione di classe III; contrazione del mascellare superiore sagittale e trasversale. Presenza di eventi flogistici conseguenti a lesioni cariose multiple, che possono aggravare il quadro disgnatico complessivo, a livello sia dentale (perdita di spazio) sia scheletrico (perdita di contatti incisali, scivolamento e mancato controllo della posizione e/o crescita mandibolare).

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Figura 14.12 (a-d) C.A, 7,6 anni, femmina. Discrepanza dento-basale già preliminarmente evidenziabile in una indagine ortopantomografica e confermata con l’eruzione in arcata di 33. L’applicazione di un mantenitore di spazio fisso (arco linguale), il monitoraggio della permuta e la gestione/utilizzo del leeway space consentono la risoluzione del quadro clinico.

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Capitolo 14

Prevenzione ortodontica

Denti in infraocclusione o anchilosati L’infraocclusione interessa in genere i secondi molari decidui, che si presentano in posizione più bassa rispetto al piano occlusale, spesso in continuità (anchilosi) con l’osso circostante. La conseguente mancata esfoliazione può comportare problematiche d’eruzione del corrispondente permanente, estrusione dell’antagonista, mesio-inclinazione del molare permanente contiguo e riduzione dell’osso alveolare (Fig. 14.13). In dentizione mista precoce la ricostruzione della corona clinica del dente infraoccluso garantisce dei corretti rapporti occlusali sagittali e verticali. L’estrazione risulta indicata in presenza di tipping coronale dei denti contigui e/o rischio di distopia o eruzione ectopica del corrispondente permanente. Un monitoraggio radiografico consente di stabilire il momento più indicato per l’estrazione del dente infraoccluso, in base alla posizione e allo stadio di sviluppo radicolare del corrispondente permanente.

Trasposizione dei denti permanenti È una rara anomalia caratterizzata dall’inversione di posizione di due denti contigui, può essere completa, se interessa due elementi in toto (corona, radice, apice) ovvero incompleta, se le corone sono trasposte, ma gli apici sono nella loro normale posizione. La forma di più frequente riscontro interessa canino mascellare e primo premolare, seguiti da canino mascellare e incisivo laterale. Una precoce diagnosi risulta determinante e impone al clinico interventi intercettivi in dentizione mista mirati e tempestivi (Fig. 14.14) (Synodinos e Polyzois, 2011).

Figura 14.13 M.L., 7,5 anni, femmina, ortopantomografia. Dentizione mista precoce, anchilosi di 75 con alterata posizione di 35, mesioinclinazione di 36, distoinclinazione di 74 ed estrusione di 65.

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Figura 14.14 L.M., 8,6 anni, femmina, ortopantomografia. Fase intertransizionale della dentizione. Trasposizione vera completa di 13 e 14 e di 23 e 24.


Prevenzione ortodontica

Capitolo 14

Agenesia dentale L’assenza delle gemme di elementi dentali risulta correlata a fattori genetici ed è di raro riscontro in dentizione decidua; tuttavia, se presente, l’agenesia del deciduo si associa in genere anche all’agenesia del permanente corrispondente. In dentizione permanente riguarda prevalentemente terzi molari, incisivi laterali mascellari e mandibolari, secondi premolari mandibolari e mascellari. Una diagnosi precoce impone una valutazione del complessivo assetto dento-maxillo-facciale, per stabilire se mantenere lo spazio agenesico o se procedere alla successiva chiusura. L’agenesia del secondo premolare può essere associata ad anomala posizione del controlaterale, il cui iter eruttivo deve essere attentamente monitorato. L’agenesia del laterale superiore è frequentemente associata a inclusione del canino contiguo.

Denti soprannumerari In dentizione decidua hanno una forma normale o conica (eumorfici o supplementari), in dentizione permanente possono presentare maggiore varietà di forma (per esempio, dismorfica, conica ecc.). Il riscontro di un mesiodens, soprannumerario dismorfico conico, in genere tra gli incisivi centrali superiori, richiede un tempestivo intervento estrattivo.

Persistenza di denti decidui Incisivi decidui. In presenza di eruzione anomala del dente permanente, in genere in po-

sizione linguale, risulta indicata una tempestiva estrazione del corrispondente deciduo non ancora esfoliato; l’azione fisiologica della lingua concorre al corretto posizionamento in arcata del dente permanente in fase di eruzione. Talvolta, la persistenza del deciduo può essere associata alla presenza di ulteriori fattori causali che ostacolano il fisiologico processo di permuta (Fig. 14.15).

Figura 14.15 D.A., 12 anni, maschio, esame radiografico endorale. Inclusione di 12 per la presenza di odontomi multipli tardivamente diagnosticati.

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Figura 14.16 A.N., 10 anni, femmina, dentizione mista tardiva. Classe II molare destra, classe I molare sinistra. Linee mediane non coincidenti, con l’inferiore deviata a destra per latero-deviazione mandibolare, conseguente a contrazione del mascellare superiore (a-d). In seguito ad applicazione di un dispositivo d’espansione lenta del mascellare superiore (quad-helix) vengono ripristinati corretti rapporti maxillo-mandibolari trasversali e sagittali (e-h). Si procede, quindi, nel monitoraggio della permuta fino al completamento del fisiologico iter di sviluppo delle arcate dentali. Il tempestivo intercettamento della latero-deviazione mandibolare ha, altresÏ, rappresentato un intervento preventivo di un possibile quadro di asimmetria (i-n).

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Prevenzione ortodontica

Capitolo 14

Molari decidui. Un’anomala rizalisi delle radici dei molari decidui ne può ritardare

l’esfoliazione, con possibile alterata posizione del corrispondente permanente. Una diagnosi precoce e il monitoraggio clinico e radiografico di sviluppo e posizione del corrispondente permanente suggeriranno il momento più indicato per l’estrazione del deciduo ed eventuali ulteriori interventi preventivo-intercettivi. Canini decidui. L’estrazione del canino deciduo superiore può, talvolta, rappresentare

un’efficace misura preventiva d’inclusione del permanente, con anomalo percorso eruttivo.

Problematiche trasversali, sagittali e verticali Influenze funzionali, genetiche e comportamentali possono essere differentemente implicate nel determinismo di alterazioni strutturali sul piano sagittale, trasversale e/o verticale. La soluzione di quadri clinici con implicazioni nei diversi piani dello spazio può, a sua volta, prevenire problematiche tridimensionali più complesse.

Alterazioni sul piano trasversale La relazione esistente tra dimensione trasversale e rapporto sagittale e verticale rappresenta un aspetto cruciale in ambito ortognatodontico. La contrazione del mascellare superiore può essere dentoalveolare, scheletrica o mista. Il deficit trasversale mascellare si associa spesso a morso crociato nei settori latero-posteriori, monolaterale o bilaterale. L’origine strutturale, dentoalveolare o funzionale del crossbite definisce l’approccio terapeutico, quando è riconducibile a una reale asimmetria intrarcata, ovvero a una contrazione mascellare bilaterale, in presenza o meno di latero-deviazione mandibolare in chiusura; un ricentramento delle linee mediane in massima apertura può confermare il sospetto di latero-deviazione funzionale. Risulta, quindi, determinante inquadrare i rapporti trasversali maxillo-mandibolari e individuare la presenza di eventuali precontatti latero-devianti, in genere riconducibili a un solo elemento dentale in dentizione decidua, o a una contrazione bilaterale del mascellare in dentizione mista (Fig. 14.16). Risulta indicato un trattamento precoce, tenuto conto del basso tasso di correzione spontanea del crossbite in dentizione decidua e mista precoce, in seguito ad adattamento articolare e neuromuscolare conseguente all’acquisita postura mandibolare in latero-deviazione, con conseguente alterazione della crescita maxillo-mandibolare (Kecik et al, 2007; Kennedy e Osepchook, 2005; Silva Filho, 2000). Il molaggio selettivo in dentizione decidua consente di rimuovere le interferenze occlusali, risolvendo la latero-deviazione mandibolare, con un’apprezzabile percentuale di successo (30-50%), costituendo un intervento terapeutico preventivo/intercettivo. 325


Capitolo 14

Prevenzione ortodontica

Nei casi irrisolti si può ricorrere in dentizione mista precoce a espansione rapida o lenta. In presenza di contestuale retrusione mandibolare, una precoce terapia espansiva può rappresentare un terapia funzionale endogena, che concorre alla normalizzazione dei rapporti sagittali maxillo-mandibolari (Baccetti, 2001; Guest et al, 2010; Harrison e Ashby, 2001). Una contrazione mascellare può manifestarsi anche in assenza di crossbite, in presenza di compenso dentoalveolare del deficit trasversale. Di contro, un morso crociato monolaterale può essere rilevabile in presenza di un mascellare normoconformato, per un eccessivo sviluppo trasversale mandibolare, con conseguente insufficienza relativa del diametro trasversale dell’arcata superiore. L’analisi delle potenziali discrepanze nella posizione condilare tra differenti rapporti occlusali rappresenta una componente cruciale nel trattamento delle problematiche trasversali.

Alterazioni sul piano sagittale Le alterazioni sul piano sagittale possono essere ricondotte a eccesso mascellare e/o deficit mandibolare (classe II) o a deficit mascellare e/o eccesso mandibolare (classe III). Nelle forme da protrusione mascellare (classe II) il trattamento risulta finalizzato a limitare la crescita mascellare mediante dispostivi ortopedici. Qualora la protrusione sia associata a discrepanza trasversale, è consigliabile procedere preliminarmente all’espansione del mascellare con mirati dispositivi terapeutici, con la possibilità di ottenere dei miglioramenti anche sagittali in seguito all’espansione (terapia funzionale endogena). Un trattamento precoce risulta determinante in presenza di overjet accentuato, come intervento di trauma-profilassi (Barbato e Leonardi, 2007; Cozza et al, 2005). Nelle forme di classe II da deficit mandibolare, il trattamento elettivo può essere ortopedico funzionale, con l’utilizzo di dispositivi atti a stimolare la crescita mandibolare e ripristinare condizioni ambientali favorevoli. Il momento più indicato nell’attuazione di una terapia funzionale nei quadri di classe II è il picco di crescita mandibolare, rilevato attraverso gli indicatori biologici di maturità scheletrica (Fig. 14.17) (Guest et al, 2010; Martins et al, 2008; Profitt e Fields, 2008). I quadri clinici di classe III sono prevalentemente riconducibili a deficit mascellare, associato a morso crociato anteriore. In genere, tale deficit interessa anche il piano trasversale; può essere, quindi, indicata una preliminare espansione del mascellare con dispositivi di tipo rapido, in grado di ripristinare corretti rapporti trasversali, e migliorare i rapporti sagittali, con successiva eventuale applicazione di una trazione extraorale inversa, ovvero dispositivi di tipo funzionale (Kilic et al, 2010). In ogni caso, risulta determinante un tempestivo e precoce ripristino dei corretti rapporti sagittali maxillo-mandibolari, con il monitoraggio del complessivo assetto dento-maxillo-facciale fino al termine della crescita.

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Figura 14.17 S.G., 8 anni, femmina, dentizione mista precoce. Respiratore orale. Tipologia dolicofacciale, incompetenza labiale, profilo convesso. Classe II molare e canina bilaterale, overjet e overbite aumentati (a-h). Protrusione mascellare associata a retrusione e post-rotazione mandibolare (i). L’approccio terapeutico ha previsto l’applicazione di un regolatore di funzione tipo II, i cui effetti si esplicano nei tre piani dello spazio, e successivamente di una trazione extraorale combinata, che con il monitoraggio della permuta hanno determinato la risoluzione del quadro disgnatico (l-v) (segue).

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Figura 14.17 − Seguito

Alterazioni sul piano verticale Open bite o morso aperto. È un’alterazione dentale o dentoalveolare, riconducibile, in

genere, ad alterazione funzionale, e tende a migliorare una volta eliminata l’abitudine viziata. Valutazioni cliniche e radiografiche concorreranno all’inquadramento diagnostico. Qualora il morso aperto risulti associato a un pattern scheletrico, oltre all’allontanamento dell’abitudine viziata, risulta necessario intervenire con una precoce e mirata terapia ortopedica e/o funzionale in dentizione mista (Cozza et al, 2005). Morso profondo. È un’alterazione di tipo dentale, dentoalveolare o scheletrico. Le va-

lutazioni cliniche e radiografiche concorrono all’inquadramento diagnostico. Gli incisivi superiori ricoprono la superficie vestibolare degli incisivi inferiori oltre i 3 mm. I margini incisali talvolta lasciano un’impronta sulla mucosa palatale con possibili implicazioni parodontali e la richiesta di un trattamento precoce. 328


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Capitolo 14

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Prevenzione ortodontica

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