ww.almcalabria.org 1,50 € Copia Omaggio P e r i o d i c o n o n v i o l e n t o d i S t o r i a , A r t e , C u l t u r a e P o l i t i c a l a i c a l i b e r a l e c a l a b r e s e - G e n n a i o - D i c e m b r e . 2 0 0 9 - A N N O I I I - n ° Unico
All’interno
IL FOLK COME SCIENZA: “Credere in ciò che fù significa credere in ciò che si è” Luigi Bruzzano, Giuseppe Pitrè e Giuseppe Cocchiara: nasce l’Etnografia
“Sotto la strana e diversa veste della fiaba si troverà adombrata la storia e la religione dei popoli e delle nazioni”
Brigantaggio Politico e Politici Briganti di Giuseppe Candido e Filippo Curtosi >> PG 6
MEDICINA POPOLARE
di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido a n a s c i t a d e l l’e tn o l o g i a c ome scienza , la critica d e g l i i l l um i n i s t i s u l l’idea d i sup erstiz ione, il m a l i n c o n i c o tr a s p o r t o p e r l a natura prim itiva , la p o esia de g l i um il i e d in g enere la pro b lematic a d e l l e tr a d i z i o n i p o p o l a r i l a r g a m ent e i nt e s e è i n s i e m e l a scienza e la c oscienza del l’an ima co l lettiva . Una sor ta d i enciclop e d ia p iena d i amore p er il do cum e n t o c u l t ur a l e e f i l o l o g i c o questo rappresenta , se c ondo no i, “La Ca l a b r i a”, Rivista di L etteratura Pop o lare” d iretta da L u i g i B r u z z a n o , un o d e i m a g g iori demopsicolog i italiani d e l l’O t t o c e n t o e s t a m p a t a a
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Nella maggior parte dei casi di stalking, la vittima è di sesso femminile ed esiste una relazione pregressa tra vittima e molestatore
LO STALKING ED IL CYBERSTALKING
L’Aglio
di Filippo Iacopo Pignatari
Mo n t e l e o n e d i Ca l a b r i a ( o g g i V ib o Va lentia) da l 1888 a l 1902. La rivista del prof. Bruzzano
Estratto da
Chiarire subito che il comporta mento dello stalker non è gradito con una comunicazione di Antonino G. E. Vecchio
LA CALABRIA
>> PG 3
Rivista di Letteratura Popolare, Anno VI n°12 (15 Agosto 1894) a cura di Giuseppe Candido >> PG 6
PERCORSI MINORI
DELLA STORIA Per una sociologia del brigantaggio
c o ntr i b u i s c e a c r e a r e l’o d i e rn o concetto di folklore che, per usare le parole di Antonio Gramsci, presuppone che non veng a stu d i ato c om e “e l em ento p ittoresc o” ma in veste d i “una concezione del mondo e della vita , imp l icita in g rande m isura , d i d e t erm i nati s tr ati (d e t erm i nati nel temp o e nel lo sp a z io) d e l l a s o c i e t à , i n c o n tr a p p o s i z i o n e ( a n c h’e s s a p e r l o p i ù imp l icita , me c can ica , o g g ettiva) con le concezioni del mondo ufficia l i (o, nel senso p iù larg o, delle parti colte della società storicamente determ inate) che si sono successe nello sviluppo storic o”. >> PG 2
Dai professionisti ai docenti dell’antimafia
ma la ‘ndrangheta non cade a pezzi di Giuseppe Candido >> PG 4
Delle origini calabre Studi storici intorno agli Osci di Giovan Battista Marzano L’esame delle monete osche e greche attesterebbe che, nel V secolo a. C., mentre in Grecia l’Arte era rozza, in Italia e in Sicilia era assai progredita.
A confermarlo, a suo dire, ci sarebbero anche i vasi detti etruschi perché rinvenuti in Toscana di Giovanna Canigiula ull’Avvenire vibonese del 1886 un compare curioso articolo a firma di Marzano, autore di un noto Dizionario etimologico calabrese, dal titolo Delle origini calabre ossia Studi storici intorno agli Osci. Marzano si interroga sui
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primi abitanti della terra di Calabria, così chiamata nella seconda metà del VII secolo dagli imperatori bizantini che, spogliati da Romualdo, duca di Benevento, della Messapia e della Iapigia, l’attuale terra d’Otranto, mal soffrendo nella loro vanità, diedero il nome della perduta regione
al Bruzio. Nell’affrontare la questione, sulla base anche delle conoscenze del tempo, egli allarga la prospettiva al dell’Italia popolamento antica e, fra le varie formulazioni, ne accoglie due come punto di partenza : tutti gli scrittori sono d’accordo sul fatto che i vari popoli che giunsero nella
penisola, Germani, Indiani, Lidii, Egizi, vi trovarono popolazioni indigene ; ai tempi delle grandi immigrazioni, un secolo prima della g uerra di Troia, i popoli italici possedevano una civiltà avanzata mentre la Grecia era ancora barbara e rozza. >> PG 5
Il progetto per Non Mollare
Una collana di studi di alto livello scientifico che attingono all'ordine culturale del nostro territorio calabrese
di Francesco Santopolo >> PG 7
STRENNA Rccolta di Proverbi
Estratti da “La Calabria” Antologia della Rivista di Letteratura Popolare diretta da Luigi Bruzzano
associazione di volontariato culturale “Non Mollare” intende promuovere il recupero delle tradizioni popolari e della cultura calabrese attraverso azioni formative, informative ed editoriali anche multimediali, volte ad ampliare la conoscenza e la diffusione delle ricchezze della nostra regione in Calabria, in Italia e nel Mondo. Avremmo intenzione di pubblicare una collana di studi di alto livello scientifico che attingono all'ordine culturale del nostro territorio calabrese, con l'intento di proporre al pubblico le zone meno esplorate del patrimonio culturale calabrese e, allo stesso tempo, di affrontare argomenti di vasta portata anche su aspetti inediti della storia non
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solo locale. Rivolgendoci ai migranti e, nello specifico, al migrante calabrese, in realtà il progetto culturale prevede il recupero e la valorizzazione editoriale delle tradizioni popolari calabresi e non calabresi, dei migranti di oggi e di ieri, come strumento in grado di promuovere l'integrazione delle identità culturali di un popolo e quindi di tutti i popoli. Nello specifico il progetto di “Integrazione delle diversità col recupero della cultura e delle tradizioni popolari calabresi” prevede studi, ricerche, pubblicazioni anche multimediali e/o web supportate, l'organizzazione di convegni, seminari di studio, manifestazioni volte alla promozione, qualificazione e sviluppo delle seguenti tematiche:
a) Il teatro popolare in Calabria; b) Il brigantaggio nel decennio francese; c) Emigranti ed immigrazione: il caso dei libertari calabresi; d) Un secolo di stampa vibonese: antologia funzionale delle principali testate calabresi dagli inizi dell'ottocento agli inizi del novecento; e) Saggi su medicina popolare, usanze e credenze. Prevediamo la stampa di specifiche pubblicazioni, la loro diffusione anche mediante internet e la prosecuzione della stampa del bollettino dell’associazione “Non Mollare”, Abolire la miseria della Calabria, (con periodicità trimestrale). Pertanto, nel porgere il nostro sincero augurio per un Buon 2010, vi chiediamo di sostenerci. Abbonandovi o versando un piccolo contributo.
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IL FOLK COME SCIENZA: “Credere in ciò che fù significa credere in ciò che si è” Luigi Bruzzano, Giuseppe Pitrè e Giuseppe Cocchiara: nasce l’Etnografia
“Sotto la strana e diversa veste della fiaba si troverà adombrata la storia e la religione dei popoli e delle nazioni” di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido
a n a s c i t a d e l l’e tn o l o g i a c o m e scienza , la critica de g l i il lum inisti su l l’idea d i sup erstiz ione, il ma l inc on ico tra sp or to p er la natura primitiva , la p o esia de g l i um il i e d in g enere la p r o b l e m a t i c a d e l l e tr a d i z i o n i p o p o l a r i larg amente intese è insieme la scienza e la coscienza del l’an ima c ol lettiva . Una sor ta d i enciclop e d ia p iena d i amore p er il do cumento cu ltura le e filo lo g ico questo rappr e s e n t a , s e c o n d o n o i , “ L a Ca l a b r i a”, Rivista d i L etteratura Pop o lare” d iretta da Lu ig i Br uzzano, uno dei ma g g iori demopsico lo g i ita l ian i del l’Otto c ento e stampata a Mo n t e l e o n e d i Ca l a b r i a ( o g g i V i b o Va lentia) da l 1888 a l 1902. La rivista del p r o f . B r u z z a n o c o n tr i b u i s c e a c r e a r e l’o d i e rn o c o n c e t t o d i f o l kl o r e c h e , p e r usare le p arole d i Anton io Gramsci, presuppone che non venga studiato come “elemento p ittoresco” ma in veste d i “una concezione del mondo e della vita, imp l icita in g rande m isura , d i determ inati s tr a t i ( d e t e r m i n a t i n e l t e m p o e n e l l o sp a z io) del la so cietà , in c ontrapp osiz ione (anch’essa p er lo p iù imp l icita , me ccan ica , o g g ettiva) c on le c onc e z ion i del mondo ufficia l i (o, nel senso p iù larg o, del le p ar ti c o lte del la so cietà storicamente determ inate) che si sono suc cesse nel lo s vilupp o storico”. L o storico, che volesse inda g are l’orig ine e lo s vilupp o del fo l klore ita l iano, inda g arlo nel suo a sp etto c oncreto e puro, dovreb b e usare un meto do semp l ice e c onsiderarlo, per usare le parole del mag g iore folclorista del secolo scorso, Giuseppe Co cch iara , “una somma d i esp erienze e d i interpreta z ion i p ersona l i”. Nel suo l ibro “Storia del fo lclore in Europ a”, Co cch iara , d i scuo la del Pitrè, sottol inea che : “se le tr a d i z i o n i p o p o l a r i v a nn o c o n s i d e r a t e come formazioni storiche, il problema fondamenta le che, data la loro natura , esse p ong ono, è un prob lema d i carattere storico. E il compito dello studioso delle tr a d i z i o n i p o p o l a r i è q u e l l o d i v e d e r e come esse si sono formate, p erché si c onser vano, qua l i sono stati e qua l i sono i biso g n i che ne determ inano non so lo la conser va z ione, ma quel la c ontinua e d irei natura le rielab ora z ione, dov ’è il se g reto stesso del la loro esistenza , che è un c ontinuo morire p er un eterno rivivere”. Qu ind i lo stud io etno g rafic o del fo l klore non p er c omp iere eserciz i d i p ara g on i tra varie cu lture e g emon i e sub a lterne c ome d ice Nadel o prop orre l'esa lta z ione acritica del la trad iz ione in se ma , p iuttosto, p er una ne cessità c onoscitiva che ser ve, è ne cessaria , a riappropriarsi del le rad ici del la
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nostra Storia . In una lettera del novembre 1929 R aff aele Petta zzon i, g ià f amoso e d affermato storic o del le rel ig ion i, scrive va una lettera a Giusepp e Co c ch iara che a lu i si rivo l g e va c o n l’a p p e l l a t i v o d i “ I l l u s tr e m a e s tr o” ch ie dendo d i “Parlarg l i c ome un p adre p u ò p a r l a r e a d un f i g l i o …p er r en d erm i de g no d i L ei, del la sua stima e del la sua
Giuseppe Pitré (1841-1916)
fiducia . El la de ve ac qu istare quel la cu lt ur a e q u e l m e t o d o e tn o l o g i c o c h e i n Ita l ia dovreb b e f arsi f atic osamente da sé e che p er lo stud io del fo l klore è essenz ia le. El la ve drà che p er g l i ing lesi il fo l klore è essenz ia lmente etno lo g ia : in Ita l ia il fo l klore è sempre stato a ltra c osa e lo stesso Pitrè non ha rea l izzato c omp letamente il c onc etto mo derno d i fo l klore in questo senso. El la , dunque, sarà m i aug uro, il p ion iere d i un nuovo ind irizzo d i stud i fo l klorici in Ita l ia , l’ind irizzo “antrop o lo g ic o” cio è etno lo g ic o”. Giusepp e Co c ch iara f u a l l ie vo del Pitrè e f u lu i a riord inare, a par tire da l 1935, le c o l le z ion i del muse o e tn o g r a f i c o s i c i l i a n o int e stat o a l l o st u d ioso, isp irandosi sempre a l principio che “cre dere in ciò che f ù sig n ifica cre dere in ciò che si è”. Per Co c ch iara f u fondamenta l e i l c o ntat t o c o n Pe t ta z z o n i c h e g l i c onsig l iò d i re carsi in Ing h ilterra p er un p erfe z ionamento dove, lo stesso, andò a prendere le z ion i da R o b er t Marett, esp onente d i una scuo la antrop o lo g ica so cia le mo lto avanzata e s vilupp ata vista la ne c essità d i ac qu isire c onosc enze d i antrop o log ia appl icata p er la g estione del le c o lon ie. Co c ch iara in un primo momento ha p o ca simpatia p er Petta zzon i e se ne cap isc e la ra g ione. Storic o, letterato non meno che filo lo g o, uomo d i sap ere sterm inato in cu i la quantità non va ma i a detrimento del la qua l ità e del g usto, R aff aele Pette zzon i, rappresenta p er Co c ch iara la ne g a z ione d i tutto ciò che in qua lche mo do si ri f à a l l’ i p o t e s i d e l c o l l e t ti vo . L a ABOLIRE LA MISERIA DELLA CALABRIA sua te ori a su l la f orma z i on e d e l le WWW.ALMCALABRIA.ORG periodico nonviolento di storia, arte, cultura e politica laica liberale calabrese “chansons de g este” che sareb b ero in orig ine leg g ende, ----------------------------------------------------------------------------------- s t a t e Direttore Responsabile: Filippo Curtosi “l e g g e n d e l o c a l i , l e g g e n d e d i Direttore Editoriale: Giuseppe Candido c h i e s a” e s i s a r e b b e r o tr a s m e s s e Vice Direttori: Giovanna Canigiula, Antonino G.E. Vecchio ----------------------------------------------------------------------------------- o r a l m ent e d a i m o na c i a i g i u l l a ri che p erc orre vano i g rand i itinerari Editore: Associazione culturale di volontariato “NON MOLLARE” - Via Ernesto Rossi, 2 - Cessaniti (Vibo Valenza) s a c r i , l e v i e d e i p e l l e g r i n a g g i , Redazione, amministrazione e impaginazione dando c osì vita ad una trad iz ione Via Crotone, 24 – 88050 Cropani (CZ) c o lta e p op o lare insieme, ad una Tel/Fax. 0961 1916348- cell. 347 8253666 c o l lab ora z ione tra strati inferiori e e.mail: almcalabria@gmail.com - internet: www.almcalabria.org Stampa: BRU.MAR - V.le dei Normanni, 23/q - CATANZARO sup eriori del la so cietà , questa sua Tel.0961.728005 - cell. 320.0955809 ------------------------------------------------------------------------------------ t e o r i a è p er f e t ta m ent e a nti t e ti c a Iscrizione Registro Stampa Periodica Tribunale di Catanzaro N°1 del 9 gennaio 2007 a l lo stud ioso sicu lo. Ma da l car te g-----------------------------------------------------------------------------------gio che i due studiosi si scamPeriodico partecipativo: la collaborazione è libera a tutti ed è da b iarono tra il 1928 e d il 1959 si considerarsi totalmente gratuita e volontaria Gli articoli riflettono il pensiero degli autori i quali si assumono la responsabilità di fronte la legge rile va c ome l’a l l ie vo sicil iano c onHanno collaborato a questo numero: s i d e r a s s e un a “g u i d a s p i r i t u a l e ” Giuseppe Candido, Giovanna Canigiula, Filippo Curtosi, Francesco Santopolo, Pe t t a z z o n i . “ D a l l e l e t t e r e , d i c e Antonino G.E. vecchio E l i a n a Ca l a n d r a , d i r e t t o r e d e l Impaginazione e grafica: Giuseppe Candido mu s e o P i tr è , e m e r g o n o d u e p e r Questo numero è stato chiuso il 18 Dicembre 2009 alle ore 11,00 sone d iverse da quel le che appari-
vano in pub b l ic o. Assa i p iù affine e c ong en ia le a l Co c ch iara f u il Pitrè e l’elemento tip ic o d i questa ra ssom ig l ianza e la fiducia c h e e ntr a m b i nutr i va n o n e l l a “na t ur a l e g rande zza e p o eticità del p op o lo”. “Fe de nel p op o lo” è inf atti intito lato il primo d e i c a p i t o l i c h e s o n o d e d i c a ti a l P i tr è nel la “Storia del Fo l klore in Europ a” e nel ter zo sono riferite le se g uenti p aro le dell’il lustre stud ioso sicil iano scritte nel suo “ Stu d i o criti c o su i canti p op o lari s i c i l ian i : La storia del p op o lo si è c onf usa c on quel la dei dom inatori….del la sua storia è vo luta f arsene una c osa stessa c on la storia dei suo i g overn i, senza tenere presente che e g l i ha memorie b en d iverse d i quel le che c osì sp esso g l i si attribu isc ono si da l lato del le sue istituz ion i e si da quel l i de g l i sfor z i prep otenti da lu i durati a soste g no dei suoi diritti. Il tempo di ricercare quel le memorie, d i stud iarle c on p a z ienza , d i fe c ondarle c on amore è venuto anche p er no i. Il filosofo, il le g islatore, lo storic o, che c ercano d i c onosc ere intero questo p op o lo, sentono o g g i ma i il b iso g no d i c onsu ltarlo nei suo i canti, nei suo i proverb i, nel le sue fiab e, non meno che nel le fra si, nei motto, nel le p aro le. Ac canto a l la
Luigi Bruzzano (1838-1902) p aro la sta sempre il suo sig n ificato, d ietro il senso lettera le viene il senso m isto e l’a l le g oric o : sotto la strana e d iversa veste del la fiab a si troverà adombrata la storia e la rel ig ione dei p op o l i e del le na z ion i”. Il P i tr è i l 1 6 o t t o b r e 1 8 8 8 s c r i v e : “ L a Ca labria” d i Lu ig i Br uzzano è utile p er c onosc ere i p op o l i del l’ Ita l ia merid iona le, il bravo e dotto prof. Br uzzano ha f atto op era b u ona , vo g l i a i l c i e l o c h e i su o i sfor z i veng ono c oronati da l buon suc c esso che meritano p erché f anno op era dopp iam e n t e u t i l e a l l a f i l o l o g i a e a l l a e tn o g r a f i a”. L u i g i B r u z z a n o a l l o s t u d i o d e l m o n d o c l a s s i c o tr a s m e s s o d a l s u o c e r o Ferd inando Santacatarina , fine letterato, latin ista d i f ama na z iona le, a g g iung e un nuovo e d umano “ Umanesimo”: lo stud io del la civiltà del p op o lo ca labrese, civiltà che viene da lontano, da l la natura prim itiva , b arb ara e selva g g ia del p op o lo ca labro. I professorin i da caffè, c osì ch iamava il Br uzzano le p ersone d i cu ltura ufficia le, ab b a g l iati da una pseudo cu ltura umani sta , “e b b ero davanti a i l oro o c c h i una splendida visione spieg ando davanti al l o ro s g ua rd o un c a mp o d i l avo ro i n e s p lorato”. Esp loratore audac e e intel l ig ente Br uzzano f u p ion iere ind iscusso del lo stud io del l’etno g rafia . Cre d iamo che, l'aver r i p r o p o s t o un’a m p i a a n t o l o g i a d i t e s t i folklorici pubblicati dalla rivista di L etteratura Pop o lare “La Ca labria” deb b a essere c onsiderato p iuttosto c ome sfor zo c onoscitivo vo lto a l riappropriarsi del la nostra Storia , del la nostra l ing ua . Un p atrimon io a l qua le, le g iovan i g enera z ion i soprattutto ma non so lo, dovreb b ero avere ac c esso f acilmente.
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Lo STALKING ed il CYBERSTALKING
Nella maggior parte dei casi di stalking, la vittima è di sesso femminile ed esiste una relazione pregressa tra vittima e molestatore Chiarire subito che il comporta mento dello stalker non è gradito con una comunicazione di Antonino G. E. Vecchio Criminologi conoscono oramai da tempo il fenomeno del “molestatore assillante”. Già nei primi del 900 infatti, lo Psichiatra De Clèrambault aveva descritto una topologia di soggetti con disturbi mentali che assediavano le loro prede con finalità sessuali, incuranti del loro diniego, in un quadro di vero e proprio delirio di passione erotica e di gelosia. Più di recente, nel mondo anglosassone a seguito di fatti di sangue eclatanti eseguiti da squilibrati soprattutto ai danni di attrici e divi dello spettacolo il fenomeno ha trovato nuove attenzioni anche al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori ed è stato ridefinito con il termine di “stalking”, preso in prestito dal mondo dei cacciatori (letteralmente “to stalk”: fare la posta). Galeazzi e Curci (2001) del Dipartimento di Patologia Neuropsicosensoriale dell’Università di Modena, hanno coniato il termine di “molestatore assillante” e propongono la seguente definizione: “….un insieme di comportamenti ripetuti ed intrusivi di sorveglianza e controllo, di ricerca di contatto e comunicazione nei confronti di una vittima che risulta infastidita e/o preoccupata da tali attenzioni e comportamenti non graditi…”. Il comportamento di stalking presenta comunque numerose sfaccettature e solo in alcuni casi è ascrivibile ad un conclamato disturbo psichiatrico con manifestazioni deliranti o con anomalie patologiche della personalità. Nella prevalenza dei casi si rilevano, infatti, motivazioni razionali attinenti ad un desiderio di vendetta o all’incapacità di dirigere ed elaborare cognitivamente l’abbandono di un partner o di un’altra figura significativa a cui lo stalker è legato. Gli strumenti tradizionali degli stalker sono primariamente il telefono e la presenza fisica incombente nei luoghi frequentati dalla vittima. Sono state descritte anche tecniche diverse come danneggiamenti a cose di proprietà della vittima o l’uccisione dei suoi animali domestici. Alla luce delle ricerche più recenti, sviluppate in prevalenza nel mondo scientifico statunitense, è possibile sintetizzare tre tipologie di persecutori: 1)Soggetto che non riesce ad accettare l’abbandono del partner o di altre figure significative, quindi attua una vera e propria persecuzione nel tentativo maldestro di ristabilire il rapporto o semplicemente vendicarsi dei torti subiti nel corso del distacco. Sono i molestatori statisticamente più pericolosi per quanto riguarda la possibilità che lo stalking degeneri in atti di violenza fisica nei confronti della vittima; 2)Soggetto che sfoga attraverso lo stalking, un rancore dovuto a cause molteplici nei confronti di una persona con cui sono entrati in conflitto, al di fuori di un rapporto affettivo. Normalmente questi stalking presentano un livello di pericolosità contenuta per l’ipotesi di violenza fisica. 3) Molestatori sessuali abituali o conquistatori maldestri, che individuano l’oggetto del loro
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desiderio nella vittima (anche sconosciuta) ed effettuano una serie di tentativi di approccio incapaci o incuranti dei segnali di fastidio da parte della vittima. Normalmente è pressoché innocua. Talvolta si rilevano soggetti che possono essere inseriti parzialmente in più di una delle tre categorie. Statisticamente, nella maggior parte dei casi di stalking, la vittima è di sesso femminile ed esiste una relazione pregressa tra vittima e molestatore. Le molestie assumono solitamente il carattere di “ondate” o “campagne di stalking”,
Il comportamento di stalking presenta comunque numerose sfaccettature e solo in alcuni casi è ascrivibile ad un conclamato disturbo psichiatrico con manifestazioni deliranti o con anomalie patologiche della personalità.
molestatore ha messo on-line delle foto della vittima, reperite durante una pregressa relazione sentimentale o scattate di nascosto durante un appostamento (fonte: Dipartimento di Polizia di New York-1996-2000). Da ciò che evidenziamo, il contrasto al cyberstalking non appare facile anche per le numerose opportunità di anonimità offerte dalla rete. Fondamentale in tal senso è una stretta collaborazione tra fornitori di servizi e organismi investigativi. Sul versante dei comportamenti attuabili dalle vittime per difendersi dalla molestia è di fondamentale importanza chiarire subito che il comportamento dello stalker non è gradito con una comunicazione con tono educato ma fermo e inequivocabile. Se la molestia continua è importante evitare di rispondere aspettando che il soggetto si stanchi e la smetta. Se questo non avviene o se i comportamenti persecutori siano altamente lesivi è di fondamentale importanza sporgere rapidamente denuncia presso un qualsiasi ufficio della Polizia Postale e delle Comunicazioni ( ufficio previsto in quasi tutte le Questure, ma sicuramente nelle Questure Capoluogo), avendo cura di conservare tutte le e-mail ricevute e la copia di eventuali pagine web offensive o minacciose (con relativa URL). In Italia le condotte tipiche dello Stalking sono punite dal reato di “Atti Persecutori” (art.612-bis del Codice Penale). Tale reato è stato introdotto in Italia con il D.L.23.02.2009 nr.11, convertito nella Legge 23/04/2009 nr.38, promosso dal Ministro per le Pari Opportunità. Esso costituisce una sorta di specializzazione della già esistente norma sulla violazione privata: delinea infatti in modo più specifico la condotta tipica del reato e richiede che tale condotta sia reiterata nel tempo e tale da <<cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura nella vittima>> , l’elemento soggettivo richiesto è dunque il dolo generico, avendo cura di precisare che- qualificato lo stalking quale reato d’evento- il soggetto dovrà anche rappresentarsi e volere uno degli accadimenti descritti dalla norma.
di durata variabile da pochi giorni a diversi anni. Normalmente le ondate durano diversi mesi se non sono interrotte da un elemento esterno alla relazione (es. la denuncia da parte della vittima). Talvolta poi il comportamento della vittima “rinforza” involontariamente l’azione dello stalker che può ad esempio equivocare un tentativo di convincimento a interrompere le molestie fatto in un tono civile e cortese come un’implicita accettazione della persecuzione. Altre A B B O N AT I E S O S T I E N I volte, specie negli stalker animati da ranAbolire la miseria della Calabria core, sono viceversa i segni di disagio e di Non fruisce dei contributi statali all’editoria di cui alla Legge n°250 del 07/08/1990 paura che rinforzano la sua motivazione. La pubblicaazione è possibile grazie al lavoro volontario dei nostri collaboratori, al Da quando internet è divenuto uno strusostegno dei nostri abbonati ed al contributo degli sponsor che ci sostengono mento di comunicazione di massa, hanno Abbonamento annuo (4 numeri minimo) cominciato a manifestarsi casi di minacce, Ordinario:12,00 €; Promotore: 30,00 €; Sostenitori, enti e istituzioni: 50,00 € di intimidazioni, di molestie e di perseDa versare mediante bollettino postale cuzioni, attuati attraverso i servizi classici CC Postale 93431955 della rete. In alcuni casi, il molestatore ha o mediante bonifico bancario realizzato anche delle pagine web, inserenIBAN dovi messaggi intimidatori indirizzati alla I T 6 7 Y 0 7 6 0 1 0 4 4000 0009 3431 955 vittima o informazioni private e riservate su di essa. In alcuni casi lo Stalker ha pubblicizzato sul web dei falsi servizi erotici della vittima che è stata subissata di messaggi imbarazzanti. In altre circostanze il
Intestato a Associazione di Vol ontariato Cultural e NON MOLLARE Via Ernesto Rossi, 2 - 89816 Cessaniti (VV)
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Dai professionisti ai docenti dell'antimafia
Un fenomeno la cui fine “sta ritardando per una complicità dovuta anche alla classe dirigente”
Ma la 'ndrangheta che può vantare un fatturato di oltre 69 miliardi di Giuseppe Candido
uando Leonardo Sciascia scrisse “I Professionisti dell'antimafia”, il famoso articolo pubblicato il 10 gennaio 1987 sul Corriere della Sera, non avrebbe mai immaginato che le cose, in Italia, potessero evolvere come invece hanno fatto regalandoci un Paese in cui, alla notizia dell'arresto di un paio di boss siciliani latitanti, ministri e politici della maggioranza esultano e cantano vittoria, autoproclamndosi, addirittura, dei veri e propri “docenti dell'antimafia”. Dai magistrati “professionisti dell'antimafia” di cui parlava Sciascia, oggi siamo ai politici “docenti dell'antimafia”. “La Mafia è già in ginocchio” dice Alfano. Ma la mafia, la 'ndrangheta, sono sempre li, anzi la 'ndrnagheta si espande più forte che mai e rappresenta, nel mezzogiorno, un problema enorme. Ed anche i sei miliardi di euro sequestrati rappresentano una goccia nel mare se rapportati ai soli traffici della 'ndrangheta che può vantare un fatturato di oltre 69 miliardi di euro all'anno come dichiarato dal procuratore nazionale antimafia Grasso. Nella seconda delle due “autocitazioni” che il giornalista di Racalmuto fece precedere a quel suo articolo per “... Servire a coloro che hanno corta memoria e/o lunga malafede” ricordava quanto scritto in “A ciascuno il suo” (Einaudi, Torino, 1966), il suo libro in cui scriveva che “L'Italia è un così felice Paese che quando si cominciano a combattere le mafie vernacole vuol dire che già se ne è stabilita una in lingua... Ho visto qualcosa di simile quarant'anni fa: ed è vero che un fatto, nella grande e nella piccola storia, se si ripete ha carattere di farsa, mentre nel primo verificarsi è tragedia; ma io sono ugualmente inquieto". Oggi potremmo dire che la
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mafia parla in inglese e fa gli affari su internet. E anche noi siamo inquieti. La mafia, dichiarò alla stampa calabrese circa un anno fa il magistrato Giuseppe Ayala, “sopravvive grazie ai silenzi della politica”. Un fenomeno la cui fine “sta ritardando per una complicità dovuta anche alla classe dirigente”. Dopo i due arresti eccellenti la maggioranza sembra essersi convinta che la lotta alla criminalità organizzata sia a buon punto. Forse, con la “mafia” siciliana, il taglio di qualche testa di capi clan potrà considerarsi una piccola vittoria, ma cosa ci dicono della 'ndrangheta che, a detta di tutte le relazioni delle varie procure e direzioni distrettuali, è la forza criminale meglio organizzata, che vanta i traffici più lucrosi, con fatturato da capogiro e che maggiormente inquina il tessuto economico e sciale con i suoi capitali illegali non solo la Calabria? Cosa ci raccontano di una vittoria e di una lotta da “docenti dell'antimafia” se, dopo anni di duri colpi, la 'ndrangheta oggi è più forte che mai? Insomma, ci si vanta degli arresti che compiono Polizia e Carabinieri ai quali, tra l'altro,– come più volte denunciato dal Siulp - si sono tagliate le risorse mentre si varano leggi che consentono, nel pieno anonimato, di rimpatriare capitali illecitamente accumulati all'estero e di cui non vi è garanzia alcuna di come gli stessi siano stati accumulati. Se condividiamo l'idea di Maroni di costituire un'agenzia nazionale per i beni sequestrati alla mafia, dovrebbero spiegarci, da docenti, come si intende farlo. Con un piano che prevede l'anonimato per il rientro dei capitali? Se è giusto richiamare i magistrati al proprio lavoro appaiono esagerate le parole di Alfano che parla di mafia come di un cadavere. Oggi la questione criminalità organiz-
zata nel mezzogiorno è gravissima ed è tutt'altro che sconfitta. Sempre per citare Sciascia ricordiamo che “Il conseguente comportamento, che il primo fascismo ebbe nei riguardi della mafia, si può riassumere in una specie di sillogismo: il fascismo stenta a sorgere là dove il socialismo è debole: in Sicilia la mafia è già fascismo. Idea non infondata, evidentemente: solo che occorreva incorporare la mafia nel fascismo vero e proprio. Ma la mafia era anche, come il fascismo, altre cose. (…) Sicché se ne può concludere che l'antimafia è stata allora strumento di una fazione, internamente al fascismo, per il raggiungimento di un potere incontrastato e incontrastabile. E incontrastabile non perché assiomaticamente incontrastabile era il regime - o non solo: ma perché talmente innegabile appariva la restituzione all'ordine pubblico che il dissenso, per qualsiasi ragione e sotto qualsiasi forma, poteva essere facilmente etichettato come "mafioso" ” Oggi le cose, cambiando le parole Sicilia con Mezzogiorno e Fascismo con regime della partitocrazia, stanno ancora come magistralmente le dipingeva Sciascia. L'ultima relazione di Mario Dragi non lascia certo dubbi sul grado di infiltrazione e pervasione della criminalità organizzata nei gangli della pubblica amministrazione del mezzogiorno. Cantare vittoria, a scavalco delle dichiarazioni di Spatuzza, per qualche arresto operato dalle forze dell'ordine ci sembra quantomeno fuorviante. Non vorremmo, e il rischio esiste ora come allora, che si usi “l'antimafia come strumento di potere”, o peggio, come sloga che consenta, oggi, di spingere sul “legittimo impedimento” o su qualche altra norma poco costituzionale. Per la p u bb l i c i tà su qu e st o g i orna l e R i vo l g i ti a
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Delle origini calabre. Studi storici intorno agli Osci di G.B. Marzano L’esame del le monete osche e g re che attestereb b e che, nel V se c o lo a . C., mentre in Gre cia l’Ar te era rozz a, in Ita l ia e in Sicil ia era a ssa i pro g re d ita .
A c o n f e r m a r l o , a s u o d i r e , c i s a r e b b e r o a n c h e i v a s i d e t t i e t r u s c h i p e r c h é r i n v e n u t i i n To s c a n a di Giovanna Canigiula
ull’Avvenire vibonese del 1886 compare un curioso articolo a firma di Marzano, autore di un noto Dizionario etimologico calabrese, dal titolo Delle origini calabre ossia Studi storici intorno
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Marzano ha un chiodo fisso: la boria nazionale dei Greci, che hanno voluto presentarci l’Italia come una landa desolata, per farcela quindi vedere popolata da Greci Coloni. agli Osci. Marzano si interroga sui primi abitanti della terra di Calabria, così chiamata nella seconda metà del VII secolo dagli imperatori bizantini che, spog liati da Romualdo, duca di Benevento, della Messapia e della Iapig ia , l’attuale terra d’Otranto, mal soffrendo nella loro vanità , diedero il nome della perduta reg ione al Bruzio. Nell’affrontare la questione, sulla base anche delle conoscenze del tempo, egli allarga la prospettiva al popolamento dell’Italia antica e, fra le varie formulazioni, ne accog lie due come punto di partenza : tutti gli scrittori sono d’accordo sul fatto che i vari popoli che giunsero nella penisola , Germani, Indiani, Lidii, Eg izi, vi trovarono popolazioni indig ene ; ai tempi delle g randi immigrazioni, un secolo prima della g uerra di Troia , i popoli ita lici posse de vano una civiltà avanzata mentre la Grecia era ancora barbara e rozza. E’ chiara, dunque, la prospettiva dello studioso : non possono i Greci menar vanto d’aver colonizzato una terra in cui tutto indigeno fu l’incivilimento. Per dimostrare ciò, Marzano prende le mosse dal più antico popolo che abbia abitato l’ Italia, quello Osco, nome che, stando ad Aristotele, significa uomo nato dalla stessa terra , orig inario della contrada, indigeno del paese. L’esame delle più antiche monete osche e g re che, dice Marzano, attesterebbe che, nel V secolo a. C., mentre in Grecia l’Arte era rozza, in Italia e in Sicilia era assai progredita . A confermarlo, a suo dire, ci sarebbero anche i vasi detti etruschi perché rinvenuti in Toscana, ma in seg uito detti italici perché rinvenuti in tutte le contrade d’Italia, ai quali non sono comparabili, per quantità, grandezza, bellezza e delicatezza del lavoro, quelli trovati in Grecia. E’ evidente, nelle parole di Marzano, la polemica contro la presunta superiorità greca, a dispetto di qualsiasi evidenza storico -archeologica. Gli Osci, a causa delle rivalità e dello spirito d’indipendenza , non diedero mai vita a una nazione, ma furono frammentati in piccoli stati su cui i Romani ebbero facilmente ragione. Originari dell’Opicia, piano piano popolarono l’Umbria , l’Etruria e il resto della penisola col nome di Aurunci, Ausoni, Enotri, Volsci, Etrusci, Tirreni, Tusci, Morgeti, Iapig i, Dauni, Calabri, Umbri, Brettii,S abini, S anniti, Lucani, Piceni, Picentini, Peuceti,
Caoni, Siculi, Sicani, Esperii, Cimmerii: essi rappresenterebbero, dunque, il ceppo orig inario. Marzano tenta anche una spieg azione etimolog ica , che riprende dal cosentino Davide Andre otti Loria : dapprima nomadi e selvaggi, poi stanziali, si chiamarono Aramei dalle case dette are; Aurunci, Arunci o Auruncoli perché incolae e coloni, ossia cultori degli Arvi, detti in italiano Agricoltori; Enotri da en, che è abbre viativo di gens e otro, che starebbe per ostro, in quanto popoli australi; Volsci perché Osci del nord come gli Etrusci o Vetrusci da etro, diminutivo di vetro; Ausoni da Aucs (Osci) e Oni (Ionio); Tirreni e Tusci perché la T starebbe per Tirreno ed usci per Osci ; Morg eti da Mor (mare) e geti (gens), cioè gente del mare ; Peucetii da Pe, abbreviazione di ope (terra) e cetii gens, in quanto “abitanti una terra interna”; Messapi da mess (messe) ed api, alterativo di Opi e cioè opici; Lucani da lu, abbreviativo di lucusu e cioè nemus e cioè bosco, mentre cani starebbe per coni e cioè “coloni che abitano i boschi”; Sabini da bios (vita) e sa, abbreviativo di Saturnia, ad indicare i popoli che vivevano in terre fertili. Le diramazioni osche f urono Piceni e Picentini, così detti da ni (nuovi) e pici (opici) e Dauni, sempre da ni (nuovi), u (osci) e de (forti). Il ramo che subì profonde trasformazioni per essersi affrancato dagli Ottimati sarebbe costituito dagli Umbri, in cui u sta per osci mentre bri, voce
La lingua è uno dei principii fattivi, ed uno dei caratteri principali della Nazionalità e d’un Popolo, anzi il più intimo e fondamentale di tutti del verbo abripio, indica la sottrazione dal ser vaggio ; dai Calabri, da caula e cioè caulon e cioè colono e bri che, come nel caso degli Umbri e dei Brettii e stando a quanto scrivono Strabone e Diodoro Siculo, indicherebbe g li uomini fattisi liberi dai loro signori. Marzano ha un chiodo fisso : la boria nazionale dei Greci, che hanno voluto presentarci l’Italia come una landa desolata , per farcela quindi vedere popolata da Greci Coloni. Le fonti, secondo lui, raccontano una storia diversa e su di esse poggia le sue de duzioni : Osci e d Opici si e quivalg ono perché compaiono indifferentemente con lo stesso nome ; Ausoni e Aurunci altro non sono che Opici e, quindi, Osci ; Livio e Dionigi d’Alicarnasso confondono Volsci ed Aurunci, il che li riconduce alla me desima orig ine ; Strabone parla dei Sidicini come di una tribù osca ; Virgilio assimila i Siculi agli Aurunci e, pertanto, si tratta di Osci; Dionigi d’Alicarnasso parla deg li Umbri ( parenti stretti deg li Osci) come del popolo più antico, tant’è che i Tirreni, secondo Erodoto, li avrebbero già trovati in loco ; autoctoni, per Strabone, i Sabini e i loro coloni Sanniti, ai qua li vanno ricondotti Frentani,
Pelig ni, Piceni, Irpini, Lucani. Stirpe dei Lucani i Brezi e, non a caso, Livio parla di Consentia come di una colonia lucana. Ser ve, però, una qualche autorità che attesti l’origine osca dei Brezi e Marzano si affida ad Aristotele : se gli Osci occupavano le spiagge del Tirreno, come questi sostiene, non poteva trattarsi che dei Brezi i quali, all’epoca della colonizzazione greca, usciti dalle loro montagne, avevan cominciato le loro scorrerie, e di Terina, e d’Ipponio, e d’altri paesi, che g iacevano sul Tirreno, eransi impadroniti. Di più: l’origine osca deg li Italiani e dei Brezii va dimostrata su base ling uistica, imperocché la lingua è uno dei principii fattivi, ed uno dei caratteri principali della Nazionalità e d’un Popolo, anzi il più intimo e fondamentale di tutti. Iscrizioni e monete con osca legenda vengono allora in soccorso. Si tratta di una scrittura che, muovendo da destra a sinistra, era ignota ai Greci, tanto che biling ui erano quei popoli che usavano sia l’osco che il greco. Non solo : la ling ua osca era frammentata in diversi dialetti, come l’etrusco, l’umbro, il sannitico e il messapico, ma ciò suole avvenire di qualunque ling ua , ch’è parlata da una grande popolazione sopra una vasta estensione di paese; e maggiormente doveva avvenire della Osca , perché la Nazione, che la parlava, era divisa in molti e piccoli stati indipendenti, spesso in g uerra fra loro. Identici però l’andamento della scrittura, i segni numerici e le lettere dell’alfabeto e se le piccole modifiche sono naturali in rag ione di luoghi e tempi, le grandi sono da attribuirsi alla presenza dei Greci, che portò dapprima ad una mescolanza tra osco e greco, poi al prevalere del greco e alla riduzione dell’osco a dialetto volgare. Il definitivo tramonto del popolo e della sua ling ua sono dovuti ai Romani, ma un popolo, anche quando è vinto e disperso e ha perduto financo il suo nido, vive non di meno nella sua lingua, unico legame che lo mantiene popolo. Sopravvissuto il ling uaggio alla sua gente e caduto sotto il colpo dei barbari l’impero romano, le reliquie dell’Osco ling uag g io[…] portarono anche il loro tributo nella formazione della lingua Italiana: anzi è opinione di molti dotti, che nel nostro idioma, tolto l’elemento greco, il latino e tutto ciò che ne venne dai Barbari e dalle dominazioni forestiere, il resto appartieni al linguaggio degli Osci. Chi siano questi dotti, però, Marzano non lo spiega. Le conclusioni pog g iano su fonti numismatiche ed epigrafiche : si tratta di monete con legenda osca provenienti da Crotone, Sibari, Terina, Mamerto, Caulonia, Reggio e Lao ; due lamine di bronzo rinvenute a Cosenza e Tiriolo, la prima con l’iscrizione Meddix Tuticus e la seconda contenente, sempre in osco, un senatusconsulto del 566 per l’abolizione dei Baccanali. Ancora una fonte, Strabone, che chiama biling ues i Brezi, i quali utilizzavano il greco per le relazioni commerciali; quindi il riferimento al culto brezio di Mamers, divinità osca. Il popolamento dell’Italia antica è, in realtà , assai più complesso di
come Marzano ce lo presenta. A partire dal II millennio a .C. si stanziano, nella penisola , popolazioni di origine indoeuropea alle quali si dà il nome di italici : nell’Italia nord- orientale i veneti; nell’attuale Lazio i latini, i volsci e g li e qui ; nelle odierne Umbria e Marche i sabini, gli umbri, i marsi, i peligni, i marrucini, i piceni ; tra Abruzzo e Campania i sanniti, divisi in varie tribù ; nelle zone interne della Campania gli osci; nell’odierna Pug lia g li iapig i ; nelle odierne Basilicata e Calabria i lucani e i bruzi. Di origine non indoeuropea i lig uri nell’area nord- occidentale ; gli Etruschi che, da Toscana e alto Lazio, si spinsero fino alla pianura Padana e all’alta Campania ; g li elimi, i sicani e i siculi in Sicilia e la civiltà nuragina in Sardegna. Come scrive Marzano, non si ebbe mai una nazione, per cui si può parlare di città- stato : i meddices, distinti in tuticus e minor, erano i due magistrati che g overnavano presso le popolazioni di orig ine osca (osci, volsci, e qui, marsi, pelig ni); g li umbri, invece, avevano il maru. Sotto il profilo ling uistico, invece, si disting uono due famiglie : la osco umbra o sabellica, con l’osco parlato nell’area centro - meridionale della penisola e l’umbro in quella centro settentrionale, cui sono da aggiungere i dialetti umbro - sabellici, parlati da peligni, marrucini, vestini, sabini, marsi e piceni ; la latino falisca , che comprende il falisco, parlato nel territorio di Falerii Veteres a nord di Roma, quella latina , la venetica parlata nell’Italia nord- orientale dai Veneti e la sicula, parlata nella Sicilia orientale. L’osco è, dunque, la ling ua parlata dai Sanniti e diffusa con le loro conquiste nell’Italia meridionale. Al ramo dei Sanniti appartene vano Sabini, Sabelli, Frentani e Irpini. Osco si parlò in Lucania, nel Bruzio e a Messina coi Mamertini. Quando i Sanniti, nel V secolo a .C., occuparono la Campania, sottomisero gli Osci, di orig ine non sannitica , e tolsero loro il nome che fu dato pure alla ling ua. Essa si conser va fino al I secolo a.C. su circa 230 iscrizioni con differenze locali, come nel caso del dialetto di Capua. Un dialetto interme dio tra osco e umbro, sebbene più vicino all’osco, parlavano, stando ai pochissimi documenti epigrafici rinvenuti, i Sabelli e, quindi, i Marsi, i Pelig ni, i Marrucini, i Vestini, gli Ernici, gli Equicoli, i Sabini, i Prettuzi e i Piceni. Nel complesso, lo studio di Marzano è assai interessante e singolare, perché mette a nudo l’interesse di un erudito calabrese di fine Ottocento per le orig ini della sua terra , la pochezza dei dati materiali di cui si disponeva, il tentativo di inserirsi nel dibattito tra g li studiosi del tempo sul popolamento antico della penisola , l’ang olazione un po’ provinciale e campanilista da cui muove, che lo porta a mettere tutto in un unico calderone, a mitizzare l’origine osca di popoli e nomi e a disconoscere la grandezza della cultura e dell’arte greche.
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Brigaantaggio politico e i politici briganti
L’e n t r a t a d e i f r a n c e s i i n C a l a b r i a a p p o r t ò g r o s s e n o v i t à n e l c a m p o i s t i t u z i o n a l e c h e a l i m e n t a r o n o l e o s t i l i t à
Furono soprattutto i contadini a pagare le spese sia dell'eversione della feudalità sia l'accentramento delle terre nelle mani dei “galantuomini”
di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido ileggendo la storia molto spesso ci si trova davanti a fatti, circostanze e situazioni che ricordano in maniera sorprendente quelli che oggi viviamo. Gli avvenimenti del 1799 e del 1806 che trovarono la loro conclusione nel 1815, aprirono un nuovo periodo nella storia della Calabria: il decennio francese e le persecuzioni del brigantaggio politico e sociale. Presso la biblioteca comunale di Palmi sono conservate le carte della famiglia “Ajossa” tra le quali v'è un manifesto rig uardante il periodo dell'occupazione francese nella Calabria Ultra e con il quale venivano pubblicate le taglie fissate sul capo di ben 859 briganti. Nome, Cognome e paese natale. Una lunga lista di ricercati che raffigura la mappa della ribellione nel territorio dove i calabresi si scannavano tra loro per sostenere, a seconda della posizione, i Francesi o i Borboni. I fatti che caratterizzarono il trapasso dall’ancien regime allo stato moderno, evidenziano l’estrema violenza e virulenza dell’opposizione popolare al nuovo regime, che non effimera ma costante e valida, venne denominata per la prima volta dai francesi “brigantaggio”. Un nuovo regime dove la trilogia “legalite, liberté, fraternité” venne sostituita dagli alberi della libertà dai quali – come testimonia P. L. Cuirier – “s'impiccava facilmente e spesso”. La situazione in Calabria è particolare per le condizioni economico-sociali, per la vicinanza con la Sicilia, per il latifondo feudale e lo strapotere baronale. Questi fattori risultarono tutti decisivi per lo scaturire e il prolificarsi del brigantaggio. È noto anche ai non addetti ai lavori che, per primo il governo dei napoleonidi, abbia tentato di eliminare in Calabria il retaggio di un periodo medievale allora ancora vivo e presente, mettendo la nostra regione a contatto con le esperienze del mondo moderno. Ma per far questo in modo ineccepibile, bisognava se non risolvere, almeno tentare di risolvere i molteplici problemi esistenti, tra i quali il brigantaggio occupava una posizione primaria e considerevole. Gli sforzi furono notevoli, ma servirono a poco, poiché il periodo dell’occupazione fu troppo breve affinché i risultati si consolidassero e divenissero definitivi. Della dominazione francese in Calabria, al rientro dei Borboni, restò soltanto un ricordo offuscato delle grandi riforme socio-istituzionali, e quello invece vivo e presente, delle violenze e delle prevaricazioni del periodo dell’occupazione e della feroce “repressione Manhes”.
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In questo alternarsi di domini e avvicendarsi d’imprese guerresche, molto soffrirono e niente ottennero le masse contadine che furono sfruttate da tutti i protagonisti della lotta. “La Statistica murattiana” certifica lo stato di arretratezza socio economica, di degrado umano e civile, di primitività igienico sanitaria e di squallore ambientale. I fattori primari del malcontento, la miseria e la fame di terra, perdurarono nonostante le riforme francesi, e propagandosi nel tempo pesarono sui calabresi finanche nel periodo post-unitario. Intanto due sole remunerazioni per chi, preso dalla sete di giustizia e dall’insofferenza alle reiterate prepotenze, si ribellava: lo stigma di “brigate” e il conseguente annientamento da parte del potere istituzionalizzato. L’entrata dei francesi in Calabria apportò grosse novità nel campo istituzionale che alimentarono le ostilità tra i vari partiti: mentre le classi degli aristocratici della borghesia e del piccolo artigianato si divisero tra patrioti e borbonici, le classi più misere, contadini, pastori, montanari etc. manifestarono una certa nostalgia per il regime borbonico; furono schieramenti non prettamente politici, fondati piuttosto sugli interessi, le ambizioni e le vendette personali. C'è chi sostiene che il brigante stesse con gli uni o con gli altri, altri sostengono invece che non stesse con i francesi né con i Borboni. Villari, nelle sue lettere sull'Italia Meridionale ed altri molti discorrendo del brigantaggio, vorrebbero trovarne le cause nella miseria, e nelle cattive condizioni del contadino. Ma sono smentiti dai fatti. Per Nicola Misasi (Cosenza 1850 – Roma 1923) nei suoi “Racconti Calabresi” edito nell'ottobre 2006 da Rubettino, il brigante fu allora “un prodotto spontaneo della vita calabrese”, … “di una natura forte e rigogliosa, la quale, diretta al bene, potrebbe essere capace di grandi delitti... Le donne incitavano i mariti, i fidanzati, i fratelli alla vendetta contro i francesi, gli sdolcinati maschi francesi”. Altro che repubblicani venuti a liberarci dalla schiavitù. Altro che “liberi, uguali e fratelli” dinnanzi alla legge come proclamato da loro. Secondo Misasi, e su questo concordiamo con lui, “Non è dunque la miseria soltanto che fa il brigante”. Se fosse vero il fatto che fu la miseria la causa principale del brigantaggio perché allora, si chiede Misasi, “la più parte dei briganti furono contadini agiati? Perché alcuni paesi ricchissimi, nei quali la proprietà è ben divisa, ove il contadino è retribuito più equamente che in
altri siti, danno un buon contingente di briganti, ed altri paesi miserrimi, lungo un secolo, non ne contano neppure uno?”. Per comprendere meglio il fenomeno occorre soffermarci sul brigantaggio politico che “ci fu rimproverato del 1799, come un'onta, cui non bastò a lavare il sangue di mille e mille prodi calabresi, versato in cento battaglie e sui patiboli per la libertà d'Italia. … Ma io ho fede – continua Misasi - che quell'onta diverrà gloria per noi quando, diradate le nebbie, si studierà la storia delle nostre contrade col proposito di non arrestarsi alla superficie, ma di ficcar gli occhi in fondo per rintracciare il vero. Finora noi stessi ci gridammo barbari, lasciate che dica noi stessi ci gridammo popolo d'impotenti, rinnegando le nostre tradizioni, le nostre glorie, fummo paurosi di affermarci per quel che siamo e tendemmo supplicanti le braccia ad altri popoli per implorare da essi un raggio di luce e di civiltà. Colpa nostra se quei popoli ci trattarono da bambini e coi presero a scuola, non risparmiandoci le tiratine d'orecchio e le sculacciate, non leggendo o leggendo male la nostra storia; … Umili e sommessi aspettammo, e forse anche aspettiamo, di là il verbo rigeneratore, di là l'imbeccata del pensiero. Mutammo gli usi, i costumi, il linguaggio, financo il gusto, accettando nella nostra vita, nelle nostre case, nella nostra mensa tutto ciò che ci veniva dal di fuori ...Tanta vigliacca condiscendenza ci fé credere, ed a ragione, popolo d'impotenti e di bambini”. Per tali motivi, prosegue Misasi, “il brigantaggio politico torna a gloria delle mie Calabrie”. Furono soprattutto i contadini a pagare le spese sia dell'eversione della feudalità sia l'accentramento delle terre nelle mani dei “galantuomini”. Essi furono ridotti alla condizione di semplici braccianti, “sottoposti alla soggezione di questi padroni che non solo non hanno mai fatto nulla per alleviare la miseria ed eliminare l'ignoranza, ma al contrario hanno fatto di tutto per tenerli schiavi ed asserviti”. Ed ancora oggi forse è così. Sicuramente non possiamo confondere il brigantaggio e il brigantaggio politico con l'attualità dei politici e dei “capimassa” briganti che avvelenano le nostre terre, le nostre acque e i nostri mari. Quello che la storia ci consente di leggere è che il brigantaggio fu un fenomeno spontaneo, naturale, un moto di ribellione alimentato dalla miseria ma diretto contro il “nuovo” come pure spontanea è quell'indignazione e quella voglia di ribellione contro il regime dei partiti che oggi, frequentemente, attraversa la società civile.
L’Aglio nella medicina poplare
di Filippo Iacopo Pignatari. Estratto da LA CALABRIA, Rivista di Letteratura Popolare, Anno VI n°12 (15 Agosto 1894) A cura di Giuseppe Candido utte le varietà dell'aglio sono più o meno alituose e di uso comune, ma quello che è entrato nel dell'economia dominio domestica e nella materia medica popolare, è (l' Allium sativum Lin. 425 Tourn.), tanto estesamente coltivato negli orti. Questo vegetale, in modo specialissimo alituoso, se venne accettato, fin dai tempi più remoti dell'umanità, come condimento, eccitativo e digestivo nelle vivande, non poteva rimanere trascurato dalla popolare avidità per arricchire la propria materia medica. Ha avuto infatti applicazione assai vasta, tanto che era ritenuto quasi una panacea; ed oggi figura ancora nella medicina popolare come antielmintico, come sedativo odontalgico, come epispastico, come anti-psorico, come
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diuretico e per espellere le ranelle ed il siero nelle idropi; si adopera pure come antidoto nel morso del topo, della vipera e dei cani idrofobi. Per morso di topo in questo caso dobbiamo intendere del topo – ragno, musaragno, sòrice, che è, a dir vero, alquanto raro in Calabria ed il popolo non lo può distinguere dal genre mus. Troviamo poi indicato l'aglio a risolvere i tumori freddi e a molti altri usi ancora, fra i quali non è da tacere quello di essere sicuri di provocare febbre artificiale, applicandolo pesto ed impastato, nel cavo ascellare per otto dieci ore. Si adopera poi, tristissimo impiego, a strofinare coltelli e pugnali, ed in generale ogni arma bianca, perché agisca da veleno e renda letale qualunque ferita. Alcuni se ne avvalgono per saggiare i funghi e lo fanno cuocere insieme ad essi; se
l'aglio resta bianco, i funghi sono ritenuti innocui e mangerecci, se ingiallisce o annerisce è scoperto il veleno. Dall'abuso dell'aglio, sotto tutte le forme, in ogni vivanda, ne viene nei contadini quel sentore speciale e caratteristico del traspirabile e dell'alito, che è poi anche comune a qualunque persona che si abitua a tale eccesso. Ne a ciò solo
si arresta, poiché si può suscitare anche da una goccia di sangue di queste tali persone, leggermente riscaldata e trattata con traccie di acido acetico glaciale. I contadini, non solo della Calabria, ma di quasi
tutta Europa, riguardano l'aglio come cordiale universale, e lo preferivano alla teriaca veneziana ed all'orvietano. Prima del 1860, finoacché la teriaca fu una specie di monopolio governativo, l'aglio veniva detto “la teriaca del popolo” presso il quale ha reputazione inconcussa di antisettico. Nei luoghi di mal' aria se ne fa sciupo; e vediamo in tali luoghi soggiornare e dormire persone, valide e robuste o grame e infermicce che siano, fatte sicure dal portare addosso dell'aglio. In ogni famiglia popolana, quando si verifica un caso qualunque di malattia, che abbia una certa importanza, specie poi se accompagnata da febbri alte e cefalalgia, è usanza comune di esporre nella camera dell'ammalato aglio pesto e infuso nell'aceto. Quando si va a far vistia ad un ammalato di morbo contagioso, se si vuole essere immu-
ni dal contagio, basta pestare uno spicchio d'aglio in bocca, e tale mezzo profilattico adoperano coloro i quali sono chiamati ad assistere gli ammalati. Per quanto ha potuto aberrare la fantasia potile l'uso dell'aglio nella idropsia. E, citando di seconda mano, dirò che si legge nel Dizionario Botanico Farmaceutico scampato a Parigi nel 1802 da S. F. pag 14, che Bastien Laurenberg assicura che nulla è più valevole dell'aglio per sollevare le sofferenze dello scorbutico, e conferma la sua efficacia nello espellere le renelle e financo utile, se bollito nel latte, a calmare i dolori nel mal di pietra; Sydenam nel vaiuolo lo ha molto commendato. E per finire, ricordiamo che alcuni lo credettero proficuo e lo magnificarono nell'asma ed in generale come espettorante. E che più ne ha, più ne metta.
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Per una sociologia del brigantaggio: percorsi minori della storia La vera vittoria delle classi egemoni sul brigantaggio non fu la sua sconfitta militare ma la sua rimozione
Il brigante non sta con nessuno, né con i Borboni né con gli antiborboni. Sta con sé stesso e con le ragioni della sua ribellione di Francesco Santopolo
a questo numero iniziamo un viaggio tra i subalterni, quelli che, secondo la definizione di Amelia Paparazzo, vivono “tra rimpianto e trasgressione”, un’esistenza illuminata dalla luce della storia, solo quando si incontra con quella dei vincenti. Chi sono i subalterni? Ci sono i subalterni di classe: braccianti, contadini senza terra, contadini poveri e, nel nostro tempo, i precari. Ci sono i subalterni politici, almeno fino all’avvento del fascismo: radicali, anarchici, socialisti, comunisti. E, infine i subalterni di status: briganti, banditi sociali e quelli che Marx ha inteso comprendere nel lump?proletriat, il “proletariato cencioso” che rappresenta i ceti più infimi della società. Di alcune di queste figure vogliamo tentare di tracciare una storia.
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er scelta e ragioni di spazio, questa non vuole essere la storia del brigantaggio ma solo un tentativo di anticipare i termini di una riflessione più ampia, a partire dalla definizione di un tipo sociale, il brigante appunto, per restituirgli una dimensione storica finora negata, almeno in
avvocato suo prigioniero che si era dichiarato filoborbone nel tentativo di salvarsi la vita, rispose: “Tu hai studiato, sei avvocato e credi che noi fatichiamo per Francesco II?” (sta in Molfese, l. c., pag. 130). Proprio questa risposta/domanda ci fa capire che il brigante non sta con nessuno, né con i Borboni né con gli antiborboni. Sta con sé stesso e con le ragioni della sua ribellione, si schiera per il cambiamento e questo ne fa un rivoluzionario se ammettiamo che “Anche chi accetta lo sfruttamento, l’oppressione e la soggezione come norma di vita, sogna un mondo dove essi non esistono: un mondo di uguaglianza, di fratellanza e di libertà” (Hobsbawn, l. c. pag. 21-22).
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copo del presente lavoro non è solo la ricostruzione storica di un fenomeno come il brigantaggio da sempre connotato di negatività ma coglierne le contraddizioni, nell’intento di ricostruire le connotazioni antropologiche di un tipo sociale peculiare qual è stato, per l’appunto, il
brigante. Il termine brigante, del tutto sconosciuto in Italia meridionale, e mai utilizzato in precedenza dal legislatore, era stato introdotto dai francesi per indicare “coloro parte. Con le sole eccezioni di Amelia Paparazzo (1984), Nicola Pedio (1996) e Aldo che ad essi si opponevano” (Pedio, l. c., pag. 7). De Jaco (1978), la corposa letteratura specifica, e quella più generale sulla storia Da allora, nel Regno di Napoli e in tutto il Mezzogiorno, quelli che prima erano d’Italia che si è occupata del brigantaggio meridionale, rimane, per così dire, in chiamati banditi o fuorbanditi, divennero briganti e questo termine, derivato dal superficie e quasi mai il brigante appare come soggetto nella storia della lotta di francese brigand con cui si indicavano i ribelli, fu tradotto in italiano in brigante classe di cui è stato protagonista, sia pure con le specifiche peculiarità in cui era o assassino, con un arricchimento etimologico che ci sarebbe piaciuto evitare. costretto un movimento di subalterni in una società di transizione verso la Una prima spiegazione per definire il tipo sociale del brigante, ci viene da un grande scrittore meridionalista del passato quando dice: “Il popolo calabrese è modernità. Potremmo dire che la vera vittoria delle classi egemoni sul brigantaggio non fu la agricolo ?…? quando dunque gli mancano le terre irrompe violentemente nella sua sconfitta militare ma la sua rimozione e il suo confinamento in una storia sep- Sila coi suoi strumenti rurali, o vi irrompe coi suoi strumenti da brigante” (Padula, 1878), confermando che, per alcuni, è “megliu n’annu tauru ca cent’anni arata e minoritaria. Non a caso, a ridosso delle “celebrazioni dell’Unità di Italia, tenute sul piano della voe!” (proverbio calabrese). più noiosa e inconcludente <<ufficialità>>”, De Jaco poteva osservare che le In letteratura la definizione del brigante ha seguito la strada delle stereopito. ricerche storiche non avevano riportato “in luce elementi di quella angosciosa Gramsci riferisce di una “circolare dell’Amma credo del 1916 in cui si ordina alle industrie dipendenti di non assumere operai che siano nati sotto Firenze” (1975, tragedia che fu la guerra del brigantaggio” (l. c.). Il tentativo di sfatare luoghi comuni e visioni ideologiche è arduo ma questo non pag. 64-65). Ma di tutt’altro avviso furono gli Agnelli che nel periodo 1925-26 fecero affluire ci impedisce di tentare un approccio. Quando si scrive, per esempio, “Il brigantaggio, che trova le sue radici in una soci- 25.000 operai siciliani da immettere nell’industria”. Continua Gramsci, “fallimenetà caratterizzata da profonde differenziazioni economico- sociali, non è un male to dell’emigrazione e moltiplicazione dei reati commessi nelle campagne vicine da endemico delle province più povere del Mezzogiorno d’Italia. Esso è un fenome- questi siciliani che fuggivano le fabbriche: cronache vistose nei giornali che non no universale che, pur presentandosi sotto forme ed aspetti diversi, è sempre riv- allentarono certo la credenza che i siciliani sono briganti” (l. c.). De Amicis, nella novella Fortezza (1906) parla delle torture subite da un caraolto contro il potere costituito da parte di chi si biniere catturato da un gruppo di briganti, sebbene oppone al sistema” (Pedio, l. c.), si dice una cosa Il termine brigante, del tutto sconosciuto manchi il particolare aggiunto da Gramsci sulla lingua profondamente vera e una, se non proprio falsa, mozzata. Pirandello ne “L’altro figlio” (1937) parla di diremmo forzata. in Italia meridionale, e mai utilizzato in briganti che giocano a bocce con i teschi. È vero che il brigantaggio è un fenomeno universale precedenza dal legislatore, era stato La letteratura è piena di immagini truculente e sarà nello spazio e nel tempo. introdotto dai francesi per indicare affrontata in queste pagine quando inizieremo a racNon è altrettanto vero, o è un giudizio limitato a contare la storia di personaggi che, pur di estrazione “coloro che ad essi si opponevano” situazioni particolari e contingenti, che l’azione dei sociale diversa, sono diventati briganti. briganti è sempre rivolta contro il potere costituito. Così scopriremo che non ci furono soltanto i Basterebbe ricordare tutte le volte che il brigantagMammone e i Ninco Nanco tra le fila dei briganti ma gio si è prestato a sostenere le “ragioni” del potere, fosse solo quello rappresentaanche il prete Ciro Annichiarico, il massaro Angiolino Del Duca, il benestante to da un singolo signorotto o quello che, nella sua globalità, interpretava gli Beppe Mastrilli, il figlo di un medico Pietro Mancino e il più noto brigante calaspetti più reazionari e feroci del potere, come avvenne durante la repressione abrese, quel Giosafatte Talarico che, pur di umili origini, aveva studiato in semidella Repubblica Partenopea. ed era diventato aiuto farmacista, prima di darsi alla macchia e diventare nario Allora, il primo problema che si pone a chi volesse definire la collocazione sociale brigante. del brigante, è capire le ragioni e gli obiettivi del suo agire sociale. In realtà, il brigante si muove contro il rapporto di dominio e subordinazione espresso dal potere come categoria assoluta che regola i rapporti umani e, anche quando sembra schierarsi con le forze conservatrici, non è detto che possa definirsi tout court reazionario. Scrive Hobsbawn (1969, pag. 21) “Una rivoluzione sociale non è meno rivoluzionaria perché si schiera a favore della <<reazione>>, secondo la definizione di chi ne è al di fuori, contro il <<progresso>>”. Nel caso della Rivoluzione Napoletana, per esempio, “I banditi- e i contadini- del Regno di Napoli che insorsero in nome del papa, del re e della fede contro i giacobini e gli stranieri erano dei rivoluzionari, mentre il papa e il re non lo erano” (Hobsbawn, l. c., pag. 21). D’altronde i “briganti” si schiereranno con Garibaldi, il cui moto non era sicuramente reazionario. La chiave di volta che ci fa capire quale fossero le ragioni dei briganti la ricaviamo dall’espressione usata dal capo brigante Cipriano La Gala da Nola, quando, ad un
Per saperne di più Bibliografia De Amicis, E. (1906), Novelle, Milano, Treves. Gramsci, A. (1975), Quaderni del carcere, vol. I, nota 50, Torino, Einaudi. Hobsbawn, E. (1969), I banditi, Torino, Einaudi. Molfese, F. (1966), Storia del brigantaggio dopo l’unità, Milano, Feltrinelli. Padula, V. (1878), Il bruzio. Paparazzo, A. (1984), I subalterni calabresi tra rimpianto e trasgressione, Milano, Franco Angeli. Pedio, N. (1997), Brigantaggio meridionale: 1806-1863, Lecce, Capone Editore. Pirandello, L. (1937), “L’altro figlio” da Novelle per un anno, vol. II, Milano, Mondadori.
RACCOLTA DI PROVERBI A b o l i re l a m i s e r i a d e l l a C a l a b r i a www.almcalabria.org
Estratti da “LA Calabria”(*), antologia della rivista di letteratura popolare di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido * Citta del Sole edizioni, Giugno 2009
Piuttosto che riportare una lunga sfilza di proverbi alla rinfusa, così come la memoria viene snocciolandoli ad uno ad uno, mi piace meglio raggrupparli in classi; le quali credo sia più conveniente togliere da una specie di ricostruzione del lavorio psicologico, che il popolo fece e continuamente va facendo per formarsi quella filosofia pratica, che al merito dell’assoluta mancanza di discussioni aggiunge l’altro, di non esser priva di quella spigliata aggiustatezza, che forma il principale carattere del nostro popolo calabrese. Dalla osservazione delle cose e dei fenomeni si ricavano tutte le similitudini, le quali, occasionate da un caso speciale, e comprovate dalla rappresentazione dei precedenti, che per associazione di idee si presentano, prendono dalla loro specialità tale generalizzazione, che calzano a meraviglia a tutti i casi che si presenteranno in sigillo caratterizzati da quelle date specialità. Egli è quindi quello che mi pare il miglior metodo per una raccolta di proverbi popolari, il quale si basi sopra una classificazione tratta da questo lavorio psicologico; ed io distinguerò in tante classi tutti i proverbi, quante sono le fonti differenti onde trassero origine: quantunque tale classificazione possa vedersi più formale che sostanziale. Dalla osservazione interna ed esterna della persona umana è derivato un numero di proverbi : Panza chijna fa cantari, non cammisa netta; ossia bisogna stare più alla sostanza che alle apparenze, badare molto all’arrosto e poco al fumo. A casa du mpisu non diri: mpendi sta lumera; all’individuo sospettoso qualunque parola più innocente può sembrare un insulto; onde, parlandogli, bisogna star sempre in guardia. Cu si movi non s’u mangianu i muschi; che bellamente richiama la immagine dantesca della punizione degli infingardi. Questi sciagurati che mai non far vivi erano ignudi e stimolati molto da mosconi e da vespe che erano ivi. Cu voli u mangia cu du’ ganghi s’affuca; bisogna in tutto usare parsimonia; al quale proverbio sono collegati, per medesimo significato, gli altri due: Cu mangia pocu mangia sempre, e cu mangia assai s’affrica; Megghiu u pocu chi dura c’ a assai chi spiccia; mentre un altro si oppone, messo in giro da un qualche buon tempone gaudente, e volentieri è stato, quando torna conto, a giustificazione del proprio operare: Megghiu na Pasca ca tanti Pascarelli Cu fa dassa ca poi, non fa mai casa; che risponde all’italiano: Chi ha tempo non aspetti tempo. --Agricoltura e bachicoltura Cu’ zappa fundu e cu’ lavura chianu All’aja (2) si vidi paladinu. Chi zappa fondo e chi lavora adagio All’aia si vede paladino, cioè forte, ricco
Igiene e Medicina A la Nunziata (25 Marzo ) la spica è nata. Nel giorno della Nunziata la spiga è nata Cu simina nt’ a vigna, No meti, e no vindigna. Chi semina nella vigna, Non miete ne vendemmia --Etica per tutti i gusti Mali no fari e pagura non aviri. Non fare male e non aver paura Cu’ fa mali, mali aspetta Chi fa male, male aspetta Cu’ si cuntenta di lu meu dolu, Lu meu è vecchiu e lu soi è novu Chi si rallegra del mio dolore, II mio è vecchio ed il suo è nuovo Cu’ simina spini no po’ jiri scauzu. Chi semina spine non può andar scalzo. Nommu va scauzu cu’ simina spini, Si no si pungi a la dimenticata Che non vada scalzo chi semina spine, Se no si punge alla dimenticata. Cu’ si fa gabbu, nci cogghì lu labbru A chi si fa gabbo soppura il labbro Cuscenza lesa fa 1’omu timidu Coscienza lesa fa l’uomo timido Cu’ no si faci 1’affari soi, Cu’ la lanterna va trovandu guai Chi non si fa gli affari suoi, Va trovando guai con la lanterna --Atavismo Ognunu nesci a li soi. Ognuno ritrae dai suoi. Quali patri tali figghiu. Qual’ è il padre tal’ è il figlio. Figghia di gatta surici pigghia, Quandu la gatta surici no pigghia, O gatta non è o di gatta non è figghia. La figlia di gatta prende sorci, Quando la gatta non prende sorci, O non è gatta o non è figlia di gatta. L’arti du tata è menza ’mparata. L’ arte del padre è quas’imparata. Bonu vinu finc’ a la fezza, Bonu pannu finc’ a la pezza. II buon vino fino alla feccia. Il buon panno fino alla pezza. Quandu lu porcu è porcu di natura, Hai vogghia ca lu fai lu strica e lava. Quando il porco è porco per natura, Hai un bel stropicciare e lavare. La terra nigra fa lu brundu ranu. La terra nera produce il grano biond ---
Di Medicina e Cocu Tutti ndi sannu nu pocu. Di medicina e di culinaria. Tutti ne sanno un poco.
No fimmana, ne tila A lumi di candila Né donna, né tela A lume di candela --Educazione
Cu’ havi saluti è riccu e no u sapi Chi ha salute è ricco e non lo sa.
L’ arburu s’addirizza quand’è tennaru L’albero si raddrizza quand’è tenero
A Medicu, Cunfessuri ed Abbocatu, No teniri nenti ammucciatu. Al Medico, al Confessore e all’Avvocato Non tenere nulla nascosto.
Porci e figghioli, Comu li ’mbizzi accussi li trovi Porci e figliuoli, Come lì avvezzi così li trovi
Matrimoni ’ntra stritti parenti, O longhi guai o curti turmenti. Matrimoni fra stretti parenti, O lunghi guai o corti tormenti. --Matrimoni, famiglia, parentele
Mazzi e panéri fannu li figghi beri, Panéri, senza mazzi, fannu li figghi pazzi Batoste e panini fanno i figli belli, Panini, senza batoste, fanno i figli pazzi Li lignati fannu abati Le bastonate fanno abate
Matrimoni e Viscuvati Su dal Cielu destinati I Matrimoni ed i Vescovadi Sono destinati dal Cielo Matrimoni ’nta stritti parenti, O longhi guai o curri turmenti Matrimoni fra stretti parenti, O lunghi guai, o corti tormenti
Cu’ pratica cu zoppi, all’annu zoppia Chi pratica con zoppi, all’anno zoppica
Matrimoni posterari, figghi promenti. Matrimoni tardivi, figli primaticci
Cu si curca cu cani, cu pulici si leva Chi si corica con cani, si alza con pulci
Cù si marita si menti la varda E va gridandu comu ciuccia gurda Chi si marita si mette la barda E va gridando come asina sazia ------Donna Na fimmana e na sumera Ribejanu na fera Una femina ed un’ asina Mettono in scompiglio una fiera
Dimmi cu cui vai E ti dicu chiru chi fai Dimmi con chi vai E ti dico quel che fai
Na pecura rugnusa ’mpesta na mandra Una pecora rognosa infetta una mandria A troppu cunfidenza È parenti da malacrianza La troppa confidenza È parente della malacreanza Galantuomo e Villano
Poti cchiù nu pilu di fimmana a ’nchianata, Ca centu carra a la calata. Pote più un pelo di donna alla salita, Che cento carri alla scesa
Lu galantomu si teni di la parola e lu voi di li corna Il galantuomo si tiene dalla parola, il bove dalle corna
Li donni, comu su’, fannu li cosi, Li ligna, comu su’, fannu li vrasci Le donne, come sono, fanno le cose, Le legna, come sono, fanno le brace
La parola d’ u galantomu è strumento La parola del galantuomo è istrumento.
Si voi vidiri la bona massara, Guardala quandu fila a la lumera Se vuoi vedere la bona massara, Guardala quando fila alla lumiera. All’omu a scupetta a fimmana a cazetta All’uomo lo schioppo, alla donna la calzetta
Lu galantomu si canusci a la tavula e a lu tavulinu II galantuomo si conosce a tavola e al tavolino. L’ aceju si canusci a lu cantu e l’omu a lu parrari L’ uccello si conosce al canto e 1’ uomo al parlare
Pagghia a la pagghiera e la fimmana a la lumera La paglia alla pagliera e la femina alla lumiera.
Mangia carni di pinna e sia cornacchia, Curcati cu na gnura e sia na vecchia Mangia carne di penna e sia di cornacchia, Coricati con una signora e sia una vecchia
Duvi no ’nci su’ campani, No ’nc su’ b...... Dove non vi sono campane, Non vi sono p.....
Tratta cu megghiu di tia e fanci li spisi Tratta con migliori di te e fa loro le spese
Continua nel prossimo numero
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