Un'Altra Storia Magazine Numero 5

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Editoriale

Verso le elezioni Protagonisti per unire di GIOVANNI FERRO aranno numerosi i comuni che andranno al voto il prossimo anno nella nostra regione. E’ opportuno, dunque, interrogarsi già adesso sul ruolo che Un’Altra Storia dovrà avere, su come potremo riuscire a svolgere un azione da protagonisti offrendo il nostro contributo per il rinnovo delle istituzioni cittadini. Non solo piccoli comuni, ma anche grandi città – da Palermo a Trapani – saranno impegnate in quella tornata. E’ l’occasione per il centrosinistra di offrire l’opportunità di un cambiamento nel modo di governare rimuovendo le macerie che il centrodestra sta lasciando nei nostri territori. Occorre dunque adoperarsi per l’unità del centrosinistra mettendo insieme partiti, movimenti, associazioni e singole individualità che non hanno perso la speranza di cambiare e che desiderano impegnarsi davvero per una autentica alternativa di governo. Il centrodestra lascia una eredità pesantissima nelle nostre città. Dissesto finanziario, riduzione di tutti i servizi essenziali, degrado istituzionale, pratiche clientelari Tutto ciò ha prodotto forme di individualismo ed egoismo tra le persone a scapito di una cultura della solidarietà che dovrebbe costituire l’asse portante nelle nostre società e in ogni azione politica nelle comunità urbane. E’ necessario recuperare la capacità di indignazione che negli anni passati ha contaminato anche i nostri territori e riportare quel vento di cambiamento che ha attraversato recentemente importanti città del nostro paese. Tutto questo è possibile e il nostro modo d’essere, la nostra esperienza può essere decisiva al raggiungimento di questo obiettivo. Noi possiamo essere protagonisti tra protagonisti. Vogliamo unire e non dividere, nella chiarezza di un progetto per l’alternativa, costruito insieme alle forze positive e vitali della società. L’iniziativa realizzata nei mesi scorsi a Pollina – che abbiamo voluto chiamare Sicilia Bene Comune – che vedeva insieme associazioni di impegno civile ma anche realtà imprenditrici moderne impegnati a farsi rete, a costruire un sistema di relazioni tra territori e queste esperienze, è la riprova che il cambiamento è possibile se saremo capaci di uscire dall’isolamento e se riusciremo a fare emergere quanto di positivo già esiste. Nei comuni dove siamo presenti occorre un nostro rinnovato impegno in cui anche le metodologie per realizzare questa unità tra le forze migliori sono essenziali. Già negli scorsi anni, con la candidatura di Rita Borsellino alla Presidenza della Regione, abbiamo sperimentato innovativi strumenti di partecipazione per la costruzione del programma, i Cantieri. Anche oggi i Cantieri nei territori possono rappresentare uno strumento efficacissimo per ridare voce ai cittadini, per scrivere insieme il progetto di città che vogliamo. Insieme partiti, associazioni, forze imprenditoriali ,cittadini possono ricostruire una rinnovata cultura della responsabilità e della comunità. Lo stesso ricorso alle primarie per l’individuazione del candidato a Sindaco rappresenta un modo affinché i cittadini possano scegliere i propri rappresentanti all’interno delle istituzioni, in netta antitesi con quella orrenda legge elettorale nazionale che fa del parlamento un consesso di nominati e non di eletti. Da questo strumento non ci si può sottrarre e non mi sembra utile rimetterlo sempre in discussione. Per ultimo, non posso non soffermarmi sulla candidatura alle primarie per il Sindaco di Palermo di Rita Borsellino. E’ un atto d’amore di Rita verso la città. E’ un mettersi al servizio dei cittadini di Palermo oltre le sigle di partito. E’ un mettersi un cammino, come ama dire Rita, per ricostruire la città in un progetto che va costruito e condiviso con tutti coloro che hanno a cuore le sorti di Palermo. Abbiamo dinanzi una stagione che potrà essere esaltante se ne saremo capaci. Insieme.

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L’intervento

Trapani. AAA cercasi senso

d’appartenza (alla città) di RINO MARINO opo l’evento degli acts 8 e 9 della coppa America disputati a Trapani nel 2005, molto è cambiato ed anche velocemente. La Città ha un nuovo aspetto: via Fardella ha un nuovo look, recuperata la passeggiata sulle mura di tramontana che erano state abbandonate per decenni, le spiagge del litorale nord ripulite dalle alghe e dai rifiuti e rese fruibili, la zona di viale Regina Margherita riordinata, il bastione dell’impossibile restaurato e reso accessibile, la rete fognaria del centro storico rifatta, il nuovo depuratore funzionante con conseguente mare pulito, nuovi tratti di rete idrica realizzata, nuova zona artigianale realizzata a ridosso del Palailio, la ristrutturazione del mercato del pesce ed il cambiamento di destinazione (ora centro espositivo e culturale); il restauro ed il recupero di alcuni beni artistici e monumentali. Al porto turistico/commerciale ci hanno pensato i fondi nazionali arrivati prima del 2000 (governo D’Alema con Bersani) con la realizzazione delle nuove banchine d’attracco; poi con i fondi per la coppa America nel 2004 (governo Berlusconi con D’Alì/Bertolaso) si realizzarono nuove opere come: la nuova barriera frangiflutti, l’escavazione dei fondali, la nuova banchina al molo Ronciglio e la costituzione della nuova Autorità portuale che però naufragò nel 2006. Nel 2006, sembrerebbe arrivare un’ulteriore svolta infatti con una parte dei fondi strutturali EU 2000/2006 e di agenda 2000 viene ristrutturato ed ampliato l’aeroporto di Trapani. La Provincia regionale di Trapani attraverso un piano di marketing, concede incentivi (soldi pubblici) ai privati e stipula con Ryanair un accordo commerciale che attiva nel 2007, a prezzi stracciati,

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una serie di rotte italiane ed europee che porteranno oltre due milioni di passeggeri in transito da e per Trapani. Con il resto dei fondi strutturali EU si puntò ai PIT; oltre l’80% dei fondi furono concessi alle imprese, e meno del 20% dei fondi furono spesi per infrastrutture. Nel 2009 con un accordo con alcune importanti compagnie di navigazione portano a Trapani alcune navi da crociera con migliaia di turisti (mordi e fuggi) ogni settimana che invadono le vie del centro. Tutto ciò mirava (sulla carta) alla crescita dell’occupazione ed allo sviluppo; alla fine del ciclo il numero di occupati a Trapani è sceso, il numero dei disoccupati è salito ed è ripresa l’emigrazione. Occorre dare atto all’Amministrazione Fazio che si è succeduta dal 2001 ad oggi, dopo un breve periodo di commissariamento, nel 2000, con il giudice Alfonso Giordano (quello del max

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processo) che tolse non poche castagne dal fuoco alla nuova Amministrazione, quali aumenti ici irpef, ecc. dovuto agli scandali dell’Amministrazione Laudicina, ha dato il via ad una serie d’interventi “mirati” nel centro storico ed in sinergia con altri Enti (Regione, Provincia regionale, Sovrintendenza ai BB.CC.AA.) che hanno portato molti privati ad investire nel centro storico ristrutturando interi palazzi e piccoli appartamenti (dalle grandi famiglie ai piccoli imprenditori) e sono sorti dal nulla molti alberghi, b&b, case albergo, case vacanza, residence, negozi di souvenir e prodotti tipici, wine bar sorti dal nulla e sparsi al centro. Il risultato è stato che l’occupazione è aumentata, ma rimane per i più, precaria e stagionale. Stiamo scimmiottando la movìda spagnola, ma diciamocelo francamente, non abbiamo la loro cultura ed il loro senso di appartenenza alla città, al territorio che li contraddistingue; forse abbiamo novembre• 2011 • N.5


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saltato qualche generazione, qualche passaggio, abbiamo avuto e fatto tutto in fretta e non siamo preparati, insomma siamo, per dirla con una parola, molto approssimativi e spesso disorganizzati. Nonostante tutto, però, il commento dei turisti è unanime: cibo buono, buoni locali di ristorazione, vita tranquilla, clima eccellente, città pulita ed ordinata, mare e spiagge pulite, prezzi accettabili. Aggiungo che pochi addetti ai lavori sanno parlare le lingue straniere (soprattutto l’inglese). Trapani è stata recentemente denominata la “Città della vela e del sale” (termine quest’ultimo che era stato dimenticato). Personalmente l’avrei denominata “la città del sole, del sale e del vento”, quantomeno ci si sarebbe potuti ispirare ad eventi naturali/ambientali, dando un senso “autentico” alle parole. Ed il trapanese come “vive” la città, tutto l’anno? Molti trapanesi lavorano in Città e dormono ad Erice o viceversa, possiedono la seconda casa a San Vito, Pizzolungo, Marausa, Valderice, ecc. Pochi cinema, un solo teatro con poche e mediocri stagioni (tanti si riversano su Palermo). Pochissimi i luoghi d’aggregazione culturale; poche le mostre artistiche allestite. Gli eventi di una certa rilevanza vengono organizzati solamente d’estate (Segesta). L’unico evento che regge ed ha un significato profondo che lega i trapanasi di tutte le generazioni è la processione dei Misteri, con i suoi prologhi e con tutto quello che gli ruota attorno, prima e dopo la Settimana Santa. Le regate che si sono succedute dopo il 2005 sono state le più disparate, ma attorno ad esse poca cosa si sviluppa, fatto salvo gli eventi collaterali che hanno attratto un poco di pubblico. Tanto sforzo organizzativo e finanziario, ma poco ri-

torno; la vela è e rimane uno “sport” di elite, almeno a Trapani. Si può affermare che il fulcro della Città è ormai il “centro storico”, ed è qui che l’attuale Amministrazione ha concentrato e concentra i propri sforzi in termini d’investimenti, risanamento, spettacoli, attrazioni, pulizia, sicurezza (sistema di video sorveglianza). Il resto della Città vive nella sufficienza, per non parlare delle frazioni, tant’é che negli ultimi anni è sorto il Comitato “Misiliscemi”, che raggruppa tutte le Frazioni a sud di Trapani, che vede nelle sue linee programmatiche la realizzazione di un comune autonomo. Mentre ormai appare sopita la spinta verso un comune autonomo che ha dato vita negli anni ottanta/novanta all’idea “separatista” del comitato a nord di Trapani denominato “Regalbesi”. Ci sarebbe da chiedersi perché sono nati questi Comitati. Partendo dal fatto che le Amministrazioni che si sono succedute dagli anni ottanta ad oggi hanno dato poco a questi territori in termini d’investimenti e di crescita; le popolazioni ne hanno rivendicato da sempre la distanza dal “centro storico”, fatto salvo qualche sporadico “interessamento” del Consigliere comunale di turno, di provenienza indigena, che ha “estorto” qualche opera pubblica e qualche servizio. Poca cosa rispetto alla prospettiva di una seria pianificazione sostenibile del territorio o nulla di più. Un segnale poteva essere dato con la realizzazione del “famoso” centro commerciale che doveva sorgere anni fa alle porte di Trapani in località “Cassiere” e che poteva essere realizzato tra Fulgatore ed Ummari oppure tra Rilievo e Chinisia, alla fine nemmeno quello. C’è da aggiungere la mancata entrata in vigore del Regolamento del piano regolatore Generale che non sta dando alla città quelle certezze, pro-

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iettate nel futuro, in termini di crescita e sviluppo. Il tutto condito dall’inadeguatezza ed il mancato ricambio di una classe dirigente politica ha fatto il resto. Il risultato è che da oltre un ventennio, in Consiglio comunale non siedono più “personalità” del mondo della cultura, intellettuali, artisti, ma sempre più gente mediocre e rappresentanti di piccole “lobby” locali con interessi di basso cabotaggio, certamente, con i dovuti distinguo. E’ vero, non è più la Trapani di 20 anni fa (ai tempi di Mauro Rostagno) con i topi che scorazzavano per strada, la spazzatura agli angoli delle strade, scarichi fognari dappertutto. Trapani è più bella, Trapani è più bella fuori, ma malata dentro. Nel 2008 inizia la crisi che investe anche Trapani; delocalizzano e si trasferiscono grandi aziende, altre piccole chiudono, chiudono i call center, altre mandano gli operai in cassa integrazione. Questo che abbiamo non è sviluppo vero, ma sottosviluppo. Nonostante tutto si vive male e si emigra ancora. Negli ultimi decenni chi ci ha amministrato ha dimenticato che la città è soprattutto un insieme di persone e non di cose, un insieme di vite e non di oggetti, un insieme di relazioni e non di palazzi. Lo stare bene in una comunità risiede nella qualità delle relazioni con le persone che ci circondano, dal quanto ci sentiamo realizzati, riconosciuti e profondamente accettati, dal quanto riusciamo ad amare e ad essere amati. Giorgio La Pira non viene ricordato per come ha sistemato bene i marciapiedi di Firenze, bensì perché ha dato alla sua Città un grande ruolo internazionale e nella tutela dei deboli. Ha dato orgoglio ai suoi cittadini, protagonisti di questo ruolo. Gli ha regalato un grande sogno. ercarlo, il bandolo del rinnovamento. novembre • 2011 • N.5


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Laboratori di partecipazione di INES ROSANO e GIUSEPPE PILLERA er il secondo anno consecutivo Un'AltraStoria sceglie come luogo deputato alla formazione dei suoi soci un luogo speciale, nel cuore del Parco dei Nebrodi, all'ombra delle rocche del Castro, sorge una rupe affacciata verso l'abitato di Longi. In cima alla rupe, sulle rovine del castello di Milé, tra il XIII e il XVI secolo fu costruita una masseria fortificata che tutt'oggi domina l'alta valle del Fitalia. Il complesso è stato acquisito e poco a poco, anno dopo anno, ristrutturato con la pazienza, il sacrificio e la caparbietà di un gruppo di famiglie riunite nella cooperativa Naturamica, che anche quest'anno ci ha ospitato coccolandoci con la genuinità dei sapori e dell'accoglienza che solo la gente di montagna sa offrire. Il luogo in cui sogniamo, ricerchiamo e progettiamo, un'altra Sicilia possibile è un luogo dove il progetto di un'altra Sicilia già esiste in atto.

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L’incontro di formazione regionale – che ha visto protagonisti cittadine e cittadini provenienti da tutte le provincie siciliane – è ormai divenuto un appuntamento irrinunciabile per l'associazione: un piccolo arco di tempo ma sospeso, lontano da tutto, in una condizione che libera spazio mentale per accogliere ed incontrare, per ritrovarsi insieme a consolidare il progetto associativo, a rafforzare le relazioni, ad approfondire il confronto e la condivisione di espe-

rienze, ad avviare riflessioni su una prassi politica nuova, che oltrepassi il mero meccanismo della delega, del voto, della partitocrazia. In linea con la mission di promuovere non solo un costante e diffuso controllo democratico su gli atti di governo (informando, sensibilizzando e se il caso denunciando) ma anche una serie di politiche mirate a favorire ed ampliare la partecipazione dal basso, negli incontri di formazione di Un'AltraStoria spesso si prende spunto dalle esperienze di buone prassi sviluppate in altri contesti, provando a rielaborarle, adattarle e sperimentarle in relazione al territorio siciliano. E' così che queste giornate di formazione divengono

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veri e propri laboratori regionali per una democrazia territoriale fondata sulla partecipazione e l'inclusione, progettazione funzionale all'azione dei “cantieri”, il cui compito è poi quello di costruire, nel concreto dei municipi e dei territori, l'edificio democratico partecipativo. Già l'anno scorso, il 25 e 26 giugno 2010, la due giorni presso la Masseria di Forte Milé, è stata un'esperienza formativa importante, prima di tutto da un punto di vista relazionale, perché il contesto e il lavoro per piccoli gruppi ha approfondito la conoscenza reciproca e l'identità associativa. In quell'occasione l'incontro, intitolato novembre• 2011 • N.5


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“Individuo-gruppo-comunità”, era incentrato sulla ricerca di una metodologia condivisa dai nostri gruppi locali impegnati impegnati in strategie di empowerment di comunità. Già allora si pose tra gli obiettivi quello di acquisire elementi operativi per l’agire associativo attraverso la testimonianza di esperienze di democrazia partecipativa e la simulazione di itinerari partecipativi. Ma il livello rimaneva necessariamente più teorico, anche perché i casi analizzati si fondavano essenzialmente sull'iniziativa di alcune amministrazioni comunali “illuminate”, consapevolmente diretta a suscitare partecipazione. Dunque, non solo processi per varie ragioni spesso e volentieri impraticabili alle nostre latitudini (giacché non trovano nelle giunte e consigli comunali delle nostre città un adeguato numero di protagonisti e sostenitori), ma anche azioni il cui rischio è spesso quello di non superare il mero livello consultivo, così come per altro già previsto dal nostro ordinamento (L. 241/1990 sulla partecipazione al processo amministrativo e D.lgs. 267/2000, Testo Unico Enti Locali). Incontri formativi su tecniche strutturate di partecipazione dal basso e animazione di comunità erano allora stati richiesti dai cantieri territoriali dell'associazione in più occasioni, per dotarsi di strumenti utili a stimolare e coinvolgere i cittadini su temi di interesse pubblico o generale; in particolare strumenti atti a facilitare la discussione, l'analisi critica e dialettica finaliz-

L’esperienza formativa di Longi organizzata da Un’altra Storia I racconti e le storie di chi ha deciso di cavalcare l’onda della partecipazione aderendo al movimento Un’altra Storia, fondato da Rita Borsellino, sulle orme dei cantieri territoriali che hanno caratterizzato la sua campagna elettorale per le elezioni alla Presidenza della Regione Sicilia nel 2006 dando vita al così detto programma partecipato. A Longi in provincia di Messina si è tenuto un seminario dal 22 al 24 luglio sui metodi della partecipazione a cui hanno partecipato iscritti al movimento e non, per apprendere metodologie di partecipazione alla vita pubblica e amministrativa adottate in altre regioni con risultati efficaci. Esempi virtuosi che potrebbero estendersi al Belpaese e che potrebbero divenire prassi comune nella gestione della cosa pubblica. Una due giorni di formazione nel segno della partecipazione. "L'idea guida della nostra associazione – spiega Alfio Foti, coordinatore regionale di Un'altra Storia - prevede l'irrompere nello spazio della politica dei cittadini, delle cittadine e delle persone che vivono il territorio dell'Isola attraverso un sistema diffuso di partecipazione di base finalizzato all'elaborazione di politiche nuove e a un costante e diffuso controllo democratico su gli atti di tutti i livelli di governo. E' l'idea originaria dei Cantieri del programma regionale di Rita Borsellino. Un'idea che va attualizzata e sistematizzata in un suo preciso modello che determini un processo partecipativo che non sia mera enunciazione teorica, ma una pratica politica reale e costante". L’appuntamento di Longi ha seguito l’esperienza teorica dello scorso anno alla Masseria di Forte Milè tra il 25 e 26 giugno dove si è svolto il seminario dal titolo “Individuogruppo-comunità”, che puntava alla ricerca di una metodologia condivisa dai gruppi locali impegnati in strategie di empowerment di comunità. Alla due giorni di formazione hanno offerto il loro Lorenza Soldani, di SocioLab Firenze contributo che ha tracciato le linee guida della metodologia OST che permette, all’interno di qualsiasi tipo di organizzazione di creare gruppi di lavoro particolarmente ispirati e produttivi, e si basa sull'auto-organizzazione. E ancora, Valter Canafoglia, responsabile ufficio partecipazione del Comune di Modena, ha raccontato l'esperienza del World Cafè: una tecnica che si basa su incontri tematici che si svolgono in spazi accoglienti e rilassanti, dove piccoli gruppi di persone conversano in maniera informale intorno a tavoli, come se fossero appunto in un bar.

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zate ad attivare la capacità di decidere e intraprendere iniziative collettive. Quest'anno l'incontro di Longi si è dunque più nettamente orientato verso l'acquisizione di tecniche spendibili concretamente sui territori, partendo non dalle istituzioni e non necessariamente da gruppi organizzati ma dai “cittadini sfusi”. In particolare si è avuto modo di conoscere e sperimentare tecniche di partecipazione quali l'Open Space Technology (OST), a cura di Lorenza Soldani (Sociolab Firenze) e il World Cafè a cura di Valter Canafoglia (Ufficio Partecipazione del comune di Modena). L'OST è una metodologia che permette, all’interno di qualsiasi tipo di organizzazione di creare gruppi di lavoro particolarmente ispirati e produttivi, in quanto il clima piacevole e informale rappresenta un forte stimolo per la generazione di idee. Si basa sull'auto-organizzazione, giacché non prevede la presenza di relatori e programmi definiti: i partecipanti sono gli effettivi protagonisti, i quali liberamente effettuano proposte e discutono su un tema di loro interesse. Ciò che caratterizza la tecnica, oltre alla sua grande scalabilità (si possono gestire gruppi da 5 a 1.000 persone), è la capacità di incrementare progettazione ed azione, responsabilità e partecipazione, in maniera semplice e lineare, partendo dalla definizione di un obiettivo della discussione e lasciando traccia (multimediale) del processo e dei suoi esiti. Nell'ambito dell'espe-

rienza di OST vissuta a Longi sono nate spontaneamente delle proposte di discussione intorno alle modalità di coinvolgimento dei cittadini e in particolare dei giovani, al fine di rendere i soggetti consapevoli del ruolo che svolgono all’interno della società/comunità; sulla necessità di indagare e aggregare i bisogni nei territori, costruendo reti di relazioni con i soggetti sociali, politici, istituzionali e culturali. Anche l'esperienza del World Cafè è stata stimolante per lo sviluppo di un dialogo collaborativo, la condivisione di idee e proposte. La tecnica si basa su incontri tematici che si svolgono in spazi accoglienti e rilassanti, dove piccoli gruppi di persone conversano in maniera informale intorno a tavoli,

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come se fossero appunto in un bar. Il World Cafè si basa appunto sull'idea che quando le persone stanno a proprio agio, pensano e si confrontano in maniera più creativa. L'oggetto delle conversazioni è legato a domande chiare e strutturate, cui si tenta per iscritto una risposta collettiva ad ognuno dei tavoli per un tempo definito, allo scadere del quale i partecipanti ai tavoli si rimescolano per osservare ed integrare il precedente lavoro. La tecnica, dunque, favorisce apertura e decentramento cognitivo, migliora la cooperazione nella ricerca di soluzioni efficaci, stimola il contributo attivo di tutti i partecipanti nellʼesplorazione e nella scoperta di nuove idee. Il percorso formativo, come si è novembre• 2011 • N.5


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visto, è stato articolato sulla base di una metodologia laboratoriale, calata in una vera e propria comunità di pratica nella quale ogni volta confluiscono e si mescolano, integrandosi e arricchendosi, le esperienze svolte da ciascuno sui territori. Attraverso la simulazione tutti hanno avuto modo di sperimentare direttamente le tecniche oggetto della formazione e di confrontarle con i tentativi di partecipazione avviati sul proprio territorio. Infine, il clima in cui l'associazione, i formatori, i nostri ospiti hanno collaborato, è realmente poco descrivibile con le parole, riguarda essenzialmente l'aspetto esperienziale dell'iniziativa ma alcune cose essenziali si possono dire. Momenti di forte riflessione e condivisione hanno caratterizzato la tre giorni, in cui ognuno partendo da sé stesso è riuscito a restituire il proprio vissuto al gruppo, nell'ottica di intessere un percorso comune di partecipazione e impegno per il bene comune, un percorso teso alla costante ricerca di autenticità e all'insegna della gratuità. In questo quadro è emerso chiaramente uno dei compiti principali non solo di Un'AltraStoria, ma – a nostro parere – di tutto l'associazionismo di promozione sociale, il quale, se vuole promuovere la cultura della legalità e dell’essere, dei valori civici, umani e sociali, deve necessariamente puntare alla mediazione e al recupero del rapporto di fiducia tra pubblico e privato, tra individuo e comunità, tra politica e cittadino.

“Noi, ragazzi di Canicattì a scuola di partecipazione” di ANGELO CUVA, ANTONIO DI NARO, ALBERTO GAMBINO e DANIELE DI PASQUALI Adolescenti sognatori, è così che amiamo definirci. Un sogno che va vissuto con gli occhi aperti e con i piedi per terra, onde evitare sgradevoli delusioni essendo infatti consapevoli che è dura la battaglia che giorno dopo giorno portiamo avanti con coraggio e con impegno. Nacque tutto alla fine dell’anno scolastico 2009/2010 mentre tutti erano intenti ad effettuare le ultime verifiche scolastiche per poi dedicarsi interamente alle vacanze estive. Noi invece no. Noi,alcuni sedicenni dei Licei di Canicattì, avevamo in mente un progetto chiaro: fondare un’associazione giovanile per favorire la cultura della legalità. Tutto ciò dopo esser venuti a conoscenza di Peppino Impastato, attivista di Cinisi, martire della libertà di pensiero. Ecco come nasce “Canicattì Giovani”, un affermato movimento giovanile nella città dell’Uva Italia. Da quel momento è cambiata la nostra vita. Abbiamo fatto nostro il concetto di futuro, lo abbiamo assimilato e abbiamo cercato di trasmetterlo a quanti più soggetti possibile per diffondere la nostra ventata di freschezza e legalità. Sin da subito ci siamo messi in mostra con piccole ma efficaci iniziative volte a creare anche semplici momenti d’aggregazione tra noi giovani fino a quando non abbiamo ottenuto una considerazione degna di nota da parte dell’altre associazioni locali e dell’amministrazione comunale guidata del Rag. Vincenzo Corbo. Nello specifico ciò è accaduto quando ci siamo interessati al progetto portato avanti dall’Arci e dalla “Cooperativa Lavoro e Non solo”, riguardante attività lavorative nei terreni confiscati alla mafia. Abbiamo avuto, infatti, l’onore di lavorare con questi ragazzi lo scorso settembre e di ripetere la stessa iniziativa qualche giorno fa. Successivamente con l’avvento del nuovo anno scolastico abbiamo realizzato che spettava a noi far passare tra i banchi e le cattedre del nostro liceo, le nostre idee, i nostri progetti. Così con l’appoggio del dirigente scolastico, la Dott. Rossana Virciglio abbiamo messo su, un convegno con la presenza del Magistrato Canicattinese nonché Sostituto Procuratore della repubblica di Palermo Gaetano Paci. Incontro che ha riscosso molto successo in città e che ha visto la partecipazione di circa 800 persone tra studenti e civili. La svolta definitiva però è avvenuta quando, siamo stati contattati da Alfio Foti, coordinatore regionale di “Un’Altra Storia”, il quale ha manifestato l’intenzione di volerci coinvolgere in una importante novità per la nostra Canicattì: i cantieri municipali. Realizzando delle mini-assemblee a tema siamo riusciti a coinvolgere molti cittadini nella stesura di un programma “della Città per la Città” da presentare al candidato Sindaco che sarebbe uscito vincente dalle elezioni amministrative svoltesi lo scorso giugno. Naturalmente il nostro cantiere preferito e quello in cui abbiamo avuto un ruolo da veri protagonisti è stato quello sulle politiche giovanili. In questa continua collaborazione con Un’altra storia abbiamo avuto anche l’onore di essere invitati all’incontro di formazione regionale svoltosi a Longi dal 22 al 24 Luglio scorso, nel quale abbiamo appreso interessanti ed innovative tecniche sulla democrazia partecipativa oltre che conoscere nuovi soggetti in grado di consigliarci su come fronteggiare al meglio questo nostro progetto. Abbiamo raggiunto il massimo dello stupore e della commozione quando abbiamo avuto modo di sentir parlare, in un ambiente così familiare, una persona prestigiosa come Rita Borsellino, la quale si è soffermata nel ricordo dell’amato fratello Paolo. Il tutto è partito da un sogno, ma mai avremmo immaginato che un sogno si sarebbe trasformato in una splendida e solita realtà. L’idea di un gruppo di amici stanchi di abbassare il capo e dire sempre di sì, diventata una vera e propria realtà cittadina.

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Il Mezzogiorno come risorsa Contro e oltre la crisi di ALBERTO TULUMELLO Segretario dell’Osservatorio popolare sulle politiche di sviluppo e coesione l termine del quinto anno del Programma dei Fondi strutturali europei, cinque su sette – dal 2007 al 2013, perché gli altri due, fino al 2015, sono di tolleranza e non di ordinaria programmazione e dovrebbero servire per completare azioni che non si è riusciti a condurre in porto nei tempi programmati –, non è chiaro se prevalga l’indignazione o un senso di stanchezza e rassegnazione: la Sicilia è irredimibile, e quindi incapace di agire con lo sguardo volto al bene comune e al futuro, anche in prossimità di rischi disastrosi e in necessità di comportamenti cooperativi e costruttivi. La Sicilia, come il Mezzogiorno. Il Mezzogiorno come l’Italia di Tremonti e Fitto. Le forze di governo – in Sicilia all’opposizione – come le forze di opposizione – in Sicilia al governo, ma forse no – sembrano incapaci di utilizzare le cospicue risorse che l’Europa ha assegnato per le politiche di sviluppo e coesione. Il senso di impotenza prevale quando le denunce del ritardo della spesa e della cattiva qualità del programma e le proposte di cambiamento fatte – possibili, dal momento che è in corso la rimodulazione del programma, e dato che la crisi in atto consente ridefinizioni e cambiamenti che in altri momenti la Commissione non consentirebbe – vengono riconosciute valide, o comunque tali da dovere essere ascoltate e discusse, ma non producono effetto e anzi, sembrano costituire ulte-

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riore alibi e orpello di accompagnamento e quasi di sostegno “democratico” rispetto a comportamenti che definire irresponsabili è eufemismo. All’ultima manifestazione pubblica del Cantiere sviluppo economico di Un’altra storia e dell’Osservatorio popolare per le politiche di sviluppo e coesione hanno partecipato e discusso sia l’Assessore regionale Armao che il Direttore Bonanno, oltre a numerosi parlamentari regionali. Ma continua a non accadere niente. Se un’azione è assolutamente

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inefficace deve avere qualcosa di sbagliato. Parlo dell’azione del Cantiere e dell’Osservatorio, e di Un’altra storia. Il dubbio è che sia sbagliato l’atteggiamento assolutamente costruttivo e cooperativo che si è adottato e perseguito con determinazione, sulla base della considerazione che l’utilizzazione virtuosa ed efficace dei Fondi europei e delle altre risorse per lo sviluppo dovessero essere sganciate dal dibattito strettamente politico/partitico e dagli scontri sul governo e sulle prospettive di governo. Soprattutto dal momento in novembre• 2011 • N.5


Economia

cui la crisi mondiale ha stretto la morsa sull’economia del Mezzogiorno e ha innescato pesanti processi di deindustrializzazione, che si aggiungono alle strette finanziarie delle manovre economiche anti debito e anti crisi. Questo atteggiamento dovrebbe essere ulteriormente validato dalle manovre di questa estate e in corso e dal “bisogno di crescita”, che viene espresso e gridato dalle istituzioni europee, di recente da Draghi e ancora di recente dal Presidente Napolitano con riferimento al Mezzogiorno: le risorse per lo sviluppo debbono produrre sviluppo e quindi contribuire alla crescita di cui il Paese ha bisogno per non soccombere sotto l’incalzare della crisi e per non imboccare un sentiero simile a quello in cui soffre la Grecia. L’Italia della crisi ha bisogno di crescita. Perché senza crescita le manovre finanziarie vengono riassorbite e vengono rese inefficaci dal cattivo andamento delle variabili ordinarie dell’economia: meno entrate si traduce in aumento del deficit e in nuovo debito. Il Mezzogiorno ha risorse assegnate per lo sviluppo, per colmare il divario in modo stabile e sostenibile nel tempo rispetto alle parti più ricche e avanzate economicamente d’Italia e d’Europa. Si può crescere senza fare sviluppo o facendo sviluppo non ottimale e di breve periodo – poco o non autonomo e dipendente da interventi straordinari e da risorse esterne –, ma se si fa sviluppo buono e autonomo si contribuisce alla crescita. Il Mezzogiorno che utilizza in modo virtuoso – conformemente alle regole e agli scopi per cui è destinatario di risorse aggiuntive, italiane (FAS) ed europee (Fondi struttu-

rali) – non solo fa sviluppo e persegue il suo interesse territoriale, ma insieme contribuisce alla crescita nazionale e quindi contrasta la crisi e il rischio di entrare nel novero dei paesi europei candidati al default. Il senso di impotenza e l’inefficacia della politica perseguita debbono indurre a una più acuta comprensione dello stallo in cui la Sicilia e il Mezzogiorno si trovano e delle ragioni profonde della incapacità del governo regionale di agire secondo ragione e della corrispondente incapacità del governo nazionale – e della sua componente leghista innanzitutto – di contrastare la deriva del ritardo e dello spreco. Ricordiamo che nella seconda metà degli anni ’90 è stata una decisa e illuminata azione del governo nazionale (Ciampi e il nascente Dipartimento delle Politiche di Sviluppo di Fabrizio Barca) a salvare e utilizzare in modo sensato le risorse europee della tornata 1994-99 e ad avviare un processo di programmazione intelligente di Agenda 2000. Processo che poi, con la tornata del secolo e con il successivo passaggio al governo Berlusconi/Tremonti del 2001, si è interrotto ed ha cambiato direzione. Fino alla impotenza e incapacità dell’attuale governo, che gioca con i FAS e strumentalizza le incapacità delle Regioni meridionali di condursi virtuosamente e quindi di pretendere con autorevolezza il rispetto e le risorse dovute. Il problema non riguarda solamente la Sicilia, ma tutte le quattro regioni rimaste dentro l’obiettivo convergenza e destinatarie complessivamente di 36 miliardi di Euro (22,3 i quattro programmi regionali FESR), il cui stato di attua-

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zione è al 10% di pagamenti al 31 maggio 2011 (l’8% per i programmi regionali di Sicilia e Campania, i due più rilevanti; ricordiamo che per la Sicilia una parte della spesa è contabile e non reale, perché fa riferimento ai programmi complessi Jeremy e Jessica). Le ragioni dell’impotenza e dell’inefficienza debbono dunque avere degli aspetti strutturali, che fanno riferimento all’intreccio di fattori istituzionali e di cattiva politica. Sarebbe importante capire i fattori istituzionali, per essere pronti al cambiarli e a procedere speditamente e in modo sensato, oltre la cattiva politica presente.. Dobbiamo allora riconsiderare le analisi condotte dal Cantiere e dall’Osservatorio e le proposte costruite per un cambiamento di passo, e misurare, nella prospettiva di un cambiamento radicale e necessario, e di un nuovo ceto politico, le ragioni dei ritardi e della impermeabilità alle proposte di avvio di un processo ordinato e virtuoso di utilizzazione delle risorse. Non si tratta di sopravvalutare ciò che il Cantiere e l’Osservatorio hanno costruito, perché i suggerimenti e le proposte sono venute anche dalla stessa Commissione e dagli attori del partenariato. Il Cantiere ha sempre raccolto e coordinato proposte e suggerimenti, selezionandole e riassumendole secondo una specifica idea e prospettiva, quella di Un’altra storia, secondo l’indirizzo di valorizzare la partecipazione e l’idea del bene comune dei cittadini e delle associazioni civili attive. Pronti a cogliere segnali di cambiamento nell’immediato, ma puntando e avendo fiducia in un novembre • 2011 • N.5


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prossimo radicale e vitale cambiamento. I recenti avvenimenti che segnalano – pur se fra contraddizioni e tragedie – l’espandersi dei movimenti della cosiddetta primavera araba, e il crescere – pur se inquinata da rigurgiti di antica violenza metropolitana – della protesta pacifica degli indignati europei, confortano nella speranza del cambiamento e inducono a persistere nella ostinata idea di capire per cambiare e per costruire un mondo in cui ci sia posto e dignità per tutti i cittadini. Un’altra storia. Lo stato dell’arte, le nostre critiche e le nostre proposte Lo stato dell’arte rispetto all’utilizzazione dei Fondi per lo sviluppo – europei e italiani – è sostanzialmente simile a quello denunciato dall’inizio del 2010, quasi sue anni addietro, quando gli anni di ritardo accumulati erano “solo” tre, rispetto ai tempi della spesa efficace e realmente finalizzata allo sviluppo e quando già si affrontava il rischio del “disimpegno automatico” di parte delle somme. A fine 2009 scadeva il termine della spesa programmata per il 2007 e già allora si era cominciato ad utilizzare il metodo degli artifici contabili per evitare tagli, piuttosto che ragionare sulla qualità della spesa e sulle finalità di sviluppo. D’altra parte si stava ancora utilizzando il residuo dei Fondi di Agenda 2000, e si raffinava il sistema di ricorso ai progetti di sponda, o progetti “coerenti”, ossia al riconoscimento di somme per opere e investimenti già realizzati con fondi italiani e alla “liberazione” delle risorse europee per finalità diverse e certamente non “coerenti” con lo sviluppo.

Nella tornata di Agenda 2000 la Svimez attesta che circa il 40% della spesa è stata “liberata” ed è stata rimborsata per progetti non inclusi nei programmi di sviluppo. E’ per l’abuso di questo meccanismo che il FSE di Agenda 2000, dopo avere corso il rischio di essere integralmente non riconosciuto, è ancora in contenzioso con la Commissione europea e costerà alla Regione siciliana un rimborso milionario. Si va da un minimo di 150 mln di Euro, che la Sicilia dovrà restituire, ad un massimo di alcune centinaia di milioni. Difficile avere notizie esatte del contenzioso e dello stato della faccenda, anche perché l’amministrazione sta operando con il FSE attuale secondo la stessa filosofia – anche se con più accorti metodi contabili e di rendicontazione – e quindi mettendo la Regione nuovamente a rischio di perdita delle

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somme. La novità della spesa, rispetto a due anni addietro, è un aumento incredibile del ritardo – siamo ora al termine del quinto anno su sette di utilizzo ordinario – e la cifra della spesa, che a fine 2010 era il 6,5% (reale circa il 3%, il resto essendo assegnato a impegno complessi che consentono la spesa entro il 2015, ma contabilmente sono considerabili come già impiegati), a fine maggio 2011 è circa all’8% (ossia al 4,5%). La vera novità riguarda, come si accennava, riguarda il Fondo sociale europeo, che in questa tornata ha una sua separata e autonoma Autorità di gestione – a differenza di Agenda 2000, in cui l’Autorità di gestione era unica. Per colmare il ritardo, addirittura superiore a quello del programma FESR, sono stati presentati tre grandi Bandi, per oltre mezzo minovembre• 2011 • N.5


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liardo di euro (40+197+286,6 milioni!) del Fondo sociale europeo 2007-2013 per la formazione professionale. A questi Bandi parteciperanno – nella sostanza questi bandi sono riservati a – gli enti che da decenni fanno la formazione professionale ordinaria. Questi bandi di fatto finanziano il “Programma regionale dell’offerta formativa”. Il contenzioso in atto e ancora non risolto sul FSE di Agenda 2000 ha origine dall’avere finanziato parti consistenti della formazione professionale ordinaria con i Fondi europei, attraverso il meccanismo dei progetti di sponda. Ciò che fino a ieri si è fatto di nascosto, con sotterfugi, e appunto con il meccanismo dei “progetti di sponda”, o con azioni integrate (parte fondi regionali e parti, quelle più presentabili, con risorse europee) – e di cui ancora non si riesce ad avere misura del danno, oltre che dello spreco –, ora viene “messo a sistema” e scaricato integralmente sui Fondi europei. Ma con i fondi europei non si possono finanziare spese ordinarie. E la formazione professionale siciliana è spesa ordinaria, sostanzialmente assistenziale – nella quasi totalità, con alcune eccezioni che riguardano una infima percentuale – e prevalentemente controllata con metodo clientelare trasversale e inclusivo. La spesa europea, inoltre, deve essere “aggiuntiva”, e non sostitutiva: non può finanziare azioni già a carico di fondi ordinari. Se la spesa per formazione professionale aumenta sul Fondo Sociale Europeo, mentre contemporaneamente sparisce dal bilancio regionale, la Regione si autodenuncia per improprietà della spesa.

Il programma principale e più rilevante è il Programma finanziato dal FESR (Fondo europeo di sviluppo regionale) con 6,5 miliardi di Euro. Il tema diventa quello delle rimodulazione, che a fine 2010 è stata avviata, e che prometteva una diversa e virtuosa nuova dinamica di utilizzo delle risorse. Le proposte che attraverso la consultazione e l’ascolto degli attori dello sviluppo possibile abbiamo elaborato al Cantiere e all’Osservatorio sembravano avere una sponda attenta e per tanti aspetti di condivisione con la Direzione regionale della Programmazione, Autorità di gestione del Fondo. Nell’incontro ufficiale avuto a marzo di quest’anno, sembrava che ci fosse un indirizzo regionale che puntava a un serio e radicale ripensamento del programma e ad una conseguente accelerazione reale della spesa, e che certamente avrebbe incontrato l’approvazione della Commissione, perché l’avanzare della crisi economica, e l’aggravarsi della deindustrializzazione nelle aree deboli del Paese e in Sicilia in particolare, imponevano elasticità e intelligenza nel procedere ai cambiamenti del programma in direzione di un contrasto alla crisi e di un sostegno all’economia reale. Idee ed indirizzi che si incontravano con quanto elaborato al Cantiere, e all’Osservatorio che in quei mesi veniva costituito, allo scopo di avere una più forte rappresentanza dei Comuni e dei territori nella riflessione e nella proposta. La proposta di rimodulazione del programma che presentavamo nell’incontro di marzo 2011, prendeva le mosse da una strategia

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duplice, e correva lungo tre linee fondamentali. Un serio programma di sviluppo, che voglia indicare una strada sensata per la costruzione di una economia che risponda alle esigenze dei siciliani e che sia la base di una vita civile degna di questo nome e non dipendente dall’aiuto esterno, ha bisogno di due grandi linee di prospettiva e di intervento. 1. Una “strategia alta”, che punta agli obiettivi di Lisbona e di Göteborg e che fa della ricerca e dell’innovazione il perno per una ristrutturazione e una riqualificazione dell’apparato produttivo forte, che punta sulle città e sulle istituzioni di ricerca (Università, CNR, ricerca e innovazione delle imprese) e che nelle città – nella funzione metropolitana delle città di fornire servizi alti al territorio e all’impresa produttiva – ha il suo cuore. Si tratta allora innanzitutto di far scoccare “l’arco voltaico tra Università e impresa”. 2. Una “strategia diffusa”, che punta alla valorizzazione dei territori, alla responsabilizzazione delle comunità locali e in generale allo sviluppo locale diffuso, valorizzando le capacità diverse e variegate dei territori e delle comunità locali di diventare attori responsabili del proprio futuro. Le politiche territoriali capaci di creare e diffondere sviluppo locale diffuso sono alla base dell’idea europea di sussidiarietà e costituiscono la sostanza dell’assetto federalista, che è suggerito dall’Europa e che l’Italia si appresta a istituire. Senza sviluppo diffuso né la sussidiarietà, né il federalismo sarebbero sostenibili nel tempo. Grandi progetti sulla frontiera delnovembre • 2011 • N.5


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l’innovazione, della tecnologia e della ricerca più avanzata, da una parte, e politiche territoriali diffuse e di sviluppo locale integrato e sostenibile dall’altra, debbono divenire le due facce di una strategia unitaria, ma a due livelli. Queste due strategie sono strettamente connesse ed anche interdipendenti: dal lato della “strategia alta”, perché senza lo sviluppo locale e il dinamismo dei territori il grande progetto facilmente degenera o comunque perde efficacia e capacità di durare nel tempo, perché diventa l’ancora di salvataggio e l’unica fonte di reddito aggiuntivo e perciò la “cattedrale” si trasforma in “cattedrale nel deserto” o in “cattedrale produttiva di desertificazione”; dal lato della “strategia diffusa”, perché anche al livello locale e dello sviluppo di nicchia e non necessariamente innovativo, un ambiente attento all’innovazione e produttore di ricerca è condizione di buona qualità dello sviluppo locale e della sua capacità di divenire auto-propulsivo e, a sua volta, innovativo. Le tre linee di intervento proposte erano le seguenti, due con riferimento alla “strategia diffusa” e una alla “strategia alta”: 1. Strategia “diffusa”: investimenti sui territori e sull’economia diffusa. Rinforzo finanziario dell’Asse VI (in coerenza con un indirizzo dell’Autorità di gestione), ma dell’ordine almeno del raddoppio delle risorse a disposizione e con un deciso riavvio di un processo di partecipazione e di responsabilizzazione dei territori e con una forte e diversa qualità del partenariato. 2. Strategia “alta”: investimenti in

Ricerca e Sviluppo per i Poli industriali e per il sistema delle medie e grandi imprese dell’Isola, prevalentemente ruotanti attorno ai settori dell’energia (Poli petrolchimici e altro) e della mobilità (Fiat di Termini Imerese e altro, Cantieri Navali). Ricerca su Energia e Mobilità sostenibile Progetto da costruire con l’Università e il CNR, con le Agenzie Nazionali per lo sviluppo del Mezzogiorno, con le grandi imprese interessate e presenti nei Poli. Conferenza regionale sui Poli industriali da organizzare a breve. Progetti da coordinare con la rimodulazione regionale sulle Aree di crisi, che sembra puntare a interventi infrastrutturali, complementari rispetto a un progetto di forte intervento sulla Ricerca e

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sull’Innovazione secondo la strategia europea di Lisbona e di Götebotg. 3. Strategia “diffusa”: Risorse per le aree artigianali e industriali e politiche per lo sviluppo dell’impresa Servizi reali alle imprese, a partire dalle aree artigianali, aree industriali, altre aree di insediamento produttivo, reti di imprese (distretti riconosciuti, e altri addensamenti di imprese). Rinforzare la politica per il credito alle PMI e il microcredito per le imprese di prossimità (modello ZFU). Costruzione di un “sistema infrastrutturale della legalità e della trasparenza” attraverso il riordino, il coordinamento e i servizi alle aree di insediamento produttivo, obbligate alla messa in rete di tutti i processi e di tutte le azioni amministrative, i servizi fornovembre• 2011 • N.5


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niti e l’utilizzazione delle risorse pubbliche per la promozione delle imprese. Inserire nel processo di riforma della PA regionale in atto un “sistema infrastrutturale per la legalità e la trasparenza degli atti della PA”: sistema informativo unico degli atti, delle procedure, dei bandi e dei processi di selezione e di valutazione: tutti pubblici e tutti in rete. La prima linea è rinforza la dimensione place-based della strategia complessiva e richiede sia un considerevole incremento delle risorse dell’Asse VI e una più consistente possibilità di accesso alle risorse degli altri Assi secondo le procedure di accordi interdipartimentali già messi in opera, ma anche e contemporaneamente un salto di qualità nel partenariato e nel protagonismo dei territori. Il tema delle risorse per la progettazione deve essere parte integrante del rinforzo della linea. La seconda linea richiede la costruzione di un grande progetto – o di più grandi progetti – di investimento nella ricerca siciliana, che coinvolga le Università siciliane e il CNR, e che ascolti le grandi imprese presenti nei Poli. L’idea di partenza potrebbe essere identificata in una struttura sul modello dell’Istituto Italiano per le Tecnologie di Genova, dedicato alla ricerca sull’energia e sulla mobilità sostenibile, secondo le linee di ricerca e di innovazione coerenti con la tradizione e la presenza industriale dei Poli. Le ricadute di una tale importante operazione di investimento sarebbero rilevanti di per sé, potrebbero essere decisive per le sorti future dei Poli industriali presento in Sicilia e avrebbero certamente anche ricadute

sulla qualità e sulle prospettive dell’impresa piccola e media dell’Isola, soprattutto se riuscisse a coniugarsi anche con la terza linea di intervento. La terza linea deve essere accompagnata da una radicale riforma dell’assetto delle aree di insediamento produttivo, ASI, aree artigianali e in delle regole dell’insediamento produttivo che coniughino rapidità e semplicità delle procedure con la responsabilità attiva dei territori. La costruzione dei due “sistemi infrastrutturali della legalità e della trasparenza” è condizione e frutto di questa promozione della responsabilità istituzionale e sociale delle comunità locali, base di qualsiasi politica place-based efficace, e cioè base di uno sviluppo territoriale che colmi ritardi e divari accumulati per i ritardi e per la “sottoutilizzazione” delle risorse e delle potenzialità dei territori e

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degli attori e delle comunità locali. L’incontro con i tecnici della programmazione ci metteva al corrente dell’intenzione dell’amministrazione di aumentare le risorse dell’Asse VI, non nella misura da noi proposta, ma significativa e interessante, e ci mostrava le difficoltà di mettere in campo la strategia “alta”, perché uno o più grandi progetti avrebbero scardinato il programma in modo significativo e per la difficoltà di assegnare risorse eccesive del PO FESR alla ricerca, dal momento che altri fondi e altri programmi europei sono destinati a ciò. Osservazioni corrette da parte dei tecnici, e proposte da girare ai responsabili politici, perché una strategia di cambiamento radicale e significativo del programma va discussa a livello politico con la Commissione e ha senso a ragione delle trasformazioni radicali del contesto – la crisi e la deindustrializzazione dei Poli industriali, Fiat che va via, e la crisi dei Poli petrolchimici siciliano e la necessità di avviarli ad una trasformazione in Poli energetici sostenibili – e sulla base di un ridisegno necessario dello sviluppo possibile sulla base delle risorse disponibili. La proposta dell'Osservatorio, come sottolineava nell’incontro il suo presidente, il sindaco di Caltagirone Franco Pignataro, puntava al rafforzamento significativo dell’Asse VI per dare forza alla partecipazione dei comuni e dei territori al programma di sviluppo: la “strategia diffusa” andava vista come indirizzo complessivo di coinvolgimento e partecipazione al contrasto alla crisi e alla crescita dell’economia diffusa, cioè della piccola impresa che fa occupanovembre • 2011 • N.5


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zione, anche questo tema centrale della strategia europea delle politiche di sviluppo e coesione. Avevamo anche preso in considerazione il problema “politico” della resistenza dei diversi rami dell’amministrazione ad accettare tagli delle risorse assegnate dal programma originario, e avevamo indicato una modalità per affrontarlo in modo ragionevole. La Regione aveva assegnato ai Dipartimenti il 70% delle risorse destinate dal Programma, avendo riservato il restante 30% ad una possibile rimodulazione sulla base dei risultati conseguiti dai diversi rami dell’amministrazione. A quasi cinque anni dall’avvio e a due dal termine si era all’inizio della spesa, si riteneva che non avesse più senso riservare quelle risorse alla premialità e fosse quindi possibile utilizzarle come massa di manovra per la rimodulazione e per il cambiamento di strategia radicale e

necessario. Il problema era di discutere con la Commissione la strategia complessiva per una rimodulazione del programma significativa ed efficace, sulla base di una idea di base di sviluppo. La proposta di un grande intervento sulla ricerca e l’innovazione coerente con il patrimonio industriale presente nei Poli industriali siciliani, e ruotante attorno ai grandi temi dell’energia e della mobilità sostenibile mira ad un salto di qualità nell’intervento sul sistema industriale e alle importanti ricadute anche per le altre proposte di rimodulazione. Alla base occorre una proposta politica forte, da fare alla Commissione e coinvolgendo il mondo della ricerca europeo, pensando l’intervento come servizio non solo ai Poli industriali siciliani, ma al sistema più generale italiano ed europeo e guardando al

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Mediterraneo. Nell’idea dell’Osservatorio questa strategia, coerente con la strategia di Lisbona, serve da supporto alla crescita dell’economia diffusa e dei territori, perché strategia “alta” e strategia “diffusa” si aiutano e supportano vicendevolmente. L’idea è quella di uno shock forte e positivo al mondo della ricerca, dell’innovazione, della tecnologia e della creatività con riferimento all’energia e alla mobilità sostenibile, finalizzata al contrasto della deindustrializzazione in atto nei Poli industriali dell’Isola, e importante anche per tutto il sistema economico e industriale, anche della piccola e media impresa. Lo shock avrebbe l’effetto di far “scoccare l’arco voltaico” tra l’impresa e la ricerca scientifica e tecnologica (Domenico La Cavera), e produrrebbe effetti positivi su tutta l’economia siciliana, e non solo. Poche settimane dopo l’incontro,

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la proposta di rimodulazione che viene presentata dalla Regione a Bruxelles non presenta alcuno dei caratteri condivisi detti, e rinuncia a perseguire strategie forti e cambiamenti radicali. Sparisce l’aumento dell’Asse VI e l’attenzione ai territori e ruota attorno all’introduzione o all’allargamento di “grandi progetti”, ma in un’ottica e con finalità diverse e difformi dal ragionamento condotto e dalla necessità di cambiare il passo dell’utilizzazione virtuosa delle risorse per lo sviluppo. I “grandi progetti” diventano uno strumento contabile, da proporre per evitare il disimpegno automatico. Strumento contabile che si affianca alla ricognizione dei residui possibili progetti di sponda. I grandi progetti sono previsti dal Regolamento dei Fondi, servono per programmare interventi complessi e costosi. Dal momento che interventi di tal genere richiedono tempi lunghi e quindi possono mettere in difficoltà il cronoprogramma della spesa, se ammessi a valutazione dalla Commissione – cioè, solamente se sono “ammissibili” al finanziamento, danno un bonus di riconoscimento di “spesa già effettuata” di 50 milioni (dunque con il cofinanziamento 100 milioni), che aiuta contabilmente, ma non cambia la spesa reale, semplicemente rinviando il problema. Sei “grandi progetti ammessi” all’esame, anche se poi bocciati e non ammessi a finanziamento, cancellano il rischio di disimpegno automatico per il 2011. Poi si vede. Certo i “grandi progetti debbono essere “ammessi” alla valutazione, e debbono avere quindi requisiti minimi di senso e di finalità

coerente con il programma. Spicca tra le proposte un “grande progetto” mirato al finanziamento (90 milioni) di un “Centro medico di Adroterapia”, per caso da impiantare a Catania, e da finanziare a valere sull’Asse VI, per cui la rimodulazione chiede un corrispondente aumento di risorse. Si sfiora il ridicolo e si svilisce il senso complessivo delle politiche di sviluppo e coesione. Anche al netto della “qualità” del progetto. Uno di questi grandi progetti riguarda Termini Imerese. Debole, ma importante. Così com’è, sarà forse ammesso, ma non sarà approvato. Di fatto riprende il progetto per le infrastrutture per l’interporto che era stato elaborato trent’anni fa, e che non è stato mai avviato. Potrebbe diventare significativo e contribuire ad affrontare il declino del Polo industriale, se diventasse un “vero” grande progetto, e coniugasse infrastrutture per la logistica e l’intermodalità e strategia di crescita industriale. Se diventasse il Grande Progetto del rilancio del Polo industriale di Termini Imerese, cioè della città metropolitana di Palermo, secondo una logica come quella che indicavamo con la “strategia alta”. Ma a tutt’oggi così non è. Ad un seminario organizzato dall’Università di Palermo sulla reindustrializzazione di Termini Imerese, è sembrato che la Regione sia sostanzialmente in tutt’altre faccende affaccendata, e soprattutto non abbia idea di che cosa significhi fare politica industriale e quindi utilizzare in modo sensato le risorse per lo sviluppo. Su Termini Imerese si deve osservare che in aggiunta alle inadempienze della Regione, l’attore che

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manca all’appello, e che dovrebbe invece essere il primo attore, è la città di Palermo. Il problema Termini Imerese dovrebbe essere affrontato da Comune di Palermo, Università di Palermo e Regione siciliana, affrontato e imposto come problema allo Stato e all’Europa, e tramite questi agli attori forti, ieri Fiat, oggi altri da coinvolgere. Le risorse per lo sviluppo – il grande progetto – dovrebbero essere lo strumento di una tale fondamentale politica. Per Termini/Palermo, come per Augusta/Siracusa-Catania, per Milazzo/Messina e per Gela/Sicilia del Centro Sud o Sicilia tout court. E da qua bisognerà ripartire, quando questa Regione diventerà un’altra Regione e proverà ad avere una vista più lunga di quella che ha oggi. O quando altri diventerà Autorità di gestione delle risorse europee per lo sviluppo. Ma, chiudendo la riflessione sulla rimodulazione in atto, c’e di peggio. Il 21 giugno 2011 la Giunta regionale approva “la proposta di piena attribuzione delle risorse del Programma ai Dipartimenti attuatori per completare il quadro delle disponibilità finanziarie assegnate con Del. N. 83/2009 nella misura del 70% della dotazione del PO”. Ossia, assegna quel 30% delle risorse non ancora assegnato e che avrebbe potuto aiutare per superare le resistenze nei confronti di una rimodulazione radicale e perciò efficiente. Senza alcuna giustificazione o motivazione legata alla accelerazione della spesa e alla rimodulazione. La logica della “proprietà” ed esclusività dei fondi assegnati ai Dipartimenti e agli Assessori che hanno la responsabilità della attuazione degli internovembre • 2011 • N.5


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venti – il controllo del processo di spesa – sembra essere l’unica motivazione plausibile, e certamente confligge con la rottura dell’immobilismo e dell’impotenza che l’amministrazione continua a mostrare. Nel corso del Comitato di sorveglianza di presentazione della proposta regionale della rimodulazione, colpiva la quantità di volte in cui si è fatto riferimento, da parte dei funzionari e dei tecnici, a “vincoli esterni” all’amministrazione, in risposta ad osservazioni critiche di parti sociali o di attori nazionali e comunitari. I vincoli esterni sono essenzialmente la incapacità della politica – dei tanti e confliggenti attori della politica – di spogliarsi dal perseguimento di interessi di parte e di controllo di risorse da “promettere” e/o poi da assegnare, invece che di cooperare per il perseguimento di interessi comuni, e necessari per lo sviluppo. Le cifre sul ritardo e l’in-

capacità di ricorrere a cambiamenti significativi non hanno altra possibilità di spiegazione e sono alla base di quel senso di frustrazione di cui abbiamo parlato. Che fare? Come fare sviluppo per contrastare la crisi? La Regione sembra dunque impotente a cambiare passo e a rispondere alle urgenze della crisi e al bisogno di sviluppo. La Regione sembra presentare in modo accentuato i problemi dell’assetto istituzionale nazionale di oggi, che lascia spazio ad una politica dilaniata tra bisogno di centralismo e declamazione di federalismo e autonomie dei territori. Il meccanismo istituzionale della cattiva politica regionale, incapace di perseguire il bene comune e segnato da interessi particolari e da incapacità reale di governo, ci inchioda

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allo stallo e sembra non presentare ragionevoli vie d’uscita. Non è una soluzione la richiesta di un intervento dello Stato, sia perché anche l’utilizzazione delle risorse europee che sono nella responsabilità del governo centrale – i PON, Programmi Operativi Nazionali, che hanno una dotazione di circa 13 miliardi di Euro – sono anch’essi in ritardo e in difficoltà di attuazione (siamo al 12% di spesa), sia perché l’interesse di questo governo allo sviluppo del Sud si è a tutt’oggi dimostrato praticamente inesistente, e non solo per il prevalere degli indirizzi leghisti. La vicenda dei FAS è esemplare di questi indirizzi. Per questi motivi la tesi di coloro che sostengono la necessità di tornare ad una gestione centrale delle risorse per lo sviluppo del Sud, una nuova Agenzia per il Mezzogiorno, è una soluzione peggiore del rimedio, perché

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anche un suo eventuale disegno di istituzione sganciata dalla politica, per essere attuato, richiederebbe una politica capace di pensarla e poi di nominare dei responsabili indipendenti. E ciò non è certamente nelle facoltà del governo nazionale attuale. La nuova Cassa per il Mezzogiorno – perché di questo si tratterebbe – non avrebbe i caratteri dell’istituzione costruita negli anni ’50 da un ceto politico capace e interessato al bene comune, che pensava allo sviluppo del Mezzogiorno come ad un problema della economia nazionale, di cui discuteva con i più grandi economisti (Hirschman, Rosenstein Rodan) e di cui rendeva conto ad una Banca mondiale allora interessata alla ricostruzione di un mondo devastato dalla seconda guerra mondiale. Vent’anni dopo la Cassa diventerà strumento di politiche clientelari e di sprechi, quando anche la Banca mondiale del resto cambierà carattere e cesseranno le aperture reali allo sviluppo dei paesi arretrati. Una Agenzia centralizzata per il Mezzogiorno oggi partirebbe dai livelli più bassi, inefficienti e corrotti, della vecchia Cassa. Quale la soluzione? Che fare? Una indicazione può venire dagli indirizzi europei ed è iscritta nelle deficienze della programmazione dei Fondi 2007-13 e negli indirizzi del Rapporto Barca per il 20132020.

grammi di Intervento Comunitario: il programma URBAN, destinato alle città, e il programma INTERREG destinato alla cooperazione transfrontaliera, che per noi significa cooperazione nel Mediterraneo. Chiusi come interventi diretti perché ritenuti programmi importanti e da potenziare, e per questo stesso motivo da affidare ai territori, ossia finanziariamente alle Regioni, destinatarie della più rilevante quantità di risorse per lo sviluppo. URBAN ed INTERREG dovevano essere posti al cuore della programmazione dei Fondi strutturali. URBAN, perché la strategia dello sviluppo ha come sua prima e fondamentale dimensione portante la città e i servizi alti che la città solamente può fornire, la ricerca e l’innovazione innanzitutto, e INTERREG, perché la Commissione riconosceva l’importanza crescente della proiezione mediterranea dell’economia europea,

Nella attuale fase di programmazione delle risorse europee per le politiche di sviluppo e coesione, la Commissione ha soppresso due degli interventi che in Agenda 2000 erano gestiti direttamente da Bruxelles – i cosiddetti PIC, Pro-

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in particolare dell’economia della sua parte meridionale, affacciata sul Mediterraneo, e costituita in notevole parte delle economie in ritardo e destinatarie di risorse per lo sviluppo. La programmazione siciliana ha sostanzialmente disatteso questi indirizzi. La scarsa consistenza dell’Asse VI del PO FESR traduce questa deficienza del programma con riferimento a URBAN. Le risorse messe nel programma per la cooperazione transfrontaliera (nel FSE) sono scarse e sono ad uno stato di attivazione nullo e traducono la seconda deficienza. Quando, nella proposta di rimodulazione, l’Osservatorio indica la necessità di perseguire la strategia di Lisbona, attraverso investimenti in ricerca ed innovazione per contrastare la deindustrializzazione dei Poli, risponde ad un aspetto di questo indirizzo europeo e propone una strategia da perseguire per contrastare la crisi. Fiat e solo la punta dell’iceberg di un problema grande, che può essere affrontato solo a partire dalla risorsa città, città metropolitana, e dai servizi alti che la città e le sue risorse – Università, CNR e altri agglomerati e centri di ricerca – possono e debbono fornire. L’indirizzo europeo di puntare sulle città e sulla ricerca e l’innovazione fornita dalle città è d’altra parte un aspetto del più generale indirizzo di puntare su politiche placebased, ossia sui territori e sul dinamismo che i territori solamente possono e debbono dare all’economia “civile”. Proprio quell’economia decantata dai sostenitori del mercato e uccisa dagli stessi, accecati dai mercati finanziari, che non conoscono territorio né dinovembre • 2011 • N.5


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mensione locale. Lo sviluppo locale è la ineliminabile dimensione in cui si completa una strategia che voglia sviluppo reale e autonomo e cittadinanza e protagonismo democratico dei produttori di ricchezza. Ed è soltanto a partire da questa dimensione dello sviluppo locale e della crescita autonoma – sviluppo autonomo e auto propulsivo, crescita dell’occupazione produttiva, dignità della produzione di base e del lavoro produttivo, contrasto al lavoro nero e perseguimento del “lavoro decente”, secondo la bella espressione dell’ILO, l’organizzazione dell’ONU per il lavoro – e dei territori. Con questi fini nella proposta di rimodulazione puntiamo al potenziamento della “strategia diffusa”, che punta a rafforzare le risorse ai territori attraverso l’Asse VI potenziato e a fornire servizi alle piccole ed anche micro imprese, attraverso un insieme di interventi da effettuare con strumenti diversi del Programma. Solo sulla base di strategie di questo genere si può pensare di rispondere all’altro fondamentale indirizzo della Commissione, che negli ultimi mesi si sta rivelando sempre più importante per il futuro delle comunità e dell’economia sicilane, meridionali e dei paesi della sponda europea del Mediterraneo. La primavera araba avrà un seguito, certamente, e molto dipenderà anche dagli indirizzi di sviluppo della sponda europea. In questo quadro la Sicilia e l’intero Mezzogiorno potrebbero e dovrebbero avere un ruolo fondamentale, per sé e per il Mediterraneo. Promuovendo sviluppo locale congiunto.

Ma le Regioni non capiscono, o capiscono troppo poco. Ed anche il governo centrale. Proviamo allora a tradurre in termini istituzionali ciò che lega gli indirizzi europei descritti e le deficienze del programma segnalate, e tentiamo di far emerge una strada da seguire. La soluzione potrebbe rivelarsi più semplice del previsto. Gli attori che possono portare avanti questi indirizzi, se non sono le Regioni, possono essere le città e i territori, per un verso, e un loro coordinamento sovra-regionale, per altro verso. Perché gli attori dello sviluppo sono le città e i territori, e la forza politica che li può coordinare e rappresentare è l’insieme delle città e territori coinvolti, e quindi ha la dimensione del Mezzogiorno. Accenniamo solamente, ma con ordine.

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Innanzitutto le città. Colpisce, nella situazione attuale, non solo la mancanza di una strategia di sviluppo basata ed centrata sulle città, ma anche il silenzio politico delle città, che non rivendicano e non pretendono di avere il ruolo e le risorse che loro spettano. Forse, allora, si tratta di ripartire dalle città, dando loro voce e ricollocandole al centro della scena e degli scenari di sviluppo. La Spagna dello sviluppo degli ultimi venti anni è ripartita da Barcellona. Forse la Sicilia può ripartire da Palermo, da quella Palermo che oggi è afasica, ma che è stata e potrebbe ancora essere in grado di parlare. Palermo come Catania, come Messina e Siracusa. Ma Palermo come Napoli, che ha già cominnovembre• 2011 • N.5


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ciato a parlare. E Palermo insieme a Napoli e a Bari e alle altre città del Mezzogiorno, che potrebbero intendersi e parlare con Roma e con Bruxelles. Di ricerca, di innovazione, di “strategia alta” dello sviluppo, dei giovani competenti e con alta formazione che emigrano, perché le loro città tacciono e coltivano precariati e clientele. Ma accanto alle città ci sono i territori, con il loro tessuto di piccole imprese che chiudono o che resistono alla crisi e con le capacità di sviluppo che hanno sempre mostrato quando non venivano messe all’angolo. Negli anni ’50, come negli anni ’90 i territori hanno avviato processi di sviluppo, poi bloccati. Sono queste città e questi territori che potrebbero e dovrebbero proiettarsi verso la Tunisia, l’Egitto, domani si spera la Libia, per crescere insieme, per fare sviluppo congiunto, come già alcuni imprenditori coraggiosi hanno fatto e continuano a fare, ieri ed oggi contro tutto e tutti, domani con l’aiuto delle politiche di sviluppo e coesione. Se le Regioni non capiscono, possono essere convinte e costrette da una mobilitazione sociale ed istituzionale dal basso e da un processo politico di cui abbiamo necessità, come abbiamo necessità di crescita per non soccombere di fronte alla crisi e per non rendere inutili ed inefficaci le manovre finanziarie.

prerogative di rappresentati dei cittadini e delle comunità. In questo dilemma è in gioco anche il federalismo, perché un federalismo incentrato su queste Regioni inefficienti, e incapaci di perseguire l’interesse comune, non è sostenibile, e sostituisce ad un centralismo statale venti centralismo regionali, più pericolosi perché più vicini, e più voraci perché più pervasivi. Certamente al Sud, ma forse anche in diverse regioni del Centro e del Nord. O il federalismo darà voce e protagonismo alle città e ai territori, ossia alle comunità locali e alle economie territoriali, o non sarà. In questo dilemma si gioca il rapporto tra crescita e sviluppo. Ossia la qualità della crescita e la possibilità dello sviluppo autonomo, l’uscita dalla dipendenza e dal sottosviluppo, portatore di subalter-

nità e di forme di colonialismo interno e di corruzione del sistema politico nazionale. Abbiamo bisogno che la crescita, necessaria per contrastare la crisi e per contribuire al risanamento definitivo dei conti nazionali, sia fatta da sviluppo autonomo e sia sostenibile nel tempo. Abbiamo bisogno che la crescita che dobbiamo promuovere con le risorse dateci per lo sviluppo contrasti la deindustrializzazione in atto e promuova e sostenga l’industria come bene comune e come base ineliminabile per la dignità del lavoro, quell’industria – grande e piccola – che rispetti l’ambiente, sia capace di produrre ricchezza e di persistere nel tempo. Dunque partiamo dalle città e dai territori e obblighiamo le Regioni, le Autorità di gestione, a coordinarsi a livello del Mezzogiorno e a rispondere ai bisogni. A meno di non ritenere che sia necessario non solamente abolire le Provincie, da sostituire con le libere associazioni di Comuni – pensate come enti di secondo grado, senza risorse e poteri propri, ma solo delegati e con funzioni di coordinamento – ma anche le Regioni, per lasciare libero campo alle associazioni di Città e territori, che dal basso e in aggregazioni anche più vaste di quelle regionali ricostruiscano la politica, lo sviluppo e il ruolo del Mezzogiorno in una Italia civile.

Le Regioni saranno convinte, o costrette, perché le Regioni esistono e possono fare politica solo in riferimento alle città e ai territori e possono fare cattiva politica solo se le città e i territori tacciono e rinunciano ai loro diritti e alle loro

In ogni caso ripartiamo da Palermo, per costruire il Mezzogiorno e per dare al paese il contributo di crescita – e di qualità della crescita – necessario per uscire dalla crisi.

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Buone pratiche

Dalla storia di Radio Sud all’eco di Radio Aut il cammino continua di DANILO SULIS ’idea quasi provocatoria di riaprire Radio Aut lanciata al dibattito sulle radio libere in occasione della commemorazione dell’assassinio di Peppino Impastato, destò un tal entusiasmo tra i presenti che mi fece capire che poteva non essere solo un sogno. Pur essendo un palermitano passavo molto tempo a Cinisi con Francesco e Peppino Impastato. Ancor prima della nascita di radio Aut, mi occupavo di organizzare gli eventi musicali del circolo musica e cultura, una fucina d’idee, di stimoli, di sogni ma anche di concretezza politica. Come musicista mi esibivo spesso in quella zona, ma il concerto che non scorderò mai per il suo valore simbolico ed emozionale è stato quello che feci con il mio gruppo sui banchi dell’aula consiliare del comune di Cinisi occupato. L’entusiasmo era tale che sembrava dovessimo cambiare la realtà da lì a poco. In seguito, scimmiottando Woodstock, mi feci promotore ed organizzammo il festival di Spiaggia Magaggiari, la spiaggia che ora compare sul logo di radio 100 passi, stand musica e tanta gente. Trasmettevo già a Radio Pal, la prima radio libera palermitana, per questo registrai tutti i concerti e li trasmisi invitando Peppino in studio. Credo che quella esperienza lo entusiasmo, perché pochi giorni dopo mi chiese se potevo trovargli un trasmettitore per aprire una radio anche nel suo paese. Aprire una radio in quel periodo non era cosa semplice, arroccati sulla collina di

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Baida stavamo di vedetta alla finestra aspettando la visita delle forze dell’ordine che venivano sistematicamente a gettarci giù l’antenna, che però nel giro di mezza giornata ritornava nuovamente in piedi. Nonostante ciò, a causa di vuoti legislativi e d’alcune sentenze favorevoli le radio nascevano quasi con la stessa frequenza dei siti internet d’oggi. La molteplicità dei gruppi e partiti all’interno della sinistra facevano nascere conseguenzialmente anche le radio corrispondenti, a Palermo c’erano: radio Pal vicina al P.C.I. ma frequentata da giovani di varia provenienza, Radio 103 vicina al Partito Radicale e radio Apache, la radio degli indiani metropolitani. Dalla fusione di queste nasceva Radio sud, un emittente che oggi potrei definire come la prima esperienza in Italia d’unità della sinistra. Erano giorni in cui in piazza ci si scontrava anche per piccole divergenze, eppure funzionò, dimostrando che, credo allora come oggi, insieme si può stare. E’ forte di quella esperienza e per riavvicinare larghi strati di popolazione alla vita politica ed alla partecipazione che ho pensato di riprendere il percorso dando vita a radio 100 passi. Tornando alla nostra storia, fu l’occasione di questa fusione che fece avanzare un trasmettitore che diedi a Peppino per la sua radio Aut. Per l’evoluzione dei fatti, ancora alterno orgoglio a rammarico. Oggi, la maggior parte dei quotidiani è più attenta al gossip che ai problemi reali della gente comune, la televisione trasmette risse e

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troppo spesso programmi spazzatura che esaltano modelli di vita irreali o raggiungibili attraverso scorciatoie. Si preparano così le generazioni per la società dell’apparire e non dell’essere, e quando è l’essere a predominare, il modello è quello dell’essere furbo e prepotente, messaggio che favorisce l’aumento dell’individualismo e del bullismo, virus che può facilmente evolversi nell’essere mafioso; diventa quindi necessario un intervento capillare tra i giovani, nelle scuole e nei quartieri degradati. In uno degli striscioni che aprivano il funerale di Peppino, si leggeva: “La mafia uccide il silenzio pure”, occorreva quindi riaprire i microfoni ma soprattutto mettere in movimento tutti i mezzi e le persone oggi disponibili. Nasce per questo 100 PASSI l’insieme d’iniziative per far ripartire il cammino, al suo interno l’associazione di promozione sociale e di volontariato Rete 100 passi, di cui sono il presidente, della quale è presidente onorario Giovanni Impastato, fratello di Peppino ora impegnato nella valorizzazione della sua memoria; tra i soci fondatori anche Francesco Impastato che con me e con “i compagni di Peppino” condivise le esperienze di quegli anni. L’associazione, per diffondere capillarmente la cultura della legalità, ma non solo, è impegnata nella costruzione di una rete d’altre associazioni in tutta Europa, sono già presenti sedi ad Hannover, Roma, Milano e Bari. Il mezzo principale è quello della radio, chiamarla Radio Aut o Radio Sud sarebbe stato anacronistico, per novembre• 2011 • N.5


Buone pratiche

questo il nuovo nome, radio 100 passi, che, costituisce, grazie all’eco del film, immediato riconoscimento anche all’estero dove vogliamo arrivare. Infatti, le radio libere degli anni 70 avendo un numero d’ascoltatori limitato al raggio d’azione del FM portarono Peppino Impastato a denunziare i misfatti della mafia nella zona del suo paese. Oggi la mafia non è più un fenomeno locale, i 100 passi che dividevano la casa di Peppino con quella di un Boss ben identificato, non possono che essere il punto di partenza per le migliaia di passi da fare per contrastare organizzazioni, che, sempre più occulte, hanno globalizzato i loro interessi radicandosi in tutta Europa. Per questo Radio 100 passi è una web radio ascoltabile in tutto il mondo. Dopo anni di dominio dei grossi network commerciali che hanno spazzato le radio locali e tutti quelli che avevano fatto di quel mezzo una nuova forma d’espressione, oggi, la nascita d’internet e delle web radio, sta facendo, sia pur inconsapevolmente, ripercorrere ai più giovani la strada delle radio libere interrotta dalle successive leggi, che, a danno della democrazia hanno favorito i grossi capitali. L’ambizione di Radio 100 passi è quella di fondere le nuove forme di comunicazione, che con la web radio permettono di rendere gli ascoltatori partecipi, interattivi e protagonisti; con la tradizione della storica radio libera con forti legami con il territorio. Partito con una “Petizione a sostegno dell’apertura di radio 100 passi”, che ha raccolto oltre 10.000 firme

tra le quali molte di nomi noti, il lavoro preparatorio è durato quasi due anni. Nel frattempo, il ricordo dell’esperienza positiva di radio sud e la voglia di ritentare la costruzione di un mezzo che riunisse le forze sane, mi ha fatto venir voglia di rintracciare i vecchi fautori di quella emittente. Ritrovarsi dopo trent'anni, ognuno con il proprio bagaglio, familiare, politico, lavorativo è stata un’altra emozione, così come ritrovare in tutti, ormai cinquantenni, lo stesso entusiasmo di allora. Con loro nasce l’associazione 100 passi network, che ha lo scopo di creare un circuito radiofonico e che si occupa della gestione giornaliera della radio. Primo motto? Non piangersi addosso, per questo, nessuna retorica commemorazione delle vittime della mafia nel giorno del loro assassinio, ma un ricordo nel giorno della loro nascita; è il motivo per cui le trasmissioni sono iniziate il 5 gennaio, giorno di nascita di Peppino Impastato. I primi giorni di trasmissioni sono stati emanati da Casa Memoria, la casa dove Peppino Impastato è vissuto, oggi piccolo museo. Anche in quella occasione l’emozione è stata indescrivibile, visto che ho montato le attrezzature proprio sul tavolo del tinello dove con Peppino, e dopo con mamma Felicia, ci si soffermava spesso a chiacchierare. Il passo successivo, per motivi pratici, è stato quello di continuare le trasmissioni da Palermo insediandoci in un quartiere a rischio. Dopo quasi due anni di proficua attività che ha dato vita ad un palinsesto ricco di programmi culturali, d’interesse sociale, d’interviste, che

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hanno polarizzato l’interesse di oltre centomila fans assidui, il bilancio è soddisfacente, e c’esorta a perseverare nonostante i nove atti intimidatori che ci hanno costretto a cambiare sede. Oggi 100 passi è anche una testata giornalistica che sul sito della radio www.radio100passi.net pubblica un quotidiano on-line. Gli ascoltatori di radio 100 passi non sono fruitori passivi ma soggetti attivi che hanno fatto dell’essere ascoltatori motivo d’orgoglio, e dell’essere soci vanto d’appartenenza. E’ grazie al loro contributo finanziario che abbiamo potuto vivere sino ad ora e risollevarci dopo il totale furto delle attrezzature. Passato il periodo d’entusiasmo iniziale oggi il problema più impellente è quello di trovare i mezzi di sostentamento che ci consentano di coprire le spese vive e di programmare un futuro d’interventi sul territorio. Intanto il primo obbiettivo è sto raggiunto, dar vita ad un organo d’informazione libero ed indipendente, creare uno strumento da mettere a disposizione di chi non ha voce e visibilità. Chiunque può quindi proporre trasmissioni ed attività dando così linfa vitale al progetto di radio 100 passi che ci auguriamo diventi patrimonio di tutti. Con le idee ed il coraggio di Peppino noi continuiamo.

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L’Antisociale Finché la barca va

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Dossier SEDE NAZIONALE via Mariano Stabile 250 Palermo tel. 0918888496 fax. 0918888538 www.unaltrastoria.org

REFERENTI LOCALI DI UN’ALTRA STORIA MAGAZINE Agrigento: TIZIANA LANZA / tizzilanza@alice.it Caltanissetta: FRANCESCA GRASTA / francesca.grasta@gmail.com Palermo: ANGELA SOLARO / angela.solaro@gmail.com Siracusa: RITA PANCARI / ritapancari@virgilio.it Catania: GIUSEPPE PILLERA / giuseppepillera@libero.it Messina: VERONICA AIRATO / francasidoti@tiscali.it Trapani: PIERO DI GIORGI / pierodigiorgi@gmail.com Enna: SALVATORE PASSARELLO / salvopassarello@gmail.com

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