Abolire la miseria della Calabria

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Nel 150° dell’Italia Unita

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Un numero unico

Un numero unico solo 1,00

Copia Omaggio Un contributo libero è gradito

Con il contributo della

L'Unità d'Italia:

nascita della questione meridionale

Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Nonostante ciò non rifarei oggi la via dell'Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio.

Giuseppe Garibaldi

Generoso cuore, ferro e libertà La via calabrese verso l’Italia Unita ----

I LUOGHI DELLA GUERRA DEL 1860 IN CALABRIA >> a Pag. 6 e 7

Le forze d'opposizione ed i

Repubblicani del 1848 >> a Pag. 4 ISSN 2037-3945 Abolire la miseria della Calabria Anno V - n°01,02 e 03

Periodico nonviolento di Storia, Arte, Cultura e Politica laica liberale calabrese Gennaio - Marzo 2011 - Anno V - N. 1, 2 e 3

Con il contributo della

L’Attualità di Giuseppe Mazzini,

Direttore Responsabile: Filippo Curtosi - Direttore Editoriale: Giuseppe Candido

sindacalista socialista a distanza di un secolo e mezzo di Maria Elisabetta Curtosi

azzini, a ragione, viene considerato l’antesignano del sindacalismo nazionale, cioè parliamo di quel sindacalismo che non si esaurisca nella lotta di classe, poichè temeva che in Italia una g uerra di classe avrebbe prodotto facilmente una reazione che avrebbe ritardato sia la conquista totale dell’indipendenza nazionale sia lo sviluppo economico del paese. Aveva osservato che la borghesia era diventata volubile, e l’appoggio più costante gli proveniva dagli operai, uno dei motivi che lo

inducevano a denunciare la divisione provocata dal comunismo che si traduceva, a suo vedere, in un espediente illiberale e oppressivo con cui un gruppo di intellettuali intendeva impadronirsi del potere assoluto sull’intera comunità. Per Mazzini il comunismo era una “falsa utopia” ed era certo che un giorno le classi lavoratrici si sarebbero visti riconoscere il loro ruolo di componenti primarie della società. Della questione sociale si è interessato durante tutto il corso del suo “apostolato” che sostanzialmente consistette nell’elevazione

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L’Ottocento, un secolo cruciale

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Il Sud si sente tradito e depredato da chi avrebbe dovuto sanare le strutture feudali lasciate dai Borboni

di Giovanna Canigiula*

Ottocento è un secolo cruciale nella storia dell’Italia e della Calabria ma, val bene ricordarlo, è preparato, sotto la spinta della rivoluzione francese, dal triennio 1796-1799, in cui si gettano le basi di un ritrovato nazionalismo e si ridefiniscono i termini della vita politica italiana, poiché sono sul tappeto le grandi questioni degli anni a venire: libertà, democrazia, indipendenza, unità. Agli inizi del secolo Napoleone, dopo aver creato la Repubblica Cisalpina, col proclama di Schoenbrunn dichiara finita la casata borbonica, costringe Ferdinando IV alla fuga in Sicilia, mette sul trono il fratello Giuseppe Bonaparte, quindi dà mandato al generale Massena di occupare il Regno di Napoli e al generale Reynier di ridurre al dominio francese una Calabria già prostrata dal violento terremoto del 1783 e dalla dura repressione, seguita alla breve parentesi della Repubblica partenopea del 1799, ad opera del cardinale Ruffo, sbarcato a Reggio in qualità di Vicario Regio. A Monteleone i francesi sono accolti a braccia aperte, ma il controllo del territorio non è facile, in quanto le truppe borboniche hanno l’appoggio di bande di briganti che ostacolano le comunicazioni, depredano i villaggi, uccidono. Nel monteleonese il brigante Bizzarro, a capo di 400 uomini, mette a dura prova il generale Messana che

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chiede inutilmente, con un bando, la resa pacifica delle armi. La situazione si normalizzerà, infatti, solo dopo la dura repressione del francese Manhès nel 1810. Con Gioacchino Murat, salito al trono nel 1806, la Calabria è divisa in due province: quella Citeriore, con capoluogo Cosenza, e

Luigi Br uz z ano Monte le one 1838- 1 9 0 2

quella Ulteriore, con capoluogo Monteleone che, dopo tre secoli, cessa di essere feudo e diventa, grazie anche alla posizione strategica, un centro di grande rilievo. La fine dell’Età napoleonica e, in Calabria, della centralità di Monteleone, è segnata dal congresso di Vienna del 1815, che riconsegna il regno di Napoli a Ferdinando IV, col titolo di Ferdinando I Re delle due Sicilie. Inizia, con la Restaurazione, un periodo di decadenza economica e sociale che dura fino al 1860 e oltre, come testimonia anche il vistoso calo della popolazione. Tuttavia, a dispetto del declino, il fermento culturale e politico del periodo è intenso. Già alla fine del Settecento avevano cominciato a circolare, fra gli intellettuali monteleonesi, le idee liberali della Rivoluzione francese e della Massoneria che, perseguitata a più riprese da Carlo III e Ferdinando IV, aveva attecchito perché auspicava la fine di principati e sacerdozi, in quanto compromissori della libertà che Dio ha dato all’uomo. Dopo il 1815, inoltre, si vanno diffondendo in tutta Italia le “vendite carbonare”, col parziale contributo di quel ceto borghese che aveva visto ridimensionate, con la caduta di Napoleone, le proprie prerogative. Senza un reale programma politico, esse legano la loro vicenda nazionale a quella >> Pag 2 e 3


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Speciale 150° dell’Italia Unita

L’Ottocento, un secolo cruciale*

Il Sud si sente tradito e depredato da chi avrebbe dovuto sanare le strutture feudali lasciate dai Borboni di Giovanna Canigiula

segue dalla prima

che si vede nel resto della regione. Certo, l’istruzione è ancora per pochi: trascurata dai francesi, è volutamente negata dai Borboni, secondo cui il popolo non deve pensare ma è sufficiente che conosca i rudimenti dell’alfabeto. Alle bambine, ad esempio, si richiede essenzialmente di saper lavorare a maglia e di avere una buona formazione cristiana. E tuttavia, nei primi anni Quaranta, è attivo un gruppo di giovani di idee liberali, come Musolino (fondatore a Napoli dei Figli della Giovane Italia, cui aderisce Luigi Settembrini), Presterà, Santulli, Morelli, Nicotra, Ammirà, Capialbi, che si riuniscono a casa di Cordopatri o al caffè Minerva. Falliscono però, e tragicamente, i moti di Cosenza del 1844 e di Reggio del 1847. A Cosenza un giovane Plutino, reduce dal Comitato centrale di Napoli, aveva riferito agli aderenti alla Giovane Italia la decisione dei vari partiti costituzionali e dei repubblicani di Çpiegar le bandiere di fronte ai vitali interessi della nazioneÈ: Mazzini, in sostanza, aveva offerto la corona d’Italia a Carlo Alberto perché guidasse la lotta contro l’Austria e solo una futura costituente nazionale avrebbe deciso la forma di governo migliore. La rivolta, scoppiata il 15 marzo del 1844, è subito repressa, ma la notizia non giunge a Corfù da dove i veneziani Bandiera, ex ufficiali della marina austriaca, partono per portare il loro aiuto. Sbarcati a Crotone, guidati da quello che considerano un profugo politico, in realtà il brigante Meluso, vengono traditi, catturati nei pressi di San Giovanni in Fiore e condannati a morte. Il Generale Francesco Stocco Tre anni dopo, in una Reggio che ritiene maturi i tempi, uno dei Mille, e un comandante dei volontari calabresi rientrano diversi studenti da Napoli, Palermo, Torino per fare propaganda rivoluzionaria. Ancora una volta le violenta: donne, vecchi e bambini vengono torturati decisioni arrivano dal Comitato napoletano di liberperché facciano i nomi degli affiliati alle sette. azione: l’insurrezione dovrà partire, contemporaneaNé va meglio da Napoli a Torino: i moti del 1820-21, mente, da Cosenza e Palermo. Ma i siciliani non ci stanche non registrano la partecipazione del popolo e nep- no: vogliono la costituzione solo trattando pacificapure delle classi medie, falliscono. Diversi, tuttavia, i cal- mente col re. é un nativo di Santo Stefano abresi che vi partecipano e, fra questi, il monteleonese d’Aspromonte, Romeo, a decidere: toccherà a Messina e Michele Morelli che, a Nola, è catturato e subito ucciso. Reggio insorgere per attirare le truppe borboniche in Delude anche il biennio 1831-33, nonostante la discesa maniera da consentire ai rivoltosi, attraverso la via dei in campo della borghesia. monti, di raggiungere Palermo e Napoli. A Messina la Comincia, così, un periodo di relativa stasi in cui si rivolta è subito sedata. A Santo Stefano d’Aspromonte, riflette sul fallimento dei moti e si prepara, sotto l’egida benedetta la bandiera dal parroco e accorsi aiuti da tutti di Mazzini e dei liberali, ora in sintonia ora divergenti, i paesi limitrofi, si insorge al grido di Çviva il re costiuna nuova idea d’Italia. Parole d’ordine: indipendenza, tuzionale, viva la libertàÈ. Ma si perde tempo, a vantagunità, libertà. Strumenti: educazione e insurrezione. gio del generale Nunziante che, da Pizzo, risale via via Necessità individuata: mobilitazione popolare. A fino a Monteleone e oltre, riuscendo ad accerchiare i rivMonteleone, che conta ormai meno di ottomila abitan- oltosi costretti sui monti: chi non muore, è condannato ti, gli anni Trenta sono tempo di rinascita: si apre al carcere duro. l’ospedale civile sui resti dell’antico convento carmeli- E' il 1848 la data cruciale per l’Europa: i popoli si ribeltano, giunge in visita Ferdinando II che promette la lano ai governi assoluti; da una Sicilia che ha anima sepcostruzione di un orfanotrofio e di un istituto agrario, aratista parte l’insurrezione che presto infiamma l’intero fioriscono attività artigianali e opifici come quello per la napoletano; Venezia e Milano sono teatro di rivolta lavorazione della seta, lavorano diverse tipografie, è pre- contro gli austriaci. La partecipazione dei calabresi è sente una scuola pittorica che, aperta nel Seicento, con- grande. Rientra, dopo un esilio di circa trent’anni, quel tinua a produrre tele su committenza non solo religiosa Guglielmo Pepe che prima aveva combattuto al fianco ma anche privata. di Murat contro gli Austriaci e poi partecipato ai moti Uno svizzero, Didier, nel resoconto del suo viaggio in del 1820. A Reggio gli studenti scendono in piazza. Calabria, parlerà della Monteleone di questi anni come Ferdinando II, messo alle strette, è costretto a concedere di un centro che va europeizzandosi, a dispetto di ciò la costituzione, che prevede l’istituzione di una Commissione dei Pari in cui entrano due ABOLIRE LA MISERIA DELLA CALABRIA monteleonesi, Taccone e Gagliardi. L’esempio w w w. A L M C A L A B R I A . o r g sarà seguito in Piemonte, in Toscana, a Roma. periodico nonviolento di storia, arte, cultura e politica laica liberale calabrese Il disaccordo tra re e Parlamento sulla formula ISSN: 2037-3945 (Testo stampato) 2037-3953 (Testo On Line) ----------------------------------------------------------------------------------- del giuramento, però, induce Ferdinando II a sciogliere la Camera dei deputati riunita a Direttore Responsabile: Filippo Curtosi Monte Oliveto. Il 15 maggio è guerra civile. La Direttore Editoriale: Giuseppe Candido notizia raggiunge la Calabria dove i Comitati Vice Direttori: Giovanna Canigiula, Franco Vallone ----------------------------------------------------------------------------------- per la salute pubblica di numerosi centri insorEditore: Associazione culturale di volontariato gono. A Cosenza si forma un governo provvi“NON MOLLARE” - Via Ernesto Rossi, 2 - Cessaniti (Vibo Valenza) sorio che dichiara rotto ogni patto tra il re e il Reg. Operatori Comunicazione (ROC) 19054 del 04.02.2010 popolo e chiede aiuto ai siciliani nella lotta per Redazione, amministrazione e impaginazione V ia Crotone, 24 – 88050 Crop an i (C Z ) l’indipendenza; Catanzaro è in subbuglio; a Tel/Fa x . 0961 1916348- c el l . 347 8253666 Reggio si vivono ore di attesa; a Sant’Eufemia e.mail: almcalabria@gmail.com - internet: www.almcalabria.org d’Aspromonte convergono i patrioti reggini Stampa: BRU.MAR - V.le dei Normanni, 23/q - CATANZARO guidati da Plutino, Romeo, Cuzzocrea, Di Tel.0961.728005 - cell. 320.0955809 ------------------------------------------------------------------------------------ Lieto che, con 500 volontari, formano il Registro Stampa Periodica Tribunale di Catanzaro N°1 del 9 gennaio 2007 ------------------------------------------------------------------------------------ Corpo dell’esercito calabro-siculo. Si appelPeriodico partecipativo: la collaborazione è libera a tutti ed è da lano, con volantini, al popolo, “carne venduta alle voglie di ogni dispotico capriccio”, perché considerarsi totalmente gratuita e volontaria Gli articoli riflettono il pensiero degli autori che si assumono la responsabilità di fronte la legge riprenda in mano il suo destino senza più affiHanno collaborato a questo numero: darsi al sovrano. A Monteleone la gendarmeria Giuseppe Candido, Giovanna Canigiula, Filippo Curtosi, Maria Elisabetta Curtosi, borbonica è disarmata, ma lo sbarco del genProgetto Grafico e impaginazione : Giuseppe Candido erale Nunziante pone subito fine all’insurQuesto numero è stato chiuso il 17 Marzo 2011 alle ore 17,30 rezione in tutte le province. Ricominciano, cos“, le trattative. B U O N C O M P L E A N N O I T A L I A ! Il re fissa, per il 15 giungo, i comizi per europea, sulla base dell’idea che libertà individuale e libertà dei popoli siano incontestabilmente collegate. A Monteleone sono attive, in questi anni, due “vendite”, quella della Valle del Mesima e quella della Valle d’Angitola, vecchi nomi di significativa derivazione massonica. Il malcontento della popolazione, del resto, è enorme: le tasse sono esiziali, il commercio è danneggiato dalle imposte doganali, la proprietà rustica è deprezzata. In Calabria la repressione dei carbonari è

l’elezione dei deputati; il Parlamento inizia i suoi lavori a luglio ma, l’anno che segue, è denso di tensioni finché, nel giugno del 1849, sciolto il Parlamento, tolta la coccarda tricolore dalla bandiera bianca, ricomincia l’ondata delle persecuzioni. Si assiste, nei tre anni successivi, a una serie di processi farsa a danno dei liberali, in cui il nuovo Procuratore Generale, Morelli, detto la “jena”, contribuisce alla distorsione dei fatti per favorire le condanne. I ricorsi degli imputati vengono rigettati dalla Corte Suprema di Napoli e solo la protesta popolare fa s“ che le condanne siano mitigate: sei su 49 i condannati, con pene da sette a trent’anni. Nel 1852 Ferdinando II scende di nuovo in Calabria, di nuovo Monteleone lo ospita, ma il clima resta teso: si susseguono vendette, persecuzioni, perquisizioni. La magistratura è sotto pressione, gli studenti sono tenuti d’occhio. é di questi anni l’arresto del monteleonese Ammirà che, processato per la sua attività di diffusione delle idee liberali, è accusato persino di offendere il buon costume in quanto tiene in casa una copia del Decameron di Boccaccio. Non è comunque venuta meno, nonostante le batoste, l’azione dei liberali monteleonesi. Lo stesso re rischia la vita per mano di un calabrese, Agesilao Milano, che, dopo la leva, riuscito con uno stratagemma ad entrare nel corpo dei Cacciatori, durante la parata dell’8 dicembre del 1856 a Campo Capodichino, riesce a raggiungere Ferdinando II e a colpirlo col calcio del fucile. Intanto, mentre il dibattito nazionale divide l’ipotesi mazziniana di una rivoluzione popolare dalla proposta monarchico-governativa di Cavour, le vicende precipitano e le due soluzioni finiscono col trovare una sintesi. Nel 1857 fallisce la spedizione a Sapri di Pisacane, che ha al fianco i calabresi Nicotera e Falcone. Mazzini sacrifica definitivamente l’idea repubblicana alla libertà degli italiani, i franco-piemontesi combattono contro gli austriaci, crollano i ducati di Toscana ed Emilia, nasce il regno dell’Italia del nord. I successi infiammano il sud: a Reggio, nella bottega di un barbiere, si radunano a più riprese i rivoltosi. La spedizione in Sicilia è uno dei momenti chiave dell’unità d’Italia: nel 1859 Francesco II subentra al padre, fiuta la tristezza dei tempi e si affretta a concedere la costituzione, ma è tardi e tutti lo abbandonano. L’anno successivo Garibaldi sbarca a Marsala, sbaraglia i borbonici, raggiunge da liberatore Palermo e si appresta ad attraversare la Sicilia mentre a Reggio Calabria sono pronti i comitati insurrezionali, che arruolano volontari allo

Gioacchino Murat scopo di formare un campo in Aspromonte. E' l’uomo giusto, pragmatico e capace di animare il popolo, senza necessariamente avere lo spessore del maestro Mazzini poi rinnegato. La sua impresa aveva messo in moto i calabresi che vivevano a Torino e a Genova e che subito avevano avviato un’affannosa colletta di soldi ed armi. Da Quarto si erano imbarcati con lui nove cosentini, sei catanzaresi e altrettanti reggini. Destinazione Sicilia, dove tuttavia l’insurrezione era fallita sul nascere. Le tappe del generale erano state trionfali: Calatafimi, Palermo, Milazzo, Messina. Sotto la guida di Musolino e Plutino, ai calabresi era stato affidato il compito di occupare il forte di Altafiumara, sullo stretto, per facilitare il passaggio del generale. Il piano, però, era mutato e i patrioti erano risaliti sui monti per attirarvi le truppe borboniche della costa. A San Lorenzo, in duecento e ben accolti dalla popolazione, il 16 agosto danno il via all’insurrezione e, il giorno successivo, si ricongiungono con Garibaldi a Mileto. Intanto, le truppe borboniche di stanza a


Speciale 150° dell’Italia Unita Monteleone sono allertate e, proprio mentre Garibaldi e Bixio raggiungono Mileto, il generale Ghio prepara la ritirata a Napoli. Il 21 agosto, dopo aspri scontri, Reggio è conquistata e a Londra giunge la notizia che il Regno di Napoli è ormai cancellato dalle carte d’Europa. Ricomincia la salita. I paesi insorgono. Garibaldi raggiunge una Monteleone sguarnita che lo accoglie trionfalmente e vi sosta, ospite del marchese Gagliardi, dal balcone del cui palazzo incita la gente venuta ad ascoltarlo: “Se un popolo risponde al grido di libertà dice - esso è degno d’averla è. Proprio a Monteleone c’era stato un precipitoso quanto inutile cambio di guardia: il maresciallo Vial, preoccupato dalle notizie che giungevano, si era dimesso e da Pizzo, con un migliaio di soldati, si era imbarcato alla volta di Napoli; il suo successore, il generale Ghio, non aveva potuto far altro che abbandonare il paese e mettersi in marcia verso Tiriolo.

Ettore Capialbi (1812-1818) Sindaco di Monteleone Intanto, Catanzaro, Maida, la stessa Tiriolo vengono liberate. Da Maida Garibaldi chiede aiuto contro le truppe di Ghio ferme a Soveria Mannelli. Ed è a questo punto che la storia del poeta e patriota Luigi Bruzzano e quella della sua terra si intrecciano: il 30 agosto, a Soveria Mannelli, poco più che ventenne, prende parte allo scontro tra i garibaldini guidati dal generale Scocco, che aveva organizzato un suo gruppo, i Cacciatori della Sila, e i borbonici guidati da Ghio che, vistosi circondato dalle truppe nemiche posizionate sulle alture e incalzato frontalmente da Garibaldi, si arrende insieme ai suoi 10.000 uomini. Il resto del tragitto, fino a Salerno, è un passaggio attraverso rivolte già compiute. Nella cittadina campana Garibaldi incontra altri due calabresi, Salazar e Piria, lo stesso che di lì a poco, su incarico di Cavour, avrebbe preparato il plebiscito in Calabria. Poi la cronaca: in ottobre, a Teano, il Dittatore dell’Italia Meridionale consegna a Vittorio Emanuele II le due Provincie continentali delle Due Sicilie che, come ratificherà nel documento a sua firma dell’8 novembre successivo, lo hanno scelto quale loro Sovrano Costituzionale, unendosi alle altre Province d’Italia, con 1.302.064 di voti a favore e 10.312 contro. Fra i parlamentari del nuovo Regno un monteleonese, Musolino e, fra i senatori, quel marchese Gagliardi che aveva finanziato l’impresa garibaldina. Gli ultimi decenni dell’Ottocento sono di grande fermento politico, economico, sociale e culturale in Italia, ma il Sud da subito arranca. Alla Camera il deputato del collegio di Melito Porto Salvo, Agostino Plutino, protesta ripetutamente contro la cattiva amministrazione regia, propensa a “piemontesizzare” i territori liberati da Garibaldi. Ovunque si chiede Roma capitale, ma la Francia si oppone e il governo Rattazzi scontenta tutti. Così Garibaldi, nel 1862, torna in campo, risale da Palermo verso Napoli ma è fermato e ferito dai Forestali, sull’Aspromonte, nel corso di uno scontro con i sessanta battaglioni che, guidati dal generale Cialdini, gli sono stati mandati contro, mentre a Reggio la Giunta Municipale, il Consiglio Comunale e gli ufficiali della Guarda Nazionale si dimettono. Garibaldi ritornerà in Calabria, ammalato, nel marzo del 1882, per raggiungere Palermo e partecipare alla commemorazione dei Vespri. Il viaggio in treno è lentissimo: dappertutto, lungo i binari, folle di calabresi giunte a salutarlo. Il legame con Reggio è forte, la città non l’ha mai dimenticato, nel decennio successivo alla spedizione gli ha conferito una medaglia, lo ha eletto presidente onorario della Società Operaia di Mutuo Soccorso, gli ha mandato un assegno di mille lire annue nel momento in cui lo ha saputo in difficoltà. Eppure, masse intere di contadini ridotte in miseria gli rimproverano di non aver mantenuto la promessa di una riforma agraria: l’agognata unità ha prodotto un ulteriore arretramento nelle loro condizioni di vita, provo-

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cando periodiche insurrezioni e acuendo il fenomeno del brigantaggio. é un piccolo esercito composito quello che si ribella, fatto di braccianti esasperati dallo sfruttamento dei latifondisti, dall’eccessiva tassazione, dalla privatizzazione delle terre demaniali, dalla vendita dei beni ecclesiastici, dall’obbligo del servizio di leva e poi di pastori, ex garibaldini, ex soldati dell’esercito borbonico, malviventi, latitanti: sono, per la gran parte, i “cafoni” di Salvemini in guerra contro i “galantuomini” locali e l’industrializzazione del nord. La repressione, affidata al generale Cialdini, è dura: la legge Pica del 1863, che gli conferisce poteri speciali, consente di colpire non solo i presunti briganti ma anche parenti e semplici sospettati. In Calabria, la rottura dell’isolamento ha creato le condizioni per l’avvio di una situazione stabile di marginalità economica. L’apertura di un mercato nazionale e l’estensione del gravoso sistema fiscale piemontese, grazie alle cinque leggi Bastogi che si sono susseguite tra il 1861 e il 1862, hanno colpito le poche industrie esistenti. Fino alla metà dell’Ottocento, infatti, la regione, nei territori del cosentino e del marchesato crotonese, produce il 70% della liquirizia consumata sul territorio nazionale e questo è l’unico prodotto che ancora a fine secolo riesce ad esportare in Belgio, Gran Bretagna e Olanda. A Catanzaro, Cosenza e Villa San Giovanni è stata a lungo attiva la manifattura della lana. Funzionavano bene i comparti alimentare e meccanico, la lavorazione di cuoio e pelli, le industrie estrattiva e metallurgica. Già alla vigilia degli anni Settanta e nel ventennio successivo cambia tutto: la crisi agraria, conseguenza di un mercato libero che trova le campagne impreparate a competere con i paesi europei, determina il crollo di settori trainanti come quello granario e vinicolo; declinano le industrie e le piccole unità produttive di tipo artigianale; prende il via il fenomeno migratorio, unico in grado di determinare quel flusso di risorse che può dare respiro alla bilancia dei pagamenti e consentire, a molte famiglie, di sottrarsi alla miseria. Il malumore è enorme: il Sud si sente tradito e depredato da chi avrebbe dovuto sanare le strutture feudali lasciate dai Borboni e, invece, adotta una politica di rapina. Nessun governo pare realmente interessato alle sorti della parte più debole e arretrata del paese: è di Depretis la tassa sul grano, come di un meridionale, Crispi, quella politica protezionistica che va ad intaccare la piccola coltura vinicola ingrassando le entrate del Nord e i latifondisti del Sud, ben rappresentati in Parlamento e favoriti da un sistema elettorale che esclude dal diritto di voto chi non sa leggere e scrivere. Salvemini invoca il federalismo come unica faticosa via d’uscita; ancora negli anni Venti del nuovo secolo Gramsci denuncerà il “patto mostruoso” tra la classe liberale e progressista del Nord e i latifondisti reazionari del Sud voluto da Crispi che, alla domanda di terra dei contadini meridionali, risponde con la facile promessa delle conquiste coloniali. Appare lontanissimo quel Nord insieme al quale si è lottato per l’indipendenza e l’unità. Lì crescono i poli industriali; si forma un proletariato industriale con ansie e istanze diverse da quelle degli operai che, lavorando in fabbriche avvantaggiate dal protezionismo, godono di miglior trattamento salariale; cresce una coscienza operaia di classe che avanza le sue rivendicazioni non più solo attraverso la rete solidale delle Società Operaie di Mutuo Soccorso ma anche attraverso l’Associazione Internazionale degli Operai, di matrice anarchica. Si discute e, nella Milano del 1882, si giunge alla costituzione del Partito Operaio Italiano, subito ridotto alla clandestinità dalla parte più conservatrice della borghesia. E, però, il fiume è inarrestabile: si diffonde il marxismo; nel 1889 delegati italiani del Partito Operaio partecipano, a Parigi, alla Seconda Internazionale; le diverse categorie dei lavoratori si organizzano in federazioni; si costituiscono le prime Camere del Lavoro; nasce a Genova, nel 1892, il Partito Socialista, che tenta di mediare tra socialdemocrazia e spinte rivoluzionarie. La crisi del ’93, che segna un regresso delle condizioni di vita di operai e contadini, non trova impreparati e, alla fine degli anni Novanta, sono proprio gli operai a scendere in piazza, da soli e senza grossa organizzazione, intanto che i socialisti tentano la via della mediazione e si spaccano. Il secolo si chiude con lo sciopero generale di Genova. Diffuso è il pregiudizio, anche in ambiente operaio e favorito dal riformismo socialista, che l’arretratezza del Mezzogiorno sia legata all’inferiorità della sua razza. Quando Gramsci affronterà la questione meridionale individuando nell’alleanza tra la borghesia settentrionale e i grandi proprietari terrieri del sud le ragioni dell’immobilismo semifeudale del Mezzogiorno ridotto,

Pag 3 insieme alle isole, a “colonia di sfruttamento” - inviterà il proletariato industriale del nord ad allearsi con i contadini del sud e a guidare la lotta per l’emancipazione. E tuttavia, nei piccoli centri calabresi, sia pure con forte caratterizzazione locale, non manca il fermento culturale che si respira nel resto del paese. A Monteleone di Calabria, all’indomani dell’Unità, si succedono come sindaci gli uomini che avevano guidato idealmente il rinnovamento, come Cordopatri, Gagliardi e Capialbi; scrivono e pubblicano figure versatili come Cordopatri, Morelli, Santulli, Pignatari, Lumini, Morabito, Ammirà, Marzano, Gasparri, Mele; uno dietro l’altro vedono la luce diversi fogli periodici, in cui è dato grande risalto ai problemi locali e alle tradizioni popolari e che meriterebbero maggiore approfondimento: “La Voce pubblica”, “La Verità”, “La Ghirlanda”, “Folklore calabrese”, “Cronaca Vibonese”, “Il primo passo”, l’“Avvenire Vibonese” di Eugenio Scalfari e, dal 1889 al 1902, “La Calabria. Rivista di letteratura popolare” di Bruzzano. Luci e ombre, comunque: il secolo qui si chiude, infatti, con l’arresto dei fratelli Raho, nella cui tipografia si stampavano giornali democratici e socialisti. Muta poco nei primissimi anni del Novecento. Ancora fogli e periodici, testate di destra o socialiste, testimoniano un vivissimo pullulare di idee e interessi. Bruzzano, che si era dedicato al recupero delle tradizioni popolari in un momento particolarmente difficile per le masse del sud, muore nel 1902 e la sua cittadina si avvia al ventennio fascista tra alti e bassi. Vitalità politica e culturale, scavi archeologici e pubblicazioni di grande interesse come quelle di Umberto Zanotti Bianco e Paolo Orsi, personalità di spicco come Lombardi Satriani e, poi, l’altra faccia della medaglia, che racconta il disastro di due terremoti, la miseria e l’emigrazione, le cattive condizioni igieniche, la malaria.

Gio v a nna C a nig iula * Intervento tratto da La Calabria, antologia della

rivista di Letteratura popolare diretta da Luigi Bruzzano a cura di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido, Città del Sole edizioni

BIBLIOGRAFIA F.S. Nitti, Eroi e briganti, Longanesi, Roma-Milano, 1946, pp. 43-44 A. Dito, Storia della massoneria calabrese. Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria, Brenner, Cosenza, 1980 Giraldi, Il popolo cosentino e il suo territorio: da ieri a oggi, Pellegrini Editore, Cosenza, 2003, p. 165 e ss C. Carlino - G. Floriani, La “Scuola”di Monteleone. Disegni dal XVII al XIX secolo, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2001 A. Borello (a cura di), Cronistoria di Vibo Valentia. 1830-1899, in “Sistema bibliotecario vibonese”, “Biblioteca digitale”, 2000, p.263 e ss F. Aliquò Taverriti, La Calabria per la storia d’Italia, “Corriere di Reggio”, Reggio Calabria, 1960, p. 41 e ss V. Daniele, Ritardo e crescita in Calabria. Un’analisi economica, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005. Dello stesso autore è possibile consultare Una modernizzazione difficile. L’economia della Calabria oggi, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2001. M. Petrocchi, Le industrie del Regno di Napoli dal 1850 al 1860, Edizioni R. Pironti, Napoli, 1955. I A. Placanica, Storia della Calabria dalle origini ai nostri giorni, Meridiana libri, Catanzaro, 1993, p. 348 e ss G. Salvemini, Il federalismo, in R. Villari (a cura di), Il Sud nella storia d’Italia, vol. II, Laterza, Roma-Bari,1977, p. 348 e ss A. Gramsci, Il Mezzogiorno e la rivoluzione socialista, in R. Villari (a cura di), op. cit., p. 535 e ss. Sullo stesso tema cfr. A. De Viti De Marco, Il miraggio della Libia, in R. Villari (a cura di), op. cit., p. 424 e ss M. Michelino, 1880-1993. Cento anni di lotte operaie, Edizioni Laboratorio politico, Napoli, 1993. N. Colajanni, Per la razza maledetta, in R. Villari (a cura di), op. cit., p. 431 e ss.


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Le forze d'opposizione ed i Repubblicani del 1848 Riforma significa “preparare le forme d'un ordine nuovo”

C'è bisogno di ristabilire la legalità costituzionale stessa delle nostre Istituzioni. A tutti i livelli ragione Pierluigi Bersani che, con la formula della lettera al direttore, si è rivolto alle forze politiche, sociali e culturali “responsabili” per chiedere “l'impegno per una riscossa italiana”. “Riforma repubblicana e un patto per la crescita” in estrema sintesi. Ma nel suo intervento il leader del PD dice molto di più, e con lessico quasi radicale, parla di “riorganizzazione della democrazia parlamentare”, di un “nuovo patto fondamentale in campo economico e sociale su terreni fondativi della fiscalità e delle relazioni sociali”. Giustizia, legge elettorale, welfare. Guardiamo dunque “oltre” Berlusconi come chiede Bersani e riferiamoci ai “valori Costituenti”, al nostro patto fondamentale che però, più volte, è stato già tradito dalla partitocrazia. È stato detto che, nel 1848, l'amore della forma repubblicana fu “causa di danno alla ricostituzione nazionale”. È vero? Potrebbe riesserlo oggi? Bisognerebbe rileggere attentamente e non solo “celebrare” le ragioni di quei moti che ci portarono ad essere italiani. Repubblicani e Federalisti possono coesistere? Certo. Furono repubblicani federalisti uomini come Altiero Spinelli, Luigi Einaudi, Emilio Taviani, Ernesto Rossi, Ugo La Malfa e, più di recente, De Gasperi, Gianfranco Miglio e Pio XII autore di vari testi nei quali auspicava la creazione di una federazione europea. Ed ha ragione da vendere il Presidente Giorgio Napolitano quando afferma che non celebrare i 150 anni dell'Italia Unita costituirebbe l'indebolimento stesso delle “legittime istanze” di una Repubblica federata con l'Europa e federale, con Regioni ed autonomie locali davvero autonome. “La pratica del federalismo nell'organizzazione dello Stato”, come si legge a chiare lettere negli “Scritti inediti” di Silvio Trentin (1885-1944) (Centro Studi Pietro Gobetti, Guanda editore, Parma, 1972), personaggio tra i più rappresentativi dell'antifascismo italiano, rappresenta la “sola possibilità di conciliazione della direzione dell'economia con la salvaguardia della libertà”. Anche oggi come allora, Riforma significa “preparare le forme d'un ordine nuovo”. Un nuovo ordine che sia veramente in grado di conciliare nel suo seno il soddisfacimento delle esigenze d'una economia il cui funzionamento esige la direzione unica e la razionalizzazione, con il rispetto di quel minimo di libertà individuale il cui godimento soltanto permette all'individuo d'esprimere e di far valere i suoi attributi essenziali, non può essere che questa: autonomia e federalismo”. Anche oggi come allora, “bisogna restituire allo Stato la sua costituzione naturale, la sua costituzione pluralistica, articolarlo sui centri vitali quali si sono spontaneamente creati attraverso il libero e variabile coagularsi delle forze sociali, ordinare il ritmo della sua esistenza secondo l'apporto continuamente mutevole delle molteplici sorgenti che concorrono al raggiungimento dei suoi fini istituzionali”. E non serve certo scambiare la storia con le “smaccate apologie” e “il vero desunto non dalle narrazioni cortigiane, ma dai fatti e dai documenti”. È in questo che, durante quel periodo storico, i repubblicani, Mazzini, Cattaneo, Manin, furono principalmente italiani, “a Milano, non di mezzo alle barricate di marzo sollevata la rossa bandiera; a Venezia, la ripie-

Ha

A quattromani garono, dinanzi alla grande immagine della patria, conculcata dallo straniero”. E Mazziniani – si legge in un lettera di Alberto Mario a Garibaldi - “erano i promotori della insurrezione di Sicilia, i Mille, 1'esercito meridionale, Mazziniano è la gioventù, Mazziniano, il popolo, poiché essere Mazziniano significa volere l'Italia libera, una, indivisibile”. Nessuno, allora, parlò di repubblica o monarchia: tutti, di Italia. II “moto” aveva allora carattere nazionale, non politico: non era stretto certo in rigide oligarchie di partito e ai migliori, ai più valevoli, era consentito di avere un ruolo. Il Pd, se vuol proporre la riforma repubblicana e chiedere l'impegno per la riscossa italiana, dovrebbe oggi interrogarsi sul perché il suo elettorato diminuisce mentre giovani e lavoratori non lo seguono più. Non sono più animati e si allontanano dalla politica sempre più “casta”, sempre più partitocrazia. Alla richiesta d'impegno per una riscossa italiana diciamo certamente sì. Ma nel 1848, ricordiamolo, era “Il grido di Italia”, soltanto, che echeggiava dalle Alpi all'estremo mare di Sicilia: i repubblicani volevano, anzi ogni cosa, la patria. Oggi il potere, la candidatura certa e la poltrona. “Pare certo che in un manifesto a tutte le Corti d'Europa – scriveva il Cattaneo nel '49 - il re attestasse che, invadendo il lombardo-veneto, egli intendeva solo d'imAlla vigilia della guerra contro l’Austria fu diffusa la vignetta di Cavour con la frase:

“fu, è, e sarà sempre il nostro buon papà”.

Quell’anno il sovrano piemontese inaugurò i lavori del Parlamento con le celebri parole: “Nel mentre che rispettiamo i trattati, non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi”.

pedire che vi sorgesse una repubblica; la quale poi di terra in terra, e per mera virtù d'imitazione, avrebbe abbracciata tutta la penisola”. Anche oggi, la formula della riforma repubblicana potrebbe davvero diffondersi come un virus benefico per la politica e “risolvere” assieme il problema atavico della non crescita e della scarsa produttività del nostro Paese. Ma perché funzioni davvero l'archibugio c'è bisogno di ristabilire la legalità costituzionale stessa delle nostre Istituzioni. A tutti i livelli. Nel 1889, per ricordare la figura di Mazzini, il Florenzano scrisse del suo “appello” per “L'Unione dei Partiti Radicali”. Val al pena rileggerle quelle poche battute. Ciò che Giuseppe Mazzini scriveva nel 1862 allo scrittore socialista spagnolo Ferdinando Garrido sul manifesto che esisteva fra i democratici ed i socialisti spagnoli a proposito delle cause che tengono disunite le diverse gradazioni del nostro partito, possono essere riproposte. Anche oggi, come allora, la sola differenza è che in Spagna il manifesto, il patto programmatico, era rivolto fra pochi socialisti e il partito repubblicano mentre ora, in Italia, il dissidio è grande perché, come nella neonata Italia di 150 anni fa, il Partito d'opposizione è diviso in tanti piccoli gruppi, “per quanti il progresso delle scienze sociali, l'attuale regime costituzionale, la miseria invadente ed in proporzione di questa, il malcontento ne hanno formati”. Ai repubblicani dunque, ai socialisti, ai comunardi e via dicendo, ai radicali in genere, val la pena davvero ripetere le parole del Mazzini: “Havvi un terreno comune abbastanza vasto perché vi possiamo stare tutti uniti”. Anche per noi “non esiste rivoluzione che sia puramente politica. Ogni rivoluzione deve essere morale e sociale, nel senso che sia suo scopo la realizzazione di un progresso decisivo sulle condizioni morali, intellettuali ed economiche della società”. Bersani scenda in campo dunque e rinnovi il suo partito dalla base, riformi la sinistra tutta con un patto repubblicano. E se volessimo davvero “guardare in faccia i problemi”, se davvero volessimo “cambiare l'agenda del Paese” radicalmente, assieme alla giustizia pensiamo ad esempio alle carceri, oggi divenute disumani e anticostituzionali “nuclei attivi di Shoah” che rimangono tali pure per le scelte “populiste” del PD che di repubblicano hanno davvero poco.

Carlo Cattaneo (1801 - 1869)


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L’Attualità di Giuseppe Mazzini sindacalista, socialista

Speciale 150° dell’Italia Unita

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<un miglioramento morale in noi stessi a capo di ogni mutamento di ogni grande impresa> di Maria Elisabetta Curtosi

segue dalla prima

...morale del popolo perché esso partecipasse con piena coscienza dei suoi doveri e delle sue funzioni alla rivoluzione italiana cioè alla conquista dell’unità nazionale e dell’indipendenza politica fondata sulla ...sua emancipazione morale. E questo problema fu cosi presente nel suo spirito che senti il bisogno di esprimerlo in una specie di testamento ideale, che alla vigilia della sua morte volle riassumere in una serie di articoli apparsi su “Roma del popolo” verso la fine del 1871 appunto sotto il titolo di “Questione sociale”. Il modo fondamentale per Giuseppe Mazzini era < un miglioramento morale in noi stessi> considerato per lui <a capo di

ogni mutamento di ogni grande impresa >. E la base di questo miglioramento era per lui l’istruzione, intesa prima di tutto come educazione, come elemento morale, come risveglio di una illuminata coscienza dei doveri, come missione civile, rafforzata da istruzione professionale che affinasse le armi delle classi operaie nella loro battaglia quotidiana per il programma economico e sociale. Battaglia che, sull’odio classista predicato da Marx, deve prevalere l’amore poiché <un germe di comunione e di amore è più potente a pro di un popolo abbandonato, che non certo grida di rabbiosa vendetta >. Per questo, egli postula il riordinamento del Lavoro e l’associazione come fonda-

Olio su tela (74,8 x 98), Silvestro Lega, 1873 Providence, Museum of Art, Rhode Island School of Design

<<... Mazzini adunque che per alcuni fu piuttosto un mito che un uomo di polpe e ossa lo vedi nel quadro di Lega sonnecchiare le ultime ore di febbre adagiato sul fianco destro e stese le braccia lungo la persona unir le mani che si tengono insieme. Non una violenza di chiaroscuro, non un valore brillante, lo storico plaid (era appartenuto a Carlo Cattaneo) a quadretti neri e grigi lo involge alla vita e lascia scoperta la tradizionale sciarpa nera che cinge il collo, unico e pallido accenno di colore alla estremità del braccio destro e nella camiciola che esce a contornar la mano con un colore violetto cupo, i capelli radi e grigi quasi tutti, staccano con finezza sull’ossea fronte vastissima e sul guanciale che gli sta sotto, il letto coperto di lenzuoli bianchi esce sul davanti del quadretto con una evidenza grandissima ...>> Diego Martelli, Giornale artistico, descrizione de “Il Mazzini morente”

mento che garantisca il salario come basa del mondo economico futuro. E’ l’invito all’associazione sindacale, all’affratellamento operaio, in cui gli scopi sociali ed economici s’innestano a quelli morali , educativi. La definizione sindacale non ha ancora corso, ma Mazzini ha una chiarezza sui quelli che saranno i futuri compiti del sindacato da fare invidia ai più moderni sindacalisti. Quindi il sindacato ha una funzione educativa che dovrebbe essere ancora preminente e sarà ancora di più se supererà la fase classista in cui ristagna. In altre parole dovrà restare “la Scuola delle masse” da cui dovranno venir fuori i degni rappresentanti dei lavoratori assieme ai nuovi istituti rappresentativi come la Camera del Lavoro o Consiglio legislativo dell’Economia e del Lavoro l’attuale C.N.E.L. Già prevede l’istituzione della Magistratura del Lavoro cioè i “ consigli conciliativi, composti per metà da padroni per metà da operai, usciti tutti naturalmente dall’elezione e presieduti da un soggetto capace”. Perché l’Apostolo sa perfettamente che << l’operaio, senza interesse alcuno materiale o morale nei risultati della produzione, non dà, in generale , e non quel tanto di lavoro necessario a rivendicargli il salario pattuito per cui ha dalla partecipazione sprone a produrre maggiormente e meglio>>. E rivolgendosi alle classi emancipate le pone di fronte alle loro responsabilità << o con voi o contro di voi>> è un ammonimento vecchio di un secolo e mezzo ma ancora di un’attualità sorprendente. Ma quel che oggi è preoccupante è che ciò oltre ad aver lasciato indifferenti quelle classi sociali a cui era direttamente rivolta, non è stata capita, nonostante un linguaggio esplicito e chiaro che aveva un solo obbiettivo: affermare la dignità e i diritti di tutti i lavoratori per fare diventare una nazione libera. Dovrebbero i nostri governanti prendere esempio da loro, invece di lavorare per dividere l’Italia e il mondo del lavoro. Maria Elisabetta Curtosi

Una indegnità centenaria

Monteleone, paese devoto all'inerzia e all'apatia

Un corsivo al veleno in occasione del centenario garibaldino

l primo centenario garibaldino trascorse in Monteleone di Calabria, <<paese devoto all'inerzia e all'apatia>> (oggi la città è conosciuta col nome di Vibo Valentia) senza un palpito che, anche fievolmente, accennasse alla sua vita civile. A ricordarcelo è il Pane! Giornale socialista “per i senza pane” che, nel numero 3 dell'anno I del 21 luglio 1907, a firma di Michele Pittò, allora gerente responsabile, pubblica un'articolo quanto mai attuale. “Assenteismo ufficiale, meno qualche rara bandiera monarchica al municipio, alle caserme, agli uffici fiscali, alle rivendite di privative, etc. - assenteismo nel popolo, il quale” - spiegava il giornalista - “ha vissuto quel sacro giovedì 4 luglio, come vive tutte i

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A quattromani

giorni dell'anno. Oltre le rare bandiere, pregiavano scarsamente le mura cittadine il manifestone della Massoneria romana e un manifestino anonimo, invitando con libera parola il popolo ad accorrere in Piazza Minerva per assistere alla commemorazione dell'eroe. Eppure Monteleone- ironizza ancora il giornalista – ha una numerosa schiera di massoni, una numerosissima scolaresca, la quale trova sempre, quando vuole, il tempo per fare delle dimostrazioni, una società operaia, della quale fanno parte moltissimi lavoratori, un manipolo di garibaldini più o meno autentici, una borghesia che si vanta di essere evoluta. Ebbene, tutte queste forze, negative sempre quando non si tratti di accompagnare il cadavere di qualche fratello “trepuntini” al cimitero, di far del chi-

asso per qualche articolo di regolamento scolastico, di gareggiare nelle manifestazioni festaiole per la Madonna di Pompei,per San Leoluca o per Sant'Antonio, con intervento di pratori sacri, più o meno celebri pei loro sofismi, socialistoidi a base di religione capitalistica e capestruola, che fa andare in solluccheri tanti signori con tanto di “aplomb” cittadino. Oggi queste parole volte alla città calabrese, viste le numerose polemiche su le celebrazioni per il 150° dell'Italia Unita, potremmo usarle per andare oltre le polemiche e sollecitare le riforme necessarie per mantenere uno stato unitario, non “centralistico”, ma basato su un sistema di autonomie locali autenticamente federale.


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Generoso cuore, ferro e libertà: La via calabrese verso l'Italia Unita

alatafimi, Salemi, Alcamo, Monreale, Palermo passando per il Piano di Renda. Poi Milazzo dove si combatté per le strade cittadine finché i regi borbonici preferirono ritirarsi nella fortezza dove furono poi costretti alla resa. Dopo essere sbarcato a Marsala l'11 maggio del 1860, in due mesi e mezzo Garibaldi si era impadronito dell'Isola. Aveva ripetutamente sconfitto forze di gran lunga superiori alle sue per numero e per armamento; aveva provocato una serie di insurrezioni in tutta la Sicilia rendendola ribelle alla dinastia borbonica ed offrendo ad essa la libertà. Sbarcato a Marsala con mille uomini, Garibaldi disponeva adesso di una forza decuplicata, ancora numericamente inferiore all'esercito borbonico ma con una consistenza sufficiente per affrontare la nuova impresa: il passaggio dello Stretto di Messina e l'avanzata nel territorio continentale del Regno delle Due Sicilie. L’impresa dell’unità d’Italia ebbe inizio (dal 1859) con l’unione della Lombardia al Regno di Sardegna compendosi nel marzo del 1861, quando a quelle regioni vi furono congiunte la Sicilia e il Mezzogiorno, le Marche e l’Umbria, e venne proplacamato il Regno d’Italia. Al compimento dell’Unità mancavano ancora il Veneto (1866), Roma e lo Stato pontificio (1870), la Venezia Tridentina e la Venezia Giulia (1918)

C

Da Melito Porto Salvo a Soveria Mannelli Un nuovo contingente di ottomila volontari, raccolti da Agostino Bertani, era destinato a sbarcare nello Stato pontificio. Ma il Cavour si mostrò ostile all'iniziativa e riuscì ad ottenere dal Bertani che i volontari venissero condotti in Sardegna e di là in Sicilia da dove sarebbero stati liberi di muovere verso lo Stato romano. Lo stesso Bertani, raggiunse Garibaldi a Messina per invitarlo a recarsi in Sardegna ad assumere il comando della spedizione contro lo Stato pontificio. Mentre il Generale si trovava in navigazione verso la Sardegna, la notte dell'otto agosto del 1860 ci fu il primo sbarco sulla costa calabra: seguendo le disposizioni impartite da Garibaldi, duecento uomini tra i più provati e ardimentosi furono inviati con agili scialuppe ad occupare il fortino di Altafiumara a Villa San Giovanni. Il calabrese Benedetto Musolino aveva garantito di essersi accordato coi sottufficiali del fortino; il drappello era comandato dal Racchetti e tra i componenti vi erano il Missori, il Nullo e Alberto Mario, che da poco aveva raggiunto il Garibaldi in Sicilia. Ma il tentativo non ebbe buona riuscita; i sottufficiali non dettero alcuna collaborazione ed il gruppo dovette desistere e ritirarsi sull'Aspromonte dove riuscì ad ottenere l'appoggio di quattrocento volontari calabresi. Nascevano così i Cacciatori della Sila. Lo sbarco in Calabria a Mélito Porto Salvo Rientrato dalla Sardegna, Garibaldi sostò a Palermo da dove ripartì compiendo il periplo dell'Isola e raggiungendo il 18 agosto le coste di Taormina dove ad attenderlo c'era il Generale Bixio con quasi quattromila uomini già pronti per la partenza che avvenne la sera dello stesso giorno; all'alba del 19 agosto la spedizione giungeva sulla costa ionica della Calabria approdando a Mélito Porto Salvo dove lo sbarco

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ebbe luogo senza conflitti: le navi borboniche arrivarono ad operazioni concluse accontentandosi di affondare una delle due navi ch'erano servite per lo sbarco. Reggio Di Calabria La strada costiera da Mélito a Reggio fu il primo tragitto calabrese dei garibaldini che intanto si erano ricongiunti con il gruppo del Racchetti e del Missori discesi dall'Aspromonte a Mélito appena furono avvertiti dell'arrivo di Garibaldi in Calabria. Reggio, d'altronde, era stata la prima città della Calabria che, alla

notizia dello sbarco dei Mille a Marsala, aveva proclamato decaduto il dominio borbonico. Sbarcato all'alba del 19 agosto a Mélito Porto Salvo, Garibaldi ordinò subito la marcia su Reggio presidiata da una nutrita guarnigione sotto il comando del generale borbonico Gallotti, il quale, venuto a conoscenza dell'avvicinarsi di Garibaldi, aveva ordinato al

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Colonnello Dusmet di apprestare una linea di difesa lungo la cerchia esterna della città. La sera del 20 agosto le camicie rosse aggirarono i Borboni e penetrarono nell'abitato di Reggio Calabria dove si accese una sanguinosa battaglia. Lo stesso comandante borbonico cadde colpito a morte mentre conduceva i suoi all'attacco; la forza degli attacchi dei garibaldini e la morte del Dusmet costrinsero i borbonici a rifugiarsi dentro il castello della città dove aveva preferito restare il Generale Gallotti. Il castello però venne stretto d'assedio da una squadra della colonna Missori capitanata da Alberto Mario e, il 22 d'agosto, il Gallotti fu costretto anche lui “ad alzare bandiera bianca”. Per aiutare i Borboni di Reggio era sopravvenuto, a resa però già avvenuta, anche il generale Briganti; il Garibaldi gli andò incontro a Gallico, un paesino a cinque chilometri a nord di Reggio, disperdendone le truppe dopo una breve mischia. Lo sbarco a Favazzina, frazione di Villa San Giovanni Contemporaneamente, durante la notte tra il 21 e il 22 agosto il Cosenz portava in territorio calabrese la brigata Assanti e la compagnia dei volontari francesi; la nuova spedizione sbarcava a Favazzina, un paesino di 400 anime, tra Scilla e Bagnara, a Nord Est di Villa San Giovanni. Avanzando verso l'interno la spedizione sosteneva alcuni scontri contro i reparti borbonici dispiegati a presidio di alcune località calabresi. Dopo aver ributtato alcune truppe borboniche a Favazzina si dirigeva per Bagnara verso Solano. Durate uno di questi scontri con cariche “alla baionetta” cadeva pure il comandante dei volontari francesi De Flotte, “uno di quegli esseri privilegiati – scriveva Garibaldi – cui un solo paese non ha diritto di appropriarsi. Così il Garibaldi teneva le posizioni di Reggio e Villa San Giovanni mentre il Cosenz quelle dispiegate tra Villa e Bagnara Calabra. I corpi borbonici del generale Melendez e quelle del generale Briganti, in vista d'essere accerchiati, si arresero; ma la vera ragione della mancata resistenza delle truppe di Francesco II fu il fenomeno della diserzione che assunse proporzioni enormi e che, quotidianamente, intaccò i contingenti borbonici, togliendo ai comandanti la fiducia delle loro truppe. Da Reggio di Calabria e Bagnara Calabra a Monteleone e Soveria Mannelli Dopo la resa di Reggio (21 ...agosto), dispersi i novemila uomini del Melendez e del Briganti, Garibaldi proseguì lungo la costa del Golfo di Gioia Tauro ed intraprese la sua rapida marcia verso Nord: il 25 agosto arrivò a Palmi, il 26 a Nicotera, e il 27 giunse a Monteleone di Calabria (dal 1928 Vibo Valentia) dove venne accolto trionfalmente dalla popolazione che aveva visto il generale Ghio abbandonare la città con la sua colonna decimata dalle diserzioni. A Monteleone molti patrioti calabresi si aggiunsero alle fila di Garibaldi: Michele Morelli, Luigi Bruzzano, Vincenzo Ammirà sono soltanto alcuni dei segue a pagina 8


I luoghi della guerra* del 1860-1861

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in Calabria

ENRICO COSENZ Litografia C. Perlin - Torino, 1860

CARLO MASSINISSA PRESTERÀ (Monteleone di Calabria 1816 - Napoli, 1891)

Mileto (Catanzaro) Ai due calabresi Musolino e Plutino era stato dato l’ordine a dare il via all’insurrezione in Calabria per facilitare il passaggio del Generale. Il 17 agosto i rivoltosi si ricongiungono con Garibaldi e il Bixio a Mileto.

* Da Il 1860-1861 Nel Centenario Touring Club Italiano Milano - MCMLX


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LA MISERIA DELLA

CALABRIA

Un progetto per Non Mollare

Una collana di studi di alto livello scientifico che attingono all'ordine culturale del nostro territorio calabrese Associazione di volontariato culturale “Non Mollare” continua a promuovere il recupero delle tradizioni popolari e della cultura calabrese attraverso azioni formative, informative ed editoriali anche multimediali, volte ad ampliare la conoscenza e la diffusione delle ricchezze della nostra regione in Calabria, in Italia e nel Mondo. Continueremo col pubblicare una collana di studi di alto volre scientifico che attingono all'ordine culturale del nostro territorio calabrese, con l'intento di proporre al pubblico le zone meno esplorate del patrimonio culturale calabrese e, allo stesso tempo, di affrontare argomenti di vasta portata anche su aspetti inediti della storia non solo locale.

L’

Rivolgendoci ai migranti e, nello specifico, al migrante calabrese, in realtà il progetto culturale prevede il recupero e la valorizzazione editoriale delle tradizioni popolari calabresi e non calabresi, dei migranti di oggi e di ieri, come strumento in grado di promuovere l'integrazione delle identità culturali di un popolo e quindi di tutti i popoli. Il progetto Integrazione delle diversità col recupero della cultura e delle tradizioni popolari calabresi prevede l’esecuzione di studi, ricerche, da divulgare attraverso pubblicazioni anche multimediali e/o web supportate, secondo lo sviluppo delle seguenti tematiche: a)Il teatro popolare in Calabria; b) Il brigantaggio nel decennio francese; c)Emigranti ed

immigrazione: il caso dei libertari calabresi; d)Un secolo di stampa vibonese: antologia funzionale delle principali testate calabresi dagli inizi dell'ottocento agli inizi del novecento; e) Saggi su medicina popolare, usanze e credenze. Prevediamo la stampa di specifiche pubblicazioni, la loro diffusione anche mediante internet e la prosecuzione della stampa del nostro giornale, Abolire la miseria della Calabria. Per tutto ciò ti chiediamo di sostenerci. Abbonandovi o versando un piccolo contributo. Alm non fruisce di alcun tipo di contributo statale all’editoria. Anche il più piccolo sostegno dei nostri lettori ci sarà quindi utile per non mollare! Buon 2011 dalla redazione.

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nomi d i intellettuali che seguirono l'eroe dei due Mondi. Proveniente da Monteleone, Garibaldi giunse a Maida (CZ) il 29 agosto venendo accolto, anche qui, da una popolazione acclamante: Non è tempo di feste, Disse alla folla da un balcone. I dodicimila uomini comandati dal trucidatore di Pisacane, il generale Ghio, ci aspettano sull'altopiano di Soveria . E così fu: Garibaldi il 29 sera era arrivato a Tiriolo. Ghio tentò la ritirata verso Napoli ma, proprio a Soveria Mannelli, fu raggiunto da Garibaldi e dai garibaldini. All'alba del 30 agosto i calabresi garibaldini, “Cacciatori della Sila”, comandati dal barone Francesco Stocco e inviati da Garibaldi avevano preso posizione attorno al paese mentre da Tiriolo segue da pagina 6

giungeva l'avanguardia del Cosenz seguito da Garibaldi e dal suo stato maggiore. Dopo un accenno di resistenza, considerato che i suoi soldati rinunciavano a combattere dandosi alla fuga, il 30 agosto del 1860 Ghio accettò la resa. All'ingresso dei Soveria Mannelli, all'epoca dei fatti cittadina con poco più di duemilacinquecento abitanti, sorge oggi un monumento detto “Colonna Garibaldi” eretto in ricordo della capitolazione del corpo borbonico comandato dal generale Ghio. Esso è realizzato da un obelisco di bella fattura con trofei bronzei e posato su un basamento a gradini Tre giorni prima, il 27 d'agosto anche il generale borbonico Caldarelli aveva lasciato Cosenza dove la popolazione, appresa la notizia della caduta di Reggio di Calabria (21 agosto), aveva costi-

tuito un governo provvisorio. E pure a Catanzaro un governo provvisorio era stato istituito in città dopo la notizia della presa della città dello Stretto. Alla fine dell'agosto 1860, Garibaldi aveva liberato completamente la Calabria dai Borboni: l'esercito del generale Vial, comandante supremo delle forze borboniche in Calabria, forte di trentamila uomini, era completamente disfatto. Una piccola parte di esso aveva ripiegato su Napoli, ma la maggior parte si era dispersa con la diserzione e casi di interi reparti borbonici calabresi che chiesero di essere arruolati nell'esercito garibaldino. La situazione era profondamente mutata: Italiani! Il momento è supremo. Già i fratelli nostri combattono lo straniero nel cuore dell'Italia. Andiamo ad incontrarli in Roma

per marciare di là insieme alle venete terre. Tutto ciò che è dover nostro e diritto, potremo fare se forti. Armi, dunque, ed armati. Generoso cuore, ferro e libertà. ABBONATI E SOSTIENI Abolire la miseria della Calabria Non fruisce dei contributi statali all’editoria di cui alla Legge n°250 del 07/08/1990 La pubblicaazione è possibile grazie al lavoro volontario dei nostri collaboratori, al sostegno dei nostri abbonati ed al contributo degli sponsor che ci sostengono Abbonamento annuo Ordinario:12,00 €; Promotore: 30,00 €; Sostenitori, enti e istituzioni: 50,00 €

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IN MORTE DI BENEDETTO MUSOLINO

Il paese ammalato pervertito, trasmodante, e quindi ha bisogno di un medico, di un educatore, di un moderatore

Il 10 novembre del 1885, soltanto quindici anni dopo la presa di Roma, mentre l'Italia Unita era ancora tutta da compiere, da costruire, a Pizzo si spegneva Benedetto Musolino, patriota oltreché senatore del Regno d'Italia. A ricordarne la figura dalle pagine del periodico politico-letterario L'Avvenire Vibonese, è proprio l'Amministratore del giornale Antonino Scalfari, che siglò l'articolo in prima – quasi una monografia – sul numero 45 (Anno IV) del 22 novembre 1885, titolandolo col nome del defunto. BENEDETTO MUSOLINO

Mentre scriviamo, laggiù a Pizzo, a pochi chilometri da noi, viene trasportata all'ultima dimora la salma di BENEDETTO MUSOLINO, Senatore del Regno, Colonnello Brigadiere, e, più che tutto, avanzo glorioso di quella eroica falange, che, colla parola o con la spada, fra i ceppi dell'ergastolo, o sui campi di battaglia, sullo sgabello dei Rei di Stato, o sulla Scranna del Parlamento han dato agl'Italiani il diritto di avere una Patria. Oggi é giorno di lutto per noi Calabresi, che in poco volger di tempo vedemmo sfrondarsi, foglia a foglia la corona di valentuomini, che da Cosenza a Reggio mantennero, fra le persecuzioni e gli esili, alta la bandiera della Redenzione. Ieri Mauro, Stocco, Plutino, oggi è Benedetto Musolino che scende nella tomba. Oggi, innanzi a quell'urna, amici ed avversari delle idee politiche dello illustre Senatore, s'inchinano riverenti, e nell'animo di tutti vengono spontanei i ricordi della vita intemerata, che non ebbe, che un palpito, un ideale, l'unità, l'indipendenza, la libertà della Patria. Giovinetto ancora, nel 1830 (era nato addì 8 Febbraio 1809) uscito appena da questo Collegio Vibonese Benedetto Musolino, insofferente di ogni tirannide, incominciò a cospirare a favore dell'unità Italiana, e fu costretto ad esulare fuori della Penisola, dove ritornato con più arditi propositi, a Napoli sede di Re e Ministri efferati, fondò nel 1834 quella Giovane Italia che a guisa di spira avvolse Popoli e Governi, e fu il

germe, e l'origine delle generose e forti manifestazioni patriottiche. Quella pagina della vita di Benedetto Musolino non deve, non può essere ignorata dagl'Italiani, giacché d'essa venne indelebilmente scolpita in quello aureo libro, in cui il Settembrini raccolse le sue Ricordanze. Cospiravano perché non sapevano starsi cheti tra gli oppressi, né mettersi tra gli oppressori, perché rimanersi inerti pareva codardia, ed un giorno la cospirazione fu, per opera di un Giuda, svelata, e punita con lungo carcere, e nuovi martiri. Nel 1848, Benedetto Musolino è alla testa della rivoluzione, e quando sembrò, che un patto di alleanza si era stretto tra Re Ferdinando ed il popolo, egli fu eletto a rappresentare questo Collegio Elettorale, nella Camera dei Deputati. Nella nefasta giornata dei 15 Maggio Musolino é con gli altri Rappresentanti nel Palazzo di Monteoliveto, ove rimangono fermi innanzi alle bombe, ed alle fucilate borboniche, e abbandonano la sala soltanto quando dai soldati del Nunziante vengono scacciati e spinti a colpi di baionette. All'annunzio della strage di Napoli in Calabria gli sdegni scoppiarono gagliardi, come gagliarda é la natura delle nostre genti; Cosenza, Catanzaro, Monteleone si ribellarono contro l'aborrita dominazione, e crearono Governi Provvisori, e da Cosenza Benedetto Musolino, Ricciardi, Mauro e de Riso pubblicarono un manifesto invitando i Deputati ad unirsi in quella Città e chiamando le popolazioni a prendere le armi. La rivoluzione fu domata e vinta dalle Truppe Regie, e mentre Benedetto Musolino, dannato nel capo correva, non a cercare uno scampo, ma a combattere a difesa di Roma, in Pizzo, suo paese natio, i soldati del Nunziante, reduci, non sai se vinti o vincitori, del fatale Campo dell'Angitola, mettevano a sacco e fuoco la sua casa, ed uccidevano barbaramente il vecchio padre, ed il fratello Saverio. Benedetto Musolino, dal 49 al 60 visse la vita degli altri, compagni d'esilio, combatté le battaglie per l'Indipendenza Italiana, seguì Garibaldi in Sicilia, e

primo fra tutti, novello Bruto, sbarcò in Calabria, e portò la lieta novella della Redenzione alla sua terra natia. Terminata la campagna, alla quale Egli prese sempre parte, incorporato nell'Esercito Italiano col grado di Colonnello Brigadiere, venne, dal Collegio di Monteleone eletto, per ben quattro Volte, a suo rappresentante nella Camera dei Deputati. Fu solo nel 1874, che gli Elettori di Monteleone gli vennero meno. Ma se gli mancarono i voti, non così l'affetto e la stima di tutti, anche di quelli che non avevano votato per lui. Benedetto Musolino era sempre il Patriotta, il martire della Redenzione Italiana, l'uomo di tempra antica, come lo avea chiamato Garnier Pagés, ed il distacco tra Lui e gli Elettori sembrò la fatale dipartita di un congiunto, la fine di una epoca leggendaria ed eroica, che nella prosa della vita, nei giorni del disinganno, ritorna con dolcezza amara a commuovere l'anima ed il cuore. Avrebbesi, prima di un tal giorno, la dimani della presa di Roma, dovuto dischiudere, all'intemerato patriotta le porte del Senato, questo Panteon dei veterani della Scienza e della Patria, ma invece egli non si ebbe la nomina di Senatore, che il 12 Giugno 1881, dopo aver, per altre due Legislature, rappresentato il Colleggio di Cittanova. Però, prima di un tal giorno, Benedetto Musolino si era ritirato dalla politica militante della Camera, e ritirandosi avea pronunziato la parola di un nomo dabbene, che parea, ed era, la parola del commiato. Il paese- Egli disse - è ammalato pervertito, trasmodante, e quindi ha bisogno di un medico, di un educatore, di un moderatore. È si ridusse, dopo tanta lunga ed intemerata vita, a Pizzo, ove oggi scende nella tomba fra il compianto di quanti nel cuore sentono 1'amore della Patria, ed il rispetto e la venerazione per gli uomini, che l'hanno creata e resa grande. Monteleone, 16 Novembre 1885 Antonino Scalfari (bisnonno del fondatore de la Repubblica)


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