I LOVE MY INDIA

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I LO V E MY IND IA PHOTOGRAPHY

AND TEXT BY

ALFREDO CUOMO


I LOVE MY INDIA he author of the writing on the wall of Chauki Ghat in Varanasi (on the cover of this book) might have been a young Indian student returning from London or New York or an enthusiastic voyager or, perhaps, just one of the many strollers who walk along the seventy-six ghats (flights of steps leading to the Ganges) of this sacred city. Whoever he was, we completely agree with him. We too are in love with India. It would be very complicated to explain why. For the Indians their country is simply ‘Baratha’, the ‘Mother’. They love it as they love their river, the Ganges, which they also consider their ‘Mother’. It is a ‘love’ that is so natural and intense that children grow up with it in an environment permeated with a profound sense of religion. The happenings on the banks of the Ganges, at Varanasi or at Allahabad, are a good example of how deeply rooted is the Indians’ perception of spirituality. Water, the element from which we all come, is considered in India just that: the cleansing fluid of life, the means for survival, the place where bodies - for the Hindus: ‘the shell’ - return and men are liberated from the suffering caused by the cycle of continuous reincarnations. Indians love their ‘Mother Ganges’. In the West, and in the East, we love other things more: certainly we seem to love all the paraphernalia of our consumer’s society. Religion, that dimension of the spirit described by Herman Hesse in Siddhartha,

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autore della scritta a calce sul muro del Chauki Ghat a Varanasi (sulla copertina di questo libro) potrebbe essere uno studente indiano tornato da Londra o da New York, oppure un viaggiatore entusiasta oppure, uno dei tanti fedeli che si muovono continuamente lungo le sponde dei settantasei ghat (scalinate che portano al Gange) di questa città santa. Chiunque egli sia, noi siamo del suo stesso parere. Anche noi amiamo l’India. Sarebbe, tuttavia, molto complicato spiegarne il perché. Per gli indiani il loro paese è semplicemente ‘Baratha’, la ‘Madre’. Lo amano nello stesso modo in cui amano il loro fiume, il Gange, anche questo considerato ‘Madre’. Il loro è un amore così intenso e naturale che i bambini ci crescono dentro, in un ambiente impregnato di religiosità. Ciò che succede sulle sponde del Gange, a Varanasi o ad Allahabad, è la dimostrazione più chiara di quanto sia profondamente radicato il senso di spiritualità degli indiani. L’acqua, l’elemento dal quale noi tutti originiamo, qui viene considerato esattamente questo: il fluido purificatore della vita, un mezzo di sopravvivenza, il luogo dove il corpo, dagli Indù considerato ‘un guscio’, ritorna alla fine di questa vita e l’uomo si libera dalla sofferenza procurata dal ciclo continuo della reincarnazione. Gli indiani amano la loro ‘Madre Gange’. In Occidente, e per questo anche in Oriente, noi amiamo di più altre cose: sicuramente amiamo molto tutti gli orpelli della nostra civiltà dei consumi.

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in India is still paramount, unchanged and unperishable since the birth of man; it is the motor that generates the force with which even the poorest cope with everyday life. A country so immobile that, in places, it seems frozen in time. In other places, it is so fast-changing and ‘modern’ that it leaves behind even the gurus of Silicon Valley. A country of enormous contrasts, impossible to be digested at first sight by even the most sophisticated traveller. On one side, a booming industry; on the other, two or three hundred million illiterate people still plow their fields with wooden tools and build their houses with cow and camel dung. Yet, at festivals, peasants dress up as maharajas in an incredible explosion of colours. This is why we will not even attempt to explain our feelings about India but, like the great mughal emperor Akbar, we will just let ourselves be subjugated by the fascination and the magic that India imposes on us. How could we possibly understand or discuss a country where, today like yesterday, Mahatma Gandhi’s words: “to protect a cow is one of the highest manifestations of human evolution” are still a reality? Profound words which mean that life, everything that is alive, must be respected by man and protected at all costs. We can only limit ourselves to witness and photograph the sights, the colours, the people of this kaleidoscopic sub continent. “India is a country of dreams and love, of rags and splendours, the only place in the world where even the narrowest alley opens

La religione, quella dimensione dello spirito descritta così bene da Herman Hesse in Siddhartha, in India è in una posizione di supremazia, eterna ed immutata dall’apparizione dell’uomo sulla terra; il motore che dà la forza di sopravvivere a ricchi e poveri. L’India può sembrare un paese talmente immobile da apparire congelato nel tempo. Invece, in altre occasioni, ci sembra un paese in così rapida evoluzione capace di lasciare indietro anche i guru di Silicon Valley. Un paese di tali contraddizioni che risulta praticamente inspiegabile anche al viaggiatore più smaliziato. Da un lato, un’industria avanzatissima; dall’altro, due o trecento milioni di analfabeti che continuano ad arare la terra con attrezzi di legno e a costruire case con lo sterco di vacche e cammelli. Gli stessi milioni di persone che, nei giorni di festa, indossano abiti da maharaja in una incredibile esplosione di colori. Questi sono i motivi per cui noi non cercheremo nemmeno di dare spiegazioni sull’India ma, piuttosto, così come disse di aver fatto il grande imperatore moghul Akbar, ci lasceremo soggiogare dal fascino e dalla magia che passivamente ci vengono imposti ad ogni angolo di strada. D’altronde, come sarebbe possibile afferrare il significato o discutere un paese dove, oggi come ieri, le parole del Mahatma Gandhi sono una realtà imprescindibile: “proteggere una vacca è una delle manifestazioni più alte dell’evoluzione umana”? Parole profonde il cui vero significato è che l’uomo deve rispettare la vita e tutto ciò che è vita anche se non ha il dono della parola.

on to a spectacle that is bigger than any other on earth”, wrote Mark Twain. This photographic essay is an incomplete canvas representing the people of the Ganges, Rajasthan (the Land of Kings), the monuments of Agra and Khajuraho and parts of Southern India. We would like to close this short preface with another quote, this time from Jawaharlal Nehru: “India is like an ancient palimpsest on which layer upon layer of thought and reverie have been inscribed. This is the complex and mysterious personality of India. Around her is the elusive quality of a legend long ago; some enchantment seems to have held her mind... She is a myth and an idea, a dream and a vision, and yet very real and present…” Faced with this complexity, we can only suggest to our readers to travel and see India by themselves – some people will love it, others will detest it. We hope, however, that the majority will return gratified for having lived a unique experience and that, as it has happened to us, their relationship with India and its people might develop into a continuing love affair. A.C.

Noi possiamo limitarci soltanto ad osservare e a fotografare i luoghi, i colori, la gente di questo infinito caleidoscopio. “L’India è un paese di sogni e di amore di stracci e di splendori, l’unico posto al mondo dove anche il vicolo più angusto si apre su uno spettacolo senza pari”, scriveva Mark Twain. Questo libro di fotografie è un omaggio alla gente del Gange, al Rajasthan (il Paese dei Re), ai monumenti di Agra e Khajuraho, e al Sud: una piccola parte di quello che l’India realmente è. E qui vorremmo chiudere questa breve prefazione con un’altra citazione, questa volta di Jawaharlal Nehru: “L’India è come un antico palinsesto sul quale sono stati iscritti, strato dopo strato, sogni e pensieri. Questa è la complessa e misteriosa personalità dell’India. Essa conserva una qualità irreale di leggenda lontana che qualche sorta di incantesimo sembra aver salvaguardato nel tempo… È un mito e un’idea, un sogno e una visione, reale e presente…” Di fronte ad una tale complessità, noi possiamo soltanto suggerire ai nostri lettori di farsene un’opinione diretta, visitandola. Alcuni la ameranno, altri la detesteranno. Noi speriamo, tuttavia, che la maggioranza di essi possa vivere un’esperienza indimenticabile e che, come è accaduto a noi, il contatto con l’India e la sua gente si trasformi in un rapporto d’amore duraturo.

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T HE G ANGES AND ITS P EOPLE G ENTE DEL G ANGE

Dawn on the Ganges at Varanasi.

Alba sul Gange a Varanasi.


The Sangam: three sacred rivers meet at this point, the Ganges, the Yamuna and the mythical Saraswati.

Il Sangam: tre fiumi sacri confluiscono in questo punto, il Gange, lo Yamuna e il mitico Saraswati. Allahabad, Kumbha Mela 2001.

Kumbha Mela is the most ancient and famous religious gathering in the world. On the holiest days, crowds of up to ten million faithful gather on the banks of the Ganges.The Sangam in Allahabad is the most sacred of all bathing spots.The Kumbha Mela takes place every twelve years, in the towns of Nasik, Ujjain, Haridvar and Allahabad. A smaller version of the Mela (literally, fair) occurs every three years.The Kumbha Mela of Allahabad, being the first one of the new Millennium, will have been the most important of the Century. Kumbha derives from kumbh (a clay vase) which, according to Hindu mythology, contained the nectar of immortality. Gods and demons fought for possession of the kumbh.When the gods won the battle, four drops of the holy nectar fell on Earth, on the four Indian towns.The Hindus believe that during the Kumbha Mela the nectar flows through the sacred river.

Kumbha Mela è il più antico e famoso evento religioso del mondo. Nei giorni propizi, folle di oltre dieci milioni di fedeli si riuniscono sulle rive del Gange. Il Sangam in Allahabad è il punto più sacro. La Kumbha Mela ha luogo ogni dodici anni nelle città di Nasik, Ujjain, Haridvar e Allahabad. Una versione minore della Mela (letteralmente, fiera) si svolge ogni tre anni. La Kumbha Mela di Allahabad, essendo la prima del nuovo Millennio è considerata la più importante del secolo. Kumbha deriva dalla parola kumbh (un vaso d’argilla) che, secondo la mitologia Indù, conteneva il nettare dell’immortalità. Dei e demoni se ne disputarono il possesso. Quando gli dei vinsero la battaglia, quattro gocce del sacro nettare caddero sulla terra, sulle quattro città indiane. Gli Indù ritengono che durante la Kumbha Mela nel fiume sacro scorra il prezioso nettare.

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Pilgrims. Pellegrini. Allahabad, Kumbha Mela 2001.


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Dawn on the shore of the ‘Ganga Ma’, the Mother Ganges, as Hindus call their sacred river.

L’alba sulle rive del ‘Ganga Ma’, la Madre Gange, il nome che gli Indù danno al loro fiume sacro. Allahabad, Kumbha Mela 2001.

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After bathing in the Ganges, saris and dhotis - female and male garments respectively are put to dry in the sun.

Dopo il bagno nel Gange, sari e dhoti - rispettivamente indumenti femminili e maschili sono stesi al sole ad asciugare. Allahabad, Kumbha Mela 2001.


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The Ganges at Varanasi.

Sulle rive del Gange a Varanasi.

Varanasi, the city of Shiva, is the most sacred place in India. Bathing and washing in the holy waters of the Ganges purifies the Hindus from all sins. Dying at Varanasi (the confluence of the rivers Varuna and Asi) and having one’s ashes scattered in the Ganges means achieving ‘moksha’ or enlightment, the release from the eternal cycle of reincarnation.

Varanasi, la città di Shiva, è il luogo più sacro dell’India. Immergersi nelle acque purificatrici del Gange libera gli Indù da ogni peccato. Morire a Varanasi (dove confluiscono i fiumi Varuna ed Asi) e avere le proprie ceneri disperse nelle acque del Gange significa raggiungere lo stato di ‘moksha’ o illuminazione liberandosi dal ciclo eterno della reincarnazione.


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Sadhus at Allahabad, Kumbha Mela 2001. The vertical markings on the forehead are called ‘tilaka’. This particular ‘tilaka’ is one of the oldest and indicates a Sadhu of the Vaishanava sect belonging to the Shrı¯ monastic order.

I segni verticali sulla fronte si chiamano ‘tilaka’. Il ‘tilaka’ qui riprodotto è uno dei più antichi e indica l’appartenenza del Sadhu alla setta di Vaishanava e in particolare all’ordine monastico di Shrı¯.


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Allahabad, Kumbha Mela 2001.


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Rowing towards the Sangam, the junction of the three sacred rivers: the Ganges, the Yamuna and the Saraswati. The greatest desire and spiritual necessity of the Hindu is to bathe at least once at a ‘tirtha’ (holy place of pilgrimage). The most sacred of all ‘thirthas’ is the Sangam of Allahabad.

Remando verso il Sangam, la confluenza dei tre fiumi sacri: il Gange, lo Yamuna e il Saraswati. Il più grande desiderio e bisogno spirituale di un Indù è immergersi in un ‘tirtha’ (luogo sacro di pellegrinaggio). Il ‘tirtha’ più sacro è il Sangam di Allahabad. Allahabad, Kumbha Mela 2001.


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The horizontal markings (named paraÂŻ tilaka), on the forehead of the Sadhus indicate the belonging to the Shaiva sect devoted to the cult of Lord Shiva.

I segni orizzontali sulla fronte del Sadhu (chiamati para¯ tilaka) denotano l’appartenenza alla setta Shaiva, depositaria del culto di Lord Shiva.

Allahabad, Kumbha Mela 2001.


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The Sangam of Allahabad in the background.

Sullo sfondo il Sangam di Allahabad.

The flower lady on the banks of the Ganges at Varanasi. Flowers are an essential part of ‘puja’, the ritual of prayers and offerings.

La fioraia sulle rive del Gange a Varanasi. I fiori sono parte essenziale della ‘puja’, il rito di offerte e preghiere.

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Sadhus at the Kumbha Mela, Allahabad. The trident is a symbol of Lord Shiva (left).The Sadhu on the right is performing his ascetic penance. Holy men can choose whatever form of physical mortification they believe will better sharpen their devotion for the Divine.This one might stand on one leg for hours, maybe for days.

Sadhu alla Kumbha Mela di Allahabad. Il tridente è simbolo di Lord Shiva (a sinistra). L’uomo a destra sta compiendo una penitenza ascetica. Il Sadhu è libero di scegliere qualsiasi forma di sacrificio fisico per migliorare il proprio contatto con il Divino. Costui potrebbe rimanere su una sola gamba per ore, forse per giorni.



PREVIOUS PAGES: Varanasi.The most auspicious time to bathe is during full moon days when crowds flock to the banks of the Ganges.

PAGINE PRECEDENTI: Varanasi. Il momento piÚ propizio per bagnarsi nel Gange è durante i giorni di luna piena, quando folle di pellegrini accorrono sulle rive del fiume sacro.

Children at Varanasi.

Bambini di Varanasi.


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Allahabad, Kumbha Mela 2001.


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Sadhus with their bodies smeared with sacred ash (bhasma).

Sadhu con il corpo coperto di cenere sacra (bhasma).

Allahabad, Kumbha Mela 2001.



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Varanasi, or Benares as the English called it, or Kashi (resplendent with divine light) is the capital of Hindu faith. It is as important to Hindus as Mecca is to Moslems. It is considered one of the oldest cities in the world. The Buddha came here in 500 b.C. and at Sarnath, 12 kilometres from Varanasi, he preached his first sermon.

Varanasi, o Benares per gli Inglesi, o Kashi (risplendente di luce divina) è la capitale spirituale dell’India. Per gli Indù la città è importante quanto la Mecca per i Mussulmani. Varanasi è una delle città più antiche del mondo. Il Budda vi giunse nel 500 a.C. ed è qui, a Sarnath, a soli 12 chilometri da Varanasi, che egli predicò per la prima volta.

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LEFT: Varanasi.

A SINISTRA: Varanasi. RIGHT: Drying clothes at Allahabad. The Sadhus on the left treasure the water of the sacred river.

A DESTRA: Dopo il bagno ad Allahabad. I Sadhu a sinistra fanno tesoro dell’acqua del fiume sacro.

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Allahabad, Kumbha Mela 2001.


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A group of pilgrims along the ghats of Varanasi.

Pellegrini in barca lungo i ghat di Varanasi.


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Allahabad, Kumbha Mela 2001.


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Allahabad, Kumbha Mela 2001.


Bathing at one of the ghats at Varanasi. The ghats, the stone embankments leading to the Ganges, were built over the centuries to protect the shores of the river. Many of them were constructed by the Mahrattas (a Hindu dynasty opposed to the Mughals) in the eighteenth century.

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Folla di fedeli su uno dei ghat di Varanasi. I ghat, scalinate di pietra che scendono al livello del Gange, furono costruiti nel corso dei secoli per proteggere le rive del fiume sacro. La maggior parte dei 76 ghat ancora esistenti sono opera dei Mahratta, una famosa dinastia Ind첫 opposta al dominio dei Moghul (sec.XVIII).

Bathing in the cold waters of the Ganges at Varanasi.

Bagno mattutino nelle acque fredde del Gange a Varanasi.


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Ghats of Varanasi.

Ghat a Varanasi.


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Nights are cold and foggy on the ghats of Varanasi where pilgrims wait to bathe at dawn, the most auspicious time of the day.

Le notti sono fredde e nebbiose sui ghat di Varanasi dove i pellegrini attendono l’alba per immergersi nel Gange.



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Manikarnika ghat, the cremation ghat of Varanasi. Being cremated and having one’s ashes scattered in the Ganges for the Hindu means the release from the painful cycle of continuous reincarnation and the achievement of ‘moksha’ or enlightment, the eternal unity with Brahma.

Manikarnika ghat, il ghat delle cremazioni a Varanasi. Per l’Indù essere cremato e avere le proprie ceneri disperse nel Gange significa liberarsi dal sofferto ciclo di molteplici reincarnazioni e raggiungere lo stato di ‘moksha’ o illuminazione, l’unione eterna con Brahma.

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The house next to the Manikarnika ghat at Varanasi.

La casa accanto al Manikarnika ghat a Varanasi.


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Flowers, ritual ‘puja’ offers, floating on the Ganges together with other inhabitants of the river.

Fiori, offerta rituale sulle acque del Gange insieme ad altri abituali frequentatori del fiume sacro.

“ Whatever man gives me in true devotion: Fruit or water, a leaf, a flower, I will accept it. That gift is love, his heart’s dedication”. “Qualsiasi cosa l’uomo mi dia con cuore sincero: Frutta o acqua , una foglia , un fiore, lo accetterò. Quel dono è amore, è lo slancio del suo cuore”. Bhagavad Gita


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Sunset on the Ganges at Varanasi.

Tramonto sul Gange a Varanasi.


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A J A S T H A N

T HE L AND OF K INGS L A T ERRA DEI R E


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Jaisalmer. The King and the Queen of the Desert Festival.

Jaisalmer. Il Re e la Regina del Festival del Deserto.


Jaisalmer. The Mona Lisa of the Desert Festival.

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Jaisalmer. La Monna Lisa del Festival del Deserto.

Jaisalmer. Bara Bagh cenotaphs where the maharajas were cremated and buried.

Jaisalmer. Le tombe di Bara Bagh dove i maharaja venivano cremati e sepolti.


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Jaisalmer. Fashion show at the Desert Festival.

Jaisalmer. Sfilata di moda al Festival del Deserto.


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Women wearing heavy jewellery at the Desert Festival in Jaisalmer. Ivory and bone bracelets covering the arms indicate newly married women. The red spot on the forehead, called ‘tika’, is a mark of beauty and elegance. It is believed that the ‘tika’ was originally a drop of a sacrificed animal’s blood placed on the forehead of a God’s image as a sign of devotion.

Le donne indossano ricchi gioielli durante il Festival del Deserto di Jaisalmer. I braccialetti d’osso e d’avorio adornano le braccia delle donne appena sposate. Il segno rosso sulla fronte, chiamato ‘tika’, è indice di bellezza ed eleganza. Originariamente il ‘tika’ era una goccia di sangue di un animale sacrificato impressa sulla fronte di statue sacre come segno di devozione e rispetto.


The swastika is an ancient Aryan symbol. The word in sanskrit means happiness and health.

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La svastica è un antico simbolo Ariano. La parola in sanscrito significa felicità e salute.

Young girls of Jaisalmer.

Giovani donne di Jaisalmer.

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Little princes at the Jaisalmer Festival.

Piccoli principi al Festival di Jaisalmer.


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Rajasthan, known in former times as Rajiputana, is ‘the Land of Kings’. In fact ‘raja’ in sanskrit means ‘king’ but also signifies: “he whose duty is to serve”. The Rajiputs, considered to be the sons of kings are the descendants of thirty-six royal races dating back two thousand years. These brave warriors are famous for their pride and courage in battle.

The flag of the Maharaja of Jaisalmer (the city in the background).

La bandiera del Maharaja di Jaisalmer (la città sullo sfondo).

Rajasthan, l’antica Rajiputana, è ‘il Paese dei Re’. Infatti, in sanscrito ‘raja’ significa ‘re’ ma indica anche “colui il cui dovere è servire”. I Rajiput sono considerati figli di re e discendenti delle trentasei stirpi reali che risalgono a duemila anni fa. Questi valorosi guerrieri si distinguono per il loro orgoglio e coraggio in battaglia.

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83 BELOW: Hand prints of fifteen proud women who committed ‘sati’, an act of self-immolation on a funeral pyre performed by the wives of Rajasthani warriors (rajiputs) who died on the battlefield. The word ‘sati’ derives from the name of a goddess who killed herself to defend the honour of her husband Rudra Shiva. The hand prints can be seen on the wall of the Iron Gate at Mehrangarh Fort, Jodhpur.

IN BASSO: Impronte delle mani di quindici donne Rajasthane che, commettendo ‘sati’, si immolarono gettandosi sulla pira funeraria dei mariti (rajiput) morti eroicamente in battaglia. La parola ‘sati’ è il nome di una dea sacrificatasi per difendere l’onore del proprio marito Rudra Shiva. Le impronte si trovano sul muro dell’ Iron Gate del Forte di Mehrangarh di Jodhpur.

The members of the Border Security Force are excellent camel riders. They patrol the Indian borders with Pakistan along the Thar Desert.

I membri del Border Security Force sono esperti cammellieri. Pattugliano le frontiere indiane con il Pakistan lungo il Deserto del Thar.


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Jaisalmer. Camel Border Security Force.

Jaisalmer. Polizia cammellata di frontiera.


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Turbans, beards and mustaches at the Jaisalmer Festival. SEE ALSO FOLLOWING PAGES

Turbanti, barbe e baffi al Festival di Jaisalmer. VEDI ANCHE PAGINE SEGUENTI


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The dress of the Rajiput is influenced by the military past of these brave warriors. In battle, the heavy turbans named ‘pugris’ protected them from the swords of the enemy.

L’abbigliamento del Rajiput ha origine nella tradizione militare di questi coraggiosi guerrieri. I pesanti turbanti di stoffa chiamati ‘pugris’ erano una protezione nelle battaglie all’arma bianca.


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Before the race. Camels in Jaisalmer.

Prima della corsa. Cammelli a Jaisalmer.

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Haveli of Jaisalmer. The haveli are the elegant eighteenth and nineteenth century palaces of wealthy Hindu traders. Some of them are still inhabited by the descendants of the original owners. Those shown here are two windows of the Patwon ki haveli, situated in a narrow street outside the walls of Jaisalmer. Haveli is a word of Persian origin and it means an enclosed space surrounding an open court.

Haveli di Jaisalmer. Gli haveli sono i meravigliosi palazzi del secolo XVIII e XIX costruiti da ricchi commercianti IndÚ. Alcuni di essi sono ancora abitati dagli eredi dei proprietari originari. Queste due finestre si aprono sulla facciata del Patwon ki haveli, situato in una angusta strada fuori le mura di Jaisalmer. Haveli è una parola di origine persiana che indica una costruzione, talvolta alta anche cinque piani, intorno ad un cortile aperto.


The Patwon ki haveli is the largest and most elaborate of Jaisalmer havelis. Its construction began in 1805 and it took fifty years to complete. Gunnan Chand Patwa, a trader who owned shops from Afghanistan to China, built it for his five sons. On the right, a window of the Patwon ki haveli.

Il più grande ed elaborato haveli di Jaisalmer è il Patwon. La costruzione fu iniziata nel 1805 e durò cinquanta anni. Gunnan Chand Patwa, un mercante i cui commerci si estendevano dall’Afghanistan alla Cina, lo costruì per i suoi cinque figli. A destra, il dettaglio di una finestra del Patwon ki haveli.

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Street scenes, Jaisalmer.

Nelle strade di Jaisalmer.

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Walls of Jaisalmer. ABOVE: Ganesha, god of wisdom and prosperity, son of Shiva and Parvati.

Muri di Jaisalmer. SOPRA: Ganesha, il dio della saggezza e della prosperitĂ , figlio di Shiva e Parvati.


Jaisalmer, in the background, seen from the cenotaphs of Bara Bagh.

Jaisalmer, sullo sfondo, vista dai cenotaffi di Bara Bagh.

Jaisalmer. Puppet salesman.

Jaisalmer. Venditore di marionette.

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LEFT: The interior of a Jain Temple inside the walls of Jaisalmer. Jainism is an ascetic religion founded by Vardhamana Mahavira, a contemporary of Buddha. Jains believe in ‘ahimsa’, a doctrine teaching that all living beings have a soul and that, therefore, their existence must be respected at all costs.

A SINISTRA: L’interno di un tempio Jaino dentro le mura di Jaisalmer. Il Jainismo è una religione ascetica fondata da Vardhamana Mahavira contemporaneo di Budda. I Jaini credono nell’ ‘ahimsa’ una dottrina che insegna che tutto ciò che è stato creato ha un’anima e che, quindi, la vita va rispettata ad ogni costo.

RIGHT: Jodhpur. Façade of the Maharaja’s palace inside the Mehrangarh Fort. Rudyard Kipling described the Fort as a creation of “angels, fairies and giants”. The walls of this immense and invulnerable fortification have a six-mile circumference.

A DESTRA: Jodhpur. Facciata del palazzo del Maharaja all’interno del Forte di Mehrangarh descritto da Rudyard Kipling come una creazione di “angeli, fate e giganti”. Le mura di questa immensa ed invulnerabile fortificazione si estendono per una circonferenza di dieci chilometri.


Inside the citadel of Fort Mehrangarh, Jodhpur.

Nella cittadella del Forte di Mehrangarh, Jodhpur.

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Young musicians and a girl dancer (right) in the citadel of Fort Mehrangarh. In the background, the blue houses of Jodhpur. Originally the blue colour identified the houses of Brahmins (the higher cast). Today Jodhpur is often referred to as the ‘Blue City’. SEE FOLLOWING PAGES

Giovani musicisti e ballerina (a destra) nella cittadella del Forte di Mehrangarh. Sullo sfondo le case blu di Jodhpur. Originariamente il colore blu indicava le case dei Bramini (la casta più alta). Oggi Jodhpur è conosciuta come la ‘Città Blu’. VEDI PAGINE SEGUENTI



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The turban is an essential part of the traditional costume of Rajasthani men. Its style, colour and volume (up to ten meters of cloth) indicate caste, place of origin and social status.

Il turbante è parte essenziale del costume tradizionale degli uomini Rajasthani. Stile, forma, colore e volume (fino a dieci metri di stoffa) indicano casta, origini e stato sociale di colui che lo indossa.


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The Desert. Houses of Khuri, a desert village twenty-five miles Southwest of Jaisalmer.

Il Deserto. Case di Khuri, un villaggio nel deserto a quaranta chilometri da Jaisalmer.


Building houses in the Rajasthani desert close to the border with Pakistan. A mixture of sand and cow and camel dung is used to keep the houses cool in the summer and warm in the winter.

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Case in costruzione nel deserto del Rajasthan non lontano dal confine con il Pakistan. Un impasto di sabbia e sterco di vacca e cammello viene usato per tenere le case fresche d’estate e calde d’inverno.

Children of desert villages, Rajasthan.

Bambini di villaggi del deserto nel Rajasthan.


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Living in the desert around Jaisalmer.

Donne nel deserto nei dintorni di Jaisalmer.


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Camel safaris are popular around Jaisalmer. This is Dhalia, a friendly camel, in the village of Khuri.

Il “Camel Safari” è uno sport popolare nel deserto nei dintorni di Jaisalmer. Questa è Dhalia, un simpatico cammello, nel villaggio di Khuri.


RIGHT: The Sadhu of Jagdish Temple at Udaipur.

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A DESTRA: Sadhu del Jagdish Temple ad Udaipur.

Barbers and clients in the Old Market of Jodhpur.

Barbieri e clienti nel vecchio mercato di Jodhpur.


Sadhus on the shore of the Lake and, the one on the right, lying in a street of the holy town of Pushkar. The Pushkar Lake is the most sacred in India and its powers of purification for the pilgrims bathing there are second only to the Ganges.

Sadhu sulle rive del lago, e quello a destra, in una strada di Pushkar. Il lago di Pushkar è considerato il più sacro dell’India ed i suoi poteri purificatori per coloro che vi si bagnano sono secondi solo a quelli del Gange.


On the way to a children’s wedding ceremony between Jodhpur and Jaisalmer. The bride, with a yellow veil on her head and held by her mother, is seen in the photo on the left. The bridegroom, with the red turban and decorations, is seen in the photo below. Marriages between children are forbidden in India but continue to be arranged by families in the countryside.

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Matrimonio tra bambini in una località tra Jodhpur e Jaisalmer. La promessa sposa, con un velo giallo sulla testa e con a fianco la madre, è la bambina che appare nella foto a sinistra. Il promesso sposo, con il turbante rosso e decorazioni, è il bambino della foto in basso. I matrimoni tra bambini in India sono vietati ma continuano ad essere organizzati nelle campagne.

A leper on a street corner in Rajasthan. In India leprosy has not yet been completely defeated.

Una lebbrosa all’angolo di una strada in Rajasthan. In India la lebbra non è stata ancora completamente debellata.

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Market scenes, Sardar Bazar, Clock Tower Square in Jodhpur.

Scene al mercato, Sardar Bazar, Clock Tower Square a Jodhpur.


“The Great God is One and the learned call Him by different names”. “Il vero Dio è Uno e i saggi Lo chiamano con nomi diversi”. Upanishad (8oo-4oo b.C.)

The full moon of November at Pushkar. An important Camel and Cattle Fair takes place in Pushkar during the full moon of November. Two hundred thousand traders and fifty thousand animals arrive in Pushkar during the ten days of the fair.

Luna piena di Novembre a Pushkar. Un’importante fiera di cammelli si svolge a Pushkar durante la luna piena di Novembre. Duecentomila commercianti e cinquantamila animali arrivano a Pushkar durante i dieci giorni della fiera.


AGRA

AND

KHAJURAHO

W ONDERS OF M ARBLE AND SANDSTONE MASTERPIECES M ERAVIGLIE DI M ARMO E C APOLAVORI DI P IETRA


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A GRA

Agra. The Taj Mahal seen from the Red Fort.

Agra. Il Taj Mahal visto dal Red Fort.


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LEFT: The Taj Mahal reflected in the Yamuna river. During the winter the river is almost dry but it swells up during the monsoon.

A SINISTRA: Il Taj Mahal riflesso nel fiume Yamuna. Durante l’inverno il fiume è quasi asciutto ma il livello dell’acqua cresce durante il monsone.

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View from the Agra Fort. In the background the Taj Mahal.The construction of the Agra Fort began in 1566 under the great mughal emperor Akbar. Originally conceived as a military installation, the Fort became the emperors’ residence under emperor Shah Jahan, the builder of the Taj Mahal.

Dettaglio del Forte di Agra. Sullo sfondo il Taj Mahal. La costruzione del Forte di Agra fu iniziata dal grande imperatore moghul Akbar nel 1566. Concepito come una istallazione militare, sotto Shah Jahan, il costruttore del Taj Mahal, il Forte divenne residenza degli imperatori moghul.


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Indian tourists visiting the Taj Mahal. The white marble of the monument comes from Rajasthan and changes colour depending on the hour of the day.

Gruppi di turisti indiani in visita al Taj Mahal. Il marmo bianco del monumento proviene dal Rajasthan e cambia colore secondo le ore del giorno.


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LEFT: The Taj Mahal seen from a window in the Agra Fort.

A SINISTRA: Il Taj Mahal visto da una finestra del Forte di Agra.

RIGHT: The first Taj Mahal kite festival on the banks of the Yamuna river. January 2001.

A DESTRA: Il primo festival degli aquiloni organizzato sulla riva del fiume Yamuna. Gennaio 2001.


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The Taj Mahal is the most famous monument in the world dedicated to love and sorrow. It was built by the mughal emperor Shah Jahan in memory of his beloved wife Mumtaz who died in 1631 while giving birth to her fourteenth child. It took twenty-one years to build and Shah Jahan employed a number of architects from France, Italy (Veronio da Venezia), Turkey and Iran, 20.000 workers and 1.000 elephants. Deposed by his son, the violent Aurangzeb, Shah Jahan died as a prisoner in the Agra Fort and from his window (see page 142) he could see the Taj Mahal across the river. Shah Jahan and Mumtaz are buried in a vault under the mausoleum.

Il Taj Mahal è il più famoso monumento al mondo dedicato all’amore e al dolore. Fu costruito dall’imperatore moghul in memoria della sua amata consorte Mumtaz la quale morì nel 1631 dando alla luce il suo quattordicesimo figlio. Furono necessari ventuno anni per costruirlo e Shah Jahan si servì di architetti famosi provenienti dalla Francia, dall’Italia (Veronio da Venezia), dalla Turchia e dall’Iran, oltre a 20.000 artigiani e più di 1.000 elefanti. Deposto da suo figlio, il feroce Aurangzeb, Shah Jahan morì prigioniero nel Forte di Agra da dove (vedi pagina 142) poteva osservare il Taj Mahal al di là del fiume. Shah Jahan e Mumtaz sono sepolti in una cripta sotto al mausoleo.


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Mother and son flying from a roof of the Agra Fort. Detail of Akbar’s mausoleum, four kilometres North of Agra.

Dettaglio del mausoleo di Akbar, quattro chilometri a Nord di Agra.

Volando da un tetto all’altro nel Forte di Agra.


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RIGHT: The tomb of Mirza Beg, a noble Persian diplomat whose niece Mumtaz Mahal married Shah Jahan. The mughal emperor built the Taj Mahal in her memory. The building is interesting because it is the first example of ‘pietra dura’ inlay work imported from Persia. Its architectural lines announce those of the Taj.

A DESTRA: La tomba di Mirza Beg, un nobile persiano la cui nipote Mumtaz Mahal sposò Shah Jahan che le dedicò il Taj Mahal. La costruzione è interessante perché è il primo esempio dell’arte dell’intarsio chiamata ‘pietra dura’ importata dalla Persia. Questo concetto architettonico preannuncia quello del Taj Mahal.


‘Pietra dura’ inlay work adorns the monuments of Agra.

Gli intarsi in ‘pietra dura’ adornano i monumenti di Agra.

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LEFT: Door of the mosque built on the Western side of the Taj Mahal.

A SINISTRA: La porta della moschea sul lato occidentale del Taj Mahal.

RIGHT: A gate of Akbar ‘s mausoleum.

A DESTRA: Una porta del mausoleo di Akbar.

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K HAJURAHO

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The Temple of Vishvanath, one of the famous temples of Khajuraho, a rural village between Agra and Varanasi. The temples were built around the year one thousand by the Chandellas, a powerful dynasty of Rajiput rulers. Most of the sculptures have erotic themes masterly executed: great works of art celebrating female beauty and sensuality. There are three groups of temples: on the West, East and South side of Khajuraho. SEE FOLLOWING PAGES

Il Tempio di Vishvanath, uno dei più famosi monumenti di Khajuraho, un villaggio nella campagna tra Agra e Varanasi. I templi furono costruiti intorno all’anno Mille dai Chandella, una potente dinastia di condottieri Rajiput. La maggior parte delle sculture hanno temi erotici eseguiti con grande maestria: opere d’arte che esaltano la bellezza e la sensualità femminile. I templi sono divisi in tre gruppi: a Ovest, a Est e a Sud di Khajuraho. VEDI PAGINE SEGUENTI Agra. The minarets of Mirza Beg’s tomb.

Agra. I minareti della tomba di Mirza Beg.


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Khajuraho. Temples in the countryside of Madhya Pradesh. Originally there were eighty-five temples in and around Khajuraho. Today only twenty-two remain. In 1819 a British military mission catalogued the temples as ‘ruins’. Only in 1838 a British officer, Captain T.S.Burt, ’rediscovered’ these world masterpieces.

Khajuraho. Templi nelle campagne del Madhya Pradesh. Originariamente a Khajuraho esistevano ottantacinque templi di cui oggi ne rimangono soltanto ventidue. Nel 1819 una missione militare britannica catalogò i templi come ‘rovine’. Soltanto qualche anno dopo nel 1838 il Capitano T.S.Burt dell’esercito inglese riscoprì i meravigliosi templi che oggi sono considerati patrimonio dell’umanità.


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The Vishvanath temple in the Western group. This temple is dedicated to Shiva.

Il tempio di Vishvanath nel gruppo occidentale. Il tempio è dedicato a Shiva.


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Detail of a Jain temple in the Eastern group.

Dettaglio di tempio Jaino nel gruppo orientale.


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A high relief of Lord Shiva and his wife Parvati on a temple at Khajuraho.

Shiva e Parvati in un alto rilievo di un tempio a Khajuraho.


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Khajuraho. High relief on the Vishvanath Temple. Figures of gods and warriors are portrayed together with lovely ‘apsaras’, the celestial nymphs, in a joyous embrace representing the close contact between humans and divinity.

Khajuraho. Alto rilievi del tempio di Vishvanath. Dei e guerrieri sono rappresentati insieme a figure di ‘apsara’, ninfe celestiali, in un amplesso gioioso che esalta lo stretto rapporto tra uomo e divinità.


“There is only one religion , the religion of love. There is only one language, that of the heart. There is only one cast, the cast of humanity”. “Esiste solo una religione, quella dell’amore. Esiste solo una lingua , quella del cuore. Esiste solo una casta , la casta dell’umanità”.

Sai Baba

Ganesha, god of wisdom and prosperity, son of Shiva and Parvati. His vehicle is a rat.

Ganesha, dio della saggezza e della prosperità, figlio di Shiva e Parvati. Il suo veicolo è un ratto.


F ROM N ORTH TO S OUTH : H UES OF E VERYDAY L IFE D AL N ORD AL S UD : COLORI DI VITA QUOTIDIANA


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BELOW: A representation of Narasimha, the lion-man, the fourth ‘avatar’ (incarnation) of Vishnu.

SOTTO: Una rappresentazione di Narasimha, l’uomo-leone, il quarto ‘avatara’ (incarnazione) di Vishnu.

RIGHT: Krishna’s apotheosis at Vrindavan, a village North of Agra, centre of Krishna’s cult.

A DESTRA: L’apoteosi di Krishna a Vrindavan, un villaggio a Nord di Agra, centro del culto di Krishna.


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Seen in the streets of Calcutta.

Visti nelle strade di Calcutta.


The tailor shop.

Il negozio del sarto.

On the doorstep of a village abode.

Sulla soglia di una casa del villaggio.

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Village scene, Madhya Pradesh.

La strada del villaggio, Madhya Pradesh.


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The water well. Madhya Pradesh.

Il pozzo. Villaggio nel Madhya Pradesh.


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ABOVE: Sleeping in the traffic of Calcutta.

SOPRA: Sonni tranquilli nel traffico di Calcutta.

RIGHT: Calcutta: the cardboard mattress.

A DESTRA: Calcutta: il letto di cartone.


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Street scenes, Calcutta.

Per le strade di Calcutta.


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T HE S OUTH

Kerala: the backwaters. The state of Kerala, which means the land of ‘kera’ (coconut), is one of the greenest and most prosperous of India.The backwaters, a network of canals still used as thoroughfares, connect villages and towns.

Kerala: backwaters (acque interne). Lo stato del Kerala, il cui nome significa terra del ‘kera’ (noce di cocco), è uno dei più verdi e più ricchi dell’India. La complessa rete di canali e lagune è ancora usata per trasportare uomini e cose.


Kerala: backwaters.

Goa. A small church under coconut trees.

Goa. Chiesetta tra le palme da cocco.


Maharashtra girl on the beach of Goa.

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Giovane donna Maharashtra sulla spiaggia di Goa.

Goa: children on the beach.

Goa: bambini sulla spiaggia.


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Cochin: Kerala Kathakali Center. Kathakali is a combination of two Malayam words ‘katha’ which means story and ‘kali’ which means play. It is a story acted out and contains mime, drama, music, acting and dance.The stories are mainly taken from Hindu mythology. An actor requires a minimum of two hours to ‘make-up’ for his performance.

Cochin: Kerala Kathakali Center. Kathakali è la combinazione di due parole della lingua Malayam (parlata in Kerala): ‘katha’ che significa storia e ‘kali’ che significa rappresentazione. Lo spettacolo comprende pantomima, musica e danza. Le storie sono tratte dalla mitologia Indù. Sono necessarie almeno due ore di trucco per preparare un personaggio del Kathakali.

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The “chinese” fishing nets at Fort Cochin.

Reti da pesca “cinesi” a Fort Cochin.

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Sunset at Bangaram, the jewel of the Lakshadweep Islands.

Tramonto a Bangaram, la perla delle Isole Laccadive.


TAMIL N ADU

Kapaleeswarar Temple, Chennai (Madras).The Temple, dedicated to Shiva, is a masterpiece of Dravidian architecture. Its ‘gopuram’ (the tower dominating the entrance gate) is thirty-seven meters high and is covered with colourful reliefs of mythological figures.The Temple was built by the Vijayanaga kings in the sixteenth century.

Il tempio Kapaleeswarar, a Chennai (Madras). Il tempio dedicato a Shiva è un capolavoro di architettura Dravidica. Il suo ‘gopuram’ (la torre che domina il cancello d’ingresso) è alto trentasette metri ed è ricoperto da altorilievi colorati rappresentanti personaggi della mitologia. Il tempio fu costruito dai re Vijayanaga nel sedicesimo secolo.

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Stone sculptures inside the courtyard of the Kapaleeswarar Temple. ON THE LEFT: God Ganesha.

Sculture in pietra all’interno del tempio Kapaleeswarar. A SINISTRA: il Dio Ganesha.

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Republic Day in Chennai (Madras). The anniversary is celebrated on January 26th.

Giorno della Repubblica a Chennai (Madras). L’anniversario è celebrato il 26 Gennaio.


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Pondicherry: Students under a statue of the Mahatma Gandhi.

Pondicherry: Studenti sotto la statua di Mahatma Gandhi.

FAR RIGHT: Salt mine on the road to Chidambaram.

PAGINA A DESTRA: Saline sulla strada verso Chidambaram.



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Life in the inner courtyards of Kanchipuram temples, Tamil Nadu. Kanchipuram, one of the seven sacred cities of Hinduism, is the only place where both Shiva and Vishnu are worshipped in the same temples.The temples are masterpieces of Dravidian architecture. SEE ALSO PREVIOUS AND FOLLOWING PAGES

Scene di vita quotidiana nei cortili interni dei templi di Kanchipuram, Tamil Nadu, una delle sette città sante dell’Induismo e l’unica dove Shiva e Vishnu sono venerati nello stesso tempio. I templi sono capolavori di architettura dravidica. VEDI ANCHE PAGINE PRECEDENTI E SEGUENTI


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Shrimp nets in a salt water lake near Kovalam, Tamil Nadu.

Reti da pesca nel lago salato vicino a Kovalam nel Tamil Nadu.


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Market life in the South.

Vita di mercato nel Sud.


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The beach of Kovalam, next to Mount Carmel Mission, Tamil Nadu.

La spiaggia di Kovalam, a fianco della Mount Carmel Mission, Tamil Nadu.


The beach of Kovalam, Tamil Nadu.

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La spiaggia di Kovalam, Tamil Nadu.

These fishing boats are made of simple logs bound together with coconut rope which is untied at night to dry the timber.

Queste barche da pesca sono costruite con tronchi legati da corde di cocco che vengono sciolte di notte per asciugare il legno.



Mount Carmel Mission in the village of Kovalam, Tamil Nadu. Two thousand two hundred boys and girls, between the age of six and sixteen - Hindus, Moslems and Catholics - study at the Mission. The church in the background was built in 1808.

Mount Carmel Mission, nel villaggio di Kovalam, Tamil Nadu. Duemiladuecento ragazzi e ragazze, tra i sei e i sedici anni - IndÚ, Mussulmani e Cattolici - studiano presso la Missione. La chiesetta sullo sfondo è stata costruita nel 1808.

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“ We have to learn yet that all religions under whatever name they may be called, either Hindu, Buddhist, Moslem, Hebrew or Christian , have the same God, and he who derides any one of these derides his own God”.

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“Dobbiamo imparare che tutte le religioni , comunque si chiamino, sia Induismo, Buddismo, Islamismo, Giudaismo o Cristianesimo, hanno lo stesso Dio, e chiunque derida una qualsiasi di queste deride il suo proprio Dio”. Swami Vivekananda

Christmas. Midnight Mass at Mount Carmel Mission, Kovalam, Tamil Nadu.

Natale. La Messa di mezzanotte, Mount Carmel Mission, Kovalam, Tamil Nadu.

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“A nation’s culture resides in the hearts and in the soul of its people”. “La cultura di una nazione risiede nel cuore e nell’anima della sua gente”. Mahatma Gandhi


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