Spqr Sport n. 4 - 2010

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UN’ESTATE OLIMPICA Gianni Alemanno, Sindaco di Roma

L’

estate che volge al termine è stata particolarmente calda per Roma, che ha proposto alla comunità cittadina un’ampia offerta sportiva e culturale, per celebrare come si conviene i 50 anni dall’Olimpiade dei XVII Giochi Olimpici del 1960. Eventi di piazza, esibizioni, mostre e kermesse hanno scandito le tappe di un anniversario a cui l’Amministrazione Comunale teneva in modo particolare, per la rilevanza che Roma 1960 ha costituito per la città e per l’Italia tutta e per la forte attualità che contraddistingue ancora oggi l’Olimpiade romana. Abbiamo incontrato, ricordato e omaggiato campioni che hanno reso grande con le loro imprese storiche, l’ultima Olimpiade a misura d’uomo, lasciandoci un’eredità umana e sportiva che in pochi possono vantare. Il passato si è fuso con il futuro donandoci consapevolezza e fiducia nei nostri mezzi, proiettandoci al 2013, quando il CIO sceglierà la sede dei XXII Giochi Olimpici, che sogniamo di riportare a Roma e per i quali abbiamo già iniziato a lavorare da tempo, insieme al CONI e alle Istituzioni territoriali e nazionali. Archiviati i festeggiamenti, tuttavia, Roma capitale dello sport non si ferma e guarda all’immediato futuro, che si presenta proponendoci nell’immediato i Mondiali Maschili di volley. È questo un appuntamento clou nel ricco calendario di eventi che costituisce il calendario sportivo capitolino e che consacra la nostra città come assoluta protagonista della scena internazionale. Roma ospiterà le fasi finali del torneo, che si giocheranno dal 4 al 10 ottobre e che convoglieranno nella capitale migliaia di appassionati provenienti da ogni parte del mondo. Questa opportunità rafforza il legame che esiste da sempre tra la capitale e la pallavolo, tra gli sport più praticati nelle scuole e tra i giovani e costituisce la prosecuzione naturale di un percorso che abbiamo intrapreso due anni fa, teso a valorizzare e promuovere le discipline che compongono la grande famiglia del volley. Per il grande impegno profuso e per il tradizionale spirito sportivo che contraddistingue i romani, sono certo che anche questo evento sarà per la città un motivo di soddisfazione. In attesa ovviamente di conoscere il nome dei futuri campioni del mondo di volley, che proprio nella nostra città scriveranno una nuova ed emozionante pagina sportiva.


con queste parole lavoriamo in pi첫 di 70 paesi, per portarvi energia

eni.com


photogallery Uno scatto che ferma una storia. Un’immagine che ha il potere di regalare un momento alla leggenda e suscitare emozioni. Istanti che rimangono impressi nella pellicola e nell’anima. Senza bisogno di alcuna spiegazione.





Tutto in uno scatto di Roberto REAN CONT Sales Manager - Sport Getty Images

uanti di voi hanno assistito ad un incontro sportivo sui campi di gara? Tanti, che siate stati parenti, tifosi, appassionati, curiosi. Ma a quanti di voi è capitato di essere quasi protagonisti o vicini quasi a toccare il protagonista come in alcuni degli scatti proposti nella consueta rubrica di inizio giornale? Come i tifosi del Chelsea che festeggiano ad un passo il loro campione: difficile visti i nostri stadi così lontani da quel calcio inglese che tanto abbiamo imparato ad apprezzare negli anni. Lo sport andrebbe vissuto così. A pochi metri dall’evento per poter percepire il gesto atletico; ed ogni mimica o discussione che rappresenti un sottotitolo per capire e cogliere l’attimo nel modo più giusto. Ma, spesso, è proprio l’occhio del fotografo a sostituire quello dello spettatore. E il mestiere di chi ferma un istante nello spazio e nel tempo non è facile. Serve quella che i vecchi artigiani della fotografia definivano “la mano”, il saper capire un momento, ma anche saper trovare la posizione giusta. In uno dei frequenti colloqui con il Direttore della rivista e con il Delegato allo Sport del Comune di Roma abbiamo avanzato l’idea di affettuare un ampio servizio che rappresenti una sorta di controcampo. Non saranno, per una volta, gli atleti i protagonisti seguiti e immortalati nel loro mondo che vive dall’altra parte dell’obiettivo, ma proprio i fotografi. Abbiamo trovato risposta entusiasta. E sono convinto che anche i nostri lettori scopriranno il dietro le quinte di un mondo... tutto da scoprire. Alla prossima...

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N O T I Z I E

NUMEROQUATTRONUMEROQUATTRO NUMEROQUATTRO

Carlo Pedersoli che si racconta come uomo, sportivo e attore. Nuotatore proprio come Federica Pellegrini, famosa, bella e brava, vanto nostrano nel mondo; ambasciatrice di un nuovo made in Italy che vorremmo sempre poter esportare. E poi Daniele De Rossi leader da Nazionale, Andrew Howe con i suoi muscoli e tatuaggi mostrati al nostro fotografo con la stessa facilità con cui si è raccontato al cronista. Julio Velasco che fece della Nazionale di Volley la “Generazione di Fenomeni”. E poi una giovane campionessa degli Yout Olympic Games (ovvero le Olimpiadi Giovanili, ultima trovata del Cio) a confronto con chi è stata la più giovane di sempre ai Giochi, Luciana Marcellini, Roma 1960, nuotatrice, 12 anni allora! La nostra rivista vuole raccontare lo sport. Con i suoi eroi, le sue leggende, le sue tante storie che hanno appassionato, tenuto compagnia, fatto arrabbiare e gioire tante generazioni. Vuole cavalcare il presente, immaginare il futuro e raccontare un ricco passato. Come nel caso del dossier su quei giochi di strada che erano patrimonio dei nostri padri, allora figli, che scendevano in strada a divertirsi a nascondino e palla prigioniera agli indiani e i corsari. Con una palla di nodi di corda ci si giocava in 20 per parte, tanti erano i bambini per strada. Dopo la conta, ovviamente, con lo scarso di turno scambiato per il lato del campo migliore a meno che accettasse la porta. Poi la battaglia appresso a quella palla scalcinata mentre le bimbette erano impegnate con bambole e campana. Già, la strada. Quella maestra che oggi è diventata piena di trappole tra macchine e interi quartieri costruiti senza piazze ma dotati di wireless. Quella strada imparava a campare.

Fabio ARGENTINI

LA COPERTINA

D E L

1 Baseball, Italia Campione

Mensile di informazione a distribuzione gratuita Reg. Trib. di Roma n. 21 del 27-01-10

9 Filippi, delusione La romana archivia anzitempo gli Europei di nuoto di Budapest con l'eliminazione nei 200 dorso. In caso di successo sarebbe diventata l’unica azzurra capace di vincere 3 ori in tre consecutivi Europei.

10 Prandelli ko all'esordio

5 Nuoto, un podio storico

Dopo 13 anni l'Italia del baseball torna sul tetto d'Europa. A Stoccarda gli azzurri battono in finale l'Olanda 8-4.

La nuova Italia voluta dopo il flop mondiale parte col piede sbagliato. A Londra, nell'amichevole contro la Costa d'Avorio, gli azzurri cedono 1-0.

Luca Ferretti (oro), Simone Ercoli (argento) e Simone Ruffini (bronzo) entrano nella storia del fondo italiano. I tre azzurri monopolizzano il podio nella 5 km a cronometro agli Europei di Budapest.

2 Baggio in azzurro Il divin codino torna azzurro nelle vesti di Presidente del settore tecnico della Figc.

11 Il Codacons contro Roma2020 Il Codacons annuncia d'aver presentato un ricorso al Tar Lazio contro la candidatura di Roma ai Giochi Olimpici del 2020. Sul banco d'accusa la questione viabilità nella capitale.

6 Cassano, Amauri, Balotelli Prime convocazioni ufficiali per il nuovo Ct della nazionale di calcio, Cesare Prandelli, in vista dell'amichevole con la Costa d'Avorio. L'ex tecnico della Fiorentina convoca a furor di popolo il trio CassanoAmauri-Balotelli, per questi ultimi due si tratta dell'esordio assoluto in azzurro.

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Sabato

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Domenica

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Martedì Mercoledì Giovedì

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Venerdì

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Sabato Domenica Lunedì

3 Mamme campioni Diana Luna, dopo la pausa per la maternità, ha disputato il Ladies Irish Open. Chi invece dichiara di voler diventare mamma dopo l’Olimpiade di Londra è Alessia Filippi.

10

12 Pellegrini, bronzo che vale oro La 22enne fuoriclasse azzurra conquista la medaglia di bronzo negli 800 stile libero agli Europei di Budapest.

11

Lo squalo di Palestrina dopo l'argento nella 10 km di fondo, conquista la medaglia d'oro nella 25 km agli Europei di Budapest.

8 Azzurrine sul tetto d'Europa L'Italia under18 femminile di basket si laurea campione d'Europa battendo la Spagna per 66-61 a Poprad, in Slovacchia.

Spqr Sport. Tutti i diritti sono riservati nessuna parte della rivista può essere in alcun modo riprodotta senza autorizzazione

12 13

Martedì Mercoledì Giovedì

7 Cleri ancora sul podio

4 Cleri d'argento Valerio Cleri vince la medaglia d'argento nella 10 km in acque libere agli Europei di Budapest. Il romano chiude alle spalle del tedesco Thomas Lurz.

SPQR SPORT Rivista ufficiale Comune di Roma, Politiche dello Sport

M E S E

Il grande sport giorno per giorno

Agosto

Edi to ria le

Venerdì

14

Sabato

13 Hernanes si presenta Il 'Profeta', arrivato alla Lazio nel mercato estivo, promette gol e vittorie ai tifosi biancocelesti. “Arriveremo tra le prime quattro”.

14 Il grande slam di Fede Dopo il bronzo negli 800 sl, la Pellegrini entra nella storia conquistando l'oro nei 200 sl agli Europei di nuoto di Budapest. L'azzurra è la prima atleta a vincere sulla distanza di seguito titolo europeo, olimpico e mondiale.

Speciale sul Mondiale di Pallavolo Maschile

IN ALLEGATO

IN PRIMA, i volti di Federica Pellegrini, Daniele De Rossi, Andrew Howe, l’ex nuotatore Carlo Pedersoli, nel cinema, Bud Spencer Numero 4 settembre_2010

Editore Alfacomunicazione Srl Via del Giuba, 9 - 00199 Roma Direttore Responsabile Fabio Argentini Redazione Ufficio Sport Via Capitan Bavastro, 94 - 00154 Roma tel. 06671070315 fax. 06671070364 e-mail: redazione@spqrsport.it grafica@spqrsport.it commerciale@spqrsport.it Art Director Alberto Brunella Stampa Centro Rotoweb Srl - Roma

IN PRIMA, Birarelli, Fei, Mastrangelo, Vermiglio DIFFUSIONE. La rivista è distribuita nel corso degli eventi sportivi dove è presente il Comune di Roma e free press in tutte le piazze più importanti dei XIX municipi romani (l’elenco dei punti è sul web all’indirizzo www.spqrsport.it dove si possono consultare le pagine della pubblicazione). Per ritirare una copia è anche possibile contattare il numero 06.6710.70315 (Ufficio Sport).

In collaborazione con Ufficio Stampa Campidoglio Ufficio Sport Saverio Fagiani, Maria Iezzi Hanno collaborato Andrea Abodi, Luca Aleandri, Antonio Buccioni, Paolo Ciabatti, Dora Cirulli, Ferdy Collo-

ca, Roberto Coramusi, Ernesto Damico, Federica Faiella, Antonio Farinola, Giorgio Franchetti, Andrea Frediani, Giovanna Ianniello, Marco Maceroni, Anita Madaluni, Luca Montebelli, Stefano Moretti, Rosanna Ollano, Luigi Panella, Federico Pasquali, Paolo Quadrozzi, Silio Rossi, Massimo Scali, Umber-

to Silvestri, Fulvio Stinchelli, Elena Turra, Samantha Trancanelli, Emanuela Valente, Christian Zicche. Agenzie e fotografi Photo Partner: Getty Images Paolo Bruno, Luis Castillo, Franco Origlia, Pietro Rolandi. Comune di Roma: Fabio Callini,

Stefano Bertozzi, Marco Catani, Claudio Papi, Claudio Valletti. Hanno collaborato: Aliberti Editore, COL di Roma, Carlo Giuliani, Istituto Luce, Maserati, Pedersoli (arch. priv.), Riva, Ernesto Ruscio (Arch. Priv.),


15 I giochi sorridono al Lazio

28 Corsi in prima fila 19 Scozzoli cala il tris Fabio Scozzoli vince l’oro nei 100 rana agli Assoluti di Ostia. Per lui il terzo oro in due giorni dopo i 50 rana e i 100 misti.

20 Aquilani alla Juve

16 Bizzarri bronzo olimpico In due giorni arriva la quinta medaglia per i colori azzurri ai Giochi Giovanili, si tratta del romano Flavio Bizzarri, bronzo nei 100 rana.

Il 26enne centrocampista ex Roma torna in Italia dopo l'esperienza al Liverpool. Il romano, classe '87, si accorda con la Juventus.

23 Italia batte Finlandia Ancora una gara super dell'ex Treviso che con 24 punti tiene in vita contro la Finlandia (85-83) le speranze azzurre per Euro2011.

Il romano Simone Corsi conquista la prima fila al Gp di Indianapolis, classe Moto2. Il pilota della Motobi chiuderà la gara quinto.

1 La F1 all'Eur nel 2012

29 Rudisha mondiale

24 Petacchi dall'antidoping Alessandro Petacchi viene ascoltato allo Stadio Olimpico per l'audizione alla Procura Antidoping del Coni, in merito all'inchiesta penale sul doping della Procura della Repubblica di Padova.

Sulla Formula Uno nella Capitale manca, ancora, l'intesa con gli abitanti dell’Eur.

Il keniano David Lekuta Rudisha fa segnare il record del mondo negli 800 metri al meeting di Atletica di Rieti, battendo il suo stesso primato ottenuto solo sette giorni prima a Berlino.

2 Gigli sotto i ferri Intervento chirurgico al polso destro per l'azzurro della Virtus Roma, Angelo Gigli. Per lui, due mesi di stop.

25 Roma '60, cinquant'anni dopo A mezzo secolo da quel 25 agosto del 1960, la capitale ricorda le Olimpiadi di Roma. Il Sindaco Alemanno invita nella Piazza del Campidoglio i protagonisti dello sport. Si chiuderà l’11 settembre, con i campioni Olimpionici in Quirinale, il programma dei festeggiamenti.

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Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì

17 Bargnani accende la speranza L'Italbasket vince in Israele grazie a uno stratosferico Bargnani e continua a sperare nella qualificazione a Euro2011. Il romano mette a segno 26 punti.

Sabato Domenica Lunedì

21 Supercoppa all'Inter I nerazzurri si impongono 3-1 sulla Roma nella finale della Supercoppa Italiana e conquistano il quarto titolo in stagione. Nella foto Pandev, ex Lazio.

Martedì Mercoledì Giovedì

Venerdì

26 Il Bayern per la Roma A Montecarlo vengono sorteggiati i gironi di Champions. Per i giallorossi oltre al club bavarese anche Basilea e Cluj.

27 Inter, niente cinquina Addio sogni di Grande Slam. I nerazzurri perdono 2-0 nella finale di Supercoppa europea contro l'Atletico Madrid

18 Bizzarri concede il bis L'atleta capitolino, dopo il bronzo nei 100 rana, conquista la seconda medaglia ai Giochi Giovanili: oro nei 200 rana.

22 Frosinone ko in casa La squadra ciociara perde in casa nella prima giornata della serie B. Con l'Empoli finisce 2-3

ALL’INTERNO

Prima gara di qualificazione per Euro2012 per gli azzurri di Prandelli. Cassano e Bonucci firmano il 2-1 in rimonta contro l’Estonia.

Sabato Domenica Lunedì

Martedì

30 Winston va a Bologna La guardia/ala Kennedy Winston passa dalla Lottomatica Roma alla Canadian Solar Virtus Bologna.

31 Borriello alla Roma Si chiude col botto il mercato della Roma. Dopo Burdisso arriva anche Marco Borriello.

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Mercoledì Giovedì Venerdì

SPQR SPORT_SET. 010_ N. 4_FATTI E AVVENIMENTI DEL MESE DI AGOSTO CHIUSO IN REDAZIONE IL 05-09-2010

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Domenica Lunedì

3 Italia ok soffrendo

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Sabato Domenica Lunedì

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4 Biaggi in Superpole Max Biaggi conquista la Superpole nel Gp di Germania di Superbike. Per il romano il mondiale è sempre più vicino

5 Muore Tomizawa Tragedia nella Moto2 dove Shoya Tomizawa muore a causa di un incidente nel corso del Gp di San Marino. Il giapponese dopo la caduta viene investito da Alex De Angelis e Scott Redding.

12.Celebrazioni per il Cinquantenario di Roma 1960 22.Campionati del Mondo di Pallavolo maschile, Italia 2010 28.Youth Olimpic Games 34.Federica Pellegrini: la Regina dell’acqua 44.I campi polivalenti 48.I giochi dell’antichità: le gladiatrici 52.I giochi di strada 52.Daniele De Rossi: un calciatore, un leader 68.Strutture: sul Tevere il Water Ski Complex 72.Atletica: una giornata insieme ad Andrew Howe 80.Nelle stanze della Pubblica Amministrazione: l’On. Federico Mollicone 82.Squadre di Roma: chi gioca col tricolore sul petto? 84.Mario Riva e la Fondazione Sandri 90.Daniele Petrucci, The Street Fighter 94.Sport e avventura: No Limits 98.I Ludi Motorii 100.Vip, Bud Spencer: pugni, pistole e piscine 108.La tessera del tifoso 114.News 118.Calcio dilettantistico: Ostiamare 120.La Corsa Futurista 123.La scheda tecnica: pattinaggio 126.Photogallery Old

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Martedì Merco

SPQR SPORT SETTEMBRE 2010 132 PAGINE

Si apre subito con due medaglie l'avventura italiana alle Olimpiadi Giovanili di Singapore: argento per lo sciabolatore romano Leonardo Affede, oro per la fiorettista frascatana Camilla Mancini.


N O T I Z I E

NUMEROQUATTRONUMEROQUATTRO NUMEROQUATTRO

Carlo Pedersoli che si racconta come uomo, sportivo e attore. Nuotatore proprio come Federica Pellegrini, famosa, bella e brava, vanto nostrano nel mondo; ambasciatrice di un nuovo made in Italy che vorremmo sempre poter esportare. E poi Daniele De Rossi leader da Nazionale, Andrew Howe con i suoi muscoli e tatuaggi mostrati al nostro fotografo con la stessa facilità con cui si è raccontato al cronista. Julio Velasco che fece della Nazionale di Volley la “Generazione di Fenomeni”. E poi una giovane campionessa degli Youth Olympic Games (ovvero le Olimpiadi Giovanili, ultima trovata del Cio) a confronto con chi è stata la più giovane di sempre ai Giochi, Luciana Marcellini, Roma 1960, nuotatrice, 12 anni allora! La nostra rivista vuole raccontare lo sport. Con i suoi eroi, le sue leggende, le sue tante storie che hanno appassionato, tenuto compagnia, fatto arrabbiare e gioire tante generazioni. Vuole cavalcare il presente, immaginare il futuro e raccontare un ricco passato. Come nel caso del dossier su quei giochi di strada che erano patrimonio dei nostri padri, allora figli, che scendevano in strada a divertirsi a nascondino e palla prigioniera agli indiani e i corsari. Con una palla di nodi di corda ci si giocava in 20 per parte, tanti erano i bambini per strada. Dopo la conta, ovviamente, con lo scarso di turno scambiato per il lato del campo migliore a meno che accettasse la porta. Poi la battaglia appresso a quella palla scalcinata mentre le bimbette erano impegnate con bambole e campana. Già, la strada. Quella maestra che oggi è diventata piena di trappole tra macchine e interi quartieri costruiti senza piazze ma dotati di wireless. Quella strada imparava a campare.

Fabio ARGENTINI

LA COPERTINA

D E L

1 Baseball, Italia Campione

Mensile di informazione a distribuzione gratuita Reg. Trib. di Roma n. 21 del 27-01-10

9 Filippi, delusione La romana archivia anzitempo gli Europei di nuoto di Budapest con l'eliminazione nei 200 dorso. In caso di successo sarebbe diventata l’unica azzurra capace di vincere 3 ori in tre consecutivi Europei.

10 Prandelli ko all'esordio

5 Nuoto, un podio storico

Dopo 13 anni l'Italia del baseball torna sul tetto d'Europa. A Stoccarda gli azzurri battono in finale l'Olanda 8-4.

La nuova Italia voluta dopo il flop mondiale parte col piede sbagliato. A Londra, nell'amichevole contro la Costa d'Avorio, gli azzurri cedono 1-0.

Luca Ferretti (oro), Simone Ercoli (argento) e Simone Ruffini (bronzo) entrano nella storia del fondo italiano. I tre azzurri monopolizzano il podio nella 5 km a cronometro agli Europei di Budapest.

2 Baggio in azzurro Il divin codino torna azzurro nelle vesti di Presidente del settore tecnico della Figc.

11 Il Codacons contro Roma2020 Il Codacons annuncia d'aver presentato un ricorso al Tar Lazio contro la candidatura di Roma ai Giochi Olimpici del 2020. Sul banco d'accusa la questione viabilità nella capitale.

6 Cassano, Amauri, Balotelli Prime convocazioni ufficiali per il nuovo Ct della nazionale di calcio, Cesare Prandelli, in vista dell'amichevole con la Costa d'Avorio. L'ex tecnico della Fiorentina convoca a furor di popolo il trio CassanoAmauri-Balotelli, per questi ultimi due si tratta dell'esordio assoluto in azzurro.

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3 Mamme campioni Diana Luna, dopo la pausa per la maternità, ha disputato il Ladies Irish Open. Chi invece dichiara di voler diventare mamma dopo l’Olimpiade di Londra è Alessia Filippi.

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12 Pellegrini, bronzo La 22enne fuoriclasse azzurra conquista la medaglia di bronzo negli 800 stile libero agli Europei di Budapest.

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7 Cleri ancora sul podio Lo squalo di Palestrina dopo l'argento nella 10 km di fondo, conquista la medaglia d'oro nella 25 km agli Europei di Budapest.

4 Cleri d'argento Valerio Cleri vince la medaglia d'argento nella 10 km in acque libere agli Europei di Budapest. Il romano chiude alle spalle del tedesco Thomas Lurz.

SPQR SPORT Rivista ufficiale Comune di Roma, Politiche dello Sport

M E S E

Il grande sport giorno per giorno

Agosto

Edi to ria le

8 Azzurrine sul tetto d'Europa L'Italia under18 femminile di basket si laurea campione d'Europa battendo la Spagna per 66-61 a Poprad, in Slovacchia.

Venerdì

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13 Hernanes si presenta Il 'Profeta', arrivato alla Lazio nel mercato estivo, promette gol e vittorie ai tifosi biancocelesti. “Arriveremo tra le prime quattro”.

14 Il grande slam di Fede

Dopo il bronzo negli 800 sl, la Pellegrini entra nella storia conquistando l'oro nei 200 sl agli Europei di nuoto di Budapest. L'azzurra è la prima atleta a vincere sulla distanza di seguito titolo europeo, olimpico e mondiale. Speciale sul Mondiale IN ALLEGATO di Pallavolo Maschile

Spqr Sport. Tutti i diritti sono riservati nessuna parte della rivista può essere in alcun modo riprodotta senza autorizzazione

IN PRIMA, i volti di Federica Pellegrini, Daniele De Rossi, Andrew Howe, l’ex nuotatore Carlo Pedersoli, nel cinema, Bud Spencer Numero 4 settembre_2010

Editore Alfacomunicazione Srl Via del Giuba, 9 - 00199 Roma Direttore Responsabile Fabio Argentini Redazione Ufficio Sport Via Capitan Bavastro, 94 - 00154 Roma tel. 06671070315 fax. 06671070364 e-mail: redazione@spqrsport.it grafica@spqrsport.it commerciale@spqrsport.it Art Director Alberto Brunella Stampa Centro Rotoweb Srl - Roma

IN PRIMA, Birarelli, Fei, Mastrangelo, Vermiglio DIFFUSIONE. La rivista è distribuita nel corso degli eventi sportivi dove è presente il Comune di Roma e free press in tutte le piazze più importanti dei XIX municipi romani (l’elenco dei punti è sul web all’indirizzo www.spqrsport.it dove si possono consultare le pagine della pubblicazione). Per ritirare una copia è anche possibile contattare il numero 06.6710.70315 (Ufficio Sport).

In collaborazione con Ufficio Stampa Campidoglio Ufficio Sport Saverio Fagiani, Maria Iezzi Hanno collaborato Andrea Abodi, Luca Aleandri, Antonio Buccioni, Paolo Ciabatti, Dora Cirulli, Ferdy Collo-

ca, Roberto Coramusi, Ernesto Damico, Federica Faiella, Antonio Farinola, Giorgio Franchetti, Andrea Frediani, Giovanna Ianniello, Marco Maceroni, Anita Madaluni, Luca Montebelli, Stefano Moretti, Rosanna Ollano, Luigi Panella, Federico Pasquali, Paolo Quadrozzi, Silio Rossi, Massimo Scali, Umber-

to Silvestri, Fulvio Stinchelli, Elena Turra, Samantha Trancanelli, Emanuela Valente, Christian Zicche. Agenzie e fotografi Photo Partner: Getty Images Paolo Bruno, Luis Castillo, Franco Origlia, Pietro Rolandi. Comune di Roma: Fabio Callini,

Stefano Bertozzi, Marco Catani, Claudio Papi, Claudio Valletti. Hanno collaborato: Aliberti Editore, COL di Roma, Carlo Giuliani, Istituto Luce, Maserati, Pedersoli (arch. priv.), Riva, Ernesto Ruscio (Arch. Priv.),


Si prodigarono validamente, fornendo in un dossier copiosa documentazione: planimetrie, fotografie, disegni, grafici e progetti, raccolti tutti in un chiaro ordine ed illustrati con dovizia di particolari e con eloquenza di cifre. Il budget studiato in quelle pagine non subì sforamento alcuno per una delle Olimpiadi, peraltro, più economiche della storia dei Giochi come ha anche recentemente ricordato l’On. Giulio Andreotti, Presidente di quel Comitato Organizzatore. Le Olimpiadi del 1960 si aprirono il 25 agosto. Furono salutate solennemente alla vigilia anche da Papa Giovanni XXIII insieme ad atleti e dirigenti in Piazza San Pietro citando per l’occasione un motto caro al mondo e di nota provenienza ”Mens sana in corpore sano”. I Giochi si conclusero l’11 settembre. Fu un’edizione di assoluto valore tecnico, un’edizione che ha tramandato nel tempo figure come Wilma Rudolph campionessa americana della velocità vincitrice dei 100 e 200 metri donne, di un certo Cassius Clay che diventerà leggenda come Muhammad Ali, di Abebe Bikila, che fu il primo nero africano a vincere un oro olimpico, arrivando tra l’altro al traguardo della maratona addirittura scalzo. Ma le Olimpiadi del 1960 furono di assoluto valore anche per i colori italiani. Gli azzurri si piazzarono al terzo posto nel medagliere con 13 ori, 10 argenti e 13 bronzi. Meglio dell'Italia fecero solamente l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti, mentre la Germania sfilò ancora unita, pochi mesi prima della costruzione del Muro. L’Italia con tanti eroi dello sport. L’Italia dei 200 metri dell’angelo con gli occhiali, Livio Berruti. L’Italia che fu grande grazie al ciclismo dove si aggiudicò ben 5 titoli su 6, alla scherma, alla ginnastica, all’equitazione dei fratelli Raimondo e Piero D'Inzeo, al Settebello che scrisse una delle pagine indimenticabili della storia della pallanuoto. E al pugilato: trionfavano i pugili italiani, capofila Nino Benvenuti che andrà poi a combattere al Madison Square Garden di New York da professionista di fronte a migliaia di italiani festanti. Ma l’Italia fu grande soprattutto grazie a quegli atleti paralimpici che gareggiarono tracciando quel percorso di esempio ed integrazione che ci ha portato fino ai giorni nostri. Ed ora, pensando ai successi di quella Olimpiade, rimasta più di tutte nel cuore delle persone, la più bella della storia, guardiamo al 2020. Con lo stesso spirito, amore, entusiasmo di allora, nonostante ne sia passata di acqua sotto i ponti del fiume Tevere. Un sincero ringraziamento a chi permise nei vari ambiti tutto ciò 50 anni fa, e a chi ha permesso di ricordarlo in questi giorni di doverose e sentite celebrazioni, con gli stessi valori e stimoli che solo lo sport sa insegnare e divulgare. Perché “una città, Caput Mundi, Eterna, e che si chiama Roma, che ha ospitato i Giochi, rimane una città olimpica per sempre!”

* Dal discorso del 25 agosto 2010. Cerimonia di apertura delle celebrazioni del Cinquantenario di Roma ‘60


ROMA CELEBRA

Piazza del Campidoglio. Roma celebra il 1960

Curiosi e appassionati

Oltre 500 gli invitati alla manifestazione del 25 agosto in Piazza del Campidoglio che apre il programma dei festeggiamenti in ricordo dell’Olimpiade di Roma.

Alla notizia di una serata sull’onda dei ricordi e dalle emozioni forti, tanta è stata la gente che ha assistito tutta intorno ai varchi di accesso

Spazio tecnico Proprio sotto il Marc’Aurelio ha trovato alloggio la consolle e il sistema tecnico per le proiezioni sul palco e sulla facciata di Palazzo Senatorio

Spazio riservato al CONI Atleti, delegati, dirigenti del mondo dello sport si sono ritrovati in un settore loro dedicato. L’occasione per scambiare racconti e ricordi

Quante personalità! Le prime file sono state riservate ai tanti nomi prestigiosi convenuti alla manifestazione

Stampa Frontali rispetto al palco, sono state posizionate le telecamere: circa 100 i giornalisti, i fotografi e gli operatori accreditati

Settore inviti Nel corpo centrale sono stati posizionati tutti gli invitati alla serata. Era presente il mondo della politica, della società e dello sport (Federazioni, Enti di Promozione, Società Sportive di vertice e dilettantistiche, centri sportivi, esponenti delle aziende municipalizzate e dei gruppi sportivi militari, delegazioni straniere, Università, oltre a dirigenti e atleti di ieri e di oggi)

Ufficio Sport Comune di Roma Un settore è stato riservato al mondo dello sport “comunale”: dai Centri Sportivi Comunali ai punti Verde Qualità


spq ort

LA SUA STORIA

di Andrea ABODI foto Callini-Comune di Roma

Il 25 agosto di cinquant’anni fa aveva inizio l’Olimpiade di Roma. Ieri come oggi il tripode viene acceso in Campidoglio per una commemorazione densa d’emozione uando, all’inizio dello scorso anno, è nata l’idea di celebrare i cinquant’anni di Roma 1960, il percorso della candidatura Olimpica e Paralimpica del 2020 era ancora poco più di un pensiero. Un pensiero dal peso specifico straordinario, ma condizionato da variabili che solo dopo alcuni mesi si sarebbero risolte. Eppure, nonostante le incertezze sul futuro olimpico,

Q

l’Amministrazione Comunale decise di ricordare in modo non convenzionale il mezzo secolo dei Giochi della XVII Olimpiade e della I Paralimpiade, ribadendo la volontà di far emergere il ruolo svolto da quell’esperienza nel patrimonio valoriale e infrastrutturale della città. Proprio la volontà di rievocare e far apprezzare Roma 1960, a prescindere dalla candidatura Olimpica del 2020,

L’OLIMPIADE DI ROMA | 15


ancora tutta da costruire, rappresenta un primo fattore positivo che va riconosciuto a chi guida la Capitale. Ma è del tutto evidente che l’altro fattore virtuoso di questo Cinquantenario, organizzato da un Comitato promosso da Comune e Coni e presieduto da Franco Carraro, è rappresentato dalla volontà, anche questa solennemente espressa, di considerare il patrimonio di Roma 1960 le fondamenta sulle quali costruire le ambizioni “a cinque cerchi” dell’Italia. Per un mese, grazie a una staffetta alla quale partecipano passandosi il testimone, giorno dopo giorno, eventi sportivi e culturali, progetti di comunicazione e momenti istituzionali, Roma si specchia nella memoria di mezzo secolo fa, con quel patrimonio del quale la nostra città ha riscoperto le sensazioni e le atmosfere, sancendo definitivamente il legame indissolubile tra la Capitale d’Italia e la dimensione olimpica. Nel frattempo, il calendario di settembre sta sfogliando velocemente le sue pagine e, con i giorni, scorrono anche le immagini e i ricordi dei Giochi olimpici di Roma 1960, dei Giochi italiani: dalle tante opportunità messe a disposizione dalla RAI, in questa occasione più di tante altre veramente “servizio pubblico”, allo straordinario patrimonio audiovisivo “liberato” da una istituzione culturale come Cinecittà Luce e divulgato con successo in chiave multimediale, agli appuntamenti culturali su ROMA ’60 del MAXXI, che ha decretato la modernità di un evento dell’altro secolo, fino al Percorso Museale Olimpico che non poteva trovare miglior sede del Foro Italico, dove i meravigliosi “custodi” dell’Unione Collezionisti Olimpici e Sportivi hanno raccolto il meglio della memorabilia dei “nostri” Giochi. Tutto è iniziato una sera di fine estate. Il 25 agosto, proprio come cinquant’anni fa, Giancarlo Peris ha acceso il bracere olimpico. Allora in uno stadio Olimpico dal quale tracimavano orgoglio, emozioni e spensieratezza, ora in una piazza del Campidoglio nella quale simbolicamente Roma, le sue Istituzioni e i suoi cittadini, hanno scritto una prima pagina di un libro pieno di suggestioni che

torneranno utili nei prossimi mesi. La nostra città, proprio in questa fase di costruzione della sua prospettiva olimpica, ha bisogno di riannodare i fili con quella dimensione umana, in parte perduta, per ispirare chi sarà chiamato a modellare e a dare un’anima al Progetto per il 2020. E se la candidatura Olimpica e Paralimpica di Roma rappresenta un acceleratore di processi di sviluppo in atto, il patrimonio materiale e immateriale di Roma 1960 rappresenta a sua volta un moltiplicatore di motivazioni che devono contribuire a dare ancora maggiore determinazione, senso di responsabilità e profilo etico alla nostra prospettiva olimpica. Roma si giocherà gran parte delle sue chance non tanto

In rappresentanza dei cinque continenti Prima della manifestazione (ed in fretta e furia poiché se avessero spiccato il volo in assenza totale di luce non avrebbero più trovato la strada di casa...) le personalità presenti sul palco hanno liberato cinque uccelli simbolo dei cinque continenti. Nella foto in basso il Ministro Meloni parla mentre, a lato, scorrono le immagini di Roma ‘60 con il volo delle colombe. Questo momento fu abolito dopo l’Olimpiade di Seoul poiché alcuni volatili si posarono sul fondo del braciere e, al momento dell’accensione del tripode, furono travolti dalla fiamma, scatenando forti proteste ambientaliste.

Scorrono le immagini di Roma ‘60. Allo Stadio Olimpico, volano centinaia di colombe nel cielo

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spq ort

I Vigili scortano la storia Uno dei momenti più significativi della manifestazione è stato rappresentato dall’uscita della bandiera dell’Olimpiade di Roma, che viene conservata in una teca proprio nella Sala delle Bandiere in Campidoglio. Il drappo datato 1960, è stato posizionato sul palco da un atleta che fa delle ultramaratone (arriva a correre centinaia di chilometri nel deserto) il suo forte, Massimo Guidobaldi. Ma questi è anche un vigile in forza alla polizia del Campidoglio. Che fossero proprio i vigili a scortare il prezioso pezzo di stoffa era quasi inevitabile visto che sono lì dal 1870 quando si chiamavano “Guardie di Città” ed avevano il comando nel convento dell’Ara Coeli. L’attuale sezione “Arce Capitolina” della polizia Municipale vede la sua nascita come nucleo nel 1990, il cui compito prioritario era quello di presenziare e vigilare le sedute del Consiglio Comunale. Nel corso degli anni ha allargato le sue competenze divenendo lo strumento principale per la sicurezza del Colle Capitolino che a tutt’oggi vede impiegati i propri operatori 24h su 24h. Si occupa inoltre della tutela dei beni artistici presenti sul Colle, del controllo e vigilanza delle manifestazioni che l’Amministrazione organizza in Piazza del Campidoglio e all’interno dei palazzi capitolini (tra gli altri le frequenti visite dei capi di Stato di ogni parte del mondo e del Santo Padre), il controllo e tutela dei giardini comunali. Gli appartenenti alla Sezione Arce Capitolina sono quotidianamente a disposizione delle migliaia di turisti in visita in Campidoglio diventandone un sicuro ed affidabile punto di riferimento. Ad oggi la sezione è composta da 80 elementi guidati e coordinati dal Funz. Roberto Fratarcangeli.

Da sinistra Alessandro Cochi, Delegato alle Politiche Sportive del Comune di Roma, Gianni Petrucci, Presidente del Coni, Gianni Alemanno, Sindaco di Roma, Franco Carraro, in qualità di Presidente del Comitato Promotore per le celebrazioni del Cinquantenario di Roma 1960 e Mario Pescante, Vice-Presidente del Cio

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[ Gli interventi ]

Alessandro Cochi Delegato alle Politiche Sportive del Comune di Roma

Gianni Petrucci Presidente del Coni Luciano Sovena Amministratore Delegato di CinecittĂ Luce

Luca Pancalli Presidente del Cip Franco Carraro Presidente del Comitato Promotore per le celebrazioni del 50nario di Roma 1960

Mario Pescante Vice-Presidente del Cio Don Bragg Atleta Olimpiade di Roma Nino Benvenuti Atleta Olimpiade di Roma Giorgia Meloni Ministro della GioventĂš

Gianni Alemanno Sindaco di Roma


spq ort Lo speciale su Roma 1960 della nostra rivista, 140 pagine di foto e approfondimenti, è stato consegnato a tutti i presenti. Ecco le postazioni di Franco Carraro, Presidente del Comitato Promotore per le celebrazioni del Cinquantenario di Roma 1960 e Gianni Petrucci, Presidente del Coni.

o non soltanto sulle componenti materiali del suo dossier, tra infrastrutture di collegamento, trasporti, impiantistica sportiva, villaggi e relativa finanziabilità. Uno spazio importante, quasi decisivo, potrebbe essere rappresentato dallo spirito, dall’anima di un Progetto che deve dimostrare di saper attingere proprio alla riserva di valori che aiutò gli italiani in quella fase storica, che ispirò coloro che nel 1955 vinsero il confronto

internazionale convincendo i membri del CIO ad assegnare alla Capitale d’Italia i Giochi, traendo spunto dall’opera di tutti quelli che in cinque anni contribuirono a renderla di gran lunga migliore, senza sprechi, senza eccessi e senza troppe polemiche. Questa è una delle tante eredità che Roma 1960 ha lasciato, con o senza prospettiva per il 2020.

Giancarlo Peris fu l’ultimo tedoforo nel 1960, quello che accese il braciere nella tribuna Tevere dello Stadio Olimpico nella cerimonia d’apertura. Eccolo nuovamente accendere il sacro tripode in Campidoglio.

Il tedoforo, cinquant’anni dopo

Le personalità presenti nella prima fila della platea. In piedi, nel momento in cui avviene la significativa accensione del braciere


Effetti di luce grazie al Comune di Roma e ad Acea. Sulla facciata del Colosseo sono state proiettate immagini di Roma 1960. L’Anfiteatro Flavio diviene protagonista di una installazione scenografica elaborata e prodotta dall’architetto Livia Cannella

Pellicole e pagine di ricordi Varie sono state le pubblicazioni che hanno accompagnato le ricorrenze dei cinquant’anni di Roma 1960. Il Corriere dello Sport del Direttore Alessandro Vocalelli, che ha fatto rivivere giorno per giorno sulle proprie pagine gli eventi dell’Olimpiade a cinquant’anni di distanza, ha anche proposto in allegato al giornale il film “La Grande Olimpiade” di Marcellini nello stesso Dvd con la pellicola “Sul filo di Lana” (operazione in collaborazione con Cinecittà Luce ). Anche la nostra rivista ha realizzato uno speciale in collaborazione con Getty Images come anche la rivista del Coni, “Spazio Sport”. Ma importante è stata anche la produzione di libri. Augusto Frasca e Vanni Lorica hanno scritto il libro “Roma Olimpica, la meravigliosa estate del 1960” editore Vallardi. I giornalisti Giorgio Lo Giudice e Valerio Piccioni hanno invece tratteggiato in modo straordinario la figura del maratoneta che arrivò all’arrivo scalzo in “La rivoluzione di Bikila. Una storia d’amore fra l’Etiopia e l’Appia Antica” ed. Bradipo Libri. Spazio e inchiostro anche per i pugili della Olimpiade romana con il libro “L’Oro dei Gladiatori. La magica Olimpiade delle boxe italiana” di Dario Torromeo ed. Vallardi casa editrice impegnata anche in “Livio Berruti. Il romanzo di un campione e del suo tempo” di Claudio Gregori. Ma non è certo finita quì visto che l’autore americano David Maraniss ha tradotto dall’inglese il suo storico libro “Roma 1960”. E la RAI grazie al lavoro del duo Ferretti-Scaramucci ha mostrato i suoi dietro le quinte con “1960: Le Olimpiadi della Tv”. In allegato un Dvd.

Una targa ad Abebe Bikila in via S. Gregorio, tra il Colosseo e il Circo Massimo, luogo che vide il passaggio dell’atleta etiope nella maratona


CON VEG NO

OTO ANU ALL Abebe Bikila, che vinse la maratona scalzo, finalmente, ha la sua targa nel cuore dei Fori. Ed una targa è stata portata da una delegazione di atleti ungheresi che parteciparono a quell’Olimpiade. L’hanno data al Sindaco Alemanno perché la facesse affiggere lì dove quegli ex ragazzi hanno lasciato il cuore: al Villaggio Olimpico dove soggiornarono insieme a tutti gli atleti del mondo. Ma molto è stato studiato anche pensando alla cultura dello sport: la mostra, al MAXXI-Museo delle Arti del XXI Secolo, dell’architetto Moretti e di Roma ‘60, il percorso al Circolo del Tennis del Foro Italico, le visite delle scolaresche, i convegni e le esposizioni che hanno mostrato il meraviglioso mondo di quei XVII Giochi del genio organizzativo italiano.

ROMA STRA NI MO AZIO SSA DEL CONI CERIM ELEG O N N I A RO AD ITA D EZIO S I I SAL A V P E ROI R LIO TURA OP IN CAMPIDOG

Il calendario degli appuntamenti per il Cinquantenario di Roma ‘60

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Un calendario denso di avvenimenti quello partito ufficialmente il 25 agosto, data di inizio dell’Olimpiade del 1960, con la manifestazione in Campidoglio ma che ha avuto un prologo al Coni quando, il 14 luglio, presso il Salone d’Onore, è stato presentato il programma delle iniziative che hanno visto protagonista la città. Si, tutta la città, dal Foro Italico al Campidoglio, da Piazza Navona ai Fori Imperiali, dal Palazzetto dello Sport al Quirinale dove anche il Presidente della Repubblica ha deciso di ricordare quel 1960. C’è stato il tempo di guardare agli eroi della pallanuoto alla piscina del Foro Italico, a quelli della scherma con una esibizione giovanile a Piazza Navona e a quelli del Pugilato: Benvenuti ha incontrato le scuole ed assistito all’incontro dilettantistico Italia-USA così come Livio Berruti ha incontrato le società di atletica. Tra esibizioni di varie discipline, come quella della Ginnastica al Palazzetto dello Sport anche i I PRESENTAZIONE FRANCOB capitani di Roma e Lazio sono stati chiaIMPERIAL OLLO I R O F mati a recitare un messaggio per i AI CEL A L I EBR BIK tifosi presenti richiamante E B E ATI B A l’Olimpiade del 1960. V A

DEI CAPITANI DI LAZIO E AGGI ROM S S A CE E M RIM O ONIA AL

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URA ZIO N

A ARG T E

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano ha invitato, nei giardini del Quirinale tutti i Campioni Olimpici e Paralimpici, estivi e invernali della storia sportiva italiana. Con questo atto ha “chiuso” il periodo dei festeggiamenti per Roma 1960. Nella foto di sinistra un tris di nuotatori: la Pellegrini, Domenico Fioravanti e Massimiliano Rosolino. Nella foto sotto, Napolitano premia i partecipanti alle recenti Olimpiadi Giovanili di Singapore. Nella foto grande, la bandiera tricolore consegnata al Presidente sotto lo sguardo attendo del conduttore Jacopo Volpi.

LE ALTRE INIZIATIVE PER RICORDARE ROMA ’60

Percorso museale al Foro Italico in cui un grande lavoro ha svolto l’Uicos, l’unione collezionisti il cui Presidente è Maurizio Tecardi


di Marco MACERONI foto Getty Images

ncora qualche giorno e il campo coA mincerà a parlare, a regalare i suoi verdetti inoppugnabili. I Mondiali di pallavolo tornano in Italia dopo 32 anni e l’emozione di rivedere l’Italia lottare per il massimo traguardo comincia a pervadere tutti. L’attesa sta per finire il 24 settembre a Milano, con la cerimonia di apertura si aprono le danze, poi in campo con l’Italia impegnata il 25 contro il Giappone. Un girone in discesa quello degli azzurri che contro i rappresentanti del Sol Levante, la Tunisia e l’Iran non dovrebbe avere problemi a superare il primo scoglio e a cominciare la marcia di avvicinamento verso Roma, dove, dal 4 al 10 si giocheranno le sfide conclusive per l’assegnazione del titolo. Gli azzurri nell’ultimo anno sono cresciuti. Anastasi ha rimesso mano ad un gruppo che era andato a corrente alternata negli ultimi tempi restituendogli fiducia. La recente Wold League ha messo in mostra un’Italia in grado di arrivare alla final six, tenere testa alla Russia, battersi con Cuba dimostrando che, pian piano, si sta tornando ai livelli del passato. Mastrangelo, Fei, Vermiglio, sono le punte di diamante di un gruppo omogeneo che vuole a tutti i costi lottare almeno per i primi quattro posti. Non sarà facile perché a questo mondiali sono arrivate, come logico che sia le formazioni più forti e solo riuscire ad arrivare in semifinale sarà impresa ardua. Brasile, campione in carica, Usa, Russia, Cuba, Bulgaria, Polonia campione d’Europa, Serbia, grandi corazzate che si batteranno per il massimo traguardo. I pronostici sono al momento gratuiti, molto dipenderà dallo stato di forma delle squadre al momento di scendere in campo. Quel che appare certo è che, dalla seconda fase in poi, ogni match sarà uno spettacolo tecnico capace di infiammare i palazzetti che già annunciano il tutto esaurito. Le ventiquattro Nazioni si divideranno progressivamente in nove città: Milano, Torino, Trieste, Verona, Modena, Firenze, Ancona, Reggio Calabria, Catania. La prima fase vedrà in sei gironi, ognuno di quattro squadre, ospitati in altrettante città, Verona, Modena, Reggio Calabria, Torino, Trieste e Milano. Per gli azzurri sarà naturalmente determinante il pubblico, capace di trascinare il sestetto azzurro, di giocare il ruolo di “settimo” in campo. Roma ha già accompagnato il secondo posto, storico e da considerarsi davvero un eroica impresa, della nazionale di Carmelo Pittera, anno di grazia 1978, ma anche la splendida vittoria nell’Europeo del 2005 dei ragazzi allora guidati da Montali. E il Palalottomatica, Roma, riscoprirà l’amore per la nazionale, un amore spesso ricambiato con splendide imprese. Si, manca poco, e la febbre cresce. Forza Azzurri non ci deludete… MONDIALI DI VOLLEY 2010 | 22


Dal 24 settembre al 10 ottobre 2010. A Roma la Finale Parola a Luciano Cecchi, Direttore Esecutivo del Comitato Organizzatore: «Sarà un evento memorabile». na vita dedicata alla pallavolo, prima come giocatore, poi allenatore a soli 20 anni. Nel 1989 é stato nominato presidente della Commissione Nazionale Allenatori, carica che ha ricoperto sino al 1992. Nel 1993 è stato nominato presidente del Comitato Regionale FIPAV. Un incarico che ha saputo gestire con grandi capacità, dando un impulso manageriale e professionale all’attività della pallavolo nella nostra regione. Durante il suo mandato sono nate iniziative come “Volley Scuola” giunto quest’anno alla XVII edizione; la Capitale ha ospitato eventi di grande coinvolgimento come il Trofeo delle Regioni che per due anni consecutivi ha vissuto a Roma edizioni memorabili; gli Europei del 2005; le partite della World League. Luciano Cecchi è oggi vice-presidente della FIPAV e recita un ruolo importante nell’organizzazione di Volley 2010 in qualità di direttore esecutivo del Comitato Organizzatore. La sua esperienza sarà un collante importante per il successo di questa edizione. «Roma negli ultimi anni -racconta Luciano Cecchi- ha recitato un ruolo importante per la pallavolo. Il successo organizzativo di tante manifestazioni, Europei del 2005 su tutti, ha fatto in modo che fossimo scelti dalla FIVB per l’organizzazione delle finali di questo Mondiale. Stiamo lavorando per regalare al mondo del volley, ai romani e a chi vorrà venire ad assistere a questo grande evento, un’edizione memorabile che resterà scolpita nella memoria di tutti». Il Mondiale torna a Roma dopo 32 anni. Nella storia del Volley Roma 1978 rimane un momento indelebile. «Ricordo quell’edizione con grande emozione. Il Mondiale del ’78 per quelli della mia generazione si è trattato della prima, vera, grande manifestazione di pallavolo in Italia. Il successo fu travolgente. Ricordo che fui scelto per far parte di tecnici che

U

seguivano il famoso allenatore giapponese Matzuraida. Fu un’esperienza straordinaria. Ho seguito direttamente l’evento dal di dentro. Con il passare delle giornate l’entusiasmo cresceva. Per semifinali e finali, con l’Italia protagonista, il Palazzo dello Sport era sempre più gremito. La voglia di esserci diventava palpabile. All’epoca nell’impianto non c’erano seggiolini, gli spalti erano spalti liberi, la capienza era di gran lunga superiore eppure non c’era uno spazietto libero. L’Italia di Pittera conquistò un secondo posto storico. È nata la favola del “Gabbiano d’argento”. Non dimenticherò mai quell’Italia-Russia, perdemmo ma dimostrammo di essere grandi. Il pubblico fu straordinario, trascinò la squadra dal primo all’ultimo punto. È evidente che Roma e la sua gente furono determinanti per i successi azzurri, come del resto nel 2005 per gli Europei». Ne è passata di acqua sotto i ponti da quel 1978. Cecchi ha percorso tutte le tappe fino all’importante ruolo odierno. «Amo questo sport, l’ho giocato, ho allenato e poi ho fatto il dirigente. Spero di aver dato e di poter dare ancora il mio contributo. Il mondiale di oggi lo sto vivendo con grande partecipazione visto il coinvolgimento organizzativo. Sto vedendo grande fermento, tante persone con una passione immensa stanno lavorando per far si che questo sogno tanto atteso si realizzi nel migliore dei modi e rimanga scolpito nei ricordi di tutti quanti». Sarà anche il Mondiale dei volontari. «È incredibile quanta richiesta abbiamo avuto di gente che vuole esserci per dare il proprio contributo. Speriamo di poter far partecipare tutti. Il loro contributo sarà determinate per la riuscita dell’evento, crediamo che potranno vivere un’esperienza unica, emozionante e professionalmente costruttiva. Un ricordo da conservare gelosamente nella propria memoria».

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IL PALAZZO DELLO SPORT dal 1956 ealizzato per le Olimpiadi del 1960, cinquant’anni fa: il Palaeur, dal nome del quartiere che lo ospita, sorge su una R collina dalla quale domina il lago artificiale lungo 900 m. Occupa una superficie di 11.680 mq ed è alto quasi 25 metri. Nella tribuna furono predisposti allora 20 spogliatoi, sale riunioni, uffici per i giudici, 196 posti riservati alla stampa in 500 mq. L’edificio, rivestito da vetrate, fu pensato in cemento armato. La sala di gara era illuminata da 1.800 lampade. La cupola fu costruita in alluminio anodizzato verde chiaro con12 condizionatori (nel 1960 uno dei più grandi sistemi di condizionamento al mondo). La capienza, di un impianto che costò 1 miliardo e 900mila lire, era di 15.000 posti. Il Palazzo dello Sport è un si-

gnificativo esempio di architettura italiana, progettato dall'ingegner Pierluigi Nervi nel 1956 in collaborazione con Piacentini. Viene annoverato tra i capolavori dell’architettura italiana del XX° secolo.

IL PALALOTTOMATICA METTE A DISPOSIZIONE

Nel novembre 2000 il Palaeur è stato acquisito in concessione per 12 anni da All Events S.P.A., società controllata da ForumNet S.p.A. A seguito di interventi di ristrutturazione e adeguamento normativo è diventato una struttura polivalente, multifunzionale, fruibile 365 giorni l'anno. Dal mese di settembre del 2003 il PalaLottomatica si ripresenta al grande pubblico come la più grande struttura per eventi presente nella Capitale, in grado di ospitare congressi da 700 persone o grandi manifestazioni con oltre 11.000 partecipanti. I lavori di ristrutturazione hanno migliorato l'acustica, ampliato la super-

• una grande area di 3.500 m2 che può ospitare da sola esposizioni o cene fino 2.000 persone sedute; • un’area esterna di 20.000 m2 con terrazza panoramica sul laghetto dell'EUR di 2.700 m2; • un ristorante con capienza fino a 300 coperti; • la sala Tevere, una nuovissima sala convegni per 300 persone; • 8 punti bar; • 1 spazio catering attrezzato a quota parterre. DIVERSAMENTE ABILI I percorsi segnalati fin dai principali ingressi alla struttura danno la possibilità al disabile con

ficie esterna fino a 20.000 m2 e attrezzato una splendida terrazza nel verde da 2.700 m2: un nuovo spazio flessibile, che viene offerto agli organizzatori per gestire i propri eventi. All’interno del PalaLottomatica vi sono 8 punti di ristoro. In occasione di convention ed eventi legati al mondo aziendale, è prevista la possibilità di gestire in modo personalizzato anche il servizio bar, offrendo all'azienda una scelta di prodotti pensati su misura, sollevando l'organizzatore dalle problematiche legate alla logistica e tempistiche di un catering. Spazi espositivi interni ed esterni sono predisposti per essere fruiti da ogni tipo di utenza.

difficoltà motorie di raggiungere le entrate del Palalottomatica che, per le sue caratteristiche architettoniche, presenta pochi impedimenti ed è in gran parte percorribile senza disagio. Sono presenti: • n. 36 posti riservati a diversamente abili; • n. 2 piattaforme per diversamente abili da quota parterre a quota spazi espositivi; • n. 1 piattaforma per disabili da quota spazi espositivi a quota anello intermedio (quota palchi vip); • servizi igienici per disabili a tutti i livelli; • spazi di sicurezza (spazi calmi) in caso di emergenza.

Volly, la mascotte del Mondiale


IL MEDAGLIERE MASCHILE DEI MONDIALI ORO 2009 2005 2003 2001 2000 1999 1999 1998 1997 1996 1995 1995 1995 1994 1994 1994 1993 1993 1992 1991 1991 1990 1990 1990 1989 1983 1970 1959

Pescara Giochi del Medit. Bernardi Roma Europeo Montali Berlino Europeo Montali Tunisi Giochi del Medit. Kim Ho Chul Rotterdam World League Anastasi Vienna Europeo Anastasi Mar del Plata World League Anastasi Tokyo Mondiale Bebeto Mosca World League Bebeto Tokyo World Super Six Fivb Velasco Tokyo Coppa del Mondo Velasco Atene Europeo Velasco Rio de JaneiroWorld League Velasco Tokyo World Super Four Fivb Velasco Atene Mondiale Velasco Milano World League Velasco Tokyo Grand Champions Cup Velasco Turku Europeo Velasco Genova World League Velasco Milano World League Velasco Atene Giochi del Mediterraneo Velasco Rio de Janeiro Mondiale Velasco Seattle Goodwill Games Velasco Osaka World League Velasco Stoccolma Europeo Velasco Rabat Giochi del Mediterraneo Prandi Torino Universiadi Federzoni Beirut Giochi del Mediterraneo Trinajstic

Una storia quella della nazionale italiana che è correlata di grandi vittorie, di trionfi importanti in tutte le competizioni internazionali di maggior livello. Agli azzurri manca probabilmente nel palmares soltanto l’oro Olimpico, dove comunque ha conquistato due secondi ed un terzo posto. Complessivamente l’Italia ha vinto 28 ori, 13 argenti e 7 bronzi in grandi manifestazioni, dal 1948 ad oggi il volley azzurro è tra le nazionali più competitive.

L’intervista

ARGENTO 2004 2004 2003 2001 2001 1996 1996 1991 1990 1989 1978 1975 1963

Atene Olimpiadi Montali Roma World League Montali Tokyo Coppa del Mondo Montali Ostrava Europeo Anastasi Katovice World League Anastasi Atlanta Olimpiadi Velasco Rotterdam World League Velasco Tokyo Europeo Velasco Tokyo World Super Four Fivb Velasco Tokyo Coppa del Mondo Velasco Roma Mondiale Pittera Algeri Giochi del Mediterraneo Anderlini Napoli Giochi del Mediterraneo Trinajstic

Madrid World League Sydney Olimpiadi Tokyo Coppa del Mondo Eindhoven Europei San Paolo World League Los Angeles Olimpiadi Roma Europeo

PRIMA FASE: dal 25 al 27 settembre (Orari: 17-21). SECONDA FASE: dal 30 settembre al 2 ottobre (Orari: 17-21). TERZA FASE: dal 4 al 6 ottobre (Orari: 17-21). SEMIFINALI: 8 e 9 ottobre (Orari: 17-21). FINALI: 9 e 10 ottobre (Orari: 17-21).

Il Giappone per gli azzurri GRUPPO A - MILANO

Italia Egitto

GRUPPO B - VERONA

Giappone Iran

GRUPPO C - MODENA

BRONZO 2003 2000 1999 1997 1993 1984 1948

IL CALENDARIO E I GIRONI Si parte il 25 settembre

Montali Anastasi Anastasi Bebeto Velasco Prandi Costa

Russia Australia

Spagna Tunisia

GRUPPO D - REGGIO CALABRIA

Portorico Camerun

GRUPPO E - TORINO

Bulgaria Francia

Brasile Cuba

Usa Venezuela

Argentina Messico

GRUPPO F - TRIESTE

Cina Rep. Ceca

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Serbia Germania

Polonia Canada


È stato un simbolo del volley italiano da allenatore di una squadra invincibile. È stato anche dirigente nel calcio, con la Lazio. Ed ora sfida gli Azzurri... Con l’azzurro nel cuore di Paolo CIABATTI ulio Velasco, non solo il tecnico, il leader di quella nazionale “dagli Occhi di Tigre” che seppe conquistare il Mondo. Due Mondiali consecutivi, dal ‘90 al ‘94, e tanti altri trionfi. Arriverà alla guida della Spagna, penserà ovviamente alla sua nazionale ma è chiaro che tornare da noi per disputare un mondiale non può che scatenare una ridda di emozioni nella testa e nel cuore.

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Che sapore ha per lei il Mondiale che ci sarà in Italia? «Giocare un Mondiale in Italia è una cosa davvero speciale. In passato sono tornato a giocare in Argentina, alla guida della Repubblica Ceca, l’emozione è stata forte. ma ritornare a giocare nel luogo dove ho vinto tanto sarà un’emozione straordinaria. L’Italia è un Paese che mi ha dato tanto, mi piacerebbe un giorno tornare ad allenare un club in Italia. In futuro vedremo, magari dopo le Olimpiadi di Londra». La sua nazionale ci aveva abituato a dominare il mondo, fu un epoca fantastica fatta di grandi successi. Perché oggi non si vince più? «Quando arrivai in nazionale ricordo che scommisi su quel gruppo. Chiesi pochi soldi sicuri e premi per i piazzamenti che contano. Alcuni dirigenti rimasero basiti, ma io ci credevo, noi tutti ci credevamo. Il primo anno, nel 1990, diventammo Cam-


maggiore. Sono ottimista per quel che riguarda l’Italia. E poi se non ci credono gli azzurri con giocatori come Fei, Vermiglio, Cernic e Mastrangelo io mi domando che cosa debba fare io con la mia Spagna. Gli uomini di Anastasi possono e devono aspirare al massimo».

pioni del Mondo. Abbiamo continuato a vincere molto, per più di 10 anni l’Italia era la nazionale leader, la squadra da battere. Io sono andato via ma gli azzurri hanno continuato. Siamo ancora l’unica squadra ad aver vinto tre mondiali di seguito. Siamo stati la squadra del secolo scorso. Ad un certo punto forse è subentrata la convinzione che si dovesse vincere per volontà divina. Ci si è rilassati, è mancata la fame, gli stimoli. È stato un problema di mentalità, hanno pagato gli allenatori ma non era certo colpa dei tecnici. Cambiare rotta è dura. Credo però che ora si stia facendo un buon lavoro e che l’Italia possa tornare ai vertici». Ha più volte detto che la definizione Generazione di Fenomeni è stato un bene e un male. «Secondo me, non è giusto sobbarcare di troppa responsabilità le nuove formazioni azzurre, è ingiusto fare sempre il confronto con quei giocatori. La Polonia per un certo periodo vinse tutto e poi è stata senza vincere 33 anni, il Giappone e l’Argentina lo stesso. Solo gli Usa di Kiraly, dopo i successi, hanno saputo programmare e sono tornati a vincere. L’impressione in Italia è che si sia seduti ad aspettare che nasca un’altra generazione di campioni, ma forse si dovrebbe capire le motivazioni, gli sforzi e il lavoro in palestra che facevano i Giani, i Bernardi e i Gardini, per diventare quello che sono stati. Si sono sempre impegnati per migliorare i propri difetti. Secondo me erano fenomeni per come lavoravano. La regola del minimo sforzo nello sport non ha mai pagato. Io ai giocatori e agli allenatori dico sempre: la realtà è come è e non come noi vogliamo che sia». Crede in questa Italia? «Penso che con i giocatori e l’atteggiamento possa dimostrare di essere competitiva. Giocare il Mondiale in casa darà loro una spinta

A proposito della Spagna, siete in un girone di ferro «Mah! C’è il Brasile che secondo me è sempre la squadra più forte. La mia paura è che possano realizzare un altro ciclo di quattro anni vincendo tutto. Poi nel nostro girone c’è Cuba che per me può fare bene, e la sensazione è che nessuno la voglia incontrare in una partita secca. Diciamo che è un gruppo difficile, ma abbiamo la Tunisia. Battendola passiamo, e se arriviamo terzi, incrociamo il gruppo dell’Italia, che non è irresistibile. Diciamo che la prima parte del mondiale non è pericolosa, ma se si commette un errore con la Tunisia è ovvio che siamo fuori». La Tunisia davvero non fa paura? «La Tunisia è una squadra in ascesa, con l’Egitto, rappresentano il continente africano e stanno investendo molto sulla pallavolo e sui giovani, ma ci sono ancora tante squadre più grandi davanti a loro. Come ogni gara c’è da giocarla, e se si gioca male si perde con chi che sia, anche la Tunisia. Noi dobbiamo giocare bene». Cercherete di dosare per arrivare lucidi al turno successivo? «Dosare le forze nel primo girone è fondamentale. Se potessimo arrivare secondi sarebbe bello, ma Brasile e Cuba sono dure. Confido nella tradizione che vede Cuba non molto continua. Questa formula però, superato il primo turno ci permette di non incontrare le squadre forti fino alle semifinali». Conoscendo i segreti di molti palazzetti, la luce, il calore dl pubblico, lei crede che la sua Spagna possa avere chance di arrivare tra le prime quattro? «È difficile ma non impossibile. Quando rimarranno 12 squadre vedremo. Il nostro Comitato Nazionale ha fissato come obiettivo di arrivare tra le prime 8. Ma quando si scontrano le squadre forti tutto può succedere. Mi rammarica che molti giocatori durante l’arco di quest’anno si so-

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no allontanati dalla nazionale per limiti d’età o per qualche grave infortunio. Al mondiale molto dipenderà da quanto saremo stati bravi a velocizzare l’estate il processo di crescita dei nostri giovani atleti». Allargando il campo al movimento italiano Giani ha detto che manca una programmazione a livello giovanile e che si investe poco su questo settore, L’M.Roma però ha fatto segnare un’inversione di tendenza che ha pagato con la promozione in A1. «Sono d’accordo con Andrea. Il problema in Italia affonda le radici nel tempo. Si crede poco nei giovani. Sono usciti fuori alcuni talenti, ma a fronte dei Zaytzev e dei Parodi, dietro c’è poco. Preoccupa ad esempio che la Nazionale Juniores non si è qualificata per i mondiali. Quando si dice che c’è meno settore giovanile oggi rispetto agli anni novanta è una bugia. Il numero dei tesserati oggi è maggiore. Una volta il settore giovanile lo facevano solo Falconara, Fano e qualche altra squadra oggi la base è più larga. Io non lavoro in federazione, ma bisognerebbe capire quali sono i programmi. Anni fa c’era la Junior League dalla quale è uscito Mastrangelo, era una competizione che ha prodotto giocatori, era un progetto che è stato abbandonato e dagli stessi dirigenti che oggi dicono che non c’è settore giovanile. Giani ha iniziato con me, e credo che abbia trasmesso ai suoi giovani una buona mentalità, ma è altrettanto importante che sia stato appoggiato da una grande dirigenza alle spalle. Ed i risultati si vedono». Velasco quando era dirigente nel calcio e nella Lazio. Nella foto è con Dino Zoff e Sergio Cragnotti. Vinse la coppa delle Coppe in biancoceleste


Sono nate le prime Olimpiadi giovanili della storia, disputate in agosto a Singapore. L’Italia ha chiuso quinta nel medagliere

NELLA FOTO ALCUNI DEI GIOVANI ATLETI DELLA SPEDIZIONE AZZURRA A SINGAPORE SONO PRESENTATI AL CONI. CON LORO IL PRESIDENTE E IL SEGRETARIO GENERALE DEL CONI, STEFANO PETRUCCI E RAFFAELE PAGNOZZI

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PASQUALI foto Bruno-Getty Images

nno 2010: nascita dei Giochi olimpici giovanili. La data non resterà memorabile quanto quella del 1896, anno della nascita dei Giochi olimpici moderni, ma pur sempre di una data importante per lo sport mondiale si tratta. Non proprio incensati da tutti questi primi Youth Olympic Games svoltisi a Singapore in agosto. Critiche sono arrivate dalla stampa internazionale, che ha accusato il Cio di aver organizzato la rassegna anche per fini commerciali. In effetti atleti di 18 anni che gareggiano in un evento con limiti d’età sembra un po’ fuori tempo. In alcune discipline sportive, ad esempio, alla maggiore età c’è chi ha già conquistato qualche oro olimpico. Tuffi, nuoto, ginnastica artistica, solo per citare alcuni sport, hanno avuto i loro baby campioni nelle diverse edizioni delle Olimpiadi estive. Critiche, o lodi a parte, i Giochi olimpici giovanili hanno comunque lasciato un segno tangibile nella storia dello sport internazionale. Riunire giovani e giovanissimi atleti di tutto il mondo sotto la bandiera dell’olimpismo, è stato pur sempre un modo per fargli assaggiare lo spirito dello sport universale. Per ciò che concerne la spedizione azzurra non si può far altro che parlare di successo straordinario. L’Italia, presente con 61 atleti, ha chiuso al quinto posto nel medagliere grazie alla conquista di 25 medaglie. Nel dettaglio, gli azzurri hanno vinto 8 ori, 10 argenti e 7 bronzi in 10 delle 19 discipline sportive presenti agli Youth Olympic Games. Nessun Paese dell’Europa occidentale è riuscito a fare meglio, e nemmeno gli Stati Uniti. Il medagliere è stato vinto dalla Cina, seguita da Russia, Corea del Sud, Ucraina e appunto Italia. Analizzando le discipline nel dettaglio, come per i Giochi olimpici estivi la scherma l’ha fatta da padrone con 6 medaglie conquistate delle quali 4 d’oro. Nella speciale classifica per sport seguono il nuoto con 5 medaglie, ginnastica e atletica con 4, ciclismo, tiro con l’arco, pugilato, vela, equitazione e judo con 1. Una spedizione felice, dunque, che in prospettiva fa ben sperare sulla crescita di atleti che potranno conquistare, un giorno, medaglie olimpiche. E, pensando che molti dei campioni di Singapore hanno poco più di 15 anni, tanti di loro potrebbero essere i protagonisti dei Giochi olimpici del 2020, quelli che Roma sta cercando con convinzione di ospitare.

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Ha 16 anni, la sua è una delle discipline più faticose, il pentathlon moderno. Nel 2020, anno di una possibile Roma Olimpica, potrebbe essere una delle nostre atlete di punta. Ma come nasce, cresce, si prepara a diventare grande una giovane sportiva in Italia? Abbiamo raccontato la storia di Gloria... in rappresentanza di tutti gli altri

PICCOLE STELLE CRESCONO Gloria Tocchi, Roma 1993, Pentathlon


PICCOLE STELLE CRESCONO

HOBBY E PASSIONI I tuoi hobby? «Avendo poco tempo non molti. Mi piace leggere i romanzi». Il programma preferito in tv? «Film e telefilm di qualsiasi genere». La vacanza da sogno? «Maldive o Carabi». Piatto preferito? «Mangio tutto». Pasta o pizza? «Pizza». Birra o Cola? «Cola». Squadra del cuore? «Il calcio non lo seguo, non mi interessa proprio». Cane o gatto? «Gatto». Abbigliamento preferito? «Jeans e scarpe da ginnastica: sono un’atleta». Portafortuna in gara? «Nessuno». Come si chiama il tuo fidanzato? «Non ce l’ho».

Gloria Tocchi: pentatleta che sogna i giochi del 2020… in casa ovviamente ra i 61 atleti della spedizione azzurra agli Youth Olympic Games abbiamo scelto di farci raccontare l’esperienza da Gloria Tocchi, 16enne romana che ha scelto di praticare uno degli sport più difficili del panorama, il pentathlon moderno (scherma, nuoto, equitazione, tiro e corsa). Uno sport che vede la maturazione del pentatleta intorno ai venticinque anni, quindi Gloria potrebbe essere una delle protagoniste dei Giochi olimpici del 2020, quelli che Roma potrebbe organizzare. Partiamo dalla partecipazione ai Giochi olimpici giovanili.

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Che esperienza è stata? «Per una pentatleta molto importante perché nel nostro sport a questa età non hai possibilità di gareggiare in molti grandi eventi».

Giochi olimpici. Comunque è stata un’esperienza che mi ha fatto maturare di più e capire come gestire le situazioni difficili in una gara importante». Cosa che già ti è riuscita in passato visto che hai già vinto gare internazionali. «Si ma a Singapore era diverso perché l’ambiente stesso ti faceva sentire protagonista in un altro modo». Arriviamo a te: da quanto pratichi il pentathlon moderno? «Dall’età di sei anni». Perché hai scelto questa difficile disciplina? «Da ragazzina praticavo ginnastica artistica mentre mio fratello Leonardo giocava a basket e l’altro fratello Lorenzo il pentathlon moderno. Mia madre Stefania girava come una trottola e un giorno ci ha chiesto di praticare tutti lo stesso sport. Ha vinto Lorenzo e anche mio padre Mauro, professore di educazione fisica, e tutti e tre abbiamo proseguito con il pentathlon».

Che effetto ti ha fatto vivere nel villaggio e gareggiare dentro impianti così moderni e imponenti? «Il villaggio è stata un’occasione per conoscere molte persone e trovare nuovi amici, quindi un’esperienza molto positiva. Lo stesso vale per i luoghi di gara, anche se non essendo abituati un po’ di tensione aggiuntiva c’era».

I tuoi fratelli sono ancora pentatleti? «No, hanno smesso».

L’hai presa come una prova generale per l’Olimpiade? «Ancora ce ne è di strada da fare per arrivare a partecipare ai veri

Quando hai iniziato a gareggiare con la maglia azzurra? «A quattordici anni la prima convocazione».

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Ai recenti Youth Olympic Games la prova di tiro del pentathlon moderno si è svolta per la prima volta con una pistola laser al posto della tradizionale. La variazione è stata sperimentata con successo, quindi sarà adottata ufficialmente per la prima volta ai Giochi di Londra.

LA DISCIPLINA PIÙ DURA Il pentathlon moderno è uno sport multidisciplinare in cui gli atleti competono in cinque diverse discipline: Tiro a segno, Nuoto, Scherma, Equitazione, Corsa. L'aggettivo "moderno" serve a distinguerlo dall'"antico" che veniva praticato nelle Olimpiadi antiche, le cui cinque prove erano salto in lungo, lancio del giavellotto, corsa, lancio del disco e lotta.

TIRO A SEGNO E CORSA È una prova combinata di tiro e corsa nella quale si alternano una serie di tiri (in cui si devono colpire 5 bersagli in un tempo massimo di 1'10") e 1000m di corsa da eseguire per tre volte. I colpi di tiro si effettuano in posizione eretta con pistola da 4,5 millimetri ad aria compressa ed il bersaglio è fisso e posto ad una distanza di 10 metri.

NUOTO La prova si svolge sui 200 metri a stile libero. La maggior parte delle volte la gara si svolge in vasca corta (25 metri), ma ai fini del regolamento si può gareggiare anche in vasca olimpica (50 metri).

SCHERMA L'arma utilizzata è la spada. La gara si svolge con la formula del round robin, cioè ogni concorrente affronta a turno tutti gli avversari. Ogni assalto dura un minuto, e il primo che mette a segno una stoccata vince. Se in un minuto nessuno mette a segno la stoccata, entrambi perdono l'assalto.

EQUITAZIONE Si tratta di salto a ostacoli su un tracciato lungo 350-450 metri su cui sono posti 12 ostacoli per un totale di 15 salti. L'abbinamento tra cavaliere e cavallo avviene per sorteggio, dopo il quale il cavaliere ha a disposizione 20 minuti prima della partenza della prova per conoscere il cavallo ed effettuare un massimo di 5 salti di riscaldamento.


spq ort maglia azzurra mi sento orgogliosa, quindi quando vengo convocata mi fa molto piacere». C’è una o un pentatleta al quale vorresti somigliare? «Senza dubbio a Claudia Corsini (la romana che nel 2005 vinse il titolo mondiale individuale, unica italiana di sempre capace dell’impresa). Sarebbe un sogno diventare forte come lei e vincere quello che ha vinto in carriera». Nel 2020 sarai nel pieno della maturità agonistica: a Roma ci potrebbero essere i Giochi olimpici… «Diciamo che intanto sogno di partecipare a quelli di Rio de Janeiro del 2016. Poi se dovessero organizzare l’Olimpiade del 2020 a Roma più che sognare di parteciparvi cercherò la qualificazione con i denti. Sarebbe la realizzazione del sogno della vita gareggiare in casa nel massimo evento sportivo».

Quante volte ti alleni? «Tutti i giorni tranne la domenica. La mattina vado al liceo e il pomeriggio mi alleno almeno in due discipline. E lo studio? «È dura, ma finora sono stata sempre promossa». Tempo libero nemmeno a parlarne. «La domenica, quando non gareggio. La mattina recupero lo studio, poi esco con gli amici, ma le uscite sono sempre limitate».

Ma non ti piace faticare? «Si, anzi, ho parecchia forza di volontà, ma le prove tecniche riesco ad affrontarle meglio». Hai un soprannome? «Un nomignolo più che altro: glo glo». Sei spesso in raduno con la nazionale: alla tua età ci si rompe a stare chiusi in un centro federale? «A me piacciono i raduni perché sto molto bene insieme ai miei compagni. Poi quando vesto la

A scuola parli mai del tuo sport con i compagni? «Quasi mai. Mi chiedono solo quando gareggio e come sono andata dopo la gara, ma niente di più». Quattro discipline praticate: qual è quella in cui ti senti più forte? «La scherma è quella dove vado meglio». Poi? «Il tiro con la pistola è un altro mio punto di forza». E il nuoto? «Mi piace molto ma non sono tra le più forti. Il livello internazionale è molto alto e io ho ancora tempi discreti». La corsa? «Me la cavo ma non sono tra le più brave».

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25 SORRISI AZZURRI

La spedizione azzurra alla prima edizione degli Youth Olympic Games è stata molto positiva. Sessantuno gli atleti in gara, venticinque le medaglie conquistate in 10 delle 19 discipline sportive previste: meglio di qualsiasi altro Paese dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti

LE MEDAGLIE AZZURRE AGLI YOUTH OLYMPIC GAMES ORO Anna CLEMENTE (Atletica – 5000 Km marcia) Valentina ISOARDI (Equitazione – concorso a squadre) Gloria FILIPPI (Tiro con l’Arco – mix team) Flavio BIZZARI (Nuoto – 200 rana) Marco FICHERA, Camilla MANCINI, Leonardo AFFEDE, Alberta SANTUCCIO, ed Edoardo LUPERI (Scherma – gara a squadre continentali) Edoardo LUPERI (Scherma – fioretto) Marco FICHERA (Scherma – spada) Camilla MANCINI (scherma – fioretto) ARGENTO Veronica FANCIULLI (Vela/windsurf) Carlotta FERLITO (Ginnastica Artistica – trave) Fabio TURCHI (Pugilato – 91 Kg) Marco LORENZI (Atletica – staffetta mista) Alessia TROST (Atletica – salto in alto) Nicolas MARINI, Andrea RIGHETTINI, Mattia FURLAN e Alessia BULLERI (Ciclismo Mtb/Bmx/Crono/Strada) Elena DI LIDDO (Nuoto – 50 m. farfalla) Martina CARRARO (Nuoto – 50 m. rana) Alberta SANTUCCIO (Scherma - spada) Leonardo AFFEDE (Scherma – sciabola)

Flavio Bizzarri durante la competizione per Giochi Olimpici Giiovanili con i 100 metri rana.

BRONZO Anna BONGIORNI (Atletica - staffetta mista) Carlotta FERLITO (Ginnastica Artistica – concorso generale) Carlotta FERLITO (Ginnastica Artistica – volteggio) Ludovico EDALLI (Ginnastica Artistica – parallele pari) Fabio BASILE (Judo - a squadre miste) Tommaso ROMANI (Nuoto - 50 m. farfalla) Flavio BIZZARRI (Nuoto – 100 rana)

Sul podio Massialas per gli USA, Edoardo Luperi per l’Italia e Kwang Hyun Lee per la Corea. Rispettivamente medaglia d’argento, oro e bronzo per il fioretto individuale.

Tommaso Romani mostra la sua medaglia d’argento vinta nei 50 metri farfalla.

Anna Clemente celebra la sua vittoria per i 5000 metri allo stadio Bishan Sport.

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spq ort L’inaugurazione della mostra al Circolo del Tennis con la Marcellini in prima fila. Da sinistra, Roberto Fabbricini del Comitato Roma ’60, l’atleta olimpico Don Bragg (che impersonò Tarzan...), e dietro di lui Maurizio Tecardi dell’Unione Collezionisti tra gli organizzatori della mostra.

Luciana Marcellini

DODICI ANNI, ATLETA OLIMPICA! una donna da guinness. Attualmente vicepresidente del Comitato del Fair Play, ha iniziato a nuotare all’età di nove anni e ancora oggi quasi si meraviglia di come sia ricordato con affetto il suo primato e di quanto si parli della sua storica impresa nel nuoto. «Può sembrare strano- ammette candidamente - ma al momento non mi ero resa proprio conto di quanto fosse speciale quello che stavo vivendo e la mia partecipazione alle Olimpiadi. All’epoca pensavo di aver fatto una cosa normale, nuotavo già da tre anni, mentre oggi ripensandoci, mi rendo conto di aver compiuto una grande impresa. Ho iniziato a nove anni, i miei genitori desideravano che imparassi a nuotare. E così è cominciata la mia meravigliosa avventura».

È

E in soli tre anni si è ritrovata addirittura alle Olimpiadi. «Esattamente. Ho ottenuto vari brevetti e la prima volta fui persino bocciata. Ci rimasi malissimo, ma la bocciatura mi è servita per forgiare il carattere e dopo poco tempo mi sono rifatta. A undici anni arrivai al primo posto nella competizione nazionale “Le Stelline del mare” nello stile libero e più tardi sono arrivate le Olimpiadi nel 1960 nello stile rana. Ma ripeto, non mi sembrava di aver fatto una cosa eccezionale. Non ho mai nuotato e gareggiato per arrivare prima, ho sempre pensato di dovermi impegnare al massimo semplicemente perché credo che

bisogna fare sempre le cose nel modo migliore. Tutte le cose: questo fa parte della mia filosofia di vita, dare il massimo e contare sulle proprie forze. Poi c’era mia madre che mi teneva comunque coi piedi per terra, ricordo che non mi faceva leggere mai gli articoli che scrivevano su di me e mi permetteva raramente di vedere la televisione. Questo mi ha reso una persona normale. Conservo ovviamente tutti i ritagli dei giornali di quel periodo, da “Oggi” a “Gente”, a “Famiglia Cristiana” e mio padre tiene tutto con cura». Ha smesso di nuotare presto? «Sì, perché ero consapevole che la vita non poteva essere solo nuotare. Sicuramente quello che ho fatto è stata una parte importante del mio passato che ricordo con emozione, ma sapevo che non poteva durare per sempre e avevo voglia di mettermi alla prova in altre situazioni». In chi rivede qualcosa di lei nei giovani d’oggi? «Le dico che quando Federica Pellegrini cominciò a nuotare, mi chiamarono due giornalisti che mi parlarono di questa ragazza dicendomi testualmente che già in lei si vedeva “ un po’ di quella grinta che avevo io”. Vidi in seguito una sua foto di quando aveva 16 anni e riconobbi nel suo sguardo proprio quella grinta che mi apparteneva e di cui mi avevano parlato. Si capiva che ce l’avrebbe fatta».

È stata la più giovane atleta al Mondo ad aver partecipato ad una Olimpiade. E il suo record dura ancora... TRANCANELLI


PELLEGRINI

FEDERICA


L’INTERVISTA di Christian ZICCHE foto Bruno-Getty


ederica la divina, Pellegrini la regina. Una donna tutta d’oro, ricoperta d’oro olimpico, mondiale ed europeo, una Gold Woman che a ventidue anni può tranquillamente classificarsi come la nostra numero uno mondiale da Guiness senza tempo, come la donna più veloce al mondo tra le corsie di una piscina. Non era mai successo, tranne un flash con un’altra veneta celebre che fu Novella Calligaris sul tetto del mondo ai Mondiali di Belgrado nel 1973. Gli americani hanno Michael Phelps, l’uomo delle otto medaglie d’oro a Pechino 2008, noi abbiamo la versione al femminile, Federica Pellegrini. E non ce n’è per nessuna oggi, che siano americane, australiane, tedesche, cinesi o inglesi. Tutte dietro, tutte in fila a inseguire “schiacciarecord” Federica. Pellegrini, la walkiria di casa nostra da un metro e ottanta, veneziana di Spinea con un cuore romano che batte forte per i colori del Circolo Canottieri Aniene, la squadra del presidente Giovanni Malagò che l’ha assicurata come il suo gioiello più prezioso. L’ultima a contra-

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starla fu una certa Laure Manaudou, che subito i francesi tre anni fa, nel momento di massimo splendore ed eccitazione, incoronarono Regina di Francia lungo gli Champs Elysee con tanto di gigantografia a celebrarne la grandeur da piscina. Durò poco però la reggenza della francesina tutto pepe e molto glamour, che alla fine si arrese su tutti i fronti alla nostra numero uno da record come se fosse scritto già da tempo sul grande libro della storia del nuoto. Si riprese tutto Federica, tanto per chiarire che le meteore erano altre, record, medaglie e perfino il fidanzato Luca Marin, che tra l’amore troppo sbandierato per Laure preferì il fascino senza fine di Fede. Che fosse una predestinata la ragazza si era capito già nel 2004, quando a soli sedici anni fu battuta sul filo di lana dalla romena Camelia Potec che le soffiò l’oro olimpico: Fede uscì e si disperò così tanto da promettere che non sarebbe più successo. E quella promessa la mantenne, un record dietro l’altro, costumone e costumino non fanno nessuna differenza per la sua classe infinita,

FEDERICA IN BREVE

LE SUE PRIME VITTORIE

duecento e quattrocento metri nuotati a stile libero, e adesso la sinfonia potrebbe cambiare ancora visto che per Londra 2012 le distanze aumenteranno anche negli 800 e nei 100 metri. Dove può arrivare Pellegrini? Di sicuro oltre ogni limite mai nuotato da un’italiana che ama i colori caldi, che le sue debolezze e normalità non si vergogna di certo a metterle in piazza, come quella volta che un attacco d’ansia e asma rischiò di bloccarla. E che testimonia la sua energia per Enel e che mangia pavesini tra una bracciata e l’altra, viaggiando a bordo di una Fiat 5OO Abarth. Testimonial perfetto da sportiva più amata dagli italiani, venerata oltre ogni limite acquatico. 7 tatuaggi e il 13 numero della camera romana possono bastare forse a raccontare la normalità di Fede? Forse no, forse bastrebbe guardarla quando bacia sulla bocca mammà tre volte dopo ogni impresa. Fede da record è anche questo. Come dice l’ultima delle pubblicità “Cosa fa Federica Pellegrini quando

Professione “Stato civile” Nata Il Segni particolari Abita Guida una

NUOTATRICE FIDANZATA CON IL NUOTATORE AZZURRO LUCA MARIN MIRANO (VENEZIA) 5.8.1988 7 TATUAGGI VERONA E ROMA MASERATI

Cani, gatti, dintorni Colore preferito Musica preferita Film preferito

UN GATTO, CHE SI CHIAMA NEVE NERO DISCO DANCE RE LEONE

Cosa ama Cosa odia Hobby Sport preferito oltre il suo Pregi e difetti

LA SINCERITÀ LA FALSITÀ MUSICA PATTINAGGIO SUL GHIACCIO PREGIO: NON MOLLA MAI DIFETTO: TROPPO SINCERA UN FIGLIO

Il sogno


AMORI. TRA CAMPIONI La coppia Federica e Luca è sempre più solida e sempre più glamour, che sia in vasca o sulla passerella del Festival del Cinema di Venezia. Lui è stato il fidanzato dell'altra, la grande ex rivale, la francese Laure Manaudou. Era l'epoca dei cuori sbandierati ad ogni vittoria, dei Je T'aime pubblici. Poi qualcosa si ruppe, l'idillio finì, e arrivò Fede. Che aspettò l'amore vincendo anche nel cuore del suo Luca, allenandosi a Verona fianco a fianco al nuotatore azzurro bronzo mondiale nel 2007 a Melbourne nei 400 misti. «Mi è sempre piaciuto anche quando stava con Laure, ma ci siamo innamorati dopo un pò. Adesso viviamo separati, ognuno nel suo appartamento, ma stiamo pensando alla convivenza, anzi ci stiamo attrezzando per andare a vivere insieme in un nido tutto nostro».

«Alle scarpe non potrei mai rinunciare. Ne ho di tutti i tipi, dal tacco altissimo alle ballerine»


non nuota?” È una bella domanda , non trovi? «Si simpatica direi, anzi azzeccata. Quando non nuoto mi riposo, mi pare ovvio. Nei primi giorni dopo le gare dormo tantissimo perché sono distrutta. Sono una dormigliona di natura ma dopo che mi sono sforzata in una competizione devo recuperare, e anche gli allenamenti pesanti durante l’anno mi fanno questo effetto soporifero, tra una sessione e l’altra dormo per recuperare. Poi faccio una vita normalissima, come chiunque direi. Mi rimane poco tempo dopo quasi tutta la giornata che passo in piscina. Amo passeggiare, magari in centro, e poi tornare a casa e mettermi davanti alla televisione e rilassarmi un po’. Come tutti, ripeto. Sono una Pellegrini normalissima». Finite le competizioni quale è il modo che preferisci per rilassarti? «Cerco subito di andare a casa dalla mia famiglia. Sono un punto di riferimento e mi rilassa tantissimo ritornare da loro. Sono il porto sicuro dove ricaricare le pile. Poi amo la vacanza al mare, purchè il mare sia un bel mare, e mi piace tantissimo prendere il sole. Mi piace fare la lucertola, stare sdraiata sul lettino tutto il giorno, abbrustolirmi il lato “A” e il lato “B” e alzarmi solo per mangiare qualcosa. Sono praticamente una stanziale del lettino. E poi si, se c’è anche una beauty farm non disdegno…» Sole e ovviamente occhiali da sole da famme fatale. Ultimamente ti si vede in giro con occhiali di vari modelli, hai scoperto una passione anche per le lenti? «La passione l’ho sempre avuta, almeno per gli occhiali da vista. Sono miope e li uso quotidianamente. Non ho ancora pensato di farmi correggere la miopia chirurgicamente, e quindi li alterno con le lenti. Mi piace portare gli occhiali, mi danno quel “tocco” in più. Gli occhiali da sole invece li uso spessissimo, e amo cambiarli a seconda della giornata. Ne ho di varie forme, quando viaggio all’estero, soprattutto negli Usa, prendo modelli che qui da noi non si trovano. Sono un vezzo, ma mai come quello che ho delle scarpe».

L’ORO DI FEDERICA

Le scarpe appunto. Si dice tu ne possieda una discreta quantità e ne vada soprattutto pazza... «Alle scarpe non potrei mai rinunciare. Ne ho di tutti i tipi, dal tacco altissimo alle ballerine. Non posso farne a meno. Di tutti i modelli, così come colori, ne ho tantissime, e sinceramente ne ho perso il conto. Ma mai come la collezione di qualche superstar di Hollywood, mica sono a quei livelli… (e intanto ride…)». Non sarai una superstar di Hollywood ma certo sei una superstar sportiva. La più amata dagli italiani, la nostra sportiva numero uno al mondo. Tra gli uomini c’è Phelps, tu lo sei tra le donne. Dopo tanti tuoi record mondiali, un altro primato… «È una condizione che mi piace tantissimo e di cui vado orgogliosa. Sai, questo perché poi io sono una nuotatrice, quindi atleta di una disciplina che non ha certo l’attenzione costante e perenne di altri sport. Ecco, debbo dire che la mia popolarità ha contribuito anche a quella del nuoto nel nostro paese. La gente mi ama e segue sempre più il nostro sport. Per me è un motivo di grande soddisfazione essere stata da traino». Sei la capitana di una nazionale azzurra del nuoto che mai in passato ha raggiunto risultati così importanti, considerando anche le vittorie olimpiche di Fioravanti e Rosolino, così come i titoli mondiali di Magnini .«Si la cosa bella è che ci sono anche parecchi giovani che all’orizzonte si stanno affacciando prepotentemente sulla scena internazionale. Si è visto agli ultimi Europei di Budapest. Il nuoto deve essere conosciuto, ha ancora bisogno del grande

pubblico. Le vittorie servono anche a questo, e noi siamo un paese di grandi campioni. E io faccio la mia parte». Tu sei sempre in viaggio, passi metà del tuo tempo per alberghi. E quando vieni a Roma hai come base la foresteria dell’Acquaniene nella stanza numero 13. Un po’ come stare a casa, con un tocco scaramantico o mi sbaglio? «È vero la foresteria è un po’ casa mia. Per quanto riguarda il numero della camera, bè quello è il numero fortunato del mio presidente, Giovanni Malagò, che me l’ha voluta dare per forza (e ride..). Ma condivido la sua scelta del numero, anche io un poco scaramantica lo sono e quindi non mi fa altro che piacere. In quella stanza sembrerà incredibile mi trovo come a casa, la sento come casa che ho a Verona. Ho la mia quotidianità anche in camera. I miei libri, i miei quadri, il mio armadio. Persino il mio accappatoio e la mia maglietta di squadra sempre pronti e appesi. E in bagno i miei trucchi. Che lascio sempre lì perché quella è la mia camera, un punto fisso quando vengo a Roma ad allenarmi». E a Verona , come è il tuo nido? «È piccolo, una cinquantina di metri quadrati dove vivo da sola, ma presto lo cambierò perché oramai devo dire che mi sta veramente stretto, ed è diventato un gran casino con un sacco di roba dentro. Io amo poi i colori caldi , non c’è un centimetro libero sulle pareti. Quadri e stampe dappertutto tutto pieno di colore, il rosso, il giallo, l’ocra. Non potrei vivere senza. Come sono una appassionata di oggettistica e di arredamento».


Mi piace portare gli occhiali, mi danno quel “tocco” in più.. Ne ho di varie forme, quando viaggio all’estero, soprattutto negli Usa, prendo modelli che qui da noi non si trovano

I LOOK DI FEDERICA

UNA DONNA TUTTA D’ORO La copertina che Vanity Fair dedica a Federica Pellegrini rimanda alle grandi vittorie dell’atleta e alla sua straordinaria bellezza. Eccola totalmente pitturata d’oro in una posa che ne esalta il fascino.

NA DONNA TUTTA D’ORO

Una collection di foto della nostra Federica. La Pellegrini, in tutti gli scatti che la ritraggono nel suo stile infinito: nuotatrice vincente con cuffia e occhialini, ma anche sexy con i capelli tirati e gli occhialoni scuri, avvolta in una calda pelliccia. Senza rinunciare mai alle passioni più trendy, occhiali e tacchi alti da vera trend setter: dallo sport al fashion system il passo è breve.


particolare emozione. Sono un po’ lunatica, vario molto. Dipende da come sto io, dalle sensazioni che sto provando. Ogni gara è a sé, ogni istante è unico. Cambio canzone ogni competizione. Ecco l’hanno scorso prima della gara che mi ha dato il titolo e il record mondiale ascoltavo Rhianna per esempio».

Mondiali 03 - batterie 4x100 st.libero (rinuncia alla finale) Eurojunior 03 2ª - 100 st.libero, 4x100 mista; 5ª - 50 st.libero Europei Corta 03 - 7ª - 4x50m mista Europei 04 - 4ª - 200 st.libero, 4x100 mista; 5ª - 4x100 st.libero; 6ª - 100 st.libero Olimpiadi 04 - 2ª - 200 st.libero; 10ª - 100 st.libero Europei Corta - 04 4ª - 200 st.libero; 5ª - 100 st.libero Mondiali 05 - 2ª - 200 st.libero; 5ª - 4x100 mista Europei Corta 05 - 1ª - 200 st.libero; 3ª - 400 st.libero; 6ª - 4x50 st.libero Mondiali Corta 06 - 2ª - 200 st.libero; 3ª - 400 st.libero; 4ª - 4x200 st.libero - 7ª - 4x100 st.libero Europei 06 - 5ª - 4x200 st.libero; 6ª - 4x100 st.libero Europei Corta 06 - 2ª - 400 st.libero; 5ª - 200 st.libero; 7ª - 800 st.libero, 4x50 st.libero Mondiali 07 - 3ª - 200 st.libero; 5ª - 400 st.libero Europei Corta 07 - 2ª - 400 st.libero; 5ª - 200 st.libero Europei 08 - 1ª - 400 st.libero; 2ª - 4x100 st.libero; 3ª - 4x200 st.libero Olimpiadi 08 - 1ª - 200 st.libero; 4ª - 4x200 st.libero; 5ª - 400 st.libero Europei Corta 08 - 1ª - 200 st.libero; 3ª - 4x50 mista; 4ª - 4x50 st.libero Mediterranei 09 - 1ª - 400 st.libero, 4x100 st.libero Mondiali 09 - 1ª - 200 st.libero, 400 st.libero; 4ª - 4x200 st.libero Europei 10 - 1ª 200 st. libero, 3ª 800 st.libero

Attenta all’arredamento e anche alla gestione della casa? «Sì perchè curo personalmente tutto, anche le pulizie. Pulire e sistemare casa mi rilassa, mi da serenità». E il tuo fidanzato, il nuotatore Luca Marin, condivide con te questa scelta casalinga? «Si, anche se lui vive da un’altra parte. Ma poi alla fine viviamo sempre insieme, una sera a casa mia, una sera a casa sua. Praticamente viviamo una quotidianità alternata». I tuoi tatuaggi sono ormai celebri, fotografati di continuo, come la fenice che hai sul collo. Hai intenzione di farne altri? «Dei miei tatuaggi ne vado molto fiera. Ne ho sette, un numero perfetto. E non penso ne farò altri, quelli che ho poi non sono piccolissimi. Così possono bastare, direi stop ai tatuaggi». Oltre i tatuaggi, tempo fa ti hanno fotografato fuori un supermercato mentre spingevi il carrello con il tuo Luca, un’altra foto di normalità per la Regina Pellegrini. «Come ti dicevo io faccio

tutte le cose che fa una persona comune nella normalità più assoluta. Quindi spingo pure il carrello, faccio la spesa con l’attenzione di una massaia. Poi, vivendo in casa separate, ognuno fa la spesa per sè. Ma io comunque supervisiono tutto. E poi è così bello fare la spesa insieme. Anche se poi alla fine mangiamo spesso al ristorante convenzionato con la Federnuoto». E ai fornelli come funzioni? «Modello base, molto base. Nel senso che questo è il punto dolente. Io sono andata via di casa molto presto, intorno ai quattordici anni, a Milano, in un periodo difficile della mia vita, e mamma non ha avuto il tempo di insegnarmi granchè. Ma mi riprometto di migliorare con il tempo, e magari diventerò anche un’ottima cuoca». Nel tempo libero guardi anche film? Che genere preferisci? «Guardo un po’ di tutto, preferisco i polizieschi e i thriller, ma direi che sono onnivora di generi cinematografici. Come con la musica, non ho una play list predefinita, ascolto quello che in quel momento mi da una

NUOTO: L’INTERVISTA | 40

È uscito un tuo libro poco tempo fa, magari vorrai scriverne altri. «No, per il momento basta questo. Ma ora che mi ci fai pensare un’idea carina potrebbe essere un libro fotografico. Sarebbe un’ottima idea quella di un collage, una raccolta fotografica dove predomini il bianco e nero. Sono una grande appassionata di foto, mi piace farne magari anche sfuocate, mosse. Magari particolari, che raccontino questi miei anni d’atleta in giro per il mondo». Le tue foto, proprio quelle che tappezzano ogni luogo dell’Acquaniene e che raccontano il tuo essere gialloblù, i colori del Circolo, nel cuore… «È bellissimo che ogni spazio dell’impianto ospiti mie foto. D’altronde quella è anche casa mia, e chiunque entri penso senta forte il mio rapporto con l’Aniene, la mia società, la mia squadra a cui sono legatissima. Un rapporto profondo, unico». Il tuo rapporto con i media invece non è sempre idilliaco. «Spesso qualcuno mi fa domande che sinceramente non capisco, che non hanno senso come quando mi chiedono se mi sento più veneta o italiana. Sono domande provocatorie, spesso. Forse fa parte del gioco, anche se ne farei volentieri a meno. Sono comunque una timida, e l’attenzione molto forte su di me mi crea spesso imbarazzo». Un anno fa hai avuto un momento difficile, legato a stress e a qualche problema fisico. Per superarlo hai usato un buon training psicologico, un esempio per tanti che magari si identificano in te? «Si, con il training psicologico ho superato momenti delicati che hanno in tanti. Questo forse mi ha reso ancora più umana e vicina a chi magari ha gli stessi problemi senza avere tutta l’attenzione che ho io. Mi piace pensare di essere un po’ d’aiuto anche per gli altri che si sentono più vicini a me anche per questo». Curi personalmente il tuo look? «Si


In giro, nel mondo di Fede La piscina dove la Pellegrini si è allenata tutto l’anno, la sua palestra, la stanza con il libro che sta leggedo oggi, i suoi ninnoli e il beauticase... Un occhio indiscreto alla scoperta di Federica. Oltre il sorriso, oltre gli ori.

sempre. Trucco e abbigliamento li scelgo da sola. Come un’estate fa che ho cambiato anche colore dei capelli, traformandoli in nero. Ma in quel caso non mi sono più riconosciuta, non ero io. Non lo rifarei mai più» E del tuo fisico cambieresti qualcosa? «No, mi sento bene nei miei panni. Anche le spalle larghe sono una caratteristica che mi piace, seppur una sorta di deformazione professionale».

E tu come conquisti? «Ecco in questo sono molto tradizionale. Aspetto sempre la prima mossa anche se poi amo sedurre anche io, dentro e fuori la vasca». Federica e Roma… «Devo dire che oramai mi sento romana d’adozione, e ogni volta che ritorno a Roma mi sento come a casa. La Città Eterna ha su di me un fascino unico. Un’attrazione nella luce, nei colori e nell’incanto che solo da queste parti si possono provare». Il tuo presidente Malagò ti fa sempre gli onori di casa? «Con Giovanni il rapporto è bellissimo. Spesso insieme a lui andiamo in locali particolari e ristoranti alla moda. Anche se il mio regime alimentare da atleta non me li fa gustare al cento per cento. Ma sono i locali ad affascinarmi con il gusto e l’ospitalità tipica». E quando non sei in compagnia del Presidente? «In quel caso si esce con i compagni di squadra. Amo la pizza, molto semplicemente come tutti i giovani. E stare insieme e in allegria». Niente discoteche? «Quando posso, perché gli allenamenti cadenzano il mio tempo libero senza darmi granchè spazio nel tirare tardi. Ma amo ballare». Sempre il tuo presidente ha un sogno nel cassetto: portarti a vivere a Roma. Quale è la tua risposta? «A lui piacerebbe molto, lo so. Io ho avuto un’esperienza in gioventù con una grande città, Milano, non del tutto positiva. Ma mai dire mai. Lui vorrebbe diventassi anche giallorossa. Sono amica di Totti, magari in futuro…».

NEL MONDO DI FEDERICA

Il tuo uomo ideale, oltre Luca ovviamente? «Deve essere moro, alto perché già io sono alta un metro e settantanove e non troppo muscoloso. E non necessariamente colto».

Gianni Nagni, direttore tecnico della squadra Aniene cura l'allenamento di Federica quando scende in vasca a Roma: «È attenta ad ogni particolare, meticolosa. Una professionista che cura ogni dettaglio , in piscina e fuori. Sembra un'atleta bionica tanto è perfetta. Ma si capisce subito che qui si sente a casa come da nessuna altra parte».

Giovanni Malagò, Presidente del Circolo Canottieri Aniene, società per la quale la Pellegrini gareggia, si racconta al nostro inviato Zicche. «Federica è la più grande atleta di tutti i tempi, portacolori e portabandiera del nostro Circolo. E noi ne andiamo orgogliosissimi. Io poi la considero come una figlia».

Nagni organizza il calendario di Federica nella bacheca affissa all’Aquaniene


La sua stanza Ed ecco il luogo piÚ segreto di Federica. La sua stanza che andiamo a visitare mentre lei sta per allenarsi‌

Federica mostra la sua palestra

La sala massaggi

Gli spogliatoi del centro

Dove gli atleti fanno colazione


Sopra il letto c'è la gigantografia della copertina del libro di Federica, simpaticamente autografata dai compagni di squadra. Federica prima del suo allenamento - che durerà tutta la giornata - ci porta nei suoi luoghi all'interno della foresteria. È questa la Pellegrini più segreta, esclusiva del suo mondo privato. La quotidianità, i gesti di una grandissima dello sport mondiale che ci svela i suoi percorsi

L’accappatoio e i fedeli pelouche. A destra la toletta di Federica dove campeggia una foto di posa

È tempo di partire. La valigia di Fede è questa

Le tartarughe nella sala relax dove Fede si concentra tra un allenamento e l'altro


LA CRONACA DEL TRAGICO EVENTO Tredici anni, tanti ne aveva Nicolò quando morì nel 2008 colpito da un pioppo di 12 metri, caduto a causa di una eccezionale ondata di maltempo. Nel parco vicino casa dove accadde tutto, in via Lucio Mario Perpetuo al Tuscolano, oggi c’è una targa in suo ricordo. Ed insieme alla targa anche un campo polivalente: pallavolo, calcetto, basket per il divertimento in sicurezza di quanti continuano a frequentare un giardino che oggi ha il nome di Nicolò.

UN CAMPO PER NICOLÒ 4 novembre 2008: Nicolò muore a causa del crollo di un albero. Oggi il giardino, dove passava ore a giocare, porta il suo nome: e all’interno c’è un campo polivalente voluto dal Comune di Roma e dal Sindaco Alemanno er non dimenticare Nicolò Blois. Il campo di calcio a 5 costruito nel parco di via Lucio Mario Perpetuo, al Quadraro, porta il nome di quel ragazzino che Roma non può dimenticare: aveva 13 anni quando, il 4 novembre del 2008, morì schiacciato da un albero sotto il quale si era riparato per proteggersi da un violento nubifragio che aveva colpito la Capitale. Niccolò era un grande appassionato di calcio. Mangiava pane e partite: quelle che disputava e quelle che guardava in tv, la sua Roma veniva prima di tutto. Era tifosissimo di Totti e compagni. Anche nel giorno della tragedia indossava la tuta giallorossa. Insomma, era un tutt’uno con la palla e il giardino nel quale la sua vita si è spezzata era teatro delle sue migliori prestazioni sportive. Da qui l’idea di dedicargli un campetto, inaugurato ai primi di luglio, alla presenza dell’Assessore all’Ambiente Fabio De Lillo e del Delegato alle Politiche Sportive del Comune di Roma Alessandro Cochi. «Era pieno di vita, nel quartiere lo conoscevamo tutti - racconta Michele Folgori, consigliere del X Municipio, tra i promotori dell’iniziativa - si faceva ben volere e la sua scomparsa ci ha sconvolto». Quel giorno nessuno riesce a dimenticarlo: il cielo che diventa nero, che cambia all’improvviso e poi la tragedia. La proposta del campo di calcio a 5 ha messo d’accordo Municipio, Comune e soprattutto la famiglia di Nicolò, che abita proprio davanti al parco. Anche per i genitori del tredicenne il miglior modo per ricordarlo è dar voce alla sua passione per il pallone. Alla cerimonia mamma e papà non sono voluti mancare, affiancati dagli amici d’infanzia del giovane Blois, compagni di instancabili partitelle. «Nicolò ne sarebbe stato contento. Ci sembrava giusto rendergli omaggio con la struttura simbolo del pallone, appunto il campo», continua Folgori. L’impianto è pubblico e può diventare terreno di gioco per il calcetto, il basket e la pallavolo. Un dono per tutti i bambini da parte di Nicolò.

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PER NON DIMENTICARE | 44

di Emanuela VALENTE foto Ruscio-Getty Images


IV Municipio

Istituto: S. e. Maria Sternuovo via di Settebagni 231 Data consegna: 10/6/09 Istituto: I. c. Renato Fucini via Renato Fucini 265 Data consegna: 30/11/09

Tutti i campi consegnati dall’Ufficio Sport

Istituto: S.m. Uruguay via di Settebagni 281 Data consegna: 28/4/2010

Dal suo insediamento, l’attuale dirigenza dell’Ufficio Sport del Comune di Roma, ha spinto molto nella direzione dei campi polivalenti considerata una buona soluzione per lo sport dei giovani soprattutto in aree in cui è scarsa la metratura a disposizione. Ecco un elenco dei campi già consegnati.

Il futuro nei campi polivalenti

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Istituto: I.c. Raffaello via Gregoraci 70 Data consegna: 8/3/2010

V Municipio

Istituto: S.e Patalucci Via Pollenza 54 Data consegna: 6/8/09

IX Municipio

Istituto: S.e. A. Manzoni via Lusitania 16 Data consegna: 27/4/09

X Municipio

Istituto: I.c. Gregna Sant’Andrea via A. della Seta Data consegna: 30/11/09 Istituto: S.e. Galilei via Tenuta di Torrenova 128 Data consegna: 27/4/2010 Parco: II Campetto di Nicolò via L. M. Perpetuo Data consegna: 24/3/2010

XI Municipio

Istituto: I.c. G. Montezemolo scuola materna via Padre Lais 9 Data consegna: 31/7/09 Istituto: I.c. G. Montezemolo scuola elementare via Padre Lais 9 Data consegna: 31/7/09 Istituto: S.p. Malaspina via A. Pio 84 Data consegna: 5/3/2010

XII Municipio

Istituto: I.c. Tacito Guareschi via del Risaro 4-36 Data consegna: 10/6/09 Istituto: S.m.s. Cesare Pavese lg. Dino Buzzati 13-15 Data consegna: 27/11/09 Istituto: S. primaria Papillo via A. Moravia 401 Data consegna: 5/8/09 Istituto: I.c. M.L. King via degli Orafi 30 Data consegna: 28/4/2010

Municipio XVIII

Istituto: I.c. Clementina Perone via Cardinal Origlia 48 Data consegna: 30/11/09


tecnologia sportiva Caratteristica numero uno: sicuri. Scopo principale: sport per tutti. Particolarità essenziale: versatilità.

I campi polivalenti ono i campetti sportivi, all’aperto, che stanno tanto a cuore al Comune di Roma e che mirano ad aprire le porte dell’attività fisica e del divertimento al maggior numero di ragazzini possibile. Possono essere il terreno di gioco per il calcio a 5, la pallavolo, il basket e il tennis. E non solo. Questi rettangoli, di dimensioni canoniche 10x20, sono il sogno di tante scuole romane - soprattutto medie e elementari - che non hanno una palestra dove far sfogare i propri alunni o che dispongono di campi disastrati, spesso rattoppati e non utilizzabili. E così entra in azione il Comune che stanzia dei soldi, prende visione delle richieste, sceglie i casi più urgenti e comincia l’operazione di chirurgia estetica: o costruisce gli impianti ex novo o ristruttura quelli già esistenti. Qualunque sia la via presa il risultato è il medesimo: un pavimento realizzato con materiale antiurto che protegge il bambino da cadute violente e uno spazio interamente dedicato ai più piccoli, dove l’attività sportiva si unisce a quella ludica. Il progetto, come ha spiegato Carlo Bragaglia Direttore dei Lavori dell’Ufficio Sport del Comune di Roma, ha visto già 20 quelli messi in cantiere dall’amministrazione guidata dal sindaco Alemanno: 17 sono stati realizzati, 3 ancora in fase d’esame. Per un totale di 660 mila euro stanziati. Soldi ben spesi che regalano sorrisi ai bambini delle scuole di Roma, ai giovani nei parchi e non solo. Se gli alunni ne usu-

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fruiscono la mattina, durante la ricreazione o l’ora di ginnastica, nel pomeriggio i campetti sono a disposizione di tutti i ragazzini del quartiere laddove le strutture degli istituti sono prese in gestione dalle associazione sportive.

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La porta polivalente È realizzata in profilati in ferro con altezze regolabili in funzione della pratica sportiva da svolgere e dell’età dei fruitori le parti che possono venire a contatto con i giocatori sono rivestite con materassini in gommapiuma asportabili.

Le pannellature Realizzata in PVC a doppio strato con camera d’aria interna per l’assorbimento degli urti

La recinzione La recinzione: realizzata in profilati in ferro rivestiti in PVC

La rete da pallavolo Removibile, permette tutte le regolazioni in altezza con piedritti in ferro asportabili rivestiti con materassini in gommapiuma asportabili. Si può trasformare, quindi, anche in rete per il tennis.

Di ogni misura e forma Ecco vari esempi di assemblaggio dei campi polivalenti. Nel riquadro 1 c’è anche un campo da tennis e una pista di atletica. Nel caso, ad esempio, dell’immagine 3, lo spazio è stato sfruttato per permettere sfide di basket 2 contro 1. 2, il gioco del minivolley o sfide di calcio con tanta fantasia in un campo con una sola porta.

3.

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2.

La pavimentazione

La pavimentazione: “antitraumafunSHOCK” è rispettosa della normativa di riferimento: EN 71 parte 3a “prodotto atossico“. Non proveniente dal riciclo dei pneumatici.


i ludi romani

di Giorgio Franchetti Presidente Ass. Culturale “S.P.Q.R.” di Roma Servizio fotografico: Piero Lancialonga Location: Parco della Cellulosa

giochi nell’antichità LE REGOLE DEL GIOCO

G l a d i ato r i , m a a l f e m m i n i l e

Le donne in battaglia Poco è conosciuto dei combattimenti tra donne, inquadrate nella classe delle phoeminae. Ne parla Svetonio ed esiste una prova epigrafica di questa pratica. Ad Alicarnasso, odierna Turchia, è stata rinvenuta una stele, oggi al British Museum, che presenta l’immagine di due donne che combattono. Sulla stele si leggono i nomi delle due combattenti, Amazon e Achillia. Ai lati di quello che sembra un palco si vedono due teste: forse due elmi poggiati in terra o spettatori dello scontro. Una legge del 200 d.C. emanata da Settimio Severo, sembra su esplicita richiesta di sua moglie Iulia Domna, vietò definitivamente tale pratica. Una pratica che Giovenale, a suo tempo, aveva già definito «...grottesca...» Recentemente, nell’ottobre del 2000, un gruppo di archeologi ha riportato alla luce a Southwark, sulla riva meridionale del Tamigi, quella che con ogni probabilità può ritenersi l’unica sepoltura conosciuta di gladiatrice donna. Il suo misero corredo, fondamentale per riconoscerla come gladiatrice, era composto oltre che dallo scheletro della ragazza, a giudicare dall’osso pelvico dell’apparente età di 20 anni, da una lucerna con l’immagine di un gladiatore e da pochi monili in ceramica. Sembra sia morta combattendo nella locale arena di Southwark, già scoperta nel 1986, che aveva una capienza di 7.000 spettatori. Southwark all’epoca contava circa 20.000 abitanti.

uardare negli occhi l’imperatore. G Il mio unico e solo pensiero da quando entrai nel Ludus Magnus di Roma. Il mio popolo oltre le montagne sempre innevate mi chiamava Critenna, ma quel nome ormai non mi appartiene più. Ora tutti mi chiamano Achillia. E neanche io mi appartengo più, ormai. La giustizia di Roma mi ha consegnato nelle mani di Exibius, il lanista del ludus. «Critenna, non posso fare altro che assecondare l’imperatore… Mi dispiace, tu e Lidya siete le uniche due damnatae che mi resterete per sempre dentro. La vostra purezza, la vostra solarità… Se potessi fare qualcosa vi giuro che la farei. Ma non è in mio potere. Avrei voluto che il vostro processo andasse diversamente, avrei voluto anche io comprare testimoni come ha fatto quel verme che vi ha accusato di furto e omicidio. Tutti sanno che è lui l’assassino della moglie, la odiava da sempre perché tutta Roma sa che lo tradiva con i peggiori soggetti della Subura! Ma voi due, schiave, eravate troppo indifese e sole… Nella mia vita ho visto davvero di tutto e credo Exibius, prima che un di aver visto troppo. gruppo di custodes ci Tra poche settimane Continua scortasse nell’arena per lascerò il ludus a un il grande viaggio espiare la nostra connuovo giovane laninei giochi danna… E ora siamo qui. sta e tornerò al mio dell’antichità. Carne da macello, da paese, e lì, giuro, faUn’esplorazione mandare nell’arena per rò come ho visto fare nelle pieghe divertire il popolo, per a molti gladiatori qui della storia grazie divertire l’imperatore. dentro quando morialla ricostruzione Colpevole di una colpa vano loro amici: una di un set alle porte non commessa, vittima lapide in marmo a ridi Roma predestinata di un desticordare per sempre i no certo. Aspetto nei vostri nomi. Ve lo sotterranei già da parecchio il mio prometto. Quando tornerò ad Alicarmomento. Come gli altri condannanassus farò fare una lapide coi vostri ti a morte, nel buio, in questa celnomi…» Queste furono le ultime parole di letta al di sotto dell’anfiteatro volu-

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Achillia e Amazon, due combattenti impegnate nel loro viaggio nel ludus, l’ultimo della vita

gladiatrice. entra e combatti!

to dall’imperatore Vespasianvs. È morto da tempo, il grande generale; e non ha potuto vedere l’opera compiuta. Il figlio Titvs l’ha inaugurato anni fa, ma è stato l’altro figlio, Domitianvs, a terminarlo e a costruire il Ludus Magnus proprio di fronte; palestra dei gladiatori imperiali e carcere dei damnati ad ludos, i condannati a morte nell’arena che attendono il loro turno nei giochi. Fino a poche ore fa ero li, poi tramite un tunnel che collega sottoterra il ludus e l’arena sono stata portata dai miei carcerieri fin qui, in questa umida cella di pareti di tufo. Si sente odore acre di sudore, dalle celle

accanto giungono lamenti di ogni tipo, implorazioni, fetidi effluvi di chi non regge alla paura. Almeno nell’ultimo istante della propria esistenza tutti dovremmo avere più dignità e guardare con sprezzo negli occhi la morte. «Siediti Achillia, presto il nostro tempo verrà…» Una mano afferra un lembo del mio subligaculum e mi strattona dolcemente. Mi volto e nell’ombra appena scorgo il volto sporco di terra e sudore di Lidya, mia compagna nel ludus, mia compagna anche nell’ultimo viaggio della mia vita…

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Scosto dolcemente alcune ciocche di capelli nero corvino che le scendono sul viso, sono sporchi, pieni di polvere. I suoi occhi stanchi sembrano solo attendere il nostro turno. «Dove trovi ancora la dolcezza per fare quegli sguardi, Lidya?» «Non sono sguardi dolci, sono sguardi spenti…» risponde «Promettimi che ci ritroveremo, nei campi elisi, o nell’Ade, o dove andremo tra poco…» «Te lo prometto…» L’abbraccio e la stringo forte «Voi due, donne… Tocca a voi» Una voce rauca, squarci il buio con una torcia. Rumore di chiavi, di ferro, stanno aprendo la cella. Mi strattonano via, mi spingono, mi volto presa dal panico: si, Lidya è dietro di me anche se non so più neanche io se la vorrei li con me nell’ultimo mio istante, o saperla felice che corre lontano, in salvo… I miei pensieri tornano alla nostra gioventù, ai prati verdi del disgelo primaverile, a quando correvamo a piedi nudi sui prati appena fioriti e poi mettevamo i piedi a mollo nelle fredde acque dei torrenti di montagna. E ridevamo, e giocavamo. Ci schizzavamo l’acqua e poi ci buttavamo nel torrente dopo esserci tolte le vesti, e ridevamo al pensiero che da dietro gli alberi qualche ragazzo del nostro villaggio stesse guardandoci nude. E a volte per questo sentivamo un lieve brivido. Sento anche ora un brivido di freddo dietro la schiena. uno dei carcerieri, mi sta spingendo in un angolo con uno scudo. «Tieni, e prendi anche tu uno scudo e un gladio… Quando ve lo dirò io uscite correndo, salendo questa rampa e vi troverete nell’arena più importante dell’Impero. Di fronte a voi ci sarà il palco con l’imperatore, non dategli le spalle, e inchinatevi rispettose!» Mentre dice questo due inservienti mi stanno incatenando a una caviglia di Lidya. Leggo il panico nei suoi occhi, trema come una foglia. Questo mi infonde una grande rabbia. Ora lo so, non la vorrei qui. Abbiamo tutte e due uno scudo quadrato in mano, leggermente incurvato, e due spade corte. Dinnanzi a me c’è una rampa di legno che va in salita e in cima una botola, filtra luce in un intreccio di fili

bianchi in cui galleggiano tanti puntini di sabbia e polvere… Uno squillo di trombe… Un altro squillo… Due inservienti spalancano la botola tirando una fune, un colpo di luce fortissimo mi arriva addosso. «Tocca a voi, correte...!» La nostra incertezza dura il tempo di sentire il sfrigolio della fiamma e l’odore di carne bruciata, oltre un fortissimo dolore, come un morso alla schiena. Mi volto con gli occhi pieni di rabbia e vedo un inserviente con una lunga asta infuocata che mi minaccia e mi incita a salire. Lidya è terrorizzata. Sarà anche solo per questo che corro verso l’alto e me la trascino dietro. La luce fuori mi acceca, per qualche istante non vedo nulla. Sono stordita dalla luce, dal boato, dal frastuono di voci, trombe, rumori metallici… Di fronte a noi, su un balcone coperto da tende e teli, vedo delle persone ben vestite e un uomo al centro, è senz’altro l’imperatore, Domitianvs. Guardo verso la botola e vedo che sono due ora gli inservienti muniti di lunghe aste dalla punta infuocata. Voglio evitare altri dolori inutili a Lidya. «Inchinati Lidya, fallo per me…»

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Con un movimento appena percettibile Lidya si china e io con lei. Altro boato. Poi il silenzio assoluto. Dal palco imperiale un uomo si sporge in avanti: «Oggi assisteremo al combattimento di queste due femmine, due gladiatrici damnatae, colpevoli contro lo Stato e contro l’Imperatore. I loro nomi sono Achillia e Amazon!» Un boato assordante ci investe di nuovo. Lidya sta tremando sulle sue flebili gambe. «Contro di loro due gladiatori esperti, e che giustizia sia fatta…» Dietro di noi si apre un’altra botola e ne emergono due gladiatori con elmo… Istintivamente mi metto in posizione di guardia. Ognuno di loro si dispone di fronte a una di noi. Il pubblico ride, già conosce la fine di questa storia. Noi donne forse non saremo mai delle vere gladiatrici… Lidya a mala pena riesce a sostenere lo scudo, trema, piange. L’uomo davanti a lei scosta il suo scudo con il proprio, la osserva quasi pietosamente, poi la trafigge con la spada, nel ventre. «Nooooooo!» Il mio urlo echeggia nell’arena. Lidya mi guarda, quasi felice perché tutto è finito. Ora il


spq ort

PAROLA ALL’ESPERTO

suo sguardo è disteso, ha quasi un sorriso sul volto. L’uomo però commette l’errore di soffermarsi troppo sul corpo di Lidya che si inginocchia e si accascia. Anche il mio nemico è spensierato e osserva la scena. Con una forza che non sapevo neanche di avere e con un grido disperato calo un fendente sul braccio che impugna il gladio che ha appena ucciso la mia compagna di una vita e gli mozzo l’arto. L’uomo strilla nell’elmo, lascia cadere lo scudo, l’altro stupefatto si volta e calo un secondo fendente verso di lui che però lo schiva. Ha una ferita lunga e sanguinante in pieno petto, ma ora è vivo ed è all’erta. Mi colpisce su un fianco con lo scudo, mi volto, i miei movimenti sono goffi per via della catena che alla caviglia mi lega ancora a Lidya. Colpisco, para, affonda, evito.

ANDREA FREDIANI, esperto di popolazioni antiche, scrittore per la Giunti e per la Newton & Compton con la quale ha pubblicato libri come “Gli assedi di Roma”, vincitore nel ‘98 del premio Orient Express come miglior opera di Romanistica dell’anno, “Gli ultimi condottieri di Roma”, “Le grandi battaglie di Roma antica” con 100.000 copie vendute. Nel 2007 pubblica il romanzo “Trecento guerrieri, la battaglia delle Termopili”, che vende oltre 50.000 copie nel primo anno e raggiunge il 7° posto tra i libri italiani di narrativa più venduti. Il 2008 è l’anno di “Jerusalem”. Attualmente fa parte del comitato scientifico di Focus Storia.

G

Poi sento una fitta fortissima al fianco, mi ha trapassata. Perdo molto sangue, lui si ferma e osserva. Sa che ha vinto, ma mi rispetta. Voglio morire senza paura, Lidya mi osserva. Carico verso di lui con un grido feroce, si scansa e mi trafigge il ventre. Un grande boato del pubblico accompagna lentamente il mio corpo che cade a terra. Ora so perché Lidya sorrideva: vedo grandi distese di verde, campagne, un ruscello… Poi rivedo l’arena, la gente in piedi, i senatori, seduti nel primo anello, che si compiacciono: lo spettacolo è stato di loro gradimento. Alzo lo sguardo e vicino alla mia testa c’è la testa di Lidya: sembra guardarmi, sembra sorridermi. Poi vedo solo prati verdi e mentre li attraverso andando al ruscello una persona in lontananza che mi sorride…

ladiatrici al Colosseo? Proprio così. E proprio sotto Domiziano, come evidenzia il racconto di Giorgio Franchetti, le donne armate di scudo e sica che si affrontano nell’arena raggiungono la maggiore diffusione. L’imperatore, a quanto pare, si divertiva a osservarle combattere alla luce delle torce. E non si trattava solo di schiave, damnatae ad bestias, o semplici condannate a morte. Perfino le matrone si cimentavano in questo genere di attività “ludica”, anche se solo per puro diletto. Tacito lascia intendere che, per un certo periodo, fosse addirittura di moda, e Marziale cita una matrona che volle affrontare un leone. Va detto, in effetti, che le donne potevano farsi gladiatrici anche perché l’arena non era così pericolosa come la si dipingeva. I decessi erano rari, perché un gladiatore era un investimento per il suo lanista e l’organizzatore dei giochi, spesso già costretto a indebitarsi per allestire lo spettacolo, cercava di evitare i duelli all’ultimo sangue. Quindi la cultura del massacro non era poi così diffusa come la vulgata vorrebbe farci credere. Certo, il contatto più stretto che le matrone avevano con la gladiatura rimaneva la loro intimità con certi campioni dell’arena. E magari alcune di loro, galvanizzate dalle gesta dei loro amanti, avranno voluto emularli…


...ma stanno tornando!

Campana. Basta un gesso per disegnare un tracciato che può essere di forme diverse. Si lancia un sasso nella casella 1, quindi si salta dentro, si prende con la mano il sasso poi si salta su un solo piede dentro le altre caselle e si torna all’inizio. Si lancia poi alla 2ª, 3ª e cosi via via fino a completare tutto il percorso della campana. Sulla casella denominata “riposo” si possono poggiare entrambi i piedi e riposare un pochino. Vince chi, per primo, riesce a far cadere il sasso in tutte le caselle e completare il percorso senza mai toccare con i piedi le linee tracciate.


L’istinto del gioco è innato nell’essere umano ma anche negli animali

di Dora CIRULLI foto Getty Images Istituto Luce

(Cavalluccio - Girotondo) I GIOCHI DI IERI Erano di tipo creativo e collettivo Cavallina - Scaricabarile - Cocuzze - Mimo -Palla prigioniera I GIOCHI DI IERI Si svolgevano all’aria aperta Nascondino - Altalena - La lippa Quattro cantoni - Le biglie - Moscaceca Uno, due, tre Stella - Palla priogioniera I GIOCHI DI IERI Erano autocostruiti Carretto - Aquiloni - Cannoncino - Fionda Monopattino - Cerbottana - Arco e frecce Mazzafionda I GIOCHI DI IERI Erano basati sulla destrezza Trottola - Cerchio - Pignatte - Sassolini Lestacce - Rimbalzello - Pallamuro

Dal prossimo numero inizierà una rubrica con la spiegazione d\i questi giochi. Uno per uno…

LI CONOSCETE TUTTI?

I GIOCHI DI IERI Erano basati sulla coordinazione e sull’agilità Sacchi - Salto della corda - Albero della Cuccagna - Trampoli - Campana - Birilli Bocce - Indoboard Tamburello - Fiolet Piastrelle - Trottola - Salto della quaglia I GIOCHI DI IERI Erano basati sulla velocità, la furbizia e sulla prontezza di riflessi Rubabandiera - Guardie e ladri, Indiani e Cowboy - Corsa con l’uovo - Biliardino Guerra francese - Acchiapparella I GIOCHI DI IERI Erano basati sull’inventiva e sulla fantasia Sole nello specchietto - Yò-yò - Bambole di pezza - Soldatini - Il mondo - Elastici I GIOCHI DI IERI Erano basati sulla forza fisica Tiro alla fune - Braccio di ferro - Ruzzola e Ruzzolone - Bocce su strada - Lancio del formaggio - Schiaffo del soldato - Lotta - Morra - Calcio da Strada - La Carriola I GIOCHI DI IERI Tenevano uniti Carte (Scopa, Briscola...) - Morra - Pari e Dispari (Bim Bum Bam Le Giù!), Scambio di figurine Girotondo - Gioco delle tre carte

Nascondino e Palla prigioniera, la corda e gli sacchi, la fionda e i soldatini: sono ricordi e patrimonio di un tempo passato, soffocato dai videogiochi e dalla strada che non è più un luogo dove divertirsi. Ma c’è chi sta provando a farli tornare. Bentornati, forse, ai Giochi di strada! ggi purtroppo si gioca sempre meno e questa constatazione non ci deve far rimanere tranquilli! Il gioco infatti, con la sua carica di allegria e spensieratezza, è una della attività umane più importanti in assoluto. È la rappresentazione del “clima gioioso della festa” e dell’essenza di quei valori straordinari rappresentati dalle competizioni di tradizione popolare, contestualizzati nella società odierna e correlati in termini etici al fenomeno dello sport nella sua accezione moderna. I bambini non sanno più giocare, non sanno giocare tra di loro, giocare in gruppo, in cortile, nelle piazze, all’aperto insomma. Sono invece abilissimi coi videogiochi, come pure conoscono a memoria nomi e funzioni di mille e più personaggi dei cartoni animati ed altrettanti jingles pubblicitari. La loro coordinazione oculo-manuale è imbattibile per un adulto, così come sono notevolmente aumentate le loro capacità cognitive e di apprendimento: sanno più cose, imparano più in fretta, sono più svegli! E però già a 7-8 anni molti presentano anchilosi dell’articolazione scapolo-omerale degne dei loro nonni; spesso hanno piedi piatti, valgismi e varismi delle ginocchia, colonne vertebrali deviate per scoliosi, cifosi e lordosi, portamenti rilassati e obesità, che costringono tanti alunni in età scolare a portare per anni costosi apparecchi ortodontici. Tutto questo è assolutamente patologico per questa età e, cosa ancor più preoccupante, gran parte di questi difetti potrebbe divenire patri-

O


Giro, Giro... tondo. Un gruppo di bambini, mano nella mano, disposti a circolo, cominciava a girare intonando dei versi. A conclusione della canzoncina il movimento si bloccava e tutti i bambini si accovacciano. “Giro, girotondo casca il mondo, casca la terra e tutti giù per terra!.....

La Carriola. Uno dei due concorrenti si distendeva in avanti con le mani poggiate per terra, il 2° giocatore lo afferrava per le caviglie sollevandogli le gambe e lasciandogli come unico punto di contatto con il terreno, le mani. E cominciava la gara tra più carriole...

monio geneticamente ereditario. Potremmo chiamarli paramorfismi da appartamento, dovuti a giochi solitari (o quasi) fatti alla “consolle” dei videogames, alle tante ore davanti alla TV, alla sedentarietà, allo star chiusi in casa per la paura di tutto quel che accade fuori, per la riduzione del verde pubblico e di posti “sicuri” dove i bambini possano trovarsi a giocare.

Luoghi comuni? Sono tutti luoghi comuni? Forse. Ma è senz’altro vero che i bambini non sanno come si fa a giocare in gruppo per qualunque gioco collettivo hanno spesso bisogno di un adulto che li “diriga”, che li controlli così come con un arbitro che fischia i falli, ammonisce, espelle, assegna i punti. I bambini non si arrampicano più, con conseguente blocco dell’articolazione scapolo-omerale; camminano poco e poco corrono e saltano su prati o terreni sconnessi. Spesso nemmeno a casa è concesso loro di stare scalzi e per questo motivo la sensibilità del piede non si sviluppa. Molti non hanno di certo alcuna idea di cosa sia il “gioco della campana”, mirabile strumento di sviluppo della destrezza, dell’equili-

brio, della coordinazione e della precisione. Hanno poca sensibilità per il loro corpo in movimento, non sanno saltare la corda, non hanno senso del ritmo, non sanno rispettare il proprio turno e tanto altro ancora..... I pochi bambini che hanno la fortuna di praticare un’attività sportiva (per una o due ore la settimana), spesso sono precocemente indirizzati alla specializzazione e all’agonismo dagli istruttori e/o dalle pressanti aspettative dei genitori e il risultato, motoriamente e percettivamente, non è sostanzialmente migliore di quello dei loro coetanei sedentari. L’Italia non è più un paese per i bambini e per loro giocare diventa sempre più difficile. Ordinanze, regole, divieti, sentenze, minacce di sanzioni. Arriva la legge a regolare il gioco e la creatività dei bambini. In una scuola di Pavia, sottolinea una nota stampa, i bambini non possono giocare nei cortili, perché disturbano gli abitanti di un condominio a fianco.

Dalla città alla spiaggia Ma, anche in spiaggia, i bambini con secchiello e paletta giocano un po’ di meno. In alcune spiagge è proibito per-

Corsa nei Sacchi. Giocatori con le gambe infilate in un sacco di juta. Vinceva chi raggiungeva per primo il traguardo! Tamburello. Si giocava in un campo di ottanta metri per venti. Il gioco consisteva nel rilanciare, con il tamburello, da un campo all’altro, una pallina di gomma. I bambini, qualche anno addietro, quando riuscivano a procurarsi una coppia di tamburelli rimanevano interi pomeriggi a giocare.

L’albero della cuccagna Nelle piazze dei paesi veniva issato un tronco di pino, senza corteccia e ben levigato. Il tronco veniva reso scivoloso dal grasso. Alla cima i premi...

ché si disturbano i passanti. Alcuni Comuni proibiscono di giocare a palla e di andare in bici nei parchi... ragioni di sicurezza, mentre l’Unione Europea ha bandito la paperella galleggiante e tutti i salvagente a forma di animale o con sembianze di giocattolo. Questioni di sicurezza e legalità. Mentre il regolamento dei condomini ha vietato il gioco nei cortili per motivi simili: i bambini disturbano. Dobbiamo impegnarci per delle politiche urbane maggiormente a dimensione di bambino. Dobbiamo cercare di ipotizzare una città possibile dove alcuni spazi siano destinati alle attività sociali. Dobbiamo valorizzare i giochi di strada, laddove i nostri nonni si divertivano con poco. I giochi antichi sono belli di per sé, hanno avuto una diffusione secolare, hanno sfidato il tempo: cambiano le generazioni ma i giochi sono sempre quelli. Non si possono oggi più praticare perché sono venute meno le condizioni: cioè la strada. Questi giochi sviluppano le relazioni di gruppo e aiutano a costruire anche il senso di appartenenza di un territorio. Il gioco può costruire una relazione cooperativa. Il gioco ha bisogno di una regola, anche


n and no tor n a t s ...ma

o!

AI FORI IMPERIALI “La Memoria dei Giochi di Strada” È ormai vicina un’iniziativa unica nel suo genere che si ripropone di riportare nel cuore di Roma, in via dei Fori Imperiali il 24 ottobre, i giochi e le tradizioni di una volta. L’iniziativa vuole lanciare un messaggio etico che ponga nella giusta ottica anche il fenomeno dello sport nella sua moderna accezione, riproponendone i prodromi al grande pubblico come le attività ludiche che in passato costituivano un momento di svago e di aggregazione. Verranno allestite diverse aree tematiche quali: mostra itinerante di grafica e incisioni ispirate ai giochi popolari e tradizionali; esposizione di antichi attrezzi sportivi e di attrezzi di civiltà rurale; stand gastronomici con degustazione di prodotti tipici, ricostruzione di momenti ludici vissuti in strada mediante manichini e oggetti originali d’epoca a cura dell’Associazione Culturale ”Casa delle Scatole”. Appuntamento, dunque, ai Fori Imperiali.

se è libero, se si decide di giocare bisogna accettare delle regole. Attraverso il gioco si acquisiscono dei comportamenti corretti che servono per migliorare il senso civico. Raramente vediamo i bambini animare le strade dei nostri quartieri e molto spesso li troviamo chiusi nelle mura delle loro camerette ipnotizzati dal computer o da programmi televisivi demenziali. L’epoca che stiamo vivendo, nonostante le mille sollecitazioni, ostacola la fantasia del bambino e soprattutto dimentica che il giocare è una attività fondamentale nella crescita. Le grandi metropoli con i loro ritmi, le caotiche periferie, il traffico, la mancanza di spazi verdi e sicuri, il traffico, la televisione stanno tutti complottando per distruggere la spontaneità del gioco, uccidendo così l’animo del bambino (che è in tutti noi).

Bambole o soldatini? Bambole: questo è stato sempre il passatempo preferito delle bambine, che con questo gioco imitavano i comportamenti degli adulti, identificandosi loro stesse nel ruolo delle loro mamme. Per i maschi meglio i soldatini. Nel passato, purtroppo, come i papà.

Quei giochi dimenticati. Ricominciare a divertirsi come una volta, riprendere quei giochi dimenticati, fatti per stare assieme, correre all’aria aperta, per usare le mani e l’ingegno, per sentirsi padroni delle strade. Noteremo che i giochi che praticavano i nostri nonni, nonostante la distanza sono rimasti gli stessi. Questo prova l’esistenza di giochi che potremmo definire “eterni” universali, arrivati a noi grazie alla memoria e alla fantasia dei bambini di ieri e capaci ancora oggi di emozionare e divertire come allora. E allora che fare? Evviva il gioco in strada e… facciamo un gioco alla volta? I giochi possono essere: cooperativi Uno per tutti ma anche competitivi Uno contro tutti. Ecco come si giocava una volta: armati di noccioli di frutta, sassi, tappi di bottiglia e molta fantasia, i nostri padri (e nonni) si di-

Nascondino. Si sceglieva la “Tana” (da dove il gioco inizia e finisce). Il sorteggiato, con il viso coperto contava (ad esempio) fino a 50. Finita la conta, il giocatore che stava “sotto” inizia a cercare i compagni. Ogni volta che scovava uno degli avversari nascosti, doveva correre più veloce del vento fino alla tana, per toccarla per primo e gridare il nome del giocatore scoperto e anche il suo nascondiglio segreto. A questo punto il giocatore scoperto era eliminato dal gioco. Se invece era l’avversario che toccava per primo la toppa, è lui che doveva gridare “Libero!” ed uscire dal gioco senza essere stato catturato. Il gioco finiva quando tutti i giocatori erano stati scoperti. Nel caso l’ultimo giocatore nascosto riuscisse a raggiungere la toppa prima di chi sta sotto e a gridare “Tana libera tutti”, tutti i giocatori che erano stati catturati in precedenza erano liberati e il giocatore che doveva cercare gli avversari doveva stare sotto un altro turno. GIOCHI DI STRADA | 55

vertivano con questi giochi…. Prendiamo ad esempio il Tiro alla fune: un gioco sportivo di forza e resistenza. Questo gioco può essere considerato come una vera disciplina sportiva visto che per ben quattro edizioni fu compreso nei Giochi olimpici. Passiamo alla ruzzola: un tempo oggetto per il gioco era una forma di formaggio pecorino stagionato, duro e resistente, che i pastori lanciavano per i sentieri. Poi è stato costruito con un disco di legno, spesso 5 cm e pesante mezzo chilo, avvolto da 2 metri di spago sottile che terminava con un cappio scorsoio da infilare nel dito indice della mano di lancio. La ruzzola si tirava a braccio teso, imprimendole un giro in senso antiorario, senza superare una linea di partenza. Vinceva chi era riuscito a farla andare più lontano dopo un numero prefissato di lanci. Oggi per rea-

Rubabandiera. Il "Porta bandiera" teneva lun fazzoletto bello grande con il braccio teso e chiamava un numero dopo l’altro, a caso. "Due!", e i numeri 2 delle due squadre dovevano scattare in avanti, raggiungere la bandiera senza superare la linea che divideva il campo (altrimenti erano eliminati) cercare di prendere la bandiera prima dell'avversario e tornare di corsa al proprio posto senza mai farsi toccare dall'avversario durante l'inseguimento. Chi vinceva prendeva un punto... e via alla coppia successiva. Vinceva la squadra che raggiungeva per prima almeno 15 punti.


Salto della corda. Il gioco era praticato in forma individuale o collettiva. Una ragazza (gioco in cui le bimbe erano protagoniste) faceva girare la corda da sola compiendo vari saltelli per riuscire a schivarla. Il gioco risultava più interessante quando riusciva a coinvolgere più bambine insieme. In tre due afferravano la corda all’estremità e la facevano girare mentre la terza cercava di saltare.

Altalena una volta l’altalena veniva ricavata fissando le due estremità di una fune ad un ramo ben resistente. Un’energica spinta, un pizzico di coraggio e si cominciava a volare sempre più alto. Spadaccini, Cowboy e Indiani. Due legni a formare una croce, lo spago. I ragazzi si costruivano la spada da sé, Chi veniva colpito, a seconda delle parti “ferite”, doveva fare a meno, nel combattimento, di una gamba, di una mano, ecc. Colpito al petto, il guerriero crollava a terra, “morto”.

lizzarla basta fare una pila di sottobicchieri di cartone e arrotolarla con del nastro adesivo fino a ottenere un disco compatto in grado appunto di ruzzolare. La ruzzola scomparsa cinquant’anni fa, con l’abbandono delle campagne, è stata rispolverata oggi dal CONI, che l’ha inclusa tra i giochi sportivi tradizionali. El pendolo a Trieste, La rella a Milano, “A Ciremela” a Torino, Nizza a Roma, Mazza e pievo a Napoli, S-ciànco” a Verona e Manciugghia a Palermo: sono solo alcuni dei nomi dialettali del popolare e antico gioco della Lippa. Per gio-

care si doveva sacrificare un manico di scopa o un qualsiasi bastone di legno: per costruire la lippa si tagliava un pezzo di legno lungo 10 cm a cui si aguzzavano le estremità, mentre altri 40 cm venivano destinati alla mazza. Con quest’ultima si colpiva una delle due punte della lippa appoggiata a terra in modo da farla saltare: quando era a mezz’aria la si colpiva di nuovo. Vinceva chi la lanciava più lontano. Cicca e spanna già gli egizi e i romani giocavano a Biglie, che non erano di vetro ma di terracotta. Poi vennero quelle di marmo, apparse nel ‘700, quindi quelle di acciaio e di vetro colorato. A Siena, dette Barbieri, sono invece di legno dipinte con i colori delle contrade e chiamate con i nomi dei fantini. Nel corso degli anni anche cambiando il materiale, le regole sono rimaste uguali.

Scaltrezza e abilità Il primo giocatore tirava (o”ciccava”) una biglia sul terreno; l’altro, per batterlo, doveva bocciare la biglia dell’avversario e far fermare la sua a una

Fionda. O mazzafionda… Questo richiamava immediatamente l’immagine del monello che mirava ai vetri di qualche malcapitato... Biglie. Il gioco consisteva nel riuscire a spedire le biglie, lanciate una per volta e da una certa distanza, nelle varie buche. Ogni volta che si riusciva a mandare la pallina in buca, si acquistavano i relativi punti e si considerava il diritto di continuare a lanciare, altrimenti i concorrenti si alternavano nei lanci. I punteggi parziali sommati tra loro formavano la classifica finale. Ruzzolone. La forma di formaggio rappresentava lo stesso montepremi per i vincitori. I concorrenti delle squadre alternandosi dovevano lanciare il più lontano possibile, senza far sconfinare il formaggio dal tracciato stabilito. Il formaggio, avvolto con una cordicella, veniva lanciato con una forte spinta del braccio. Vinceva il premio la squadra che riusciva a terminare il percorso con il minore numero di colpi. GIOCHI DI STRADA | 56

spanna da questa. Se rotolava più avanti nessuno aveva vinto. Se la biglia si fermava entro una spanna dalla prima, senza però bocciarla, veniva persa ed entrava in possesso dell’avversario. L’obiettivo finale era conquistare tutte le biglie dell’altro. Attenzione, scaltrezza e abilità: per il Gioco dei cinque noccioli occorrevano queste doti e poco altro. Il “poco altro” consisteva in noccioli di pesca o semplici sassi piatti, dipinti su un solo lato: quattro di blu e il quinto di rosso. Ci si sfidava a lanciarli in aria, riprenderli al volo con il palmo della mano e rigettare a terra quelli afferrati al volo. Chi vinceva? Il lanciatore che faceva più punti e arrivava prima a 21. La conta era facile: valevano solo i noccioli ributtati a terra con la parte colorata visibile. Si guadagnava un punto per ciascun nocciolo blu, mentre quello dipinto di rosso raddoppiava il punteggio. Giochi divini: nell’antica Grecia un giochino simile era usato per predire il futuro. Si faceva con ossicini del tarso delle zampe posteriori di capre e


Tiro alla fune, ieri... e oggi No, la foto non inganna. Se da una parte ci sono vecchi giocatori di tiro alla fune a sinistra, nel ripercorrere e riattualizzare i Giochi di strada on the road, a Roma ovviamente, c’è il Sindaco Gianni Alemanno che si è prestato volentieri per una dimostrazione. Basta una fune ben resistente e lunga una ventina di metri, uno spazio e due squadre di ugual numero e si inizia a tirare gli altri dalla propria parte, se questi passavano dalla parte degli avversari la vittoria era di quest’ultimi.

agnelli: decorati con figure sui quattro lati, una volta lanciati in aria davano combinazioni divinatorie. La catapulta: è una tavoletta di legno lunga circa 20 cm, un tappo di sughero incollato sotto e un tappo a vite appiccicato a un’estremità sul quale si poggiavano le munizioni: fagioli, monete, chiodini, noccioli di pesca, sassetti ecc. A vincere era chi, colpendo la parte sollevata della catapulta, faceva finire le “munizioni” dentro un secchio a qualche metro di distanza. Bocce costruite con blocchi di legno sui cui lati sono inchiodati pezzi di tappo di sughero: sono questi rudimentali attrezzi i protagonisti di un gioco parente

strettissimo del bowling. Si tratta dei birilli a bocce quadre che si giocavano in due o a coppie di giocatori. Bisognava tirare tre volte a testa le bocce quadre e far cadere il maggior numero di birilli (bottiglie o tavole di legno su un piedistallo). Ogni birillo caduto valeva un punto e il vincitore era quello che al termine di 5 serie di lanci aveva totalizzato più punti. ...E così via. Giochi tradizionali, giochi di strada, giochi di ragazzi che facevano amicizia. E non con un personaggio della Tv o dei videogiochi.

E nel prossimo numero…

IL CALCIO DA TAVOLO

Morra. Il gioco si svolgeva tra due giocatori, i quali stendevano simultaneamente un certo numero di dita, dovendo dichiarare allo stesso tempo un numero non superiore a dieci (morra). Guadagnava il punto chi dichiarava il numero corrispondente alla somma delle dita stese da entrambi; vinceva la partita chi per primo totalizzava il numero dei punti in precedenza stabilito.

Braccio di ferro. Due giocatori si sedevano l'uno di fronte all'altro, appoggiando i gomiti su un tavolo. Ciascuno doveva spingere la mano dell'avversario fino a fargli toccare con la mano il tavolo. O il prato...

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F U LV I O S T I N C H E L L I

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ai voglia a dire Roma stradarola, i giochi dei ragazzini per la strada, tra piazze e piazzette, la palla fatta con gli stracci e le porte con le giacche, le urla delle madri che dalle finestre tracimavano giù, fin sul selciato: ‘…e mmo’ chi lo sente tu’ padre, guarda com’hai ridotto le scarpe nove!’. Si sentiva il sospiro: ’…co’ quello che so’ costate!’. Hai voglia a dire, a chiedere com’era la Roma dei bambini che non avevano niente, che potevano parlare soltanto quando pisciavano le galline, che giocavano ai quattro cantoni, alla guerra francese, a rubabandiera… come giocavano quelle pipinare che non conoscevano tivù, né computer, né telefonini, né play-station… quei bambini che, quando in casa rompevano oltre il tollerabile ch’era niente, le madri, sempre loro, gridavano: ’A rega’, la volemo fa ffinita, sì o no? Annat’un po’ a ffa’ caciara de sotto, pe’ strada, che quello è er posto’. Eh, già, quello era il posto giusto dei ludi giovanili di Roma stradarola, di una Roma che non c’è più. Non c’è più, perché non ci sono più strade, né piazze, né vicoli. Perché Roma ormai è un immenso sovraffollato garage, ammorbato da milioni di auto e motorini in movimento o in sosta, percorso da torme di turisti rincoglioniti dalla callaccia. Un garage chiamato Roma, in cui sopravvivono finché potranno, ma molto spesso imbrattate dall’ottusa ferocia dei writers, le nobili pietre di un fastoso, glorioso passato. Il tema che ultimamente Fabio Argentini, cervello, anima e cuore di questo bell’intreccio di Sport e SPQR, mi propone è invece preciso, direi puntiglioso: ‘Scrivi sui giochi della tua infanzia, sì, com’eravate voi, ragazzini romani, un occhio ai giochi e uno alla città. Ti va?’. Come non mi va? Accetto con immediato, fervoroso entusiasmo. Senza accorgermi lì per lì del trappolone nostalgico che mi si spalanca davanti. D’un tratto mi sento proiettato nell’orbita melostruggente dei ‘bei dì che furo’, di una ricerca del tempo perduto, sempre favoloso e amatissimo. Una ricerca che molto spesso si risolve in un pallone di bugìe. Ragion per cui, mi dico, guardiàmoci dalle chiacchiere malinconiche, ingannevoli e ingannatrici, rimettiamo i segue


piedi per terra e proviamo a rievocare quel mondo e quegli usi scomparsi, morti e seppelliti, con gli occhi (quelli richiesti da Argentini) di una realtà totalmente differente. Peggiore? Migliore? Non so: certamente, diversa. Per non dire opposta. Nell’incertezza, l’altro giorno, non appena la bolla africana mi ha concesso l’indispensabile tregua, ho deciso di fare un salto (è un modo di dire: di salti, ahimé, da tempo non ne faccio più) nel mio vecchio Borgo natìo. Sì, nel rione favoloso ai piedi di San Pietro, quello della Fortitudo di Fratel Porfirio e Attilio Ferraris, dove nacquero tre quarti della prima ASRoma, e dove, del tutto indegnamente, nacque un millennio fa l’estensore di queste note. Borgo, per me, è un tempo definitivamente perduto che anche la più assidua, affettuosa memoria stenta a ritrovare. Era il Borgo di noi bambini che facevamo saltando alla quaglia il giro delle colonnette berniniane attorno alla Guglia, per poi dividerci, venute le vacanze estive, tra i giardini del Gianicolo, dove sparava il cannone di mezzogiorno sotto le zampe del cavallo di Garibaldi, e il nuovo parco della Mole Adriana. Erano quelle le nostre palestre, le nostre scuole-calcio, le nostre piscine, in un Tevere, dai Polverini al Circola, balneabile. Io, personalmente, porto sul naso dalla più tenera infanzia il segno indelebile del fortuito (ma per me non fortunato) colpo di remo infertomi da un canottiere in allenamento sotto Ponte Sant’Angelo. All’occhio odierno, giochi come l’Acchiapparella e i Quattro cantoni possono apparire ingenui, banali, addirittura stucchevoli. Questo perché non si ha memoria dell’impegno e della vigoria atletica che quelle infantili rincorse comportavano. Per non parlare delle battaglie simulate della Guerra Francese, dove la gagliardia muscolare dei soldati obbediva ai piani di un più o meno intelligente stratega. Era, tra prati, viali e aiuole (da non calpestare, anche allora!), una continua, irrefrenabile competizione in cui si cimentavano nei parchi pubblici cittadini migliaia e migliaia di bambini. Tornando a casa, con occhi pesti, ginocchia sbucciate e pantaloncini strappati, le mamme, prima ti davano uno sganassone per soprammercato, poi provvedevano alle riparazioni del caso. Nessuna correva al Commissariato a sporgere denuncia. Era – sento dire – una scuola spontanea di violenza. Può darsi. Anzi, certamente lo era, ma era violenza ludica. Nel senso che i giochi potevano, dovevano, molto spesso, sfociare in scazzottate, ma tutto finiva lì, con qualche livido. In genere, dopo esserci picchiati, si diventava grandi amici. Oggi, in un tempo e secondo un costume che ha segregato l’infanzia, strappandola dalle temutissime e per altro impraticabili strade, finisce che due adolescenti si uccidano a coltellate per amore di una ragazzina. Come è accaduto realmente, alcuni giorni fa in Sicilia. Oggi, che almeno a Roma, non ci sono più classi né differenze sociali e tutti, a parte gl’immigrati, tendono a fare il passo più lungo della gamba, l’infanzia è uniformata, anzi uniformizzata: i bambini, i ragazzi, son tutti eguali, per lo meno nell’aspetto, soprattutto nell’abbigliamento, nel gergo, nei gusti, nelle sguaiataggini. Al tempo nostro, no. Le differenze si vedevano, tra ricchi e poveri. Spettacolo crudele? Certamente, ma realistico. Consentiva di non farsi illusioni. Del resto, in quella società, la strada era per qualche verso dei poveri. Se i figli dei ricchi volevano avventurarsi, dovevano

R O M A

S T R A D A R O L A

Quando i padri insegnavano a campare farlo secondo certe regole, a loro rischio e pericolo. Anche quello uno sport, oltre che una scuola di vita. Al contrario, nell’attuale società uniformata e uniformizzata, l’omologazione avviene a medio livello, sia nell’abbigliamento che nei modi. Rare le eccezioni, dovute alla sopravvivenza di un certo modo di educare, in certune famiglie, rarissime, che nell’ansia di beneducare fanno dei loro figli degli infelici. Perché è ormai chiaro che in un mondo che ha abbattuto tutti gli antichi idola veri, falsi o presunti, l’avvenire e il successo restano garantiti solo agl’ineducati, meglio se un po’ mascalzoni. Appare chiaro, insomma, che l’infanzia, segregata tra le mura domestiche o del condominio, specie a Roma, è oggi prodotto, stavo per dire ‘vittima’, di un sistema mediatico dominante, egemonico: tivù, internet, giochi elettronici. Poi, per i pargoli più fortunati, ci sono i campi sportivi, le palestre, le piscine. Ma è sempre movimento organizzato, sovrinteso, supervisionato: il moto spontaneo è morto e seppellito, insieme con le strade e le piazze. Poi, crescendo, gl’infanti arrivano fatalmente all’età dello sviluppo, come si diceva una volta, delle tempeste ormonali, in cui saggezza suggerirebbe di tenere a freno gli umani e che, invece, il pedagogismo trionfante autorizza alla più incontinente libertà. E’ l’età tenera, ma anche puntualmente imbecille, dei primi amori, l’universo già studiato da Alain e che adesso è finito sotto la penna di Moccia. Coincide, per i più, col mesto ma sollecito addìo a palestre, campi e piscine, col moto spontaneo che al giorno d’oggi giosamente si realizza scrivendo sui muri: ‘Sabrina, sei il mio solo sole, come t’amo io non t’amasse mai nessuno’. Perché non è a dire che questi pargoletti, inscatolati rigorosamente tra casa e scuola, risultino poi dei grandi grammatici. Così, nella maggioranza dei casi, debutta, coi lucchetti a inchiavardare Ponte Milvio, che ne ha viste troppe da Massenzio a Garibaldi, la vita dell’omo. Oggi, a Roma. Ma lasciate che torni alla Roma che mi si è chiesto di rievocare. Noi ragazzini non eravamo tutti eguali. C’erano i bambini detti per bene o ‘signorini’, gli stradaroli e poi, in fondo, ma molto giù, la canajja. Pur non essendo di famiglia ricca, a me, allevato dalla mamma e dalla nonna (il padre era ancora un’entità sovrana e lontana), era stata impartita un’educazione da ‘signorino’. Fu la triste scoperta che fece mio padre, venendo un giorno in macchina a prendermi a scuola. Dovete sapere che mio padre era un uomo fermo e molto elegante, ma sotto lo charme esteriore celava la crosta dura di un Borgo stradarolo, quella di Fratel Porfirio e di Attilio Ferraris. Ciò premesso, immaginate ora la scena. Io, decenne riccioluto, col

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grembiule blu e il fiocco sotto il colletto candido inamidato, che salgo festoso sulla Lancia blu col genitore al volante. Niente bacio, non s’usava , tra uomini. ‘Come va?’. ‘Tutto bene, papà’. Da fuori, dalla frotta degli scolari in uscita, si leva uno strillo: ‘A carogna, che fai, scappi?’. Mio padre dà un’occhiata in giro e tira di lungo. Poi, dopo alcuni minuti di guida silenziosa, mi fa: ‘Quel tipetto che gridava là, all’uscita, mi pare ce l’avesse con te…’. ‘Sì, papà. E’ che prima avevamo avuto a che dire e c’eravamo ripromessi di vederci di fuori…”. In macchina finì lì. A casa mangiammo, poi, mio padre mi invitò nel suo studio e lì, a quattr’occhi, mi fece il seguente discorso: ‘Tu oggi hai fatto una cosa indegna: sei scappato. Un uomo vero non scappa mai. Tu dovevi affrontare il tuo compagno: dovevate spiegarvi. Anche a cazzotti, se necessario. Vedi, le bòtte si dànno e si prendono e per un cazzotto non è mai morto nessuno’. Per qualche giorno della mia ‘fuga’ non si parlò più in famiglia. So soltanto che di lì a una settimana, il genitore si presentò con una grossa borsa contenente una tuta, una spugna, scarpe da ginnastica e una saponetta palmolive. Me la consegnò, invitandomi a salire in macchina, destinazione Stadio Nazionale, l’attuale Flaminio, al viale Tiziano. Lì, nella sottostante palestra, si allenavano i più forti pugili romani e, in particolare, gli olimpionici agli ordini di Steve Klaus, Rea, Poggi e Giovanni Amati. Così incominciò il mio tirocinio, protrattosi per dieci anni, di boxeur dilettante: non sarei mai salito sul ring per un incontro vero e proprio, ma la dura preparazione l’avrei percorsa tutta, per un totale di centomila cazzotti. Tutti quelli necessari a farmi capire che occorre saper incassare i pugni, ma soprattutto che la vita è combattimento. La trasformazione fu istantanea. Dopo che il genitore aveva detto loro che io ero troppo ‘signorino’ e che le loro còccole avevano rischiato di fare di me ‘una femminuccia’, la nonna e la mamma presero a guardarmi e, soprattutto, a trattarmi in altro modo. Ebbi più libertà, finiti i compiti, m’era consentito scendere, a sfidare la strada. Alle Vaschette, ebbi il primo serio scontro con uno più grosso assai di me. Io mi misi in guardia, come sul ring; quello mi fece la cianchetta per riempirmi poi la faccia di sberle. A sera, riferii al papà l’accaduto. Vide gli occhi pesti e mi disse: ’Bravo per il coraggio. Adesso, lascia passare qualche mese, lavora sodo in palestra, poi va a cercare quel tipo. Ma stavolta non essere fesso! Lui si sentirà sicuro e tu approfittane: parti con un bel calcio nelle palle, poi, quand’è steso, gònfialo come una zampogna’. Quel ‘bravo’ detto dal papà, mi dette fiducia. Portai a termine il suo programma con soddisfacente precisione. Tra le Vaschette e Borgo Pio, dopo la lezione che puntualmente impartii al grassone, nessuno più osò darmi del ‘signorino’. Ormai, con raccapriccio di mamme, nonne e zie, era diventato una ‘lenzetta’. Ma la mia era una famiglia di sportivoni. Mio padre voleva fare di me un calciatore e mi affidò al solito Fratel Porfirio, che mi provò al campetto della Fortitudo, alla Madonna del Riposo. Esito negativo, così espresso dal grande frate: ’La palla, quella, la toccherebbe pure bene, ma cià ‘na paura che non ti dico. Non è roba per lui’. Mio padre si rassegnò, insistendo col pugilato e facendomi fare anche un test alla Rugby Roma, con risultati peggiori di quelli sortiti col calcio. Non dimentichiamo lo zio Peppino, sì lo stesso che aveva co-fondato l’ASRoma nel ’27. Lui, per suo conto, mi aveva messo in sella, alla Farnesina del colonnello Chiantìa e del maresciallo Sedde, che non avevo sette anni. Montai bene fino ai sedici. Poi, dato che ero troppo bravo, dovetti smettere ogni ambizione agonistica equestre, perché, a quel livello, s’imponeva l’acquisto di un cavallo troppo caro per i nostri mezzi. Dei cavalli mi restò per sempre la passione. Implacabile, lo zio Peppino, un nume del ciclismo romano e nazio-

nale, m’impose di partecipare al campionato studentesco in bicicletta. Il primo anno lo vinsi, il secondo venni coinvolto in una rovinosa caduta. Finì tutto all’ospedale. Poi, venni colto dal tifo, malattia terribile allora, in assenza di antibiotici. Me la cavai giusto in tempo per l’esame di maturità che superai brillantemente. Devo dire che nei cimenti intellettuali mi son sempre trovato più a mio agio. In quelli muscolari, meno. Devo confessare che a estraniarmi dalla pratica sportiva agonisticamente intesa è sempre intervenuto, negativamente, il mio senso dell’umorismo. Voglio dire che pur esaltandomi di fronte alle gesta dei grandissimi, dei fuoriclasse di qualsivoglia disciplina sportiva, a me gli sforzi ludici dei mediocri competitori, ma soprattutto, faccio un esempio, dei tennisti della domenica, mi hanno sempre fatto scompisciare. Ecco, perché, quando mi accorgevo di essere in un dato sport appena sufficiente, quello sport cessava di colpo di interessarmi. Inconsciamente, non volevo suscitare le risa altrui. Va detto, però, che a Roma oggigiorno si son fatti molti progressi. Il gioco e lo sport, come manifestazioni di moto spontaneo, sono terribilmente decaduti da un lato, quello infantile, ma hanno fatto passi da gigante presso gli adulti. Così, di colpo, un popolo di panciuti sedentari si è trasformato in una genìa di appena meno panciuti tennisti, corridori, calcettisti, ciclisti e pallavolisti. Ora, date retta: esclusi gli esplosivi ‘palestrati’, i quali più che allo sport mostrano di appartenere a una forma particolare e tutta nuova di demenza narcisistica, andate a vedere sotto quelle tute, quelle larghe bluse, quei prémaman degli sportivoni della domenica… Andate a farla, quest’indagine, e scoprirete, immutabili, irriducibili, le stesse epe grassottelle che affliggevano i romani sedentari del buon tempo andato. Diversi anni fa, ma eravamo già nella nuova società, quando per intenderci ero al ‘Messaggero’, su suggerimento dell’allora capo dei servizi sportivi Gianni Melidoni, svolsi un’inchiesta sullo sport infantile a Roma. Andai a sentire le dame con l’asciugacapelli sempre impugnato, all’uscita da campi, pedane, palestre e piscine. A tutte, ed erano centinaia, ponevo o facevo porre questa domanda: ’Secondo lei, quest’attività, al suo figliolo/a, quale bene arrecherà?’. Il 70% delle risposte asseriva che ‘lo sport fa bene alla salute’, il 20% se la cavava con un ‘qualcosa devono pur fare’. Il restante 10% si mostrava ondivago tra il ‘Sa, tutti lo fanno’, il ‘Mi sembra che dopo il ragazzo/a sia più calmo/a’ e il ‘Non saprei proprio che dirle’. A una mamma di futuro grande calciatore, una volta, suggerii di far leggere qualche libro al suo prodigioso pargolo. ‘Quanti libri – rispose, piccata, la matrona -, ha letto lei?’. ‘Be’, parecchi, cara signora’. ‘E quanto guadagna, oggi?’. ‘Oh, pochissimo, mia gentile signora’. ‘E allora, vede…’, concluse con un sorrisetto beffardo. Ho visto: il suo figliolo oggi, a fine carriera, ha accumulato una prodigiosa fortuna. Io, dal mio cantuccio, conduco una serena, laboriosa vecchiaia. Grazziaddio. Qui giunti, e siamo all’in cauda venenum, vorrei finire riportando la domanda finale di quella mia famosa inchiesta e le relative risposte. Ecco la domanda: ’Lei pensa che suo figlio/a si diverta a praticare questo sport?’. L’80% degli interrogati rispose negativamente, in vario modo. Di questi, un buon 25% aggiunse: ’No, penso che se dipendesse da lui/lei, se ne andrebbe a zonzo con gli amici’. Per concludere, penso che noi ragazzi della società negatrice, figli dei padri che pretendevano d’insegnare a campare, noi ragazzinacci stradaroli da bosco e da riviera, capaci di stare a tavola coi principi, ma anche di fare a cazzotti nei vicoli, be’non possiamo oggi dire che a quel tempo ci annoiassimo. Certamente, poche e semplici cose bastavano a divertirci. Il gioco, per esempio. Il gioco come sogno e come autoterapia. Come afferma Freud e conferma Piaget. Io gli credo. (fine)

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onostante quella barba lo renda un personaggio dai connotati estetici da attore, apparentemente ruvido e spericolato, un po' alla Steve McQueen, si può tranquillamente affermare che Daniele De Rossi non incarni lo stereotipo di uomo copertina. Nei suoi gesti, nelle sue parole, non c'è il divismo tipico di tanti suoi colleghi, anzi. Argomento a contrario, non c'è da parte sua neanche necessità di voler apparire un ragazzo semplice. La cosa infatti gli viene naturale, non va costruita, fa già parte del suo Dna. Una semplicità che piace alla gente, ed è il segreto per cui De Rossi, oltre ad essere oggettivamente un idolo della tifoseria romanista, è rispettato (comprensibili sfottò a parte) dai sostenitori della Lazio ed è molto ammirato dal popolo della Nazionale. 'Danielino' sembra una metafora – sportiva, non entriamo in altri campi – dell'Italia che cresce e che lavora. Pochi proclami, tanti fatti. Gli avversari attaccano e lui è sempre lì, schermo davanti alla difesa, pronto a dare una mano ai compagni quando gli avversari attaccano, ma è anche il primo a rilanciare l'azione e proporre l'offensiva. Del resto, al calcio giocano bene in tanti, ma per andare veramente forte bisogna avere la testa, e di quella De Rossi ne ha tanta. Inutile affannarsi nel trovare aggettivi, basta far emergere le sensazioni degli allenatori, tutti di grande spessore, che lo hanno allenato. Da un santone come Fabio Capello, che lo ha guidato nei primi pas-

N

di Elena TURRA foto Getty Images si in giallorosso intuendone le qualità da leader, a Luciano Spalletti, che lo ha reso perno fondamentale di un nuovo modo, più spettacolare di interpretare il calcio a Roma, a Claudio Ranieri, con il quale condivide progetti tattici e romanità. Per non parlare poi dei maestri in azzurro: Claudio Gentile, Marcello Lippi, quest'ultimo un duro che gli ha subito dato una seconda chance dopo la sciocchezza fatta al Mondiale con gli Usa, Roberto Donadoni, Cesare Prandelli. Tutti hanno sempre avuto parole al miele verso di lui, mai una critica, mai una crepa, anche presunta, sul suo rendimento. Cosa vuol dire per Lei essere uno dei simboli storici della storia della Roma? «Non esageriamo. Sono romano e romanista ma credo che ci siano giocatori del passato e di oggi che sono stati e lo sono ancora dei simboli». Il premio atleta dell'anno conferitole in Campidoglio acquista ancora più valore nel periodo delle celebrazioni dei 50 anni dall’Olimpiade di Roma 1960. Questa cosa la responsabilizza ulteriormente nel suo rapporto con la città? «Il mio legame con la città è molto stretto, non è certo un segreto. Mi piace viverla, interessarmi alle problematiche. Aver ricevuto un premio dal Comune rende il legame che ho

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con Roma ancora più forte e speciale. Comunque, si tratta di sensazioni forti e difficili da descrivere». Lei ai Giochi Olimpici di Atene 2004 ha vinto un bronzo. L'Italia del calcio non saliva su un podio olimpico dal 1936. La immaginiamo come una grande emozione... «Vincere nella città e nel paese dove l’Olimpismo è nato e dove si sono celebrati anche i primi Giochi dell’Era Moderna, ha avuto un sapore ovviamente particolare - anche se la medaglia non era in oro... - come lo hanno, comunque, tutte le Olimpiadi». Le Olimpiadi. «Alle Olimpiadi si vive tutti insieme 24 ore al giorno. Ragazzi di tutti i Paesi e di culture diverse amalgamati con un unico spirito. È incredibile: è un ambiente gioioso, particolare. Se non l'hai vissuto non lo puoi capire». L'atmosfera che si respira al villaggio olimpico è unica, oppure nell'epoca del business lo spirito olimpico esiste solo sulla carta? «Per quanto riguarda noi atleti è rimasto intatto quello spirito». Ci spiega la differenza tra l'atmosfera che si vive in un Mondiale e quella in una Olimpiade? «È diverso. Quando partecipi all’Olimpiade si vive nel villaggio Olimpico, tutti insieme, conosci e frequenti altri atleti. Scambi le esperienze. Quando giochi un Mondiale di calcio vivi con il tuo gruppo».



Inutile negarlo, i calciatori rispetto agli altri sportivi passano sempre da privilegiati. Ad Atene ha sentito qualche forma di invidia da parte degli atleti degli altri sport? E più in generale che rapporto si crea tra atleti di diverse discipline? «Assolutamente no. Si partecipa tutti insieme. E che tu vinca o perda prevale lo spirito olimpico, si sentono meno le pressioni e le tensioni». A proposito di altri sport: ne pratica per hobby qualcun altro, e a livello di passione, quale segue? «Tempo per praticare altri sport non ne ho molto, mi piace seguire il tennis in particolare, ma sono appassionato di sport in generale. Mi piace lo spirito sportivo che anima gli atleti». Qualche domanda sul suo privato. Canzone preferita, tipologia di film che ama vedere maggiormente. Trova una carica particolare prima delle partite con qualche brano? «Non ho una canzone preferita. Mi piace la musica in generale, mi piace ascoltarla. Dipende molto dai periodi a volte ascolto musica pop italiana e straniera indifferentemente, a volte quella rock, dipende dallo stato d'animo».

Lei ha mosso i primi passi calcistici ad Ostia. Aveva il classico sogno di diventare campione sin da bambino, oppure tutto è arrivato quasi per caso? «All'inizio ho giocato per caso, mi piaceva come tutti i bambini e poi il calcio è la cosa più semplice. In strada in spiaggia su di un prato, puoi giocare ovunque con gli amici. Non sono mai stato forzato dalla famiglia: mi piaceva e il mio sogno da bambino era quello un giorno di giocare nella Roma». Inoltre, è sempre stato tifoso della Roma? «Sempre». Come erano le giornate del De Rossi bambino. Ostia, il mare, gli amici. Dove ha mosso i primi passi da calciatore: spiaggia, oratorio, cortile di casa? «Come quelle di tutti i bambini, dopo la scuola non vedevo l'ora di trovarmi con gli amici in spiaggia al campetto vicino a casa per giocare». Qual è il suo rapporto attuale con Ostia? «È lo stesso di quando ero bambino. Non potrei stare lontano dal mare e dal suo profumo. Alzarsi il mattino e vedere il mare all'orizzonte è impagabile. È bellissima l’atmosfera che si respira nel periodo autunnale. E gli

CON LA ROMA

amici sono quelli di sempre, di quando ero piccolo». Da Ostia il salto alla Roma. Ci racconta la sua prima giornata da romanista? «Ho iniziato dal settore giovanile e per me si era già realizzato il sogno, indossare questi colori, giocare al centro sportivo dove si allenavano i miei idoli... Credo sia il sogno di ogni ragazzino che inizia a giocare a calcio. Tutto il percorso fino a quando ti chiamano per allenarti con la prima squadra, poi arriva la panchina, il momento dell'esordio... indescrivibile. Sono delle emozioni che ti porterai sempre dentro». Era molto lontano dall'immaginare che un giorno avrebbe indossato la fascia di capitano, anche della Nazionale? «Sinceramente non ci pensavo. È stata la realizzazione di un altro sogno». Lei è un modello per i giovani, ancor di più dopo che si fece annullare una rete segnata al Messina con la mano... «Sono fatto così. Un gesto spontaneo: non sono un eroe e non voglio esserlo. Mi piace il gioco corretto». Un giudizio sul suo capitano Francesco

CON LA NAZIONALE

Il 4 settembre 2004 a 21 anni, de rossi esordisce in Nazionale nella partita Italia-Norvegia (2-1), disputata a Palermo e valevole per le qualificazioni al Mondiale 2006. Al suo esordio realizza anche il suo primo gol in Nazionale. Con 59 gare disputate e 9 reti segnate, De Rossi è il giocatore della Roma che conta più presenze e marcature in Nazionale. ha vinto: un Campionato d'Europa Under-21 (2004) e un Campionato del mondo (2006). nel suo palmares un Bronzo olimpico (Atene 2004).

Capello fa esordire de rossi a 18 anni nella partita di Champions Roma-Anderlecht (1-1) il 30-102001 facendolo entrare nel II t. al posto di Tomi . Nella stagione di esordio viene impiegato anche in 3 gare di Coppa Italia. De Rossi esordisce il 25-01-2003 in Como-Roma (2-0). con la roma vince 1 campionato italiano (2000-2001), 2 coppa italia (2006-’07, 2007-’08) e 1 Supercoppa italiana (2007). 222 le presenze in campionato e 27 reti per lui. 319 pres. e 40 reti comprese le altre competizioni.

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Totti. «Con Francesco c'è un rapporto particolare: siamo romani tutti e due cresciuti nella Roma, esiste un feeling che non si può descrivere e poi dal punto di vista umano non ho bisogno di dirlo io. Nello spogliatoio non ha bisogno di esprimersi: lui è uno che parla con lo sguardo». Lo scorso anno Claudio Ranieri ha avuto un impatto eccezionale. Ci spiega i suoi metodi di allenamento ed il rap-

porto con i giocatori? «Ha saputo darci la scossa. Arrivavamo da un periodo non felice. È riuscito a toccare i tasti giusti e noi l'abbiamo seguito». Come valuta il suo ruolo in campo e come si è evoluto anche tatticamente? «Non mi piace dare giudizi su me stesso. Cerco di essere d'aiuto per la squadra, di fare ciò che mi chiede l'allenatore a seconda delle situazioni». Che vorrebbe dire al pubblico della Ro-

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ma? «Ai nostri tifosi non devo dire nulla: ci seguono ovunque. Basta pensare a quello che è successo a Verona la stagione scorsa: da pelle d'oca. Mi piacerebbe che allo Stadio ci fossero tante famiglie e soprattutto i bambini». Quali sono stati gli idoli, non solo nel calcio ma anche negli altri sport? «Non ho un idolo in particolare. Ho tantissima stima e rispetto per tutti gli sportivi e non solo quelli famosi.


PER INFORMAZIONI: WWW.PERMARIANOEMI.ORG

Nel segno della solidarietà Maria Noemi Mariani, figlia di Giovanna ed Emmanuel, è una bambina nata il 7 agosto 2005 a Roma. I medici ritardano il parto cesareo e Noemi subisce un'asfissia con conseguente emorragia cerebrale. Emmanuel, il papà di Maria Noemi, cresciuto nello storico rione di Testaccio, grande tifoso romanista, è un ex autista Atac. Giovanna, è la mamma. Per 20 ore su 24 entrambi vivono alla Casa del Clero all'interno dell'Ospedale Bambin Gesù di Palidoro. Maria Noemi ha convulsioni continue ed è sotto costante terapia farmacologica. Questa è solo una parte della storia di una ragazzina nel cuore anche di De Rossi che è padrino di Maria Noemi. «Daniele è spesso venuto a trovare la bambina. Quando serve la sua presenza non manca mai», ha spiegato il papà. Anche le tifoserie organizzate di Roma, soprattutto e Lazio sono accanto alla famiglia. Non fanno mancare il loro apporto anche le radio romane: «trasmissioni come ‘Il mio canto libero e Fase 4’ contribuiscono ad aiutarci moltissimo», spiega lo stesso Emmanuel.

So quanto sia faticoso raggiungere certi livelli». La scorsa stagione la rivalità con la Lazio ha raggiunto livelli elevatissimi. Lei è ovviamente amatissimo dai tifosi della Roma, ma diversamente rispetto ad alcuni giocatori del passato e a parte qualche battuta goliardica che fa parte dello sfottò, è rispettato dai tifosi laziali. «Si è vero. E pure lo sfottò, a Roma, fa parte della vita quotidiana. A me piace e mi diverto, a patto che non si esageri e non si vada a toccare la sfera personale». Quando alcuni esponenti della tifoseria biancoceleste ebbero dei problemi anche con la giustizia, Lei non fece mancare momenti di vicinanza. Fa parte anche questo del suo ruolo o è un lato della sua indole stare vicino a persone che hanno più bisogno come nel caso di Maria Noemi? «Fa parte del mio modo di essere e inoltre credo che chi ha la nostra fortuna ed è “personaggio pubblico” abbia anche dei doveri ben precisi». Abbiamo parlato dell'azzurro olimpico, passiamo all'azzurro della Nazionale maggiore. Ci racconta le emozioni dell'esordio? «La Nazionale è qualcosa che ti "entra" dentro nel momento in cui vesti la maglia azzurra e scendi in campo. Rappresenti il tuo Paese. Tutto il Paese ti guarda e non CALCIO: INTERVISTA A DE ROSSI | 64


spq ort È un rapporto stretto quello tra De Rossi e la Nazionale azzurra, iniziato in maniera trionfale con la conquista del titolo Europeo Under 21 nel 2004, nel quale mette a segno 2 reti. Nello stesso anno conquista il bronzo olimpico ad Atene: l'Italia non saliva sul podio dal ‘36 a Berlino. Nel 2004, l’esordio nella Nazionale maggiore festeggiato con una rete nel 2-1 alla Norvegia. Il maggiore trionfo è quello al Mondiale 2006 in Germania, ma va sottolineato soprattutto un particolare. De Rossi in azzurro ha avuto 3 CT, Lippi, Donadoni e Prandelli, ed ognuno di questi almeno una volta gli ha assegnata la fascia di capitano.

Daniele e il leone... durante un safari organizzato per la Nazionale ai recenti Mondiali in Sud Africa. In fondo lo stadio è una specie di Colosseo dei tempi moderni, ed è come se De Rossi scruti e carezzi il grosso felino per carpirne, forse sarebbe meglio dire condividerne, i segreti della sua forza. In Sud Africa le cose sono andate male, ma è giusto sottolineare come De Rossi si sia battuto con l'anima, dal gol del pareggio segnato al Paraguay al rigore procurato contro la Nuova Zelanda. Poi la catastrofe, ma non tutto è andato perduto. Anche un leone può perdere una battaglia, ma orgoglio e coraggio, quelli restano, per ripartire.

esistono le rivalità tra squadre siamo tutti compagni e tutti insieme scendiamo in campo per portare in alto il tricolore». Cosa ha provato alla partenza per il Mondiale di Germania 2006, in un clima di piena bufera per calciopoli? «È stata un'esperienza particolare: ma la nostra forza è stata quella di isolarci da tutto ciò che accadeva all'esterno e l'unione per il raggiungimento di un obiettivo. È stata una bellissima sfida che per fortuna abbiamo vinto». Bella partenza, poi la gomitata a McBride nella gara contro gli Stati Uniti e tutto sembrava finito. L'episodio ha pesato, magari inconsciamente, al momento di calciare il rigore nella finale con al Francia? «No in quel momento pensavo solo che non avrei dovuto sbagliare, non per me ma per a squadra... eravamo arrivati fino a lì e dovevamo scrivere noi la parola fine a quel Mondiale». Ora si riparte con Prandelli. Lei lo ha avuto per un breve periodo alla Roma: che qualità pensa possa mettere al servizio della Nazionale? «Come allenatore parlano i risultati ottenuti con le squadre in cui è stato. Come uomo parlano i fatti».

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I.P. I.P.



Continua il nostro viaggio nelle strutture sportive di Roma. Dopo il servizio sul bocciodromo e sul nuovo Centrale del Tennis in questo numero ecco il Water Ski Complex.

Sci nautico e wakeboard, due discipline che per molti anni sono state ad esclusiva degli atleti del nord, dove gli impianti per la pratica abbondano. Ora nella Capitale potranno emergere i talenti del centro Italia

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di Michela DI CARLO port, divertimento, relax. Il Parco del Tevere - Water Ski Complex offre tutto questo. L’impianto, dedicato agli appassionati di sci nautico e wakeboard, è un piccolo scorcio di paradiso in località Prima Porta. Aperto dal lunedì alla domenica, dall’alba al tramonto, si candida a divenire un vero polo di attrazione per sportivi o semplici appassionati. Inaugurato sulla via Tiberina al km 8,300, alla presenza di Marco Perina, vicepresidente del XX Municipio, Giorgio Mori, consigliere PdL, del pilota Ducati di superbike Michel Fabrizio, e dalla showgirl Natalie Caldonazzo, la struttura è stata la novità più calda dell’estate romana. Il Water Ski Complex è una struttura che mette a disposizione tutta l’attrezzatura necessaria per avvicinarsi a questi sport, oltre alla professionalità di istruttori esperti e piloti federali. Saranno loro che si prenderanno infatti cura dei dilettanti così come dei più esperti, combinando gioco, divertimento e impegno sportivo. «La nostra struttura – ha spiegato il presidente dell’impianto sportivo Stefania Caforio - punta a diventare un vero e proprio centro di eccellenza e un polo di attrazione per campioni, neofiti e coloro che, magari anche solo per curiosità, desiderano avvicinarsi allo sci nautico. Si tratta di un’iniziativa completamente privata della società Parco del Tevere, che è diven-

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STRUTTURE

WATER SKI COMPLEX tata realtà grazie anche al patrocinio di varie istituzioni come il Comune di Roma, il XX Municipio nella persona dell’Assessore allo sport e cultura Perina e il Coni. Il Water Ski Complex è la risposta a quanti chiedevano di intervenire su un’area che richiedeva un progetto di riqualificazione. Allo stesso tempo intende diffondere questa disciplina tra i giovani e i meno giovani e offrire agli atleti un luogo dove allenarsi». L’impianto è costituito da due piani d’acqua di circa mille metri ciascuno, due ex cave di inerti, ormai dismesse. Un lago è destinato all’allenamento di atleti e dilettanti nelle discipline classiche dello sci nautico, quindi slalom, figure e salto; su questo specchio d’acqua si terranno corsi per principianti, clinic per sciatori esperti e programmi di allenamento per giovani agonisti. Sull’altro piano d’acqua, invece, si svolgono tutte le attività didattiche per principianti e per gli atleti impegnati nelle attività del wakeboard e del wakeskate, con strutture apposite di allenamento. «Tra i nostri compiti – ha spiegato l’assessore all’Ambiente Fabio De Lillo nel corso della presentazione della nuova struttura - vi è anche quello di riqualificare cave ormai dismesse per restituirle al territorio e ai cittadini. Il Parco del Tevere, sotto l’aspetto della riqualificazione ambientale, rappresenta sotto questo punto di vista uno dei pro-

getti più validi presentati alla nostra amministrazione, e per questo ha goduto del nostro appoggio fin dall’inizio. Il Parco del Tevere si inserisce all’interno di un’area che da qui al 2020 intende crescere ed ampliarsi, anche in vista della candidatura olimpica di Roma. Il nostro intento è quello di invitare i romani ad apprezzare anche altri tipi di sport, non solo il calcio». L’obiettivo primario di istituzioni e imprenditoria è quello di arrivare a creare un vivaio di atleti facendo avvicinare a questo sport un maggior numero di ragazzi, al fine di diffondere questa disciplina in tutta la regione. A tale scopo, il prossimo anno l’impianto verrà dotato di un cableski, ossia una sorta di skilift, che trainerà otto-dieci sciatori contemporaneamente riducendo i costi e rendendo questo sport accessibile a tutti. Per Alessandro Cochi, Delegato alle Politiche Sportive del Comune di Roma, «l’iniziativa è unica nel suo genere, in quanto raggruppa più discipline sportive e perché sorge in quel complesso ambientale che sarà il Parco Olimpico. Un’iniziativa privata studiata con il Comune per favorire il recupero ambientale di una zona bonificata e lo spirito sportivo dei romani». Un progetto che rientra nelle area di competenza del XX Municipio «tra i più all’avanguardia per numero di centri attrezzati per sport minori – chiosa il vice presidente e assessore allo sport

COSÌ APPARIVA L’AREA PRIMA DELL’INTERVENTO

del Municipio Marco Perina -. Oltre ad aver promosso il golf e il Festival del Fitness, quest’anno abbiamo introdotto nelle scuole anche la scherma e l’arrampicata sportiva. Sono particolarmente felice che a Roma, ed in particolare nel XX Municipio sia stato recuperato un sito , strappandolo al degrado. Finalmente i romani hanno un bacino dove fare sci nautico. Dopo i divieti di utilizzare barche a motore sia a Catelgandolfo che a Bracciano, il punto più vicino per questa disciplina era Sperlonga, a più di 120 chilometri da Roma». Un Municipio in ogni caso a forte vocazione sportiva. «Abbiamo voluto che sul nostro territorio si svolgessero manifestazioni sportive in grado di coinvolgere i cittadini. A Ponte Milvio abbiamo allestito eventi di scherma, grazie alla gloriosa società Musumeci-Greco, e match di pugilato grazie a l’organizzazione di Buccioni. Abbiamo realizzato eventi di golf per bambini , maratone e tante altre piccole iniziative per tutti». Il progetto Water Sky rappresenta un motore di sviluppo di tutta l’area. Intorno ai due laghi sorgeranno infatti altre attività sportive, sempre di nicchia, ma comunque di eccellenza che supporteranno e completeranno l’impianto. In dirittura d’arrivo un centro di equitazione per concorsi internazionali, un kartodromo e una pista di mini moto


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Oggi è completata solo l’area per lo sci nautico. Ma nel futuro potrebbe trasformarsi 10 in un piccolo Foro Italico... sulle sponde del Tevere LE SPECIALITÀ DELLO SCI NAUTICO

per gare internazionali nonché un percorso di golf e uno di fitness outdoor. «Questa struttura – ha concluso Stefania Caforio- vuole essere un posto non solo dove fare sport all’aria aperta, ma un luogo dove la famiglia può avere l’opportunità della condivisione del tempo libero grazie alla grande capacità di aggregazione che questo sport implicitamente contiene in sè, potendo essere praticato a tutti i livelli e praticamente a tutte le età. Ci auguriamo che sia anche meta sportiva privilegiata per quei tanti sciatori stranieri che avranno un motivo in più per venire a Roma; all’estero ed in particolare in nord Europa lo sci nautico è molto praticato e le favorevoli condizioni climatiche della nostra città attireranno molti sportivi».

Lo slalom consiste nell’effettuare un percorso delimitato da sei boe, alternate destra-sinistra dalla linea mediana del campo gara lungo 259 e largo 22 metri, accorciando di volta in volta la corda, inizialmente lunga 18,25 metri, ad ogni percorso concluso. Le figure si suddividono in figure acqua, 19 quelle riconosciute, e in figure onda, 54 quelle riconosciute. Le prime si eseguono con il monosci poggiato sull’acqua mentre le seconde si eseguono in aria sfruttando l’onda creata dal motoscafo. Inoltre si suddividono in figure mano-mano, ovvero quando lo sciatore le esegue passandosi il bilancino senza mai lasciare la presa, e figure corda al piede, quelle in cui lo sciatore passa l’aggancio della corda dalla mano al piede. Il salto è la specialità più spettacolare e la gara consiste nell’effettuare una serie di 3 passaggi su un trampolino cercando di atterrare in acqua il più lontano possibile e mantenendo per almeno 100 m dal punto di atterraggio la posizione sugli sci. Velocità. Un mix tra motonautica e sci nautico con gli atleti che sfrecciano a velocità anche di 100 km/h per lunghe distanze, dai 50 ai 90 chilometri, trainati da motoscafi potenti e veloci con piloti patentati coadiuvati da un osservatore che fa da tramite tra lui e lo sciatore. Le dimensioni del monosci utilizzato non hanno limiti così come la lunghezza della corda che non può essere solo inferiore ai 21 metri. La gara si svolge generalmente in un campo gara delimitato con boe a formare un circuito da ripetere più volte, i concorrenti partono insieme e vince chi arriva primo.

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Ingresso

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Parcheggi

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Parcheggi Pista sterrata Pista Go-kart

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Percorso fitness attrezzato

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Servizi Area Sci nautico Club House Area Sci nautico

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A piedi nudi. Si praticano le stesse specialità delle discipline classiche, ossia slalom, figure e salto, ma senza il supporto degli sci: si scia a piedi nudi. wakeboard. Si pratica con una tavola simile a quello da snowboard, quindi più lunga rispetto al monosci delle figure, dotata di strap che le consentono di rimanere fissata ai piedi dell’atleta. Scopo di una gara di wakeboard è quello di compiere due passaggi sul campo gara effettuando salti ed eseguendo nel miglior modo il maggior numero di figure.


UNA GIORNATA INSIEME AD

ANDREW HOWE di Saverio FAGIANI foto Getty Images Fava-Ufficio Sport

L’azzurro, velocista e specialista nel salto in lungo, si racconta. I suoi segreti, gli inizi della carriera, i sacrifici quotidiani, la vita in pista e fuori, i suoi amori e le sue passioni


Ho lanciato il giavellotto, corso i 60 metri, fatto il salto in lungo e addirittura anche la marcia». Che ricordi hai degli Stati Uniti? «Purtroppo sono ricordi lontani, avendo lasciato l’America da piccolo non ho avuto nemmeno la possibilità di farmi degli amici, quindi non ho molte fotografie impresse nella memoria». na giornata insieme ad Andrew Howe. Nell’aeroporto di Vigna di Valle, lungo la costa del Lago di Bracciano, dove l’aviere capo, tra i più forti lunghisti del mondo, si allena da qualche anno sotto la guida della madre Renèe Felton.

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Handrew raccontaci come nasce la tua carriera sportiva. «Sono arrivato in Italia insieme a mia madre quando avevo circa tre anni. Siamo andati a vivere a Rieti, una città molto importante per l’atletica leggera e per lo sport in generale.. Ho fatto tutte le scuole a Rieti e sin da piccolo frequentavo i campi sportivi e soprattutto le piste di atletica. Seguivo mia madre nei suoi allenamenti, mi ricordo che mentre lei si allenava io giocavo con altri bambini sul prato del campo di atletica. Poi ho iniziato a gareggiare intorno ai dieci anni e mi divertivo a farlo in più specialità.

Hai mai visto tua madre gareggiare? «Si, molte volte, e comunque la vedo anche ora perché continua a gareggiare ai campionati per atleti master». Da bambino quando vedevi tua madre calcare i campi di atletica, provavi emozione? «Più che emozione facevo molto tifo per lei, come oggi lei fa con me». Cosa rappresentava l’atletica per te quando eri bambino? «Per me era divertimento. Correvo per giocare, poi iniziai a conoscere, tramite la televisione, qualche mito dell’atletica leggera, come Carl Lewis ad esempio, e pensai di poter ripercorrere le stesse tappe». Quali sono le principali difficoltà dell’atletica leggera? «È uno sport molto impegnativo che richiede un particolare spirito di adattamento alla fatica e al sacrificio. Avendo molte specialità, una

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diversa dall’altra, occorre aver acquisito un vasto bagaglio di qualità motorie che ti permettono di affrontare situazioni diverse. Nei 100 metri, ad esempio, occorre mente rapida e automatismi particolari che ti permettono di raggiungere elevate performance. Nel salto in lungo, invece, essendo una gara che può durare anche tre ore, occorre una costante e prolungata concentrazione». Cosa provi quando sei in campo per affrontare la gara? «Quello che più mi emoziona è la pista, le persone con cui devo gareggiare, poi mentre sono concentrato mi piace sentire la gente che scandisce il mio nome e che mi incita a far sempre meglio». Mentre ti concentri per la gara riesci a percepire l’atmosfera che ti circonda? «Nonostante la massima concentrazione riesco a vedere la gente, le loro facce, la loro partecipazione, e spesso mi danno la giusta carica per il raggiungimento di buone misure». Come ti prepari e cosa fai il giorno della gara? «Mi sveglio alle ore 8,30, come ogni altra mattina, con un po’ di emozione e tensione: la sensazione è la stessa che si prova prima di un esame universitario o di un colloquio di la-


vittoria che più ti ha esaltato? «La sconfitta che più mi ha bruciato è senza dubbio quella dell’Olimpiade di Pechino, perché non ero ancora in piena forma fisica quindi non potevo fare di più. La vittoria che più mi ha esaltato in realtà è stata una non vittoria, ovvero il secondo posto centrato ai Campionati del Mondo di Osaka nel 2007».

Howe nella palestra polifunzionale che prima era un hangar per idrovolanti

voro. Faccio colazione a base di cereali, pane e cioccolata, poi faccio una passeggiata lungo il lago, compro il giornale, torno a casa e mi faccio una partita alla Playstation cercando di distogliere i pensieri dalla gara. A pranzo mangio della pasta e un po’ di pollo, nel pomeriggio vado al campo di gara in macchina o con l’autobus dell’Aeronautica, entro negli spogliatoi mi preparo e vado al campo di riscaldamento. La vera tensione sale quando veniamo chiamati nella call room, circa mezz’ora prima della gara, dove non puoi fare nient’altro che aspettare il tuo turno, quindi sei costretto a pensare alla gara e a tutti i suoi risvolti. Quando arriva il tuo turno ed entri nel campo di gara con tanta gente che ti incita, il cuore va a mille e l’emozione ti avvolge. Sono sensazioni

molto belle e particolari, difficili da spiegare se non si provano». Come affronti la gara? «Ci arrivo con la massima concentrazione, facendo le solite preparazioni della rincorsa, i soliti segni sul tartan come indicazione per la partenza, i tre salti di prova che abbiamo a disposizione e poi via con la gara». Cosa provi quando vinci e… quando perdi? «Quando perdo cerco di vedere le poche cose buone che ho fatto. Quando vinco, visto che è andato tutto bene, cerco di vedere le poche cose che sono andate male analizzandole sotto il profilo tecnico, con l’obiettivo di non ripeterle e quindi migliorare ancora». La sconfitta che più ti ha bruciato e la

Le sensazioni tra una gara persa ed una vinta sono le stesse? «Decisamente diverse tra loro. Quando si perde si è arrabbiati e non hai voglia di parlare con nessuno: sei triste e pensi negativo. Quando si vince è tutt’altra cosa, sei felice e sembra che tutto giri per il verso giusto: questo ti aiuta anche ad affrontare il duro lavoro che ti attende per centrare nuovi traguardi». Quando hai partecipato alla prima gara? «Quando avevo cinque anni, i 60 metri, e successivamente ho provato anche il salto in lungo. Poi ho iniziato a curare la velocità e quindi a dedicarmi alle gare sui 100 metri ». Dove l’hai disputata la prima gara? «A Los Angeles». Ti ricordi quando hai vinto la prima medaglia? «Lo ricordo molto bene. La con-

La scheda: corsa e salto in lungo Andrew Curtis Howe è nato a Los Angeles il 12 maggio 1985. Figlio di Renée Felton, ex ostacolista statunitense, e di Andrew Howe senior, calciatore americano di origini tedesche, all’età di tre anni si trasferisce in Italia insieme alla madre che, convolata a seconde nozze con un italiano, ottiene per lei e il figlio la cittadinanza. A livello giovanile Howe pratica diverse discipline sportive tra cui tennis, calcio e pallacanestro, per poi dedicarsi alle varie specialità dell’atletica leggera, dai 110 metri ostacoli ai salti, sempre seguito dalla madre, che ne è tuttora l’allenatrice. Nel 2001, ai Mondiali allievi di Debrecen, Ungheria, si mette in luce vincendo la medaglia di bronzo nel salto in lungo con la misura di 7,61 metri. Nel 2004, ai Mondiali juniores di Grosseto, si impone all’attenzione internazionale aggiudicandosi l’oro sui 200 metri (con il personale di 20’’28) e nel salto in lungo (con il personale di 8,11 metri). Un mese dopo la rassegna iridata juniores fa il suo esordio olimpico ai Giochi di Atene 2004. Passa il primo turno di qualificazione dei 200 metri, ma il riacutizzarsi di un dolore al piede lo frena nella gara successiva, dove finisce ultimo mancando la qualificazione alle semifinali. Anche ai campionati del mondo del 2005 ad Helsinki si ferma al secondo turno dei 200 metri. Nel 2006 vince la prima medaglia in una competizione internazionale seniores, il bronzo nel salto in lungo ai

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mondiali indoor di Mosca con la misura di 8,19 m. Nello stesso anno partecipa al Golden Gala di Roma arrivando terzo nel salto in lungo con il suo nuovo personale, 8,41 metri, a soli due centimetri dal record italiano detenuto da Giovanni Evangelisti. Ai successivi Campionati europei di Göteborg vince l’oro nel salto in lungo con la misura di 8,20 metri. Nel 2007, ai Campionati europei indoor di Birmingham, si aggiudica l’oro saltando al quinto turno 8,30 metri, misura con la quale migliora di 4 centimetri il primato italiano al coperto detenuto dal 1987 da Evangelisti. Nello stesso anno vince la gara di salto in lungo al Golden Gala con 8,12 metri, il titolo italiano a Padova con la misura di 8,40 metri, e chiude la stagione con un capolavoro, l’argento ai Mondiali di Osaka con il nuovo record italiano, 8,47 metri. Nel 2008 partecipa alla gara dei 200 metri in occasione della Coppa Europa di Annecy, ma a metà rettilineo un infortunio muscolare lo costringe a chiudere la gara praticamente al passo. L’infortunio ne pregiudica la partecipazione olimpica, a cui arriva dopo due mesi di assenza dalle competizioni chiudendo la gara nel turno di qualificazione con un scarso 7,81 metri. Nel 2009 è ancora fuori condizione, nel 2010 torna a gareggiare e ai Campionati italiani vince il titolo con un buon 8,16 metri.


IL CENTRO SPORTIVO AERONAUTICA MILITARE

Polisportiva con le stellette Sono circa 160 gli atleti ospitati nel centro sportivo dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle, a due passi dalla Capitale.

Il Tenente Silvestrini ci accompagna nella visita al centro sportivo dell’Aeronautica sul lago di Bracciano, Nel gruppo anche Marco Pietrogiacomi, Presidente regionale Fidal

Arrivati a Vigna di Valle per intervistare Howe, siamo stati accolti dal Comandante Col. Pilota Alessandro Gresta, dal Ten. Flavio Silvestrini e dal 1° M.llo Luogotenente Fabrizio Leoni. Dopo avere visitato il museo storico di Vigna di Valle e i moderni impianti sportivi del centro abbiamo sottoposto alcune domane al Comandante Gresta.

quistai ai campionati italiani cadetti stabilendo anche il record italiano nel salto in lungo con la misura di 7,52 metri». Le attività motorie di base dei bambini americani sono diverse da quelle che

SALTO IN LUNGO CORSA

praticano i nostri? «Credo solo in Cina siano differenti, per il resto penso che siano uguali in tutto il mondo». Hai partecipato ai Giochi di Pechino: che impressioni hai avuto dei cinesi e dell’organizzazione? «Noi vivevamo in ambienti abbastanza ovattati quindi non riuscivamo a comprendere cosa poteva succedere al di fuori. Personalmente ho conosciuto solo l’ambiente del villaggio olimpico. Quello che si notava in maniera evidente erano gli enormi impianti sportivi con le loro caratteristiche architetture e la loro funzionalità. I cinesi mi ricordano un po’ i napoletani: simpatici, furbi e con una vasta cultura». Dei Giochi di Pechino cosa ci puoi dire? «Ero un po’ arrabbiato per come mi erano andate le cose quindi potete immaginare con quale stato d’animo ho vissuto quei giorni a Pechino. Comunque, anche se in parte, ho vissuto dei momenti emozionanti perché stare a contatto con grandi campioni dei vari sport ti crea sempre delle sensazioni particolari».

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Qual è la motivazione che spinge l’aeronautica Militare a supportare, sostenere e ospitare atleti come Andrew Howe? «Oltre ad Andrew nel nostro centro sportivo ospitiamo circa 160 atleti di varie discipline sportive come l’atletica, la scherma, l’equitazione e la ginnastica ritmica, la maggior parte di livello internazionale. L’Aeronautica ospita e supporta questi atleti perché è nello spirito della stessa forza armata, come del resto di tutte le altre, garantire il giusto spazio a questi sport che hanno dato tanto all’Italia. Gli atleti che praticano questi sport con poca luce sotto i riflettori conducono una vita fatta di sacrifici e grande impegno, quindi anche per questo è giusto sostenerli». Cosa fate al centro di Vigna di Valle per avvicinare i giovani alla pratica sportiva? «L’Aeronautica è promotrice di innumerevoli iniziative a carattere sportivo che coinvolgono giovani e giovanissimi. Qualche mese fa abbiamo ospitato i campionati di scherma e i campionati studenteschi di badminton, con la presenza di circa 500 ragazzi provenienti da tutta Italia. Il nostro centro sportivo è sempre a disposizione dei giovani, soprattutto di coloro che vivono nelle comunità locali, Anguillara, Bracciano e Trevignano. Ogni anno da noi si disputano manifestazioni sportive di tutte le scuole medie ed elementari dei paesi circostanti. Ecco, questo è una delle vie che percorriamo per far appassionare i giovani a questi sport».


Tatuaggi che passione! Che significato hanno i tanti tatuaggi che hai? «Nessun significato particolare, tranne il tatuaggio che raffigura Gesù per evidenti ragioni di religione. Per il resto li ho fatti perché mi piacciono. Quello che merita un pochino di attenzione è quello giapponese che simboleggia l’inizio e l’arrivo della vita». Dove li hai fatti? «Tutti a Roma». Molti atleti hanno tatuati i cinque cerchi olimpici: perché tu non li hai fatti? «Perché mi sembra una cosa troppo banale».

Quale campione avresti voluto incontrare tra le vie del villaggio olimpico? «Tanti, con una piccola preferenza per Ronaldinho e Nadal». Passiamo ad altro, quanto sei laziale? «Un bel po’».

specifica per ogni tipo di specialità. Negli ostacoli, ad esempio, bisogna essere bravi a saltare l’ostacolo e nello stesso tempo essere veloci; nel triplo c’è una progressione di tre balzi con un salto in lungo finale; nel salto in lungo occorre molta velocità e destrezza; nei 100 metri serve molta velocità ed esplosività, e così via per le altre specialità».

Suoni la batteria: come fai a conciliare i duri allenamenti con l’impegno nella musica? «Ho iniziato a suonare la batteria all’età di 7 anni, prima da solo poi insieme ad altri amici formando così un gruppo. Suonare è molto bello, mi piace e anche se richiede molti sacrifici conciliare la musica con l’atletica continuerò perché è una passione che mi viene da dentro».

E quella tra i 100 e i 200 metri? «I 100 metri sono una gara breve dove la reattività muscolare diventa essenziale e fondamentale; i 200 sono completamente diversi, in quanto alla qualità della velocità devi abbinare anche una strategia di gara».

Che tipo di musica amate suonare tu ed il tuo gruppo? «Ci piace molto il metal rock duro».

È vero che i 100 si fanno in apnea? «È vero il contrario, perché più respiri e meglio è visto che il corpo ha bisogno di molto ossigeno». Quali sono le caratteristiche tecniche del salto in lungo? «Il lungo, a confronto del triplo e del salto in alto, può sembrare poco tecnico, ma in realtà serve molta tecnica specifica soprattutto quando bisogna convertire la velocità orizzontale in velocità verticale. Quindi è una specialità molto particolare e difficile da praticare». Quali capacità fisiche deve possedere un atleta che gareggia nel salto in lungo e nella velocità? «Deve essere molto reattivo, elastico e con molta preparazione che si ottiene con duri ed estenuanti allenamenti».

Dove e quando provi con il gruppo ? «Durante i fine settimana lontani dalle gare vado a Rieti e proviamo i vari brani musicali». Che rapporti hai con gli avversari? Di cosa parlate prima della gara? «Si parla di tante cose, e a volte arriviamo a discutere animatamente e spesso ad essere irrispettosi l’uno dell’altro. Questo serve per caricarci psicologicamente». Lo sfottò più bello che ti è capitato con un avversario? «Quello tra me e Philipps durante una gara conclusasi con un mio ottimo 8,41, e la sua faccia sbigottita ed accigliata quando ha letto la misura». Sogni e speranze per il futuro? «I sogni non si dicono, altrimenti non si avverano. Le speranze sono quelle di un mio completo recupero, insomma che il tendine non mi dia più fastidio in mo-

Quando sei diventato tifoso della Lazio? «Da piccolo tutti i miei amici si sceglievano la squadra del cuore e io ho scelto la Lazio. Mi ricordo c’era ancora Signori, Mancini e altri campioni importanti». Torniamo allo sport: quante specialità hai affrontato dall’inizio della carriera? «Molte. Salto in alto, salto triplo, salto in lungo, ostacoli, e la velocità, dai 100 ai 400 metri: poi ho optato per il salto in lungo». È vero che nel salto in alto hai superato i 2 metri? «Si, ho saltato 2,06, da cadetto».

Howe segue anche l’attività dei più giovani e dei colleghi. sotto gli occhi dell’Av. Capo Daniel Buttari, allenatore della nazionale di atletica leggera si allena un noto velocista, Marco Torrieri

Quali sono le differenze tra le varie specialità dell’atletica? «La premessa è che bisogna avere una preparazione

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Lago e passione «Il Lago? Beh mi piace molto guardarlo, soprattutto al termine degli allenamenti, è come se mi trasmettesse un senso di serenità e calma. D'estate poi mi piace fare qualche bagno anche se non c'è niente di meglio per rilassare la muscolatura che sguazzare un po' in piscina. Anche la pesca è un bel divertimento, ci vado ogni tanto nel tempo libero con mio fratello Jeremy».

NON SOLO ATLETICA. L’Aeronautica è anche Pallavolo Tra le tante attività sportive che si svolgono nel centro sportivo di Vigna di Valle c’è anche la pallavolo. Il Blu College Italia, un progetto in collaborazione con la Fipav, ha trovato nel centro dell’Aeronautica la sede ideale per far crescere i giovani pallavolisti di interesse nazionale. Parlando con uno dei tecnici, Luigi Schiavon, già allenatore della Nazionale juniores, abbiamo raccolto alcune informazioni sulla funzione dello stesso Blu College. «Lo scopo è quello di dare la possibilità ad alcuni giovani con determinate potenzialità tecniche di crescere sia sotto il profilo tecnico che fisico, offrendogli anche la possibilità di fare esperienze internazionali con le squadre nazionali pre-juniores e juniores». Come sono gli impianti e le attrezzature che la FIPAV e L’Aeronautica le hanno messo a disposizione? «Devo ammettere che la logistica sono ideali per poter lavorare al meglio». Come giudica l’esperienza che hanno fatto questi ragazzi lo scorso anno? «Positiva, perché i miglioramenti tecnici sono stati reali alla fine del campionato di serie B1. Positiva anche sotto il profilo dei rapporti umani: dopo un anno di duro lavoro inevitabilmente si rafforzano quei giusti rapporti che sono la base del progresso e dell’evoluzione tecnica del singolo e della squadra».

do da poter dare continuità agli allenamenti e alle gare». Roma è candidata per la corsa all’organizzazione dei Giochi olimpici del 2020: come li vedresti nella città eterna? «Sarebbe una cosa bellissima, quindi spero venga presentato un ottimo progetto perché Roma meriterebbe questa Olimpiade in quanto offre uno scenario unico al mondo. Ovviamente bisognerà intervenire sulle strutture sportive e su alcuni impianti che sono ormai obsoleti. Pensate che Roma è l’unica capitale al mondo a non avere un campo di atletica indoor. Va rivista decisamente la programmazione sull’impiantistica. Comunque il fascino e la bellezza di Roma restano unici al mondo, per questo tutti dovremmo unirci per sostenere e tifare per la capitale». LO SPORT MILITARE | 77

Howe osserva un quadro con Pietro Mennea, altro velocista dell’Aeronautica. Mennea, oro a Mosca ‘80, è stato primatista nei 200 m.


IL MUSEO STORICO DELL’AERONAUTICA MILITARE Nel cuore di Vigna di Valle, dove Howe si allena, c’è un tesoro della nostra storia

Bussola, binocolo, pistola da segnalazione e indumenti artici con occhiali utilizzati al polo nord nel 1928 dal generale Umberto Nobile durante la tragica spedizione polare del dirigibile Italia .

Caproni Ca.36: a questo trimotore, in legno e tela e dalle eccezionali dimensioni per l'epoca di costruzione (1914), sono legate molte intrepide imprese di bombardamento della prima guerra mondiale.

SPAD S-VII: Questo biplano monoposto da caccia è appartenuto all'asso Ernesto Cabruna; Veniva considerato asso il pilota che avesse abbattuto almeno cinque aerei nemici.

Cant Z.506 S Airone: ultimo esemplare rimasto di questi idrovolanti, che a differenza degli anfibi può operare solamente dall'acqua, è stato utilizzato dall'aeronautica Militare, in questa versione da soccorso aereo, fino al 1960.


Il Museo Storico dell’Aeronautica Militare si trova all’Idroscalo di Vigna di Valle, sulla sponda sud del lago di Bracciano dove, nel 1904, per volontà del Maggiore del Genio Mario Maurizio Moris, padre dell’aviazione italiana, fu impiantato il primo Cantiere Sperimentale Aeronautico. Fanno da cornice al Museo le costruzioni e le strutture dell’Idroscalo. Il Museo, con oltre 13.000 m2 di superficie espositiva coperta, è uno dei più grandi ed interessanti esistenti al mondo. Disposto su 4 padiglioni, accoglie oltre 60 velivoli ed una cospicua collezione di motori e cimeli di vario genere che raccontano, in sequenza cronologica, la storia del volo militare in Italia e quella degli uomini che ne furono protagonisti. L’ingresso è gratuito. www.aeronautica.difesa.it/museovdv

DOVE OGGI SI ALLENA, PRIMA C’ERA... LA GUERRA Ecco la struttura al coperto dove si allena Howe e gli altri campioni dell’atletica e degli altri sport dell’Aeronautica. Ma, in origine, durante la II Guerra Mondiale, era una aviorimessa, come si evince dalla foto d’epoca. Terminato il conflitto bellico venne ristrutturata per ospitare al proprio interno il rimessaggio delle imbarcazioni veliche (ma c’era posto anche per un campo di basket...). Oggi è sede di uno dei centri sportivi più funzionali e attrezzati d’Italia.

Caschetto in cuoio prima guerra mondiale.

De Havilland DH-113: Il monoreattore DH-113 era la versione biposto da caccia notturna del più noto De Havilland DH-100 Vampire. Riconoscibile per la configurazione a doppio trave di coda, fu il primo aereo a reazione ad essere impiegato dall'aeronautica Militare.

Fiat (North American) F-86 K: i Kapponi, come furono immediatamente ribattezzati questi velivoli, furono i primi aeromobili da combattimento dell'aeronautica Militare ad essere equipaggiati con missili aria-aria, gli AIM-9B Sidewinder a guida infrarossa.aeromobili da combattimento dell'aeronautica Militare ad essere equipaggiati con missili aria-aria, gli AIM-9B Sidewinder a guida infrarossa.

Panavia Tornado ADV: questo cacciabombardiere supersonico, bireattore con ala a geometria variabile, nella versione ADV, da superiorità aerea, ha equipaggiato l’Aeronautica Militare dal 1995 al 2004.


di Paolo QUADROZZI

Da questo numero inizia il viaggio alla scoperta degli uomini che guidano lo sport nella nostra città e nella Regione

Intervista all’On. Federico Mollicone, Presidente della Commissione Cultura, Sport e Politiche Giovanili del Comune di Roma

TUTTI GLI IMPIANTI SPORTIVI DI ROMA

L’OBIETTIVO È QUELLO DI MAPPARE

rianna e Leonardo. Parte dall’amore per i suoi due figli l’intervista di Spqr Sport al Presidente della Commissione Cultura, Sport e Politiche Giovanili del Comune di Roma, Federico Mollicone. Classe 1970, sposato con Maria Vittoria, una vita dedicata alla politica e al territorio: dalla rappresentanza studentesca sui banchi del Liceo Cavour nel Rione Monti, allo scranno consiliare in Aula Giulio Cesare, passando per il decennale impegno nel Municipio Centro Storico. «Una delle battaglie che da anni ispirano il mio lavoro - esordisce così Mollicone dopo averci accolto negli uffici della Commissione in Piazza Campitelli, a due passi dal Campidoglio e con una vista mozzafiato sul Teatro Marcello - è quella di dare ai miei figli la possibilità di vivere la scuola anche nel pomeriggio, integrando l’attività sportiva di base con la didattica, insieme alle associazioni sportive e alle istituzioni territoriali».

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Quando nasce la passione per lo sport? «Da piccolo, con le arti marziali, stregato come tutti i miei coetanei dai film che venivano dall’Oriente. Poi l’amore nell’adolescenza per la pallacanestro, fino al campionato nazionale juniores. Un’avventura bellissima, purtroppo finita con un brutto incidente che mi ha costretto a lasciare». Ho letto che ha praticato anche tiro con l’arco «Si, in passato, dopo l’incidente subito giocando a basket. Giunsi fino alle finali regionali».

Ed ora? «Da diversi anni sono tesserato alla Federazione Italiana Nuoto. Il nuoto è un ottimo antidoto allo stress quotidiano: una valvola di sfogo indispensabile, che mi permette di ricaricare le batterie e affrontare meglio gli impegni di ogni giorno». Quali sono le competenze istituzionali della Commissione che presiede? «In virtù delle funzioni referenti, redigenti, ispettive, di controllo e di indirizzo politico ad essa assegnate dallo Statuto e dal regolamento del Consiglio Comunale del Comune di Roma, la Commissione Cultura, Sport e Politiche Giovanili rappresenta il “trait d’union” tra il cittadino, l’associazionismo territoriale di base e il delegato allo Sport, Alessandro Cochi. La sede istituzionale in cui si accolgono le istanze provenienti dal basso, si dirimono in prima battuta le controversie esistenti sul territorio e si accolgono le proposte del mondo sportivo romano nei confronti dell’Amministrazione Comunale». Come si articola il rapporto con Alessandro Cochi, Delegato del Sindaco a capo l’Ufficio Sport? «Attraverso un sentimento di sincera stima e di proficua collaborazione maturato negli anni in cui, da colleghi nel consiglio del Municipio Centro Storico, abbiamo portato avanti le stesse battaglie a favore del territorio. È grazie a questo rapporto che la Commissione non è stata relegata a mero organo “passacarte” ma a centro di proposta e ideazione, trasformandosi in uno strumento di sostegno dell’azione amministrazione dell’Ufficio Sport».

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spq ort

Dopo la scelta del Coni di puntare su Roma come città italiana candidata ad ospitare i Giochi del 2020, il sogno olimpico affascina nuovamente la Città eterna. In questo scenario che ruolo sta svolgendo la Commissione? «La Commissione sta lavorando, grazie anche alla competenza in materia di politiche culturali, per unire due eventi tra loro strettamente correlati: le celebrazioni per il cinquantenario dell’Olimpiade del 1960 e la candidatura Olimpica per la XXXII edizione dei Giochi. Il nostro obiettivo è attualizzare il mito dell’edizione di mezzo secolo fa, che ancora oggi vive attraverso le foto, le immagini dell’epoca e nelle infrastrutture sportive disseminate sul territorio cittadino, trasformandolo nel patrimonio culturale e identitario necessario alla città per dimostrare alla comunità internazionale di avere tutte le carte in regola per ospitare nuovamente la bandiera con i cinque cerchi. La recente riunione nella Capitale dell’International Business Advisory Council, di cui mi sono occupato per conto del sindaco Alemanno e che racchiude al suo interno molte aziende top sponsor delle Olimpiadi, ci ha confermato inoltre come la candidatura di Roma sia autorevole e credibile».

Per contattare la Commissione scrivere a federico.mollicone@comune.roma.it

Ci può fare un esempio di questa collaborazione? «Il Piano regolatore per l’impiantistica sportiva e dello sport (Prisp), che il Campidoglio ha deciso di mettere in atto in maniera capillare. Un provvedimento redatto congiuntamente con l’Ufficio Sport e che vedrà impegnata la Commissione nel delicato lavoro di sintesi tra le diverse esigenze incarnate dagli attori in campo: cittadini, istituti scolastici, Coni, federazioni, enti di promozione sportiva, strutture pubbliche e private. Un lavoro impegnativo che ci auguriamo possa rappresentare un fiore all’occhiello per l’Amministrazione Comunale e dare risposte concrete alla comunità».

to per ricordare la leggendaria impresa compiuta dall’atleta etiope il 10 settembre di cinquant’anni fa sulle strade della Capitale».

Dunque, non resta altro che lavorare «Esatto. Per vedere correre il nuovo Bikila sul selciato millenario della nostra splendida città».

Un progetto di cui è orgoglioso? «Sicuramente quello relativo alla Maratona di Roma: rispetto al passato, infatti, la Commissione è riuscita ad istituire una nuova prassi organizzativa, che ha trasformato gli ultimi due appuntamenti nelle edizioni più partecipate e seguite dai romani. Un case history di successo che ha avvicinato l’Amministrazione Comunale al privato e ha praticamente trasformato la Commissione nel “coorganizzatore” dell’evento. Un successo riconosciutoci pubblicamente anche dal presidente del Comitato, Enrico Castrucci». Il 2009 è stato anche l’anno dei Mondiali di Nuoto. Che ruolo ha svolto la Commissione? «Nonostante tutte le problematiche che hanno accompagnato l’evento, Roma ha superato con grande successo l’impegnativo banco di prova dei Mondiali di Nuoto, riscuotendo riconoscimenti da tutto il mondo per la grande professionalità con cui sono stati organizzati. La Commissione ha mantenuto poi il suo ruolo istituzionale, riconosciuto anche dall’opposizione, ottenendo come parte terza ben due pareri da parte dell’Avvocatura comunale rispetto alla correttezza o meno dei fondi e la gestione degli impianti sportivi costruiti in occasione dei Mondiali». A proposito di maratona: quando potremo correre su via Abebe Bikila? «Mi auguro molto presto. È stato per me un vero onore annunciare nel corso della presentazione dell’edizione 2010 della Maratona di Roma il parere favorevole della Commissione Toponomastica sull’intitolazione, richiesta dal sottoscritto, di una strada a Bikila. Siamo ora al lavoro per trovare il luogo più adat-

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Il veterano tra i maestri di tennis del Circolo Tennis Eur, Peppe Pozzi, riceve, a nome della giovane promessa del tennis Gianluca Naso, dal presidente della Commissione Cultura, Sport e Politiche Giovanili del Comune di Roma, Federico Mollicone, la targa ricordo del 1° Trofeo tennistico “Arco di Libera”. Nella foto a lato relativa alla Maratona di Roma, da sinistra a destra il Presidente del Comitato organizzatore, Enrico Castrucci, il Collaboratore del Sindaco in materia di Tutela e Sicurezza nelle Attività Sportive e Motorie, Giuseppe Capua, il presidente Mollicone, il Sindaco di Roma, Gianni Alemanno e il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con Delega allo Sport, Rocco Crimi. L’occasione è la partenza della Maratona di Roma

Foto Ernesto Damico

Per Bikila, vincitore della Maratona di Roma all’Olimpiade del 1960, è stata proposta una via nel cuore di Roma. Nella foto in basso, un’immagine dei Mondiali di Nuoto del 2009, Tania Cagnotto and Francesca Dallape con l’argento del trampolino sincro da 3m


di Federico PASQUALI

settembre ed è iniziata, come da tradizione, la nuova stagione sportiva con la maggior parte dei campionati che riprendono il loro corso. Roma riparte dai tanti successi centrati dalle proprie squadre nella passata stagione con l’obiettivo di ripetersi e fare ancora meglio quest’anno. Chi sono state le grandi protagoniste del 2009/10? La prima a vincere un trofeo nella passata stagione è stata la Lazio Calcio, che ha conquistato la Supercoppa Italiana ai danni dell’Inter. Poi un campionato poco felice per i biancocelesti, compensato dai cugini gialorossi che hanno sfiorato lo scudetto e raggiunto la finale di Coppa Italia. Lazio che ha inaugurato con quel successo l’ottima stagione del calcio capitolino. Quattro, infatti, gli scudetti vinti dalle squadre romane giovanili, maschili e femminili. Il primo è lo scudetto conquistato dalla Roma nel campionato Allievi Nazionali. Un titolo atteso più di un decennio (l’ultimo sigillo dei giallorossi

È

Si riparte dalla scorsa stagione. Dalla voglia di vincere ancora e per chi non lo ha fatto, rilanciare la sfida. Si aprono le danze nel 1999) arrivato al termine di una stagione stellare. Col tricolore cucito sulle maglie giocheranno anche i giovani del Tor di Quinto, capaci di bissare il successo nel campionato juniores dilettanti, impresa degna di nota visto che poche realtà sono riuscite nella storia a vincere due titoli consecutivi in questa categoria. Per la prima volta invece giocheranno con lo scudetto cucito sul petto i ragazzi della Nuova Tor Tre Teste, capaci la passata stagione di vincere il titolo nella categoria allievi dilettanti. Un’altra maglia giallorossa sarà impreziosita dal tricolore: è quella della Roma

LE SQUADRE ROMANE | 82

primavera femminile che lo scorso anno ha vinto il primo scudetto della sua storia. Non solo il calcio però è stato protagonista della passata stagione. Nella pallavolo, la M. Roma Volley ha conquistato la Coppa Italia di Serie A2, poi ha vinto il campionato centrando la promozione nella massima serie. Quest’anno si presenta ai nastri di partenza con una squadra di tutto rispetto che, potrà regalare altre soddisfazioni ai tifosi capitolini del volley. L’hockey prato invece ha centrato la doppietta, con il titolo maschile dell’HC Roma e quello femminile della Libertas San Saba Roma. Le due squadre, tra le più forti in assoluto del panorama nazionale vista la collezione di scudetti vinti da entrambe, saranno impegnate anche in Champions League. Grandi soddisfazioni sono arrivate anche dal basket in carrozzina, con il Santa Lucia basket capace di centrare l’accoppiata scudetto-Coppa Italia nella passata stagione, e protagonista nella


spq ort QUANDO L’INVESTIMENTO È SUI GIOVANI

Final Four di Champions League dove però non è riuscito a centrare l’obiettivo finale che gli avrebbe regalato la tripla. Infine il nuoto, con il Circolo Canottieri Aniene che ha vinto il suo quarto scudetto consecutivo nel campionato italiano a squadre. Un super squadrone che ormai lascia le briciole agli altri e che in questa stagione sarà ancor più competitivo visto che i tanti giovani di talento della società stanno dimostrando di aver raggiunto sempre più la maturità. Oltre alle vincenti nella passata stagione altre squadre hanno centrato obiettivi importanti e quest’anno si candidano ad un ruolo da protagonista. Su tutte la Cisco Roma, in questa nuova stagione sarà Atletico Roma, che lo scorso anno ha centrato la promozione in Prima Divisione della Lega Pro e che sta già portando in alto il nome della capitale sui campi italiani.

Una annata straordinaria da far invidia ai produttori del Barolo o del Brunello di Montalcino. Ma chissà se il paragone regge perché ci riferiamo alla pallavolo e all’eccezionale bottino portato a casa dalla M. Roma Volley, magicamente tornata nella massima serie, dopo una lunga ed efficace galoppata, che l’ha vista cucirsi sulle maglie anche il cerchietto tricolore, premio per chi vince la Coppa Italia. Per la gioia di Massimo Mezzaroma, di Andrea Giani, dei tifosi, tornati a sedersi sulle tribune del Palazzetto e di quanti temevano che la forza della M. Roma si fosse fermata a quelle due meravigliose stagioni del nuovo corso. Comunque nella palestra di vita e di sport che il club capitolino ha saputo ricreare attorno al volley, spiccano gli utili insegnamenti per i giovani sportivi romani, per quei ragazzi che all’interno delle loro scuole hanno avuto la possibilità di assaporare il dolce gusto di questa disciplina, crescendo insieme con lei, dopo averla seguita, anche per merito del gruppo che fa capo all’imprenditore romano. E così sono arrivati i quattro titoli regionali, le quattro partecipazioni alle finali nazionali, il definitivo lancio di giovani di belle speranze all’interno del grande circo sportivo e mediatico. Questo en plein è riuscito soltanto a pochi eletti: Cuneo e Treviso, che vantano una nobile tradizione nella pallavolo e quest’anno a noi della M. Roma, ricostituitasi da quattro stagioni e particolarmente attenta al settore giovanile. Ben quattro formazioni, come detto, la under 14, la under 16, la under 18 e la under 20 hanno acquisito il diritto di partecipare alle fase nazionale rispettivamente a Caserta, Chianciano, Cagliari e Sestola. Un grande exploit per quanto è stato difficoltoso riportare il volley nella Capitale. Razzolando qua e là, intessendo rapporti con i migliori club di Roma e del Lazio, pescando in società dei vari quartieri della Capitale, ben felici di veder crescere i loro ragazzi al fianco di tecnici di primo livello, la M. Roma ha messo su una vera task-force giovanile che già nella prima stagione si è distinta per la sua affidabilità tecnica, fino a conquistare, nel campionato passato, con la formazione under 18, lo scudetto di campione d’Italia, felicemente festeggiato al Campidoglio dal sindaco Alemanno e dal delegato allo sport, Cochi, e in Provincia dal presidente Zingaretti e dall’assessore Prestipino. I successi dei più giovani hanno, comunque, una matrice ben precisa: l’attenzione messa in campo dalla famiglia Mezzaroma, puntualmente trasmessa anche alla pallavolo, per aiutare a far crescere i ragazzi in maniera sana, sportiva, corretta. Le linee guida sono state chiare sin dall’inizio, grazie all’opportunità di utilizzare un centro polivalente come quello di Piazza Mancini, dove è possibile praticare alcune attività sportive, e dove i giovani possono recepire il connotato delle loro ambizioni, agevolando nella maniera giusta la filosofia “pro-juventute” della famiglia Mezzaroma. Già dalla prima stagione è stato portato avanti un discorso serio ed impegnativo: ogni quindici giorni, rispondendo positivamente alle richieste dei vari istituti scolastici romani, oppure assumendo iniziative unilaterali, la M. Roma ha “inviato” i suoi atleti più prestigiosi nelle palestre di scuole elementari e medie, a cui oltre al gusto di palleggiare con Tofoli, Savani, Kooistra, tanto per fare dei nomi, ha spesso offerto la possibilità di essere presenti sulle tribune del Palazzetto del Sport per vedere da vicino i propri beniamini. Negli anni la situazione non è cambiata, anche se nelle scuole sono stati “spediti” altri atleti ed altri allenatori. È anzi, migliorato ed è stato ampliato il rapporto con le famiglie, al settimo cielo per essere considerate parte integrante di un progetto così interessante, di questo gruppo vincente. Certo, la pallavolo non è il calcio, non pretende di avere lo stesso bacino di utenza, sempre di più si accontenta di “strappare” un po’ di applausi e qualche titolo sui giornali, ma nel suo piccolo la M. Roma ha restituito alla città un importante patrimonio ed il saccheggio perpetrato negli anni passati da parte dei club più prestigiosi d’Italia, ha, se non altro, conosciuto una sosta. È stata, semmai, la società nero verde, tenendosi i suoi gioielli, puntualmente valorizzati dalla presenza in prima squadra, ad avere un potere contrattuale assai differente rispetto a quanto avveniva prima per bloccare l’emorragia. Alcuni nomi? Per molti ragazzi il volley è sì un punto di partenza, si spera verso una carriera felice, ma nella concezione generale resta un’attività interessante, soprattutto se supportata dalla possibilità di poter continuare a studiare. Ci riferiamo a Morelli, Segnalini, Rossi, Rossini, Renzetti: cinque atleti provenienti dal settore giovanile ed inseriti da Giani nella “rosa” della prima squadra, valortizzati e “spediti” a farsi le ossa prima di tornare alla base. Questi ragazzi, sobbarcandosi un’infinità di sacrifici, di attese nelle stazioni, di libri consultati sui bus e di notte, hanno potuto affrontare l’attività agonistica, senza dimenticarsi di preparare gli esami per l’università, o magari per “appropriarsi” della maturità. Esattamente quello che, appena promossi in prima squadra, ha chiesto loro Massimo Mezzaroma. Una cosa normale, non certo l’impossibile. Silio ROSSI

LE SQUADRE ROMANE | 83


[ ] Attore di teatro e di cinema, Mario Riva è stato il più grande conduttore della prima televisione italiana. Ed è stato anche un grande sportivo. Il 21 agosto del 1960, durante una puntata del suo “Musichiere”, cadde in una botola del palco coperta da un tappeto: morirà dopo pochi giorni. Portava in mano una fiaccola olimpica, come da copione. Ma quella torcia, Giochi di Roma in corso, diventerà un simbolo di Antonio BUCCIONI

lle ore 21,11 del 21 agosto 1960, all’Arena di Verona, nell’incedere verso il palcoscenico reggendo una torcia olimpica accesa nell’imminenza dell’apertura dei Giochi di Roma, un fatale, tragico incidente privava lo spettacolo Italiano e milioni di giovani telespettatori, dell’arte, della simpatia, della romanità di Mario Riva. Ai suoi fu-

A

zio, la Fondazione Gabriele Sandri, in comunione di intenti con la famiglia Riva hanno opportunamente commemorato l’illustre figura con una serie di apprezzate ed affollate iniziative. Molto si è scritto al riguardo e ripercorrendo il cammino civile ed artistico di Mario Riva. In detta sede sia consentito aggiungerne qualche aspetto tuttora nascosto. Va in proposito ricordato che Riva tiene a battesimo, alla testa della Compagnia La Bisarca, il teatro Sistina, da oltre 60 anni tempio ineguagliabile della commedia musicale italiana, casa artistica degli indimenticabili Pietro Garinei e Sandro Giovannini. Domenica è sempre Domenica, sigla del Musichiere, risulta brano tratto dal musical Un Paio d’Ali, capace di primeggiare nella hit parade del 1958 e di cantare Roma al mondo attraverso i suoi riferimenti al Gianicolo così come a Castel Sant’Angelo. Il 22 Ottobre 1957 il Prof. Leonardo Salvatore Siliato, Presi-

Alle spalle una lunga carriera di attore: iniziò negli anni ’40 a tenere spettacoli per i soldati italiani. Poi l’avanspettacolo e la Televisione Italiana nerali, svoltisi nella Basilica del Sacro Cuore in Piazza Euclide, accanto ai familiari, a innumerevoli colleghi di lavoro, alla rappresentanza del Corpo dei Bersaglieri ed a quella della sua amatissima Lazio, prese parte una folla oceanica, costretta dalla mole (oltre 250.000 persone) ad occupare strade e piazze adiacenti. Nel cinquantesimo anniversario della dolorosa ricorrenza, il Comune di Roma, la Società Sportiva Lazio, il Circolo Canottieri Lazio del quale era Socio Vitali-

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dente della S.S.Lazio Sezione Calcio, eleva Mario Riva alla dignità di componente il Consiglio Direttivo del Sodalizio Biancoceleste: attesa la sua abnegazione, la sua competenza, la sua militanza attiva a favore del Vessillo Sociale. Non mancherà occasione anche pubblica o televisiva nella quale l’artista ostenterà orgogliosamente la propria fede sportiva. Il resto è storia ufficiale che tuttavia appare significativo ripercorrere. Mario Riva aveva alle spalle una lunga carriera di attore comico: iniziò giovanissimo negli anni ‘40 a tenere spettacoli per i soldati italiani, in seguito (nell’immediato dopoguerra) nell’avanspet-

Si chiamava Mario Bonavolontà


Mario Riva con un giovanissimo Mike Bongiorno

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RIVA FOTO GENTILMENTE CONCESSE DALLA FAMIGLIA

tacolo, e per tutti gli anni ’50 nella rivista e nella commedia musicale. Riva e Walter Chiari intonano “Domenica è sempre Domenica”

Con Gary Cooper

Con D’Apporto e, nella foto in basso, con il figlio Antonello

Il Musichiere, celebre trasmissione televisiva RAI diretta da Antonello Falqui, andata in onda il sabato sera per novanta puntate, dal 7 dicembre 1957 al 7 maggio 1960 era condotta dall’attore romano Mario Riva, Il Musichiere era un gioco musicale a quiz. I concorrenti, seduti su di una sedia a dondolo, dovevano ascoltare l’attacco di un brano musicale e, una volta riconosciutolo, precipitarsi a suonare una campanella a dieci metri di distanza per avere diritto a dare la propria risposta, accumulando gettoni d’oro per il monte premi finale che si conquistava indovinando il “motivo mascherato”, eseguito all’apertura di una cassaforte che conteneva la vincita. I motivi musicali erano eseguiti dall’orchestra di Gorni Kramer e da due cantanti: Nuccia Bongiovanni e Johnny Dorelli. I testi della trasmissione erano firmati da Pietro Garinei e Sandro Giovannini, grandi professionisti dello spettacolo leggero, garanzia di classe e intelligenza. A Mario

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Con Totò, la Magnani e tutti gli altri Tra gli anni ‘40 e ’50, nel corso della sua carriera, ebbe modo di avvalersi delle collaborazioni di coloro che poi avrebbero rappresentato la storia dello spettacolo italiano: tra gli autori che scrivevano per la rivista, ricordiamo Michele Galdieri, assieme al quale diede vita con Totò, Anna Magnani, Paola Borboni ad una lunga stagione di spettacoli al Teatro Valle di Roma. Poi nel periodo “napoletano”, con la Compagnia di Peppino De Filippo, lavorò a fianco di Beniamino e Pupella Maggio. Poi ancora si avvalse di altre firme prestigiose come Marcello Marchesi, Metz, Age, Scarpelli, Dino Verde, fino all’incontro definitivo con i due più grandi autori della commedia musicale, Garinei e Giovannini. Fu solo nel 1948, però, che al Teatro Colle Oppio di Roma incontrò Riccardo Billi, altro giovane emergente attore comico di grande talento. Assieme a Riccardo Billi, costituì una delle prime “coppie” comiche dell’epoca creando un modello di spettacolo che ancora oggi si ripete e si dimostra validissimo: anni più tardi si sarebbero costituite le coppie di Totò e Peppino, Tognazzi e Vianello, Franco e Ciccio, Ric e Gian, Cochi e Renato, fino ai nostri giorni Greggio e Iachetti. La coppia Billi-Riva, sotto la guida di Garinei e Giovannini, conobbe una fortuna-

Riva erano affiancate due vallette, denominate le “Simpatiche”: tra le tante anche Lorella De Luca e Alessandra Panaro divenute famose con il film “Poveri ma belli”. Recordman di vincite fu Spartaco D’Itri, cameriere in un ristorante romano che, grazie al premio vinto, riuscì ad aprire un’attività in proprio. Uno dei momenti più attesi della trasmissione era quello dell’ospite: tra i tanti, Gary Cooper, Totò, Mastroianni, Jayne Mansfield, Dalida, Fausto Coppi e Gino Bartali, Mina e Adriano Celentano, in televisione proprio grazie a Mario Riva, in una famosa puntata dedicata agli urlatori. Con il crescere della popolarità della trasmissione e del suo conduttore, “Il Musichiere” divenne anche un settimanale in vendita nelle edicole, uno dei primi esempi di vendita abbinata a un gadget (ogni copia conteneva un flexi-disc con inciso un brano musicale), e successivamente anche un festival.


tissima stagione di commedia musicale con titoli di grande successo, La bisarca (1950), Alta tensione (1951), I fanatici (1952), Caccia al tesoro (1953), Siamo tutti dottori (1954), La granduchessa e i camerieri (1955), Gli italiani sono fatti così (1956), assieme a grandi nomi dell’epoca: Wanda Osiris, Gino Bramieri, il Quartetto Cetra, due giovanissimi talenti come Nino Manfredi e Paolo Ferrari. Il tutto spesso accompagnato dalle musiche delle orchestre di Armando Trovajoli, Lelio Luttazzi, Gorni Kramer. Anche in campo cinematografico Mario Riva ebbe al suo attivo oltre 40 film, sia come protagonista che come “guest star” assieme a Totò, Peppino De Filippo, Alberto Sordi, Walter Chiari e Aldo Fabrizi. Indimenticabili e ancora oggi apprezzatissimi anche dai più giovani film come Accadde al commissariato (1954), Accadde al penitenziario (1955) (in cui ci piace ricordare la ormai leggendaria scena in cui i detenuti Mario Riva e Riccardo Billi, si giocano un pollo a scopa), Arrivano i dollari! (1956), Ladro lui, ladra lei (1957), Toto Peppino e le fanatiche (1958), Il Vigile (1960), e molti altri.

le di comunicazione della televisione: infatti con la sua conduzione bonaria e popolare, con le sue trovate innovative, dallo storico Studio Uno di Via Teulada, creò il primo evento mediatico della storia. Ricordiamo l’uso ravvicinato della telecamera per dialogare direttamente e intimamente con ciascun telespettatore, l’invenzione di una casalinga immaginaria, la signora Clotilde, il rivolgersi direttamente ai governanti per aggiustare situazioni di bisogno, la noncuranza di una spiccata cadenza dialettale romana, il lancio a livello nazionale della sigla del programma Domenica è sempre Domenica, e molte altre. Nell’agosto del 1960, la folgorante carriera di Mario Riva fu bruscamente interrotta da una tragica fatalità: durante una puntata speciale de Il Musichiere tenutasi all’Arena di Verona, in seguito ad una rovinosa caduta sugli spalti, il popolare presentatore riportò gravi lesioni, e dopo una breve agonia si spense il primo settembre. Per tutti gli italiani fu uno shock tremendo. Ai suoi funerali nella gremita piazza Euclide di Roma parteciparono 250.000 persone. Aveva 47 anni, lasciava l’inseparabile compagna d’arte e di vita Diana Dei, e il figlio Antonello di 9 anni. Ancora oggi, fra coloro che hanno vissuto quegli anni, ma anche fra i più giovani che hanno avuto modo di rivederlo spesso in programmi di citazione, è vivo l’apprezzamento per la sua bravura e spontaneità, per il suo sorriso cordiale e la sua vena di umanità, e critici, attori, registi e grandi personaggi dello spettacolo italiano (Michele Guardì, Pippo Baudo, Giancarlo Magalli, Paolo Bonolis, Giancarlo Governi, ecc) lo ricordano, lo prendono ad esempio e lo citano come modello di “bella e sana televisione”.

L’inaugurazione della casina L’11 settembre dello scorso anno, anniversario della morte di Gabriele, la casina al centro dei giardini di Piazza della Libertà (luogo storico dove nacque la S.S. Lazio) fu donata alla Fondazione Sandri dal Comune di Roma. Oggi, a distanza di un anno, ha ospitato la mostra su Mario Riva.

Il Re della Tv. Fu il primo

Taglio del nastro: in primo piano il Sindaco di Roma con a fianco il Capo Segreteria Antonio Lucarelli e la mamma di Gabriele. Dietro si riconoscono anche il papà, l’On. Walter Verini PD, presente nel Comitato Sandri.

COMUNE DI ROMA

Bisogna dire però che il successo più grande e l’enorme popolarità arrivarono alla fine degli anni ’50 con l’avvento della televisione. Garinei e Giovannini si recarono in America per acquistare un format dal titolo Name that tune, che in Italia con la loro firma diventò Il Musichiere, andato in onda per la prima volta nel Dicembre 1957. Per condurlo scelsero Mario Riva, loro collaboratore da sempre, che in breve portò il format ad un successo straordinario, realizzando per la prima volta ascolti elevatissimi con milioni di telespettatori che correvano davanti al piccolo schermo per l’imperdibile appuntamento del sabato sera. Va ricordato che, dato l’irrefrenabile successo dello show e vista la diffusione ancora relativa dei primi apparecchi televisivi (allora appannaggio di poche famiglie che potevano permetterselo), nei cinema di tutta Italia, il sabato sera veniva interrotta la proiezione del film per trasmettere Il Musichiere. A Mario Riva va dato il merito di avere compreso da subito l’enorme potenzia-

Al primo piano della casina, il Sindaco e i genitori di Gabriele

FOTO

Nasce in America Il Musichiere

Nel giorno dell’inaugurazione della sede della Fondazione Sandri, parla Cristiano, il fratello di Gabriele. Dietro c’è Giancarlo Abete Presidente della FIGC e Bruno Giordano ex attaccante della Lazio di cui Gabbo era tifoso.

UNA MOSTRA SU RIVA PRESSO LA FONDAZIONE SANDRI E una esposizione su Mario Riva è stata ospitata nella casina di Piazza della Libertà, luogo che oggi ospita la Fondazione Sandri. Si tratta di un connubio storico poiché Mario Riva era un grande tifoso laziale e questa esposizione rappresenta la prima iniziativa della Fondazione stessa. MARIO RIVA, CINQUANT’ANNI FA | 87


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UNA MOSTRA PER MARIO RIVA La prima iniziativa della Fondazione Gabriele Sandri

Dopo tanti mesi dalla nascita del Comitato, propedeutico alla nascita della Fondazione, ha visto la luce la prima iniziativa nel nome di Gabriele Sandri. Una esposizione per Mario Riva un grande uomo di televisione, un laziale autentico squadra per la quale tifava anche Gabbo. Successo per questa iniziativa organizzata insieme al figlio di Mario Riva, Antonello e alla Polisportiva Lazio.

«SONO ORGOGLIOSO. DOPO CINQUANT’ANNI È LA PRIMA VOLTA CHE IL COMUNE RICORDA MIO PADRE» Antonello Riva

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INCONTRI NELLE SCUOLE La Fondazione cercherà di contribuire, attraverso il contatto diretto con i più giovani, a veicolare messaggi positivi circa l'etica sportiva ed il rispetto della legalità organizzando incontri negli istituti scolastici.

UN CONCORSO PER DJ Gabriele oltre ad avere avuto la grande passione per lo sport ed il calcio in particolare è stato anche un dj apprezzato nel panorama nazionale. L'iniziativa allo studio è quella di far concorrere, in una data da stabilirsi non solo nella città di Roma, giovani dj assegnando loro un riconoscimento da parte di artisti affermati nel campo. La musica così come lo sport è vita. Questo sarà il messaggio trasmesso attraverso l'evento.

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EDITORIA Anche attraverso la comunicazione e la divulgazione si muoverà la Fondazione nella sua missione di verità e con lo scopo di combattere ogni forma di violenza giovanile dentro e fuori gli stadi.

ED ECCO IL FUTURO La mostra in memoria di Mario Riva: è stata sposata in modo entusiasta l'iniziativa della Polisportiva Lazio per ricordare la ricorrenza dei 50 anni dalla scomparsa del famoso attore e conduttore, anche consigliere della S.S. Lazio. Questo evento di fatto segna l'inagurazione dei locali della sede della Fondazione e la prima iniziativa della stessa. Ma quali saranno gli altri appuntamenti legati al nome di Gabbo? Lo svela lo schema in pagina che schematizza la linea di indirizzo della Fondazione.

SOLIDARIETÀ L'iniziativa più nobile intrapresa sino ad oggi per ricordare Gabriele è stata quella della costituzione del Gruppo Donatori Volontari "Gabriele Sandri" che periodicamente si riunisce presso l'Ospedale pediatrico di Roma Bambin Gesù per donare il sangue ai piccoli pazienti. La donazione del sangue è fondamentale e per questo il progetto del gruppo sarà sostenuto anche in altre città d'Italia.

INCONTRI DI CALCIO Tante personalità del mondo dello spettacolo, della musica si sono unite al dolore della famiglia per l'inaccettabile scomparsa di Gabriele. L'idea di formare una squadra di calcio, e non solo, che porti il suo nome è funzionale alla raccolta di fondi da destinare a progetti che di volta in volta saranno individuati. MARIO RIVA, CINQUANT’ANNI FA | 89



sfalto a e Ring

di Luigi PANELLA foto Bruno-Getty Images

l calore dell’asfalto che avvolge il ring, la sensazione di una boxe primordiale. Quella in cui il pubblico stesso partecipava all’evento, magari sostenendo personalmente le corde mentre intrecciava passioni e scommesse. Ma anche quel modus vivendi di una Roma che non c’è più, in cui il pugilato lo respiravi all’angolo delle strade: bambini, ragazzi che

I

senza remore andavano a sfidarsi dando vita a memorabili scazzottate. Molti pugili venivano da lì, magari atterravano un avversario più grande, passava il talent scout che suggeriva una palestra di sua conoscenza dove andare a provare. Così, quasi senza rendersene conto, si diventava pugili. Pugilato e strada, binomio autentico, probabilmente indissolubile. È RING E ASFALTO | 91

Daniele Petrucci, la strada, il quadrato. Lui solo contro l’avversario, migliaia di persone, gli scatti di un fotografo, prima durante e dopo un match vinto a Ponte Milvio per quello che ci piacciono le iniziative come quella recentemente proposta da Davide Buccioni, il punto di riferimento della nuova boxe romana, che ha fatto di Ponte Milvio un ring a cielo aperto in occasione della sfida per il titolo intercontinentale dei pesi welter, svoltasi lo scorso 25 giugno e vinta da Daniele Petrucci contro Jorge Miranda.


I L

P R O G E T T O

PETRUCCI-BUNDU E RIEMPIAMO IL PALALOTTOMATICA Davide Buccioni, uomo di punta tra gli organizzatori della boxe romana, è il manager di Daniele Petrucci nonché uno dei principali assertori della boxe organizzata per la strada. Hanno avuto successo le ultime riunioni in strada? «La boxe è del popolo, e per me andrebbe organizzata spesso anche nelle strade. Negli anni ‘50 la popolarità era ai massimi livelli anche per questo motivo. Nell’ultima riunione che ho organizzato a Ponte Milvio abbiamo dovuto bloccare il traffico per la gente che è venuta. Così come a luglio è stato montato un ring per dei match tra dilettanti in Piazza Trilussa». Veniamo a Daniele Petrucci, uno degli uomini di punta della BBT. «Daniele è con me da quando ancora era dilettante. È un pugile completo, di buona tecnica ma anche di grandi capacità agonistiche e caratteriali. Sa adattarsi a tutti i tipi di avversari. Alti, bassi, guardia normale, guardia destra, Petrucci ci mette al massimo un paio di round ad adattare la sua boxe all’avversario».

Pronto ad organizzare l’Europeo? «Faccio un appello alle istituzioni per organizzare il match probabilmente di maggior richiamo per Roma degli ultimi anni. Un Europeo tra due italiani, Petrucci e Leonardo Bundu tra il prossimo dicembre ed il febbraio del 2011 al PalaLottomatica. Petrucci-Bundu infatti è derby tra due pugili di ottimi livello ed anche imbattuti». E poi c’è un gustoso retroscena che riguarda proprio Davide Buccioni. «Da dilettante ho affrontato e battuto ai punti con verdetto unanime Leonard Bundu. Mi piacerebbe adesso poterlo battere come manager di Petrucci». E in caso di conquista, altri lidi, magari remunerativi, come la Germania?«Petrucci lo cercano in molto piazze europee, poi però hanno timore di lui. Ad esempio l’inglese Hatton invece di sostenere la difesa ufficial, ha preferito tentare altre strade. Anche perché lui con Watson ha perso, mentre sappiamo tutti quando quest’ultimo ha combattuto contro Petrucci come è andata a finire...»

che passavano, la gente che curiosa scendeva per vedere il mio incontro mi è piaciuto. E poi non era la prima volta che combattevo su un ring allestito sulla strada. Era già capitato contro Sebe e in occasione della conquista del titolo mondiale giovanile contro Cotena». Anche in allenamento la strada ha una sua importanza? «Sì, anche perché la parte atletica la curo in strada con la corsa, mentre la parte tecnica ovviamente la svolgo in palestra».

Petrucci, Le è piaciuto fare il boxeur di strada a Ponte Milvio?«Va premesso che il ring è sempre delle stesse dimensioni e che davanti a te c’è sempre un avversario da rispettare. Tuttavia aver combattuto a Ponte Milvio è stata una bella esperienza, vedere sullo sfondo le macchine

Sempre dura la vita del pugile? «Certo, anche perché la mattina, quando mi alzo alle sette, vado a fare jogging, poi nel pomeriggio riprendo e faccio esercizi sul quadrato». L’alimentazione?« Specialmente quando si avvicina il match con il peso è una lotta. A pranzo mangio il primo, a cena un secondo, solitamente carni bianche, tra l’altro manco vanno giù tanto bene... Quando il match è lontano? Il discorso cambia, ‘me magno pure li tavolini...’» Ma Daniele Petrucci vive di boxe?


«Se in Italia dovevo vivere con il pugilato ‘me morivo de fame’... Ho una attività, il bar Europlanet a Guidonia. Il pugilato attuale ha pochi soldi, non si può fare solo il professionista». Daniele, da che deriva il soprannome ‘Bucetto’? «Da ragazzino qualunque gioco praticassi lo vincevo, avevo una gran fortuna…». Titoli intercontinentali, internazionali, mondiali giovanili, della comunità europea. Non sarà che queste proliferazioni azzerano il valore delle cinture? «È vero, a conti fatti sono titoli che valgono poco. Però io nella mia carriera ne ho uno a cui sono affezionato ed al quale do molto valore, il titolo italiano». Il titolo Europeo? «Quello lo dovete chiedere a chi gestisce la mia carriera. Sono arrivato ad un punto in cui credo fortemente di meritarmi una chance, la danno a gente che ha un terzo dei miei combattimenti. Ora penso proprio che sia arrivato il mo-

PETRUCCI

mento di raccogliere quanto seminato e da quello che so i progetti futuri sono importanti». Eppure lei la chance contro l’allora campione continentale Bonsu la rifiutò... «E’ vero, confermo che rifiutai quel match, ed ancora oggi sono convito di aver fatto bene. Dovevo andare in Belgio, ero ancora acerbo avendo disputato 12 match mentre lui era un pugile affermato, inoltre mi davano appena 13.000 euro. Ho rifiutato ed ho fatto bene: un pugile dimostra di avere le palle anche quando sceglie di rifiutare una proposta non all’altezza». Tra gli incontri che l’hanno fatta maggiormente crescere quale giudica il più probante? «Senza dubbio quello con Sinclair al Foro Italico. Lui è un pugile veramente ostico, difficile da affrontare, insomma è stato un bruttissimo cliente». Con Lauri invece un match entusiasmante ma finito troppo presto. «C’erano le premesse per dare vita ad uno spettacolo indimenticabile, ma ci siamo toccati con le teste ed è finito praticamente subito. Dispiace, ma il pugilato è anche questo».

Daniele “Bucetto” Petrucci è nato a Roma il 14 novembre 1980. Dopo una proficua carriera da dilettante, il 20 luglio del 2004 ha fatto l’esordio da pro. Il 14 luglio del 2006 ha vinto il titolo italiano dei welter contro Grassellini. Nel 2008 ha vinto il titolo Ebu-Eu contro Watson, difendendolo con Sinclair, e ha conquistato anche il titolo intercontinentale WBF contro Monteiro; nel 2010 ha vinto il titolo internazionale IBF contro McField e quello intercontinentale IBF contro Miranda. Record: 27, 26 v (9 KO), 1 p.

BACKSTAGE

UN CAMPIONE DI ROMA

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Poi il tentativo di dare una svolta con il viaggio negli Stati Uniti. «Ci ho provato, è stata una scelta personale, ma lì ho scoperto che il pugilato è diverso. Vieni trattato come carne da macello e se non sei Pacquiao è difficile emergere. Per fare un esempio, a me hanno proposto di affrontare un pugile difficile come Quintana per 3.000 dollari e la trasferta mi sarebbe costata 7.000! Comunque è stata un’esperienza importante e ringrazio anche Marcaccini (ex colonna del basket romano, ndr) che mi ha aiutato». Sono notevoli le differenze tra boxe italiana e statunitense? «Si. Anzitutto nei ritmi di allenamento. Negli Usa si fa tutto la mattina, con il lavoro atletico verso le 5.30, quindi una pausa e alle 12 si va a completare il lavoro in palestra. E poi anche nello stile di pugilato. Loro cercano sempre il KO e gli piace lo scontro fisico». A proposito di palestre, che aria hai respirato in quelle statunitensi? «Io ero a Los Angeles e ho fatto i guanti con un sacco di messicani, gente che proviene dalla strada. Non ho fatto


di Umberto SILVESTRI FONDATORE DELLA CORSA NO LIMITS

Un viaggio in oriente, tra i suoi misteri e i suoi pericoli a caccia di avventura. Passare su un ponte tibetano, nella foresta innevata concede emozioni. Ma a qualcuno è venuto in mente di portare questo “estremo” nel cuore della città. Ora, il passaggio su un ponte sospeso o la corsa su un letto di fuoco è diventato sport urbano, grazie alla “No Limits”...


e dalla Farnesina vi dicono di non avventurarvi per quella strada hanno le loro buone ragioni. La strada in questione è quella del Karakorum, la “route più alta del mondo”, nel nord dell’India, che parte dalla Cina e arriva al Pakistan raggiungendo altezze intorno ai 4500/4700 metri. Noi l’abbiamo percorsa nel tratto tra Srinagar e Leh ritornando da un trekking estremo di 40 giorni tra montagne, passi, villaggi e monasteri delle due regioni del Kashimir indiano: il Ladakh e lo Zanskar. Lungo i passi di montagna la strada è per lo più sterrata; larga poco più di una corsia, sale oltre i 4000 metri di quota. Si attraversa una delle regioni più fredde di tutta l’Asia, per buona parte dell’anno in compagnia della neve. Dopo 15 ore pensavamo di avercela fatta, mancavano poco meno di un centinaio di chilometri sui circa 530 da percorrere. L’ultimo passo e poi via, asfalto fino a Leh. Quando hai tante ore di jeep nelle ossa speri soltanto che tutto fili liscio, ma a quanto pare i desideri non sempre si avverano. Erano ormai le 8 e la grandine si era trasformata in pioggia battente e il cielo si andava facendo scuro, buio, di nuovo notte, di nuovo fari. Scendendo ricordavo quel passaggio, uno di quelli esposti nel vuoto proprio prima di una curva cieca. La strada, a strapiombo su un baratro di oltre 400 metri, non permette a due veicoli di restare affiancati e non c’è appello o speranza se si sbaglia. È in quel momento che un pensiero mi sfiora: «Chissà che casino se dovessimo incontrare ora un camion che sale». Nella vita basta chiedere alle volte. Dalla curva spunta uno di quei variopinti bisonti meccanici; sale sbuffando dando di abbaglianti perché non ha nessuna intenzione di cedere strada. Anche il nostro autista non sembra intenzionato a discutere se non con il clacson. Questi due autisti semplicemente si puntano come se lasciare spazio all’altro precipitando nella scarpata fosse un’opzione percorribile. Io sto seduto sul davanti, guida all’inglese. Da sinistra mi godo lo spettacolo del vuoto. Sentire i freni bloccare le ruote e la jeep scivolare sulla ghiaia in cerca di uno spazio nel lato esposto al baratro è qualcosa che

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ricorderò a lungo. Bloccato nel mio sedile potevo solo sperare nel miracolo e che tutto si fermasse prima che la strada finisse. Dio ci ha messo una pezza e ci siamo fermati, incastrati a mezza curva tra il camion ed il bordo. L’autista ha baciato il suo anello portafortuna, è sceso e ha cominciato ad insultare quello del camion, anch’egli in mezzo alla strada a urlare in sikh, indiano o pakistano mentre un altro camion si accodava al primo e poi un altro e un altro ancora. Io sarei sceso volentieri da quella dannata jeep se ci fosse stato abbastanza terreno su cui poggiare i piedi aprendo la portiera. Retromarcia nel fango e finalmente riusciamo a svoltare la curva. Tutto il tratto a salire è illuminato da decine di camion che non sono altro che vecchi rottami stracarichi agghindati come carnevale. L’unica possibilità per scendere, tralasciando la piombata diretta nella scarpata, era riuscire a spostarsi lungo il bordo tra uno spiazzo e l’altro, fermarci ogni dieci-venti metri, discutere con l’autista di turno, decidere chi sale e chi scende mentre la montagna incomincia a cedere sotto il peso della pioggia. Come è finita? Quasi nove ore di battaglia. E pensare che il viaggio d’andata, il trekking che da Leh (nel Ladakh buddista) ci aveva portato a Srinagar (nello Zanskar mussulmano) era stato certamente più faticoso ma proporzionalmente più piacevole e interessante. I villaggi lungo le valli del Kashimir all’ombra della catena degli ottomila himalayani ci avevano catapultato per quaranta giorni in un mondo incantato, fermo alle origini, con volti, gesti, luoghi e abitudini ancestrali e sconosciuti per noi occidentali. L’emozione alla vista dei monasteri a 5000 metri d’altitudine, dei bambini con le gote arrossate dal freddo e dal vento, laceri e sempre sorridenti, sono ricordi indelebili. Cosi come lo spettacolo degli yak al pascolo sui pendii innevati. Da Leh ci sono

più di cinquecento chilometri di sentieri di montagna, antiche vie carovaniere per arrivare a Srinagar, che avevamo calcolato di poter percorrere in poco meno di 35 giorni a piedi con gli zaini e con il supporto di una carovana composta da cinque guide tibetane-indiane e circa dieci tra muli e asini con le provviste e gli attendamenti. Il traguardo era Srinagar, la capitale estiva del Kashimir, ma l’obiettivo erano i passi ad oltre 5000 metri, le sponde dell’Indio, i sessanta chilometri del ghiacciaio del Baltoro, i villaggi e i monasteri abbarbicati sulle vette, le notti in tenda sotto e a fianco del K2. Il mio gruppo di escursionisti è guidato da quattro guide alpine del Trentino che tenteranno successivamente, partendo proprio da Srinagar, la scalata di un ottomila programmata da mesi. Avevo messo in conto cefalee e disturbi intestinali e ovviamente un certo adattamento forzato a quella natura selvaggia e estrema. Ciò che non avevamo previsto però, è che per una serie di ragioni saremmo stati costretti a scelte alternative, rivoluzionando i programmi che ci eravamo dati all’inizio del viaggio. Esperienza che vi racconterò brevemente e che in qualche misura hanno contribuito ad instillarmi la passione per l’avventura. A metà del tragitto, dopo molti giorni di cammino, un fitta nevicata ci ha sorpresi di notte a circa 4000 metri d’altezza. Sentieri e passi innevati sembravano avessero decretato la fine del viaggio e le parole preoccupate delle nostre guide non facevano che confermarlo. Le opzioni erano due: o tornare indietro verso l’ultimo villaggio attraversato e da li riprendere la strada sterrata in quota (la route del Karakorum appunto), oppu-


re caricarsi in spalla il massimo delle provviste e degli effetti personali e per cinque giorni viaggiare senza scorta e assistenza, superare un passo a 5600 metri, ridiscendere e guadare l’Indio, il grande fiume himalayano, con l’ausilio di un ponte tibetano. Scegliemmo la seconda. Le due corde di canapa ai fianchi a fungere da corrimano e quella centrale più grossa dove poggiare i piedi come camminamento non erano il massimo. Non rassicuravano nemmeno le poche cordicelle che ogni metro e mezzo collegavano insieme quelle principali a formare una sorta di triangolo. Sotto, l’Indio rumoreggiava ferocemente e la spuma bianca ribolliva su ogni masso che spuntava dall’acqua. La velocità della corrente era impressionante e il rumore non aiutava. In quel momento ho pensato di aver fatto l’ennesimo azzardo, ma tant’è ormai ero li e non avevo alternative. Tre corde distese in bilico tra la vita e la morte a venti metri d’altezza da quel mostro sottostante indiavolato di acqua, spuma, schizzi e rombi assordanti. Due dei nostri erano già passati con non poche difficoltà. Adesso toccava a me, qualunque cosa fosse successa. Parto, evito di guardare in basso; mi tremano le mani ma ancora di più le gambe prese da una sorta di spasmo incontrollabile. Ondeggio paurosamente e cerco di ripassare a mente le istruzioni dell’amico esperto: braccia distese in avanti, piedi a papera come i ballerini, respiro regolare….mai guardare in basso. Fossi matto. Attendo l’effetto caramella e sono terrorizzato. Chiudo gli occhi e penso ad altro, a casa, alla mia famiglia, al caldo romano di quell’agosto del 1998. Supero i cinquanta metri, guardo avanti e i miei due amici mi sorridono forzati, uno mi dice tranquillo: ci sei. Ci credo e allungo il passo e capisco in un attimo che tutto dipende da me, dal coraggio e dalla tenacia. Ripasso velocemente la mia vita, la passione per la storia, per i racconti epici, per gli eroi. Penso all’armata dei Dardi guidata da Alessandro il Grande che si racconta sia passata proprio da qui, attraversando il grande fiume forse come stiamo facendo noi in questo momento. Distendo le braccia che finalmente si rilassano, allento i muscoli doloranti e guardo diritto davanti. Ci sono, sto per poggiare il piede sinistro a terra, guardo in basso, ondeggio un po’ e un violento senso di

vertigine mi assale all’improvviso mentre vengo afferrato dai miei amici e una lacrima d’orgoglio nascosta e violenta mi riga le gote e l’anima. Trenta giorni di cammino, valichi e passi superati, l’incontro con i locali, l’ospitalità ma anche i disagi, le arrampicate, la neve che pian piano cede il passo al sole caldo dell’estate che a due-tremila metri picchia ferocemente, ti rendono un tantino diverso. Ci siamo riuniti al resto della carovana, come d’accordo, al sesto giorno, ed è stata festa con un pasto abbondante servito dalle nostre guide indiane. Abbiamo fiancheggiato il ghiacciaio del Baltoro e lo abbiamo visto precipitare a lastroni sul fiume Indio e mai un elemento della natura mi ha fatto tanta impressione. Una lunga distesa di ghiaccio larga il doppio di un’autostrada e profonda decine, forse centinaia di metri che si muove, cammina impercettibilmente e ti trascina man mano verso la meta finale, per divenire acqua, spuma, tuoni fragorosi. Uno spettacolo emozionante che ti ricorda la maestosità dell’universo. In lontananza l’eco degli spari, degli scoppi di mitraglia e dei cannoni si fa più intenso e incessante riportandoci alla realtà. Si consumano da settimane scaramucce ad alta quota tra l’esercito indiano e quello pakistano; si spara da una montagna all’altra e qualche volta sui ponti sottostanti. Conveniamo di non rischiare. Mancano poche decine di chilometri per Srinagar, congediamo la carovana degli asini e di parte del personale indiano, carichiamo negli zaini l’occorrente per meno di tre giorni e ci incamminiamo in direzione della gola che avevamo considerato già in precedenza come via alterna-

tiva in caso d’ intensificazione del conflitto armato. L’attraversamento che ci siamo trovati di fronte, atipico ma funzionale, ci stupisce e preoccupa non poco. Una fune d’acciaio, una zip line lunga forse centocinquanta metri separa una valle dall’altra. Nel bel mezzo solo una grande saccatura che come una profonda ferita spacca la montagna in due. Una depressione nel terreno che nel punto più alto supera i cinquanta metri d’altezza. Una follia al solo vederla, ma oramai l’unica strada possibile. Ci assale il panico, siamo rimasti in cinque decisi a concludere il viaggio: due delle quattro guide alpine, una guida indiana, una ragazza e io. Chiedo di poter partire per primo, o la va o la spacca. Non raccolgono, troppo pericoloso e poco esperto. Si lancia invece la guida himalayana accompagnata da uno stridore di ferro sfregato che man mano si perde nel fondo della valle. Cinque, dieci secondi e atterra felicemente sulla sponda opposta del dirupo; finalmente liberiamo il fiato represso. Sistemo l’imbraco, aggancio il moschettone alla carrucola e questa alla fune d’acciaio (oddio, reggerà?), bacio tutti quelli che mi sono a tiro, lancio un urlo e via, in volo. Tra le nuvole con il vento in faccia, gli occhi al cielo, le mani sudate, la mente sgombra, senza paure e pensieri, le gambe penzolanti, le mani sulla corda di sostegno posta sul davanti. Volo, mi libro nell’aria e mi sento forte e vivo capace di dominare e controllare: la valle, la vita, i miei limiti. Mi giro su me stesso, faccio un po’ di fatica a riposizionarmi e finalmente atterro un po’ sbucciato ma incredibilmente divertito.


Roma no Limits. In città è l’estremo possibile

Tutto ciò per spiegare il perché del succes sivo interesse per lo sport avventu ra e per le pratiche che alcuni definiscono estreme e sperimentali. L’ave vamo già fatto negli anni passati co n l’organizzazione de lle prime tre edizioni della Roma City Marathon e abbia mo continuato a farlo con la Roma No Limits negli anni succ essivi. L’attraversamento di un ponte tibetano, l’a rrampicata, la zip line, il guado di un fiu me o di un lago, il tiro con l’arco, il passaggio in cunicoli sotterranei, l’utilizzo delle corde, la cattura di un animale erano gli obiettivi ch e volevamo regalare alla massa degli sportivi comuni e non solo agli specialisti. Volevam o contaminare alcun e discipline tradizionali rendend ole meno noiose e più divertenti. Prima organizzata ad Angu illara Sabazia in un contesto molto naturale e poi al centr o di Roma in una sit uazione fortemente antropiz zata, da giungla urb ana, la Roma No Limits ha superato fel icemente il settimo anno di vita e ha visto la partecipazion e totale di più di seim ila appassionati che hanno apprezza to e goduto di questa strana creatura che tra l’altro sta fac endo scuola, adepti e appassionati in numerosi paesi europ ei. Per noi è stato co me ripercorrere la storia, dai Dardi di Alessandro Magno ai Romani, dai cacciatori primordiali alla ricerca di prede per la sopravvivenza, ai mo derni esploratori. La Roma no Limits è un modo semplice e divertente per far ria ssaporare ai cittadini che fanno sp ort, ma anche a quell i che vorrebbero l’avventura del cono scere, del rischio co sciente e calcolato, del piacere dell’adre nalina che scorre ne lle vene, della ricerca dei propri po ssibili limiti e della na tura selvaggia troppo sopita nei no stri animi. Insomma la vita, quella degna di essere vissu ta… con Roma da sfo ndo.

SPORT E AVVENTURA | 97


LUDI MOTORII

IL NOSTRO FUTURO | 98


spq ort

Comune di Roma. Obiettivo giovani ssessore Marsilio, sport e infanzia un binomio da far crescere insieme? «Si, credo fortemente nell’importanza di valorizzare l’attività sportiva tra i più piccoli. Lo sport è sinonimo di sani stili di vita per i bambini ed incentivarlo significa investire sulla loro crescita. Non solo, vuol dire promuovere tra le giovani generazioni valori come la lealtà e il rispetto reciproco anche al fine di contrastare fenomeni come il bullismo e più in generale del disagio e della devianza giovanile. Per questo, sono convinta che occorre creare percorsi capaci di avvicinare i bambini alla pratica sportiva in modo coinvolgente e divertente».

A

Credo fortemente nell’importanza di valorizzare lo sport tra i più piccoli. Lo sport è sinonimo di sani stili di vita per i bambini, di lealtà e rispetto reciproco. Incentivarlo significa investire sulla loro crescita

On. Laura Marsilio, Assessore alle Politiche Educative Scolastiche, della Famiglia e della Gioventù del Comune di Roma

In che modo? «Partendo dal mondo della scuola. Potenziando l’attività motoria entro il tempo curricolare, dal momento che si dedicano alla pratica di questa attività solo due ore settimanali. L’educazione motoria rappresenta poi il principale fattore di prevenzione in grado di correggere e prevenire disturbi o abitudini non corrette». Dunque come promuovere l’attività motoria nelle scuole? «Con la creazione di una grande rete tra le scuole, assieme al coinvolgimento delle famiglie, la collaborazione con l’associazionismo sportivo e l’inserimento di personale specializzato. In questa direzione, già da due anni, abbiamo avviato un progetto che prevede, in forma sperimentale, l’intervento di un esperto di attività motoria, appositamente formato, che si affianca agli insegnanti. Le scuole nel corso dell’anno scolastico si sono così avvalse di questi esperti che hanno supportato il lavoro dell’ insegnante nelle classi con incontri e lezioni in palestra». Assessore, ha lanciato il progetto “Ludi Motorii”… «I Ludi Motorii sono stati un vero e proprio progetto pilota dedicato all’attività motoria. Il Progetto, patrocinato dal Ministero dell’Istruzione, e promosso con la collaborazione delIL NOSTRO FUTURO | 99

l’Ufficio sport del Comune di Roma, del Coni Provinciale-Roma, dell’Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio, assieme allo Iusm e al Cip provinciale-Roma, si inserisce nella più ampia attività progettuale che l’Amministrazione Comunale sta portando avanti a sostegno dello sport, in particolare per i giovani. Si tratta dell’iniziativa di più vasto rilievo nell’ambito della scuola primaria, anche perché non ci sono Giochi sportivi per le scuole elementari. E poi sono davvero tanti i bambini coinvolti». Quanti? «Parliamo di oltre 20 mila alunni, nei primi due anni, 200 scuole elementari e 200 tutor e contiamo quest’anno di coinvolgere un numero di bambini e di scuole ancora maggiore. Sicuramente verrà esteso ai bambini delle scuole dell’infanzia». Un successo, dunque… «Si, decretato dalla grande partecipazione degli alunni, dal lavoro degli insegnanti, dei tutor, e soprattutto dall’entusiasmo. Entusiasmo, che acquista ancora più valore alla luce della candidatura della città di Roma alle Olimpiadi del 2020. Saranno proprio questi “piccoli sportivi” i campioni o gli atleti di domani. Si è pensato, infatti, di non creare solo un evento celebrativo che si esaurisse con la manifestazione conclusiva svolta allo Stadio dei Marmi lo scorso giugno, ma una proposta più strutturata, che può avere ulteriori sviluppi. E ora siamo pronti, con l’inizio dell’anno scolastico, a ripartire…».


Figure carismatiche della società , della cultura e dello spettacolo raccontano il proprio legame con lo sport. Si parte da Carlo Pedersoli, in arte Bud Spencer personaggio del Cinema con un grande passato d’atleta


Pugni, pistole e... piscine Due vite o forse più: quella di nuotatore olimpico, quella di attore. E poi musicista, pilota, marito da nozze d’oro di Anita MADALUNI a storia sportiva lo annovera olimpico nel ‘52 e nel ‘56 , rispettivamente a Helsinki e a Melbourne (che lo premia con un rispettabile 11° posto). E il fatidico ‘60 lo accoglie di diritto nell’Olimpiade romana, quella che illuminò le stelle più illustri del firmamento sportivo internazionale, da Abebe Bikila a Nino Benvenuti, da Livio Berruti a Cassius Clay… L’Olimpiade che accese per sempre il faro capitolino dello spirito olimpico nel mondo. Una Olimpiade che Carlo Pedersoli disertò. Sì ma… per sposarsi. Altri tempi davvero. Davanti a un religioso altare, dunque, lasciò il segno quella sequenza di quattro cifre, quell’avvenimento indimenticabile che tracciò un solco profondo nelle emozioni di molti italiani, quell’anno magico con quel 6 capovolto, che gli consegnò metaforicamente la medaglia più preziosa e lo fece salire sul podio più alto della vita: l’amore per la stessa donna, da cinquant’anni. Che festeggia oggi, all’unisono; quasi… un doppio anniversario. Un cinquantenario davvero unico. Forse il vero primato di cui andare fiero. Soprattutto perché conseguito in ambienti piuttosto mondani, ognuno a suo modo: lo sport e il cinema, dove la continuità e il rispetto nei rapporti umani- e

L


Curiosità

Bud Spencer, pseudonimo di Carlo Pedersoli (31 ottobre 1929), è un attore, sceneggiatore, produttore cinematografico ed ex-nuotatore italiano. Particolarmente noto per i suoi film in coppia con Terence Hill (con il quale, nel 2010, ha ricevuto il David di Donatello alla carriera), come nuotatore è stato il primo italiano a scendere sotto il minuto nei 100 m stile libero, ha partecipato ai Giochi Olimpici oltre ad essere stato più volte campione italiano di nuoto a stile libero e in staffetta. È stato anche pallanotista.

PESO ALLA NASCITA: 6 kg! UNO DEI PIU’ GIOVANI UNIVERSITARI D’ITALIA. Salta la V elementare, il V Ginnasio e il 3° Liceo Classico. TRASFERITOSI IN BRASILE, con la famiglia, dai 17 ai 20 anni, abbandona completamente il nuoto, non allenandosi proprio nel cuore dell’età migliore. E per fortuna… Altrimenti… chissà dove sarebbe arrivato! ALLA FACOLTA’ DI SOCIOLOGIA (dopo chimica e giurisprudenza) si iscrive alla veneranda età di 45 anni ( in fondo in fondo per incentivare la figlia) e supera brillantemente, con un 30 tondo tondo, tre esami. Ma dopo averla sfidata non si laurea; per la figlia, invece, il risultato è ottenuto con grande soddisfazione. È AMBASCIATORE DELL’UNESCO, titolo di cui va - giustamente - molto fiero. NEL LIBRO/BIOGRAFIA “ALTRIMENTI MI ARRABBIO - La mia vita” ne è contenuta meno della metà… LA SIGNORA NELLY E’ LA SUA FEDELE COLLABORATRICE DA BEN 41 ANNI. MARIA (AMATO) È L’AMATA MOGLIE, CON IMMUTATO E RECIPROCO SENTIMENTO, DA 50 ANNI.

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ancor più sentimentali- sono peculiarità rare da custodire nello scrigno dei preziosi. È singolare il nostro incontro. Non abbiamo direttamente con lui il primissimo approccio e neanche con… Bud. Bensì, in una assolata e afosa giornata di fine luglio, con la sua cortese, disponibile, affabile collaboratrice. Sul citofono del civico sede dello studio non è riportato il cognome Pedersoli. Ma la solerte e attenta Nelly, proprio in quel momento sull’uscio del cancello di ingresso, alla nostra smarrita richiesta, si presenta prontamente e ci accompagna verso l’interno dell’ufficio, nonostante il copioso anticipo. Ce ne scusiamo. Anche se… beh... solitamente usa farlo per il contrario. “Si accomodi” – il vocione baritonale, accogliente, è inconfondibile. Lo confortiamo sul fatto che, mancando ancora una buona mezz’ora, aspettiamo senza problemi. “Non se ne parla proprio. Venga. Sieda. Capisce il napoletano?“ Certo che sì! Dichiaro (dichiariamo) subito generalità con etnie miste, tra cui quella partenopea. Ecco che, quindi, destrutturiamo uno schema e un copione noti, il solito castello di domande trite, invecchiate, alle quali in tanti anni è stato avvezzo a rispondere. E diamo il “la” (giusto per riscaldare e ”accordare” il personaggio) alla sua indole artistica, musicale. Un talento sul quale (peccato!) in oltre 40 anni di onorata carriera non si sono mai accesi riflettori troppo abbaglianti. E allora accade che... nessun ghiaccio è da rompere. Nessuna classica domanda d’apertura. È la musica la prima a parlare. Anche se, a questo infinito, il primo titolo (Che ne parlamm a’ffa!) fa, per l’appunto, sarcasticamente il verso . E con eloquenza… Di che cosa è inutile parlare? «Di tante di quelle cose: del fatto che non c’è più una Napoli dalla cui finestra il mare tuzzuliava e pure o’sole nasscenne s’arrecreava; delle rose di cui non si apprezza il profumo, della gente che non parla più col cuore, ma solo col portafogli; di una morale che se n’è juta, di una famiglia che s’è scassata. L’elenco potrebbe continuare». E difatti nel brano continua. Di qui , appunto, Chenneparlammoaffà… Ma lei dice anche che solo la gioventù ci può salvare; certo… “ci vorrebbe un mira-


Foto archivio privato Pedersoli. Si ringrazia Aliberti Editore (“Altrimenti mi arrabbio”), autobiografia firmata da Bud Spencer con Lorenzo De Luca, a cura di David De-Filippi

photogallery La moglie Maria Amato, nel 2010, 50 anni di matrimonio

Sul set di “Piedone a Hong Kong”

Nel film “Il siluro umano” (1954) In partenza per l’Olimpiade di Melbourne (1956) In auto per i Giochi di Helsinki (1952)

colo e i miracoli li fanno solo i Santi e nun ponno accontenta’ tutti quanti!” Come la mettiamo? «Che la soluzione forse non c’è. Se lei osserva, leggendo la storia, sembra di essere nati ieri. Le cose non sono cambiate in oltre 5.000 anni. Siamo fieri di aver eliminato la pena di morte. Però siamo gli unici esseri viventi ad aver inventato la guerra, che tra gli altri animali è un concetto inesistente. Le lotte di religione? Un pretesto!» ...e, intanto, scorrono le note del secondo brano: “Se t’hanno rubato o’ core, e stai murenn d’ammore, perché se ne jute con n’altro… Futtetenne, sient’ammé… futtetenne! Se ti guardi allo specchio e ti vedi vecchio, fatte ‘nu pernacchio e futtetenne!” È dunque questa la sua filosofia di vita? «Sa che non conosco una nota? E non so leggere la musica. E non suono uno strumento. Eppure sono iscritto alla Siae come compositore non trascrittore. E quindi le rispondo: dopo averne viste di tutti i colori, di averne fatte di esperienze, di essermi documentato su almeno 30 delle 2000 religioni esistenti, ho capito che sono tutte simili. E in genere per nulla al mondo vale la pena angustiarsi. Dall’alto dei miei 81 anni sto imparando ad eliminare ogni sorta di sentimento negativo. Perché tanto la vita è virtuale. E sono convinto che, quando toccherà a me, quando mi sarà dato capire, finalmente sarò libero… E poi desidero confutare il detto cartesiano del Cogito ergo Sum in Mangio

Ergo Sum. Perché il pensiero esiste in quando esistiamo noi. E, non mangiando, nessun essere vivente può sopravvivere a lungo. A parte Dio». Dunque crede? «Credo che tutto sia virtuale. E l’uomo, all’interno di questo grande contenitore, cerca, ha cercato e forse sempre cercherà di creare qualcosa di meglio senza riuscirvi. E tutto ciò che accade è la conseguenza del suo tentativo di “uscire”. E ci riuscirà, ma solo virtualmente . E in quel momento capirà esattamente il perché di tutto. Allora tanto vale non prendersela per nulla. Non c’è altra via d’uscita. La fisica, la scienza, le religioni: sono nostre creazioni. Anche l’amore è un sentimento che ci siamo inventati, per giustificare questo virtuale». Anche la morte? «No, quella è sicura». E ci coglie vivi… «Ma siamo viventi? Lei cosa ha fatto questa notte?» Ho dormito. Mi sta dicendo che, per un po’, sono “morta”? Ma sa che lo pensavo da bambina? «Certo. Tutte le notti impariamo, allenandoci un po’ alla volta…». E la fede? «Io credo non perché mi hanno insegnato a farlo, ma perché ne ho bisogno. È molto diverso! E lo faccio- sìnei modi che mi sono stati tramandati dai genitori. Gesù, la Madonna. Le figure che conosco. Fossi nato in Arabia Saudita sarebbe stato Maometto; o gli

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dei nella giungla amazzonica (nella cui parte venezuelana, tra l’altro, vissi per un anno e mezzo, lavorando in una ditta che costruì la famosa Panamericana- rete viaria lunga circa 26.000 km e che unisce l’Alaska al Sud America, ndr - e conoscendo una umanità straordinaria, spoglia, in senso letterale, di tutto ciò che il resto della “civiltà” considera importante ed è in realtà tristemente superfluo). Un’umanità ricca di principi. Accadde in un momento in cui decisi di abbandonare tutto per conoscere chi fossi realmente. E fu allora che capii delle cose chiave: che non dovevo darmi qualcosa perché ero qualcuno. Abolii dal mio dizionario interiore vocaboli come gelosia, rabbia, invidia. Sentimenti che rendono questo mondo davvero impossibile. L’attaccamento alle cose. Forse più difficile eliminare l’attaccamento alle persone care, la cui perdita ci fa soffrire. Per tutto il resto nulla vale una qualunque pena». Quindi, lei che già era abituato ad avere tutto (i migliori alberghi, donne ai suoi piedi, feste eleganti, luoghi da sogno) all’improvviso… «…Mi sono guardato allo specchio e mi sono chiesto chi fossi: un coraggioso, un codardo, uno capace, un imbecille...”Uscire” era l’unico mezzo per scoprire Carlo. E forse per salvarmi…» A proposito di Carlo e Bud? Qual è, qual è stato, il vostro rapporto? «Non vorrei lasciare tutti di stucco, ma Bud Spencer non mi appartiene. In nulla. Gli so-


Il suo primo aereo Beechraft E90

Sul set di Più forte ragazzi! (1974) Mentre compone la sigla di Banana Joe

In Costa Rica Noi siamo Angeli. (1995-1996)

no grato, per carità. Ma è una maschera creata dal pubblico che è riuscito a farne un personaggio amato in tutto il mondo. Ogni giorno, ancora oggi, mi arrivano migliaia di lettere al mese da ogni angolo del pianeta». Dunque... ce n’era bisogno… «In un certo senso… la gente lo ha scoperto e lo ha adottato, assecondando i propri desideri. Ma Bud non è Carlo Pedersoli e non lo sarà mai. Anzi… in questo libro (fresco di stampa che subito si accinge ad autografare, ndr) “BUD SPENCER, Altrimenti mi arrabbio- LA MIA VITA” (biografia raccolta da Lorenzo De Luca per Aliberti Editore) litigo tutto il tempo con lui». Anche perché- diciamolo- in fondo ha oscurato per tutti questi anni di onorata carriera, gli altri suoi innumerevoli talenti. Doti straordinarie, in molti casi… «Beh… in effetti… se pensiamo che ho affrontato un esame di composizione di fronte ad una onorevole giuria di professori senza conoscere neanche una nota, senza suonare neanche uno strumento, e riuscendo comunque ad elaborare il loro pinponpan tanto da uscirne iscritto alla Siae come compositore non trascrittore e anche poeta…» Già; e come andò a finire? «Che scrissi, ispirato d’improvviso, le parole per il film “Cleopatra” con Burton e la Taylor,

su musiche del grande Alex North. E poi anche per la Vanoni… E, per mia moglie, tantissime altre canzoni che sono da qualche parte, nella nostra casa». Destino? «Forse faceva parte del “programma”. Di fenomeni strani ne sono accaduti tanti nel corso della mia vita. Pensi che un santone- proprio nel periodo della mia permanenza in Amazzonia- forse me lo lasciò intuire quando, predetto il futuro a tutti i miei compagni di squadra),si rifiutò di leggere la mano proprio a me… A me che un giorno, all’improvviso, dopo aver volato su di un piccolo aeroplano con la mia controfigura-pilota con la quale tutte le sere percorrevamo uno spicchio di cielo fino a S.Marta partendo da un paese ai confini del mondo, in Colombia, arrivai sul set del film che si stava girando e, senza aspettarlo, decollai da solo. Lo avevo osservato tante volte… Il regista desiderò il suicidio, immaginando si sarebbero interrotte tutte le riprese, soprattutto quando fu costretto a subire la visione del mio atterraggio a quaglia…» E invece non solo lei rimase integro, ma ha al suo attivo, ad oggi, 2.000 ore di volo… «…Di cui 1.200 solo in jet. Vede quello? (mi indica una targa sul ripiano della libreria, ndr). È il riconoscimento dell’Aviazione Mondiale. Ne consegnano soltanto uno all’anno, sa?».

Tanti i fumetti e i fotoromanzi in cui Bud Spencer è stato protagonista. Eccolo a bordo ring ne “L’Insonne”, una striscia italiana

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Scusi… ma quando ha trovato il tempo per conseguire il brevetto? «Un giorno dissi a mia moglie: - Ho da fare per due, tre giorni negli States. Tornai a Roma con un piccolo aereo ad elica, dal Kansas, trasvolando l’Atlantico». E il tempo per laurearsi, invece? «Ecco, è arrivato il momento di sfatare un’altra leggenda metropolitana che accompagna le mie gesta: non mi sono mai laureato. La mia è una cultura dei Bignami». Ma come… non è dottore in giurisprudenza? «Nient’affatto. Sono iscritto a quella facoltà, così come a chimica e a sociologia (questa tra l’altro con tre esami da 30). Ma nessun titolo universitario. Le spiego: la gara di studi si “scontrò” con due Olimpiadi: la prima si giocò tra chimica ed Helsinki, la seconda tra giurisprudenza e Melbourne. Scusi… Lei cosa avrebbe fatto?» Sarebbe stato un laureato di tutto rispetto… Ma l’umanità non avrebbe mai conosciuto un grande campione (e non soltanto il primo nuotatore a scendere sotto il minuto nei 100 stile libero, record conseguito nel campionato del ’50 e detenuto fino a fine carriera; e poi non lo avrebbe apprezzato, nel ‘52, campione europeo insieme alla nazionale di pallanuoto e nel ’56 vederlo piazzarsi 11° a Melbourne). E poi, recentemente, durante il cinquantenario delle Olimpiadi di Roma, la consegna di questo premio alla carriera. Se lo aspettava ? «Che emozione… Mi sono commosso fino alle lacrime. Ma si rende conto che io in quell’Olimpiade non solo non guadagnai l’oro, ma fui del tutto assente? L’ho detto fin dall’inizio della nostra chiacchierata, lo


scriva chiaramente… È stata una cerimonia che non dimenticherò mai. Un inaspettato riconoscimento voluto dal Coni che ha attestato tutto l’affetto e la stima nei mie riguardi…». Un meritatissimo premio alla carriera, però… Pensi che solco indelebile ha lasciato nella storia dello sport italiano. Non crede? «Dico soltanto che queste sono le cose importanti. Non Bud Spencer. Perché… vede… (ribadendo la gratitudine al personaggio) l’attore interpreta dei ruoli che sono, la maggior parte delle volte, i soli motivi di venerazione da parte del pubblico. E non può sentirsi un padreterno per questo. Ecco perché non capisco i “divi”. Il personaggio arriva e se ne va. Campioni, invece, lo si è per sempre».

Ecco il libretto universitario di... Bud Spencer

Lo dice sempre anche Nino Benvenuti, sa? Soprattutto campioni olimpici. Lei ha calzato anche i guantoni, vero? «Sì ma nulla a che vedere con il grande Nino, che ho sempre considerato un mito e verso cui nutro stima e ammirazione. Ai miei tempi, d’inverno, era dura. Ci si allenava soprattutto al mare. E spesso, prima degli allenamenti , per riscaldarci tiravamo di boxe e poi ci tuffavamo in piscina. Avevo 16 anni». In fondo Bud è entrato nella sua vita quando lei era già osannato come sportivo… Giusto? «Allora le racconto un episodio: Italia-Giappone, a Roma, piscina dello Stadio Flaminio. Avevo davanti tre campioni,tra cui un oro. Beh… non ci fu storia: battuti clamorosamente tutti e tre sui 100 mt. A quel punto, colpo di scena: uomini in giacca e cravatta, gente vestita dalla testa ai piedi, si tuffò in piscina per abbracciarmi». Morale? «La morale è che se, nonostante il successo che mi ha arriso, la popolarità che mi ha accompagnato, sono rimasto con i piedi per terra e la testa sulle spalle, lo devo in particolare ai valori che ho mantenuto saldi grazie allo sport».

Pedersoli nel suo studio

Già perché con 118 pellicole di cui 116 da protagonista o coo-

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ed ora, a spasso nel far west…

Un giorno con Carlo Pedersoli

Botte di Natale (1994) con Terence Hill

protagonista, 60 pellicole solo in America (di cui oltre 30 ad Hollywood e 20 in Florida), lei ha lavorato con i più grandi attori e registi americani, francesi e tedeschi (la Germania è una delle nazioni in cui è più popolare, ndr). Fino ad approdare ad Ermanno Olmi che, nel 2003, l’ha diretta magistralmente in “Cantando dietro i paraventi”. Una gran bella soddisfazione, vero? «Soprattutto ricordandone l’accoglienza della critica mondiale che mi consacrò definitivamente attore; e di quella francese in particolare che, in occasione della presentazione del film, si alzò commossa per venire ad abbracciarmi». Ma allora: campione sportivo, compositore, regista, sceneggiatore, scrittore… Cosa farà da grande? «Premesso che io sono “nato grande” (pesavo 6 kg!) nel mio futuro c’è senz’altro ancora tanta musica e un altro libro. A questo mio disco, scritto insieme a Nereo Foresti, tengo molto. Ci sono, oltre ai primi due brani che abbiamo ascoltato, “A vulimm fernì”, dove sparo a zero su quasi tutto, senza più peli sulla lingua: dalle ragazzine che un tempo vendevano caramelle e ora il proprio corpo, ai ragazzi ai quali non importa del denaro ma soltanto dell’amore. Ed esortando tutti a non pensare solo a sé stessi, ma a voler dare un sostegno ai giovani. E poi c’è “Eteropride” e la sarcastica “È tutta colpa dell’ozono”». E il libro? «Si intitolerà “Il Gregge”. Dove, intuibilmente, la carovana”ovina” è… quella umana». …Alla quale lei, immaginiamo, non si è mai accodato e mai si accoderà. «Certo che no. Anzi… proprio in apertura mi rivolgo a tutti esordendo: “Fatemi passare, sto attraversando la mia vita”…».


Una sequenza tutti pugni per Bud Spencer, nome d’arte di Carlo Pedersoli. Lascia il suo giovane accompagnatore sul carro, entra nel saloon. Gli puntano una pistola... e chi lo ha fatto combina un guaio perché in men che non si dica finisce fuori del locale, ma non dalla porta principale

a spasso nel west… GLI INIZI «Ho iniziato a calpestare i set per pagarmi gli studi. Nel ‘54 presi parte, come comparsa, alla pellicola “Siluri Umani” di Leonviola, con un cast stellare: Raf Vallone, Enrico Maria Salerno, la star francese Christian Marquand. E qualche anno prima – sempre per sovvenzionare l’università poi mai conclusa - ero tra i generici in Quo Vadis, in armatura da pretoriano».

L’ORIGINE DEL NOME «Il significato del nome Bud (“bocciolo” in inglese) associato simpaticamente alla mia “stazza” non proprio delicata. E poi l’ammirazione per Spencer Tracy fecero il resto. Così nacque Bud Spencer».

WEST, PRIMA E DOPO LA “BARBA” «Cominciò tutto con il film “Dio perdona, io no”. La feci crescere proprio in quel momento. Si deve a Giuseppe Colizzi, il regista. Che dopo avermi convocato mi sottopone ad un sintetico test: 1) Parli inglese? “ No” 2) Hai mai avuto la barba? “Me la faccio tutte le mattine!” 3) Sai cavalcare? “…Gli unici cavalli visti sono stati all’ippodromo”. Durante la lavorazione, discutendo del più e del meno con Colizzi ed il suo autista, pronunciata non ricordo neanche da chi, venne fuori la frase ”Dio perdona, io no!” E pensare che il film si sarebbe dovuto intitolare ”Il cane, il gatto e la volpe”. Il lavoro fu un successo storico. Terminate le riprese rasai la barba di nuovo».

LA COPPIA SPENCER-HILL «Il compianto regista Enzo Barboni doveva girare “Trinità”. Ma il mio personaggio non era contemplato. Il copione era stato scartato da diversi produttori. In pieno clima leoniano, un western comico era considerato un’assurdità. Ma Italo Zingarelli, peso massimo (sia a tavola sia nel cinema) vide lungo e… insieme mettemmo mano alla storia, inventandoci i due fratelli. Nacque così, ufficialmente, la “coppia” Bud Spencer e Terence Hill. Il grosso e lo smilzo, il furbo e il pacioso. Il successo dei “contrasti” che ancora una volta confermò di funzionare».

VIP: CARLO PEDERSOLI | 106

CURIOSANDO

Un viaggio tra le chicche legate al nome di Bud Spencer.


Roma capitale dello sport


La tessera del tifoso

Prima puntata


di Luca ALEANDRI

La Tessera del Tifoso ha fatto discutere le tifoserie in tutta Italia. Ma perchÊ non tutti l’accettano? I motivi della protesta.


Le famiglie torneranno allo stadio Roberto Maroni, Ministro dell’Interno «Questa è un’iniziativa che noi sosteniamo fortemente come Ministero perché chi va allo stadio non deve temere dei problemi, magari di vedere un motorino lanciato dagli spalti come è accaduto, ma deve andare a vedere tranquillamente una partita di calcio. E’ in tal senso uno strumento utile, anche se non risolutivo, per tenere lontani dagli stadi i violenti. Ci sono resistenze da parte di chi non ha capito cosa sia e da chi lo sa bene e vuole continuare a fare quello che fa». Maroni ha anche detto: « l'impianto complessivo della strategia messa in campo funziona. Negli ultimi anni sono diminuiti gli incidenti ed i feriti, bisogna continuare in questa direzione, apportando i correttivi individuati». Marco Canigiani, Direttore Marketing S.S. Lazio «Si tratta di uno strumento che agevolerà i tifosi nell’accedere agli avvenimenti sportivi. Questo perché, non appena il sistema sarà a regime, si potranno acquistare i biglietti con più facilità (direttamente on-line con il titolo di accesso che si accredita direttamente sul chip). Questo sistema potrebbe essere esteso anche ad altri eventi anche non sportivi mediante accordi specifici tra società ed Enti organizzatori. Le società stesse svilupperanno poi iniziative per garantire agevolazioni, anche economiche, ai possessori della tessera anche in collaborazione con altre aziende. I dati che vengono forniti sono gli stessi richiesti per un normale biglietto (estremi, foto e documento). Per quanto attiene ad un possibile “Grande Fratello” che si possa nascondere nella carta, occorre chiarire che il chip “lavora” ad una distanza di ricezione di 10 cm: oltre non può essere letto. Come anche avviene per i normali codici a barre e i microchip».

ccola, la tessera del tifoso. Se ne parla da qualche anno, rimbalza tra i cori e gli striscioni degli ultras, che la considerano al pari di un nemico pubblico. Secondo l’Osservatorio, recente istituzione che monitora l’ambiente dello stadio e i suoi accadimenti, sarà una “rivoluzione epocale”: i suoi possessori possono accedere alle gare “ristrette” per motivi di sicurezza, fruire di procedure di acquisto più snelle così come quelle di accesso agli impianti grazie a varchi dedicati, essere riconosciuti come tifosi ufficiali, accumulando anche punti, come al supermercato o dal benzinaio. I tifosi, dal canto loro, ne fanno una questione di identità, sentendosi privati di qualcosa che gli appartiene, che ne costituisce l’unico elemento di disinteresse di una quotidianità mercificata in ogni aspetto. È, dunque, guerra di posizione tra trincee molto distanti. Ma è solo filosofia? A uno sguardo più attento, le belle motivazioni sembrano sfumarsi, lasciando l’occhio di bue ad argomenti che suonano molto più familiari. Soldi, per intenderci. A ben guardare, la tessera del tifoso sembrerebbe, dal punto di vista economico, l’affare dell’anno. Una carta di credito prepagata. Gli esperti del settore, che con i numeri ci vanno perfino a letto, ci dicono che il mercato italiano sembra piuttosto asfittico in materia di “prepagate”. Che servisse allora un espediente perché la locomotiva accelerasse? Chissà. Ma non solo mere considerazioni di ordine economico si profilano all’orizzonte. Anche perché, detto con franchezza, emettere un intero circuito di carte di credito può sollevare obiezioni di carattere economico, forse, morale, forse di opportunità, ma null’altro. Emettere carte di credito destinate ai tifosi, costringendoli ad utilizzarle in luogo dei propri mezzi di pagamento usuali può essere antipatico ma fino a prova contraria non è un reato. Bisogna però ammettere che la torta è da far girare la testa a qualsiasi pasticciere. Facendo qualche semplice operazione matematica si esauriscono presto le cifre della calcolatrice: qualcuno parla di 17 milioni, spiccio più, spiccio meno. Ma non è l’aspetto economico il problema maggiore. Urlano gli ultras, urlano gli economisti, ma urla pure qualche giurista. Motivo? Questione di privacy. In sostanza, la tessera potrebbe consentire la tracciabilità delle attività del suo possessore. Ne rivelerebbe la sua appartenenza a un dato gruppo sociale. Un dato, per intenderci, che tecnicamente è definito “sensibile”. Il che, ipotizzano, sarebbe in contrasto con il diritto alla riservatezza sancito dall’art. 2 della Costituzione. Non solo. La sua emissione a favore di soggetti specifici farebbe sì che tale individuo venisse “schedato” in quanto tifoso di una squadra. Cioè, appunto, un “dato sensibile”, ovvero quel magma di informazioni che spaziano in un universo eterogeneo; dalle idee politiche o sindacali ai gusti personali di qualsiasi genere. Tali dati potrebbero essere sì raccolti, ma previa specifica autorizzazione di un organo specifico, il Garante. È vero che a tale impianto potrebbero opporsi diverse eccezioni, però sembra, sempre a sentire il giurista di cui sopra, che nessuna di esse sarebbe applicabile al caso di specie. Poi un chip applicabile dietro ogni tessera si potrebbe avvalere, secondo alcuni, di un sistema tecnologico (RIFD), che, in sostanza ed estrema ratio, potrebbe essere in grado di monitorare i movimenti del soggetto. Affinché sia ipotizzabile l’accettazione della sua istituzione, e cioè la relativa autorizzazione da parte di chi di dovere, il suo uso dovrebbe possedere caratteristiche di liceità, necessità e proporzionalità che, nel tema in oggetto possono quantomeno essere messi in discussione. Senza contare, ovviamente, che a rivolgersi al Garante non ci ha pensato nessuno. E nemmeno sembra legittimare il tutto l’opera sbandierata di “prevenzione preventiva”, ponendo in relazione, anzi subordinando, il rilascio della tessera alla mancanza di provvedimenti ostativi per manifestazioni sportive, in un periodo precedente che si è in un secondo momento quantificato in cinque anni.

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TESSERA DEL TIFOSO | 110


Le tessere di Roma e Lazio Millenovecento quella biancoceleste e “Club Privilege” quella giallorosso. Questi i nomi delle tessere del tifoso nella capitale

Per cui, e qui gli ultras battagliano, chiunque abbia ricevuto un DASPO nei cinque anni precedenti non può ricevere la tessera del tifoso. E allora, direte voi, chissenefrega, visto che comunque allo stadio posso andarci ugualmente e pazienza se non ho i varchi dedicati e forse mi controlleranno un po’ di più perché, siccome nell’impianto ideologico di questa iniziativa è fondamentale che i primi che debbano crederci sono proprio coloro che ogni settimana affrontano il problema, cioè i tutori dell’ordine, è stato disposto che il possessore della discussa tessera sia controllato un po’ meno (quantificare è piuttosto difficile). Chi non detiene, pagando o meno (e qui il panorama è assolutamente eterogeneo: dipende dalle società e dalle offerte del momento), il prezioso titolo, inoltre non potrebbe seguire la squadra in trasferta, o almeno non nel settore ad essi dedicato, la cui vendita dei tagliandi sarebbe appunto riservata ai tifosi doc. Limitazione di libertà? Solco tracciato a separare buoni e cattivi? Non è finita, perché pur ammettendo tale distinzione, comunque buoni e cattivi non è detto che lo si rimanga per sempre. E ivi si apre l’ennesimo scenario conflittuale. Inoltre, altre perplessità, sebbene francamente meno pressanti di quelle già esposte, riguardano proprio la disponibilità di quei dati da cui dipende il rilascio della tessera. Le sentenze, che poi costituiscono il motivo per cui si accorda o si rifiuta il rilascio della tessera, con quale ritardo vengono caricate nel database? L’esperienza suggerisce diversi mesi, a causa dei quali in alcuni casi il responso potrebbe non essere in linea con il disposto legislativo. Ed inoltre, le procedure potrebbero non essere in grado di soddisfare le richieste nei tempi necessari, soprattutto nei periodi di punta. Insomma, un possibile bel pastrocchio all’italiana, dove si mescolano buoni intenti, interessi meno visibili, polemiche di turno, parole di facciata. Proposta nel quadro sociologico posteriore alla morte del commissario Raciti, la tessera del tifoso è uno dei perni dei provvedimenti antiviolenza. Anche in questa chiave, in verità, non sembra offrire risposte particolarmente rilevanti, almeno per innovazione, finendo per somigliare a un provvedimento più formale che sostanziale. L’Osservatorio chiarisce i vantaggi dell’iniziativa: creare la categoria dei tifosi ufficiali, creare rapporti virtuosi con i tifosi, soprattutto per le trasferte, allontanare i tifosi violenti. Ovviamente definire la categoria di tifoso ufficiale è piuttosto complessa, e ciò potrebbe suggerire che per semplificazione un criterio potrebbe essere quello della capacità di spesa. Al merchandising infatti vengono riconosciuti punti, sulla base appunto delle spese sostenute presso i rivenditori ufficiali. E, invece, per allontanare i tifosi violenti dovrebbe bastare il DASPO, al di là delle perplessità giuridiche che pur permangono intorno a tale istituto, anche di un certo rilievo, e che in estrema ratio riguardano le pesanti inibizioni derivanti da un provvedimento amministrativo. Cioè, giuridicamente, come fosse una multa per essere passati con il semaforo rosso.

TESSERA DEL TIFOSO | 111

Muore il calcio antico Lorenzo Contucci, avvocato penalista, esperto in leggi antiviolenza «Si tratta a mio avviso di uno strumento “economico” nato con il pretesto della sicurezza. Dal 1898 a oggi non era mai accaduto che per potersi abbonare allo stadio si dovesse passare per il vaglio della Questura, oltretutto con confini vaghi legati ai motivi ostativi al rilascio che variano di città in città poiché la tessera si basa su una circolare amministrativa e non su una norma di legge e questo fa si che ogni Questura si possa regolare diversamente l’una dall’altra. In realtà mi sembra solo una carta prepagata ricaricabile». Maurizio Martucci, giornalista e scrittore. Autore dei libri sui casi Sandri e Paparelli. È uscito quest'anno “Cuori Tifosi, i morti dimenticati degli stadi italiani'”. «Dico no alla tessera perché non condivisa con la base dei tifosi: l’impressione è che venga subita, calata dall'alto. Non ha precedenti al mondo, sembra un programma di controllo sociale di massa, una sorta di schedatura preventiva, colpa la Black List. Per la prevenzione dei fenomeni violenti, non sposta nulla rispetto al biglietto nominativo. In più azzarda una retroattività di 5 anni per le condanne di reati da stadio, anche in primo grado. E se uno ha scontato la pena o viene assolto in appello e cassazione? La tessera è lo snaturamento dell'essenza del tifo semplice e spontaneo: crea il neo-tifoso, un consumatore di prodotti fidelizzato alla logica del 'più spendi, più tifi': è una patente ambigua, il trapianto dell'anima di un calcio arido, meno passione e più marketing. Infine l'ordine pubblico, un cortocircuito del territorio. Dagli stadi spariranno i settori ospiti per zone promiscue di non tesserati in trasferta. Invece di goderne i privilegi, i possessori subiranno le conseguenze di un progetto frettoloso con troppe criticità e poche opportunità...».

E INTANTO È RIPARTITO IL CAMPIONATO


fc INTER ac MILAN UDINESE Calcio

BRESCIA fc JUVENTUS

FRIULI V.G. LOMBARDIA

ac CHIEVO

VENETO

PIEMONTE

EMILIA ROMAGNA fc PARMA

LIGURIA cfc GENOA

fc BOLOGNA ac CESENA

uc SAMPDORIA

TOSCANA as BARI acf FIORENTINA us LECCE

LAZIO PUGLIA

as ROMA ss LAZIO

CAMPANIA ssc NAPOLI

uc PALERMO

SARDEGNA

Calcio CATANIA

CAGLIARI Calcio

SICILIA

REGIONE PER REGIONE Pos. Regione Totali Serie A Serie B 1. Emilia Romagna 6 3 3 1. Lombardia 6 3 3 2. Toscana 5 1 4 3. Lazio 3 2 1 4. Piemonte 3 1 2 5. Sicilia 2 2 5. Liguria 2 2 5. Puglia 2 2 6. Calabria 2 2

7. 7. 8. 9. 9. 10. 10. 10. 10. 10. 10.

Campania Friuli V.G. Sardegna Abruzzo Marche Basilicata Molise Trentino A. A. Umbria Valle D’Aosta Veneto

1 1 1 1 1 -

1 1 1 -

1 1 -

Il Campionato di Serie B comprende 20 squadre e fu istituita a livello nazionale nel 1898 (dalla stagione 1929-’30 a girone unico). Sono 60 le squadre ad aver preso parte ai 79 campionati di Serie A a girone unico che sono stati disputati a partire dal 1929-30: l’Inter, unica squadra a non essere stata mai retrocessa, è capofila con 79 presenze (seguono Juve e Roma -78-, Milan -77-, Fiorentina -73-, Lazio -68-) La Juve detiene il record di campionati totali vinti (27).


109º campionato italiano

Il Campionato di Serie A 2010-2011 è il di calcio; è iniziato il 28 agosto 2010 e si concluderà il 22 maggio 2011. Per la stagione 2010-2011, la A attuerà un cambiamento orario. Gli orari delle partite saranno i seguenti: 2 partite al sabato, una alle 18:00 e una alle 20:45. 8 partite alla domenica di cui una alle ore 12:30, sei alle 15:00 e una alle ore 20:45. Inoltre, a seconda delle necessità delle squadre impegnate nelle coppe europee, in alcune giornate potrebbero svolgersi partite: il venerdì alle ore 20:45 e il lunedì alle ore 20:45.

PIEMONTE

TORINO

LOMBARDIA

ATALANTA

VENETO

VICENZA

FRIULI V.G.

ALBINOLEFFE

PADOVA

CITTADELLA

NOVARA

PORTOGRUARO

TRIESTINA

EMILIA ROMAGNA

PIACENZA

TOSCANA

LIVORNO

MARCHE

ASCOLI

LAZIO

NOVARA

FROSINONE

ABRUZZO

PESCARA

CALABRIA

REGGINA

MODENA

EMPOLI

SIENA

SASSUOLO

GROSSETO

Il Campionato di Serie B comprende 22 squadre e fu istituito a livello nazionale nella stagione 1929-’30 (ma già nel 1922 si chiamava Seconda Divisione. Sono 133 le squadre ad aver preso parte ai 79 campionati di Serie B: il Brescia è capofila con 53 presenze (seguono Verona -49-, Modena -45-, Palermo -41-, Bari -39-.) Il Genoa detiene il record di campionati totali vinti (6).

CROTONE

TESSERA DEL TIFOSO | 113


sport’s history

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UFFICIO SPORT

EDOARDO MOLINARI, GOLFISTA

Su come spendere i 600.00 euro vinti allo Scottish Open. “Comprare una Ferrari? Non ci penso neanche, mi accontento di una bella vacanza al mare visto che non mi riposo da anni”.

La Delibera di Giunta Comunale n. 184 del 23 giugno 2010 prevede una modifica alla Macrostruttura Comunale fondamentale per l’Ufficio Sport: viene difatti istituito il nuovo Dipartimento Sport, non più legato ad altre strutture dell’Amministrazione e quindi pienamente autonomo. La scelta della Giunta Comunale trova fondamento nella volontà di porre lo Sport a Roma come uno dei cardini dell’attività dell’Amministrazione, una fondamentale possibilità di incontro, condivisione ed educazione della cittadinanza. Inoltre, la Candidatura della città alle Olimpiadi del 2020, ha reso necessario rafforzare l’ufficio nella sua autonomia decisionale, organizzativa e finanziaria per organizzare al meglio tutte le attività propedeutiche alla scelta della città Olimpica che avrà luogo a Buenos Aires nel 2013. Il nuovo Dipartimento è stato quindi suddiviso in una unità organizzativa che si occuperà dell’impiantistica sportiva già esistente e di quella da edificare ed in una seconda unità che, oltre alla funzione istituzionale di promozione sportiva, sarà dedicata alla candidatura alle Olimpiadi del 2020. In questi giorni c’è gran fermento al nuovo Dipartimento: difatti il Delegato allo Sport On. Alessandro Cochi sta predisponendo, con il Direttore Dott. Bruno Campanile, la riorganizzazione degli uffici e l’inserimento di nuove figure necessarie per dare al Dipartimento la migliore struttura per il raggiungimento di obiettivi così sfidanti. Al più presto vi aggiorneremo sul nuovo “corso” del Dipartimento Sport e sulle novità introdotte. (Maria IEZZI)

FRANCESCA SCHIAVONE, TENNISTA, VINCITRICE DEL ROLAND GARROS Sulle auto. “Non amo le auto di lusso ma quelle sportive ed eleganti. La mia preferita è la Ferrari: sono una italiana doc”. ANDREA GIANI,

M.ROMA VOLLEY Sulla squadra dopo la chiusura del mercato. “Sono veramente soddisfatto. Ho una squadra su cui lavorare con interesse, una squadra che mi permetterà di realizzare la pallavolo che più mi piace”. ALLENATORE DELLA

Su Zarate dopo l’amichevole estiva con l’Iran. "Finalmente l’ho rivisto tirare dal limite dell'area. Lui ci crede poco, spesso dovrebbe tirare e invece punta l'uomo, sbagliando. Se calciasse in porta farebbe il bene della Lazio, e il suo".

EDY REJA, ALLENATORE DELLA LAZIO

hanno detto

BOLT E LA SUA VOGLIA DI STUPIRE: IL CALCIO LA PROSSIMA SFIDA L’uomo più veloce del mondo, il giamaicano Usain Bolt, ha parlato del suo futuro strabiliando il mondo. Tra quattro anni si darà al calcio professionistico. Chissà se sarà ingaggiato da qualche club italiano.

Volly al mare

Una curiosa versione di Volly, la mascotte dei Mondiali di Pallavolo che sta continuando il suo giro “promozionale”. Eccola riposarsi un po’. Al mare...

NEWS | 114


La più larga vittoria ottenuta dalla Nazionale azzurra allo stadio Olimpico è un 10-0 agli Usa del 2 aprile 1975 (nello score, doppiette di Rocca e Chinaglia). La gara però non viene considerata negli albi come ufficiale

IN BICI, VERSO LA CAPITALE Ciclisti, eroi della pedata? I Cicloamatori Novara hanno deciso di imbarcarsi dal Piemonte fino alla Capitale. Su due ruote con poche tappe. 763 km in oltre 30 ore di pedalata. I ciclisti sono stati ricevuti in Campidoglio ed accompagnati nel cuore della romanità dal Capo-segreteria dell’Ufficio Sport Rodolfo Roberti.

SCIABOLA E CIBO PER NON SCORDARE LE MAFIE

SPORT LAB 2010: UN APPROFONDIMENTO SUL FUTURO

Al centro sportivo della GdF di Castelporziano, in occasione del raduno degli azzurrini di sciabola, si è tenuta una cena particolare con un menù tipico siciliano realizzata con i prodotti del comitato Addiopizzo, l'associazione di volontariato il cui campo d'azione è la promozione di un'economia virtuosa e libera dalla mafia.

Al Circolo del Tennis del Foro si è svolto Sport Lab, laboratorio di cultura sportiva organizzato dall'Asi con il patrocinio del Coni. Tra i temi trattati, “Lo sport il vero New Media”, finalizzato alla riflessione sui modelli di fruizione mediatica dello sport, e i “Grandi eventi di Sport”, sul tema delle candidature a grandi eventi del prossimo futuro.

QUANDO UNA SQUADRA RINUNCIA ALLO SPONSOR

a Roma Beach Soccer e le altre due squadre romane della specialità, Colosseum e Mare di Roma, sono scese in campo tutte insieme per promuovere una serie di iniziative a favore dell’Associazione Bambino Gesù Onlus che si occupa di sostenere il mantenimento della casa di accoglienza dell’ospedale che ospita gratuitamente le famiglie dei piccoli pazienti provenienti da tutta Italia e dall’estero. Il 4 agosto si è svolto un torneo di beach soccer che ha visto affrontarsi ad Ostia la Roma, il Mare di Roma e la Colosseum, le tre squadre capitoline iscritte alla Serie A Enel, durante il quale è stata avviata una raccolta fondi. Nella mattinata dello stesso giorno, una delegazione delle tre squadre, con alcuni tra i più grandi campioni mondiali della specialità, ha fatto visita alla struttura di Palidoro e, nella Ludoteca, ha consegnato ad alcuni bambini una serie di gadgets, tra cui palloni ufficiali e maglie delle squadre. Inoltre, i pazienti saranno coinvolti a partecipare al progetto preparando loro disegni

L

sul beach soccer che saranno usati come premi per le squadre partecipanti al torneo. Il progetto nasce dall’intesa di Roma Beach Soccer e associazione Bambino Gesù Onlus tanto che da quest’anno la squadra giallorossa ha deciso di rinunciare allo sponsor di maglia per poter indossare il logo del “Bambino Gesù” e sostenere così, sulle principali spiagge italiane e nelle gare trasmesse da Sky Sport 1, una causa importante e una realtà scientifica e assistenziale di rilievo internazionale. Hanno aderito con piacere all’idea anche le altre due squadre romane di beach soccer, Colosseum e Mare di Roma, dimostrando che tutti insieme si può vincere la partita più importante, quella della solidarietà. “Attraverso questa iniziativa – ha commentato il presidente della Roma Beach Soccer Mattia Argentino – vogliamo affiancare all’attività sportiva un impegno di solidarietà per una realtà come il Bambino Gesù che rappresenta un valore sociale della nostra città”. “Il binomio sport-solidarietà è per l’Associazione Bambino Gesù Onlus un’accoppiata vincente – ha dichiarato il Presidente dell’Associazione Luca Benigni – dal calcio, al golf, al beach soccer sono numerose le iniziative che vedono il mondo degli sportivi sensibile verso chi soffre. L’iniziativa della AS Roma Beach Soccer ricorda a tutti noi che la solidarietà non va in vacanza”.

LE RADIO. UNA RISORSA PER ROMA

Un sistema informativo che accompagna migliaia di cittadini soprattutto nelle lunghe ore passate in auto. Ed anche un fenomeno sociale e di costume: parliamo delle radio che negli ultimi anni si sono moltiplicate. Quelle laziali, quelle romaniste e quelle generaliste. Ovunque e di tutto un po’. Le radio fanno delle radiocronache il proprio pezzo forte: ma queste sono in pericolo. In campo è sceso il Sindaco di Roma, Gianni Alemanno, che ha inviato una lettera ai sottosegretari all’Informazione, Bonaiuti e allo Sport Crimi; al presidente della Lega Calcio, Beretta, al presidente dell’AGCOM, Calabrò e al Direttore generale della Rai, Masi, per chiedere di ripensare il divieto per le radio private di trasmettere le radiocronache delle partite e per chiedere di trovare una soluzione che consenta alle radio di continuare ad effettuare le dirette degli incontri, senza limitarsi alla “finestra informativa” oggi prevista. «Le radio sportive romane svolgono – si legge nella lettera – un apprezzato servizio di informazione (...). Impedire le dirette integrali degli incontri concedendo solo finestre di 3 minuti ogni 15’ (...) penalizza il vastissimo pubblico delle radio locali che non offrono certamente un prodotto concorrente a quello Rai ma chiaramente alternativo, con radiocronache “non istituzionali” molto seguite dai tifosi. In un momento di crisi del calcio, di spalti sempre più vuoti, di programmi di partite ormai “spalmate” quasi 7 giorni su 7 ad uso e consumo delle trasmissioni televisive, non per tutti gli appassionati è possibile recarsi allo stadio o acquistare “pacchetti” dalle televisioni: per loro le radio locali rappresentano il solo modo di seguire il calcio. Evidenzio, inoltre, come per le emittenti radiofoniche le trasmissioni in diretta delle partite, proprio perché molto seguite, costituiscono una consistente voce di attrazione per la raccolta pubblicitaria e, quindi, per la stessa sopravvivenza economica di tante realtà del nostro sistema produttivo locale, nonché voci, comunque, di informazione». Nel prossimo numero racconteremeo la storia dell’emittenza romana.


Una delle difese più difficili del titolo mondiale dei medi da parte di Nino Benvenuti è datata 22 novembre 1969, quando al Palaeur l'azzurro, dopo un'aspra battaglia mette ko all'undecimo round Luis Manuel Rodriguez

DA QUESTO NUMERO RACCONTEREMO UN CAMPIDOGLIO NON SOLO SPORTIVO, GRAZIE ALL’UFFICIO FOTOGRAFICO DEL COMUNE DI ROMA

CAMPIDOGLIO. NON SOLO SPORT

Concerto dell’orchestra sinfonica dell’Europa Unita, diretta dal maestro Aykal, per il Sommo Pontefice Benedetto XVI in Piazza del Campidoglio

Processione sul fiume Tevere della Madonna del Carmine, detta “Fiumarola”, da Lungotevere Flaminio fino a Trastevere dove si è festeggiata la Festa de’ Noantri Affreschi Medievali del 1300 scoperti durante i lavori di restauro di Palazzo Senatorio

Presentazione del ciclo di concerti in occasione del 60° compleanno del cantautore romano Renato Zero nella foto con il Sindaco sul balcone della sua stanza


Nata Il Segni particolari Soprannome Abita La vittoria più bella Il momento più difficile Altri sport praticati Passioni Film preferito

Ultimo libro letto Cantante Attori preferiti TV Pregi e difetti Vacanza ideale Hobby

SCHERMITRICE SPOSATA CON DOMENICO (EX CALCIATORE), UN FIGLIO, PIETRO JESI MA INNAMORATA DI ROMA 14.2.1974 OCCHI AZZURRI VALEDORO JESI IL PRIMO CAMPIONATO ITALIANO “PRIME LAME”, A 10 ANNI NEL 2006, PER UN INFORTUNIO AL CROCIATO TENNIS, VELA LA FAMIGLIA BRAVEHEART

MONDO SENZA FINE, KEN FOLLETT EROS RAMAZZOTTI JOHNNY DEPP, MICHELLE PFEIFFER I CARTONI IN GENERE E TUTTO LO SPORT PREGIO: CAPARBIETÀ, DETERMINAZIONE, DIFETTO: ABBASTANZA DISORDINATA COAST TO COAST IN AMERICA O MARE IN POLINESIA POCHI, IL TEMPO LIBERO, IN FAMIGLIA

TROFEO STADIO OLIMPICO 2010

NEWS | 117

LONDRA 2012: PELLIELO PRESENTE Giovanni Pellielo, piazzatosi 4° nella finale di fossa olimpica del Campionato del Mondo 2010 di Monaco di Baviera, si è qualificato per i Giochi olimpici di Londra 2012.

BADMINTON: SORPRESA AZZURRA La romana Agnese Allegrini, la più forte azzurra del badminton, ha centrato un prestigioso secondo posto al “Thaiti International”, una delle più importanti gare del circuito internazionale.

PARTE L’ALBARACE Il 24 settembre prossimo, alle 5:58, ora in cui sorge il sole nella Capitale, si svolgerà una corsa su strada di 5,8 chilometri, l’Albarace, che interesserà l’area del Parco del Foro Italico.

A OSTIA UNA TRE GIORNI PER VIVERE IL MARE “Mare Roma Capitale”, la manifestazione svolta ad Ostia nei primi giorni di settembre. Vela, nuoto e subacquea sono stati i punti di un programma particolarmente ricco cui hanno partecipato star come Matteo Miceli, lo skipper famoso per le traversate in solitaria, Marcello Guarducci probabilmente, il primo atleta italiano a conquistare una certa popolarità grazie al nuoto e uomo dei record nello stile libero. La manifestazione è stata organizzata da un altro velista d’eccezione, Massimiliano Cecchi per la Forward Asd. 15 597 INFO: 328 00 ARDASD.IT D.IT - INFO@FORW WWW.FORWARDAS o

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llo Stadio Olimpico di Roma si è disputata la sesta edizione del “Trofeo Stadio Olimpico 2010” organizzato dal Coni Servizi. Al torneo hanno partecipato le prime 14 squadre che hanno presentato entro il 15 giugno 2010, la propria iscrizione. Al via si sono presentate squadre di tutto rispetto come: VIGILI DEL FUOCO, CONI, PUBLICA SICUREZZA, CARABINIERI, GUARDIA DI FINANZA, POLIZIA MUNICIPALE, DIGOS, AS ROMA, SS LAZIO, DITTE CONI, CIRCOLO TENNIS F.I., PARCO DEL FORO ITALICO, COMUNE DI ROMA, GIOVANNELLA CATERING. Da menzionare l’ottima partita della rappresentativa del Comune di Roma (nella foto) che dopo un tiratissimo incontro perdeva con la Giovannella Catering, che più tardi si vedeva assegnare il Trofeo 2010.

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Volete raccontarci una storia particolare legata ad uno sportivo? O un luogo della città dove lo sport è protagonista? Inviate la vostra segnalazione a: redazione@spqrsport.it

Professione “Stato civile”

LUOGHI E PERSONAGGI DA SCOPRIRE

VALENTINA VEZZALI

Nel 1976, al Foro Italico, Adriano Panatta battè al primo turno l'australiano Warwick dopo avergli annullato 11 match point. Il tennista romano finì per aggiudicarsi quella edizione del torneo

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10 SETTEMBRE ORE 14:00 CACCIA AL TESORO AL DIVING CENTDI REGATA VELICA 10 SETTEMBRE ORE 9:00 AL CLUB NAUTICO DI ROMA, 2 GIORNI 11-12 DALLE ORE

INFO: 328


1 campo di calcio a 11 4 campi di calcio a 6 3 campi di calcio a 8

CAMPI

IL CALCIO DILETTANTISTICO

Sede: Via Giovanni Amenduni,15 00122 (Ostia Lido) Tel/Fax: 06/5681919 E-Mail: segreteria@ostiamare.it

A.S.

MAGLIA

OSTIAMARE Nel 1945 nasce ufficialmente l’Ostiamare. La testimonianza della sua attività arriva dall’allora campionato di Prima Divisione, in cui giocava insieme ad altre 15 squadre, tra cui alcune di provata tradizione calcistica come l’Artiglio, l’Acea, il Grottaferrata e i Ferrovieri.

l calcio a Roma è anche biancoviola. Sportivi, appassionati di calcio, abitanti di Ostia e dintorni li conoscono bene: sono i colori dell'Ostiamare. Il sodalizio lidense è una realtà sportiva dal grande impatto sociale, anche perchè insiste su un tessuto abitativo che nel corso degli anni ha vissuto momenti difficili, tipici di una periferia. Il “mare di Roma” sponda Ostiamare ha un cuore che pulsa, fatto di sacrifici, sudore e giocate spettacolari tipiche di chi sa interpretare al meglio le evoluzioni del gioco più amato al mondo. Non è insolito quindi che dalla spiaggia alla pozzolana e poi all'erba di ultima generazione l'Ostiamare abbia dato i natali al campione azzurro e romanista De Rossi. Insieme a lui sono cresciuti con la casacca del club di via Amenduni decine di migliaia di ragazzi, a prescindere dal loro futuro professionale. Prima uomini e poi calciatori, con un pensiero sempre ai colori biancoviola. Le cronache narrano di partite sotto il vessillo di quella che poi diverrà l'attuale società addirittura nel 1936; era un altro calcio, era un'altra Capitale ed

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L'emblema del nuovo corso della società biancoviola è un volo di gabbiano stilizzato che testimonia la volontà della dirigenza di volare in alto, mantenendo intatti colori e cuore, ma con nuove prospettive ed energie finanziarie.

un altro Lido, meno integrato con l'Urbe e che viveva di passioni e dolori autoctonI. Dal campo “Bazzini” fino al moderno “Anco Marzio”, passando per il “4 Novembre”, di calci al pallone ne sono stati dati, ma sempre con la stessa passione, dal settore giovanile alla prima squadra, la quale si è fregiata anche di due anni storici tra i professionisti. Nella stagione 1989-90, infatti, i biancoviola hanno brindato alla Serie C2. Di acqua sull'arenile di Ostia ne è passata tanta, tanto da celebrare anche una fusione nel 1976 con l’Unione Sportiva Lido Calcio, di Franco Pietrini e Franco Cannuli. Adesso però, dopo diverse stagioni in Serie D, l'Ostiamare milita nel massimo campionato regionale di Eccellenza, con ambizioni di alta classifica: “Nel campionato che sta per iniziare faremo di tutto per giungere tra le prime cinque classificate”, dichiara il presidente Luigi Lardone. Una prima squadra da vertice e un grande settore giovanile: “Frutto – ricorda il Direttore Generale dell'Ostiamare Luigi Baioni – di una programmazione resa possibile solo grazie ai mezzi messi a LE SOCIETÀ CAPITOLINE | 118

Il colore dell’Ostiamare deriverebbe dalla squadra “Fulminante”. La maglia di questa era viola, colore che fu adottato quando un dirigente, Giandotti, si mise alla guida della squadra lidense e in onore del figlio che vi giocava e da poco scomparso decise di adottare il nuovo colore. Alcuni anziani tifosi del sodalizio lidense raccontano anche che il viola sarebbe riconducibile alle pezze della divisa dei soldati americani che lasciavano il lido di Roma alla fine della II Guerra Mondiale.

disposizione dal presidente Lardone, senza i quali non si può fare calcio ad un certo livello”. Il tutto basato su un rapporto indissolubile, un legame tra la terra di Ostia ed il team biancoviola: “La nostra politica – puntualizza Baioni – è quella di valorizzare ragazzi provenienti dalla nostra realtà, è un fatto di attaccamento e di motivazioni”. Anche perchè sul litorale i numeri non mancano. Con oltre 150 mila abitanti Ostia rappresenta qualcosa in più in un semplice quartiere, un contenitore al cui interno poter imbastire progetti e strategie che hanno comunque nel fair play un cardine (l'Ostiamare nella passata stagione ha vinto la Coppa Disciplina). L'attuale società, svolge attività nel nuovo “Anco Marzio” (inaugurato nel 2008) che rappresenta un gioiello dell'impiantistica romana. Una base solida su cui programmare il futuro senza dimenticare il passato.


OGNI NUMERO ALLA SCOPERTA DI UNA SOCIETÀ CAPITOLINA PER CONOSCERE UN MONDO FATTO DI LAVORO E PASSIONE

LE FORMAZIONI

LA PRIMA SQUADRA

I PIÙ GIOVANI

NOMI ILLUSTRI

Quanti giovani per l’Ostiamare! Il giocatore più famoso che ha vestito la maglia dell'Ostiamare è sicuramente De Rossi, oggi alla Roma. Ma non solo lui ha fatto carriera nel calcio, gli fanno compagnia ancheMassimo Bonanni (Sampdoria), Giampietro Perulli (Udinese), Giovanni Greco (Cagliari) e Alessandro Tiberi (Ternana).

STAFF Presidente: L. Lardone Consiglieri: G. Pieraccioni e A. Longhi Direttore generale: L. Baioni Direttore sportivo: F. Quadraccia Segretario generale: C. Fabrizio

1 squadra in Eccellenza 7 squadre di Settore Giovanile e Scolastico 285 bambini di scuola calcio

CATEGORIE

I TIFOSI

AMARCORD LE SOCIETÀ CAPITOLINE | 119


Una corrente italiana del XX secolo. I futuristi esplorarono ogni forma espressiva, dalla pittura alla scultura, allo sport, alla letteratura (poesia e teatro), senza tuttavia trascurare la musica, l'architettura, la danza, la fotografia, il nascente cinema e persino la gastronomia. La corrente rivoluzionaria esalta il progresso scientifico e tecnologico. Il Futurismo si colloca sull'onda della rivoluzione tecnologica dei primi anni del '900 (la Belle époque), esaltandone la fiducia illimitata nel progresso e decretando a chiare lettere la fine delle vecchie ideologie (bollate con l'etichetta di "passatismo"). Marinetti, per esempio, esalta il dinamismo, la velocità, l'industria.Il primo vero segno della propaganda futurista è il “manifesto futurista” (1909) firmato da Marinetti in cui si possono ritrovare le regole su cui si basa il movimento nato in Italia e diffusosi in Europa.

ra una calda notte d’estate del 2008 quando l’artista, il runner e il creativo, che vivono in me, alzarono gli occhi al cielo di Roma e sentirono il “Soffio Cosmico” che solo un tappeto di stelle riesce a regalare. Da quel “Soffio Cosmico” non sono riuscito a staccarmi, anzi mi son fatto prendere per mano, ricevendo in regalo, dal mondo dei ricordi, una tra le mie più importanti emozioni. È stato così che quella notte è nata la Corsa Futurista. Infatti, il mio pensiero si proietta, subito all’anno in arrivo, il 2009, e seleziona, tra i tanti anniversari, quello che per noi Italiani, e non solo, è stato e rimane il culturalmente più significativo, il “Movimento Futurista”. Rivedo i grandi di quel Movimento e, soprattutto il suo fondatore, Filippo Tommaso Marinetti, che definire un Grande è riduttivo. Lui, Marinetti, è stato, ed è rimasto, un genio. In questo pensiero è

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stato semplice che iniziasse a prendere corpo in me l’idea della Corsa Futurista. Non facile certamente da realizzare, soprattutto da inserire nelle tante celebrazioni che sarebbero, certamente, state organizzate. Per la verità anche un provocatorio interrogativo cercava il diritto di entrare nell’idea! “Si può celebrare il Futurismo se questo è nato per cancellare il passato?”. Ma ai sogni non c’è argomento che si può contrapporre! Di conseguenza, inizio a dare il via alla fase preliminare che è quella di raccontare ad amici per carpirne le reazioni e la possibilità, soprattutto, della concretizzazione. Il mio grande sogno, quindi, lo racconto agli amici e proprio nei loro occhi vedo brillare una luce. Come quella dei Futuristi. La luce di chi, presuntuosamente consapevoI GRANDI EVENTI | 120

FLUSSI DI LUCE

Filippo Tommaso MARINETTI

CORRENDO NEL FUTURO

IL FUTURISMO

le come me, non vuole galleggiare nel mare dei mediocri ma almeno provare a lasciare un segno tangibile nel suo percorso umano. Nasce così, il 13 settembre 2009, all’interno del Circo Massimo “Flussi di Luce”, la più grande performance futurista umana mai realizzata. La Corsa Futurista, appunto, dove tantissimi atleti, con una torcia sulla fronte, hanno dato vita all’effetto Luce-Velocità, tanto caro al Futurismo ed al suo fondatore Filippo Tommaso Marinetti. Sono certo, nella mia lucida follia, che Filippo Tommaso quella sera rideva perché la nostra pazzia non deponeva parole vuote davanti ad una tomba ma esaltava il suo splendido e fulgido pensiero in una corsa veloce verso il futuro!!! Non poteva che essere soddisfat-


spq ort

di Ferdy COLLOCA

to nel vedere atleti fondersi nell’atto sublime creativo e divino come opera omnia. Questa mia consapevolezza della presenza dello spirito di Marinetti, quella sera del 13 settembre, l’ho avuta, a posteriori, quando ho saputo che la nipote, Francesca Barbi Marinetti, figlia di Luce, era lì nascosta a seguire quella corsa, nata da quel mio sogno e realizzata per la condivisione di tanti amici. Penso che, nella vita, nulla succeda per caso, caro (concedimelo nel suo significato affettuoso) Filippo… non Ti sei accontentato di seguirci, dal Tuo paradiso futurista, ma hai voluto offrirci anche una testimonianza di sangue, con la presenza di Tua nipote, nell’immortalità del pensiero futurista. Tutto come un copione scritto da un grande regista. Tutto nell’esaltazione della velocità, tutto nel gesto sportivo dei protagonisti, ormai storicizzati perché ognuno elemento indispensabile di

una grande opera. Un sogno, una grande realtà, un grande momento di sport e cultura che abbiamo vissuto ancora, tutti insieme, il 4 settembre 2010, alla II edizione. Ho guardato ancora il Cielo e, come sempre da umile discepolo, oggi di te Filippo Tommaso Marinetti, ho provato a regalare alla mia storia la gioia di un altro pezzo di futuro tra quelle milioni di particelle che potrebbero renderci immortali. O almeno darci la speranza di diventarlo.

Luci nel buio Secondo l’assunto che la velocità e la modernità sono, nella filosofia futurista, anche rappresentate dalla luce, ecco l’oggetto con il quale i podisti hanno corso al Circo Massimo. Un led sul capo che ha regalato suggestioni importanti.

I GRANDI EVENTI | 121

Circo Massimo, ore 21:00: si corre la seconda edizione della “Corsa Futurista”, dopo quella del Centenario. 500 atleti si sono sfidati con una luce sul capo a simboleggiare la luce con il suo dinamismo e la sua capacità di illuminare il cammino verso il futuro...

NELLA CAR NELLA CARNE DELL’UOMO DELL’UOMO DORMONO DORMONO LE ALI


COSTRUZIONI EDILIZIA

COSTRUZIONI INFRASTRUTTURE

PROMOZIONE E SVILUPPO IMMOBILIARE

PROJECT FINANCING


LA SCHEDA

PATTINAGGIO SU GHIACCIO I GRANDI CAMPIONI SCRIVONO PER NOI

Tutto iniziò una domenica di tanti anni fa quando i miei genitori decisero di trascorrere una domenica in modo diverso dal solito portandomi a pattinare alla Mezzaluna di Mentana. Ora posso dire senza alcun dubbio che è stata la più bella domenica della mia infanzia, ma quel giorno mi ricordo che non ero molto contenta… avevo i miei cartoni animati da guardare e i miei amici con i quali giocare… Pattinare, dicevo, ma non sono capace e poi in una pista del ghiaccio fa freddo… I miei genitori riuscirono lo stesso a convincermi e ora posso soli ringraziarli per questo. E divertente, ripetevo, è fantastico, mi sembra di volare; papà voglio pattinare. Questa è stata la frase che ho detto al ritorno da quella domenica. Un mese dopo ero già insieme a tanti altri bambini che volevano imparare a pattinare…tante bambine ma anche tanti bambini tutti contenti di passare quell'ora due volte la settimana all'insegna della spensieratezza. Quando ho iniziato a pattinare nei corsi avevo una lunga treccia che qualche volta mi veniva tirata dal compagnetto con il quale ho iniziato a pattinare in coppia: alla Mezzaluna c'erano solo insegnanti di danza e quindi la mia scelta è stata quasi obbligata e anche se non mi piaceva tanto, ora posso dire che la danza sul ghiaccio è tutta la mia vita sportiva. Gli anni sono trascorsi velocemente tra scuola e pattinaggio, fra gioie e dolori, ma sicuramente con tante, tante soddisfazioni. Federica Faiella Il mio grande amore per il pattinaggio è iniziato, rispetto alla media dei pattinatori, relativamente tardi e come per le cose migliori un po' per caso. Era il 1990, avevo 10 anni e dopo aver provato praticamente ogni sport possibile ed immaginabile, iniziai con la scuola un corso di pattinaggio. Fu proprio al palaghiaccio di Mentana, dove sono nato e cresciuto, che ho scoperto questo fantastico sport che unisce preparazione atletica e arte e di cui mi sono innamorato fin dal primo giorno, forse per questa sua particolare combinazione. Mi sono allenato alla Mezzaluna per dieci anni, poi le circostanze hanno fatto sì che per inseguire il mio sogno di diventare un giorno un grande pattinatore mi trasferissi da Roma a Milano dove ho iniziato una nuova vita con una nuova partner, Federica. Da allora abbiamo raggiunto molti traguardi...e tanti altri ci aspettano ancora. Massimo Scali

SPORT AI RAGGI X | 123


li storici attribuiscono le origini del pattinaggio su ghiaccio alla Svezia, dove oltre dodici secoli fa i vichinghi, con pattini e lame di osso di bue o renna, si spostavano lungo le superfici ghiacciate. Ovviamente si trattava di un mezzo di trasporto e non di uno sport o di un esercizio ludico. Pattinare sui canali ghiacciati con pattini di legno divenne un passatempo popolare nel XVII secolo nei Paesi Bassi. In quel periodo James, figlio in esilio del re inglese Carlo I, fece un viaggio in Olanda e, scoperti i pattini su ghiaccio diffuse la pratica presso l'aristocrazia inglese al suo rientro in patria. Nel secolo successivo il pattinaggio su ghiaccio divenne uno sport popolare nel nord Europa e da lì si diffuse negli decenni successivi in tutto il mondo.

LA STORIA

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LE REGOLE l pattinaggio sul ghiaccio è reso possibile dal ridottissimo attrito tra la superficie del ghiaccio e la lama metallica del pattino. Il pattinatore può controllare il proprio movimento attraverso minime inclinazioni della lama durante il moto, laterali o frontali, producendo un moto rettilineo o curvilineo sulla superficie del ghiaccio dall'apparenza spesso fluida ed elegante. Nel pattinaggio velocità e nello short track è il tempo l’avversario da battere. Si corre a velocità elevate lungo una pista, detta ovale, insieme con uno o più avversari: tutti contro tutti e tutti contro il cronometro. Il pattinaggio di figura, invece, si pratica a livello individuale, a coppie e a squadre, e all’abilità sui pattini va abbinata quella della danza e coreografica. In questo caso il tempo conta poco: è la giuria a decidere il punteggio.

IL PATTINAGGIO SU GHIACCIO A ROMA e il Piemonte vanta una ricca tradizione negli sport del ghiaccio, così come tutto il nord Italia, la Capitale ha avuto il suo exploit in anni recenti. La pista di ghiaccio della Mezzaluna di Mentana ha ospitato negli anni ‘90 appuntamenti internazionali. Anche il Palaghiaccio di Marino è stato un polo d’attrazione. A livello agonistico, poi, Silvia Fontana nell’artistico e la coppia Scali-Faiella nell’artistico a coppie hanno portato in alto il nome della capitale nel mondo. Ma ora sta finalmente vedendo la luce una pista coperta a piazza Mancini ad un passo dal Foro. Di dimensioni regolamentari, vuole coniugare le esigenze dello sport a quelle di uno spazio di intrattenimento. Responsabile del Progetto è Guido Tommasi.

S

LE SPECIALITÀ

I

VELOCITÀ Si pratica su piste ovali di 400 metri con ghiaccio artificiale su distanze che vanno dai 500 metri ai 10 chilometri. In pista si gareggia in due, uno contro l’altro, e chi ottiene il miglior tempo assoluto tra le diverse batterie è il vincitore.

SHORT TRACK È sempre la velocità il fattore determinante. Solo che si gareggia su un ovale di soli 111 metri e in pista ci sono 4 o 6 pattinatori in contemporanea.

PATTINAGGIO DI FIGURA Si divide in pattinaggio artistico individuale e a coppie, danza a coppie e sincronizzato: quest’ultima specialità non è disciplina olimpica.

Lunghezza: 400 metri La pista per la velocità, detto ovale, è lunga 400 metri. Si può utilizzare anche quella più corta di 333,33 metri, ma questa non è omologata per le competizioni internazionali come Olimpiadi e Campionati del Mondo o Europei.

Corsie Ogni corsia è larga 4–5 metri.

Curve

Traguardo

Le due curve dell’ovale hanno un raggio di 25-26 metri sulla corsia interna. Vanno affrontate a velocità sostenuta ma facendo molta attenzione: è qui, infatti, che l’atleta può cadere più facilmente.

Il traguardo è posto sempre nella stessa posizione, mentre varia la posizione della linea di partenza in funzione della distanza su cui si svolge la competizione.

Rettilinei; 111,98 metri I due rettilinei della pista sono lunghi 111,98 metri: qui si raggiunge la massima velocità.

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LA TENUTA Velocità

PILLOLE DI STORIA FABRIS Enrico Fabris, di Asiago, è l’unico italiano vincitore di un oro olimpico individuale nel pattinaggio velocità. L’azzurro ha conquistato il titolo olimpico nei 1500 metri ai Giochi invernali di Torino 2006. Nella stessa edizione olimpica è stato capace di vincere il bronzo nei 5000 metri, e insieme a Matteo Anesi, Ippolito Sanfratello e Stefano Donagrandi l’oro nell’inseguimento a squadre. COPPIA D’ORO I più forti azzurri della danza, specialità del pattinaggio di figura, sono stati Barbara Fusar Poli e Maurizio Margaglio. I due meneghini hanno dominato la scena dal 2000 al 2002, trovando pochi rivali sulla loro strada. Nel 2000 hanno vinto l’argento ai Mondiali e agli Europei. Nel 2001 si sono laureati campioni del mondo e d’Europa. Nel 2002, ai Giochi invernali di Salt Lake City, hanno conquistato uno storico bronzo. LA FARFALLA La più forte e popolare pattinatrice italiana è la 23enne bolzanina Carolina Kostner. Una farfalla quando si muove sul ghiaccio, tanto è aggraziata nei movimenti, ha iniziato a vincere da giovanissima. In carriera, fino al 2010, ha già vinto un argento e un bronzo ai Mondiali di pattinaggio di figura e tre ori, un argento e un bronzo agli Europei. Inoltre ha partecipato a due edizioni dei Giochi olimpici invernali: Torino 2006 e Vancouver 2010.

I Clap Skates sono utilizzati dagli specialisti del pattinaggio velocità

Clap Skates La scarpa è unita alla lamina mediante un perno mobile che consente il sollevamento del tallone

La tuta La speciale tuta tiene caldo il corpo e agevola l’aerodinamicità

Tuta La tuta tiene caldo il corpo e agevola l’aerodinamicità

Pattini tradizionali La lama è attaccata alla scarpa ed è molto lunga. Si usano nello short track

Casco

Vestito

La velocità elevata e le curve ravvicinate sono pericolose

Nella danza si utilizza un costume di scena

ABECEDARIO SALCHOW: il secondo salto per difficoltà ed è un salto che parte dalla lama. Esso, infatti, non necessita della puntata. Parte dal filo sinistro interno indietro. AXEL: è uno dei salti del pattinaggio artistico. Si può eseguire semplice, doppio, triplo e quadruplo, ed è un salto non puntato. TOE-LOOP: Il Toe-loop è uno dei tre salti puntati, il più semplice di tutti. Parte dal filo destro esterno indietro e si punta con il piede sinistro. Viene spesso usato nelle combinazioni di salti (salti eseguiti immediatamente uno dopo l'altro senza l'appoggio dell'altro piede). RITTBERGER: Il Rittberger (o Loop) è il terzo salto nella gerarchia di difficoltà dei salti. Anche questo salto è spesso usato come secondo salto nelle combinazioni. Se atterra con il piede sinistro e filo piatto è detto touring.

Guanti Per le continue e frequenti pieghe gli atleti si aiutano spesso con le mani, quindi usano i guanti

Pattini La lama è molto più corta rispetto ai pattini utilizzati per la velocità

IL PATTINO E LE TUTINE SPAZIALI Gli atleti utilizzano dei pattini ad incastro, in cui la scarpa è unita alla lamina mediante un perno mobile, che permette il sollevamento del tallone nella conduzione della curva e della spinta. La lamina del pattino è lunga tra i 42 e i 46 centimetri, ed ha uno spessore di 1 millimetro. Vengono indossate speciali tute intere, comprensive di cappuccio, al fine di ridurre la resistenza all'aria e anche per una maggiore sicurezza dell’atleta che, in caso di caduta, riesce a scivolare con meno attrito. Nel caso del pattinaggio artistico, invece, si usano costumi di scena realizzati in materiali elasticizzati per consentire all’atleta facilità di movimenti. SPORT AI RAGGI X | 125


Uno scatto che ferma una storia. Un’immagine che ha il potere di regalare un momento alla leggenda e suscitare emozioni. Istanti che rimangono impressi nella pellicola e nell’anima. Senza bisogno di alcuna spiegazione.

GIRO D’ITALIA 16 maggio 1974: la partenza da Piazza San Pietro del 57° Giro d’Italia. Quel giorno si arrivò a Formia e la frazione fu vinta dal belga Wilfried Reybrouck. La classifica finale invece andò ad Eddy Merckx, che si impose per soli 12'' su un giovanissimo Giovan Battista Baronchelli.

PUGNI E TAMBURI Il batterista dei Beatles Ringo tira un pugno al campione di boxe Sugar Ray Robinson (1921 - 1989), sul set del film “Candy” girato proprio nella Capitale. Leggenda dei pesi medi, Robinson è da molti critici considerato come il pugile tecnicamente più forte di ogni epoca. Famose le sue battaglie contro Jack La Motta, narrate anche nel film “Toro Scatenato”.


GAZZA

ocatore Il funambolico gi oigne, sc Ga ul Pa e ingles i os tif i de beniamino glesi, in e ti les ce co bian que raffigurato in cin e or at lci ca i: ion vers in n co , pi d’altri tem di braccio le figure , da Maradona e Gullit ta e da ra pi da y, bo w co a cacciatore. Gazz i ed rs sti ve tra a av am lcio ca il re interpreta ironia. ole tev no a un n co


GARY COOPER ALL’OLIMPICO Grandissimo attore americano, lega il suo nome a Roma per una delle pellicole più famose della storia del cinema. Il film è “Vacanze romane”, interpretato accanto alla splendida Audrey Hepburn. Nella foto, con la moglie, è allo Stadio Olimpico di Roma.

THE BEST Madrid, 1968: il grande George Best festeggia sotto la doccia degli spogliatoi del Santiago Bernabeu, il passaggio del suo Manchester United in finale di Coppa Campioni, al termine della semifinale pareggiata 3-3 contro il Real Madrid. L'ultimo atto si gioca a Wembley e vede il Manchester United imporsi sul Benfica di Eusebio dopo una gara tiratissima chiusa 4-1, ma solo dopo i supplementari. Di Best il gol del 2-1 che dà il via al trionfo.

LA S.S. LAZIO 1900 È il 1900, e la Lazio, appena fondata, si appresta a giocare una partita contro la Virtus. È il primo derby della storia del calcio romano. La gara terminerà per 3-0 in favore dei biancocelesti (doppietta di Sante Ancherani). Il campo, quello di Piazza d’Armi.


FERRARI D’EPOCA Il pilota italiano Giannino Marzotto con la sua Ferrari 195S Berlinetta a Roma durante un’edizione della mitica Mille Miglia, una delle corse più affascinanti del mondo. La corsa, su strade aperte al traffico, si disputò in Italia per 24 volte, dal 1927 al 1957. Dal 1977 rivive sotto forma di auto d'epoca.

IL GRANDE PELÈ 1959, La stella del calcio mondiale Pelè all’interno dello spogliatoio della sua squadra di sempre, il Santos. Solo nel 1975, un anno dopo il ritiro, il fuoriclasse tornò per dare vita negli Stati Uniti alla famosa squadra dei Cosmos, club spettacolo che annoverava tra gli altri Giorgio Chinaglia e Franz Beckenbauer.

MILLE MIGLIA Il pilota italiano Giannino Marzotto con la sua Ferrari 195S Berlinetta a Roma durante un’edizione della mitica “Mille Miglia”, una delle corse più affascinanti del mondo. La corsa, su strade aperte al traffico, si disputò in Italia per 24 volte, dal 1927 al 1957. Dal 1977 rivive sotto forma di auto d'epoca.


QUEL BRASILE STELLARE 1982. Coppa del Mondo a Barcellona. Il Brasile batte l’Argentina per 3 a 1. Toninho Cerezo e Paulo Robero Falcao festeggiano la terza rete, che consentì ai brasiliani di giocare la gara decisiva per l'accesso alla semifinale con due risultati su tre a disposizione. Non bastò però, visto che l'Italia vinse 3 a 2 compiendo un passo decisivo verso il trionfo finale.

IL CORSARO 2 giugno 1995: Max Biaggi celebra la vittoria in 250 sull’Aprilia sul circuito di Assen, in Olanda. Quell'anno il centauro romano si impose nettamente nella classifica finale, conquistando uno dei quattro titoli mondiali nella categoria.

IL GIGANTE BUONO 1934. Il primo italiano capace di vincere il titolo di campione del mondo dei pesi massimi, ovvero Primo Carnera, assediato dai tifosi a Ostia. Risale all'anno prima l'incontro più famoso della storia del pugilato romano, con Carnera che batté ai punti a Piazza di Siena il basco Paulino Uzcudun.


SPQR SPORT, il nuovo mensile voluto dall’Ufficio Sport del Comune di Roma è sfogliabile anche online sul sito www.spqrsport.it dove saranno visitabili anche delle aree dedicate all’interazione dell’utente con la redazione. SPQR SPORT sarà presto presente anche nei principali social network ed inviato tramite newsletter. Un modo per raggiungere una fetta quanto più ampia della popolazione capitolina. Internet garantisce un’importante diffusione parallela rispetto al prodotto cartaceo che rispetta i canali classici della diffusione freepress: la rivista è distribuita in occasione dei grandi eventi sportivi della Capitale e anche sul territorio grazie alla scelta di un esercizio commerciale (edicole, bar, etc) scelto nelle piazze più importanti dei 19 municipi romani. L’elenco è ovviamente consultabile sul web.

FREE PRESS per la città


FANALCOMUNICAZIONE

I L F U T U R O N O N È P I Ù Q U E L L O D I U N A V O LT A .

Ogni giorno Acea si impegna e lavora per gestire in modo sostenibile le risorse naturali e l’energia, valorizzandone l’impiego, prestando particolare attenzione alla riduzione degli sprechi e incrementando il ricorso alle fonti rinnovabili. Perché l’uso razionale dell’energia, il risparmio energetico, il rispetto per il territorio e la tutela dell’ambiente sono le primissime cose che migliorano la qualità della vita. Perché il nostro futuro inizia da qui, ora.


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