Sommario in questo numero
EDITORIALE
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Il mio viaggio nel purgatorio di Mineo di Rita Borsellino
IL PUNTO
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Lettera da Lampedusa di Paola La Rosa
DOSSIER L’INTERVENTO
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Profughi e richiedenti asilo, la risposta acida del governo di Salvatore Agueci
Il grande bluff dell’acqua privatizzata di Dario Prestigiacomo
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I referendum del 12 e 13 giugno
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La Sicilia e i fondi europei, di Alberto Tulumello
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Sciopero generale, di Mariella Maggio
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I Cantieri culturali, di Sandro Tranchina
POLITICA
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Quale alternativa per la Sicilia I leader del centrosinistra a confronto
Il bandolo del rinnovamento, di Nino Alongi
Supplemento al numero 16 (maggio, anno 5) del settimanale ASud’Europa del Centro di Studi e iniziative culturali “Pio La Torre” - Onlus / Registrazione presso il tribunale di Palermo 2615/021 Il magazine è scaricabile presso il sito www.unaltrastoria.org / La riproduzione dei testi è possibile solo se viene citata la fonte Direttore responsabile Angelo Meli Coordinamento editoriale Giovanni Ferro Redazione Dario Prestigiacomo, Carmen Vella
Contributi di Paola La Rosa, Salvatore Agueci, Leontine Regine, Sandro Tranchina, Mariella Maggio, Alberto Tulumello, Nino Alongi, Alberto Mangano,Titti De Simone, Giuseppe Notarstefano, Nadia Lodato, Alessandra La Grassa
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Grafica e copertina Ciccio Falco Redazione via Mariano Stabile, 250 - 90141 Palermo tel. 0918888496 - fax 0918888538
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Editoriale
“Il mio viaggio nel purgatorio di Mineo” di RITA BORSELLINO ualcuno lo ha chiamato il “Villaggio della solidarietà”. Qualcun altro lo ha definito “Centro di accoglienza e identificazione”. Di fatto, il residence di Mineo, nel Catanese, dove sono stati stipati circa 1.800 migranti, non è nulla di tutto questo. E’, semmai, una terra di nessuno, o meglio una sorta di purgatorio per anime in attesa. Poco prima di arrivare a Mineo, avevo provato a immaginare ciò che mi sarei trovata di fronte: lunghe code di uomini, donne e bambini in fila per le procedure di identificazione, per ottenere la certificazione dei loro status di profughi e richiedenti asilo e magari per aderire a qualche programma di inclusione e integrazione sociale, se non addirittura lavorativa. Insomma, mi ero immaginata una struttura che, come prescrivono le leggi e il buon senso, dovrebbe servire a immettere centinaia di persone sfuggite a guerre e persecuzioni all’interno del nostro tessuto sociale. Una volta varcata la soglia di quello che fino all’anno scorso era il residence dei militari statunitensi, ho capito subito di essermi fatta un’idea sbagliata. Davanti alle villette, ordinate e ben tenute (almeno all’esterno), sostano diversi gruppetti di persone: silenzio quasi irreale,braccia conserte, volti ancora segnati dall’inferno cui sono sfuggiti. “Stanno così per la maggior parte del giorno”, mi spiega l’operatrice della Croce rossa che mi accompagna. D’altra parte, qui non c’è altro da fare e tutto è bloccato. Le procedure per il riconoscimento dei rifugiati e dei richiedenti asilo, infatti, sono sostanzialmente al palo. Manca ancora la commissione che dovrebbe espletare queste pratiche. Ma non solo: la struttura non ha ancora una vera e propria configurazione giuridica e su chi dovrebbe gestirla vige la totale confusione. Insomma, vuoi per l’ignavia amministrativa, vuoi per la farraginosità della nostra legislazione sull’immigrazione, il residence di Mineo non può essere neppure definito un centro di accoglienza e identificazione. E’ un non luogo dove vive una Babele di 36 etnie. Ci sono musulmani, cattolici, ebrei. E soprattutto ci sono i giovani, la stragrande maggioranza delle anime in attesa di Mineo. Molti hanno titoli di studio medio-alti. “Il paradosso – mi dice il sindaco di Caltagirone, Franco Pignataro – è che tanti di loro potrebbero trovare lavoro già nel nostro territorio. Solo che nessuno finora ci ha chiesto cosa potremmo fare, noi amministratori locali, per accogliere e aiutare queste persone”. Già, perché al vuoto giuridico si aggiunge il fatto che tra il centro di Mineo e il territorio non c’è alcuna interlocuzione. Mancano i progetti per l’integrazione culturale, quelli per l’inclusione sociale e lavorativa o anche solo i programmi per la prevenzione sanitaria. Una volta uscita dal residence, mi sono subito tornati in mente gli occhi di quei ragazzi che cercavano i miei come in attesa di una risposta. Volevano sapere quando avrebbero potuto lasciare quel luogo per poter dare seguito alla loro rincorsa verso la libertà e, magari, la felicità. Purtroppo, non ho potuto dare loro la risposta che cercavano. Mi chiedo, però, quale sia il senso di questa attesa, a chi giovi lo stallo in cui versa il centro di Mineo. Non di sicuro ai migranti e neppure allo Stato, che comunque versa laute somme per finanziare il centro e pagare l’affitto ai proprietari del residence. Ecco, a voler pensare male, si può seguire la via del denaro per provare a darsi una prima risposta. Anche se la più solida sembra un’altra: quella che trova radici nella politica di un governo che, dopo essersi vantato di aver chiuso le frontiere e trovandosi adesso costretto ad aprirle, vuole nascondere il suo fallimento. Almeno fino all’indomani delle elezioni amministrative.
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Il punto
Lettera da Lampedusa “Qui si è rotto l’argine della legge” di PAOLA LA ROSA Lampedusa tutto sembra essere rientrato nella routine. Gli sbarchi continuano, i trasferimenti dei migranti provenienti dalla Libia vengono effettuati con straordinaria celerità, mentre i tunisini che arrivano sull’isola vengono qui trattenuti in attesa del loro rimpatrio, al ritmo costante di 60 al giorno. Tutto a posto quindi. Almeno così sembra. Ma a ben guardare c’è qualcosa di molto strano, quasi surreale che accade sull’isola, che appare sospesa in una sorta di limbo, caratterizzato dalla assenza totale di regole. Le prime vittime di questa vacatio sono chiaramente proprio i tunisini. Il loro rimpatrio avviene nel più assoluto segreto. Innanzitutto nessuno conosce il contenuto dell’accordo siglato ad aprile dai governi italiano e tunisino. Nessuno sa come vengono “selezionati” i ragazzi che vengono imbarcati su gli aerei diretti in Tunisia. La destinazione dei voli è tenuta nascosta perfino alle forze dell’ordine che devono condurre i migranti all’aeroporto. Nessuno, (né giornalisti, né deputati, e neanche il parroco dell’isola, don Stefano) ha la possibilità di entrare in contatto con i migranti. Nessuno sa perché alcuni di loro vengano tenuti la locale stazione marittima (luogo peraltro assolutamente inidoneo alla permanenze di “ospiti”). Genitori e fratelli dei migranti giunti sull’isola non riescono a incontrali, a sapere né dove gli stessi si tro-
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vino né quale sia la loro sorte. Nessuno sa neanche quale sia la qualificazione giuridica del Centro di contrada Imbriacole (Centro di prima accoglienza o centro di identificazione ed espulsione), o se i trasferimenti in Tunisia siano da considerare rimpatri o respingimenti. E, visto che in Tunisia è ancora in vigore la legge che punisce la condotta di emigrazione, forse sarebbe opportuno sapere se il governo Italiano, nell’accordo siglato il 5 aprile, abbia chiesto garanzie per i rimpatriati. Però, si sa, fino a quando sono gli altri a non avere garantiti i diritti fondamentali, si può sempre girare la faccia dall’altro lato, fare finta di niente. Ed ancora una volta si assiste ad un atteggiamento diffuso che dietro un apparente indifferenza cela una colpevole complicità. Si continua a voler credere che vivere in una società nella quale solo alcuni siano titolari di diritti equivalga a vivere in una società giusta. Ma non è così. Il prin-
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cipio di legalità è una garanzia per tutti e, pertanto, bisogna stare molto attenti, perché rotto l’argine della legge, si rischia di restare travolti. Tutti. Ed è ciò che comincia ad emergere sull’isola da qualche tempo. Negli ultimi giorni alcuni attivisti appartenenti a varie organizzazioni che si occupano di diritti umani (Arci, Gruppo EveryOne, movimento “Kayak per il diritto alla vita”, Brigate della solidarietà attiva, Associazione Askavusa) sono stati oggetto di attenzione da parte delle forze dell’ordine, massicciamente presenti sull’isola. In particolare tre perquisizioni in due giorni nei confronti di alcuni giovani, “sospettati” (senza prove) di aver avuto contatti con dei migranti e di avere loro comunicato che sarebbero stati presto rimpatriati (ossia di aver eventualmente detto loro la verità). Occorre al riguardo evidenziare che i controlli di polizia e carabinieri sono stati effettuati entro i liaprile • 2011 • N.3
Il punto
miti della legalità e della correttezza (ad eccezione di qualche modo un po’ brusco e qualche parola di troppo frutto, evidentemente, della tensione cui sono sottoposte anche le stesse forze dell’ordine); e che, in un’ottica di ripristino della legalità e di garanzia dell’ordine pubblico sull’isola, l’attività delle forze di polizia è un segno da considerare positivamente. Resta però qualcosa di irrisolto, in relazione ad altri fatti accaduti nelle scorse settimane, sul quale si gioca adesso la credibilità stessa delle Forze dell’ordine e dello Stato. Due episodi, in particolare, aspettano ancora di essere in qualche modo affrontati e risolti. Il 19 marzo scorso, alcuni cittadini di Lampedusa, esasperati dalle condizioni in cui erano costretti da settimane a vivere in un’isola nella quale oltre 5.000 ragazzi tunisini venivano lasciati in completo stato di abbandono (senza un tetto, né servizi igienici, né cibo, ma soprattutto senza sapere nulla del loro destino), decidevano di mettere in
atto una protesta sul molo di attracco della capitaneria. La manifestazione presto degenerava quando una decina di facinorosi decidevano di impedire ad una motovedetta che portava a bordo oltre un centinaio di migranti recuperati in mare, di attraccare. Giornalisti, fotografi, forze dell’ordine e testimoni erano presenti. Dell’accaduto esistono filmati e foto che ritraggono i protagonisti di una delle giornate più tristi di quest’isola, nota nel mondo come terra d’accoglienza. Per oltre 4 ore l’imbarcazione della Capitaneria restava a vagare in mare, con a bordo uomini, donne e minori in stato di choc (a causa dello sventato naufragio e della violenta “accoglienza” loro riservata una volta giunti in porto). Solo in tarda serata, quasi di nascosto, i marinai della Guardia Costiera riuscivano ad approdare ed a sbarcare i migranti. Durante la notte diverse carcasse di autovetture venivano posizionate (su due livelli e, pertanto, con il necessario ausilio di potenti mezzi meccanici
che sull’isola sono ben pochi) sul ciglio del molo di Cala Pisana rendendo assolutamente inagibile l’attracco alternativo. Qualche giorno dopo, in occasione della prima visita del premier sull’isola, alcuni gruppi di giovani che avevano organizzato una civile democratica ed anche allegra contestazione, venivano minacciati, strattonati ed infine allontanati dal luogo in cui il presidente avrebbe di lì a poco parlato alla cittadinanza. Anche in questa occasione tutto accadeva in presenza di numerose forze dell’ordine che non intervenivano, sebbene tra le vittime dell’aggressione vi fossero anche due Senatori della repubblica. Il tutto veniva filmato dai numerosi giornalisti colà presenti. Ebbene, sarebbe davvero un bel segnale per l’isola e soprattutto per i giovani che qui vivono che questi episodi venissero affrontati dalle forze dell’ordine con l’individuazione dei responsabili di atti che oltre ad integrare gravi fattispecie di reato, finiscono con infangare l’immagine di Lampedusa. Restiamo in attesa degli sviluppi. P.S.: la notte scorsa, un gruppo di ornitologi presenti sull’isola per un lavoro di ricerca sulle migrazioni degli uccelli, è stato oggetto di un vigliacco attentato da parte di ignoti che hanno distrutto parte delle loro attrezzature ed incendiato un auto nella disponibilità degli studiosi. Ancora nuovo lavoro per carabinieri e polizia. Eppure i turisti temono la presenza dei migranti!
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L’intervento
Profughi e richiedenti asilo a Trapani
La risposta “acida” del governo di SALVATORE AGUECI ’emigrazione è strutturale ad ogni popolo. Si pensi agli ingressi dall’Albania negli anni ’90, agli espatri dall’Italia dopo la fine della seconda guerra mondiale; oggi tocca alla Tunisia e a quei paesi che stanno avendo problemi interni. Abbiamo assistito a un cambio di regime; il governo tunisino provvisorio ed i cittadini sono presi tuttora dai problemi di accoglienza dei 190mila profughi (di 79 nazionalità), provenienti dalla Libia; c’è una mancanza d’introiti a causa di un calo turistico; il Governo provvisorio ha sciolto tutti i corpi di polizia e congelato il lavoro di 49mila uomini appartenenti ai corpi stessi; l’ordine pubblico è affidato alle Forze armate (27mila persone circa) che sono impreparate a pattugliare il territorio nazionale; molti giovani, istruiti, sono senza prospettive di lavoro. In quest’ottica si pone l’emigrazione dalla Tunisia che ha già superato le 28mila persone (solo 23mila tunisine). Queste sono chi ha avuto la fortuna di sbarcare, ma ricordiamo quei barconi capovolti e quelle persone che non ce l’hanno fatta (tra essi donne e bambini): 250 sono annegati recentemente. Soffocati in una stiva, sepolti dalle acque, questo è stato il destino dal 1988 per almeno 15.760 persone, morte tentando di raggiungere le rive europee. Negli ultimi tre mesi sono morte circa 800 persone. Il bollettino si aggiorna continuamente. Il problema dei clandestini non può essere ingessato come solo italiano ma è comunitario. Anziché dichiarare che sono stati forniti ingenti mezzi economici all’Italia, la CE avrebbe dovuto attivarsi prima sulla protezione temporanea. Questo avrebbe consentito ai profughi di ricevere, dallo sbarco, accoglienza regolare, un titolo di sog-
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giorno non inferiore ai 3 mesi, come prevede l’art. 21 della Convenzione di Schengen, circolando liberamente. Ciò non avrebbe impedito di chiedere la protezione internazionale: consentendo a ogni Stato dell’UE di chiedere di accogliere una quota di costoro. Il vero problema europeo è, però, che le 27 nazioni non sono interessate al problema, avendo una legislazione diversa in tema d’immigrazione, salvo, poi, ad avere interessi economici palesi, come la Francia e l’Inghilterra. Appaiono miopi le risposte francesi: le loro logiche sembrano influenzate dalle scadenze elettorali. Il ministro dell’Interno Claude Gueant vuole impedire l’ingresso in Francia. L’ha fatto con l’emanazione della circolare del 06/04/20011, stabilendo rigide regole, sulla base dei primi tre commi dell’art. 23 della Convenzione. Chiede che i profughi debbano: “Essere muniti di un titolo di viaggio valido; essere muniti di un documento di soggiorno valido; dimostrare di avere risorse sufficienti (62 euro al giorno a persona, 31 se dispongono di un alloggio); non costituire una minaccia per l’ordine pubblico; non essere entrati in Francia da oltre tre mesi”. Ma se gli immigrati avessero avuto 62 euro al giorno, 1.800 euro al mese, avrebbero affrontato tutti questi rischi? È rilevante che il vero motivo dello spostamento dei tunisini verso la Francia è che molti di loro hanno familiari in Francia e che la seconda lingua da loro parlata è il francese. Un’altra considerazione per cui i tunisini non si vogliono fermare nel nostro Paese, ma le loro mete sono altri Paesi Europei come la Germania, Francia, Inghilterra è perché hanno una scarsa stima dell’Italia. La politica italiana ci sembra anch’essa miope. S’illude di rimpatriare coercitivamente le migliaia di Tunisini e ha attivato la protezione temporanea (di cui
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alla direttiva 2001/55/CE, attuata in Italia col decreto legislativo n. 85 del 7 aprile 2003), lamentandosi di essere lasciata sola e conducendo una politica casuale e impreparata all’accoglienza. Le misure eccezionali potevano essere attivate a livello nazionale, anche senza o prima di una concertazione europea, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in base all’art. 20 del Testo unico delle leggi sull’immigrazione (e non a partire dal 07/04/2011). Una nota critica: i requisiti del DPCM del 07 aprile per il rilascio del permesso per motivi umanitari e la libera circolazione sono indicati in modo impreciso (il passaporto, in corso di validità, non è richiesto, come non sono richieste le risorse per il soggiorno e il viaggio di ritorno dal paese in cui vuole andare), rischiando di essere un provvedimento che contribuirà a un ulteriore isolamento dell’Italia dal resto dei paesi europei. Di fatto, la commissaria europea per gli Affari interni, Cecilia Malmstrom, in una lettera inviata al Ministro dell’Interno Maroni, ha scritto che il decreto non fa scattare “automaticamente” la libera circolazione nell'area Schengen e la Germania ha fatto sapere che l’Italia se la deve sbrigare da sola. Alcuni interventi proposti: Distinguere l’accoglienza doverosa dando risposte agli stranieri in condizione di maggiore vulnerabilità e inespellibilità (donne incinte, bambini e richiedenti asilo politico), evitando la situazione caotica di Lampedusa, affrontata in modo tardivo, contraddittorio, antisociale e con dichiarazioni demagogiche. Adottare misure di protezione temporanea, anche in aggiunta al DPCM (per esempio: inserendo tra gli arrivati anche quelli provenienti non solo dal Nord-Africa, come nella circolare, ma anche quelli provenienti dal Sub-Sahara; favorendo i ricongiungimenti familiari, prevedendo inserimenti lavorativi nei comparti arti-
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L’intervento
gianale e agricolo (…). Regolare i flussi migratori dalla Tunisia, aumentando le quote sia degli stagionali e sia dei non stagionali. Ripristinare i fondi alla cooperazione internazionale, per avviare, in loco, strumenti occupazionali e stabili di strutture e di lavoro (eliminando sprechi di accordi ad personam con esponenti di governi esteri). La cacciata coercitiva che si sta adottando, produce reazioni violente e spreco di denaro (sei motovedette, quattro pattugliatori e un centinaio di fuoristrada sono le promesse fatte alla Tunisia dal Ministro Maroni). L'ASGI ricorda: “L’attivazione della protezione temporanea non può essere sostituita da allontanamenti coercitivi e massicci di tunisini che sarebbero illegittimi: il Protocollo IV alla CEDU proibisce tassativamente e senza esclusioni ogni forma di espulsione collettiva degli stranieri, ogni provvedimento di espulsione o di respingimento è vietato nei confronti dei richiedenti asilo e dei minori, deve essere individuale, scritto, motivato e tradotto ed è ricorribile in via giudiziaria”. La Sicilia sta rispondendo con senso di grande solidarietà. Ma non si può chiedere un surplus di responsabilità al territorio e agli abitanti solo del Meridione. La Provincia di Trapani in particolare, tradizionalmente ospitale, non può sobbarcarsi ulteriori pesi con la tendopoli di Kinisia (90 tende, per un totale di 800 profughi, costruita in una zona molto inquinata d’amianto). L’accoglienza degli immigrati è fatta come se fossero oggetti, cavalli da rimanere in un recinto, senza che alcuno se ne prenda cura come persone. Si hanno già in Provincia circa17mila presenze, una cifra altissima, se consideriamo le difficoltà economiche, soprattutto in questo periodo, e la mancanza di posti di lavoro in una Provincia che ha un tasso altissimo di disoccupazione. L’accoglienza sì ma a che prezzo e con quali strutture?
Perché rimangono ingessati? Il caos giuridico dei Cai Mentre a Pantelleria si continuano a rimpatriare i tunisini (in numero di 60 al giorno) e ad accogliere i profughi (richiedenti asilo politico) provenienti dalla Libia, a Kinisia è iniziata, come in altre tendopoli italiane, la distribuzione dei permessi temporanei per motivi umanitari, dopo che il Presidente del Consiglio dei Ministri la settimana scorsa aveva firmato, tra molte polemiche, il Decreto. Il CAI è una struttura provvisoria formata da tende (a Kinisia sono 90 e possono contenere fino a otto profughi), ma il nome con la relativa funzione non è stata ufficializzata legalmente; l’acronimo che gli operatori hanno attribuito significa Centro di Accoglienza e di Identificazione. Si chiedono in molti, soprattutto il volontariato, le associazioni e i sindacati, che si definisca il ruolo giuridico di questa struttura e capire perché, nonostante la disponibilità offerta per un servizio di volontariato, non si dia l’opportunità di prestare tale servizio? Perché il luogo continua a rimanere blindato ancora a molti, politici e no? Altre domande si pone l’opinione pubblica: perché la gestione è stata affidata solamente a una cooperativa, alla Protezione civile e alla Croce Rossa, escludendo altre realtà che sul territorio prestano gratuitamente un’opera di vicinanza a chi è provato dal fenomeno della mobilità e si trova ad avere bisogno d’interventi di altro genere, che però sono a favore di questi profughi? Come sono gestiti i soldi, finanziati per l’amministrazione della struttura di Kinisia? Si aspettano in tanti delle risposte e soprattutto, come in questo caso, che la trasparenza, la solidarietà e la democrazia siano ancora valori presenti e possibilmente da condividere tra chi è nel bisogno e la società civile.
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Politica
Quale alternativa per la Sicilia? I leader del centrosinistra a confronto La situazione politica ed economica in Sicilia. Il ruolo del governo regionale. E soprattutto il futuro del centrosinistra (o centro sinistra) e la costruzione di un’alternativa al centrodestra (o ai centrodestra). Su questi temi abbiamo intervistato i segretari e i coordinatori regionali di Partito democratico, Sinistra ecologia e libertà, Italia dei valori e Federazione della sinistra: Giuseppe Lupo, Erasmo Palazzotto, Fabio Giambrone e Antonio Marotta. La situazione politica in Sicilia è complessa e non priva di contraddizioni. Qual è, oggi, lo stato dei rapporti tra le forze del centrosinistra? LUPO: “Per quanto ci riguarda abbiamo sempre continuato a cercare con le altre forze del centrosinistra un rapporto di alleanza a livello regionale e nel territorio. Nei comuni riusciamo spesso a trovare convergenza ed accordi che ci consentono di andare uniti alle elezioni amministrative, sul piano regionale, purtroppo, le cose non stanno così. Ci sembra che nei gruppi dirigenti di Sel e Idv prevalga il tentativo di lucrare, per un miope calcolo elettorale, sul tentativo che il Pd sta conducendo all’Ars per portare a casa importanti riforme. L’attacco costante e demagogico portato nei nostri confronti, nonostante noi si sia riusciti a contribuire in modo determinante a spaccare il centrodestra e relegarlo all’opposizione, sembra la loro principale preoccupazione anche più del contrasto verso il Pdl e Berlusconi. Ostinarsi a non voler ammettere che, grazie al Pd, oggi il centrodestra è in Sicilia all'opposizione, meno forte e più diviso che in passato è figlio di una logica minoritaria che aspira a rimanere eternamente all’opposizione”. PALAZZOTTO: “Una parte del centrosinistra è all’opposizione del governo
regionale, un’altra ne fa parte. Anomalie come questa si possono verificare solo quando il Pd comincia a non avere posizioni chiare su temi fondamentali per la vita della nostra regione come la gestione delle risorse idriche, le politiche del lavoro, le politiche energetiche. C’è evidentemente una crisi di identità che investe il più grande partito della coalizione. Siamo convinti oggi che si possa costruire un nuovo centro sinistra soltanto se rimettiamo al centro le proposte concrete per il cambiamento della Sicilia e se ci sottraiamo alle alchimie delle alleanze che tanti danni hanno fatto al nostro paese. Sel è pronta a fare la sua parte, ma il Partito democratico deve uscire dalla maggioranza di governo e guidare il processo costituente di un nuovo centro sinistra siciliano”. GIAMBRONE: “La situazione politica siciliana non è complessa, anzi, è estremamente chiara, ma è certamente ricca di contraddizioni. E’ chiara perché abbiamo avuto, dopo due anni e mezzo dalle elezioni regionali del 2008, ben quattro governi regionali.
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Nel frattempo, già dal terzo governo, c’è stato un ribaltone vero e proprio, per cui all'Ars non c’è più la maggioranza che sosteneva Raffaele Lombardo uscita dalle urne. Lombardo ha abbandonato i partiti con cui era stato eletto e ha incassato il sostegno del Partito democratico che avevano la Finocchiaro come candidata alla presidenza della Regione. Entrambi hanno tradito platealmente la volontà degli elettori violando la democratica e fisiologica dinamica tra maggioranza ed opposizione. Noi abbiamo parlato di una mutazione genetica, antropologica, del Pd. Come se fosse diventato più compatibile con l’Mpa piuttosto che con i naturali alleati del centrosinistra. Ovviamente ciò pone dei problemi seri nei rapporti tra le forze del centrosinistra che in questo momento sono private dell’apporto fondamentale del Pd per costruire un’alternativa credibile all’attuale assetto di potere lombardiano, erede di quello cuffariano”. MAROTTA: “La partecipazione del Pd al governo Lombardo, ovvero a una aprile • 2011 • N.3
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compagine governativa a caratura centrista fortemente moderata che ha come terreno di riferimento le logiche di potere dell’“ancien regime” siciliano, pone la Sicilia, ancora una volta, come terreno di sperimentazione di contraddittorie e infauste formule politiche: l’alleanza privilegiata fra il Pd e le forze che compongono il cosiddetto “terzo polo”, che in Sicilia ruota intorno all’Mpa. Il Pd si sottrae, quindi, al confronto e all’interlocuzione con le forze del centrosinistra e della sinistra operando una netta scelta di campo che giudichiamo estremamente grave per i destini dell’Isola. Diviene prioritario, in tale fase, la ricerca di unità da parte delle forze del centrosinistra e della sinistra, penso a Idv, Sel, Prc-Fds, Verdi e alle associazioni e ai movimenti di lotta (rete No-Ponte, comitati per l’acqua pubblica, coordinamento lavoratori precari, ecc.) per dar vita a una proposta politico-programmatica che riesca a costruire un’alternativa credibile di governo della Sicilia. Una coalizione che sappia affrontare e risolvere veramente temi significativi come, per esempio, quello della gestione pubblica dell’acqua o della crisi occupazionale. Occorre incrementare i buoni rapporti e la collaborazione oggi esistenti fra le forze della sinistra attivando subito uno stabile patto di consultazione. Constatare come si sia persa l’occasione di affrontare in modo unitario un importante appuntamento elettorale, quello relativo al rinnovo di alcuni enti locali siciliani, non costruendo liste unitarie competitive, rischiando, peraltro, di non superare la soglia percentuale del 5 per cento, deve farci riflettere per far sì che tale condizione non si riproponga in futuro”. Nella difficoltà dei rapporti pesa certamente il sostegno alla giunta Lombardo da parte del Pd. Si allon-
tana la prospettiva di un centrosinistra unito per sconfiggere le destre? LUPO: “Ci sembra che nei gruppi dirigenti di Sel e Idv, prevalga il tentativo di lucrare, per un miope calcolo elettorale, sul tentativo che il Pd sta conducendo all’Ars per portare a casa importanti riforme. L’attacco costante e demagogico portato nei nostri confronti, nonostante noi si sia riusciti a contribuire in modo determinante a spaccare il centrodestra e relegarlo all’opposizione, sembra la loro principale preoccupazione anche più del contrasto verso il Pdl e Berlusconi. Ostinarsi a non voler ammettere che, grazie al Pd, oggi il centrodestra è in Sicilia all'opposizione, meno forte e più diviso che in passato è figlio di una logica minoritaria che aspira a rimanere eternamente all’opposizione”. PALAZZOTTO: “Il problema è l’idea malsana secondo cui le destre si sconfiggono alleandosi con una parte di esse. Cracolici ha ragione a dire che grazie a questa alleanza anomala si smonta il sistema di potere cuffariano e berlusconiano in Sicilia, il
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punto è che se ne sta costruendo un altro della stessa natura con la partecipazione straordinaria del Partito democratico. Un esempio su tutti è la tanto pubblicizzata riforma della sanità, innalzata a simbolo della decuffarizzazione, ha avuto il solo merito di avere ridotto le spese, non migliorando i servizi ai cittadini e mantenendo lo stesso meccanismo di lottizzazione delle nomine dei manager e dei primari. Sel non sarà disponibile a nessuna alleanza anomala, piuttosto come sta già accadendo in molti comuni in cui il Pd è alleato con pezzi di centrodestra, costruiremo alleanze di centrosinistra senza il Pd, ma con molti pezzi di società civile che facevano riferimento a quel partito e che oggi soffrono nel vederlo alleato di chi ha contribuito negli anni al saccheggio della Sicilia”. GIAMBRONE: “Diventa più difficile, ma noi non disperiamo. Crediamo che la base del Pd, che riteniamo fortemente contraria alle scelte attuate dal proprio gruppo dirigente, riesca a fare compiere al partito una vera e propria inversione a U. Finche vincerà dentro
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il Pd la logica di Cracolici secondo la quale per sconfiggere il nemico e finalmente vincere bisogna allearsi con il nemico e con chi vince sempre noi non andremo da nessuna parte, nel senso che non costruiremo mai un’alternativa, ma solo un’omologazione. E la gente tra l’originale e la fotocopia sceglierà sempre l’originale. Il recente intervento del segretario nazionale Bersani lascia ben sperare, però bisogna uscire dal politichese e dalle ambiguità per andare verso una posizione netta e comprensibile a tutti”. MAROTTA: “Più forte sarà il carattere di autonomia delle forze politiche della sinistra dal Pd più probabile sarà la possibilità che si apra nello stesso un confronto sulle alleanze, basato non più esclusivamente su motivazioni tattiche e/o di gestione di potere, ma sostenuto, invece, da contenuti programmatici. La condizione necessaria per la formazione di un centro sinistra ampio rimane comunque il drastico cambio di rotta del Pd siciliano, con l’uscita immediata dal governo regionale ed il suo ritorno all’opposizione. L’ accanimento del Pd a restare impantanato in un governo il cui presidente è indagato per concorso esterno in associazione mafiosa blocca ogni possibile dialogo a sinistra. Per battere le destre occorre costruire una reale e credibile alternativa alle destre. La possibilità di allargare a forze moderate o di centro-destra la coalizione è un tragico errore che ha condotto sempre la sinistra siciliana ad iniziali fatue vittorie e a successive pesanti sconfitte, come dimostra la storia dei governi atipici dell’Isola dal dopoguerra ad oggi”. I cittadini vedono la politica sempre più distante dalle criticità che vivono quotidianamente e sono rare le voci che si levano per contra-
stare lo status quo. E’ rassegnazione, indifferenza o, come dice qualcuno, complicità verso un sistema? LUPO: “Non mi pare che sia così. Contro la devastazione della scuola pubblica e contro l’attacco alla magistratura, così come su altri temi, la mobilitazione è stata forte e diffusa. Noi siamo stati tra i protagonisti di questa protesta. Non è un caso che il nostro radicamento nel territorio e la nostra presenza siano capillari. Certo pesa quello che succede a livello nazionale, con Berlusconi tenuto politicamente in vita da un gruppo di transfughi su cui qualcuno, anche tra i principali dirigenti del centrosinistra, ha certo qualche responsabilità, se non altro per averli scelti e candidati”. PALAZZOTTO: “La rassegnazione è il peggior nemico dei siciliani, fa parte
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di noi l’idea che tanto le cose faranno il loro corso, che una dominazione prima o poi cederà il passo ad un'altra. Quando però qualcuno o qualcosa si erge a simbolo di riscatto i siciliani trovano le ragioni profonde della loro autonomia e nel passato non sono mancate ribellioni che hanno segnato la storia della Sicilia. In queste condizioni è facile capire come possa la rassegnazione prevalere sulla voglia di cambiare le cose. Quando la politica comincia a parlare di cose che sono lontane dalla vita delle persone, quando si blocca per mesi a discutere di se stessa come è accaduto per la legge elettorale, quando non si capisce più il confine tra gli schieramenti politici e si cambia la maggioranza di governo senza nessun passaggio elettorale, allora succede che l’indifferenza e la rassegnazione prevalgono. aprile • 2011 • N.3
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In questo quadro i Siciliani sono le vittime, i complici vanno ricercati tra chi sta al governo”. GIAMBRONE: “No, i cittadini, al netto di quella fascia minoritaria fortemente compromessa con il sistema di potere affaristico-clientelare, che salta in ogni caso sul carro del vincitore per tutelare i propri interessi, non sempre limpidi e legittimi, nella stragrande maggioranza vorrebbe un cambiamento vero. C’è molta rassegnazione e molta stanchezza per una politica fatta di barzellette, veline, compravendita dei parlamentari e mercificazione dei corpi. In Sicilia, non credo che i siciliani siano felici di ritrovarsi per la seconda volta consecutivamente con un presidente della regione indagato per reati infamanti come il concorso esterno in associazione mafiosa. Voglio essere chiaro, l’accertamento sulla rilevanza penale dei comportamenti di Lombardo, conclamati da intercettazioni e filmati, spetta alla magistratura, ma esiste una dimensione etica della politica che prescinde da quella giuridica e la precede. Ecco perché, secondo noi, Lombardo si deve dimettere per lasciare indenne da ombre e sospetti la più alta carica della Regione, anche di fronte agli occhi del mondo. Il problema però resta, è cioè la capacità o meno di risvegliare l’interesse della gente verso la politica. Occorre credibilità nei progetti e in chi li propone, coerenza delle alleanze e capacità di andare oltre il recinto dei partiti per coinvolgere, su una comune base di valori incentrati sulla legalità e sulla solidarietà, le forze sane della nostra terra, al di là delle appartenenze”. MAROTTA: “Se allo spettacolo di una politica gravemente malata, fortemente centrata sugli interessi individuali, contaminata dal populismo, dagli intrighi di Palazzo e dagli scandali, non si risponde con una proposta
politica di radicale cambiamento, la sfiducia dei cittadini e la lontananza fra questi e le istituzioni andrà inevitabilmente sempre più crescendo. La sinistra ha oggi una grande responsabilità: acquisire la consapevolezza che essa sola può proporre al paese un’alternativa credibile. Mettere insieme i nodi cruciali del paese, a partire dal protagonismo delle donne e dei movimenti dei giovani e della scuola, dalle vertenze operaie alle condizioni del lavoro precario e del non lavoro, dall’esigenza della ridefinizione di un piano economico ed industriale dettato dalla nuova frontiera delle compatibilità ambientali e delle energie alternative, per dare risposte credibili al disagio sociale e riaccendere la speranza di cambiamento rivendicata da tante lotte”. E’ possibile, in Sicilia, immaginare una reale alternativa al modo di governare delle istituzioni che ha impoverito i siciliani, rendendoli sudditi nei confronti delle stesse? LUPO: “Cuffaro ed il Pdl sono i principali responsabili dello sfascio economico e politico della Regione. Noi abbiamo cercato di utilizzare al meglio la nostra forza all’Ars per imprimere una svolta rispetto al passato e ricostruire le condizioni minime per aprire una stagione nuova nella politica siciliana. Basti pensare al fatto che già dal 2012 i sindaci delle nostre città, grandi e piccole, verranno eletti, grazie ad una riforma da noi fortemente voluta, senza il trascinamento delle liste. Occorre compiere un passo alla volta e farlo e' sempre meglio che rimanere fermi e gridare al vento che va tutto male”. PALAZZOTTO: “Il primo modo per non essere sudditi è accorgersi di esserlo. Per questo credo che la vera sfida sia culturale prima ancora che politica, e su questo tutti siamo chia-
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mati a fare la nostra parte. Non si può far finta di non vedere il rapporto che esiste tra la politica, il bisogno ed il consenso. Questo può avvenire solo se la gente si trova in una condizione di subalternità culturale ed economica. E' più facile governare una regione povera ed ignorante piuttosto che una regione ricca e colta. C'è bisogno di ricostruire il senso delle istituzioni, di ridare valore alla parola “diritto”, troppe volte scambiata con la parola “favore”, di approvare codici etici che vincolino la politica, ma anche gli ordini professionali e le organizzazioni di categoria, troppo spesso conniventi con chi perpetra questo sistema. GIAMBRONE: “Perché no? O dobbiamo pensare che siamo vittime di una perenne maledizione divina, o chissà di quale sortilegio? Il cambiamento è sempre possibile anche nella aprile • 2011 • N.3
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terra del Gattopardo. Ricordate durante i terribili anni delle stragi di mafia come si levò alta l'indignazione della gente? Ricordate le lunghe, interminabili catene umane, le lenzuola bianche sui balconi? E ancora prima ricordate la Primavera di Palermo? No, non siamo condannati al sottosviluppo e alla prevalenza della subcultura del favore e della sudditanza sulla cultura dei diritti e dei doveri e della cittadinanza piena. Ma naturalmente il nuovo deve essere vero nuovo e non cade dal cielo. Bisogna conquistare la fiducia dei cittadini attraverso una politica sana, densa dei valori costituzionali che sono alla base della nostra democrazia, e che guarda ai bisogni reali e non agli interessi della casta e dei furbetti del quartierino. E i cittadini devono fare, però, la loro parte. Finché continueranno a votare coloro che comprano il voto, che lo scambiano con false promesse e favori e che, nel peggiore dei casi, purtroppo frequente, fanno affari con la mafia e con la corruzione, non vivremo in un paese normale, in una regione moderna ed europea. L'alternativa è un obbligo morale, prima che politico, di tutti”. MAROTTA: “Il superamento delle logiche clientelari che hanno permeato e corrotto il modo di fare politica dei governi siciliani è condizione necessaria per ripristinare un corretto rapporto cittadino-istituzioni, ristabilendo per i primi le condizioni per poter esprimere un giudizio libero sull’operato delle seconde. L’attivazione in Sicilia dell’esperienza politica della democrazia partecipativa, già sperimentata in tanti enti locali italiani, darebbe centralità di giudizio ai cittadini nella verifica e valutazione dell’azione di governo della cosa pubblica, intervenendo a partire dai bisogni e dalle priorità espresse dalle comunità amministrate. Istituzioni, quindi, aperte al
protagonismo dei cittadini, capaci di costruire con essi percorsi comuni. La Regione siciliana continua, ancora oggi, a tenere i cordoni della borsa, a centralizzare ogni decisione mentre gli enti locali subiscono tagli insostenibili che riducono fortemente la capacità di spesa degli stessi a sostegno di uno stato sociale equo e solidale. Questo modo di governare non è in contrasto con il tanto declamato federalismo amministrativo? LUPO: “Intendiamo lavorare per il decentramento e lo snellimento burocratico della Regione. Certo il trattamento che Berlusconi, Tremonti e Bossi stanno riservando al Sud e alla Sicilia, con la gravissima complicità dei tanti parlamentari del centrodestra eletti qui, è tutt’altro che generoso. E le conseguenze saranno ancora più pesanti negli anni a venire. Siamo fiduciosi, però, sul fatto che ormai l’era berlusconiana sia giunta alla fine e, con essa, anche quella dei portatori d’acqua eletti in Sicilia disposti a vendersi e vendere gli interessi dei siciliani per un posto di governo o di sottogoverno”. PALAZZOTTO: “Questo governo accentra le risorse e decentra le competenze lasciando gli
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enti locali senza gli strumenti finanziari per garantire il livello di servizi che rendono effettiva la cittadinanza. Questo modello di federalismo nasconde in realtà il tentativo di distruggere quel po’ di stato sociale che garantivano ancora gli enti locali. Una regione veramente “autonoma” dovrebbe decentrare le competenze e le risorse, invece la Sicilia sembra aver ripreso su tutto la via dell'accentramento, come dimostra la tendenza a imporre modelli gestionali su base provinciale nella gestione dei rifiuti, delle acque, della sanità. Un federalismo sano, soprattutto al Sud passa anche dall'attribuzione di responsabilità alle amministrazioni locali. Oggi assistiamo al disastro causato dalla gestione degli Ato rifiuti come se si trattasse di un fenomeno meteorologico, senza che nessuno si assuma la responsabilità politica oltre che economica del milione di euro di debiti che pagheranno i siciliani. Gli amministratori, principali responsabili del disastro, dovrebbero almeno risponderne politicamente invece di essere ricandidati dai loro partiti come se nulla fosse”. GIAMBRONE: “Una parola di chiarezza anche su questa importante questione posta dalla domanda. La
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Regione, ormai completamente destrutturata, soprattutto dopo le ultime irragionevoli riforme, quasi da suscitare il sospetto di una vera e propria regia finalizzata all'immobilismo dell'amministrazione e della burocrazia, per meglio governare i processi clientelari, non ha mai svolto il ruolo assegnato dalla Costituzione e dallo Statuto di ente programmatore. La Regione tiene nei cassetti decine, centinaia di proposte, avanzate da studiosi e integerrimi e valenti funzionari, per rendere l'amministrazione regionale il centro della programmazione in tutti i settori vitali della società siciliana. Ma programmare vuol dire eliminare l'arbitrio e l'ingerenza della politica. Significa sbarrare il passo ai corrotti e agli affaristi. E per ciò quei progetti sono rimasti lettera morta. In più, a fronte del mancato federalismo amministrativo, assistiamo ad una miriade di contributi a pioggia senza che si possano valutare gli effetti in termini di crescita dell'economia e dell'occupazione. Il risultato finale, a seguito anche della sciagurata politica dei tagli lineari, è la necessità per i comuni, che ricevono sempre meno risorse per assicurare i servizi essenziali alla cittadinanza, di aumentare le imposte creando un ulteriore impoverimento delle famiglie”. MAROTTA: “Lo storico accentramento, che ha da sempre caratterizzato la Regione siciliana, della gestione di settori di competenza degli enti locali va immediatamente superato. E’, in tal senso, emblematico il settore della formazione professionale, settore che necessita di una seria e profonda riforma, le cui competenze in tutta Italia sono state da tempo trasferite alle provincie. Ma oltre l’esproprio delle competenze è l’abbattersi dell’ennesima scure, fatta di tagli indiscriminati sui trasferimenti, a svuotare la capacità amministrativa
di comuni e provincie. Gli enti locali siciliani che versano da tempo in un profondo stato di crisi economica, oggi non sono in grado, in molti casi, di chiudere la predisposizione di un bilancio o di proporre un programma triennale delle opere pubbliche. Schiacciati dal patto di stabilità che non consente loro di attivare la spesa oltre tetti minimi preordinati, dovranno, inoltre, cimentarsi con il federalismo fiscale che, di fatto, produrrà nel mezzogiorno un’ulteriore decrescita delle entrate. Una condizione inaccettabile che rischia di colpire duramente la spesa sociale e gli investimenti e di costringere gli enti locali all’introduzione di nuove tasse e balzelli. Occorre invertire tale condizione attivando il decentramento amministrativo e delle corrispettive risorse economiche dalla regione alle comunità locali, dando certezza sui tempi ed incrementando i trasferimenti. La Regione, inoltre, deve intervenire sull’attuale condizione di blocco della spesa dovuta ai limiti imposti dal patto di stabilità, stanziando finanziamenti diretti per le opere pubbliche da realizzare”. A parte la riforma della legge elettorale per gli enti locali, si può davvero parlare di stagione di riforme con riferimento al Governo regionale? LUPO: “Cuffaro e il Pdl sono i principali responsabili dello sfascio economico e politico della Regione. Noi abbiamo cercato di utilizzare al meglio la nostra forza all’Ars per imprimere una svolta rispetto al passato e ricostruire le condizioni minime per aprire una stagione nuova nella politica siciliana. Basti pensare al fatto che già dal 2012 i sindaci delle nostre città, grandi e piccole, verranno eletti, grazie ad una riforma da noi fortemente voluta, senza il trascinamento delle
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liste. Occorre compiere un passo alla volta e farlo è sempre meglio che rimanere fermi e gridare al vento che va tutto male. Alcune riforme approvate sono certamente importanti come l'esenzione ticket sulla diagnostica, l'apertura pomeridiana delle scuole nelle aree a rischio, il credito d'imposta per gli investimenti e gli aiuti all'occupazione. Chiediamo comunque al governo un cambio di passo soprattutto per affrontare i temi dello sviluppo e dell'occupazione”. PALAZZOTTO: “La Regione Sicilia per il terzo anno consecutivo approverà il bilancio in esercizio provvisorio. L'impressione che si ha è che se fosse stato possibile si sarebbe aspettato la fine dell'anno. L'esercizio provvisorio dovrebbe essere un fatto straordinario perché consente nei 4 mesi successivi al 31 dicembre la sola gestione ordinaria delle risorse. Una Regione che per quattro mesi non ha un bilancio è sicuramente una Regione che non sta facendo investimenti, che non sta programmando, ma che al massimo tira a campare. Fare le riforme è una cosa un po' più complessa che richiede anche la capacità di gestire le risorse guardando al futuro e non alla spartizione per centri di interesse o di potere come sta accadendo. Per entrare nel merito di quelle che impropriamente sono state chiamate riforme bisogna dire che l'acqua è rimasta in gestione ai privati e che le tariffe sono aumentate del 65% negli ultimi 3 anni, che le nostre città sono sepolte dai rifiuti anche se la Tarsu è più che triplicata, che la sanità siciliana ha 2600 posti letto in meno, 17 nuovi manager di nomina politica e nessun miglioramento del servizio territoriale. Basta?” GIAMBRONE: “No! La stessa riforma della legge elettorale, seppur in qualche modo tenta di reintrodurre, in paraprile • 2011 • N.3
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ticolare, la vera elezione diretta dei sindaci dall'altro lato è un vero e proprio pasticcio, come riconosciuto da qualche esponente autorevole del Pd, che potrà provocare confusione negli elettori e negli esiti delle elezioni. Grave, poi, la bocciatura, a tradimento, della norma a favore della preferenza di genere. Invece, per quanto riguarda le invocate riforme, invocazione usata ultimamente dal segretario regionale Giuseppe Lupo per motivare la decisione di continuare nel sostegno a Lombardo, anche dopo la chiusura delle indagini della Procura di Catania a suo carico, anche qui dobbiamo uscire dall'equivoco. Due sono, in specie, le riforme citate ripetutamente. Quelle della Sanità e dei rifiuti. Ebbene, per la prima basta parlare con i medici, con i parasanitari, con i sindacati del settore e, soprattutto, con i cittadini, per rendersi conto che la cosiddetta riforma portata avanti da Lombardo, con la faccia di Massimo Russo, sta aggravando la situazione e che sempre meno viene garantito il diritto assoluto alla salute dei cittadini. In particolare nelle zone disagiate del nostro territorio, quelle montane e meno praticabili durante la stagione invernale. Sui rifiuti non occorre spendere molte parole. Basta fare un giro per le nostre città, grandi, medie e piccole, e nelle strade provinciali e statali, ridotte a discariche a cielo aperto, per imbattersi nelle montagne di immondizia per le vie. Il problema è ancora tutto in piedi e la Regione non s'è ancora dotata di un vero piano per lo smaltimento dei rifiuti. Finora ha cambiato più volte posizione ma è rimasta immobile. Eppure, altrove, i rifiuti sono diventati fonte di ricchezza e di creazione di posti di lavoro, nel rispetto dell'ambiente e con metodi sostenibili, meno costosi e meno pericolosi per la salute, e collaudati, basati sulla rac-
colta differenziata a pieno regime e sulla realizzazione di moderni impianti di trasformazione del “secco” in materiali utilizzabili. In definitiva, non c'è alcuna traccia di riforme vere e se qualche provvedimento, a cui è stato dato il nome di riforma, è stato varato, è stato dannosissimo”. MAROTTA: “Non ci pare si possa parlare in Sicilia di nuova stagione di riforme. Quelle annunciate si sono subito rivelate degli enormi castelli di carta assolutamente inconsistenti. La cosiddetta riforma della sanità si è sostanzialmente caratterizzata da tagli alla spesa senza aumentare il già insufficiente livello di efficienza delle prestazioni sanitarie. Nulla di utile per i cittadini. La riforma degli Ato rifiuti rimane nel limbo mentre il deficit accumulato dagli stessi rischia di sommergere definitivamente i bilanci dei comuni. La mini riforma elettorale non affronta la questione del voto di genere ed ignora la necessità di rivedere la soglia di sbarramento, condizione che ha già escluso dall’Ars e che potrà escludere da molti enti locali, forze politiche rappresentative di rilevanza nazionale, annullando il consenso loro dato da centinaia di migliaia di cittadini.
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Basta la presenza nella giunta regionale di qualche magistrato e prefetto per ritenere l’attuale governo immune da interessi criminali e mafiosi? LUPO: “Sugli atti del Governo, oltre alla presenza di assessori che, per la loro storia ed il loro profilo rappresentano già una garanzia, credo che si possa ragionevolmente affermare che le scelte operate segnino un’inversione di tendenza significativa soprattutto in due dei settori che si sono rivelati come quelli più a rischio, come i rifiuti e la sanità. La Regione è comunque una macchina molto complessa, in cui la burocrazia svolge un ruolo determinante. Nella farraginosità delle procedure può sempre annidarsi il rischio di comportamenti illeciti ed infiltrazioni criminali. Da parte nostra sul piano politico e legislativo siamo stati vigili ed attenti e ci siamo fatti promotori di importanti provvedimenti finalizzati a rendere più trasparente ogni scelta. Anche la recente riforma sulla semplificazione amministrativa va in questa direzione. Ripeto: siamo una forza politica che ha, nel proprio dna, la lotta alla mafia e le nostre scelte sono e saranno sempre improntate a contrastare cosa nostra ad ogni livello, sul piano politico e sul piano culturale.
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Siamo, al contempo, consapevoli, che bisogna affrontare questo tema con rigore e serietà, senza valutazioni sommarie o superficiali, senza strumentalità di alcun tipo”. PALAZZOTTO: “Frequentare in più occasioni e in contesti differenti esponenti di spicco della criminalità organizzata di per sé non costituisce reato. Credo però che se a farlo sono uomini delle istituzioni, esponenti politici o il presidente della Regione si ponga un problema di natura morale ed etica che in Sicilia non è tollerabile. Non lo è perché il sospetto che dietro si nascondano interessi criminali e mafiosi è concreto e questo delegittima le istituzioni oltre che aumentare la sfiducia dei cittadini nei confronti di una politica sempre meno capace di autoregolamentarsi sul piano morale. Se io tenessi tali comportamenti verrei giustamente cacciato a calci dal mio partito, non capisco perché il Pd, che sulla giustizia condivide con noi molti elementi di cultura politica, non faccia altrettanto con Lombardo. Pensate che sia possibile coprire tutto questo con il profilo personale di qualche esponente del governo?”. GIAMBRONE: “No, non basta. E’ necessario che l'intero sistema sia impermeabile alle infiltrazioni mafiose e agli interessi criminali. E non bastano nemmeno le norme che soltanto possono sostenere l'azione di uomini e donne che vogliono scardinare davvero il sistema affaristico clientelare e mafioso che avviluppa la Sicilia. Lombardo, invece, ha sostituito la mappa del potere cuffariano con la sua. Ha sistematicamente occupato tutte le più importanti postazioni di potere, nella sanità, nelle partecipate, nell'amministrazione regionale. Siamo rimasti purtroppo perplessi per il fatto che magistrati e prefetti abbiano accettato di fare parte di un governo presieduto da Raffaele Lombardo. Attenzione,
non mi riferisco alle sue vicende giudiziarie. Lombardo si è presentato come il nuovo in Sicilia, senza averne né la storia, né l'attualità. Le inchieste a suo carico aggravano soltanto una situazione già pesantemente condizionata da una gigantesca questione morale che investe la politica, le istituzioni, l'amministrazione pubblica e l'economia. I cosiddetti “assessori tecnici” del governo Lombardo rischiano di diventare complici se non disgiungeranno al più presto le loro responsabilità da quelle ben più ampie e compromesse del governatore”. MAROTTA: “Ogni membro del governo dirige e controlla quasi esclusivamente l’ambito del proprio assessorato e solo degli atti prodotti dal suo settore, di cui ha contezza, risponde direttamente. La presenza all’interno della giunta regionale di uomini che provengono da importanti incarichi presso le istituzioni dello Stato rappresenta sicuramente una garanzia contro le possibili infiltrazioni della criminalità mafiosa relativamente ai settori di propria competenza. La permeabilità della politica siciliana ai fenomeni criminali e mafiosi rimane, comunque, alta, come attestano le recenti cronache giudiziarie. Un governo di alternativa deve centrare l’assoluta priorità della lotta alla mafia, in ogni forma e con ogni mezzo, all’interno del suo programma e della sua azione amministrativa, assumendo il ruolo, in nome del popolo siciliano, di principale ed intransigente avversario della criminalità mafiosa”. C’è una Sicilia operosa nel mondo produttivo, nell’associazionismo, nel volontariato che noi abbiamo chiamato “ Sicilia del bene comune”, che opera spesso in solitudine e che vive una condizione di marginalità rispetto alla politica e ai suoi Palazzi. Una Sicilia operosa
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che chiede più partecipazione e che non vuole rinunciare a costruire una reale alternativa politica per la nostra regione. Come il centrosinistra intende rapportarsi a questa realtà positiva? LUPO: “Il rapporto con la società civile organizzata per il Pd è fondamentale. Non può esserci una Sicilia del bene comune contrapposta ed estranea alla politica. Ed e' compito della politica aprirsi alla partecipazione dei corpi sociali intermedi e dei cittadini. I nostri circoli sul territorio e negli ambienti di lavoro sono importanti per mantenere un rapporto diretto con la Sicilia migliore che vuole cambiare. Ma è bene ricordare che la Sicilia del bene comune è già protagonista in tante amministrazioni comunali, che si oppongono alla mafia; ed è protagonista anche attraverso i propri rappresentanti al Parlamento europeo, in quello nazionale ed in quello regionale. Noi ci sentiamo parte integrante di una Sicilia che guarda ed opera per il bene comune. Crediamo anche che questa Sicilia sia maggioritaria e che bisogna aiutarla ad esprimersi attraverso la partecipazione democratica che solo i partiti sani possono interpretare”. PALAZZOTTO: “La storia del centro sinistra siciliano è stata attraversata da tante sconfitte, ma è stata caratterizzata da grandi momenti di riscatto della nostra terra, dalle occupazioni delle terre alla “Primavera Siciliana”. Tutti questi momenti sono stati caratterizzati da grandi processi di partecipazione democratica; quando la democrazia diventa ostaggio di processi oligarchici allora il centrosinistra esaurisce la sua spinta propulsiva. In questo momento la politica dovrebbe ammettere la sua insufficienza davanti alle difficoltà che la Sicilia sta attraversando. Io credo che un nuovo centrosinistra possa nascere solo dal aprile • 2011 • N.3
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coinvolgimento, delle forze sociali, della società civile e dell'associazionismo nei processi decisionali. Le primarie sono state e saranno uno strumento utile a questo, per questo bisogna preservarle come elemento costitutivo del centrosinistra. A Ragusa, unico comune al voto in cui si sono svolte, il centrosinistra è unito con un profilo in grado di competere in quella che era considerata da tutti una battaglia persa”. GIAMBRONE: “Il mio pensiero corre al variegato mondo del volontariato cattolico, straordinaria presenza che spesso colma il vuoto lasciato dalle istituzioni soprattutto per la mancanza di politiche di sostegno per le fasce deboli, i disagiati, i senza casa, per le periferie prive di servizi sociali ed infrastrutture essenziali. Ma penso anche alle tante associazioni, ai movimenti, che tengono alto il livello di vigilanza democratica contro i tentativi di regime di affievolire diritti e disconoscere i bisogni. Nella nostra isola, nelle nostre città, da Palermo a Catania, da Messina ad Agrigento, nei centri ad alta densità mafiosa di provincia, vi sono testimonianze concrete di lotta alla mafia e di contrasto alle illegalità, portate vanti da giovani e dall'informazione libera. Naturalmente un ruolo essenziale stanno svolgendo le associazioni di categoria, degli industriali, degli imprenditori, dei commercianti, contro il racket ed il pizzo. Una nuova stagione, la stagione delle denunce da contrapporre ad un passato fatto di silenzi e di paura. E non posso non menzionare, anche per il mio ruolo di componente della commissione Cultura ed Istruzione del Senato, l'opera svolta dalla scuola e dagli insegnanti per formare i giovani alla cultura della legalità, all'esercizio dei diritti e all'assolvimento dei doveri. Altro che covo di comunisti e di cattivi educatori come va blaterando Berlusconi. Ecco, è a
questa parte sana della società che il centrosinistra si deve rivolgere per disegnare un futuro possibile e diverso per noi e per le generazioni a venire. Dobbiamo parlare con chi lavora e produce nella legalità e con chi semina nel tessuto sociale i valori della solidarietà e dei principi fondamentali della nostra Carta costituzionale. La mafia ha paura di chi lavora senza i riflettori per aiutare le coscienze a ribellarsi contro la sopraffazione e la subcultura del favore. Per questo sono morti uomini come Libero Grassi e padre Pino Puglisi”. MAROTTA: “Il mondo dell’associazionismo e del volontariato rappresentano una realtà importante a volte decisiva in molti settori del sociale, un mondo di relazioni, di partecipazione, di risorse per la crescita delle comunità, nello spirito del servizio, dell’assunzione diretta delle responsabilità civili e sociali.Una straordinaria risorsa, spesso invisibile e dimenticata dai governi regionali e locali, radicata nei territori, diffusa nelle comunità più piccole, ma anche molto organizzata e qualificata nelle sue dimensioni più ampie. Occorre sostenere questa realtà accompagnarla nella sua crescita e capacità di fare rete, amplificare le attività e stimolare la ricerca di una collaborazione e dialogo alla pari, non strumentale, fra le istituzioni pubbliche e il terzo e quarto settore, rafforzando un dibattito sulla cultura del volontariato per generare scelte legislative utili. Una coalizione di alternativa deve saper cogliere e valorizzare l’esperienza di tale settore assumendola come essenziale per la realizzazione del suo programma di governo”.
gettivo di perdere centinaia di milioni di euro, come paventato dal Commissario europeo agli Affari regionali nella sua recente visita a Palermo. Come si pensa di superare questo fatale immobilismo? LUPO: “Siamo stati e siamo critici rispetto a quanto si è fatto e si sta facendo per dare risposte sul piano dello sviluppo, dell’occupazione e rispetto alla capacità di utilizzazione dei fondi europei. Abbiamo più volte promosso la concertazione tra le parti sociali ed il Governo Regionale, proprio perché crediamo che e' necessario mobilitare ogni risorsa per invertire la tendenza. Ancora non ci siamo. Crediamo si debba ripartire dai territori e, per farlo, occorre decentrare compe-
E’ drammatica la situazione occupazionale nella nostra regione e non si può, certo, parlare di politiche virtuose praticate nell’utilizzo dei fondi europei. C’è il rischio og-
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tenze e poteri, anche per quanto riguarda la programmazione dei fondi comunitari che deve guardare di più allo sviluppo locale concertato. Dopo l'approvazione del Bilancio e della Finanziaria concentreremo tutta la nostra attenzione sui temi del lavoro e dello sviluppo. Per utilizzare presto e bene i fondi comunitari, in particolare, contiamo molto sulla collaborazione e sull'impegno dei nostri parlamentari europei che sapranno certamente proporre soluzioni adeguate”. PALAZZOTTO: “In Sicilia il tasso di disoccupazione giovanile è circa il 50% e 26.000 giovani sotto i 35 anni lasciano ogni anno la nostra terra in cerca di un futuro migliore, qualcuno dovrebbe avere il coraggio di dire che loro un futuro in questa terra non ce l'hanno perché in più di vent'anni i governi che si sono succeduti, compreso quello attuale, non sono riusciti a spendere bene i fondi che arrivavano dall'Europa. Durante la sua ultima campagna elettorale Cuffaro vantò tra i suoi risultati quello di avere ottenuto che la Sicilia fosse rimasta tra le regioni “Obiettivo 1” ovvero tra quelle che avrebbero ricevuto fondi ulteriori per uscire dalla condizione di sottosviluppo strutturale rispetto al resto d'Europa. Capirete quanto c'è di scabroso in queste affermazioni, dopo più di vent'anni di sovvenzioni europee non solo non siamo riusciti a migliorare nulla, ma ci vantiamo di poter continuare a fare furbi sulle spalle dell'unione europea. In una terra normale ci si dovrebbe vantare del contrario, ovvero di avere speso bene i soldi che arrivavano e di essere riusciti ad uscire dal novero delle regioni più sottosviluppate d'Europa. Non è stata costruita una sola autostrada, non è stato fatto il raddoppio della linea ferrata tra Messina e Palermo, non sono stati costruiti gli interporti. La verità e che i soldi sono stati spesi in questi
anni per la spesa corrente di una Regione sull'orlo del dissesto finanziario. E quando nel 2013 i fondi saranno finiti, come faremo?”. GIAMBRONE: “C'è assenza di politiche. L'unica politica per l'occupazione è il favore e il precariato. La disoccupazione giovanile in Sicilia ha raggiunto punte drammatiche, oltre il 50%, e non basta il lavoro nero per rimuovere il problema. Stiamo vivendo le tragedie della Fiat di Termini Imerese, ma non solo. Molte industrie sono al collasso e licenziano. L'utilizzazione dei fondi europei è minima perché nulla la capacità di progettare, di pensare in grande. Non c'è, nella nostra classe politica, un'idea di Sicilia. Spendiamo poco e male. L'Europa ci vede come una palla al piede e gli imprenditori non investono in una regione che elegge dei governatori che finiscono sotto inchiesta per reati di mafia. Solo una rivoluzione democratica e radicale può fare superare immobilismo e malgoverno”. MAROTTA: “La situazione denunciata dal commissario europeo Johanns Hahn tocca toni drammatici e stigmatizza l’incapacità del Governo regionale a dare sbocchi concreti e produttivi alla spesa dei fondi strutturali. La situazione della Sicilia è paragonata a quella della Romania e della Bulgaria e sussiste il forte rischio che si possano perdere ulteriori 900 milioni di euro. Il dato è paralizzante, frutto dell’immobilismo e della mancanza di una razionale programmazione: dei 3 miliardi e 400 mila euro che sono stati previsti come budget europeo, solo il 14% è stato utilizzato dalla Sicilia. Occorre una immediata rimodulazione delle linee di intervento dal punto di vista quantitativo, riducendole drasticamente, e qualitativo, finalizzandole ad interventi produttivi con forte ricaduta occupazionale. Ma oltre all’inca-
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pacità gestionale di risorse fondamentali per losviluppo dell’Isola, il governo regionale ha ampiamente dimostrato di non avere una chiara strategia per quanto attiene il settore del lavoro e dell’occupazione, assumendo all’interno delle grandi vertenze sul lavoro una posizione subalterna agli interessi della grande industria, non riuscendo ad assumere il ruolo di autorevole mediatore. La questione Fiat di Termini è significativa di tale condizione. I lavoratori , per cui in questi giorni è partito un nuovo ciclo di cassa integrazione, andranno tutti a casa a fine anno quando si concluderà la produzione auto. Le manifestazioni di interesse per il dopo Fiat avanzate da alcuni gruppi, sembrano a tutt’oggi prive di una reale prospettiva di sviluppo e di concrete garanzie occupazionali. Un governo che si rispetti avrebbe acquisito direttamente la questione facendo fino in fondo la propria parte. Si sarebbe dovuto intervenire per creare quei presupposti a partire da una seria infrastrutturazione dell’area industriale, all’incentivazione delle imprese, alla creazione delle condizioni logistiche per attivare processi di innovazione tecnologica, ovvero tutti quegli elementi che avrebbero potuto creare l’appetibilità di un area industriale agli investimenti delle imprese. Senza un governo che costruisca i presupposti per una ripresa economica i processi di marginalizzazione dell’isola rispetto alle aree forti del nord Italia continuano a crescere toccando punte estremamente preoccupanti.E’ significativo il dato di profonda crisi denunciato dalla CGIL che vede in Sicilia il reddito medio pro capite inferiore del 35% rispetto alla media italiana, con un tasso di disoccupazione al 13,3% contro il 7,6% nazionale, che raggiunge valori altissimi per le giovani donne con 47,5%”.
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Nelle pieghe della società sta il bandolo del rinnovamento di NINO ALONGI ono molti a pensare che il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica sia in fondo solo una invenzione giornalistica. In realtà, secondo questa visione la prima Repubblica continuerebbe ad esistere, seppur in uno stato preagonico. C’è sicuramente del vero in questa affermazione, tuttavia, non si può ignorare che gli ultimi decenni, anche se non hanno prodotto quello che molti di noi, alla caduta rovinosa di una intera classe dirigente nel 1994 speravamo, non sono trascorsi inutilmente. Sono serviti, comunque, a svelare i limiti e i pericoli che si celavano dietro alcune pseudo utopie, molto seguite, che promettevano salvifici cambiamenti del costume politico. Intendiamo riferirci, in particolare, alle tendenze presidenzialistiche, allo spontaneismo della rappresentanza con la inevitabile caduta nella privatizzazione della politica, al superamento delle appartenenze in nome di un pragmatismo che, pur liberandoci dalle ossessioni ideologiche, finiva per giustificare squilibri ed abusi in nome del denaro, comunque acquisito, e della libera concorrenza comunque esercitata. A ben riflettere gran parte di queste tendenze le ritroviamo nel berlusconismo che non a caso ha dominato in questi anni incidendo profondamente nella vita politica e culturale del Paese. Il declino adesso del carisma del Cavaliere, cresciuto nel miraggio di grandi riforme, sempre annunciate e mai portate a termine, sta facendo emergere la realtà vera, quella di un Paese stremato dalla crisi finanziaria, bistrattato sul piano internazionale, diviso al suo interno con una gioventù senza futuro destinata a vivere nella più assoluta precarietà.
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In queste condizioni indignarsi serve poco. Bisognerebbe battersi per costruire concretamente una alternativa. Molti puntano sui partiti che oggi sono all’opposizione. Intendiamo riferirci a Futuro e libertà, all’Unione di centro (Udc), al Partito democratico. Si tratta di formazioni che presentano tra loro profonde differenze ma, a differenza di improvvisati partiti che hanno affollato in questi anni il panorama politico italiano, queste formazioni hanno alle spalle radici culturali e percorsi “nobili” strettamente legati alla storia del Paese. Non a caso difendono l’unità della nazione, credono nella Costituzione e si riconoscono pienamente nel sistema democratico. Per quanto accomunati dalla stessa avversione nei riguardi del berlusconismo esse, però, si ritrovano a rappresentare aree culturali che restano tra loro lontane e questo impedisce di fatto che si possa realizzare, soprattutto nella fase elettorale, una organica alleanza. Un limite che non è facile superare. Un fatto nuovo, comunque, si sta verificando,
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in una di queste formazioni. Da almeno quattro settimane i sondaggi segnalano un lento ma graduale aumento, a livello nazionale, del consenso nei riguardi del Pd e degli altri partiti che si ritrovano alla sua sinistra. Praticamente, seppur di poco, lo schieramento di centro sinistra prevale sullo schieramento berlusconiano di centrodestra. Non sappiamo, però, se lo stesso aumento dei consensi si stia verificato nelle stesse settimane a livello siciliano. Ne dubitiamo. E purtroppo senza un cambiamento dell’elettorato nell’Isola tutto si complica. Purtroppo da noi il Partito democratico continua a vivere diviso tra spinte moraleggianti e cadute compromissorie che hanno avuto come effetto, almeno fino ad oggi, il disorientamento della base e il rigetto progressivo dell’elettorato. Una condizione puntualmente confermata per altro dalle elezioni che si sono avute negli ultimi anni nell’Isola. L’ingresso del Pd nell’area di governo, in seguito al disfacimento per interna consunaprile • 2011 • N.3
Politica
zione del partito del Cavaliere, lo ha rimesso in giuoco. Non conosciamo la effettiva ricaduta di questa operazione sull’elettorato. Essa ha avuto degli effetti di una certa rilevanza: ha ottenuto una consistente incrinatura nel sistema di potere regionale (ha avviato la riforma sanitaria, innovate le procedure per lo smaltimento dei rifiuti, modificata la legge elettorale), ha scongiurato inoltre l’anticipato scioglimento della legislatura ed ha resa ancora più profonda la frattura all’interno del centro destra. Il sostegno, nondimeno, ad un governo che, per quanto composto da tecnici, continua ad essere guidato da un presidente che non incarna esattamente il nuovo, è motivo non a torto di forte perplessità. Non è necessario essere grandi strateghi per comprendere quanto rischiosa e piena di inquietanti incognite sia questa posizione del partito specialmente dopo le notizie che sono filtrate dalle sedi giudiziarie nei riguardi del presidente della Regione. Lasciare, in presenza di situazioni così cruciali, l’intera responsabilità alla dirigenza del partito è sbagliato. Si imporrebbe pertanto il coinvolgimento pieno della base. Ma questo non si vuole fare. La democrazia è una pratica facile da predicare e difficile da applicare. *** Sarebbe poco rispettoso della verità se attribuissimo, comunque, le nostre tribolazioni per la politica solo alla debolezza del maggior partito di opposizione. In realtà quanto avviene nel palazzo a parte una piccola minoranza non sembra interessare più di tanto la gente. Lo stesso declino della convivenza civile non suscita reazioni significative. Per settimane quanto accadeva a Lampedusa invasa dai migranti non ha suscitato alcuna reazione né da parte del governo né
da parte dell’Assemblea regionale che ha continuato ad occuparsi d’altro. La stessa opinione pubblica è rimasta indifferente. Diciamo la verità. La così detta società civile da tempo tace. Parte o gran parte del mondo degli intellettuali, che di detta società dovrebbe essere l’anima oltre che la testa, chiacchiera, ma la ritroviamo sempre organicamente inserita nel sistema di potere di tutte le maggioranze. Dalle nostre parti, gira e rigira alla fine prevale la logica della prevaricazione. Il disordine che diventa opportunità, la debolezza dei poveri che alimenta la forza dei potenti, i disastri pubblici che mutano in vantaggi privati. Ribaltare questo modo di pensare non è facile. Questo quadro, per quanto allarmante, non è uniforme, fortunatamente presenta delle incrinature. Anche nell’Isola, come nel resto del Paese, esiste fortunatamente una minoranza virtuosa che pur tra mille difficoltà ha esercitato e continua ad esercitare una presenza significativa. In particolare in questi anni un ruolo importante ha svolto il gruppo di militanti che ha accompagnato l’impegno civile di Rita Borsellino. Una presenza coraggiosa che tuttavia non è riuscita ad incidere più di tanto. Ciò è dovuto sicuramente alle resistenze culturali e politiche, la cui natura perversa conosciamo bene¸ ma probabilmente ha influito anche il modo di porsi e di rappresentare da parte di questi innovatori, le ragioni del cambiamento. L’impegno di una minoranza virtuosa in un contesto, come quello isolano, non può essere episodico e tanto meno legato ad eventi elettorali. E non può essere affidato in modo esclusivo a singole testimonianze, ma deve assumere i caratteri della collegialità. I rapporti con le varie forze politiche non possono essere costantemente contrassegnati da una presunta superiorità morale, ma de-
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vono tendere a forme possibili di confronto e di collaborazione. Le stesse istanze di legalità nei vari contesti popolari non possono essere rappresentati come degli imperativi, semmai come la necessaria condizione di uno sviluppo solidale. Sono tutti accorgimenti che ci appaiono essenziali se non si vuole correre il rischio o di vanificare gli sforzi profusi o peggio di finire senza volerlo col riprodurre paradossalmente le stesse degenerazioni del berlusconismo. Battersi per il rilancio di una presenza politica significativa è fondamentale. Il cambiamento non verrà mai per spontanea germinazione dal Palazzo, è nelle pieghe della società, dove si annidano le sofferenza delle donne e degli uomini, che si trova sempre, ma bisogna cercarlo, il bandolo del rinnovamento.
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Dossier
Milioni in fumo, opere al palo e rincari Il grande bluff dell’acqua privata di DARIO PRESTIGIACOMO ara privatizzazione. Da quando la Sicilia ha deciso di porsi all’avanguardia nella privatizzazione delle sue reti idriche, le casse regionali hanno visto andare in fumo centinaia di milioni di euro. In compenso, adesso le bollette di mezza Isola non solo sono più care, ma soprattutto vanno a finire nelle tasche di multinazionali del calibro di Veolia e Aqualia, ma anche di società italiane, come Aps, AcquaEnna, Girgenti acque. Insomma, di quella fitta trama di interessi dove privato e pubblico, finanza e politica si confondono. E dove, a fronte di reti idriche che continuano a essere un colabrodo, l’acqua diventa sempre più un “bene” per pochi.
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Ma come si è arrivati a questa situazione? Tutto comincia negli anni ’90 con la legge Galli, che introduce il sistema degli Ambiti territoriali ottimali per la gestione della distribuzione dell’acqua potabile, dei depuratori e delle reti fognarie. Quasi un decennio dopo, la Regione siciliana, con notevole ritardo, decide di costituirne nove, uno per provincia, senza seguire il principio dei bacini idrografici, suggerito dalla legge, ma quello della lottizzazione politica. Sopra questo sistema di Ato (che sono società private solo sulla carta) a Palazzo d’Orleans pensano bene di collocare un’altra società, privata per il 75 per cento (col controllo della francese Veolia) e per il restante 25 in mano alla Regione: si
chiama Siciliacque e dal 2004 ha sostituito l’Eas nella gestione di tredici sistemi “acquedottistici” dell’Isola (invasi, pozzi, dissalatori e sorgenti). Così facendo, solo una parte della rete siciliana è rimasta in mano pubblica. Ma giusto per poco. Già, perché dal 2005 sono cominciate le privatizzazioni di sei ambiti (Agrigento, Catania, Caltanissetta, Enna, Palermo e Siracusa): qui (con l’eccezione di Catania) a distribuire l’acqua e a incassare le bollette, sono ora società private, mentre gli Ato (ossia il pubblico) stanno a guardare e, magari, a controllare. Il ruolo di controllore spetta anche alla Regione, attraverso il suo dipartimento Acque e rifiuti, che a sua volta controlla l’Eas, ente in liquidazione ma di fatto ancora responsabile della distribuzione di acqua nei comuni del Trapanese, del Messinese e di parte della provincia di Catania. In questo marasma, è pure comprensibile che a Palazzo d’Orleans ci si confonda. E così, capita che l’Eas prima citato non solo rimanga in piedi con tutti i suoi 110 dipendenti e i suoi cento e passa milioni di debiti, ma si faccia pure fregare su quel po’ d’acqua che gestisce. Come? Secondo quanto rivelato da Antonio Fraschilla su Repubblica.it, dal 2004, a seguito di una convenzione firmata dall’allora governatore Cuffaro, l’Eas vende l’acqua dei suoi invasi a Siciliacque a un canone fisso di 5,2 milioni di euro. Fin qui niente di male, se non fosse che, per esempio, nel 2009, Siciliacque ha prele-
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vato 80 milioni di metri cubi di acqua (pagata così a 0,06 euro a metro cubo) dagli invasi Eas, lasciandoli praticamente a secco. A questo punto, l’Eas, per garantire i 46 comuni che ha ancora in carico, si è trovata costretta a ricomprare 10 milioni di metri cubi d’acqua. Da chi? Da Siciliacque, ovviamente, e a un costo di 0,63 euro a metro cubo. Con questo aprile • 2011 • N.3
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giochetto, la Regione ha perso dal 2004 al 2010 una cifra intorno ai 50 milioni di euro, mentre in appena un anno (il 2009) Siciliacque ha incassato un utile di 5,7 milioni solo dalla vendita dell’acqua all’Eas. Ma non si era detto che con la privatizzazione si sarebbero raggiunti finalmente quegli standard di efficienza ed economicità che avrebbero risolto i problemi della “malagestione” da parte degli enti pubblici? Chi lo ha detto, non avrebbe mai pensato a quello che è successo con l’arrivo dei privati negli Ato delle province siciliane. Emblematico è il caso di Caltanissetta, dove opera la Caltaqua. Dal 2006 a fine 2009, da quando ha preso in gestione i rubinetti del Nisseno, Caltaqua ha accumulato un debito di 67 milioni di euro, frutto soprattutto del mancato pagamento delle bollette e dei vari contenziosi che si sono aperti negli anni con utenti e amministrazioni locali. A Gela, ad esempio, la stessa amministrazione ha invitato i cittadini a pagare solo il 50 per cento delle bollette per protesta contro i continui disservizi nell’erogazione e nella depurazione dell’acqua. Per tutta risposta e per ripianare i debiti, Caltaqua, in attesa di avviare gli investimenti sulla rete, ha provveduto ad aumentare le tariffe e a portare avanti un’intensa campagna di riscossione crediti. Ma nonostante ciò, le casse hanno continuato a perdere. Per fortuna della società controllata dagli spa-
gnoli di Aqualia, comunque, ci ha pensato la Regione a far rifiatare i bilanci, garantendo un contributo di 35,8 milioni. «In pratica – ha raccontato un ex ingegnere dell’Arra a Repubblica - la tariffa applicata da Caltaqua in accordo con l’Ato nella fase di startup non era e non è sufficiente a coprire i costi di gestione. Così, si è giunti a un accordo per contenere l’aumento delle bollette e garantire al contempo la copertura dei mancati incassi. E lo stesso è avvenuto per Girgenti acque, per un contributo di circa 16 milioni». Girgenti acque è la società che dal 2007 gestisce il servizio idrico in provincia di Agrigento, dove, secondo Cittadinanzattiva, si pagano tra le bollette più care d’Italia (intorno ai 400 euro medi a famiglia). Eppure, nonostante l’ aiuto della Regione e l’aumento delle tariffe, la società, guidata dalla capofila Acoset del-
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l’imprenditore Giuseppe Giuffrida, ha accumulato nel bilancio 2009 debiti per 34,1 milioni di euro. La stessa storia si ripete anche nelle altre province. A Palermo, l’Aps deve fare i conti con un debito di 30 milioni. Più o meno quello accumulato dalla Sai8, che gestisce la rete siracusana, mentre il debito di AcquaEnna è schizzato già nel 2008 a 44,7 milioni. A Catania, la Sie controlla appena l’erogazione in una manciata di comuni, ma in compenso non le mancano i debiti. Vista così, la privatizzazione non sembra poi così conveniente anche per gli stessi privati. Che, però, a differenza di cittadini e amministrazioni, alcuni buoni motivi per sperare in un futuro più roseo ce l’hanno. Innanzitutto, c’è il capitolo tariffe. Il pubblico accumulava debiti, ma aprile • 2011 • N.3
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d’altro canto, per ragioni politiche e sociali, era costretto a tenere basse le bollette. Anche i privati, abbiamo visto, non sono da meno nell’indebitarsi, ma per far fronte ai buchi possono far leva più agevolmente sull’aumento delle tariffe. Tra il 2007 e il 2008, le bollette sono aumentate mediamente del 7,7 per cento a Caltanissetta, del 15,5 a Palermo, del 6,6 a Siracusa. Tra il 2008 e il 2009, in tutta l’Isola l’aumento è stato del 7,3 per cento, con punte a Palermo del 34 per cento. Ma, come abbiamo visto, gli aumenti non sono bastati a compensare i debiti. Anche perché, nella rete idrica siciliana ogni anno si perde il 43 per cento dell’acqua presa dagli invasi. Rete colabrodo? Sì, ma non è solo questo il problema: il fatto è che nelle province dell’Isola vige un sistema consolidato di abusivismo e morosità. «Che adesso le società private stanno cercando di intaccare per fare cassa in vista del referendum», dice Antonella Leto del Forum siciliano per l'acqua bene comune. Eppure, per ripianare realmente i loro bilanci, le società avrebbero una torta ben più grossa alla quale attingere: quella degli investimenti per il potenziamento e la manutenzione straordinaria della rete idrica. Secondo il piano trentennale delle opere (e trentennali sono le convenzioni firmate nei sei Ato privatizzati), la Sicilia vedrà arrivare entro il 2033 investimenti per 5,8 miliardi, coperti in buona parte con i fondi europei. Un giro d’affari niente male, in-
somma. Eppure, nonostante la privatizzazione avrebbe dovuto accelerare i lavori per depuratori, acquedotti e fognature, le opere sono sostanzialmente al palo. Emblematico il caso dei depuratori. L’Unione europea a breve potrebbe commissionare una pesantissima multa all’Italia per l’alto numero di comuni con impianti di depurazione non a norma. Nella lista nera dell’Ue sono finiti 74 comuni siciliani su 178 in tutto il Paese. Una situazione che rischia di far cadere sulle casse della Regione una maxi multa di 1,5 miliardi di euro. Sarà per questo che, nelle scorse settimane, Palazzo d’Orleans ha dato un segnale di risveglio, annunciando lo sblocco di 970 milioni per 72 interventi. Si vedrà. Stando a quanto fatto finora, sul fronte della rete idrica gli unici investimenti degni di nota sono quelli per l’acquedotto Gela-Aragona (89 milioni) e per l’acquedotto Montescuro-Ovest (86 milioni). In entrambi i casi, a occuparsi dei lavori è Siciliacque. Non senza, però, qualche affanno, come vedremo più avanti. In questo fitto intreccio di affari e appalti, non poteva mancare qualche ombra. Il caso dell’Aps è significativo. Nel 2005, il professore Rosario Mazzola, per nomina dell’ex governatore Cuffaro, guidò in qualità di Commissario ad acta dell’Ato di Palermo la gara d’appalto per l’affidamento del servizio idrico integrato della provincia. Il bando redatto dal professore, senza consultarsi con la Confe-
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renza dei sindaci, prevedeva che alla gara potesse partecipare un unico concorrente. Che è stata la poi vincitrice Aps. Dimessosi da commissario, Mazzola è rientrato in gioco come consigliere della Mediterranea delle acque, uno dei soci, guarda caso, di Aps. Insomma, controllore e controllato si sovrappongono in un conflitto d’interessi che l’Authority per la concorrenza ha denunciato apertamente. Ma invano. Sempre l’Authority ha provato a evidenziare, anche in questo caso invano, come nell’assetto societario di Aps compaiano imprese di progettazione, costruzione e impiantistica attorno a un socio specializzato nella gestione di servizi idrici. Una squadra così composta, secondo l’Antitrust, si era detta pronta a realizzare, senza affidarsi a ditte esterne, fino al 70 per cento delle opere previste nel piano d’investimenti per la provincia palermitana (tra acquedotti e fognature, la torta di finanziamenti supera abbondantemente il miliardo di euro). Pochi mesi fa, l’Aps ha fatto sapere che con i 30 milioni di debiti accumulati non ce la fa più ad andare avanti. Non si sa ancora quale sarà il futuro della società. E’ certo, in compenso, che quegli investimenti annunciati in pompa magna, sono rimasti al palo. Conflitti d’interesse a parte, sul grande business dell’acqua privatizzata sembra che vi sia puntato anche il mirino della mafia. L’ex presidente del consiglio comunale di Villabate, oggi in carcere in qualità di pentito di mafia, aprile • 2011 • N.3
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nel 2005 raccontò di come Cosa nostra volesse entrare in questo giro d’affari. Il sistema, secondo Campanella, consisteva nell’intrecciare rapporti “non con ditte locali, ma con ditte nazionali e internazionali”. Dietro la copertura di questi giganti, la mafia avrebbe provveduto a intascare somme non più col pizzo, ma con le più pulite consulenze. Il progetto, che aveva suscitato l’entusiasmo niente meno che di Bernardo Provenzano, fu per fortuna smantellato. Ma più d’una indagine della Dia ha messo in evidenza come la criminalità organizzata stia provando a infiltrarsi nel business idrico siciliano. E in alcuni casi sembra esserci riuscita. Le ombre della mafia, per esempio, si sono allungate sul maxi progetto dell’acquedotto Montescuro-Ovest, appaltato nel 2008 da Siciliacque alla Safab di Roma. Qualche mese dopo, la Safab finisce nel mirino della magistratura per i presunti rapporti con Sandro Missuto, accusato d’essere prestanome del clan EmmanuelloRinzivillo operante tra Gela e Caltanissetta e organico a Cosa Nostra. Quattro dirigenti finiscono in carcere e la Safab si appresta in fretta e furia a rimuoverli, salvando così l’azienda e i vari lavori in cui è impegnata, tra cui quelli dell’acquedotto. A voler usare un eufemismo, si è trattato di un caso sfortunato. Ma comunque la vicenda ha mostrato come quel “sistema Campanella”, forse, non sia stato abbandonato del tutto.
Depuratori e discariche abusive la Sicilia rischia multe miliardarie di ROSARIO BATTIATO tratto dal Quotidiano di Sicilia Stefania Prestigiacomo scrive a Palermo per rinfrescare la memoria di Raffaele Lombardo. Oggetto della missiva la minaccia europea di pesanti multe sul fronte della depurazione delle acque reflue, che in Sicilia raggiungono record negativi ineguagliabili nel resto d’Italia. I problemi con gli impianti di depurazione non sono i soli a rischio infrazione, perché Bruxelles ha l’Isola nel mirino anche per questioni inerenti le discariche abusive da bonificare. Fonti dell’assessorato informano come si stia agendo rapidamente su ogni fronte almeno per sperare che l’Ue conceda una ulteriore proroga, ma il rischio di una pioggia di miliardi di euro di multa – l’Europa punirebbe l’Italia che poi andrebbe proporzionalmente a coinvolgere le Regioni – si profila dietro l’orizzonte. Niente più alibi perché la spada di Damocle che pende su Palermo potrebbe cadere e frantumare la già precaria stabilità isolana. Secondo Rita Borsellino solo per la questione depuratori la Sicilia potrebbe partecipare con una cifra pari a 1,5 miliardi di euro. Anche sul fronte delle discariche Palermo è sotto scacco da otto anni - su 51 dei punti di raccolta rifiuti considerati non a norma dall’Unione tra il 2001 e il 2003 più della metà si trovavano in Sicilia – perché le bonifiche richieste non sono mai state effettuate. “Ci era stato chiesto espressamente di bonificare le discariche – ha spiegato Rita Borsellino - ma gli interventi fatti sono stati solo di messa in sicurezza e di caratterizzazione. In pratica, hanno messo quattro transenne e fatto i lavori preliminari, ma delle bonifiche vere e proprie non se n’è saputo più nulla”. In un dossier presentato lo scorso ottobre dall’associazione Un’Altra Storia, presieduta dalla stessa Borsellino, si evidenziava come in Sicilia ci fossero ancora più di 600 discariche da bonificare. Ma in cima alla preoccupazione del governo regionale resta la questione depurazione dove gravano 81 provvedimenti e oltre trecento in fase di elaborazione. Com’è ben noto nella lista nera dell’Unione sono finiti 74 comuni su 178 in tutta Italia. Dopo l’entrata in vigore degli Ato idrici sarebbe stato necessario far cominciare le opere di manutenzione, ma da allora, nonostante i contribuiti che sarebbero spettati alla Sicilia, niente è stato fatto. Solo nei giorni scorsi un timido risveglio: la Regione ha sbloccato 970 milioni di euro – fondi che risalivano al 2005 - che dovranno servire per 72 interventi mirati. Al lavoro ci sono gli uffici dell'assessorato al Territorio. Tuttavia le speranza sarebbero ben poche. “La sanzione europea – ha spiegato la Borsellino - ormai, è inevitabile. Possiamo solo cercare di ridurre l’entità della sanzione.”
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“Un dono di Dio all’umanità” I cattolici per l’acqua bene comune di GIUSEPPE NOTARSTEFANO Direttore dell’ufficio diocesano per i problemi sociali e il lavoro di Palermo
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’acqua è uno dei doni più preziosi affidato all’umanità perché ne faccia strumento per accrescere e sviluppare la vita sulla terra. Da ciò deriva l’impegno verso la sua tutela, l’educazione al rispetto nel suo utilizzo e la capacità di conservazione dentro una prospettiva di autentica sostenibilità. Il valore del bene-acqua riguarda tutti e, per il credente, si radica nell’esortazione biblica alla salvaguardia del Creato, assumendo un significato religioso, profondamente innervato nel linguaggio evangelico e fortemente evidente nella tradizione liturgica della Chiesa. Il fatto che oggigiorno si consideri l’acqua come un bene preminentemente materiale, non deve far dimenticare i significati religiosi che l’umanità credente, e soprattutto il cristianesimo, ha sviluppato a partire da essa, dandole un grande valore come un prezioso bene immateriale, che arricchisce sempre la vita dell’uomo su questa terra. Come non ricordare in questa circostanza il suggestivo messaggio che ci giunge dalle Sacre Scritture, dove si tratta l’acqua come simbolo di purificazione? Il pieno recupero di questa dimensione spirituale è garanzia e presupposto per un’adeguata impostazione dei problemi etici, politici ed economici che condizionano la com-
plessa gestione dell’acqua da parte di tanti soggetti interessati, nell’ambito sia nazionale sia internazionale (Benedetto XVI). Il magistero sociale della Chiesa da sempre ha indicato il rispetto per questo bene come compito di ogni cristiano e della comunità tutta intera, anche dentro la dimensione della condivisione fraterna da vivere nella sobrietà e nella gratuità e da tutelare con particolare attenzione alla eliminazione di discriminazioni ed esclusioni nell’uso da parte dei più deboli e dei poveri. Ecco, pertanto, l’orizzonte alto ed esigente all’interno del quale si motiva e si spiega il forte impegno da parte delle comunità cristiane, di laici e religiosi e di ciascun cristiano in questa nuova battaglia di civiltà che intende affermare, anche in questo senso, il primato della persona e il valore della giustizia sociale come fondamento dell’azione pubblica e della costruzione di ogni convivenza civile e istituzione pubblica. È con tale intendimento che si è attivata la Rete interdiocesana per i nuovi stili di vita, che ha diffuso un documento dal titolo “Acqua dono di Dio e bene comune” e che sta raccogliendo adesioni e sottoscrizioni da parte di molte chiese locali. Un appello che vuol essere anche un invito a promuovere percorsi formativi e itinerari pastorali insieme a momenti di partecipazione pubblica e di cittadinanza attiva, per promuovere nuove pratiche sia nel consumo privato e personale, sia per richiedere alle
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amministrazioni locali ed alle istituzioni nazionali nuovi possibili modelli di gestione e di organizzazione dei servizi idrici nelle nostre città. Una simile indicazione è, dunque, un forte richiamo alla base stessa della vita sociale e di una convivenza democratica, scevro da pulsioni ideologiche e attento a non scivolare in facili strumentalizzazioni, possibili in ogni direzione. Potremmo, in questo senso, ricomprendere la mobilitazione referendaria come una tensione che nasce dall’attuazione stessa del dettato costituzionale dell’articolo 3 e che è mossa da un sentimento popolare che rinnova la richiesta di istituzioni a garanzia dei più deboli ed a servizio dello sviluppo di tutti. Lo sviluppo è un processo di costruzione sociale che chiede a tutti e ciascuno di dare il meglio di sé: libertà e responsabilità si coniugano insieme e si possono armonizzare con i principi di solidarietà e di sussidiarietà. La classe dirigente e le forze politiche oggi sono invitate ad assumere una domanda così esigente ed a ripensare il proprio sforzo nella ricerca del bene comune, al di sopra di ogni egoismo ed interesse di parte. Il referendum è una possibilità preziosa per attivare un dibattito pubblico e vivificare la partecipazione popolare che in questa stagione della vita del nostro Paese assiste ad uno spaventoso arretramento e subisce un inedito ed inaccettabile infiacchimento. Non è solo una questione nazioaprile • 2011 • N.3
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nale. Il tema della gestione pubblica dell’acqua è un punto dell’agenda politica internazionale che intercetta da un lato la lotta all’esclusione sociale e alla povertà ingaggiata dalle organizzazioni internazionali e condivisa, almeno nei documenti, dai governi di molti paesi del mondo e dall’altro la ricerca di un giusto equilibrio tra privato e pubblico nella gestione di beni pubblici e collettivi. Privatizzare non equivale a liberalizzare. Se, dunque, è opportuna la tendenza a rimuovere i vincoli alla libertà di impresa e alla libera concorrenza in molte branche di
attività economica tra cui alcuni tipi di servizi pubblici, dall’altro non è possibile non porsi la questione dell’esistenza di beni la cui natura può (e a nostro parere “deve”) sottrarsi alla logica della proprietà , per i quali la legge dovrebbe garantire una fruizione diretta ed universale, garantendo soprattutto l’equità e la sostenibilità a vantaggio delle generazioni future. Mentre redigiamo il presente articolo, leggiamo di una possibile manovra del governo italiano per neutralizzare il referendum: registriamo ancora una volta la debolezza della politica nell’occu-
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parsi delle vere (e grandi) questioni della convivenza e dello sviluppo civile e sociale della repubblica. Siamo convinti (e ci muove in tal senso la Speranza!) che, in ogni caso, le settimane che verranno potranno costituire un’importante tappa per recuperare spazi di partecipazione attraverso forme di comunicazione e di dibattito trasparente, nutrito da informazione plurale e corretta, alimentato dalla passione di servire il bene di “noi- tutti” (l’espressione è del n. 7 della Caritas in Veritate) e non l’interesse di pochi. aprile • 2011 • N.3
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“Una scelta intelligente? Schierarsi contro il nucleare” di ALBERTO MANGANO na premessa necessaria. Il referendum abrogativo è uno dei pochi strumenti a disposizione dei cittadini di essere concreti; poter decidere se lasciare in vita o cancellare una legge. Al contrario delle elezioni, che hanno spesso dimostrato la non coerenza tra la volontà dell’elettore e l’operato degli eletti, con il voto referendario la posizione che passa è immediatamente operativa e il risultato è certo. Non a caso la politica del “palazzo” vede i referendum come una minaccia alla propria sovranità, quasi un eccesso di democrazia, tanto da invitare i cittadini a disertare le urne perché non si raggiunga il fatidico quorum (50% + 1 degli elettori votanti). Mentre scriviamo arriva la notizia che il Governo ha presentato un emendamento al D.L. sulla “moratoria” con il quale si cancellano tutte le norme per la realizzazione degli impianti nucleari. Come dire: Ci arrendiamo all’evidenza dei fatti! A questo punto si aprirebbe un ragionamento tutto politico sui rischi, calcolati dal Governo e dalla sua maggioranza, incombenti sia sui referendum che sulle elezioni amministrative e, in ultima analisi, sulla tenuta stessa del Governo. Ma voglio restare al tema della scelta intelligente di voto per il referendum. Il ritorno all’energia da fonte nucleare in Italia è una scelta antistorica. Nel mondo la quota di energia elettrica prodotta da fonte nucleare è scesa, tra il 1999 e il 2008 dal
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17,2% al 13,5% (International Energy Agency, 2010). Dopo Fukushima, con la dismissione per ragioni di sicurezza delle centrali più vecchie, tale percentuale sarà ancora inferiore. A fronte di un costante aumento dei consumi energetici questo dato è destinato ad accentuarsi in futuro. Se aggiungiamo che il combustibile nucleare è una risorsa esauribile appare evidente che la prospettiva futura di queste centrali (non importa di quale generazione) sarà ancora più marginale. Anche sul versante dei costi la scelta nucleare è già oggi obsoleta. L’energia prodotta con queste centrali costa più di quella prodotta da fonte eolica (14,37 contro 11,32 cent-dollaro/Kwh) e lo scorso anno anche quella da fotovoltaico, in crescente diminuzione, ha quasi
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raggiunto il costo da nucleare. E’ inoltre ragionevole prevedere che la richiesta di maggior sicurezza delle centrali esistenti, dopo Fukushima, porterà ad ulteriori incrementi dei costi. Se poi guardiamo la prospettiva occupazionale, in un confronto tra nucleare e fonti rinnovabili, la partita non ha nemmeno inizio. L’impatto occupazionale previsto dal piano nucleare in Italia è valutato in 10 mila posti di lavoro, per la maggior parte nella fase di costruzione (810 anni). Al contrario uno studio della “Bocconi”, centrato sugli obiettivi imposti dall’Europa al 2020, stima una nuova occupazione, nel settore delle rinnovabili, per 250.000 unità. Inoltre la previsione contenuta nel Piano 20102020 sull’efficienza energetica, promosso da Confindustria, valuta
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Dossier
un’occupazione indotta di 160.000 posti l’anno per 10 anni: 1.600.000 posti di lavoro che si aggiungerebbero ai precedenti! Da che parte sta il futuro? Fin qui non abbiamo parlato degli aspetti legati alla sicurezza degli impianti, al problema dello smaltimento delle scorie e ai danni per la salute derivanti da questi fattori. E’ troppo facile ed anche un po’ macabro ribadirli dopo i fatti del Giappone. A coloro che ripetono il ritornello delle centrali atomiche al confine della Francia occorre ricordare che gli effetti delle radiazioni sono inversamente proporzionali alla distanza del luogo dove si verificano le emissioni. Bastano quattro centrali in Italia per non avere soluzioni di continuità in caso di incidente. E’ come decidere di ospitare a casa propria il vicino affetto da lebbra! Il solo pensiero di ipotecare un futuro molto lungo di rischi e di incertezza o di dover verificare la crescita di malattie da radiazioni nucleari è già sufficiente a rifiutare di riportare in Italia questa tecnologia. Una delle cose più intelligenti è stata detta nei giorni scorsi da Giulio Tremonti a proposito del PIL dei paesi che possiedono centrali nucleari : "Magari - ha detto- il Pil va ricalcolato. Secondo voi viene calcolato il costo del decommissioning nei paesi che hanno l'energia nucleare? No. Eppure quella e' una certezza. C'e' da calcolare un debito pubblico, uno privato e il debito nucleare". Ce n’è abbastanza per mettere in crisi molte “certezze” dell’economia di mercato!
Referendum, istruzioni per l’uso Si vota il 12 e il 13 giugno Si vota domenica 12 (dalle 8 alle 22) e lunedì 13 giugno (dalle 7 alle 15). Il referendum poteva essere svolto tra il 15 aprile ed il 15 giugno (la legge lo permette), invece si è preferito non unire il voto con le elezioni amministrative del 15-16 maggio 2011. È stato denunciato che la mancata unione, voluta dal ministro degli Interni Roberto Maroni (Lega Nord), abbia portato a una spreco di 400 milioni di euro. Cosa si vota? I quattro quesiti referendari riguardano: il legittimo impedimento del presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri a comparire in udienza penale, la privatizzazione del servizio idrico prevista dalla legge “Ronchi” (quest’ultimo suddiviso in due quesiti) e il ritorno all’energia nucleare. Trattandosi di referendum abrogativi, votando “sì” si sceglie l’abrogazione totale o parziale. Ecco i 4 quesiti: LEGITTIMO IMPEDIMENTO Il quesito riguarda l’abolizione della legge sul legittimo impedimento ed è stato proposto da Italia dei Valori. Il referendum è stato autorizzato dalla Corte di Cassazione dopo che la legge è stata dichiarata parzialmente incostituzionale. Si vota per l’Abrogazione. ACQUA I quesiti sono due. Il primo riguarda la privatizzazione dell’acqua, le modalità di affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Il secondo quesito riguarda la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato, in base all’adeguata remunerazione del capitale investito. Nel 2010, il governo ha varato una norma che costringe le aziende pubbliche a dismettere buona parte del loro capitale a favore dei privati entro il 2011. Da anni, una grande coalizione sociale e cittadina cerca, invece, di difendere la gestione pubblica dell’acqua promuovendo il controllo e la partecipazione diretta dei cittadini alle decisioni su un bene comune di vitale importanza. NUCLEARE Un discorso a parte merita il quesito sul nucleare, molto lungo ed articolato. Si tratta di abrogare la norma per la realizzazione in Italia di impianti di produzione di energia nucleare. Ad oggi il governo ha inserito nel decreto Omnibus una norma che cancella le norme oggetto del referendum. Adesso spetta all’Ufficio centrale della Cassazione valutare se il referendum sul nucleare del 12-13 giugno prossimo potrà essere annullato a causa dell’approvazione dell’emendamento del governo.
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Economia
Ripartire dal Sud: la Sicilia e i Fondi europei per lo sviluppo di ALBERTO TULUMELLO Segretario dell’Osservatorio popolare sulle politiche di sviluppo e coesione l Cantiere per lo sviluppo economico di Un’altra storia, da più di due anni, e l’Osservatorio popolare per le politiche di sviluppo e coesione, dalla sua istituzione nello scorso autunno, denunciano il ritardo progressivamente sempre più grave nella utilizzazione dei Fondi strutturali europei per lo sviluppo assegnati alla Sicilia. Il ritardo si aggiunge e aggrava le conseguenze della cattiva qualità della programmazione che – in continuità con il cattivo utilizzo dei Fondi di Agenda 2000, relativi al 2000-2006 – fa mal sperare sull’efficacia della spesa, se e quando avverrà. La recente visita ed ispezione del Commissario europeo Johannes Hahn e la sua denuncia (il Sud non spende, solo la Romania fa peggio, in Sicilia sono a rischio di “disimpegno automatico”, ossia di perdita, 900 milioni di euro per l’anno corrente) fanno ulteriormente temere che il disastro annunciato ripetutamente sia dietro l’angolo, sia sul versante dell’emergenza e dello scacco della perdita di tutti o parte dei 900 mln., sia, e ben più grave, sul procedere di un processo di cattivo utilizzo delle risorse. Sempre più difficile appare l’obiettivo di spendere le risorse per le finalità di sviluppo e per contrastare la deindustrializzazione in atto: la chiusura della Fiat di Termini Imerese è solamente l’elemento più visibile ed acuto di una crisi che investe sia i Poli industriali della regione che il tes-
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suto della piccola e media impresa dell’Isola. Queste riflessioni partono dalla coscienza che il tema è delicato e che la discussione sui Fondi non può essere lasciata alla sola denuncia delle responsabilità politiche, che pur è doveroso fare. Lo sviluppo economico ha sempre una base necessariamente e obbligatoriamente condivisa, perché i tempi dello sviluppo sono diversi da quelli della politica e la durata dei Fondi europei è più lunga di una legislatura e di un governo della Regione. Perciò si richiede uno sforzo condiviso, e per questi stessi motivi i regolamenti europei prevedono come strumento fondamentale ed ineludibile il partenariato, che deve accompagnare la programmazione, la gestione e il controllo dei Fondi assegnati. Un’altra storia, e per lei il Cantiere per lo sviluppo economico e l’Osservatorio per le politiche di sviluppo, hanno sempre accompagnato la denuncia con proposte costruttive, elaborate con ill metodo partenariale, consegnando i risultati in momenti seminariali, Convegni e documenti pubblici, e chiedendo e ottenendo l’interlocuzione con gli Uffici regio-
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nali della programmazione. Da ultimo, lo sforzo dell’Osservatorio è stato quello di articolare una proposta di rimodulazione della programmazione dei Fondi, finalizzata a realizzare un cambiamento di passo e una ridefinizione degli obiettivi tale da fare uscire dal grave ritardo e dal rischio di inefficacia rispetto alle finalità di sviluppo. La proposta è stata inviata alla Direzione regionale della programmazione e discussa con la direzione della programmazione, in riferimento principale alla rimodulazione del PO FESR, il più rilevante dei Fondi e quello più a rischio di “disimpegno automatico”. Dalla riunione del Comitato di sorveglianza del dicembre 2010, dai documenti elaborati dagli Uffici regionali e dall’incontro con la programmazione regionale, l’Osservatorio ha rilevato uno sforzo significativo, in corso presso gli Uffici regionali, di rimodulazione del programma, le cui direzioni in parte coincidono con le proposte avanzate e che riassumono direzioni condivise dal partenariato regionale: concentrazione della spesa e riduzione della sua frammentazione, attenzione alle aree di crisi, predisposizione di un proaprile • 2011 • N.3
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gramma di intervento sul territorio della provincia di Messina devastata dagli avvenimenti recenti, aumento delle risorse dell’Asse VI, destinate ai territori. Su quest’ultimo punto l’Osservatorio – organismo in cui è preponderate il ruolo dei Sindaci, ossia dei territori – ha fatto presente che molti territori, i più virtuosi, sono in condizione di utilizzare più risorse di quelle assegnabili con l’attuale programma di spesa, e che una rimodulazione che aumentasse la dotazione finanziaria dell’Asse VI e delle Misure degli altri Assi collegate, potrebbe essere un modo per aumentare la spesa in modo selettivo e virtuoso, proprio perché solo i territori più capaci potrebbero farvi ricorso. La strada dello sviluppo locale, e del premio ai territori che progettano e costruiscono percorsi di sviluppo sensati, è fondamentale, e non va confusa con un aiuto generico che spartisca a tutti le risorse per lo sviluppo, magari premiando le appartenenze politiche. Stupisce però che l’amministrazione sia in ritardo nella valutazione dei progetti territoriali di sviluppo (PISU e PIST) presentati e non convince la quantità esigua della rimodulazione proposta – meno di 100 mln. di euro. Da ciò siamo condotti al punto centrale della proposta di rimodulazione dell’Osservatorio. Rispetto ad un ritardo della spesa che a quattro anni dall’avvio del periodo di riferimento è ferma a cifre ridicole, parte delle quali coperte da espedienti contabili, più che da risorse spese per azioni previste dai programmi – “progetti di sponda” e strumenti finanziari complessi – la rimodulazione deve proporre un cambiamento pro-
fondo e radicale, da discutere con la Commissione europea. Si tratta di dare corpo ad un reale avvio di spesa dei programmi e all’attuazione di efficaci azioni di sviluppo, non limitandosi ad aggiustamenti, pur condivisibili, e a integrazioni poco consistenti. L’Osservatorio ha proposto tre grandi linee di cambiamento. 1. Il rafforzamento delle risorse per i territori – un raddoppio delle risorse per l’Asse VI e per le azioni collegate degli altri Assi – che significhi una scelta decisa per lo sviluppo locale, e che si traduca in premio ai territori che sono in grado di fare da traino per gli altri. 2. Un’azione forte sull’aiuto e sui servizi alle imprese, a partire da una azione per le aree industriali ed artigianali. Questa azione non può essere sostituita dal credito d’imposta, che oltre ad essere difficilmente accettato dalla Commissione come regime d’aiuto ammissibile, non risponde alle finalità del programma, ma si riduce ad un aiuto finanziario alle imprese forti, e ad imprese esterne attratte da una fiscalità di vantaggio impropria, senza interesse ad una integrazione nell’economia
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del territorio, secondo una storia che si è ripetuta già troppe volte. 3. E poi una azione forte sulla ricerca e l’innovazione, che serva ai Poli industriali e che potrebbe contrastare la deriva verso le dismissioni, sulla scia della Fiat di Termini Imerese. L’idea di un grande polo della ricerca sull’energia e sulla mobilità sostenibile, da fare diventare il cuore del programma di sviluppo e di una strategia volta a non perdere un patrimonio industriale importante, oggi a rischio per la deriva della deindustrializzazione provocata dalla crisi, potrebbe ridisegnare il programma di sviluppo, assieme al rilancio dello sviluppo locale iscritto nelle due prime linee indicate. Un grande progetto con una grande e importante finalità complessiva. La presenza, invece, nella proposta di rimodulazione presentata alla Commissione di molti “grandi progetti” sembra avere, ancora una volta, la funzione di artificio contabile – per ogni grande progetto presentato secondo gli art. 39-41 del Regolamento generale sui Fondi e riconosciuto tale dalla Commissione, anche se non ancora approvato, scatta la contabilizzazione di 50 mln. di spesa e quindi diminuisce la quantità di risorse a rischio di “disimpegno automatico” –, contrasta con le finalità della rimodulazione, di dare avvio al cambiamento di passo e di strategia e diventa una modalità di alleggerimento del rischio di perdita delle somme nel 2011 che aggrava la deriva del fallimento del programma. La ricerca di artifici contabili è stata purtroppo accentuata dalla ricerca spasmodica di “progetti di sponda”, ora ribattezzati “progetti aprile • 2011 • N.3
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imputabili”, come si è sentito ripetere da tanti Dipartimenti e come si affaccia anche in alcuni bandi, in cui si è chiesto addirittura il censimento dei progetti in corso non finanziati da fondi europei e potenziali progetti di sponda. Nel metodo, la proposta dell’Osservatorio partiva da una considerazione, anch’essa presente nelle proposte inviate a Bruxelles dagli Uffici regionali, ma ancora una volta solo come aggiustamento di alcuni aspetti non centrali del programma. Le risorse programmate sono ad oggi il 70% di quelle previste dai programmi, perché si èa riservato il 30% alla premialità, da assegnare rispetto all’efficacia e all’efficienza dei diversi segmenti di attuazione. L’idea dell’Osservatorio è quella di utilizzare l’intera cifra del 30% riservato alla premialità – procedura sensata se la spesa avesse rispettato tempi ragionevoli, ossia se si fosse oltre il 50% e quindi si potesse ragionare sull’assegnazione premiale del 30% conservato – utilizzandolo per le proposte nuove della rimodulazione, per la “scossa” da dare al programma e all’intero processo. Siamo convinti che sia ancora possibile dare una tale scossa e far partire un diverso corso della utilizzazione delle risorse per lo sviluppo, a condizione che governo regionale, amministrazione e partenariato istituzionale e sociale comprendano il livello della posta in gioco, e riescano a tirare fuori dalle secche e dalle difficoltà del governo ordinario della regione la partita dei fondi per lo sviluppo. Il 30% delle risorse non ancora programmate, liberate dalle appartenenze ai diversi segmenti della programmazione in atto – e libe-
rate quindi anche dalla presunta appartenenza ai Dipartimenti di riferimento – sono una massa di manovra sufficiente a ridisegnare il programma e a far cambiare tempi e modi, se liberamente assegnati alla rimodulazione finalizzata al cambiamento. Proprio nel momento in cui la crisi politica è incombente e la difficoltà di governo della regione è massima, con una conflittualità politica che non promette nulla di rassicurante e con una situazione sociale sull’orlo del collasso – frutto di una lunga pessima amministrazione e sulla costruzione di attese e aspettative che oggi non si possono più onorare: tutto il capitolo del precariato può essere letto in questi termini e produrrà effetti devastanti nel prossimo futuro –, proprio in questo momento, potrebbe realizzarsi il proposito di avviare un’azione sensata di sviluppo con i fondi europei, piuttosto che farseli togliere e/o buttarli nel gorgo del bilancio regionale ordinario. Proprio in questo momento, con uno scatto di orgoglio e di buon senso che investa tutti, potrebbe avviarsi
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la costruzione di uno percorso per contrastare la crisi, la deindustrializzazione e l’aumento del divario con l’economia più avanzata del paese. E qui veniamo alle ragioni di forza di questo paradossale – ma non tanto – ragionamento. Perché come Osservatorio per le politiche di sviluppo e coesione e come movimento Un’altra storia ci ostiniamo a proporre e a indicare soluzioni, a voler costruttivamente discutere con gli Uffici della regione e a mobilitare positivamente e costruttivamente il partenariato istituzionale (Comuni e città), e sociale (imprese e lavoro) sul tema dei Fondi europei per lo sviluppo? Una prima risposta è già stata indicata: lo sviluppo economico di un area in ritardo può essere perseguito solo con una cooperazione che coinvolge tutte le parti, politiche, istituzionali e sociali, per ragioni di tempi – i tempi dello sviluppo non coincidono con i tempi della dialettica politica –e per ragioni di merito – il processo di sviluppo è complesso, perché si tratta di cambiare l’andamento delle cose e di cooperare per la costruzione del futuro. Lo spreco delle risorse per lo sviluppo finalizzate alla “Convergenza” e alla coesione territoriale sono innanzitutto uno sfregio al futuro e un insulto alle generazioni che nel futuro hanno la loro vita e il loro percorso lavorativo. La presa di possesso del futuro per mezzo della cattiva politica attraverso l’utilizzazione impropria delle risorse per lo sviluppo è un “peccato contro lo spirito”, che non può essere e che non sarà perdonato. Ma una ragione più profonda induce a conservare la speranza e a ragionare anche e soprattutto in aprile • 2011 • N.3
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Iride, quel pasticciaccio brutto costato 12 milioni di euro di REDAZIONE Alla fine, pur di evitare l’indagine della Commissione europea e il rischio di vedersi annullare una spesa “monstre”, la Regione ha preferito fare retromarcia: niente fondi europei per pagare il progetto «Iride», il software di controllo degli accessi negli assessorati affidato dalla Regione a Sicilia e-Servizi alla modica cifra di 12 milioni di euro. Bensì, raschiando dal fondo di un barile ridotto ai minimi termini, ha tirato fuori i soldi dal proprio erario. Si è chiusa così, almeno per ora, la vicenda di questo progetto che, sulla scorta di un articolo di Antonio Fraschilla su Repubblica, è approdata da Palermo a Bruxelles grazie a un’interrogazione dell’europarlamentare Rita Borsellino. Ripercorrere le tappe di questa vicenda può illuminare sui lati oscuri della gestione dei fondi strutturali da parte della Regione. Succede questo: sfruculiando tra i progetti europei varati dal governo siciliano nell’ambito del capitolo sull’informatizzazione della pubblica amministrazione, si scopre che ce n’è uno quantomeno singolare. Si tratta del progetto “Iride”, un sistema informatico per tutti i rami dell’amministrazione dal valore di 12 milioni. A rendere singolare il progetto c’è innanzitutto il fatto che la Regione ha già un software per il cosiddetto protocollo informatico. Ma non solo: si scopre che altre regioni, come la Campania o il Piemonte, per lo stesso obiettivo hanno speso da 1 a 3,2 milioni di euro. A voler essere buoni, sembra che la Regione non abbia fatto un grande affare. Il caso scoppia, con tanto di strascico polemico tra l’assessore al Bilancio Gaetano Armao e il superdirigente Enzo Emanuele, il ragioniere generale che con la sua firma ha dato il via libera al progetto. Il primo sostiene di non saperne niente e chiede spiegazioni. Il secondo ribatte che, da tecnico qual è, non deve dare conto e ragione all’organo politico. Ma al di là dello scontro, che sa tanto di fumo negli occhi, resta la domanda: questo software è stato comprato rispettando le norme di ammissibilità dei progetti europei e soprattutto la compatibilità rispetto ai prezzi di mercato? In altri termini: si è speso troppo e male? Oppure si è speso il giusto e bene? Quesiti che la Borsellino ha posto al commissario europeo per le Politiche regionali Johannes Hahn. Il quale, a stretto giro di posta, ha fatto sapere di essere pronto ad avviare un’indagine. “La Commissione intende esaminare attentamente l’ammissibilità delle azioni eseguite e la solidità finanziaria del progetto Iride”, scrive il commissario nella risposta all’interrogazione della Borsellino. Passa qualche settimana e a Palermo arriva, su incarico di Hahn, il direttore della Commissione europea, Raoul Prado, che chiede lumi al presidente Raffaele Lombardo sul progetto. La risposta? “Il governo regionale ci ha comunicato che questo progetto non sarebbe stato più finanziato con fondi europei, come era previsto inizialmente, ma con fondi della Regione — dice Prado a Repubblica — Quindi a noi non interessa più indagare. Certo, se un solo euro di Bruxelles verrà utilizzato, allora riavvieremo subito l’indagine”. La Borsellino alza le braccia: “È davvero singolare che pur di evitare l’indagine della commissione europea la Regione, che non ha un euro in cassa, spenda adesso 12 milioni per un software — dice — Mi chiedo quale sia il motivo di questo cambio di rotta, se tutta la documentazione Iride era in regola”. Ecco, forse proprio in regola…
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positivo e in propositivo. Il “peccato contro lo spirito” parte sempre dalla disperazione, e dalla convinzione che non esistano alternative, anzi che non siano mai esistite alternative. La convinzione che il Mezzogiorno sia destinato alla cattiva politica, al clientelismo e alla corruzione, quando non all’essere preda della criminalità organizzata, o anche solo all’inefficienza e all’incapacità di raggiungere risultati basati sulla cooperazione e miranti al bene comune, spesso diventa uno stereotipo che impedisce di pensare il cambiamento. Se non c’è alternativa, tanto vale gestire l’esistente e trarne profitto per sé e per i propri. Individualmente e collettivamente. Anche la Lega, il grande accusatore del Mezzogiorno, così pensa e a questa impossibilità del cambiamento si adatta e a ciò adatta anche il federalismo. Ma se alziamo lo sguardo e guardiamo con libertà e coraggio al passato e al futuro possibile, a partire dal presente e dal progetto di cui nel presente abbiamo bisogno e facoltà, lo scenario cambia. Partiamo dal presente. Lo sviluppo del Mezzogiorno e della Sicilia non è solamente un bisogno locale, ma un bisogno dell’Italia. Nel contesto della crisi economica e della debolezza dell’economia europea, rispetto a cui l’economia italiana sta alla retroguardia, e nel contesto di un progressivo stringersi dei criteri di compatibilità con l’appartenenza all’Europa, l’Italia ha un bisogno urgente di risanamento e di sviluppo. Allo stato attuale il Mezzogiorno è un elemento di freno, con le sue disastrose politiche ordinarie e con le sue inefficienze nella gestione delle risorse europee. Lo
sviluppo del Mezzogiorno attraverso l’utilizzazione a fini di sviluppo dei Fondi europei è un elemento fondamentale per far ripartire non solo l’economia del Mezzogiorno, ma anche l’economia italiana. Sarebbe un contributo decisivo per la difesa dell’Europa e per una sensata ripresa del processo di integrazione europea. Ricordiamo che l’Europa è stata costruita per impedire lo stato di guerra frequente e continuo che aveva già prodotto due guerre mondiali. L’Europa è ciò che ci ha consentito sessantacinque anni senza conflitti interni. Non rammentare queste ragioni e questa circostanza, è da “imbecilli”, direbbe Dario Fo. Il Mezzogiorno e il suo sviluppo, l’avvio di un processo di sviluppo in Sicilia, potrebbero e dovrebbero essere il punto di partenza di un nuovo corso dell’Italia e il contributo fondamentale da dare per la costruzione del futuro del paese. Ma parlando del futuro sto parlando del passato. All’uscita dalla seconda guerra mondiale, in un disastro certa-
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mente più grave di quello che stiamo vivendo oggi, in cui ai problemi morali e civili ereditati dal ventennio fascista si aggiungevano le distruzioni causate da una guerra devastante oltre che insensata, l’Italia ha riavviato un processo di costruzione istituzionale, economica e civile. Ha avuto a disposizione due strumenti esterni di aiuto – il corrispondente delle risorse europee di oggi – nei fondi del Piano Marshall e nei prestiti della Banca mondiale, ed ha operato per la ricostruzione dell’apparato produttivo ed insieme per l’avvio di un processo di modernizzazione, risanamento e di costruzione di un’economia industriale moderna nel Mezzogiorno. Prima che cominciasse l’avventura europea con la sottoscrizione del Trattato di Roma nel 1957, per tutti gli anni dal ’43 alla fine degli anni ’50, ricostruzione del sistema industriale ed economico (Nord) e avvio dello sviluppo economico della parte depressa del paese (Mezzogiorno) partirono insieme e insieme furono efficaci. Poi, dalla fine degli anni ’50 la vicenda cambia carattere e il Mezzogiorno viene collocato in posizione subalterna – fonte di lavoro a basso costo per il “miracolo economico” del triangolo industriale. Altra vicenda che richiede altri strumenti di riflessione e analisi. Ma a giuocare la scommessa della ricostruzione e dell’avvio dello sviluppo del Mezzogiorno furono un gruppo di “meridionalisti industrialisti”: Menichella, Saraceno, Mattioli, Giordani, posti alla Svimez, alla Banca d’Italia, alla Comit di Milano, al governo nazionale. Si diede un ruolo e un importante “contenuto meridionalista al potenziamento economico e politico del Paese nelle aprile • 2011 • N.3
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nuove relazioni internazionali” con gli Stati Uniti e con gli organismi internazionali che fornivano aiuti: “L’Italia questa volta era ricominciata da Sud” (D’Antone 1992). E solo perché era ricominciata da Sud ed aveva avviato le bonifiche, il risanamento e una prima infrastrutturazione del Mezzogiorno, ed anche un primo avvio di industrializzazione che poi si sarebbe fermato, ma che avrebbe portato all’insediamento di industrie e al formarsi di Poli industriali, fino, buon ultima, alla Fiat di Termini Imerese alla fine degli anni ’60, solo per questo avvio corale e nazionale sarà possibile la successiva scelta dell’ingresso in Europa e si potrà giocare e vincere la partita della grande industrializzazione italiana nel mercato comune europeo. Oggi siamo in un punto di svolta della storia economica, che di nuovo chiede al paese il coraggio di un cambiamento di rotta e di una cooperazione che metta in soffitta egoismo leghisti e sprechi di risorse siciliani e meridionali. Oggi, proprio le risorse europee per lo sviluppo, come allora le risorse del Piano Marshall e i prestiti della Banca mondiale (utilizzati dalla Cassa del Mezzogiorno che per ciò fu istituita, solo dopo verrà l’inefficacia e la corruzione), potrebbero essere il pegno del cambiamento e lo strumento perché Sicilia e Mezzogiorno ritrovino ruolo e missione nella costruzione del futuro, proprio e del paese. E dell’Europa e del Mediterraneo. Quale è la condizione perché si avvii un processo virtuoso a partire dal tema della rimodulazione in corso dei programmi europei per lo sviluppo? La condizione
pratica e operativa, nell’ipotesi in cui si diffondesse il buon senso e il coraggio intellettuale e politico del cambiamento. Basterebbe prendere sul serio i principi e le regole europee che sono a base dell’assegnazione dei Fondi. Innanzitutto, il rispetto della finalità di sviluppo a cui dovrebbero essere riservati i fondi – i progetti di sponda sono uno strumento inventato per permettere l’utilizzo di parte delle risorse oltre il tempo permesso, nel caso di progetti complessi il cui completamento andrebbe oltre tempo massimo – e la rigorosa separazione della contabilità di queste risorse dalla contabilità ordinaria della regione. Escludere la possibilità di pensare – non già di fare, ma anche solo di pensare – di addossare a risorse europee il costo di programmi ordinari di spesa: il progetto di caricare sul Fondo sociale europeo parte o tutta la formazione professionale regionale grida vendetta. Il rispetto del principio del partenariato, attraverso un coinvolgimento e una responsabilizzazione attiva delle istituzioni locali e delle parti sociali, tirate fuori dal ruolo di destinatarie di risorse concesse dall’alto e riassegnate al ruolo di protagoniste fondamentali della vita economica e civile della re-
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gione. Si darebbe così contenuto sensato al federalismo prossimo venturo, che se si limitasse alla sostituzione della Regione allo Stato produrrebbe un centralismo più occhiuto e pericoloso del vecchio, come del resto già avvenuto nella Sicilia dell’autonomia speciale. Il rispetto del principio del partenariato, infine, dovrebbe condurre a intendere propriamente il ruolo centrale della Regione, Autorità di gestione dei Fondi e non proprietaria, punto di riferimento e di organizzazione dello sviluppo partecipato e partenariale e non luogo di controllo della spartizione delle risorse e di scontri politici proiettati sulla cattura del consenso o ripiegati su interessi di parte. Ma il rispetto del partenariato è altro nome per dire cittadinanza attiva, voce e presenza degli attori istituzionali e sociali. L’Osservatorio popolare sulle politiche di sviluppo e coesione vuole essere il luogo di confronto e di organizzazione del partenariato. Il rispetto del partenariato è modo di dare avvio ad un’altra storia, a quell’altra storia che può partire dalla rimodulazione dei Fondi europei per lo sviluppo. Un’altra storia possibile, e necessaria. aprile • 2011 • N.3
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Unità e diritti dei lavoratori Il 6 maggio la Sicilia in piazza di MARIELLA MAGGIO Segretaria generale Cgil Sicilia
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l 6 maggio la Sicilia scendera’ in piazza per chiedere al governo nazionale una decisa inversione di rotta nelle politiche sul lavoro, sui redditi , sul welfare e di darsi un progetto che faccia uscire il paese dalla secca in cui e’ finito. Lo sciopero generale, che sara’ quasi dappertutto di 8 ore, e’ anche contro l’attacco ai diritti dei lavoratori in atto nel nostro paese, per chiedere un modello contrattuale unitario e contro gli accordi separati, che dividono e indeboliscono il mondo del lavoro. Inoltre, per chiedere la definizione delle regole della democrazia e della rappresentanza, contrastare il precariato, estendere le protezioni sociali e ridare fiducia ai giovani. Ci saranno ma-
nifestazioni in tutte le province. Nonostante la controinformazione che viene fatta sulle iniziative della Cgil sono temi assai sentiti e lo dimostra la partecipazione alle altre iniziative di lotta che abbiamo realizzato in questi mesi. C’e’ un malessere generalizzato che la politica si sforza di coprire. I contenuti dello sciopero, cruciali per tutto il paese, assumono particolare pregnanza riferiti alla Sicilia. La nostra infatti e’ la terz’ultima regione d’Italia per reddito pro- capite,inferiore del 35% rispetto alla media italiana. Val la pena ricordare che il tasso di disoccupazione e’ al 13,3% contro il 7,6% nazionale e la disoccupazione giovanile al 38,5% che sale al 44,2% se si guarda alla componente femminile. La cassa integrazione e’ cresciuta confermando la crisi dell’apparato
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produttivo e ci sono settori come l’edilizia che negli ultimi due anni hanno perduto 37 mila posti di lavoro. In questo contesto, che sconta alti tassi di poverta’ relativa e assoluta, la situazione degli anziani e’ assai difficile ed e’ aggravata da uno stato sociale insufficiente, che rischia anzi di peggiorare. Sappiamo che il 50% degli enti locali dell’isola e’ quasi al dissesto finanziario e che il federalismo municipale, se non si risolveranno questioni importanti che riguardano i rapporti economici tra Stato e Regione e se non ci saranno meccanismi di perequazione, avra’ sui comuni un impatto devastante e a caduta sui cittadini che vedranno la riduzione dei servizi e l’ aumento delle tasse locali. La Cgil crede che valori come l’equita’, l’uguaglianza, la solidarieta’, e la demo-
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crazia vadano difesi con forza e coltivati. Al governo Berlusconi, dunque, chiediamo un fisco piu’ giusto e piu’ leggero per i lavoratori e i pensionati e la lotta all’evasione. La crisi, inoltre, non si risolve se non si fanno investimenti e questo e’ un messaggio rivolto anche al governo regionale, che deve smetterla con le manovre virtuali, deve fare una seria lotta agli sprechi e liberare risorse per investire in maniera produttiva. Alla Sicilia servono infrastrutture materiali e immateriali e servono interventi decisi per evitare il tracollo definitivo dell’apparato produttivo. Servono inoltre tutti gli strumenti possibili per il sostegno al reddito dei lavoratori, anche precari, cosi’ come sono indispensabili incentivi per promuovere l’occupazione femminile che resta oggi un fanalino di coda.. Un sindacato come la Cgil, che tratta con qualunque governo nell’interesse dei lavoratori, non puo’ esimersi dal dire che questo esecutivo nazionale ci sta portando al baratro, materiale e morale. E’ un attacco continuo alla democrazia sferrato su piu’ fronti. Si attacca il diritto al lavoro, si prova a smantellare lo Stato sociale, si tenta di costruire un’informazione condizionata e serva del potere. E cercando di distruggere la scuola, l’universita’ e mettendo freno e bavaglio alla ricerca si tenta di minare anche il futuro dei giovani. Una opinione pubblica libera e consapevole cosi’ come una cittadinanza attiva ed esercitata nella democrazia, si fonda sulla conoscenza, sulla traspa-
renza e sulla libera informazione. Noi diciamo no a quello che sta accadendo e puntiamo a ridare futuro e prospettive positive ai giovani e a tutto il paese. Ci turba il fatto che il 20% degli “scoraggiati” italiani si trovi in Sicilia. Questo deve cambiare, i giovani devono tornare a credere nel futuro. Mi chiedo inoltre a che valga continuare a dire, come fanno autorevoli esponenti del governo, che senza il Sud il paese non riparte se poi non si fa niente per il Sud, se non piani inadeguati, e si cerca di continuare a dividere il
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paese con misure come quella sul federalismo. Come si pensa di mantenere la coesione sociale e di dare fiato alla solidarieta’? Ma non credo che questi siano valori molto in auge nella politica italiana del momento. Lo dimostra anche la rabberciata e inadeguata politica dell’immigrazione che l’esecutivo sta portando avanti, forse troppo impegnato sulle beghe del premier per stare attento a quello che accade nel paese e per interpretare le necessita’ di una collettivita’ sempre piu’ provata. aprile • 2011 • N.3
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Contro l’individualismo ripartire dall’auto mutuo aiuto di MARIO MULE’ a alcuni anni, con insistenza, sociologi e filosofi ci avvertono che l’era della tecnica è dominata dalla solitudine. In un mondo in cui i legami sociali sono friabili, in una “società liquida” per dirla con Z. Bauman, assieme al trionfo dell’individualismo che frantuma legami sociali producendo anonimato ed alienazione, avanza sempre più il “vuoto esistenziale”: prigionia nella propria individualità, secondo la definizione data dalla fenomenologia (U. Galimberti). Quando a questa condizione esistenziale si aggiungono problematiche invalidanti sul piano sociale (malattie croniche, stigma, “naufragi” di vario tipo nel corso della vita) la solitudine può diventare di-
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sperazione ed emarginazione intollerabili. La crisi della stato sociale e dei servizi. E’ sotto gli occhi. Sembra ormai che la spesa sociale sia solo zavorra, investimento improduttivo: ramo secco da tagliare. Un mercato che risponde solo a se stesso ed alle sue regole sembra volersi impadronire del mondo, imponendo le proprie leggi. La spinta verso un “ homo consumens” ( E. Fromm), in cui le stesse qualità umane che contano sono quelle che meglio possono essere vendibili in questo grande mercato che sta diventando il mondo, è sempre più forte. Eppure la solidarietà e l’aiuto reciproco sopravvivono e resistono.
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Già oltre vent’anni fa alcuni studiosi riuscivano a contare negli USA più di tre milioni di gruppi di auto mutuo aiuto ed a documentare oltre 500 grandi organizzazioni a dimensione nazionale. Sono esperienze che sembrano confermare le tesi di Peter Kropotkin (filosofo russo esiliato per le sue tesi sociali rivoluzionarie) il quale sosteneva che la solidarietà, e non la concezione hobbessiana dell’homo homini lupus, è stata la molla della evoluzione umana. Del resto alcune correnti attuali della psicologia, come ad esempio la “ cognitiva-evoluzionista”, sostengono l’esistenza nell’uomo di un sistema motivazionale interpersonale, biologicamente fondato, che promuove la cooperazione, anche se soggetta ai condizionamenti
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Economia
dentro i servizi di pazienti e familiari esperti ( UFE ); I principi che ispirano l’auto mutuo aiuto non coincidono con il modello medico ( cura di una malattia o di una “ sindrome “) ma enfatizzano il valore dell’esperienza delle persone con problemi di vario tipo e ne favoriscono il protagonismo, promuovendo e valorizzando le competenze e le abilità social; gli operatori professionali possono svolgere un ruolo importante nella promozione dei gruppi di auto mutuo aiuto, rinunziando tuttavia ad un eccessivo protagonismo e favorendo l’autonomia, magari dopo un primo momento di avvio e di sostegno. che società e storia personale possono apportare (G. Liotti). Ma cos’è l’auto mutuo aiuto? Riporto qui una definizione tratta da un manuale classico (Phyllis R. Silverman: I gruppi di auto mutuo aiuto. Ed. Erickson): “ I gruppi di self-help sono strutture di piccolo gruppo, a base volontaria, finalizzate al mutuo aiuto ed al raggiungimento di particolari scopi. Essi sono di solito costituiti da pari che si uniscono per assicurarsi reciproca assistenza nel soddisfare bisogni comuni, per superare un comune handicap o un problema di vita oppure per impegnarsi a produrre desiderati cambiamenti personali o sociali. I promotori e i membri di questi gruppi hanno la convinzione che i loro bisogni non siano, o non possano essere, soddisfatti da o attraverso le normali istituzioni sociali. I gruppi di auto aiuto enfatizzano le interazioni so-
ciali faccia a faccia e il senso di responsabilità personale dei membri. Essi spesso assicurano assistenza materiale e sostegno emotivo; tuttavia, altrettanto spesso appaiono orientati verso una qualche “ causa”, proponendo una “ideologia” o dei valori sulla base dei quali i membri possano acquisire o potenziare il proprio senso di identità personale.” Alcune precisazioni: i gruppi di auto mutuo aiuto non sostituiscono i servizi formali. Né è inevitabile ( anche se spesso accade ) una contrapposizione con questi ultimi.Alcune esperienze significative dimostrano anzi che l’integrazione fra queste due realtà può produrre significativi potenziamenti e miglioramenti qualitativi nei servizi erogati: un esempio viene fornito dal Dipartimento di Salute Mentale di Trento che vede addirittura la presenza strutturata
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Come può Un’Altra Storia favorire esperienze di auto mutuo aiuto? Va detto, in premessa, che favorire l’auto mutuo aiuto corrisponde con coerenza ad alcuni principi fondativi di Un’Altra Storia, che sono sintetizzati in alcune parole chiave: gratuità, partecipazione, beni relazionali, coesione, inclusione; parole che Alfio Foti richiamava nel primo numero della rivista. Una traduzione nella pratica potrebbe prevedere due momenti: avvio di un gruppo di formazione rivolto a quanti intendano promuovere nel proprio territorio esperienze di auto mutuo aiuto; incontri di sostegno e supervisione (ma in futuro di covisione) offerto ai facilitatori e promotori di tali gruppi. E’ aperto uno spazio di confronto (ovviamente anche per eventuali adesioni) all’indirizzo di posta elettronica: mario.mule@alice.it. aprile • 2011 • N.3
Economia
Res Sicilia, il progetto di una rete per l’economia solidale nell’Isola di LEONTINE REGINE l 2 e il 3 aprile, ad Enna si è svolto il primo incontro per la costruzione una Rete di Economia Solidale in Sicilia. La “RES Sicilia“ si propone di diffondere processi economici e sociali nuovi, coordinati e partecipati, orientati al Bene Comune, e di promuovere la crescita della consapevolezza, formazione, informazione e responsabilizzazione di tutti i soggetti che operano nel rispetto dei principi di equità e sostenibilità ambientale. L’incontro è stato promosso da diverse realtà siciliane che già da un paio d’anni s’incontrano e ragionano sulla necessità di agire insieme attivando nuove relazioni basate sui principi di reciprocità e cooperazione, entrando in relazione con le altre realtà dell'economia solidale presenti in Italia per condividere un percorso comune. Durante le due giornate è stato più volte sottolineato che la “RES Sicilia” intende adottare un sistema di coordinamento partecipativo, in una logica circolare, evitando protagonismi e diritti di primogenitura, progettando reti orizzontali e circolari, piuttosto che piramidali. A partire dall’analisi delle esperienze delle RES a livello nazionale si è iniziato a discutere e lavorare concretamente su alcune aree di attenzione, definendo delle regole per gli interventi e le azioni che si vogliono portare avanti come rete siciliana. All’incontro erano presenti produttori agricoli, Gruppi di Acquisto Solidale, Cooperative Sociali ed Associazioni che operano da di-
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verso tempo nella regione. Sono intervenuti inoltre Giuseppe Vergani e Giuseppe De Sanctis della Coop. Screet di Milano. Hanno dato un importante contributo con un intervento sulla morfologia delle reti e sull’importanza dei ponti sociali. Hanno raccontato alcune esperienze di partenariato tra produttori e consumatori e delle nuove relazioni con il cibo attraverso mercati contadini, piccola agricoltura, oltre che di Orti collettivi ed esperienze di comunità. Hanno raccontato l’esempio della Brianza: la filiera del pane con il progetto “Spiga e Madia”, che coinvolge 700 famiglie e 31 GAS con un raggio di circa 50km della zona di coltivazione. In questo primo incontro sono stati definiti alcuni gruppi di lavoro necessari a dare consistenza all’organizzazione della Rete: comunicazione, elaborazione della Carta dei Principi, (a partire dal documento della Res nazionale), segreteria, studio delle filiere complete del pane, studio della Piccola Distribuzione e della filiera corta, diffusione del’esperienza della ‘A fera bio e della guida Fa’ la Cosa Giusta Sicilia. Durante l’in-
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contro è stato evidenziato il principio che il rafforzamento e l’espansione delle realtà dell'Economia Solidale passano attraverso la costruzione di circuiti relazionali in cui fluiscano beni, servizi e informazioni prodotti dalla stessa, creando così strutture e prassi proprie per un diverso paradigma economico. Un lavoro di tessitura che è appena iniziato ma che già esisteva anche in Sicilia da diverso tempo. E’ arrivato ora il momento di coinvolgere e informare tutti quelli che credono che un’alternativa non sia solo necessaria ma anche possibile e attuabile. Attraverso un diverso modo di intendere l’economia, più equo, consapevole ed eticamente definito, possiamo individuare una nuova bussola che, attraverso la consapevolezza del valore delle relazioni ci indichi nuovi approdi. L’incontro di Enna si è infatti concluso con il varo di una Nave Immaginaria, una specie di Arca dei giorni nostri, pronta a salpare imbarcando tutti quelli che vogliono provare a preservare il futuro delle nuove generazioni attraverso le rotte della solidarietà e di un sentire plurale. aprile • 2011 • N.3
Economia
Cantieri fermi e risorse inutilizzate Così il territorio continua a franare di ENZO CAPUTO ra il 1° ottobre del 2009 quando un violento nubifragio devastava la costa ionica a sud di Messina. A farne le spese furono Giampilieri, Scaletta Zanclea, Briga Superiore e Pezzolo. Il fiume di fango staccatosi dalla montagna, violentata dalla politica e dall’incuria, aveva preteso un pegno molto alto: oltre trenta morti. Qualche mese dopo, toccava all’abitato di San Fratello, dove la terra iniziò a scivolare a valle e più di duemila persone furono costrette a sfollare. Neanche un mese e stessa sorte tocca al comune di Caronia, dove si era reso necessario evacuare scuole e abitazioni e circa 150 persone. Ancora un mese e toccava alla contrada Sfaranda di Castell’Umberto che lentamente aveva cominciato a scivolare a valle gettando nel panico i circa mille abitanti. L’elenco potrebbe continuare all’infinito ed è quasi impossibile censire con esattezza tutte le strade rimaste chiuse a partire della statale 113 a Capo d’Orlando e della 116 a Naso. Insomma, per dirla con uno studio della Coldiretti, “più di otto comuni su dieci della provincia di Messina si trovano su un territorio considerato a rischio frane e alluvioni anche per effetto della progressiva cementificazione”. Come dire si è fatto e si fa poco o niente per tutelare il territorio dando ragione alla senatrice Anna Finocchiaro che aveva dichiarato: le frane “non sono un disastro annunciato, ma un tragico dèjà vu e il governo dopo molte parole e annunci, non
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ha fatto e non sta facendo niente per mettere mano alla più urgente opera pubblica che servirebbe nel nostro paese: la messa in sicurezza del territorio”. E tutto questo mentre si continua a pensare al ponte sullo Stretto. E’ indecente, aveva detto in una nota il Wwf, che, mentre il territorio si sgretola, si congelino 1,3 miliardi di euro per il Ponte. Mentre dall’alto si assiste a tanto disinteresse, a mobilitarsi sono stati i territori, specie nei Nebrodi, con i sindaci in testa, le forze sociali e i cittadini che hanno affidato a una serie di manifestazioni e di scioperi tutta la loro rabbia. Mancano le risorse, si dice da più parti e la motivazione sembra reggere se non fosse che a smentirla sono i dati sulla spesa dei fondi europei, compresi quelli per la salvaguardia del territorio. La Sicilia, infatti, come le altre regioni del Sud non utilizza le risorse assegnate, molte delle quali
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potrebbero servire proprio per contrastare il dissesto idrogeologico e prevenire le tragedie, come quella di Giampilieri. Ecco perché a distanza di oltre un anno, gli interventi effettuati sono, specie a livello di viabilità, pochi e sporadici, quasi tutti interventi tampone e questo quando l’utilizzo di parte dei fondi destinati all’ipotetica costruzione del ponte sullo Stretto, avrebbero potuto aiutare la causa della messa in sicurezza del territorio e a promuovere un’adeguata campagna di sensibilizzazione alla sua buona tenuta presso le popolazioni. Popolazioni che, è doveroso ricordarlo, spesso segano il ramo sul quale sono seduti perché, se è vero che lo Stato deve fare di più e meglio, è altrettanto vero, come insegnano anche gli svizzeri, che le prime sentinelle sul territorio sono proprio coloro i quali lo abitano. aprile • 2011 • N.3
Società
Palermo Pride 2011 in piazza contro l’omofobia di TITTI DE SIMONE l Palermo Pride Lgbtq 2011 ha ufficializzato la data del corteo di quest'anno, sabato 21 maggio 2011. Il Comitato organizzatore, rappresentato dai Portavoce del Pride (Barbara Amodeo, Luigi Carollo, Massimo "Massimona" Milani e Daniela Tomasino) ha presentato nel corso di una conferenza stampa a Villa Niscemi, alcuni dei temi e degli eventi che caratterizzeranno la settimana del Pride. Dopo il grandissimo successo del Sicilia Pride dello scorso anno (il primo in assoluto a Palermo), anche per il 2011 si è scelto di far precedere il corteo Lgbtq del 21 maggio da sette giornate di eventi politici e culturali, spettacoli e feste. Ri-
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spetto al 2010 verrà data centralità all'elaborazione politica dei movimenti lesbici, queer e femministi ed al tema dell'Omogenitorialità (scuola, salute, diritti dei minori). Accanto a questi, a creare un ponte con l'esperienza dello scorso anno, grande spazio sarà dedicato anche ai temi della Legalità e della lotta alla Mafia e, naturalmente, allo stato del dibattito politico/istituzionale sui diritti delle persone Lgbtq con particolare riferimento alla situazione locale. Tra gli eventi annunciati per la settimana del Pride, la riproposizione della collaborazione con la regista-autrice Emma Dante, con un suo spettacolo previsto per domenica 15 maggio; una intera giornata dedicata ad eventi organizzati dalla rete di associazioni e
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movimenti lesbici, queer e femministi: tali eventi si svolgeranno il 17 maggio, giornata mondiale della Lotta contro l'Omofobia e la Transfobia, attorno alla quale è stato pensato e sviluppato il Pride di quest'anno, proprio per sottolineare la centralità dell'elaborazione e dell'impegno politico e civile delle Donne nel percorso di costruzione dell'intero Palermo Pride; “vogliamo creare un confronto – ha spiegato Barbara Amodeo - con le soggettività di donne e femministe che hanno dato vita alla mobilitazione del 13 febbraio, proprio sui temi che riguardano la sessualità e il corpo delle donne nella società”. Sempre il 17, in continuità con tali eventi, è prevista la proiezione in anteprima assoluta di un film se-
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Società
lezionato dal Sicilia Queer Film Festival che si svolgerà a Palermo dal 20 al 26 giugno, ed a cui il Pride passerà idealmente il testimone durante i comizi finali dopo il corteo del 21 maggio. Una giornata dedicata al tema dell'Omogenitorialità, che vedrà la collaborazione dell'Associazione Famiglie Arcobaleno è prevista per il 18 maggio con la partecipazione della presidente nazionale Giuseppina La Delfa; un incontro con le eurodeputate Rita Borsellino e Sonia Alfano e con il Procuratore Antonio Ingroia per discutere del legame tra cultura della Legalità e tutela dei Diritti delle persone Lgbtq e per celebrare l'anniversario della morte del Giudice Falcone, che ricorrerà due giorni dopo il Pride; tale incontro si terrà il 19 maggio.. Particolare attenzione merita la campagna di comunicazione del Palermo Pride 2011, centrata sul dialetto, sul colore, sui luoghi simbolo della nostra città e sulla visibilità della comunità Lgbtq, che attraverso manifesti e locandine, annuncerà la manifestazione del 21. Una parte importante del programma di questo Pride cittadino sarà dedicata al rapporto con le Istituzioni locali. Alla presentazione del Pride: tra questi, erano presenti il Deputato Regionale Pino Apprendi (PD), che è intervenuto per assicurare il suo impegno a migliorare ed estendere il Ddl da lui depositato in Regione sul riconoscimento delle coppie di fatto e l'istituzione del Registro delle Unioni Civili; il Deputato Regionale e capogruppo in Comune,
Davide Faraone (PD), il Consigliere Comunale Fabrizio Ferrandelli (IdV), Erasmo Palazzotto (Coordinatore Regionale SEL) e le consigliere comunali Nadia Spallitta e Antonella Monastra (Gruppo SEL-Un'Altra Storia). Fra gli obiettivi delle associazioni che compongono il comitato Palermo Pride 2011 c'è una collaborazione continuativa tra il Consiglio Comunale e le associazioni Lgbtq, che garantisca il rispetto degli im-
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pegni contenuti nella Mozione contro l'Omofobia approvata pochi mesi fa dal Comune; in particolare i punti relativi alle campagne di informazione e sensibilizzazione contro l'Omofobia e la Transfobia e alla costituzione di un Osservatorio Permanente sulle Discriminazioni che veda lavorare stabilmente insieme il Movimento Lgbtq, le Istituzioni e le Forze dell'Ordine. www.palermopride.it aprile • 2011 • N.3
Cultura
C’erano una volta
i Cantieri culturali alla Zisa di SANDRO TRANCHINA
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Cantieri Culturali alla Zisa nascono come idea di cittadella culturale nel 1995, il Comune aveva acquistato quell’area da pochi mesi, suppongo per altri scopi, ma la straordinaria coincidenza tra quell’acquisto e la grande vivacità artistica e culturale di quegli anni fu il giusto mix per spingere tutti alla decisione di dedicare quei padiglioni a mostre, spettacoli, concerti, libri, con un occhio all’emancipazione della città e l’altro alla forte ricaduta mediatica che quel progetto poteva guadagnarsi. Tanto per capire di cosa stiamo parlando: 55.000 metri quadri di superficie complessiva; 19 padiglioni, di cui il più grande misura 3.000 metri quadri. Dell’idea di farne una scommessa se ne innamorò per primo l’allora Assessore alla Cultura, Francesco Giambrone, seguito a ruota da giunta e sindaco. Un manipolo di matti visionari che sognava una Palermo europea e definitivamente affrancata dalla mafia, soprattutto dalla mafia politica. Si lavorava in condizioni precarie, ma in preda ad un entusiasmo travolgente. Il primo ad accettare di mettere in scena uno spettacolo tra la polvere e il freddo di quei padiglioni fu Thierry Salmon, ne venne fuori una messa in scena di forza straordinaria, che rese evidente a tutti le potenzialità di quel posto. Poi seguirono nomi celebri e mostri sacri: Ascanio Celestini e Alessandro Baricco, Peter Sellars
e Lev Dodin, Giorgio Barberio Corsetti e Jerome Savary, Dario Fo e Pina Bausch. E poi la “biblioteca delle differenze”, le mostre di Long e Kabakov, e tanto altro. Ma la cosa più miracolosa fu l’arrivo dei giovani artisti palermitani che ebbero per la prima volta spazi a loro disposizione, dove esibirsi con pari dignità dei loro stessi miti, fianco a fianco con mostri sacri dell’arte e dello spettacolo, negli stessi luoghi. Di quel corto circuito si nutrirono Emma Dante, Davide Enia, Paolo Briguglia, Isabella Ragonese, Claudio Gioè, che oggi portano fuori da Palermo quello sguardo particolare che i palermitani hanno sul mondo e sulla vita. Nei sette anni successivi al ’95 il
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Comune fece in tempo a mettere a punto quattro formidabili strumenti che avrebbero potuto garantire il futuro dei Cantieri: un piano d’uso redatto dall’Architetto Ajroldi; un progetto gestionale redatto da Federculture; un comitato scientifico che comprendeva, tra gli altri, Gillo Dorfles e Abraham Yeoushua, oltre a un manipolo di critici e direttori di grandi musei d’Europa; un cospicuo piano di finanziamenti europei per il restauro dei padiglioni. Tutto spazzato via con l’avvento al Comune del sindaco Cammarata. Che pure proclamò di voler chiudere “temporaneamente” i Cantieri per procedere ai lavori di restauro e adeguamento. E come spesso accade nella storia palermitana, aprile • 2011 • N.3
Cultura
da quel restauro i padiglioni non si sono più ripresi: la si potrebbe chiamare “sindrome del Teatro Massimo” (quello grande, coi leoni e la scalinata, rimasto chiuso per 27 anni: ve lo ricordate?). Due righe di cronaca Dal 2002 ad oggi, hanno mantenuto la loro posizione, come un avamposto nel deserto, il Centro culturale Francese, il Goethe Institut, l’Istituto Gramsci Siciliano, la Scuola Teatès di Michele Perriera: tutti affidamenti attuati dalle giunte Orlando. Ad essi si sono aggiunti la Scuola di Cinema, gestita come una succursale del Centro Sperimentale di Roma e – la genialata del secolo – l’Accademia di Belle Arti a cui sono stati affidati cinque padiglioni (concessi da anni, ne usano tre solo da qualche giorno) talmente inadatti alle loro esigenze che stanno impazzendo dietro a turpi pannelli divisori di cartongesso e vetrocamera: ci si chiede come i ragazzi possano imparare il concetto di bello o di arte in mezzo a quelle paretine posticce che negano la struttura fine secolo in legno e tufo dei capannoni. Si direbbe – senza nemmeno tanta malizia – che lo scopo sia sbarazzarsi dei Cantieri, cancellarne il ricordo, se possibile senza raderli al suolo e senza pesare sul bilancio comunale, che deve essere impegnato in tutt’altre inutilità. E se guardate come è ridotto oggi il primo dei padiglioni utilizzato nel ’95, lo Spazio Zero – poi dedicato a Thierry Salmon buona-
nima – vi sembrerà che la nuova giunta abbia cercato di instaurarvi una sorta di nemesi: lo spazio appare con un magnifico tetto in legno nuovo di zecca, ma con le porte sventrate, senza più la targa con dedica al regista scomparso. Ma un’altra visone paradossale vi colpirebbe, se entraste oggi ai Cantieri, quella di alcuni padiglioni perfettamente restaurati eppure mantenuti chiusi: il più grande dei padiglioni, quello che doveva accogliere la collezione d’arte contemporanea; la sala cinema da 400 posti, oggetto di una contesa tra Assessorato regionale e Comune di Palermo; i padiglioni che – quando ancora erano fatiscenti – Roberta Torre aveva trasformato in teatri di posa; una serie di uffici perfino completi di arredi ancora imballati. La domanda sorge spontanea: ma perché? Perché spendere tempo e denaro per poi non fare nulla? Perché mandare sprecata tutta questa roba? Non era meglio essere sinceri, ammettere che i Cantieri erano una pietra angolare con cui la nuova classe dirigente palermitana non si sa e non si vuole misurare? Almeno ci avrebbero evitato le incazzature! E invece no. Due righe di facezie Se vi state chiedendo chi sia stato protagonista della gestione dei Cantieri in questi anni, è tempo che faccia il suo ingresso in scena un personaggio che potreste credere secondario, ma tale non è: una dirigente dell’Assessorato
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Cultura
Cultura, ne ometteremo il nome per carità di patria, a cui il sindaco e l’amministrazione ha delegato la gestione non solo dei Cantieri ma anche del nuovissimo Museo d’arte moderna, anch’esso sparito dalle mappe culturali della città – non perché chiuso, ma per insipienza e incostanza della programmazione. Questa geniale dirigente, a una società che nel 2009 chiedeva di poter organizzare ai cantieri una rassegna teatrale e musicale a spese proprie e assumendosi anche l’onere di gestire laboratori per le scuole, rispondeva, testualmente: “…questa Amministrazione ha già un preciso progetto di utilizzo degli spazi dei cantieri Culturali alla Zisa, come luogo dei linguaggi del contemporaneo che rispecchia una precisa strategia volta alla promozione dell’arte contemporanea nei suoi diversi aspetti…” La parola chiave è “aspetti”, voce del verbo aspettare. Ma se volete slogarvi le mascelle dal ridere, vi suggerisco queste righe estratte dal sito del Comune di Palermo: “…oggi sono stati recuperati quasi tutti i capannoni, spazi che sono stati adibiti, di
volta in volta, a teatro, cinema, danza, mostre, concerti, convegni [...] In questi anni, i Cantieri sono diventati un importante punto di riferimento culturale, ospitando migliaia di avvenimenti. Questo complesso di enormi potenzialità sta, così trovando il suo recupero globale.” Che la mano sia la stessa? Due righe di protesta L’8 febbraio di quest’anno un gruppo di trenta persone ha preso carta e penna e ha scritto al sindaco di Palermo, per fare una semplice domanda: esiste un progetto per i Cantieri Culturali alla Zisa? Possiamo conoscerlo? Sono passati più di due mesi e alle trenta iniziali si sono aggiunte ormai le adesioni di più di mille persone, ma il sindaco continua a non rispondere. Probabilmente non ritiene un nostro diritto avere una risposta, o forse ritiene un suo diritto non risponderci. Nel frattempo i primi firmatari si sono costituiti in Associazione – I Cantieri che vogliamo - e hanno aperto un sito internet - cantierizisa.it - per dar voce a chi ritiene che la scom-
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messa sui Cantieri debba ripartire e per chi vuole dare un contributo al progetto alternativo a quello – o forse al nulla – comunale. Gira voce che il sindaco stia pensando a un bando per l’affidamento a canone annuo dei Cantieri, come dire che chi ha i soldi per gestirli o restaurarli se ne porta a casa un pezzo: e chi vigila, chi coordina, chi decide cosa e come ci si può fare? Questo il sindaco non lo spiega, o non lo sa ancora: questo noi abbiamo il dovere di impedire che accada. Due righe di memoria Ai Cantieri sono entrato per la prima volta nel 1995, per costruirci il carro trionfale del Festino di Santa Rosalia di quell’anno. A quel tempo li chiamavano ex-Imer, i più colti anche ex-Ducrot, e questo già allora avrebbe dovuto mettermi in allarme: a Palermo la sindrome del Teatro Massimo per anni ex-teatro - cova sempre sotto la brace. Oggi siamo a un passo dal chiamarli ex- Cantieri Culturali. Ce la faremo? www.cantierizisa.it
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Società
Ligabue al Parlamento europeo “Il futuro passa dalle frontiere aperte” di CARMEN VELLA uciano Ligabue e Rita Borsellino. Lui noto cantautore italiano, lei europarlamentare siciliana. Non sembrerebbe ma hanno molto in comune. Appartengono sì a due mondi diversi ma molto simili per obiettivi e propositi. Hanno in comune la stessa sensibilità, specie per quello che sta accadendo tra il Nord africa e le coste italiane, e soprattutto hanno a cuore il destino delle migliaia di migranti, le cui vicende nelle ultime settimane affollano le cronache dei giornali. Sul filo conduttore del tema della “paura” che è poi il nucleo centrale attorno al quale ruota il film di Luciano Ligabue “Niente paura”, diretto da Piergiorgio Gay, si sono incontrati al Parlamento europeo e lì hanno dato vita, insieme a David Sassoli, al dibattito “L’Italia che non si arrende. L’Italia che guarda al futuro e all’Europa”. “Con il suo percorso artistico Ligabue ha saputo coinvolgere e far riflettere milioni di giovani: il suo impegno professionale è anche impegno civile. Ho voluto incontrarlo per queste ragioni, ma anche per il messaggio di speranza che ha saputo lanciare insieme a Piergiorgio Gay nel film ‘Niente paura’ – ha detto Rita Borsellino -. In questo momento, l'Italia ha tutti i sintomi di un paese in ginocchio, è dilaniata dalle divisioni politiche e sociali, piegata su se stessa, incapace di guardare al futuro. Ma non possiamo e non dobbiamo piangerci addosso. Abbiamo la forza, la cultura e le competenze per risollevarci. Dobbiamo farlo tutti
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insieme, impegnandoci nel quotidiano, per riaccendere la speranza. Un compito che spetta prima di tutto ai giovani. Il film ci dice che la strada c’è, che la vita ci indica la strada, è la vita che vince”. Insieme, da Bruxelles, hanno deciso di scrivere, su proposta di un gruppo di giovani italiani dell'associazione Liberi Tutti, una lettera all’Unione europea per chiedere un maggiore impegno degli Stati membri dell’Ue nell'affrontare il dramma dei migranti in arrivo dall'Africa. Un monito e insieme un richiamo all’unità e ai valori fondanti della comunità europea che è stato sottoscritto da
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Ligabue, dalla Borsellino e da Sassoli. "I barconi affondano e il Mediterraneo è tornato a essere il cimitero dei migranti. – è l’incipit della lettera -. Dall’inizio dell’anno, sono circa 350 i morti sulle rotte del Canale di Sicilia. Una tragica conta che rischia di aumentare perché, a fronte delle rivolte che stanno scoppiando nel Maghreb come in Medio Oriente, cresce la spinta di disperazione che dall’Africa porta in Occidente. Se saranno 20 mila o il triplo o il quadruplo i migranti che affronteranno il Mediterraneo nei prossimi mesi, poco cambia". La lettera pone l’accento sull’emergenza umanita-
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ria e sul fatto che gli stati non possono pensare alla soluzione egoistica dei rimpatri come l’unica possibile, né tanto meno lasciarsi andare a proclami razzisti. Bisogna pensare a degli accordi di cooperazione internazionale che siano tempestivi. Si fa appello alla convenzione di Ginevra, ai valori indivisibili e universali della dignità umana e alla solidarietà che sta alle fondamenta dell’Unione Europea. Un invito ad agire perché come ha affermato il cantautore emiliano a Bruxelles: “La paura ti chiude in casa, non ti fa uscire, ti paralizza e per questo motivo, se c’é qualcosa che possiamo fare, è dire che bisogna averne il meno possibile, perché tanto ci pensa la vita. E nella vita dobbiamo avere fiducia".L’occasione del dibattito è stata appunto la proiezione del film-documentario “Niente Paura” che racconta gli ultimi 30 anni della storia d'Italia con le canzoni del rocker di Correggio come filo conduttore. "Il futuro passa attraverso le frontiere aperte, attraverso lo scambio proficuo tra popoli e culture – ha detto Luciano Ligabue nel corso del dibattito. "Uscire dall'Europa? Una proposta che non è commentabile", ha detto il cantautore emiliano in merito alle polemiche scoppiate tra Italia ed Europa dopo le parole pronunciate dal ministro Roberto Maroni. Sulla stessa linea Rita Borsellino: "Serve una risposta forte in termini di solidarietà nei confronti dei migranti. Non possiamo farci sopraffare dagli egoismi dinanzi a una tragedia di queste proporzioni, come quella che sta avvenendo nel Mediterraneo".
“Niente paura”, racconto collettivo per capire com’è cambiata l’Italia “Niente paura” è un film documentario sull'identità nazionale non razzista, non regionalista, nell'epoca delle "passioni spente", nell'epoca della crisi radicale della politica, in senso lato. Un documentario atipico che racconta la società in cui viviamo attraverso un musicista italiano e il suo pubblico, e attraverso l’intervento di personaggi famosi, rappresentativi ognuno nel proprio ambito, è stato un lavoro affascinante ma molto complesso in termini produttivi. Il film racconta - in modo non ideologico, non didascalico, non "a riassunto", ma attraverso le storie personali (ma che assumono significato e valore collettivo) di uomini e donne comuni, di persone conosciute e dello stesso Ligabue - colonna sonora del film e "narratore per eccellenza" - come siamo e come eravamo, in realtà da dove veniamo (fine anni Settanta, primi anni Ottanta, quando si opera una svolta sia nelle istituzioni che nel costume) e quale Paese siamo diventati oggi. Un Paese, ad esempio, dove la dimensione collettiva della festa (la festa popolare è sempre anche una grande forgiatrice di identità) si esprime ormai solo ai concerti e alle partite di calcio della Nazionale, un Paese in cui perfino difendere il tricolore o l’inno di Mameli è motivo di scontro politico. La lontananza dei partiti dalla gente - non il contrario - e l'urgere oggettivo di temi nuovi fa sì che chi si riconosce in un Paese non rassegnato combatta per la difesa della Costituzione (diventata non la base minima della convivenza civile, ma una specie di "libro dei sogni", come dice Ligabue, qualcosa che ci sta davanti, un obiettivo da raggiungere) e per i temi cosiddetti etici: i diritti. Non solo e non tanto il classico diritto al lavoro - mai come oggi messo comunque radicalmente in discussione - ma il diritto a decidere sul proprio percorso di fine vita, pari diritti elementari fra persone di appartenenza etnica diversa, di diverso orientamento sessuale, eccetera. Questa difesa-proposta salda alcuni "nuovi" diritti individuali (il testamento biologico, ad esempio) con un impegno anche duro, rischioso, su terreni che stanno al confine fra etica, società, politica: contro la mafia, contro la camorra, contro l'impunità delle stragi, contro il razzismo nei confronti dei lavoratori immigrati, contro l'omertà che attraversa la coscienza delle persone. Se - come ricorda Luciana Castellina - l'impegno politico che aveva assunto le dimensioni di una partecipazione impetuosa e di massa negli anni Sessanta e Settanta era la traduzione laica del "cristiano" amore per il prossimo con orizzonti di cambiamenti radicali di giustizia sociale, dagli anni Ottanta a oggi questa "passione" ha assunto sempre più la forma "resistenziale" bene riassunta da Don Luigi Ciotti, quando ci ricorda che "resistere" ha la stessa radice latina di "esistere".
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Buone pratiche
La storia del Cresm e la lezione di Danilo Dolci di NADIA LODATO e ALESSANDRO LA GRASSA e dovessimo tracciare un percorso ideale che giustifichi l’impegno e la specificità del CRESM nella promozione di iniziative di sviluppo locale, dovremo risalire ai frutti dell’esperienza di partecipazione popolare allo sviluppo, realizzata nelle Valli del Belice e dello Jato, a cavallo delle province di Palermo, Trapani e Agrigento (dalla fine degli anni ‘50 e fino al ’73) da Danilo Dolci prima, e successivamente dai suoi collaboratori, in primis Lorenzo Barbera . Un’esperienza per molti versi unica per coraggio visionario, capacità innovativa (anche in termini di denuncia sociale), concretezza, coerenza ed autonomia, che voleva caratterizzarsi prima di tutto per una presa di posizione etica davanti all’incapacità dello Stato di farsi carico della miseria (sociale, e di rappresentanza, ancor prima che economica), di quell’area della Sicilia, ma che riusciva a parlare al mondo intero con la forza della mobilitazione popolare non violenta. Un percorso che stava diventando un punto di riferimento importante per gran parte della società civile italiana, ma che fu improvvisamente interrotto dal sisma del ‘68 nel Belice. A quel punto le lotte per il piano di sviluppo del Belice e della Sicilia Occidentale più in generale, cedettero il passo alle lotte (ancora più aspre) per la “conquista” della ricostruzione.
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Dopo l’avvio della ricostruzione del Belice, a partire dagli anni Settanta, quando ormai Danilo Dolci aveva deciso di abbandonare il lavoro comunitario per dedicarsi alla pedagogia e alla poesia, l’impegno di Lorenzo Barbera prosegue con il Centro Studi Valle Belice, che seguirà e denuncerà le grandi speculazioni, oltre che i ritardi della ricostruzione. Nel 1973, con il contributo di collaboratori provenienti da varie regioni del Sud, viene fondato il CRESM*, Centro di ricerche economiche e sociali per il Meridione,
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che superando la logica localistica che aveva caratterizzato il Centro Studi Valle del Belice, dà vita a significative interazioni fra vari contesti meridionali, producendo una vasta documentazione progettuale i cui esiti, e le accurate analisi socioeconomiche, vengono pubblicati sulla rivista «Meridione Città e Campagna». Nel 1980 l’Irpinia, colpita dal terremoto, diventa per il CRESM la sede naturale da cui far ripartire in termini operativi il processo partecipativo che aveva caratterizzato le esperienze degli anni Ses-
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Buone pratiche
santa. Rifiutando le logiche spartitorie e opportunistiche dei finanziamenti della Cassa per il Mezzogiorno, il CRESM riesce a mettere in piedi un sistema di cooperative che diventerà il cardine della ripresa economica di quell’area, in contrapposizione alle speculazioni delle numerose aziende del nord Italia, attratte dai flussi di capitali erogati spesso senza criterio, attività che in molti casi chiuderanno i battenti prima ancora del loro avvio. Il lavoro di Lorenzo Barbera e Nuccia Tasca, proseguirà in Campania fino agli inizi degli anni Novanta, quando entrambi decidono di fare ritorno in Sicilia, lasciando il CRESM di Lioni (AV) ai collaboratori locali, nel frattempo diventati punto di riferimento per le politiche di sviluppo rurale. Il ritorno in Sicilia – di nuovo nel Belice, a Gibellina (TP) – completa l’evoluzione del CRESM: da ente fondato sul sostegno economico di comitati sparsi sia in Italia che all’estero, a soggetto che utilizza con competenza le risorse e i nuovi fondi per lo sviluppo, voluti dalla Commissione Europea, istituiti per ridurre le disparità fra le diverse realtà territoriali dell’UE. In questo periodo nuovi obbiettivi caratterizzano l’attività dell’associazione: prioritariamente lo sforzo di piegare le logiche burocratiche della gestione dei fondi europei e dei programmi di sviluppo delle aree rurali (es. Programma LEADER) alle reali necessità dei comprensori, e in secondo luogo garantire la vitalità delle iniziative sociali ed economi-
che impegnandosi in una ininterrotta attività di formazione dei cosiddetti Agenti di sviluppo locale, giovani, laureati e diplomati, fortemente motivati. Il confronto con l’esperienza del Belice degli anni Sessanta diventa, a fasi alterne, fonte di ispirazione e stimolo, ma anche di frustrazione per le nuove leve. Il lavoro di pianificazione basato ora su programmi molto burocratizzati e per di più spesso gestiti – specie a livello regionale – con modalità clientelare, indubbiamente limita la libertà di movimento dell’azione sociale, ma soprattutto sposta l’attenzione dal “cosa fare” e dal “come farlo”, alle vecchie pratiche fumose di una burocrazia miope che continua a nascondere la sua inefficacia dietro la trincea della “regolarità delle carte”, ipocrisia istituzionalizzata per la quale alle “carte” possono perfettamente anche non seguire i “fatti”, i risultati concreti, e ciò nel pieno rispetto della forma. Negli ultimi anni poi, la tendenza a ridurre gli spazi di manovra nei territori, nel decidere del loro svi-
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luppo, è andata di pari passo con la crescente “passione” della politica verso le società pubblico-private di gestione dei servizi (Ato Rifiuti, Ato Idrico ecc.). Alla stagione della Programmazione Negoziata, che aveva almeno l’obiettivo di aprire prospettive di cambiamento e di crescita, segue ora la stagione delle grandi speculazioni che rischiano di annullare i residui spazi di gestione democratica delle risorse di ciascuna comunità locale, oltre che prosciugare le casse dei Comuni. E se nel frattempo l’ambito di azione del CRESM si è orientato di preferenza verso programmi di sviluppo europei e internazionali, meno condizionati da retaggi clientelari, o verso iniziative di coinvolgimento sociale ed economico con finanziamenti privati – pur mantenendo ferma la scelta di operare al di fuori degli schieramenti politici – è diventato impossibile accettare in silenzio la crescente deriva antidemocratica della “cosa pubblica”. Per questo abbiamo deciso di raccontare la storia della mobilitazione popolare del Belice dentro uno spazio chiamato “Belice/EpiCentro della Memoria Viva” e per lo stesso motivo abbiamo deciso di sostenere la “Marcia per un Mondo Nuovo” promossa insieme a Stalker, Libera, CLAC e un’Altra Storia e a decine di altre organizzazioni di tutta la Sicilia. Due iniziative che hanno l’obiettivo della riscoperta dei diritti di cittadinanza in un Paese – l’Italia – che sembra avere smarrito la voglia di aprile • 2011 • N.3
L’Antisociale L’Antisociale Convoglio in transito
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